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Outsourcing e pubblica amministrazione: la prospettiva dei servizi pubblici locali esternalizzati

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FOGGIA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA

DOTTORATO DI RICERCA IN MANAGEMENT E FINANZE

(XXVI CICLO)

OUTSOURCING E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: LA

PROSPETTIVA DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI ESTERNALIZZATI

DOTTORANDA:

NATALIA ILARIA FARES

TUTOR: CHIAR.MO PROF.

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Outsourcing e Pubblica Amministrazione:

la prospettiva dei servizi pubblici locali

esternalizzati

INDICE Rilievi introduttivi

Capitolo I

La gestione dei servizi pubblici: public governance e

principi ispiratori delle recenti riforme della Pubblica Amministrazione 1.1 L’evoluzione della logica di gestione dei pubblici servizi:

dall’approccio formalistico a quello economico-aziendale delle amministrazioni pubbliche

1.2 I pubblici servizi e il cambiamento del mercato: dal monopolio alla concorrenza

1.3 La “nuova” autonomia imprenditoriale della Pubblica Amministrazione: la privatizzazione “funzionale” e l’avvento di nuove soluzioni manageriali

1.4 Le diverse tipologie di esternalizzazione e di erogazione dei servizi

Capitolo II

I servizi pubblici esternalizzati: il contratto di “outsourcing”

2.1 La nozione di servizio pubblico tra teoria soggettiva ed oggettiva 2.2 L’operazione economica di outsourcing ed i suoi caratteri essenziali 2.3 Obiettivi, vantaggi e limiti dell’outsourcing

2.4 La qualificazione giuridica ed il quadro normativo di riferimento 2.5 L’unitarietà dell’operazione economica e la sospetta invalidità della c.d. “clausola di separazione”

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Capitolo III

L’outsourcing strutturale e funzionale nella Pubblica Amministrazione 3.1.1 L’outsourcing strutturale 3.1.2 I consorzi 3.1.3 Il project financing 3.2.1 L’outsourcing funzionale 3.2.2 Il facility management 3.2.3 Il leasing operativo 3.2.4 Il general contractor Capitolo IV

L’esternalizzazione dei servizi pubblici locali 4.1 Il servizio pubblico locale: definizione

4.2.1 L’esternalizzazione dei servizi pubblici locali: elementi definitori ed obiettivi perseguiti

4.2.2 Segue

4.3 I vantaggi del ricorso all’outsourcing nei servizi pubblici locali 4.4 I limiti e le criticità del ricorso all’outsourcing

4.5.1 Il ruolo dell’ente locale e del soggetto gestore nell’outsourcing 4.5.2 Le funzioni strategiche dell’Ente locale nel governo dei servizi pubblici

4.5.3 Le funzioni di natura manageriale-operativa 4.5.4 Segue

4.5.5 L’attività di controllo sui servizi esternalizzati 4.5.6 Il controllo a consuntivo

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Capitolo V

L’outsourcing tra regole di mercato e libertà d’impresa: considerazioni

conclusive

Considerazioni finali

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Rilievi introduttivi

I servizi pubblici locali rappresentano fattori fondamentali nel determinare la qualità della vita dei cittadini e l’assetto produttivo delle imprese; essi si caratterizzano quali prestazioni così pervasive ed irrinunciabili nella nostra società civile da assurgere a catalizzatori di crescita economica e sociale, a livello locale, nazionale ed internazionale. Le imprese di servizi pubblici locali, di medio-grandi dimensioni, si configurano come una realtà economica di proporzioni assai rilevanti sia per quanto riguarda il PIL del settore confrontato con quello della produzione industriale nazionale, sia per gli investimenti ed il valore aggiunto del settore che seguono tassi di crescita molto al di sopra di quelli dell’economia nazionale. Queste considerazioni, congiuntamente all’imprescindibilità che i servizi pubblici rivestono per il cittadino/utente (miglioramento della qualità della vita connesso al buon funzionamento delle istituzioni che non possono non essere virtuose, attraverso risposte certe e tempestive) giustificano la sempre maggiore attenzione, negli ultimi anni, da parte di politici, operatori, studiosi (giuristi, economisti pubblici, aziendalisti). Il tema di studio è qui affrontato nell’ottica della pubblica amministrazione e, in particolare, dei Comuni. Ad un esame iniziale delle riforme che hanno interessato, sotto la spinta di tendenze innovative, la pubblica amministrazione attraverso processi di modernizzazione inerenti l’erogazione di servizi pubblici (capitolo I), segue uno specifico approfondimento della formula gestionale in outsourcing o esternalizzazione, vale a dire l’affidamento all’esterno di funzioni proprie dell’amministrazione (non strutturali) volto ad aumentarne la flessibilità organizzativa, garantire il contenimento dei costi e la proficuità dei risultati (capitolo II).

Appare opportuno, in tale sede, premettere che il settore dei servizi pubblici, soprattutto locali, è stato investito da tempo da una ipertrofica produzione normativa ispirata dalla volontà sia di assicurare efficienza, qualità e quantità maggiori dei servizi erogati, sia di assecondare un processo di liberalizzazione del mercato, anche sotto la spinta del diritto

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comunitario, che comportasse un maggiore rispetto delle regole della concorrenza. Si è assistito, così, ad un susseguirsi caotico di riforme e “controriforme” riguardanti i modelli organizzativi e le modalità di affidamento dei servizi stessi. In tale contesto, le forme di gestione dei servizi stessi oscillano tra i modelli tradizionali, i modelli dell’in house

providing e di outsourcing. In particolare, oggetto del presente lavoro è

l’outsourcing nei suoi aspetti qualificanti, nelle sue potenzialità e nei suoi limiti. L’amministrazione può, dunque, instaurare rapporti nei quali, pur non agendo come mero operatore economico, attua i propri compiti istituzionali sottoponendoli ad un regime contrattuale sostanzialmente privatistico. L’uso del contratto, in luogo del provvedimento, costituisce un nuovo modo di regolazione degli interessi, soprattutto in considerazione di particolari esigenze di settore, rispondenti, per lo più, ad esigenze di opportunità, da compiersi caso per caso, in presenza di presupposti stabiliti in via generale. Segue, poi, l’analisi del tema delle esternalizzazioni dei servizi pubblici locali, con peculiare interesse verso quelli a rilevanza economica, in una ottica di interpretazione delle esigenze della comunità di riferimento, di individuazione dei servizi più idonei a soddisfarle, di scelta delle modalità di gestione più opportune e delle forme di indirizzo e controllo dell’attività dei provider. Si approda, successivamente, allo studio delle forme di outsourcing strutturale e funzionale nella Pubblica Amministrazione (capitolo III), per poi passare ad affrontare il tema relativo al governo degli affidamenti in outsourcing da parte, in particolare, dei Comuni, sia sotto il profilo strategico (pianificazione, controllo e responsabilità politica rispetto alle modalità di gestione dei servizi pubblici locali), sia sotto il profilo manageriale-operativo (programmazione delle esternalizzazioni; passaggio dal controllo tipico della gestione diretta – controllo di gestione- al “controllo del gestore”) (capitolo IV).

Infine, si delineano delle conclusioni con riguardo alla efficienza produttiva e alla efficacia sociale delle gestioni in outsourcing nell’esperienza delle amministrazioni locali (capitolo V).

