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Prima crisi convulsiva non febbrile in eta' evolutiva: casistica della clinica pediatrica.

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INDICE

1. INTRODUZIONE ... 1

1.1 Definizioni: la crisi convulsiva e l’epilessia ... 1

1.2 Epidemiologia ... 2

1.3 Approccio alla prima crisi convulsiva ... 3

1.4 Meccanismi elettrofisiologici alla base di una crisi convulsiva ... 4

1.5 Semeiologia e classificazione ... 5

1.6 Eziologia della prima crisi convulsiva afebbrile ... 20

1.7 Classificazione eziologica delle epilessie ... 23

1.8 Scopo della tesi ... 26

2. MATERIALI E METODI... 29

3. CASISTICA ... 34

4. RISULTATI E DISCUSSIONI ... 36

5. CONCLUSIONI ... 60

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1. INTRODUZIONE

1.1 Definizioni: la crisi convulsiva e l’epilessia

Il termine “crisi convulsiva” descrive una manifestazione clinica parossistica, caratterizzata da una varietà di segni e sintomi neurologici, dovuti all’insorgenza episodica di una scarica rapida, improvvisa, ipersincrona e simultanea di una popolazione più o meno estesa di neuroni che fanno parte della sostanza grigia dell’encefalo1

. Tale attività determina una disorganizzazione della funzione cerebrale, che si manifesta con fenomeni positivi di eccitazione (motori, psichici, somatosensoriali) o negativi (perdita di conoscenza, perdita di tono) o un'associazione dei due2.

La crisi è l’evento elementare il cui ripetersi definisce l’“epilessia”, sindrome clinica eterogenea per eziologia e presentazione, caratterizzata dalla ripetizione di almeno due crisi parossistiche, non sintomatiche di una lesione acuta del sistema nervoso. Secondo la definizione proposta nel 2005 dalla ILAE, l’epilessia è un disturbo cerebrale, caratterizzato da una predisposizione, durevole nel tempo, a generare crisi epilettiche e dalle conseguenze neurobiologiche, cognitive, psicologiche e sociali di tale condizione1.

1.2 Epidemiologia

I disordini convulsivi rappresentano il più comune e anche il più allarmante disturbo neurologico in età evolutiva3. Si stima che una percentuale di bambini compresa tra il 4 e il 10 %, abbia almeno una crisi nel corso dei primi 16 anni di vita4. Gli episodi critici di tipo convulsivo costituiscono l’1% di tutte le cause di accesso al Pronto Soccorso5 in età pediatrica.

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2

Una prima crisi convulsiva nel bambino può riconoscere svariate eziologie e, nell’ambito di tutti i disordini convulsivi dell’infanzia, si possono distinguere due grandi categorie: i disturbi convulsivi non epilettici e le crisi epilettiche. Nel capitolo dei disturbi convulsivi non epilettici sono incluse le convulsioni neonatali sintomatiche, le “convulsioni febbrili” ed altre convulsioni occasionali.

La più alta incidenza di crisi si ha nei bambini sotto i 3 anni, mentre decresce con il progredire dell’età6

.

Numerosi studi mettono in evidenza come le “convulsioni febbrili” siano il più comune tipo di crisi osservato nell’infanzia, in particolare nei bambini sotto i 5 anni di età7-9

, con un picco massimo nel secondo anno di vita. Esse corrispondono al 30% delle manifestazioni convulsive di tutta l’età evolutiva con un’incidenza stimata fra il 2 e il 5% in Europa e in America10 e del 7-8% nei Paesi in via di sviluppo, a causa dello scarso controllo della temperatura, della maggiore frequenza di episodi febbrili e delle situazioni igienico-sanitarie meno organizzate. La presenza di febbre, in genere superiore a 38,5°C, rappresenta, infatti, un fattore essenziale per lo sviluppo di questa patologia. La convulsione febbrile è anche la prima causa di accesso al Pronto Soccorso pediatrico per crisi convulsiva11. La Consensus Conference del National Institute of Health definisce una crisi convulsiva febbrile “un evento dell’infanzia che insorge abitualmente tra i 3 mesi e i 5 anni di età, associato a febbre, ma senza segni di un’infezione intracranica o in assenza di una causa scatenante nota”. La familiarità ricopre un ruolo principale nell’eziopatogenesi di tale disturbo. Nella maggior parte dei casi, le convulsioni febbrili costituiscono un evento autolimitante: in assenza di danni cerebrali preesistenti, la prognosi delle convulsioni febbrili è ottima, pertanto non è necessario alcun trattamento specifico.

