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Studio sulla prevalenza della Leptospirosi nei cani e nei roditori della Sardegna

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

Scuola di Specializzazione

in Sanità Animale, Allevamento e Produzioni Zootecniche

Studio sulla prevalenza

della Leptospirosi

nei cani e nei roditori della Sardegna

Candidata

Dott.ssa Angela Piras

Relatore

Prof. Domenico Cerri Correlatore

Dott.ssa Maria Nicoletta Ponti

(2)

A mia madre,

per il costante sostegno

durante questo

impegnativo percorso.

A mio marito,

per aver camminato

sempre al mio fianco.

(3)

INDICE

INTRODUZIONE ...1 1. EZIOLOGIA ...3 1.1 Generalità...3 1.2 Classificazione ...5 2. EPIDEMIOLOGIA ...9 3. PATOGENESI ... 12

4. RILIEVI CLINICI E ANATOMOPATOLOGICI ... 14

4.1 Sindrome Ittero-emorragica acuta (Weil Canino)... 14

4.2 Malattia di Stoccarda ... 16 5. DIAGNOSI DI LABORATORIO ... 19 5.1 Metodi diretti ... 21 5.2 Metodi indiretti ... 22 6. NORMATIVA ... 23 7. MATERIALI E METODI ... 25 7.1 Animali ... 25 7.2 Esami di Laboratorio ... 28 8 RISULTATI ... 34 9. DISCUSSIONE... 44 BIBLIOGRAFIA ... 47

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INTRODUZIONE

La Leptospirosi è una malattia infettiva ad eziologia batterica segnalata in oltre 150 specie di mammiferi; può colpire l’uomo, gli animali domestici e i selvatici (1). Recentemente è stato accertato che le Leptospire patogene sono in grado di infettare anche volatili, rettili, anfibi(2).

È una zoonosi cosmopolita, considerata una malattia emergente o riemergente e l’attenzione per essa è dovuta ai numerosi focolai che hanno interessato negli ultimi anni diversi Paesi dell’America Latina, dell’Asia e degli Stati Uniti. In un recente rapporto dell’OIE (Office International des Epizooties) la Leptospirosi è stata inserita tra le sei malattie infettive di particolare preoccupazione per l’Europa; inoltre l’ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control) la include tra le malattie trasmesse da vettori, in particolare artropodi (2) (3). I cambiamenti climatici determinano alterazioni dell’ambiente sia per il microrganismo agente di infezione, sia per l’ospite responsabile della sua diffusione.

Conosciuta in Cina fin da tempi antichissimi come malattia professionale dei coltivatori di riso, si pensa che essa sia stata introdotta in Europa nel XVIII° secolo con l’invasione dei ratti provenienti dall’Asia. Nel nostro Continente il primo caso di “febbre gialla” (fièvre jaun) fu descritto nel 1798 dal Barone Dominique Jean Larrey, chirurgo dell’esercito napoleonico. Nel 1887 Adolf Weil descrisse il quadro clinico della forma itterica, poi denominata malattia di Weil. Nel 1917 ricercatori giapponesi identificarono l’agente responsabile dell’infezione, indicandone le modalità di trasmissione e il quadro clinico e diagnostico; nello stesso anno venne registrato il primo caso di Leptospirosi umana in Italia (4).

La Leptospirosi è una malattia insidiosa che può presentarsi con quadri clinici che variano da forme asintomatiche o paucisintomatiche a quelle più gravi, per la cui guarigione sono essenziali una diagnosi tempestiva ed un trattamento adeguato.

L’agente eziologico, dotato di scarsissima resistenza nell’ambiente esterno, si mantiene in natura a causa della localizzazione a livello dei tubuli renali degli animali serbatoio nei quali la Leptospirosi è endemica e specie-specifica per ogni sierovariante.

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L’infezione si contrae attraverso il contatto diretto o indiretto di mucose o di cute con urine, feci o annessi fetali di animali infetti, soprattutto roditori. La diffusione della patologia è fortemente condizionata da fattori ambientali, quali: presenza di zone umide e acquitrinose, impiego di letame come fertilizzante, inquinamento organico dei corsi d’acqua, presenza di insediamenti zootecnici e scarsa igiene ambientale.

Le aree a maggiore incidenza sono rappresentate dalle zone tropicali e subtropicali, dove spesso la malattia è endemica e presenta recrudescenza durante la stagione delle piogge o in occasione di alluvioni e terremoti. Nelle regioni temperate ha andamento per lo più stagionale con un picco di incidenza durante l’estate.

La Leptospirosi è stata a lungo considerata una patologia correlata con le professioni che comportano un contatto prolungato con le acque superficiali, con animali, con rifiuti alimentari o con prodotti di origine animale contaminati. Dall’anamnesi di molti soggetti colpiti, in particolare nel mondo occidentale, risulta tuttavia che possono essere causa di contagio anche alcune attività ricreative o sportive acquatiche (nuoto in acque dolci, canoa, rafting, escursionismo, pesca, caccia) (5).

L’uomo, quindi, si configura come ospite accidentale; i quadri clinici più frequenti sono caratterizzati da epatiti e/o nefriti, meno frequenti meningiti. A causa della sintomatologia poco specifica e delle difficoltà diagnostiche, la patologia è sottostimata, pertanto i dati epidemiologici attualmente a disposizione sono scarsi ed estremamente frammentari tanto in campo umano quanto in quello animale.

Considerato il ruolo che il cane svolge nella vita quotidiana dell’uomo, sia a livello affettivo (cane da compagnia, da assistenza) che di collaborazione (cane da caccia, da guardia, da pastore) abbiamo ritenuto opportuno svolgere una indagine sieroepidemiologica per valutare l’entità della diffusione dell’infezione su un campione rappresentativo di cani. Parallelamente alla valutazione sulla popolazione canina si è portato avanti uno studio conoscitivo sui roditori, ritenuti la principale fonte di contagio. La convivenza uomo-cane e la presenza dei roditori negli stessi ambienti potrebbe rappresentare un problema di sanità pubblica da non sottovalutare.

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1. EZIOLOGIA 1.1 Generalità

La Leptospira (dal greco λεπτος sottile e dal latino spira spirale) è un microrganismo appartenente all’ordine delle Spirochaetales, famiglia Leptospiraceae, genere Leptospira. È classificata come una spirocheta gram-negativa, asporigena e si moltiplica per scissione binaria. Ha un corpo esile e filamentoso ed è visibile al microscopio in campo oscuro e/o a quello a contrasto di fase, ma non al microscopio ottico a luce ordinaria (6).

Il batterio è provvisto di flagelli periplasmatici altamente mobili che gli permettono movimenti di rotazione attorno al proprio asse, di flessione e di traslazione (7). Sono organismi elicoidali con una lunghezza che varia da 6 a 20 μm e un diametro di circa 0,1 μm (8); hanno estremità appuntite, una (o entrambe) è generalmente piegata a formare un caratteristico uncino. Il genoma delle Leptospire si distingue da quello degli altri batteri per la presenza di due cromosomi circolari di circa 3,9- 4,6 Mbp, a seconda del ceppo e delle specie, e per l’assenza di plasmidi.

Le Leptospire sono dotate di un rivestimento costituito da uno strato superficiale e da una membrana esterna; al di sotto di queste strutture si trova uno strato di peptidoglicano e una membrana citoplasmatica molto esile che avvolge un cilindro protoplasmatico contenente citoplasma e nucleo.

La membrana esterna contiene diverse lipoproteine e proteine transmembrana, la sua composizione proteica differisce quando si confrontano ceppi di Leptospira cresciuti in un mezzo artificiale con ceppi di Leptospira isolati da un animale infetto. Diverse proteine della membrana esterna hanno mostrato la proprietà di legarsi alla matrice extracellulare dell’ospite e al fattore H. Queste ultime potrebbero giocare un ruolo importante nell’adesione della Leptospira ai tessuti dell’ospite e nella resistenza al complemento. La membrana esterna della Leptospira, analogamente a quella dei batteri gram-negativi, contiene lipopolisaccaridi (LPS). Le differenze nella struttura immunogenica degli LPS spiegano la presenza di numerosi sierotipi di Leptospira, di conseguenza l’immunità è sierotipo-specifica.