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Capitolo I

La gestione dei servizi pubblici: public governance e

principi ispiratori delle recenti riforme della Pubblica

Amministrazione

1.1 L’evoluzione della logica di gestione dei pubblici servizi: dall’approccio formalistico a quello economico-aziendale delle amministrazioni pubbliche

Le forme organizzative dei servizi pubblici sono state tradizionalmente predefinite in modo tipico, dalla legge o in base alla legge, sul presupposto che il modello legale assicuri il conseguimento effettivo degli obiettivi ai quali l’istituzione del servizio è rivolta. Se anche sono esistiti, da sempre, tipi di servizi che presentano una prevalente utilità per i singoli individui, in genere, tradizionalmente, i servizi, sono stati individuati in corrispondenza all’utilità collettiva e ciò ha comportato che la loro produzione e la loro erogazione siano state affidate, sin dall’inizio, a regole diverse da quelle di mercato. Si è trattato di forniture di solito condizionate da fallimentari procedure formali, operanti in regime di quasi monopolio legale, che hanno risentito in minima misura del vincolo dell’equilibrio economico. Si è venuto così ad instaurare, nel tempo, un assetto gestionale assolutamente inidoneo caratterizzato da una regolamentazione troppo vincolistica dell’attività, da una obsolescenza della tecnologia, da una mancanza di confronto o concorrenza che ha addormentato gli stimoli al miglioramento, da una burocratica selezione dei bisogni, da un mancato aggiornamento dei servizi disponibili e dagli assetti istituzionali di gestione. Tutte caratteristiche intrinseche, queste, che hanno portato progressivamente al prevalere di una logica di gestione che ha finito per disattendere la soddisfazione dell’utente finale, determinando gravi disfunzioni ed un profondo divario tra le attese circa la qualità del servizio e la qualità effettiva del servizio offerto.

Ne è derivata la crisi della corrispondenza tra natura dei servizi e forma giuridica di gestione: in una situazione economica

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caratterizzata da straordinarie innovazioni tecnologiche, organizzative, istituzionali, la teoria dei servizi non poteva continuare a fondarsi su assunzioni statiche, fuori dal tempo, che presuppongono strutture e tecniche date. La migliore dottrina, anche la meno recente, non ha mai qualificato l’attività amministrativa come semplice esecuzione o attuazione del comando legislativo, ma come risposta alle avvertite esigenze della collettività per aumentare il benessere, interprete dei bisogni e tesa alla loro realizzazione1. E’ la carta costituzionale, letta nel suo insieme2, che designa l’amministrazione come “funzione” e non come “potere” ed è la società, e non il potere politico, che determina ciò che in un certo contesto storico e sociale deve essere realizzato e quali esigenze vanno affrontate e risolte. Assume importanza non tanto il fatto che sia l’amministrazione a prestare direttamente il servizio ma che ne assicuri il godimento; il che può avvenire anche in regime di concorrenza di mercato, non più riservati alla gestione pubblica o pubblicamente improntata. Tali considerazioni, stante la denunciata crisi del modello gestionale pubblico, hanno assunto via via, nel corso degli anni, crescente rilevanza ed hanno portato le aziende pubbliche, anche se solo a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, ad essere interessate da una rivoluzione culturale, economica e sociale inevitabile. Di qui espressioni come “aziendalizzazione” e “New Public Management” riferite alla pubblica amministrazione, che palesano l’esigenza, in linea con il principio di “buon andamento” di cui all’art. 97 Cost., anche per l’azienda pubblica al pari di quella di ogni altra azienda, di raggiungere e preservare un equilibrio economico a valere nel tempo e di attuare una gestione che, pur non ispirata da finalità di profitto (come, invece, quelle delle imprese private), sia orientata alla creazione di valore economico-sociale, alla realizzazione di un equilibrio fra risorse consumate ed utilità prodotte

1 BERTI G., La pubblica amministrazione come organizzazione, Padova, 1968, p. 494 ss.; I pubblici servizi tra

funzione e privatizzazione , in JUS, 1999, p. 867. Particolare riflessione meritano le posizioni di ALESSI R., Le prestazioni amministrative rese ai privati, Teoria generale, Milano, 1956, e di ZANOBINI F., L’esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, in V.E. ORLANDO, Primo trattato completo del diritto amministrativo italiano, Milano.

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V. ESPOSITO C., Riforma dell’amministrazione e diritti costituzionali dei cittadini in La Costituzione

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(obiettivo di efficienza) e al soddisfacimento delle esigenze della collettività (obiettivo di efficacia).

Il modello aziendale dovrebbe consentire il passaggio da un’amministrazione autoreferenziale, che procede per atti, ad una che è davvero orientata a soddisfare i bisogni della collettività, producendo servizi utili. L’implementazione dei criteri economico-aziendali nella pubblica amministrazione non contrasta né con gli obiettivi di socialità ed equità, né con i principi di “buon andamento” e “imparzialità” (art. 97 Cost.) che, coerentemente al sentire comune ed anche alla luce del dettato costituzionale, dovrebbero sempre ispirarne l’azione3. Al contrario, riempie i principi di contenuti e favorisce il conseguimento degli obiettivi. Nel momento in cui efficienza ed efficacia assurgono a criteri-base nel guidare la gestione della “cosa pubblica”, essi prendono il posto degli interessi di parte, delle logiche clientelari, scongiurandone il prevalere sugli interessi collettivi e dando così concreta attuazione al principio di “imparzialità”. Il principio di economicità, poi, nella sua dimensione di efficacia, non rappresenta un ostacolo per il conseguimento degli obiettivi sociali, ma viceversa lo strumento. Tali obiettivi, inoltre, non contrastano nemmeno con il criterio di efficienza. La crescita economica e sociale dell’intera collettività non può realizzarsi attraverso la dissipazione delle risorse collettive, ma solo attuandone una gestione virtuosa, orientata alla massima realizzazione delle proprie finalità. L’amministrazione si sta, così, lasciando investire da una cultura nuova, nell’ambito della quale deve far emergere non soltanto la sua capacità di predisporre atti legittimi e formalmente corretti, di gestire i procedimenti garantendone la trasparenza ed il rispetto dei precetti legislativi, ma deve preoccuparsi anche degli effetti che gli atti producono ed assicurarsi che gli obiettivi astrattamente enunciati siano conseguiti, cioè che i bisogni siano realmente soddisfatti. Da un’amministrazione che procede soltanto per atti si va, ormai in maniera sempre più marcata, verso un’amministrazione che assume come riferimento i risultati da

3 Cfr. FAERNETI G., Aspetti gestionali, organizzativi ed economico aziendali, Brescia, p.56. Più in generale,

sul cambiamento culturale necessario affinchè la riforma in chiave economico-aziendale della pubblica amministrazione si compia, si veda BORGONOVI E., Principi e sistemi aziendali per le amministrazioni

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conseguire e conseguiti. Sul fronte della gestione del personale e della ripartizione di compiti e funzioni, l’applicazione dei criteri aziendali alla pubblica amministrazione richiede inevitabilmente la transizione da un approccio burocratico ad un approccio manageriale. Di qui la necessità per l’amministrazione, nell’ottica di questa nuova dignità della funzione pubblica, di affrontare anche il problema di una formazione professionale adeguata del proprio personale, di cui sino ad ora si sono preoccupati soltanto in pochi: il passaggio dalla figura del “burocrate” a quella del manager richiede nuove professionalità che sino ad ora sono mancate o non sono state sufficientemente sviluppate o sono risultate esclusivamente legate alle capacità individuali di assolvere correttamente un determinato compito. Nell’ambito di tali tendenze innovative, le funzioni di indirizzo e controllo strategico devono essere separate dall’attività di gestione; gli organi politici, da un lato, e i dirigenti a capo della struttura operativa (nei suoi diversi livelli), dall’altro, devono focalizzarsi ciascuno sulle proprie funzioni, in un clima di comunicazione e collaborazione, ma nel rispetto della reciproca autonomia. Tematiche quali autonomia, responsabilizzazione di ciascun dipendente per lo svolgimento dei propri compiti, pianificazione strategica degli obiettivi e controllo dei risultati, unitamente alla necessità che l’amministrazione operi secondo efficienza, efficacia ed economicità rappresentano proprio le fondamenta del New Public Management. Anzi, vi è di più. Oggi si assiste ad una vera e propria reinterpretazione dei predetti concetti in una logica allargata, che non ne esaurisce la portata all’interno della pubblica amministrazione, ma la estende ai rapporti fra pubblica amministrazione e cittadini. Complessivamente tutto converge su un unico tema: la Pubblic Governance. Con l’espressione

Public Governance (posta in contrapposizione al tradizionale

approccio di Govermenent), la letteratura più recente vuole indicare la capacità della pubblica amministrazione di muoversi verso nuovi assetti istituzionali, ruoli e modalità di azione che, rispetto al passato, siano maggiormente incentrate sulla cooperazione fra attori pubblici e privati, sulla collaborazione fra soggetti istituzionali distinti in vista della realizzazione di fini condivisi, su una partecipazione più

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immediata e diretta dei cittadini e della società civile alle scelte collettive ed alla loro implementazione 4.