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3

Il tasso di incidenza della prima crisi non febbrile nei bambini è, invece, compreso tra 89 e 134 su 100.000 l’anno12; mentre l’incidenza dell’epilessia è approssimativamente di 41 su 100.000 per anno13.

1.3 Approccio alla prima crisi convulsiva

Il verificarsi di una prima crisi convulsiva nel bambino, specie se di discreta durata, crea un notevole coinvolgimento emotivo nella famiglia e, spesso, anche in ambito medico. Di fondamentale importanza, da parte dei medici di Pronto Soccorso, è un approccio attento e accurato al problema. In acuto, il medico dovrebbe sempre indagare, tra le possibili cause dell’evento, quelle situazioni potenzialmente a rischio di vita come meningiti, sepsi sistemica, trauma cranico intenzionale e non, ingestione di farmaci o droghe d’abuso e presenza di altre tossine.

Una manifestazione convulsiva non è, infatti, sempre sinonimo di epilessia, ma può essere il sintomo di svariate situazioni patologiche che interessano il sistema nervoso centrale.

Le notizie sulla manifestazione clinica della crisi convulsiva derivano dal racconto dei genitori o di chi, per essi, ha assistito all’evento. È molto importante che il medico di pronto soccorso che per primo si approcci al bambino con crisi convulsiva, riesca ad ottenere una descrizione quanto più accurata possibile dell’episodio, per riuscire a capire la tipologia della crisi e il contesto di presentazione. Spesso i genitori, sopraffatti dalla preoccupazione del momento, non riescono a riferire un rapporto dettagliato dell’evento, in particolare per quanto riguarda la durata, che essi tendono, spesso, a sovrastimare. Per la diagnosi, invece, sono essenziali le caratteristiche cliniche di presentazione della crisi convulsiva, oltre alla morfologia, anche la durata, la presenza o meno di febbre, l’insorgenza diurna o notturna, nel sonno oppure al risveglio.

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4

È doveroso impostare, successivamente, un inquadramento diagnostico adeguato per giungere a una corretta diagnosi, non solo per la famiglia, ma soprattutto per il bambino stesso e per la sua qualità di vita futura.

1.4 Meccanismi elettrofisiologici alla base di una crisi convulsiva

La comparsa di una scarica epilettica presuppone l’esistenza di un’anomalia, costituzionale o acquisita, dell’eccitabilità neuronale. I neuroni epilettici presentano, in effetti, alcune caratteristiche elettrofisiologiche comuni14:

- capacità di generare scariche parossistiche autonome e prolungate, che possono essere modulate dalle afferenze sinaptiche;

- capacità di dare origine a scariche ad altissima frequenza per depolarizzazione brutale del potenziale di riposo;

- capacità di generare focolai epilettici a distanza per via transinaptica.

Il meccanismo scatenante la crisi non è noto con certezza, ma sono implicati diversi meccanismi elettrofisiologici e biochimici. L'attacco è provocato da un gruppo di neuroni in grado di generare una scarica, disattivando il sistema inibitorio GABA-ergico. La trasmissione della scarica dipende invece da sinapsi eccitatorie glutaminergiche. Si pensa che la crisi epilettica possa essere determinata da tre meccanismi patologici principali15:

- modificazioni dell'attività di alcuni canali ionici cerebrali, meccanismo confermato dal ritrovamento, in pazienti epilettici, di specifiche anomalie genetiche dei canali del Na+, del Ca2+ e del K+;

- diminuzione dei meccanismi di inibizione sinaptica, evidenza data da alterazioni genetiche di subunità dei recettori GABA;

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5

- aumento dei meccanismi di eccitazione sinaptica, come dimostrato da alterazioni genetiche sperimentali dei recettori o trasportatori del glutammato. Nella popolazione pediatrica, va segnalato che alcuni tipi di crisi epilettiche sono età - specifiche, suggerendo che vi sia un legame con il processo di maturazione cerebrale.