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Le Leptospire sono microaerofile, ma possono svilupparsi anche in condizioni di completa anaerobiosi, inoltre sono catalasi e ossidasi positive. Crescono in terreni semplici arricchiti con vitamine (soprattutto vitamina B1 e B12), acidi grassi a lunga catena (usati come unica fonte di carbonio e metabolizzati tramite β-ossidazione) e sali di ammonio (9). Attualmente il mezzo utilizzato per la loro crescita è un substrato costituito da acido oleico, albumina sierica bovina e polisorbato denominato EMJH (Ellinghausen-McCullough modificato da Johnson-Harris); alcuni ceppi particolarmente esigenti necessitano dell’aggiunta di piruvato o siero di coniglio. La presenza di eventuali contaminanti può essere inibita mediante supplemento di 5-fluorouracile, gentamicina, acido nalidixico o rifampicina (8). La crescita è spesso lenta ad un primo isolamento, per tale motivo le colture devono essere conservate ed osservate per circa 13 settimane prima di essere considerate negative.

La resistenza delle Leptospire è piuttosto modesta, difatti nell’ambiente esterno non rimangono vitali a lungo, poiché per la loro sopravvivenza sono indispensabili speciali condizioni di umidità, di temperatura, di composizione minerale del terreno (condizioni che si ritrovano in particolare nelle acque stagnanti, nelle pozze d’acqua, nei canali, nei terreni umidi, nelle fogne, nelle miniere, etc).

Le Leptospire patogene hanno un optimum di crescita a 28-30 °C, mentre non sopravvivono al calore umido che le inattiva in 30-60 minuti a 50-55 °C. Al contrario resistono molto bene a basse temperature; è stato dimostrato infatti che nei reni di suini, naturalmente infetti e conservati a 0 °C e a -15 °C, conservano la vitalità rispettivamente per due settimane ed un mese. Abbassando ulteriormente la temperatura i tempi di sopravvivenza aumentano considerevolmente: nello sperma di toro e di verro esse mantengono il loro potere patogeno per almeno tre mesi a temperature comprese tra 3 °C e -23 °C e per almeno tre anni a -196 °C (9).

Sono sensibili ai comuni disinfettanti, soprattutto a quelli che agiscono sul pH (concentrazioni di cloruro di sodio superiori al 2,5% sono letali, così come concentrazioni di 10 mg/l di solfato di rame). Esse non sopravvivono a pH acido pari a 6,8 o di valore inferiore ed a livelli di alcalinità oltre 7,8. Sebbene sia accertato che nelle urine acide possano sopravvivere solo poche ore, è altrettanto noto che in situazioni comportanti una notevole diluizione delle urine si ha un innalzamento della

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acque salmastre; notevolmente sensibili risultano all’essiccamento e alla putrefazione. Vengono distrutte entro brevissimo tempo dal succo gastrico e dalla bile.

Nel latte crudo vengono inattivate entro 45 minuti per l’attività battericida di cui il latte stesso è dotato. Sebbene la viscosità e la concentrazione di sale siano elementi critici per la sopravvivenza delle Leptospire in acqua, recenti indagini hanno dimostrato la capacità di questi microrganismi di formare biofilm in ambienti difficili, importanti sia per la loro persistenza nell’ambiente sia per la colonizzazione dell’ospite (12).

1.2 Classificazione

Prima del 1989 il genere Leptospira era suddiviso in due specie: L. interrogans, che annovera tutti i ceppi patogeni e L. biflexa, comprendente i ceppi saprofiti isolati dall’ambiente. La L. biflexa era distinta dalla L. interrogans per la capacità della prima di crescere a 13 °C e in presenza di 8-azaguanina (225 μg/ml (13, 14). Entrambe le specie sono a loro volta divise in numerosi sierotipi mediante agglutinazione dopo cross-assorbimento con antigeni omologhi.

Convenzionalmente due Leptospire appartengono a sierotipi differenti, nell’ambito dello stesso sierogruppo, quando presentano reattività crociata parziale. Con questo metodo sono stati identificati più di 60 sierotipi di L. biflexa (suddivisi in 28 sierogruppi) e oltre 250 di L. interrogans (suddivisi in 24 sierogruppi). Quelli che sono correlati antigenicamente vengono raggruppati in sierogruppi: due Leptospire appartengono a due sierogruppi diversi quando non mostrano alcuna attività crociata (Tab. 1).

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N. Sierogruppo Serovar (s) 1 Australis australis bratislava jalna lora 2 Autumnalis autumnalis bulgarica carlos mooris 3 Ballum ballum arboreae castellonis 4 Bataviae bataviae 5 Canicola benjamin broomi canicola 6 Celledoni celledoni 7 Cynopteri cynopteri 8 Djasiman djasiman gurungi sentot 9 Grippotyphosa grippotyphosa muelleri valbuzzi 10 Hebdomadis hebdomadis kremastos 11 Icterohaemorrhagiae copenhageni gem icterohaemorrhagiae 12 Javanica javanica 13 Louisiana louisiana lanka 14 Lyme lyme 15 Manhao manhao 16 Mini mini georgia 17 Panama cristobali mangus panama 18 Pomona pomona 19 Pyrogenes pyrogenes robinsoni 20 Ranarum ranarum 21 Sarmin sarmin 22 Sejroe hardjo sejroe 23 Shermani shermani 24 Tarassovi tarassovi

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La classificazione sierologica fu poi sostituita da una di tipo genotipico in cui un certo numero di specie genomiche include tutti i serovar di entrambe le specie. L’eterogeneità genetica è stata dimostrata mediante studi di ibridazione del DNA, i quali hanno permesso di definire numerose genomospecie di Leptospira; tuttavia le specie genomiche non corrispondono alle due categorie precedenti per cui si possono ritrovare all’interno delle stesse sierotipi patogeni e non. Durante il meeting tenutosi nel 2007 a Quito, in Ecuador, la Sottocommissione per la Tassonomia delle Leptospiracee (Subcommittee on the Taxonomy of Leptospiraceae) ha provveduto a classificare e suddividere le Leptospire in 19 specie (13 patogene e 6 saprofite) comprendenti oltre 280 sierovarianti alle quali se ne aggiungono periodicamente di nuove (Tab. 2).

N. Genere Specie 1 Leptospira alexanderi 2 Leptospira interrogans 3 Leptospira borgpetersenii 4 Leptospira inadai 5 Leptospira noguchii 6 Leptospira santarosai 7 Leptospira weilii 8 Leptospira kirshneri 9 Leptospira licerasiae 10 Leptospira fainei 11 Leptospira wolffii

12 Leptospira alstonii (genomospecie 1) 13 Leptospira biflexa

14 Leptospira meyeri 15 Leptospira kmetyi 16 Leptospira wolbachii

17 Leptospira vanthielii (genomospecie 3) 18 Leptospira terpstrae (genomospecie 4) 19 Leptospira yanagawae (genomospecie 5)

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Entrambi i sistemi di classificazione sono in uso in quanto la caratterizzazione genetica è possibile soltanto in pochi laboratori altamente specializzati e i reagenti di riferimento per l’approccio sierologico (anticorpi monoclonali e policlonali) non sono facilmente reperibili.

Inoltre la tradizionale e collaudata classificazione in serovar e sierogruppi non sempre coincide con il nuovo raggruppamento delle genomospecie; pertanto, per evitare confusione soprattutto nella nomenclatura, la classificazione in serovar ha perduto il suo ruolo di taxon, ma viene conservata per ragioni pratiche.

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2. EPIDEMIOLOGIA

I selvatici occupano una posizione di primaria importanza nell’epidemiologia dell’infezione e tra questi i roditori, soprattutto i muridi, rimangono i portatori più diffusi e pericolosi. È tuttavia dimostrato che accanto a questi molti altri animali possono assolvere la stessa funzione, come dimostrato dai numerosissimi isolamenti ottenuti da insettivori, carnivori, marsupiali, rettili, anfibi ed uccelli e dalle recenti segnalazioni in animali selvatici quali cinghiale e riccio.

Il fenomeno coinvolge naturalmente anche gli animali domestici i quali, per la recettività più o meno marcata che mostrano nei confronti della maggior parte delle Leptospire patogene e per la frequenza con la quale si infettano, contribuiscono al diffondersi dell’infezione mediante disseminazione di quantità più o meno importanti di microrganismi nell’ambiente in cui vivono e per periodi di tempo variabili.

Le Leptospire patogene sono dunque parassiti obbligati e la sopravvivenza di una sierovariante in un determinato ecosistema è legata alla presenza di una popolazione animale che funga da ospite di mantenimento. In questa popolazione, qualunque sia l’ospite o la sierovariante interessata, l’infezione assume carattere endemico ed è caratterizzata da alta recettività (dose minima infettante molto bassa), bassa patogenicità della sierovariante nei riguardi dell’ospite e da prolungata leptospiruria.