Tale logica non si pone in contrasto con il New Public Management, ma ne costituisce il naturale sviluppo.

In questa più ampia prospettiva, le tematiche (caratteristiche del

New Public Management) dell’autonomia fra i diversi organismi e

livelli istituzionali, della rispetto separazione fra politica e gestione, della conseguente responsabilizzazione di ogni “attore pubblico” rispetto all’economicità della propria azione e al grado di raggiungimento dei correlati obiettivi vengono rimarcate in relazione ai concetti di trasparenza dell’amministrazione pubblica e di rendicontazione dei suoi risultati, non solo nei rapporti interni alla pubblica amministrazione (fra diversi organismi, fra dirigenti e politici), ma anche in funzione di una compiuta e sistematica informazione ai cittadini. Il principio del controllo si riempie, così, di ulteriori contenuti con riferimento alla partecipazione democratica dei cittadini alle scelte della pubblica amministrazione, che si esplica, appunto, anche attraverso una puntuale e trasparente rendicontazione alla comunità civile degli obiettivi, dei contenuti e dei risultati dell’azione pubblica (accountability). Il fulcro si sposta, quindi, dal livello di singola amministrazione pubblica e di sistema di aziende e di organizzazione pubbliche a quello di governance relativo al sistema socio economico complessivo, in cui la pubblica amministrazione è responsabile delle performance di un sistema complesso di organizzazioni (Stato, mercato e società civile).

1.2 I pubblici servizi e il cambiamento del mercato: dal monopolio alla concorrenza

Tradizionalmente in molti paesi industrializzati europei, inclusa l’Italia, vi era uno stretto binomio azienda pubblica-monopolio, dove l’esercizio dell’attività produttiva avveniva ad opera di grandi aziende

4 Sulla nozione di public governance, anche in chiave trasnazionale, si vedano, su tutti, i seguenti contributi:

BORGONOVI E., Ripensare le amministrazioni pubbliche, Milano, 2004; ID., Principi e sistemi aziendali per le

amministrazioni pubbliche, Milano, 2005; CRISTOFOLI D. – TURRINI A. – VALOTTI G. (a cura di), Da burocrati a manager: una riforma a metà, Milano, 2007; DE MAGISTRIS V., La public governance in Europa, Roma,

2004; PANOZZO F., Pubblica amministrazione e competitività territoriale. Il management pubblico per la

governance locale, Milano, 2005; VALLOTTI G., Management pubblico, Milano, 2005; ZANGRANDI A., Autonomia ed economicità nelle aziende pubbliche, Milano, 1994.

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di proprietà pubblica (totale o comunque prevalente) ed il controllo della struttura del mercato era una esclusiva di queste aziende, inibendo così l’esplicarsi delle forze e dei meccanismi della concorrenza. Tale regime monopolistico ha rappresentato per un lungo periodo un percorso, pressoché obbligato per le aziende pubbliche in virtù di ragioni economiche-tecniche e politico-sociali5. Le prime legate ai vantaggi tipici delle situazioni di monopolio naturale date6: dall’esistenza di economie di scala, per cui un monopolista riesce a servire tutto il mercato a costi minori di quanto potrebbero fare due o più imprese; dal manifestarsi di economie di integrazione verticale, per cui la grande impresa presente in tutte le fasi del processo gode di vantaggi in termini di costi; dal superamento di problemi di ordine tecnico inerenti al coordinamento delle reti; nel passaggio da un operatore all’altro. Le seconde ragioni si concentrano sulla necessità di tutelare le classi meno abbienti e di garantire un equo accesso ai servizi pubblici a tutta la collettività7 . Tale indirizzo delle amministrazioni pubbliche è continuato fino agli anni ‘70 e ‘80, quando, in seguito al raggiungimento dei risultati gestionali non sempre appaganti, si cominciava ad avvertire la necessità di ristrutturare un settore che da anni registrava una situazione di disavanzo dei conti pubblici ed in cui le aziende mostravano delle difficoltà nel soddisfare i bisogni dell’utenza. Il processo di riforma del mercato dei servizi pubblici, in atto in Europa, costituisce il risultato di una serie di cambiamenti indotti, come detto, da diverse forze economiche e sociali che trovano la loro rappresentanza sia in soggetti pubblici e privati, istituzionali e non possibilmente riconducibile dall’Unione Europea, ai singoli Stati membri e alle imprese pubbliche e private operanti nel settore – sia riferimento a fenomeni quali la globalizzazione ed informatizzazione dei mercati. L’Unione Europea, specie nella sua componente rappresentata dalla Commissione, a partire dalla metà degli anni

5 Cfr. PROSPERETTI L., Monopolio, concorrenza e regolazione: i pubblici servizi in un mercato che cambia, in

Economia e politica industriale, n. 80, 1998, p.226.

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I tipici esempi di monopoli naturali erano quelli legati alla realizzazione di infrastrutture: rete ferroviaria, rete stradale ed autostradale, rete per la distribuzione dell’acqua, del gas, dell’elettricità, porti, aeroporti, ecc.

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Cfr. MELE R., Economia e gestione delle imprese di pubblici servizi: tra regolamentazione e mercato, Cedam, Padova , 2003, p. 19 ss.

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ottanta, ha emanato numerose , le cui linee guide erano orientate alla creazione di un mercato dei servizi pubblici di tipo concorrenziale, con la consapevolezza di rendere più efficiente il sistema economico nel suo complesso8. Le direttive europee sono state determinanti per la creazione di un quadro di riferimento comune, anche se era lasciata autonomia di applicazione ai singoli stati membri, producendo scenari non uniformi ma coerenti con le linee di politica industriale nazionali. Le rispettive leggi di recepimento degli stati membri hanno inciso in maniera notevole sul mutamento del settore indagato attraverso l’introduzione di modelli organizzativi che prevedono l’apertura del mercato a forme di concorrenza (liberalizzazione) e la trasformazione proprietaria degli enti di gestione e delle infrastrutture (privatizzazione). Le imprese pubbliche e private operanti nel settore dei servizi pubblici attraverso il loro adeguamento alle regolamentazioni statali, completano il quadro dei protagonisti del cambiamento del settore. Infatti, le spinte verso forme di liberalizzazione hanno determinato l’evoluzione verso strategie di espansione territoriale, sia all’interno che all’esterno degli Stati di appartenenza. L’obiettivo della liberalizzazione è quello di creare mercati dei servizi pubblici aperti e contendibili, in cui, ferma restando la responsabilità politica degli Enti rispetto alle condizioni di erogazione delle prestazioni, sia possibile alimentare una gestione di tipo imprenditoriale e la trasformazione dei cittadini da potenziali utenti, vincolati ad un unico fornitore, in potenziali clienti, liberi di scegliere nell’ambito di un’offerta concretamente pluralista. Pertanto, si può affermare, che i fenomeni indagati, in presenza di un maggior numero di produttori tale da garantire più efficacemente l’efficienza dei mercati e la tutela dell’interesse dell’utente/cliente, hanno spostato la tendenza a privilegiare un orientamento alla produzione piuttosto che al mercato stesso. La rimozione dei vincoli legali alla produzione ed alla distribuzione, però, può non essere sufficiente allo scopo. La pluralità

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Con l’approvazione del Trattato di Amsterdam è stato introdotto l’art. 16 che riconosce il carattere fondamentale dei servizi di interesse economico generale in relazione ai valori comuni dell’Unione Europea ed all’obiettivo della coesione sociale e territoriale, determinando una diversa connotazione del modello economico e sociale europeo rispetto a quello statunitense, derivante dall’esigenza che gli Stati assicurino ai loro cittadini servizi pubblici di elevata qualità e a prezzi accessibili.