1.5 Semeiologia e classificazione

La semeiologia clinica delle crisi convulsive dipende dall’origine topografica e dalla propagazione anatomica delle scariche neuronali nel cervello.

La classificazione delle crisi convulsive e delle varie forme di epilessie e sindromi epilettiche è un lavoro tutt’oggi oggetto di studio e un processo ancora in continua evoluzione. Come affermato già da Henry Gastaut nel 1964, “tutti i tentativi di classificare le crisi epilettiche sono gravati dalla nostra limitata conoscenza dei processi cerebrali sottostanti; ogni classificazione che venga proposta necessita sempre di ulteriori modifiche, in accordo con l’avanzare delle nostre conoscenze in materia di epilessia”16

.

A 50 anni di distanza, il problema classificativo non è ancora stato risolto e permangono notevoli difficoltà e problematiche, del tutto comprensibili, considerata la vastità e la complessità del disturbo epilettico.

La prima classificazione Internazionale delle crisi epilettiche è stata proposta nel 1981 da una commissione della ILAE (International League Against Epilepsy)17 (tabella 1.1). Essa distingue, in base alla concordanza dei criteri clinici ed EEG, tre gruppi principali di crisi epilettiche: le crisi generalizzate, le crisi parziali e quelle non classificabili. Nelle crisi generalizzate, la scarica parossistica, estesa ai due emisferi, interessa simultaneamente la totalità della corteccia cerebrale, con manifestazioni motorie che, da subito, sono bilaterali e simmetriche; nelle crisi parziali o focali, la scarica parossistica

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6

inizia, invece, da una regione corticale limitata, detta focolaio epilettogeno, e da essa può secondariamente generalizzare.

Tale classificazione ha rappresentato, per lungo tempo, un vocabolario universale, facilitando la comunicazione tra i clinici, ma anche ponendo le basi tassonomiche fondamentali per la ricerca sull’epilessia18

.

Tab. 1.1 Classificazione Internazionale delle Crisi Epilettiche (1981) 1. CRISI GENERALIZZATE 1.1 Assenze a. Assenze b. Assenze atipiche 1.2 Crisi miocloniche 1.3 Crisi cloniche 1.4 Crisi toniche 1.5 Crisi tonico-cloniche 1.6 Crisi atoniche

2. CRISI PARZIALI (FOCALI) 2.1 Crisi parziali semplici

a. con segni motori

b. con segni somatosensitivi o sensoriali c. con segni vegetativi

d. con segni psichici 2.2 Crisi parziali complesse

a. esordio parziale semplice seguito da alterazione della coscienza e/o da automatismi b. con alterazione della coscienza dall’inizio della crisi, accompagnata o no da automatismi 2.3 Crisi parziali secondariamente generalizzate

a. Crisi parziali semplici secondariamente generalizzate b. Crisi parziali complesse secondariamente generalizzate

c. Crisi parziali semplici evolventi in una crisi parziale complessa poi in una generalizzazione secondaria.

3. CRISI NON CLASSIFICATE

Nel 1983, un colloquio di epilettologi, tenutosi a Marsiglia19, ha ispirato la creazione di una classificazione organica delle epilessie del bambino e dell’adolescente e, nel 1989, è stata adottata la prima Classificazione Internazionale delle Epilessie e Sindromi Epilettiche (CIESE)20 (tabella 1.2), in cui viene, per la prima volta, introdotto il concetto di sindrome epilettica. Gli scopi che hanno guidato la realizzazione di un raggruppamento sindromico delle epilessie sono stati:

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7

- facilitare l’inquadramento diagnostico, individuando le strategie di esami complementari da eseguire;

- razionalizzare il trattamento delle varie forme; - autorizzare giudizi prognostici;

- facilitare la comunicazione fra gli epilettologi, per l’unificazione e la validazione dei lavori scientifici.

L’identificazione di una sindrome epilettica si basa sulla connessione di più segni: tipo di crisi, gravità e ricorrenza, età di esordio, dati anatomici, fattori scatenanti, storia familiare, sviluppo cognitivo (nel bambino la comparsa di un arresto o di una regressione dello sviluppo o la preesistente storia di un ritardo o di altri disturbi neurologici orienta per un'eziologia sintomatica), risultati dell'esame neurologico, dati EEG (incluso il ritmo di fondo).