Tuttavia il microrganismo non rimane confinato all’ospite di mantenimento, ma possono contrarre infezione gli individui di altre specie, ospiti accidentali, se inseriti nell’habitat dell’ospite serbatoio o quando quest’ultimo viene a trovarsi nell’ecosistema di un’altra specie. La trasmissione dell’infezione ad ospiti accidentali non è necessaria per la sopravvivenza della sierovariante nell’ambiente, la patologia assume andamento sporadico ed è caratterizzata da bassa recettività dell’ospite, leptospiruria di breve durata e pertanto da inefficiente trasmissione intraspecifica (12).

Lo stato di portatore è la conseguenza, sia negli animali domestici che nei selvatici, della localizzazione a livello renale delle Leptospire; più precisamente, la sede di elezione è rappresentata dalle strutture tubulari. Inoltre è stata messa in evidenza la localizzazione delle Leptospire patogene nell’apparato genitale maschile e femminile.

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con soluzioni di continuo) con urine contenenti Leptospire vive e virulente; più raramente con altri fluidi organici capaci di veicolarle (feci, annessi fetali, lochiazioni). Il contagio può avvenire anche attraverso l’ingestione di acqua contaminata o inalata sotto forma di aerosol.

Relativamente alla specie canina, negli ultimi anni si sono moltiplicati a livello europeo gli studi epidemiologici che hanno mostrato un quadro molto variegato, sia per quanto concerne i titoli anticorpali rilevati, sia per sia per le sierovarianti coinvolte (13) (14).

L’infezione provocata dal sierogruppo Icterohaemorrhagiae è meno soggetta a variazioni regionali in quanto il suo ospite di mantenimento, il ratto (rattus norvegicus e rattus rattus) ha una distribuzione ubiquitaria; invece per quanto riguarda L. grippotyphosa e L. sejroe si osservano differenze in relazione alla diversa presenza dei roditori reservoir. Le ricerche sieroepidemiologiche condotte in Germania (15), Croazia, Danimarca, Francia, Romania, Grecia e Italia (16) hanno confermato che i serovar Icterohaemorrhagiae e Copenhageni sono i principali responsabili dell’infezione nella specie canina.

Di contro il serovar Canicola è da qualche tempo in forte calo, probabilmente per il grande impiego di tale antigene nei protocolli vaccinali. Alti livelli di sieroprevalenza, invece, sono emersi dall’osservazione di casi clinici nell’Est Europa, ad esempio in Romania e in Polonia, dove alcuni Autori riportano prevalenze del 18% e del 21 % rispettivamente (17).

Il serovar Grippotyphosa riconosce come ospiti di mantenimento alcune piccole specie di roditori variamente distribuite sul territorio europeo: il topo campagnolo comune (Microtus arvalis), il topo della tundra (Microtus oeconomus), il topo muschiato (Ondatra zibethicus) e il criceto comune (Cricetus cricetus).

Ricercatori delle Repubbliche Ceca e Slovacchia suppongono, attraverso i dati a loro disposizione, che il topo selvatico (Apodemus sylvaticus) e quello dal collo giallo (Apodemus flavicollis) possono concorrere anche al mantenimento di L. grippotyphosa in alcune regioni europee (Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Croazia, Svizzera e Italia (18). In Germania L. grippotyphosa è una delle cause più comuni di Leptospirosi clinica nei cani.

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Dei serovar riscontrabili nel cane, appartenenti al sierogruppo Australis, si distinguono i seguenti: Lora, Jalna, Muenchen e Bratislava. L’infezione da L. bratislava è abbondantemente dimostrata dagli studi condotti nel nostro continente e in America Settentrionale nell’ultimo ventennio. Esiste infatti un’ampia varietà di ospiti di mantenimento per questa sierovariante rappresentata da ricci, suini (domestici e selvati) e cavalli. Si ipotizza che i cani possano servire da reservoir, sia per la diffusa sieroprevalenza a basso titolo anticorpale in popolazioni canine che non hanno alcun contatto con altri ospiti portatori, sia per la capacità del microrganismo di persistere nel tratto genitale delle femmine e a livello renale per almeno tre mesi.

Anche in Italia la malattia conclamata è stata descritta da Mastrorilli e altri che hanno riferito di 16 casi clinici acuti di cui 7 tra decessi ed eutanasia. Adamus e altri hanno riscontrato epatite cronica in una colonia di beagle attribuita sempre ad infezione da sierogruppo Australis. Nel 2011 L. bratislava è stata isolata in Sardegna dalle urine di un cane sierologicamente positivo che presentava un quadro clinico sospetto (dati non pubblicati). Sembra plausibile che la malattia clinica si evidenzi con maggior frequenza nelle situazioni di sovraffollamento: canili, allevamenti e persino stabulari destinati alla sperimentazione.

Infine, per quanto riguarda il sierogruppo Pomona, in Europa si riconoscono due differenti infezioni. La prima è causata dal serovar Mozdok e trova una varietà di piccoli roditori come ospiti di mantenimento: il topo selvatico a dorso striato (Apodemus agrarius) al Nord, il topo ragno dai denti bianchi (Crocidura russula) e il topo algerino (Mus spretus) più a sud; questo serovar è stato isolato occasionalmente solo da bovini e da maiali, mai dai cani. La seconda infezione, ascrivibile al serovar Pomona, presenta un quadro epidemiologico meno chiaro; i dati disponibili indicano livelli molto bassi o addirittura nulli di esposizione, in Germania, Italia e Francia; in controtendenza il dato della Romania che riferisce una sieroprevalenza dell’11% in cani randagi, mentre l’unica evidenza di malattia clinica è riportata in Belgio.

Non esistono, quindi, sufficienti ragioni in Europa per l’inserimento di questa sierovariante nei protocolli vaccinali. Ciò è in netto contrasto con quanto avviene negli Stati Uniti, dove L. pomona è coinvolta in numerosi episodi di malattia clinica nel cane (17).

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3. PATOGENESI

I meccanismi molecolari coinvolti nella patogenesi della Leptospirosi sono ancora poco conosciuti; pare che le Leptospire siano in grado di produrre tossine (che potrebbero spiegare i danni agli endoteli). Sono stati identificati, inoltre, diversi fattori di virulenza, quali LPS (fattore di virulenza comune a molti batteri gram- negativi), emolisine, proteine della membrana esterna (OMP) e altre proteine di superficie, così come molecole di adesione e sfingomieline(19).

Le principali vie di penetrazione sono rappresentate dalla mucosa oro-nasale (un cane può infettarsi a seguito dell’ingestione di acqua contaminata), mucosa congiuntivale e genitale; tuttavia i microrganismi possono penetrare anche attraverso la cute sia integra (resa morbida dopo prolungata esposizione all’acqua) sia attraverso piccole soluzioni di continuo o abrasioni.

La patogenesi è riconducibile a due fasi principali sempre presenti: la fase setticemica e la fase immune e per tale motivo la Leptospirosi è considerata una malattia bifasica (20).

Prima fase:

Penetrate nell’ospite, qualunque sia la porta di ingresso nell’organismo, le Leptospire guadagnano ben presto il torrente circolatorio. Ciò avviene con estrema rapidità, probabilmente a causa delle loro piccolissime dimensioni e della sottigliezza del loro corpo e in parte anche per i vivaci movimenti di cui sono dotate. Si moltiplicano nell'endotelio dei piccoli vasi, provocando un danno vasculitico, responsabile di tutte le principali manifestazioni cliniche che costituiscono la fase iniziale del processo morboso o fase setticemica o leptospiremia. Nei casi in cui l’infezione sfocia in malattia conclamata già in questa fase di esordio si rilevano, oltre a febbre elevata, anoressia, ottundimento del sensorio, iperemia congiuntivale, bradicardia.

Il periodo setticemico dura in genere da 5 ai 10 giorni e rappresenta una premessa indispensabile alla propagazione e distribuzione dei microrganismi nei vari organi e tessuti. Segue la progressiva diminuzione fino alla totale scomparsa delle Leptospire

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dal sangue in seguito alla reazioni umorali che possono essere messe in evidenza a partire dal 6°- 7° giorno post infezione.

Seconda fase:

Con la fine della leptospiremia inizia la seconda fase o fase di stato o delle localizzazioni. Il quadro clinico è in tale periodo nettamente dominato dal grave e costante interessamento renale e/o epatico. A carico di tutti gli organi e parenchimi, ma con particolare riguardo a fegato e rene, si hanno lesioni infiammatorie di diversa entità e alterazioni degenerative molto pronunciate. Le espressioni più caratteristiche del danno e della conseguente insufficienza epato-renale sono l’ittero e l’uremia da ritenzione.