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dell’offerta, infatti, rischia di essere comunque compromessa dalle condizioni di monopolio naturale che non raramente caratterizzano i mercati dei servizi pubblici. In questo secondo caso, gli obiettivi di liberalizzazione richiedono una azione congiunta su più fronti. In primo luogo, si tratta di procedere alla assegnazione della proprietà delle essential facilities a un soggetto che si obblighi a garantire l’accesso, a condizioni non discriminatorie, a chiunque sia impegnato nella erogazione dei correlati servizi. Dal lato della gestione, invece, l’azione principale deve essere volta a rimuovere, ove possibile, tutti gli impedimenti alla concorrenza nel mercato, fra più operatori che si contendono le preferenze dei clienti. In alternativa, qualora tale forma competitiva sia irrealizzabile o economicamente poco conveniente, occorre ripiegare sulla promozione di meccanismi di competizione per il mercato, fra aspiranti gestori che periodicamente si contendono l’espletamento, in regime di esclusiva, di un determinato servizio, con riferimento ad un circoscritto ambito territoriale e a un predeterminato periodo di tempo.

1.3 La “nuova” autonomia imprenditoriale della Pubblica Amministrazione: la privatizzazione “funzionale” e l’avvento di nuove soluzioni manageriali.

Una delle questioni maggiormente dibattute nel corso degli anni Novanta è stata la privatizzazione di aziende ed attività pubbliche. Essendo un fenomeno complesso difficilmente inquadrabile in uno schema teorico di riferimento, risulta non agevole, anche per la vastità della letteratura in merito, dare una spiegazione esauriente sul significato del tema. Essa, comunque, in estrema sintesi, attiene alle modalità, agli strumenti ed alle forme giuridico-istituzionali attraverso le quali procedere alla razionalizzazione dell’intervento dello Stato in economia9. Parlare di privatizzazione delle amministrazioni pubbliche in senso lato, potrebbe far incorrere nell’errore di considerare che il soggetto pubblico, nella sua veste di “pubblico interlocutore/decisore”, lasci ampio spazio d’azione ai

9 Il fenomeno della privatizzazione è spiegato da Borgonovi, riguardo ai paesi occidentali, come “una

generica riduzione dell’intervento e dello spazio decisionale dello Stato e di soggetti pubblici a favore di soggetti privati relativamente al funzionamento dell’economia e della società”. Cfr. BORGONOVI E., Voglia

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privati. Al contrario, in questo scenario i soggetti pubblici hanno a disposizione una serie di soluzioni organizzative ben più ampia e ricca rispetto al passato, che sia in grado di assicurare, accanto all’autonomia istituzionale, una nuova autonomia imprenditoriale che consenta di verificare e cogliere le migliori condizioni di mercato, non solo economicamente più vantaggiose. Il tutto per superare aree di criticità, intra e interaziendali, che coinvolgono anche soltanto segmenti che si possono prestare a modalità di integrazione con la partecipazione del privato, pur sempre in un’ottica di ottimizzazione dell’attività e del conseguente uso delle risorse. Com’è noto il termine privatizzazione può assumere diversi significati 10tra cui quello di privatizzazione funzionale, che consiste nell’utilizzo di energie e risorse del privato (tanto for profit che no profit) per l’assolvimento di compiti finali e strumentali che restano, viceversa, di competenza delle amministrazioni pubbliche nel perseguimento della loro finalità istituzionale11.

L’espressione “privatizzazione funzionale”, infatti, vuole proprio evidenziare la propensione della pubblica amministrazione a espletare i servizi pubblici mutuando gli strumenti e le logiche di gestione dalle imprese private. Tale propensione può manifestarsi, a sua volta, con intensità variabile. Da un lato, la pubblica amministrazione può conservare la gestione diretta di una data attività, orientandola però attraverso logiche economico-aziendali. Dal lato opposto, invece, può decidere di affidare l’espletamento della medesima attività a un’impresa privata, mantenendo su di essa solo una funzione di regolazione. Questa seconda alternativa, nota come esternalizzazione, pone particolarmente in risalto la vicinanza fra il principio di sussidiarietà orizzontale ed il concetto di privatizzazione, inteso quale forma di collaborazione tra intervento pubblico ed iniziativa privata nello svolgimento di servizi di

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La privatizzazione può essere: formale (trasformazione della natura giuridica e non della proprietà da pubblica a privata), sostanziale (trasferimento della proprietà dal soggetto pubblico al privato), funzionale ( trasferimento a soggetti privati di compiti di gestione, mantenendo, in capo al soggetto pubblico, il potere di indirizzo e di controllo strategico), indiretta (introduzione di logiche e principi di gestione manageriale all’interno delle amministrazioni pubbliche). Cfr. POPOLI P., I processi di Privatizzazione, a cura di Mele R.,

op. cit., Cedam, Padova, 2003, p.130.

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Sulla nozione di privatizzazione funzionale si rinvia, ex plurimis, a DOSSENA G., Le privatizzazioni delle

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particolare rilevanza economica e sociale. L’affidamento all’esterno di determinati servizi o funzioni in precedenza di competenza dell’organismo pubblico (tramite contracting out) si differenzia da altre forme di decentralizzazione cui la Pubblica Amministrazione può ricorrere12. Si sviluppano così forme negoziali che nel mondo esterno sono da tempo in uso sotto il nome di global service, project

financing, leasing operativo e nascono rapporti contrattuali che

vanno oltre il rapporto di scambio e consolidano esperienze di tipo societario e consortile. Si ricorda, a titolo esemplificativo, i contratti misti di servizi e lavori, di forniture e servizi e veri e propri rapporti di

partnership con soggetti privati volti anche a far acquisire

all’amministrazione conoscenze, esperienze e risorse finanziarie idonee a migliorare l’efficienza e la qualità del servizio. E’ in questo contesto che possono attivarsi convenzioni tra pubblico e privato per lo svolgimento in forme integrate di opere e servizi e vengono in vita società con capitale misto. Pertanto, la tendenza ad assumere e fare proprie metodologie e tecniche sviluppate nel settore privato si diffonde nel settore pubblico, mutuando e facendo proprio il patrimonio di esperienza e saperi maturato nei settori che per primi hanno dovuto affrontare il processo di cambiamento.

Il ricorso alla gestione esterna è il risultato di un’ analisi scrupolosa dell’organizzazione interna e delle sue capacità rispetto alle esigenze ed alle risorse, di uno studio approfondito dei processi produttivi e dell’individuazione del loro costo. Quando l’amministrazione si orienta verso soluzioni di outsourcing intende perseguire un recupero di efficienza per le attività che presentano un valore aggiunto contenuto e un recupero di flessibilità nella gestione dei costi. Si sostituiscono, così, strutture interne particolarmente rigide con un fornitore esterno, nell’intento di ricollegare la struttura dei costi all’impiego effettivo di un determinato fattore, il che procura proficuità anche in termini di qualità. L’amministrazione, dunque, sceglie di concentrare le proprie energie soltanto su ciò che “riesce a fare meglio”: con ciò stesso acquisisce un vantaggio in termini di

12 In dottrina si distinguono tre forme di decentralizzazione: contracting out (in cui l’interlocutore Dell’Ente

pubblico è un organismo imprenditoriale pubblico o privato); partnership (in cui si verifica un processo di cooperazione tra pubblico e privato); contracting in (l’affidamento della gestione di alcuni servizi ad altri istituti pubblici). Cfr. REBORA G., MENEGUZZO M., Strategia delle amministrazioni pubbliche, Torino, 1990.