La CIESE si fonda su due assi, quello sintomatologico e quello eziopatogenetico. Sulla base dell’asse sintomatologico si distinguono:

- le epilessie generalizzate, nelle quali tutte le crisi sono generalizzate e le manifestazioni motorie, se presenti, sono bilaterali da subito. Le corrispondenti manifestazioni EEG critiche e intercritiche sono scariche di punte, complessi punta-onda o polipunta-onda bilaterali, sincroni e simmetrici; - le epilessie parziali o focali, nelle quali le crisi originano da un focolaio epilettogeno ovvero da una regione limitata delle strutture corticali. È possibile una generalizzazione secondaria delle crisi. Le alterazioni EEG sono unilaterali e focali.

L’asse eziopatogenetico distingue invece tra epilessie idiopatiche, epilessie sintomatiche ed epilessie criptogenetiche.

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Tab. 1.2 Classificazione Internazionale delle Epilessie e Sindromi Epilettiche (1989) 1. EPILESSIE E SINDROMI EPILETTICHE FOCALI

1.1 Idiopatiche, età-correlate:

a. Epilessia benigna dell’infanzia a parossismi rolandici b. Epilessia idiopatica dell’infanzia con parossismi occipitali c. Epilessia primaria da lettura (reading epilepsy)

1.2 Sintomatiche e/o criptogenetiche:

Questa categoria comprende sindromi molto varie in funzione della localizzazione e dell’eziologia; se quest’ultima resta ignota è preferibile parlare di epilessia parziale criptogenetica.

2. EPILESSIE E SINDROMI EPILETTICHE GENERALIZZATE 2.1 Idiopatiche, età-correlate; in ordine cronologico:

a. Convulsioni familiari neonatali benigne b. Convulsioni neonatali benigne

c. Epilessia mioclonica benigna dell’infanzia d. Epilessia-assenza dell’infanzia

e. Epilessia-assenza dell’adolescenza f. Epilessia mioclonica giovanile

g. Epilessia con crisi di Grande Male al risveglio h. Epilessie con crisi precipitate da modalità specifiche

(altre epilessie possono essere classificate come generalizzate idiopatiche senza far parte di queste sindromi)

2.2 Criptogenetiche e/o sintomatiche, con in particolare: a. Spasmi infantili (sindrome di West)

b. Sindrome di Lennox-Gastaut

c. Epilessia con crisi mioclono-astatiche d. Epilessia con assenze miocloniche 2.3 Sintomatiche

2.3.1 Senza eziologia specifica

a. Encefalopatia mioclonica precoce

b. Encefalopatia infantile precoce con suppression-bursts (Sd di Ohtahara) c. Altre

2.3.2 Sindromi specifiche

Numerose eziologie metaboliche o degenerative possono essere incluse in questa categoria

3. EPILESSIE IL CUI CARATTERE FOCALE O GENERALIZZATO NON È DETERMINATO

3.1 Con associazione di crisi generalizzate e parziali, con in particolare: a. Epilessia mioclonica grave

b. Epilessia con punte-onde continue durante il sonno lento c. Epilessia con afasia acquisita (sindrome di Landau-Kleffner) 3.2 Senza caratteri generalizzati o focali certi

4. SINDROMI SPECIALI

4.1 Crisi occasionali, legate ad una situazione epilettogena transitoria: a. Convulsioni febbrili

b. Crisi precipitate unicamente da un fattore tossico o metabolico (alcool, stress, dipendenza da farmaci, ipoglicemia, iperglicemia…)

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C’è, oggi, generale accordo sulla necessità di compiere una profonda revisione di tali classificazioni21, che alcuni autori hanno definito come dei sistemi ormai vecchi e inadeguati22.

La motivazione risiede nel progresso e nell’avanzamento delle conoscenze in materia, in particolare per quanto riguarda i meccanismi cerebrali di epilettogenesi e i geni con le loro interazioni, ma anche nella disponibilità di nuovi strumenti diagnostici come la registrazione video-EEG e le più innovative tecniche di neuro-imaging strutturali e funzionali, TC e RMN.

Dal 1997, la “Commissione ILAE sulla Classificazione e Terminologia delle Crisi epilettiche e delle Epilessie”, presieduta da Engel (1997-2005) e da Berg (2005-2009), è impegnata nel rinnovare la vecchia classificazione delle crisi epilettiche18, 23, 24. L’intento che da sempre ha guidato una così impegnativa e complessa riforma è stato quello di incorporare, in una più attuale classificazione, i progressi delle neuroscienze di base e cliniche23.