L’ittero che ne consegue ha un aspetto particolare, all’esplorazione delle mucose esso assume infatti, per la contemporanea congestione dei capillari sottoepiteliali, un colorito giallo-arancio ed è quindi abbastanza ben differenziabile da altri tipi di ittero, infettivi e non, di norma di tinta giallo citrina. Nei quadri acuti è evidente anche la compromissione del sistema circolatorio, che si manifesta comunemente con un brusco abbassamento della pressione arteriosa e, per via delle lesioni degenerative cui vanno incontro gli endoteli vasali, con petecchie diffuse.

Quando l’infezione decorre in forma paucisintomatica o subclinica, eventualità molto frequente, alla fase leptospiremica segue una persistente localizzazione renale e di conseguenza si instaura una nefrite interstiziale cronica (12).

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4. RILIEVI CLINICI E ANATOMOPATOLOGICI

La Leptospirosi colpisce cani di qualsiasi età, sesso o razza se non precedentemente immunizzati. I cani maschi, di età compresa tra i 4 e i 7 anni, i cani da pastore e da caccia, i cani da lavoro e gli incroci sono soggetti ritenuti maggiormente a rischio di contrarre l’infezione, perché hanno più probabilità di entrare a contatto con gli ospiti di mantenimento (21). La gravità della malattia dipende dalla sierovariante coinvolta, dalla patogenicità del ceppo e dalla carica infettante, nonché dallo stato immunitario dell’animale (20).

Nel cane l’infezione è essenzialmente determinata da tre sierovarianti: Icterohaemorrhagiae, Copenhageni e Canicola. Le prime due sono responsabili della Sindrome ittero-emorragica acuta, nota anche con le denominazioni di Weil canino per la perfetta analogia anatomo-clinica con la corrispondente affezione dell’uomo; la L. canicola, invece, è causa di un complesso quadro morboso conosciuto come Malattia di Stoccarda o Tifo canino, caratterizzato da nefrite interstiziale, gastroenterite emorragica e stomatite ulcerosa.

I cani possono inoltre risultare recettivi ai seguenti sierotipi: Bratislava, Grippotyphosa e Pomona, tuttavia la maggior parte acquisisce un’infezione subclinica.

4.1 Sindrome Ittero-emorragica acuta (Weil canino)

SINTOMI

I primi sintomi, dopo un periodo di incubazione di 5- 9 giorni, compaiono improvvisamente ed in concomitanza con la fase di leptospiremia, caratterizzati da febbre elevata, depressione del sensorio, anoressia, intensa congestione delle mucose oculo-congiuntivali, talvolta vomito e polidipsia.

Il costante e precoce interessamento epatico sfocia spesso nell’ittero accompagnato da ipotermia; esso insorge tra il 2° e il 7° giorno e può variare da lieve ad intenso e assumere, per la contemporanea congestione dei vasi periferici, la tipica tonalità giallo-arancio. Il quadro clinico renale non è meno importante; nei casi lievi si può osservare oliguria con ipostenuria, nei casi gravi anuria quale espressione

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dell’insufficienza renale determinata dalle lesioni intrinseche e da un grave crollo della pressione arteriosa; ciò compromette la perfusione renale e determina di conseguenza la riduzione della filtrazione glomerulare, ipossia e insufficienza renale acuta.

Con l’evolversi della malattia, l’insufficienza renale si accentua e, sommata a quella epatica, porta ad uno stato uremico tipico delle sindromi epato-renali, caratterizzato da iperazotemia via via crescente. Precoci e costanti sono le alterazioni urinarie che accompagnano l’andamento della malattia. Le urine appaiono giallo cariche, torbide oppure color marsala, in presenza di una quantità eccessiva di bilirubina.

Alterato risulta anche il quadro ematico per la costante presenza di una leucocitosi neutrofila, talora particolarmente intensa. I disturbi a carico dell’apparato digerente sono per lo più di modico grado; oltre al vomito può manifestarsi, in particolari circostanze, diarrea emorragica. Di solito però le feci presentano consistenza e aspetto normali e solo raramente sono acoliche. Possibili le localizzazioni nervose (meningiti, meningoencefaliti) e oculari (iridocicliti e cheratiti). Gli animali notevolmente dimagriti vengono a morte in 8-10 giorni in stato comatoso e in ipotermia. Talora il decorso è più lungo (2 -3 settimane), mentre rare sono le forme iperacute con esito infausto in 3-5 giorni.

Accanto a questi quadri morbosi tipici si osservano, non di rado, forme più miti, anitteriche, caratterizzate solo da fenomeni infettivi generali (lieve rialzo termico, anoressia, apatia, iperemia congiuntivale), che risultano quasi sempre non diagnosticate, perché solitamente confuse con altre affezioni.

LESIONI

Il quadro anatomopatologico è dominato dall’ittero, dalle emorragie e da lesioni infiammatorie e degenerative a carico di fegato e rene. La colorazione itterica, già ben evidente sulla cute e sulle mucose, si apprezza in tutta la sua intensità nel connettivo sottocutaneo. Qui si riscontrano, sotto forma di petecchie, ecchimosi e strie, focolai emorragici variamente localizzati e diffusi. Le emorragie si ripetono più o meno in tutti gli organi ma con particolare costanza in ambito renale, gastroenterico,

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Il fegato non presenta di solito alterazioni macroscopicamente apprezzabili all’ispezione. Esso è tuttavia sempre aumentato di volume, ma di consistenza pressoché normale, di colore a volte tendente al giallo aranciato oppure al rossastro per la forte iperemia. Dal punto di vista istologico le lesioni sono costituite da focolai degenerativi, che possono arrivare fino alla necrosi e infiltrazioni interstiziali.

Il quadro macroscopico renale è assai scarsamente indicativo; si può infatti apprezzare solo un leggero aumento di volume dell’organo, una tinta itterica più o meno carica e la presenza di emorragie, specie nel tessuto interstiziale della corteccia. Assai più significativo è il reperto istologico; le lesioni consistono soprattutto in quadri di nefrosi tubulare e di infiltrazione interstiziale. Gli epiteli dei tubuli, con assoluta prevalenza di quelli contorti di II ordine, sono sede di alterazioni degenerative, che dalla degenerazione torbida possono arrivare fino alla necrosi (12).

4.2 Malattia di Stoccarda

SINTOMI

Il periodo di incubazione varia da 3 a 10 giorni. La malattia ha spesso inizio brusco e si manifesta fin dal suo insorgere con grave compromissione dello stato generale, analogamente a quanto si verifica nel Weil; è presente febbre con punte massime fino a 41 °C, anoressia, ottundimento del sensorio, congestione delle mucose congiuntivali, polidipsia. Ben presto compare vomito, dapprima occasionale poi sempre più frequente tanto da manifestarsi con facilità in seguito alla semplice ingestione di acqua o anche a stomaco completamente vuoto. Le ingesta sono costituite da materiale vischioso, filante, giallastro per la presenza di bile oppure di colore rosso- brunastro ove contengano sangue.

La comparsa di stomatite è denunciata dalla presenza di piccole erosioni sulla mucosa delle guance e delle gengive, sui margini e sulla faccia inferiore della lingua; esse in seguito si trasformano in ulcere rosso scure, facilmente sanguinanti, ricoperte da epitelio necrosato, mentre la mucosa circostante appare arrossata e infiltrata.

Sovente queste erosioni si estendono confluendo fra loro, in tal caso si sviluppano ampie superfici ulcerate. Tutto ciò, oltre al forte fetore dell’alito, provoca abbondante

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scialorrea con fuoriuscita dalle commessure labiali di saliva filante, frammista a brandelli di epitelio necrosato, non di rado striata di sangue.

I fattori infiammatori a carico della mucosa boccale si accompagnano frequentemente a gastrite (di cui il vomito è la più tipica espressione) e ad enterite acuta, che si manifesta con ripetute scariche diarroiche emorragiche di odore nauseabondo. Nella malattia di Stoccarda la componente renale prevale in assoluto sulla componente epatica, portando (rispetto al Weil) a diverse ripercussioni soprattutto sul quadro ematochimico dominato dalla iperazotemia e sul reperto urinario caratterizzato da oliguria o anuria, da iperazoturia, albuminuria, cilindruria.

Il dimagramento è sempre molto accentuato così come l’abbattimento, la disidratazione, la debolezza. Nello stadio finale le condizioni generali si aggravano rapidamente e sopraggiunge la morte in stato comatoso. Il decorso varia con il variare della gravità del quadro sintomatologico. Nelle forme acute, che sono le più comuni, la malattia evolve in 4- 7 giorni e nelle subacute in 2-3 settimane. La mortalità è nel complesso molto elevata, con punte massime fino al 60- 70%.