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capacità di soddisfazione dei propri utenti e fruitori. La concentrazione delle risorse sulla missione principale che costituisce la ragione d’essere della struttura organizzativa e l’affidamento al terzo esterno di altre attività e di servizi devono risultare convenienti, anche economicamente, e possono avvenire soltanto se sono stati prevalentemente predisposti procedure di selezione e strumenti contrattuali adeguati nei quali, oltre alla dettagliata definizione del servizio affidato, siano previsti controlli a garanzia del livello qualitativo della fornitura e trasparenza sulle modalità operative.

1.4 Le diverse tipologie di esternalizzazione e di erogazione dei servizi

Quanto sin qui affermato in merito all’inquadramento generale del problema delle esternalizzazioni in ambito pubblico non deve far passare in secondo piano il fatto che procedure, vincoli, problemi e soluzioni in diversi casi possono evidenziare differenze anche molto significative in relazione ai diversi segmenti di attività che possono essere esternalizzati. Per questa ragione, occorre in limine, e prima di passare all’analisi approfondita dell’istituto negoziale dell’outsourcing, offrire una seppure generalissima catalogazione delle diverse possibili esternalizzazioni in relazione alla natura dell’attività esternalizzata, che tenga conto delle specificità dei compiti delle pubbliche amministrazioni, che sono erogatori di servizi pubblici, ma anche enti di governo di un territorio e dei soggetti, pubblici e privati, che in esso agiscono. Se per l’impresa privata l’esito finale dell’attività di esternalizzazione è valutato dalla risposta del mercato, e si traduce in maggiore o minore redditività per il capitale di rischio, o mantenimento e miglioramento della posizione competitiva, gli effetti dell’esternalizzazione nei soggetti pubblici possono essere sostanzialmente diversi in relazione alla natura dell’attività cedute all’esterno. Da un lato, infatti, essa impatta sulla qualità dei servizi erogati; dall’altro, può influenzare la capacità di continuare a esercitare la propria missione di governo. A differenza delle imprese private, che erogano servizi, le pubbliche amministrazioni sono chiamate infatti a esercitare un ruolo nel quale convivono queste due “anime”; ciò porta alla necessità di verificare,

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in corrispondenza dell’avvio di un’esternalizzazione, come questa decisione impatti su entrambe (Vetritto 2004). Diventa, per questo, cruciale una differente valutazione dell’effetto dell’esternalizzazione sull’efficienza ed efficacia dell’azione pubblica a seconda della natura dell’attività esternalizzata. È di tutta evidenza, infatti, che dalla scelta di esternalizzare un’attività che sia manifestazione di potestà pubblica (ossia di una funzione amministrativa) discendano problemi ben differenti (quanto al peso dei vincoli, alla ampiezza delle problematiche e delle implicazioni) rispetto al caso in cui la scelta ricada su una attività di prestazione a carattere “industriale” (ossia di un servizio pubblico), come anche a quello in cui si esternalizzi una attività a carattere di autoamministrazione. In ognuno di questi casi, vanno analizzati accuratamente i diversi aspetti della gestione, operativa e strategica, che conseguono alla decisione. A questi fini, assume particolare importanza la distinzione fra esternalizzazioni di funzioni ed esternalizzazione di servizi pubblici, in particolare per la diversità dei vincoli giuridici derivanti, ma anche quella tra servizi destinati ai cittadini e servizi destinati a garantire il funzionamento dell’amministrazione. A quest’ultimo proposito, infatti, nel primo caso, relativo ai servizi finali, la funzione oggetto di esternalizzazione coincide con l’erogazione di un servizio agli utenti, o clienti, dell’amministrazione. In questo caso il fornitore si sostituisce all’ente pubblico nel rapporto diretto con il pubblico, assumendo la gestione del servizio erogato. Il primo effetto dell’esternalizzazione è per questo la separazione dei ruoli di gestore e controllore del servizio, che precedentemente facevano capo, in modo indistinto, all’ente pubblico. In questo modo, la responsabilità dell’erogazione del servizio viene ridistribuita fra i due soggetti. L’esito che si vuole raggiungere coincide in primo luogo con il rafforzamento della capacità di controllo strategico da parte dell’amministrazione. È, infatti, ampiamente condivisa l’opinione di come la coincidenza nello stesso soggetto dei due ruoli (controllato e controllore) possa portare a una diminuzione della capacità di gestione del servizio erogato. Se la finalità è, dunque, potenziare la responsabilità politica e il potere di indirizzo dell’amministrazione pubblica, la scelta di esternalizzare deve essere accompagnata dalla creazione di un sistema di strumenti

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che ne supportino e guidino l’implementazione. Si fa riferimento, qui, alla necessità di introdurre meccanismi di controllo, di definire un sistema di incentivi, vincoli e strumenti correttivi: in breve, alla necessità di definire il rapporto contrattuale che legherà amministrazione pubblica, come buyer, e soggetto esterno, provider del servizio. Assume, in questo quadro, grande importanza la possibilità di sviluppare, all’interno dell’amministrazione pubblica, le competenze in grado di gestire in un’ottica strategica, e non solo formale, il rapporto con il fornitore. La capacità di implementare un sistema contrattuale di controllo si combina per questo con la capacità di attuare una reale cooperazione con soggetti esterni, in particolar modo combinando gli interessi del soggetto che assume l’incarico con gli interessi dell’amministrazione, non sempre coincidenti. Le criticità di questa tipologia di esternalizzazione sono per questo riconducibili a più aspetti, formali e sostanziali, del rapporto rappresentati dalla capacità di definire il rapporto contrattuale; dalla possibilità di costruire un sistema di clausole e vincoli, come di implementare un sistema di monitoraggio e controllo; dalla competenza dell’amministrazione nella valutazione strategica dei risultati conseguiti. A questi si aggiungono le criticità legate all’esistenza di un mercato dei fornitori in grado di soddisfare le esigenze dell’amministrazione. È questo, a ben vedere, il prerequisito fondamentale da verificare prima dell’avvio dell’esternalizzazione. L’esternalizzazione di un servizio finale all’utenza impone, dunque, una riflessione attenta sulle conseguenze strategiche e gestionali della scelta, in considerazione dell’impatto che essa ha sulla qualità e tipologia del servizio pubblico erogato, come delle implicazioni gestionali che ne conseguono, e che possono presentarsi, a loro volta, in un ventaglio di possibili casi. Si pensi ai diversi casi dei beni collettivi e dei beni privati. I primi sono caratterizzati dalla “non rivalità” del consumo, e non escludibilità dei benefici. In quanto tali, possono essere utilizzati contestualmente da più individui, senza che il consumo da parte di una persona ne precluda la fruizione da parte di altri. I secondi possono, invece, essere consumati solo individualmente: è possibile, in questo caso, escludere un individuo dal consumo. A seconda che il servizio o

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l’attività oggetto di esternalizzazione rientri in una delle due tipologie, diverso sarà l’impatto, soprattutto in termini di valutazione economica, sulla regolamentazione dei rapporti fra amministrazione pubblica e soggetti incaricati dell’erogazione e vendita dei servizi agli utenti. A loro volta diverse sono le implicazioni dell’esternalizzazione di servizi intermedi, strumentali o di supporto. Questa casistica, rispetto a quella appena descritta, porta potenzialmente con sè criticità qualitativamente diverse, ma forse perfino maggiori, in quanto l’esternalizzazione si inserisce in un percorso complesso, e si integra con lo schema di funzionamento dell’amministrazione. Una breve schematizzazione del sistema di erogazione di un servizio può aiutare a comprendere quale possa essere l’impatto di questa scelta. Nella descrizione di un sistema di erogazione di un servizio è possibile distinguere fra servizi centrali e periferici. I primi costituiscono l’oggetto principale della prestazione; i secondi, distinguibili in fondamentali o accessori, ne rendono possibile la produzione, aumentandone al tempo stesso il valore aggiunto.