Nel 200118, Engel propone un nuovo sistema classificativo delle convulsioni e delle sindromi epilettiche, basato su 5 livelli o assi organizzativi, allo scopo di facilitare l’approccio clinico:

- livello 1: terminologia descrittiva dei fenomeni ictali;

- livello 2: classificazione delle epilessie su base patofisiologica e anatomica; - livello 3: classificazione sindromica;

- livello 4: classificazione eziologica;

- livello 5: classificazione in base al grado di compromissione funzionale dovuta all’epilessia.

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Le crisi e le sindromi epilettiche non sono più organizzate secondo classificazioni dicotomiche fisse, ma categorizzate seguendo parametri diversi, sulla base degli aspetti che, di volta in volta, si vogliono considerare.

Nel suo lavoro di revisione del 2001, Engel propone una lista delle varie tipologie di crisi epilettiche come entità diagnostiche che, al pari delle sindromi, hanno proprie implicazioni eziologiche, terapeutiche e prognostiche e possono essere considerate un supplemento alla diagnosi di sindrome epilettica, oppure isolatamente, quando la diagnosi di sindrome non può essere definita (tabella 1.3).

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Tab. 1.3 Classificazione delle crisi epilettiche secondo Engel (2001) Crisi autolimitanti I. esordio generalizzato crisi tonico-cloniche crisi cloniche crisi toniche assenze tipiche assenze atipiche assenze miocloniche crisi miocloniche crisi mioclono-atoniche

mioclonie palpebrali (con o senza assenze) mioclono negativo

spasmi crisi atoniche

crisi riflesse (nell’ambito di sindromi epilettiche generalizzate)

II. esordio focale

A. crisi focali sensoriali

1.con sintomi sensoriali elementari (ad es, le crisi del lobo occipitale e del lobo parietale) 2.con sintomi sensoriali complessi (ad es le crisi della giunzione temporo-parieto-occipitale) B. crisi focali motorie

1. con segni motori clonici elementari

2. con segni motori tonici asimmetrici (ad es. le crisi motorie supplementari)

3.con automatismi tipici, del lobo temporale (ad es. le crisi del lobo temporale mesiale) 4. con automatismi ipercinetici

5. con mioclono focale negativo 6. con crisi motorie inibitorie C. crisi gelastiche

D. crisi emicloniche

E. crisi parziali con secondaria generalizzazione

F. crisi riflesse (nell’ambito di sindromi epilettiche parziali)

Crisi di tipo continuo

I. stato epilettico generalizzato

A. tonico-clonico B. clonico C. tonico D. tipo assenza E. mioclonico

II. stato epilettico focale

A. epilessia parziale continua di Kojevnikov B. aura continua

C. stato epilettico limbico

D. stato emiconvulsivo con emiparesi

Stimoli precipitanti le crisi riflesse

- stimoli visivi (luci, pattern visivi..) - pensieri

- musica - lettura

- acqua calda (bathing epilepsy) - stimoli somatosensitivi - stimoli propriocettivi - spavento

- pasto

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12

Un’importante critica mossa da Engel nei confronti della classificazione del 1989 è legata a quelle sindromi epilettiche non ancora del tutto conosciute, per il cui corretto inquadramento servirebbero dati più precisi. Engel riconosce, infatti, che l’inserimento di una forma di epilessia o sindrome all’interno di una classificazione internazionale può conferire una legittimità inappropriata a un’entità che necessita, invece, di ulteriori studi. Per questa ragione, nel suo lavoro di revisione, Engel distingue quelle sindromi già universalmente accettate dalle epilessie e sindromi ancora in fase di studio e definizione (tabella 1.4).