Oltre a quadri a sintomatologia conclamata si riscontrano con discreta frequenza forme oligosintomatiche e latenti, ad andamento nettamente cronico, con precoce localizzazione delle Leptospire in ambito renale, ove inducono una flogosi interstiziale a lenta evoluzione, la quale porta a morte gli animali in un lasso di tempo oscillante da qualche mese a 1-2 anni.

LESIONI

Le alterazioni più significative riguardano in modo particolare l’apparato digerente e il rene. Oltre alle lesioni buccali, a carico dell’apparato digerente si evidenzia una gastroenterite emorragica, talora di notevole gravità. La mucosa dello stomaco e dell’intestino appare tumida, con arrossamento diffuso, erosioni emorragiche e anche ulcerazioni profonde. Il quadro anatomopatologico renale è oltremodo variabile in relazione al diverso stadio evolutivo del processo morboso. La nefrite interstiziale può riscontrarsi sia in fase acuta che in quella cronica, a focolai o diffusa.

Nella forma acuta i reni non presentano evidenti modificazioni di volume. In determinati casi sono rilevabili, già all’esame esterno, piccoli focolai tondeggianti,

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grigiastri, molli al taglio, localizzati soprattutto nelle parti medie e basse della corticale, ma anche nelle porzioni alte della midollare.

Nelle forme diffuse il rene è generalmente aumentato di volume e talora in maniera accentuata; nelle forme croniche si stabiliscono fenomeni proliferativi interstiziali a carattere evolutivo, a volte di entità tale da portare alla nefrosclerosi (rene grinzo) con quasi totale distruzione dei nefroni. In tal evenienza l’organo si presenta atrofico, difficilmente scapsulabile, pallido, con aree madreperlacee.

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5. DIAGNOSI DI LABORATORIO

In considerazione della variabilità delle manifestazioni cliniche, della somiglianza dei sintomi con quelli di altre patologie (batteriche, virali e parassitarie) e della frequente comparsa della malattia in forme atipiche, la diagnosi di Leptospirosi non può essere emessa solo sulla base della sintomatologia clinica, ma si deve necessariamente fare ricorso al supporto del laboratorio. La selezione dei campioni e delle prove, il momento in cui vengono effettuati i prelievi, nonché la corretta interpretazione dei risultati sono tutti fattori che condizionano una corretta diagnosi.

A tal fine è utile richiamare la sequenza di eventi che si verificano in seguito all’ingresso dell’agente patogeno in un organismo ospite e la successiva risposta immunitaria. Per causare un’infezione è sufficiente un numero esiguo di microrganismi e il periodo di incubazione varia solitamente da 7 a 10 giorni.

La Leptospirosi presenta il seguente decorso: durante i primi 10 giorni è presente una fase di leptospiremia, caratterizzata da un’attiva moltiplicazione delle leptospire nel sangue; poi a seguito della risposta immunitaria dell’ospite, queste scompaiono rapidamente dal circolo, si diffondono nell’organismo e si localizzano preferibilmente nei tubuli distali del rene per essere escrete in maniera intermittente con le urine (fase leptospirurica).

Nella prima fase si ha la possibilità di isolare i microrganismi dal sangue, mentre nella seconda il campione ideale è rappresentato dalle urine.

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Gli anticorpi si sviluppano solitamente da 2 a 12 giorni dopo l’insorgenza della malattia: le immunoglobuline della classe M (IgM) sono le prime ad essere prodotte e raggiungono livelli rilevabili entro una settimana, il picco durante la terza o quarta settimana, per poi diminuire lentamente nel corso di sei mesi fino a non essere più rilevabili. Raramente le IgM persistono a bassi livelli per diversi anni; in una piccola percentuale di soggetti tali immunoglobuline possono svilupparsi a livelli non rilevabili e i primi a comparire sono anticorpi IgG. Queste generalmente raggiungono il massimo livello dopo alcune settimane di malattia e scompaiono più tardivamente rispetto alle IgM e possono persistere a basso titolo per anni. Il test di microagglutinazione mette in evidenza anticorpi (IgM e IgG) già alla fine della prima settimana di malattia, mentre il plateau viene raggiunto durante la terza o quarta settimana (22).

Fig 2: Livello e durata di anticorpi a differenti intervalli di tempo.

Le tecniche diagnostiche si suddividono sostanzialmente in due categorie:

- I metodi diretti che consistono nella ricerca diretta del patogeno mediante il suo isolamento da campioni clinici o la messa in evidenza del suo genoma o l’evidenziazione diretta su tessuti e/o liquidi biologici;

- I metodi indiretti che mettono in evidenza la produzione di anticorpi specifici anti-leptospira nel siero (MAT, ELISA).

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5.1 Metodi Diretti

Isolamento colturale

Le Leptospire possono essere isolate a partire da campioni di sangue, liquido cefalorachidiano, urine, organi e/o tessuti (post-mortem); il terreno più frequentemente usato allo scopo è l’EMJH (Ellinghausen-McCullough-Johnson-Harris) con l’aggiunta di opportuni supplementi e arricchimenti selettivi. L’incubazione avviene a 28-30°C in aerobiosi e viene protratta per almeno due mesi.

Il vantaggio di questo esame è che la crescita di Leptospire è senz’altro prova di infezione e inoltre la tipizzazione del ceppo isolato consente l’identificazione del serovar o del sierogruppo infettante, molto utile ai fini epidemiologici. Gli svantaggi sono essenzialmente riconducibili alla crescita lenta delle spirochete e alla loro suscettibilità a possibili contaminanti presenti nel campione biologico.

Osservazione microscopica in campo oscuro

Le Leptospire eventualmente presenti nel sangue, nel liquor e nelle urine, possono essere evidenziate mediante osservazione microscopica a fresco in campo oscuro in base alle loro caratteristiche morfologiche e al tipico movimento.

Polymerase Chain Reaction (PCR)

La tecnica, ormai diffusissima nel campo della diagnostica, offre il vantaggio della precocità di diagnosi già nelle prime fasi di malattia unitamente ai tempi rapidi di esecuzione. Attualmente il limite di questo metodo risiede nell’impossibilità di tipizzare il ceppo eventualmente amplificato se non con costose tecniche quali sequenziamento, RFLP, etc.. Sono stati descritti una varietà di set di primers, alcuni specifici per geni target che ne individuano il genere, più di frequente i geni 16S e 23S rRNA, e altri per discriminarne la patogenicità. La PCR può essere molto sensibile, ma la mancanza di specificità può causare problemi; la presenza di inibitori della amplificazione può indicare falsi negativi, in particolare in campioni di origine animale nei quali la specificità può essere compromessa dalla contaminazione con feci o autolisi.

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5.2 Metodi Indiretti

Microscopic Agglutination Test (MAT)

La MAT, proposta da Schuffer e Mochtar nel 1927, resta ancora oggi il metodo sierologico di referenza e costituisce la base della diagnosi delle leptospirosi sia in campo umano che animale e della classificazione delle Leptospire. La tecnica consiste nel mettere a contatto una diluizione di siero con una sospensione di leptospire, nell’incubazione per 2 ore alla temperatura di 29° C e nel leggere poi mediante osservazione microscopica in campo oscuro la reazione di agglutinazione. Come antigeni vengono usate colture di leptospire cresciute in terreno EMJH incubate a 29° C per circa 7 giorni, diluite prima dell’utilizzo ad una concentrazione di 1X108

cellule/ml. L’interpretazione dei titoli anticorpali ottenuti con la MAT deve tener conto naturalmente del periodo intercorso tra l’esordio della malattia e la data del prelievo; è preferibile richiedere l’esame di almeno due campioni per evidenziare sieroconversione o un significativo incremento del titolo.

Enzyme-Linked Immunosorbent Assay (ELISA)

È una tecnica immuno-enzimatica facilmente automatizzabile e riproducibile in cui le IgM sono rilevate con maggiore precocità rispetto ad altri test; con questo è quindi possibile discriminare un’infezione recente da una pregressa. Sono presenti in commercio tutta una serie di test ELISA sviluppati con l’utilizzo di differenti antigeni fino ai recenti kit messi a punto con la tecnologia ricombinante.

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6. NORMATIVA

La Leptospirosi è una zoonosi inserita nella lista delle malattie da notificare all’Office International des Epizooties (O.I.E.), soggetta a denuncia ai sensi del Regolamento di Polizia Veterinaria (RPV - DPR 320/54) (23) che prescrive anche reciprocità di informazione tra medico e veterinario. Inoltre la leptospirosi umana è compresa tra le malattie soggette a denuncia obbligatoria dal medico curante all’Ispettorato del lavoro, ai sensi del DM 27 Aprile 2004 (24), in quanto considerata tra i rischi biologici per la salute nel settore zootecnico.