I servizi periferici fondamentali coincidono per questo con tutte le attività che sono indispensabili all’erogazione del servizio centrale; i servizi periferici accessori sono invece riconducibili a tutte le attività che, non indispensabili, contribuiscono a differenziare il servizio, aumentandone la capacità di risposta a un bisogno. I servizi centrali coincidono con le linee di attività su cui si basa l’esistenza stessa dell’impresa, sia essa pubblica o privata: nel caso della pubblica amministrazione, è coerente far coincidere i servizi centrali con i servizi finali offerti agli utenti. Sono, insomma, i servizi in cui è possibile riconoscere la “missione” dell’ente pubblico. Esternalizzare servizi intermedi coincide, in questo quadro, con l’individuazione dei soggetti che saranno in grado di supportare al meglio lo svolgimento delle funzioni istituzionali proprie dell’ente pubblico. L’esternalizzazione di servizi intermedi impone quindi una riflessione sulle implicazioni non solo operative, ma anche strategiche, della scelta che viene effettuata. Si tratta, in questo caso, di comprendere quale sarà l’effetto sulla capacità dell’amministrazione di erogare prestazioni e servizi. La scelta di esternalizzare servizi strumentali fondamentali intacca, insomma, la sfera più vicina al core business

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dell’amministrazione, portando con sé il rischio di forti ripercussioni sulla capacità di perseguire le finalità istituzionali. È per questo che le ragioni alla base della scelta di esternalizzare, soprattutto nel caso di attività e servizi intermedi, devono essere soggette a una attenta valutazione. Lo stretto legame che si instaura fra amministrazione e fornitore porta con sé in primo luogo implicazioni gestionali o contrattuali, riproponendo le problematiche affrontate nel caso dell’esternalizzazione di servizi finali. Cresce, al tempo stesso, l’esigenza di coordinamento fra l’attività svolta internamente ed esternamente, proprio perché le due devono essere integrate. Per questo, diventa ancora più rilevante la necessità di rendere partecipe tutta la struttura amministrativa delle finalità e della forma che assumerà il progetto: ciò sarà ancora più importante nel caso in cui si verificheranno integrazioni o trasferimenti di tecnologie, strumentazioni o personale fra le due imprese. Nel caso del ricorso a soggetti terzi per la fornitura di servizi intermedi, l’individuazione della rilevanza strategica delle funzioni oggetto di esternalizzazione può aiutare a comprendere quali saranno gli effetti, le criticità, le problematiche che dovranno essere affrontate. Ciò sarà rilevante per comprendere il tipo di dipendenza che si creerà fra i due soggetti; le competenze interne che dovranno essere sviluppate; l’effetto che si riverserà su efficienza ed efficacia; i requisiti necessari per pianificare l’attività; l’effetto sull’organizzazione interna. È per questo fondamentale distinguere le funzioni che supportano, in modo periferico, l’attività dell’ente pubblico, da quelle che ne caratterizzano fortemente l’azione. Questa notazione appare tanto più rilevante in considerazione della possibilità di riportare all’interno dell’amministrazione, in un futuro, le funzioni esternalizzate, come della opportunità di utilizzare questo strumento per far crescere, nel lungo periodo, le competenze e la capacità di intervento dell’amministrazione pubblica, attraverso la riorganizzazione e la focalizzazione sulle proprie capacità critiche.

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Capitolo II

I servizi pubblici esternalizzati: il contratto di “outsourcing”

2.1 La nozione di servizio pubblico tra teoria soggettiva ed oggettiva

L’ordinamento giuridico non dà una definizione univoca e chiara di servizio pubblico; ciò ha determinato l’elaborazione di diverse tesi dottrinali in materia, tra le quali meritano di essere riportate la teoria soggettiva e quella oggettiva i servizio pubblico.

La teoria soggettiva13, sviluppata agli inizi del XX secolo in corrispondenza dei processi di nazionalizzazione e municipalizzazione dei servizi pubblici, focalizza l’attenzione sull’aspetto soggettivo dell’imputazione del servizio all’amministrazione. Essa prevede che elemento qualificante della nozione di servizio pubblico sia l’assunzione e la gestione, da parte di un pubblico potere, di una determinata attività. Pertanto, secondo questa corrente di pensiero, per servizio pubblico va inteso l’esercizio da parte di un soggetto pubblico – in modo diretto o attraverso articolazioni (quali le aziende autonome o mediante affidamento in concessione) - di un’attività imprenditoriale offerta in modo indifferenziato al pubblico. Tale impostazione ha subito prestato il fianco a numerose critiche. A contraddire la nozione soggettiva ci sono, da un lato, le attività d’impresa che l’amministrazione pone in essere nei settori più vari ma che spesso non hanno alcuna connessione con le finalità proprie dei pubblici servizi, e, dall’altro, le attività che hanno caratteristiche materiali perfettamente simili ai servizi pubblici ma che sono gestite dai privati e non da un’amministrazione.

La teoria oggettiva14 (NOTA ANTONIO pg. 22). All’impostazione originaria si è venuta quindi a contrapporre una ricostruzione oggettiva della nozione di pubblico servizio con l’intento di qualificare un’attività in base alla sua rispondenza alla pubblica utilità ed al pubblico interesse, e al controllo direttivo di un soggetto pubblico, a prescindere dal soggetto al quale è istituzionalmente collegata. In questo senso sembra potersi individuare nel pubblico servizio

13

Tra i principali sostenitori della teoria soggettiva si possono ricordare i seguenti autori: CAIA G., La

disciplina dei servizi pubblici, in Aa. Vv., Diritto amministrativo, Bologna, 1998, p. 927 ss.; DE VALLES A., I servizi pubblici, in Aa. Vv., Primo trattato di diritto amministrativo italiano, VI, Milano, 1924, p. 6 ss.;

MERUSI F., Servizi pubblici, in Noviss. Dig. It., XVIII, Torino, 1970, p. 218 ss.

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l’attività che si riferisce ai fini assunti dallo Stato e dagli enti locali territoriali come propri, in quanto rispondenti a esigenze di pubblica utilità. Secondo l’interpretazione più accreditata, tale concezione sembra trovare conferma anche nella Carta costituzionale, che ha chiarito come esistano attività qualificabili oggettivamente come servizi pubblici essenziali e che proprio in ragione della loro natura possono essere riservate o trasferite allo Stato o ad enti pubblici. Dal combinato disposto degli artt. 41 e 43 della Costituzione emergerebbe poi che per servizio pubblico deve intendersi, indipendentemente dal soggetto che la pone in essere, ogni attività economica, pubblica o privata, sottoposta ai programmi e ai controlli ritenuti dalla legge opportuni per indirizzarla e coordinarla a fini sociali. Ciò che è rilevante è dunque l’attività e la sua attitudine a soddisfare un interesse di carattere generale, indipendentemente dalla natura, pubblica o privata, del soggetto titolare della stessa15. Tuttavia, anche la teoria oggettiva non è esente da critiche, sia per la sua eccessiva ampiezza sia per la sua ambiguità. Infatti, l’indeterminatezza delle fattispecie che possono essere ricomprese nella definizione finiscono per ricondurre nella nozione del pubblico servizio situazioni non omogenee, riducendo l’ utilità e la giuridicità della categoria stessa. In una nuova prospettiva l’aspetto soggettivo è stato individuato non tanto nel momento della gestione, che come detto può essere affidata ai soggetti privati, quanto nel dato finalistico che caratterizza i servizi pubblici. Secondo questa impostazione, la nozione soggettiva risulta inadeguata se intesa nel senso tradizionale con riferimento alla gestione, mentre diviene attuale se si ricomprende l’ assunzione del servizio tra i compiti dell’ente pubblico. In tale ottica, il servizio pubblico viene pertanto definito come attività che l’ente assume e considera propria nell’ambito dei compiti istituzionali, perché connessa all’esigenza di benessere e sviluppo della collettività, potendo, nel successivo momento della gestione, essere svolta da un soggetto terzo sulla base di un apposito titolo giuridico di conferimento da parte dell’amministrazione.

15

Tale impostazione ha trovato conferma nella giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass., Sez. V, 6 giugno 1991; Cass., Sez. Un. , 24 luglio 1989).

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In conclusione, questa ricostruzione ritiene che il rilievo soggettivo del servizio pubblico non derivi dalla natura del gestore, ma dalla necessaria concorrenza, non in alternativa, delle seguenti circostanze: imputabilità o titolarità del servizio all’amministrazione pubblica che ha istituito il servizio o alla quale lo stesso è stato assegnato dal legislatore, finalità alle quali il servizio risponde perché è riferito alle esigenze della collettività e presenza di un determinato tipo di organizzazione del servizio mirata ad assicurare determinate modalità di gestione 16.

2.2 L’operazione economica di outsourcing ed i suoi caratteri essenziali

Premessi i brevi cenni storici ed economici sulla nozione di servizio pubblico, occorre ora delineare i tratti comuni dell’outsourcing, ben consci del fatto che, in assenza di una tipizzazione legislativa, la varietà delle fattispecie riscontrabili nella prassi preclude all’interprete la possibilità di una reductio ad unitatem del fenomeno. Tanto premesso, va detto che il termine inglese “outsourcing”, composto dalla preposizione semplice “out” e dal principio presente del verbo “to source”, tradotto in italiano significa “reperire la fonte di approvvigionamento delle risorse all’esterno”. In questi termini descrittivi si è, peraltro, di recente, anche espressa la giurisprudenza della Cassazione17 . Questa traduzione trova conferma nel significato che nella prassi del commercio ha assunto questo vocabolo ormai di uso corrente. Esso indica la tendenza degli imprenditori a trasferire all’esterno (o “esternalizzare” o “terzializzare”, utilizzando i termini più diffusi tra gli operatori del settore), affidando in modo stabile a soggetti terzi, lo svolgimento di specifiche funzioni, attività o processi aziendali, o parti di essi, anche strategici o critici, e la piena responsabilità della loro corretta esecuzione sulla base di obiettivi di qualità concordati. In linea con questa definizione la teoria

16

In generale, per un’attenta ricostruzione delle diverse posizioni espresse in tema, si rinvia a PERFETTI L.R.,

Contributo ad una teoria dei pubblici servizi, Padova, 2001.

17 Cass. 2.10.2006, n. 21287, in Guida dir., 2006, 42, p.52; per alcune definizioni fornite dalla giurisprudenza

italiana cfr. Cass., sez. lavoro, 14 dicembre 2002, n. 17919, in Foro it. Rep., 2002; Cass., sez. lavoro, 4 dicembre 2002, n. 17207, in Foro it. 2003, I, p. 103; Cass., sez. lav., 25 ottobre 2002, n. 15105, in Foro it., 2003, I, p.104.

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economica utilizza questo termine per indicare il processo di disintegrazione verticale della c.d. catena di creazione del valore di una data impresa i cui fornitori esterni assumono il controllo della gestione di uno o più anelli o fasi di cui questa si compone, in precedenza svolti internamente all’organizzazione dell’impresa stessa. Qualora la delega all’esterno della gestione delle funzioni delle attività o dei processi aziendali sia attribuita a un soggetto che opera in un paese diverso da quello del delegante è frequente riscontrare l’utilizzo del termine inglese “offshoring” (con la variante “nearshoring” qualora il paese estero sia limitrofo a quello in cui risiede l’impresa di quest’ultimo) e di quelli italiani “delocalizzazione” e decentramento”.

Illustrata la definizione del termine “outsourcing” e rappresentato, da un punto di vista della teoria economica, come è nato e si è sviluppato l’omonimo fenomeno, si utilizza: il termine “outsourcee” per definire l’azienda che esternalizza o, meglio, l’imprenditore che delega all’esterno della propria organizzazione d’impresa una o più funzioni, attività o processi aziendali ed il termine “outsourcer” (o “provider”, “vendor” o “supplier”) per indicare l’impresa esterna erogatrice di servizio, meglio, il soggetto che prende in carico la loro gestione, volta alla realizzazione di economie di costo, allo sviluppo di professionalità e al miglioramento del livello qualitativo dei servizi. Nel settore pubblico questa espressione è talora impropriamente utilizzata quando, invece, ci si trova di fronte ad un appalto di servizi. Inoltre, non sempre accade che il beneficiario delle prestazioni eseguite dall’outsourcer sia l’outsourcee potendo essere anche un soggetto diverso da quest’ultimo (per esempio, suoi clienti o dipendenti). Ciò è frequente nel caso in cui a delegare all’esterno funzioni aziendali sia la pubblica amministrazione e i soggetti beneficiari dei servizi erogati dall’outsourcer siano i cittadini18.

18 Sul ricorso alla prassi dell’esternalizzazione da parte della pubblica amministrazione e sulle complesse

questioni giuridiche che comporta, per ragioni di sinteticità, si rinvia il lettore ai lavori di TRIMARCHI F.,

Sistemi gestionali e forme contrattuali dell’outsourcing nella pubblica amministrazione – Prime riflessioni, in Dir. ed econ., 2002, p. 1 ss.; PINTUS E., La creazione di valore nelle relazioni impresa – P.A. Le scelte di gestione per il governo del contratto, Milano, 2002; MASSARI A., La strategia dell’outsourcing dal settore privato a quello pubblico: introduzione al facility management ed al global service, in Comune Italia, 2002, p.

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Quanto ai soggetti dell’outsourcing, bisogna tenere presente che le amministrazioni pubbliche hanno tradizionalmente svolto le loro produzioni di servizi finali:

a) in modo diretto, assegnando una porzione delle risorse materiali ed umane già disponibili nell’ambito dell’amministrazione;

b) in modo indiretto, cioè tramite la costituzione, ex novo, di un’azienda distinta dall’ente pubblico assegnando alla stessa specificamente la funzione economica primaria di realizzare determinate produzioni.

La prima delle ipotesi considerate, generalmente denominata

gestione in economia, è una soluzione idonea allo svolgimento di

processi produttivi molto semplificati che non richiedono particolari professionalità e/o ingenti investimenti, privi di significative autonomie, ed i cui risultati patrimoniali, finanziari ed economici si confondono con quelli della gestione complessiva delle amministrazioni pubbliche. Nel secondo caso, invece, si viene a costituire una diversa unità economica (azienda speciale, società di capitali, consorzio, istituzione, fondazione, ecc.), con soggetto giuridico pubblico o – più spesso – privato, dotata di autonomia dagli organi dell’ente, in misura più o meno ampia a seconda della veste giuridica prescelta, con proprio personale, conti annuali distinti da quelli dell’ente e, quindi, separate risultanze patrimoniali, finanziarie ed economiche. L’outsourcing dovrebbe comportare una relazione molto intensa tra committente e fornitore tanto da poter parlare di una partnership strategica. Tradizionalmente, il rapporto tra i due soggetti contraenti è sempre stato visto come conflittuale, basato sull’antagonismo delle due parti che pensano prioritariamente alla massimizzazione del loro interesse particolare (privato). Tuttavia, la teoria economica ha messo da tempo bene in luce che nel contratto sono evidenti anche altri due principi, quello di mutualità (è interesse comune firmare il contratto in quanto tutti coloro che firmano ritengono comunque di trarre un beneficio privato) e di ordine (in quanto siglato il contratto rende compatibile gli interessi privati delle parti, favorendo un equilibrio tra le parti cioè creando ordine). Pertanto, la deverticalizzazione produttiva che porta l’outsourcing permette la prevalenza di relazioni di partnership basate su scambi