In caso di sintomatologia e riscontro sierologico positivo o in caso di isolamento, è prevista la dichiarazione di apertura di focolaio e la messa in atto di misure finalizzate alla riduzione della circolazione e della diffusione di Leptospira (OM 26 Marzo 1970 e OM 4 Settembre 1985) (25) (26).

Con l’OM del 26 Marzo 1970 la leptospirosi animale è stata aggiunta all’elenco delle malattie infettive e diffusive degli animali, nell’art. 1 del vigente RPV per la quale si applica quanto dispone l’art. 5 dello stesso Regolamento.

Gli animali domestici clinicamente sospetti di leptospirosi devono essere sottoposti ad esami di laboratorio per l’eventuale conferma diagnostica. Per quanto riguarda i cani, il sospetto di leptospirosi va formulato in caso di sindromi ittero-emorragiche, gastroenteriche o nefritiche. Accertata la diagnosi, gli esami sierologici si dovranno estendere a tutto l’effettivo della popolazione colpita e ad animali di altre specie recettive mantenute in promiscuità o in stretto contatto. Si potrà, ancor prima dei sopraindicati accertamenti, effettuare un adeguato trattamento antibiotico delle specie colpite.

Nel focolaio si adottano le seguenti misure: 1. sequestro di tutto l’effettivo;

2. isolamento dei capi infetti dai sani; 3. distruzione di feto e invogli;

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Il sequestro è revocato quando i capi infetti sono morti o sono stati abbattuti; quando risultano negativi gli accertamenti diagnostici di laboratorio eseguiti sugli altri animali dopo due mesi dall’ultimo caso di morte o di abbattimento dei soggetti infetti.

Nello specifico, per quanto riguarda la Leptospirosi dei cani, il sequestro è revocato in seguito a guarigione clinica conseguita per mezzo di adeguata terapia antibiotica, che dovrà comunque risultare da apposito certificato rilasciato dal veterinario curante.

L’OM del 04 Settembre 1985 ribadisce le stesse disposizioni dell’ordinanza precedente. Solo il punto 3 viene modificato, inserendo la possibilità di inviare feti e invogli fetali ai laboratori, in condizioni di sicurezza, per la diagnosi differenziale.

Inoltre il sequestro degli animali sieronegativi è revocato quando, dopo l’eventuale trattamento antibiotico, il successivo controllo sierologico ripetuto a distanza di 20 giorni abbia dato esito negativo.

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7.

MATERIALI E METODI

Lo scopo del presente studio è stato quello di stimare la prevalenza della Leptospirosi i in animali domestici e selvatici. A tale fine tra Novembre del 2012 e Marzo 2014 è stata effettuata un’indagine sierologica, batteriologica e biomolecolare in un campione di cani e roditori per determinare la prevalenza e il loro possibile ruolo nella diffusione di questa patologia in Sardegna.

7.1 Animali

CANI

Lo studio ha coinvolto 1296 cani (654 femmine e 642 maschi) di età compresa tra i 6 mesi e i 18 anni; 1028 di questi erano ospitati in 11 canili (da A a M) ubicati in differenti località della Regione e la restante parte era costituita da cani di proprietà (gruppo privati). Per tutti è stata compilata una scheda riportante il segnalamento (nome, n. di microchip, sesso, età , taglia e razza) e la data dell’ultima vaccinazione.

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I soggetti facenti parte del nostro studio sono stati scelti con criterio di casualità e con una numerosità del campione rappresentativa, calcolata sulla base di una prevalenza attesa del 3% circa con un livello di confidenza del 98%. La Tab. 3 sintetizza la numerosità del campione rispetto al numero dei cani ospitati.

Sulla base della situazione riscontrata nel canile non sempre è stato possibile rispettare la percentuale di prelievi prefissata, al fine di salvaguardare l’integrità fisica degli operatori; l’attività di prelievo è stata eseguita adottando idonee misure di protezione individuale (DPI), seguendo adeguati standard di biosicurezza e con l’utilizzo di lacci o museruole, in caso di necessità.

I cani al momento del prelievo erano tutti in buono stato di salute e privi di sintomatologia clinica.

CANILE

n° cani ospitati n° cani prelevati

A 130 63 B 450 298 C 80 41 D 130 100 E 100 50 F 280 149 G 100 49 H 320 194 I 55 31 L 280 160 M 150 73 PRIVATI // // 88 1296

Tab. 3: n° di prelievi eseguiti sul totale dei soggetti presenti nei diversi canili.

Al fine di verificare la sieroprevalenza, i cani sono stati sottoposti a un primo prelievo ematico (di circa 3 ml); come sede di elezione è stata scelta la vena cefalica e come seconda opzione la vena. safena. Prelevato mediante siringa, il sangue è stato depositato in una provetta vacutainer sterile senza anticoagulante, identificata mediante nome e/o numero di microchip del soggetto.

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In laboratorio il siero è stato poi separato mediante centrifugazione a 1700 g per 5 min. e, se non immediatamente esaminato, stoccato ad una temperatura di -20°C. Un campione di cani risultati sierologicamente positivi è stato sottoposto ad un secondo prelievo ematico a distanza di circa 3 settimane dal primo, per valutare eventuale sieroconversione e i parametri di funzionalità epato-renale; contemporaneamente è stato prelevato un campione di urine mediante cateterismo o cistocentesi dopo somministrazione di un diuretico (furosemide, 1-2 mg/kg).

RODITORI

Un totale di n° 237 roditori provenienti da diverse zone della Sardegna sono pervenuti presso il laboratorio per essere sottoposti ad indagine nei confronti della Leptospirosi. La maggior parte sono stati catturati mediante trappole di tipo meccanico a molla o a scatto collocate dai detentori dei canili o dai proprietari degli animali in zone segnalate come significative per la presenza dei roditori (canili e aziende zootecniche), mentre altri sono stati rinvenuti morti, accidentalmente o a causa di somministrazione di rodenticidi. Sulla base delle loro caratteristiche morfologiche sono stati successivamente identificati e sottoposti ad esame autoptico.

Durante la necroscopia sono stati prelevati n° 17 campioni di sangue di ratto mediante puntura cardiaca; n° 4 campioni di urine (tre di ratto ed una di topo) ed n° 114 organi (n° 7 campioni di fegato e n° 107 di reni). Tali campioni sono stati sottoposti al protocollo previsto per la diagnosi di leptospirosi.

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7.2 Esami di Laboratorio

Tutti gli esami sono stati effettuati presso il laboratorio di Sieroimmunologia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, unico centro presente nel territorio regionale in cui si eseguono test diagnostici per la sorveglianza delle Leptospirosi animali ed umane.

MAT

I campioni di siero dei cani e dei roditori (sia il siero acuto che quello convalescente) sono stati testati per la ricerca di anticorpi (IgM e IgG) anti-leptospira mediante il test di agglutinazione microscopica (MAT). La prova è stata eseguita su tutti i campioni, usando un pannello di 8 antigeni scelti tra quelli riscontrati con maggior frequenza in Sardegna e utilizzando un corredo di antigeni costituito dalla collezione dei ceppi coltivati in laboratorio (Tab. 4).

Genospecie Sierogruppo Serovar Ceppo

L. interrogans Sejroe Hardjo Hardjoprajitno n°224

L. kirschneri Grippotyphosa Grippotyphosa Moska V n°54

L. interrogans Australis Bratislava Riccio 2 n°47

L. interrogans Pomona Pomona Pomona n°222

L. borgpetersenii Tarassovi Tarassovi Mitis Johnson n°6

L. interrogans Icterohaem. Icterohaem. RGA 20

L. interrogans Icterohaem. Copenhageni Wijnberg n°1

L. interrogans Canicola Canicola Alarik n°2

Tab. 4: Elenco ceppi usati come antigeni nella MAT.

I ceppi sono mantenuti in terreno EMJH in tubi da 10 ml e sono passati settimanalmente; si utilizzano colture di almeno 4 giorni e non oltre 14 giorni. Prima di ogni prova l’antigene viene diluito ad una concentrazione di 1-2 x 108

leptospire/ml previa lettura mediante camera Petroff-Hauser.

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I sieri sono inizialmente esaminati ad una diluizione 1:100 (test di screening) e, nel caso di positività e al fine di determinare il titolo del siero nei confronti di ciascun serovar, sono successivamente testati a diluizioni superiori (test di titolazione).

Il test di screening è effettuato con campioni di siero prediluiti 1:50 in soluzione fisiologica cui vanno aggiunti 50 µl di antigene da testare (diluizione finale 1:100); si allestiscono alla stessa maniera i controlli positivi specifici per ogni serovar ed i controlli negativi, costituiti da solo antigene. La piastra viene quindi incubata in termostato a 29°C per 2 h (Fig. 5).

Fig 5: Immagine di una piastra microtiter.

I campioni risultati positivi al test di screening vengono diluiti scalarmente (diluizioni scalari su base 2, fino al valore di 1:12800) e messi a contatto, nelle stesse condizioni della prima parte della prova, con l’antigene nei confronti del quale è stata evidenziata la reazione.

Dopo l’incubazione una goccia della miscela antigene-anticorpo viene esaminata mediante osservazione microscopica in campo oscuro. La lettura dei risultati viene fatta comparando la densità delle leptospire nelle varie miscele con la densità delle leptospire nella sospensione di controllo.

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La reazione è considerata positiva quando oltre il 50% delle leptospire è agglutinato, viceversa è negativa quando più del 50% delle leptospire restano libere: il titolo è definito come la più alta diluizione del siero nella quale le leptospire sono agglutinate

Agglutinati osservati in diluizioni da 1:400 in su definiscono convenzionalmente la positività del campione ai fini dell’inoltro della notifica ufficiale. Tuttavia nel nostro lavoro ai fini della valutazione della prevalenza sono stati presi in considerazione tutti i titoli uguali o maggiori di 1:100, in accordo con le indicazioni del Centro Nazionale di riferimento per le leptospirosi (IZS Lombardia ed Emilia Romagna).

ESAME COLTURALE

Le prove di isolamento colturale in terreno selettivo sterile EMJH reso semisolido con l’aggiunta dello 0,1% di agar sono state eseguite a partire da omogenati di organi e/o tessuti, sangue intero e urine. Il terreno EMJH, costituito da una base e da un supplemento contenente albumina, è stato mescolato in rapporto 9:1.

Per la preparazione si sono utilizzati i seguenti prodotti:

 Bacto Leptospira Medium Base EMJH (Difco);

 Bacto Leptospira Enrichment EMJH (Difco).

Per 1 litro di terreno vengono sciolti 2,3 gr. di Bacto Leptospira Medium Base EMJH in 900 ml di acqua distillata; dopo aver autoclavato a 121°C per 30 min., si aggiungono sterilmente 100 ml di Bacto Leptospira Enrichment EMJH.

Relativamente alla semina dei campioni, si è proceduto come segue:

 organi e/o tessuti: 1 ml di omogenato d’organo ottenuto dalla omegeinizzazione mediante l’ausilio di un potter di 1g di tessuto prelevato tra corticale e midollare nel caso di campioni di rene

 sangue: 1 ml di sangue intero prelevato sterilmente in provette da emocromo con anticoagulante EDTA;

 urine: 1 ml di campione prelevato sterilmente

I volumi descritti sono stati inizialmente diluiti 1:10 in terreno EMJH liquido e da questo si è proceduto con diluizioni scalari in tre tubi di terreno EMJH semisolido.

L’incubazione delle colture è avvenuta in condizioni di aerobiosi a 28-30°C in termostato al buio e protratta per almeno 60 gg. Le colture sono state esaminate al

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microscopio in campo scuro settimanalmente trasferendo una goccia su vetrino porta-oggetto per valutare la presenza di leptospire raggruppate nell’agar o libere, riconoscibili per la morfologia a spirale e la motilità.

PCR

Allo scopo di migliorare la sensibilità, la specificità e la rapidità dei saggi diagnostici attualmente in uso nel Laboratorio si sono utilizzate metodiche molecolari per la diagnosi di Leptospirosi, basate sulla reazione a catena della polimerasi (PCR).

Trattamento del campione di urine

Le urine sono state trasferite in una provetta sterile e centrifugate a 1500 rpm per 5-10 min; un 1 ml di surnatante è stato successivamente centrifugato a 13.000 rpm per 15’; dopo aver eliminato il surnatante sono stati aggiunti 500 µl di H2O mQ sterile e centrifugati a 13.000 rpm per 15’. Dopo aver allontanato il surnatante e il pellet è stato sottoposto a bollitura per 10’ a 100°C.

Trattamento degli organi

Sono stati prelevati sterilmente 25 mg di tessuto renale e/o epatico. Si è proceduto al l’estrazione del DNA con DNeasy Blood & Tissue Kit (QIAGEN).; la qualità e la quantità del DNA estratto è statovalutata allo spettrofotometro.

Schematicamente un ciclo di PCR è composto da tre fasi:

 denaturazione: per uno o più minuti a 94-96 C per separare il DNA nei suoi due filamenti;

 anealing: per uno o più minuti a temperatura comprese tra 50°e 72°C per permettere l’appaiamento dei primers al DNA;

 estensione: per uno o più minuti a 72°C durante i quali la DNA polimerasi si lega al DNA in corrispondenza dei primers e sintetizza il filamento corrispondente a partire da ciascun primer.

Ogni ciclo ha prodotto il raddoppiamento della sequenza compresa tra i due primers. L’amplificazione è quindi esponenziale: al termine di n cicli si ottengono 2n

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frammenti di DNA. Per la classica analisi routinaria il laboratorio ha adottato la coppia di primers LigA e LigB, che amplifica un frammento di 331 bp del gene 16S rRNA specifico per Leptospire Patogene (SPP);

Per questa coppia di primers si prepara la miscela di reazione, tenendo conto che la quantità deve eccedere di un campione:

H2O mQ sterile 34,8 µl Buffer 10X 5,0 µl MgCl2 50 mM 2 µl dNTPs 5 mM 4,0 µl Primer 50 µM 1 µl Primer 50 µM 1 µl

Taq polimerasi 5U/µl 0,2 µl

Distribuire 48 µl della miscela in tante provette quanti sono i campioni di DNA, più un controllo positivo rappresentato da DNA di Leptospira (K+) e un controllo negativo costituito da acqua (K-). Aggiungere in ciascuna provetta per ogni campione 2 µl di DNA. Trasferire le provette nel termociclatore avviando l’apposito programma. L’amplicone viene analizzato mediante elettroforesi in gel pre-cast al 2% di agarosio (Invitrogen). Tutte le reazioni di amplificazione vengono eseguite su apparecchio thermal cycler GeneAmp PCR System 9700 (Applied Biosystem).

Un totale di n°106 campioni di organi (n° 100 roditori e n° 6 cani), n° 21 di urine (n° 18 di cane e n° 3 di roditore) e n° 2 di sangue (di cane) con anticoagulante sono stati saggiati con tale prova.

Tipizzazione molecolare mediante VNTR.

Nel genoma di Leptospira spp sono state individuate diverse sequenze di inserzione (IS) e un largo numero di brevi sequenze ripetute, con una tipica struttura a tandem. Questi polimorfismi ripetuti in tandem vengono chiamati Variable Number of Tandem Repeats (VNTR), ampiamente utilizzati per l’individuazione di fingerprinting negli eucarioti superiori e nell’uomo.

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L’analisi di database di ripetizioni in tandem mostra che il genoma di L. interrogans contiene un largo numero di ripetizioni con motivi di sequenza lunghi anche 100bp. Presso il laboratorio i ceppi della collezione e gli eventuali isolati vengono analizzati con tre coppie di primers: VNTR-4, VNTR-7 e VNTR-10, specifici per L. interrogans, e VNTR-Lb4 e VNTR-Lb5 specifici per L. borgpetersenii.

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8. RISULTATI 8.1 Cani.

Dalla disamina delle schede segnaletiche è risultato che, rispetto alla popolazione di n° 1296 cani, 654 (50,5%) erano di sesso femminile ed i restanti 642 (49,5%) di sesso maschile; relativamente all’età i cani sono stati divisi in tre classi:

- giovani (≤ 2 anni, n°191 – 14,7%),

- adulti (tra i 2 e gli 8 anni, n°673 – 51,9%), - anziani (≥ 8 anni, n°432 – 33,3%).

La quasi totalità della popolazione (93%) è costituita da cani vaganti ospitati nei canili, di taglia prevalentemente medio-grande (86%). Circa l’88% del nostro campione di cani è stato regolarmente sottoposto a profilassi vaccinale nei confronti di L. canicola e L. icterohaemorrhagiae.

Il test di microagglutinazione ha evidenziato 164 positività (13%) ad uno o più serovar e di esse l’89% (n° 154) è riferito a cani ospitati nei canili ed il restante 11% (n° 10) è relativo ai cani di proprietà (Tab. 5).