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durevoli non soltanto di merci contro denaro, ma anche di una serie di attività specifiche come lo sviluppo, la progettazione ed il controllo della qualità che il cliente ed il fornitore gestiscono attraverso dei contratti specifici. L’ esternalizzazione di una qualsiasi funzione, attività o processo aziendale può essere realizzata con strutture assai diverse in funzione degli obiettivi che si intendono perseguire: dalla semplice erogazione di uno o più servizi (qualora l’obiettivo principale sia quello di realizzare semplicemente un vantaggio occasionale in termini di costi) alla realizzazione di complessi accordi di natura associativa tra i soggetti coinvolti (qualora si intenda raggiungere obiettivi qualitativi complessi)19. Gli elementi comuni sono: l’affidamento, da parte di un soggetto, della predetta funzione, attività o processo aziendale a un altro e l’erogazione da parte di quest’ultimo delle prestazioni necessarie alla sua gestione. L’impossibilità di ricondurre queste soluzioni a un unico schema astratto e l’inidoneità di qualsiasi categoria contrattuale tipica, singolarmente considerata, a esprimere nella loro totalità la pluralità degli interessi dell’outsourcer e dell’outsourcee impongono di ritenere che, nell’ipotesi in questione, ricorra un’operazione negoziale complessa o, meglio, “un’operazione economica”, quale vera e propria categoria giuridica dotata di propria autonomia, sovraordinata alla qualificazione dei singoli tipi negoziali di cui si compone, tesa a regolamentare tra le parti una tecnica di gestione imprenditoriale, ove variamente si combinano, talvolta, ma non necessariamente, in un unico documento, diversi tipi contrattuali e prestazioni proprie di più tipi negoziali, a seconda delle concrete esigenze delle parti20. Il ricorso ad essa ha l’obiettivo di cogliere l’assetto globale di interessi che determina l’agire dei predetti

19 Cfr. CANTONE L., Outsourcing e strategie di creazione del valore, p. 55 ss. 20

Sulla nozione di operazione economica complessa si rinvia, ex plurimis, ai seguenti contributi: D’ANGELO A.,

Contratto e operazione economica, Torino, 1992, p. 11 ss.; GABRIELLI E., Il contratto e le sue classificazioni,

in Riv. dir. civ., 1997, I, p. 719-720; ID., Il contratto e l’operazione economica, in www.judicium.it;ID,Il “contratto frazionato” e l’unità dell’operazione economica, in Giust. civ., 2008, I, p. 738 ss.;FERRANDO G.,

Credito al consumo: operazione economica unitaria e pluralità di contratti, in Riv. dir. comm., 1991, II, p. 591

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soggetti in relazione al risultato sostanziale che perseguono21. Pertanto, si devono necessariamente distinguere :

- l’operazione economica di outsourcing, intesa come schema unificante della sequenza composita di negozi giuridici che, pur caratterizzandosi ciascuno in funzione della propria causa e conservando l’individualità propria di ciascun tipo negoziale, alla cui disciplina rimangono rispettivamente sottoposti, vengono tuttavia concepiti e voluti, attraverso lo strumento del collegamento negoziale, come funzionalmente collegati e volti a realizzare questa esternalizzazione; preposti, così, nel loro insieme al raggiungimento di un risultato complessivo, globale ed inscindibile che, dunque, trascende le finalità proprie di ciascun contratto che compone la fattispecie negoziale complessa;

- il singolo a mezzo del quale vengono erogati i servizi necessari alla gestione della funzione, dell’attività o del processo esternalizzato.

Il contratto di outsourcing è solitamente caratterizzato dalla previsione di termini pluriennali e riguarda una vasta gamma di prestazioni che il fornitore deve eseguire a favore dell’outsourcee: la definizione dell’oggetto dell’accordo viene di regola ripartita tra il corpo del contratto stesso e gli allegati tecnici. Nel primo sono individuate le categorie generali delle obbligazioni del fornitore, nei secondi la descrizione tecnica della varie attività, delle risorse e delle procedure22.

Il contenuto essenziale del contratto è costituito dall’oggetto, dagli

standard qualitativi dei servizi, dal costo di ciascuno di essi, ossia dal

corrispettivo per il fornitore, dalla durata e dal termine di preavviso per la disdetta che dovrà tenere conto sia della difficoltà che il committente potrà incontrare nel reperire un nuovo fornitore sia delle esigenze di remuneratività del fornitore. Il fenomeno

21

Sul concetto di operazione economica la letteratura è estremamente vasta. Si segnalano i lavori di PALERMO G., Funzione illecita e autonomia privata, Milano, 1970; SCOGNAMIGLIO C., Interpretazione del

contratto e interessi dei contraenti, Padova, 1992; GABRIELLI E., I contratti in generale, in Rescigno P. –

Gabrielli E., Trattato dei contratti, I, Torino, 1999, p. 719; COSTANZA M., Profili dell’interpretazione del

contratto secondo buona fede, Milano, 1989.

22

Cfr. MAZZONI C., La gestione in outsourcing dei servizi no-core, in Teme, 10/2000; ROSSOTTO R.,

Outsourcing: profili societari e contrattuali, in Atti del convegno: gestione mista dei servizi, pubblico, privato profit e no profit, Roma, 2000.

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dell’esternalizzazione è di vastissima portata: ed infatti, esso non solo comprende attività imprenditoriali volte alla realizzazione di beni o parti di essi, ma soprattutto, in ragione dello sviluppo preponderante nelle economie produttive del settore terziario, si rivolge allo sconfinato mercato dei servizi23. Inoltre, il fenomeno non è legato solo ad alcuni particolari settori dell’attività aziendale eminentemente esercitata da privati ma, sempre più spesso, è divenuto un modello gestionale e di scelta strategica anche negli enti locali. E’ quanto accade laddove essi scelgono di affidare la gestione di una serie di servizi a società a capitale interamente pubblico, senza ricorrere alle procedure di gara (cd. affidamento “in house”), esercitando, però, sull’affidatario un controllo analogo a quello esercitato sui servizi erogati direttamente dalla P.A. La dottrina insegna che non tutte le attività dell’impresa sono esternalizzabili24; in generale, si deve ritenere che vada circoscritto il ricorso all’esternalizzazione alle sole funzioni aziendali operative, benchè rilevanti, e non alle funzioni propriamente imprenditoriali, cioè attinenti alla direzione e supervisione dell’attività d’impresa (core

competences)25. Oggetto dell’attività delegata all’esterno possono essere prestazioni di varia natura, consistenti in un facere o in un dare, in conseguenza della funzione aziendale oggetto dell’esternalizzazione; prestazioni che, pertanto, possono inquadrarsi, a seconda dei casi, in quelle proprie dei contratti di appalto, d’opera o di consulenza, di somministrazione, di vendite etc. Dette prestazioni, peraltro, sono, per lo più, tra loro variamente e necessariamente combinate ed interdipendenti anche al fine del raggiungimento degli obiettivi di qualità definiti dalle parti contraenti. In particolare, oggetto dell’accordo può essere:

23 Per una ricognizione dei vari settori ove è più diffuso il ricorso all’outsourcing cfr., GIOIA G., Outsourcing:

nuove tecniche di gestione aziendale e rapporti contrattuali, in Corriere giur., n. 7, 1999, p. 899 ss.;

ROSBOCH A., Outsourcing (Diritto privato), in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., agg., III, Torino, p. 995 ss., ma si veda, anche, per una serie di riferimenti, Aa.Vv., I contratti di somministrazione di servizi, a cura di R. Bocchini, Torino, 2006.

24

Si distinguono aree aziendali core e no core e, nell’ottica della lean organization (dall’inglese letteralmente “organizzazione snella”), tutto ciò che non è core business si ritiene possa essere esternalizzato.

25

Cfr. Cass. 2.10.2006, n. 21287, cit., ove si legge: “Nell’ambito del fenomeno dell’outsourcing possono

comprendersi tutte le tecniche attraverso le quali l’azienda dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell’attività produttiva non legata al core business”.

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