CANILE

n° cani esaminati MAT n° cani positivi MAT

A 63 20 B 298 4 C 41 9 D 100 8 E 50 7 F 149 34 G 49 1 H 194 32 I 31 0 L 160 29 M 73 10 PRIVATI // 88 10 tot 1296 164 (13%)

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La Figura 6 riporta la distribuzione percentuale delle positività riscontrate negli 11 canili e nel gruppo dei privati.

Fig. 6: Distribuzione percentuale delle positività.

Rispetto all’età, la maggiore sieropositività (n° 96 soggetti) è stata riscontrata nei cani adulti (fascia >2 ≤ 8), mentre la minore positività (n° 12 soggetti) si è osservata nei cani giovani (Fig. 7). Non si riscontrano differenze significative rispetto al sesso (Fig. 8), mentre, relativamente alla taglia, quella media è risultata maggiormente interessata (66%) (Fig. 9). 20% 1% 14% 5% 9% 14% 1% 10% 0% 11% 8% 7% A B C D E F G H I L M PRIVATI 10% 14%

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Fig. 7: Sieropositività per fasce di età.

Fig. 8: Sieropositività in base al sesso.

F M 49%

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Fig. 9: Sieropositività in base alla taglia.

La quasi totalità dei cani positivi appartiene alla categoria dei randagi ospitati presso i canili (Fig. 10).

Fig. 10: Sieropositività in base alla categoria. 19% 66% 15% Grande Media Piccola 3% 2% 94% 1% caccia compagnia randagio rurale

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Relativamente alla vaccinazione, la positività sierologica è stata riscontrata su:

 87 cani vaccinati da meno di un anno,

 su 51 vaccinati da oltre un anno e

 su 26 mai vaccinati o comunque con anamnesi sconosciuta (Fig. 11).

Fig. 11: Sieropositività in base alla vaccinazione.

Il 57% delle sieropositività è ascrivibile ad un unico serovar, mentre nel restante 43% a due o più sierotipi, in particolare: 51 cani hanno reagito verso due, 18 verso tre e 1 verso quattro (Fig. 12).

Fig.12: Sieropositività singola e multipla. 16% 53% 31% Mai Meno di un anno Più di un anno

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Titoli bassi (compresi tra 1:100 e 1:200) sono stati riscontrati nel 85% delle reazioni osservate, titolo compresi tra 1:400 e 1:800 nel 13% e titoli superiori (1:1600- 1:3200) nel restante 2 % (Fig. 13).

Fig. 13: Distribuzione dei titoli nei campioni positivi.

I serovar prevalenti sono risultati quelli appartenenti al sierogruppo Icterohaemorrhagiae (L. icterohaemorrhagiae e L. copenhageni) nel 72% delle reazioni osservate, da L. Bratislava nel 13%, da L canicola nel 9% ed infine da L. grippotyphosa nel 6%. (Fig. 14).

Fig. 14: Serovar prevalenti. 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

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I 26 cani risultati positivi su cui è stato eseguito il secondo prelievo ematico a distanza di 3 settimane circa dal primo erano distribuiti in 6 differenti canili (Tab. 6). La MAT ha messo in evidenza n°14 soggetti positivi per L. icterohaemorrhagiae (serovar predominante), n°12 per L. bratislava (serovar predominante ). La sieroconversione (aumento del titolo di 3/4 volte) è stata osservata in 3 soggetti su 14 positivi per il serovar Icterohaemorrhagiae ed in 3 su 12 positivi per il serovar Bratislava.

È stato possibile apprezzare sintomatologia clinica aspecifica e i parametri epatici e renali alterati solamente in un cane del canile G, ad una settimana dal primo prelievo ematico che aveva evidenziato un titolo di 1:1600 per L. bratislava. L’anamnesi del soggetto era sconosciuta, essendo stato ricoverato nel canile da meno di un mese; nel frattempo era stato trattato farmacologicamente per altre infezioni in atto, per cui il mancato isolamento di Leptospira spp dalle urine potrebbe essere giustificato dalla terapia effettuata, mentre la presenza del DNA del patogeno è stata messa in evidenza con la PCR. L’isolamento colturale e la PCR eseguiti sui restanti campioni di urine hanno dato costantemente esito negativo, così come i parametri della funzionalità epato-renale non risultavano alterati (Tab. 7).

Il cane n° 7 di cui alla tabella 6 era un soggetto di 18 anni che al primo prelievo di screening ha presentato un titolo di 1:200 sia per L. icterohaemorrhagiae che per L. copenhageni. Poiché il cane era stato sottoposto a vaccinazione da meno di un anno, non si è ritenuto opportuno valutare una eventuale sieroconversione. A distanza di un anno, a seguito della segnalazione da parte del direttore sanitario del canile, il cane presentava ittero (Fig. 15, 16 e 17), febbre seguita da ipotermia, leucocitosi, parametri epatici alterati ed un titolo di 1:1600 per L. icterohaemorrhagiae, 1:400 per L. bratislava ed 1:200 per L. pomona. In considerazione dell’aggravarsi delle condizioni generali, il cane è stato sottoposto ad eutanasia; all’esame autoptico è stata riscontrata la presenza di un ittero generalizzato e di formazioni tumorali a carico di fegato, rene, milza e pancreas. I campioni biologici prelevati (sangue, urine e organi) e sottoposti al protocollo diagnostico (PCR e isolamento colturale) hanno dato esito negativo.

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SEROVAR (TITOLO)

cane prelievo Bratislava Canicola. Copenhageni Icterohaemorrhagiae 1 1° 1:100 1:400 1:400 2° 1:100 1:400 1:1600 2 1° 1:200 1:200 1:400 2° 1:800 1:200 1:800 3 1° 1:200 1:400 2° 1:200 1:1600 4 1° 1:200 1:200 1:200 1:400 2° 1:800 1:200 1:400 1:800 5 1° 1:1600 1:3200 2° 1:400 1:3200 1:12800 6 1° 1:400 1:400 2° 1:400 1:400 7 1° 1:200 1:200 2° 1:400 1:1600 8 1° 1:400 2° <1:100 9 1° 1:400 2° 1:200 1:400 10 1° 1:200 1:400 2° 1:400 11 1° 1:400 1:100 1:400 2° 1:400 1:100 1:400 12 1° 1:200 1:400 2° 1.200 1:200 1:400 13 1° 1:400 2° 1:400 14 1° 1:100 2° <1:100 15 1° 1:1600 2° 1:1600 16 1° 1:800 2° 1:3200 17 1° 1:200 2° 1:400 18 1° 1:400 2° 1:400 19 1° 1:400 1:100 2° 1:800 1:100 20 1° 1:1600 2° 1:3200 21 1° 1:400 2° 1:200 22 1° 1:3200 2° 1:100 1:1600 23 1° 1:400 1:800 2° 1:100 1:800 24 1° 1:800 2° 1:400 25 1° 1:200 2° 1:800 26 1° 1:400 2° <1:100 27 1° 1:400 2° 1:100 1:400

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Specie Tipo

campione Esame colturale PCR

n° testati n° positivi n° testati n° positivi cane

rene 3 // 3 //

fegato 3 // 3 //

urine 18 // 18 1

sangue 2 // 2 //

Tab. 7 : Risultati delle prove colturali e biomolecolari sui cani.

Cani di proprietà. Su n°88 esaminati, n°10 sono risultati positivi; di questi n°6 erano stati vaccinati da più di un anno, n°2 da meno di un anno e n°2 mai vaccinati. I sierotipi prevalenti sono stati L. bratislava e L. grippotyphosa in n°8 soggetti, un cane è risultato reattivo nei confronti di L. canicola ed uno per L. copenhageni

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8.2 Roditori.

Sulla base delle caratteristiche morfologiche sono stati identificati come Rattus rattus n° 158 soggetti, Rattus norvegicus n° 2, Apodemus sylvaticus n° 70 e Mus musculus n°7.

Sono risultati negativi alla MAT n° 17 campioni di siero di ratto, come pure sono risultati batteriologicamente negativi tutti i campioni di urine. Leptospira spp è stata isolata da n° 4 e da n° 2 campioni di rene di ratto (2,5%) e di topo (3,8%) rispettivamente. Tre campioni di fegato (2 di topo ed uno di ratto) e 25 di rene (di cui 14 di ratto e 11 di topo) sono risultati PCR positivi (Tab.8).

L’analisi VNTR ha permesso di classificare gli isolati dai roditori come L. borgpetersenii, mentre sono ancora in corso i test per l’attribuzione di serovar.

Specie Tipo

campione Esame colturale PCR MAT

Testati Positivi Testati Positivi Testati Positivi

ratto rene 71 4 58 14 fegato 4 // 4 1 urine 3 // // // siero 17 // rene 36 3 35 11 topo fegato 3 // 3 2 urine 1 // //

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