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Tab. 1.4 Proposta di classificazione delle sindromi epilettiche secondo Engel (2001) Gruppi di sindromi Sindromi specifiche

Epilessie parziali idiopatiche dell’infanzia

Crisi infantili benigne (non familiari)

Epilessia benigna dell’infanzia con punte centro-temporali

Epilessia occipitale benigna dell’infanzia a esordio precoce (tipo Panayiotopoulos)

Epilessia occipitale benigna dell’infanzia a esordio tardivo (tipo Gastaut)

Epilessie parziali autosomiche-dominanti familiari

Crisi neonatali familiari benigne Crisi infantili familiari benigne Epilessia notturna del lobo frontale Epilessia familiare del lobo temporale Epilessia familiare parziale con foci variabili*

Epilessie parziali sintomatiche

(o probabilmente

sintomatiche)

Epilessie limbiche

Epilessia del lobo temporale mesiale con sclerosi ippocampale Epilessia del lobo temporale mesiale definita da eziologie specifiche Altri tipi definiti da sede ed eziologia

Epilessie neocorticali Sindrome di Rasmussen

Sindrome emiconvulsioni-emiplegia Altri tipi definiti da sede ed eziologia Crisi parziali migranti della prima infanzia*

Epilessie generalizzate idiopatiche

Epilessia mioclonica benigna dell’infanzia Epilessia con crisi mioclono-astatiche Epilessia-assenza dell’infanzia Epilessia con assenze-miocloniche

Epilessie generalizzate idiopatiche con fenotipo variabile Epilessia assenza dell’adolescenza

Epilessia mioclonica dell’adolescenza

Epilessia con sole crisi generalizzate tonico-cloniche Epilessie generalizzate con convulsioni febbrili plus*

Epilessie riflesse Epilessia idiopatica fotosensitiva del lobo occipitale Altre epilessie sensoriali visive

Epilessia primaria da lettura Epilessia da spavento

Encefalopatie epilettiche (in cui le anormalità epilettiformi possono contribuire alla disfunzione progressiva)

Encefalopatia mioclonica precoce Sindrome di Ohtahara

Sindrome di West Sindrome di Dravet

Stato mioclonico in encefalopatia non progressiva* Sindrome di Lennox-Gastaut

Sindrome di Landau-Kleffner

Epilessia con punte-onde continue nel sonno lento

Epilessie miocloniche progressive

Malattia di Unverricht-Lundborg Malattia di Lafora

Epilessia mioclonica con ragged red fibers Ceroido lipofuscinosi

Sialidosi

Crisi che non necessariamente richiedono la diagnosi di epilessia

Crisi neonatali benigne Convulsioni febbrili Crisi riflesse

Crisi da astinenza dall’alcool

Crisi indotte da farmaci o altre sostanze chimiche Crisi post-traumatiche

Crisi isolate singole o in clusters

Crisi che si ripetono raramente (oligoepilessia) *sindromi epilettiche in corso di definizione

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L’obiettivo di tale revisione è fornire un’organizzazione sindromica sufficientemente flessibile da permettere integrazioni (o anche eliminazioni), quando nuove informazioni diventino disponibili.

Con il progredire delle conoscenze, sarà possibile anche una classificazione genetica delle sindromi epilettiche; per il momento non è possibile stabilire, per tutte le forme di epilessia, una sicura correlazione tra alterazioni genetiche ed espressione fenotipica18. Già nella classificazione proposta da Engel, vengono, ad esempio, introdotte le epilessie parziali di tipo familiare con trasmissione autosomica dominante, come le epilessie parziali familiari benigne dell’infanzia, descritte da Vigevano negli anni ’80 - ’9025

. Una nuova entità nosologica è rappresentata anche dalle epilessie riflesse, in cui le crisi possono essere scatenate da stimoli specifici, quali stimoli visivi, l’acqua calda, la lettura e altri.

Engel individua, inoltre, alcune categorie da approfondire, negli anni a seguire, per il lavoro di riforma della classificazione:

- le epilessie autosomiche dominanti; - le encefalopatie epilettiche;

- l’epilessia generalizzata con convulsioni febbrili plus; - le epilessie generalizzate idiopatiche;

- le epilessie parziali idiopatiche; - le epilessie riflesse.

Nel 2006, Engel propone una ulteriore revisione del suo lavoro24, sulla base dei seguenti aspetti e criteri:

- i meccanismi fisiopatologici alla base della manifestazione critica parossistica; - il substrato neuronale nelle diverse strutture cerebrali coinvolte;

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15

- il pattern EEG critico, che riflette specifici meccanismi fisiopatologici e substrati anatomici;

- i pattern di propagazione della scarica parossistica e le manifestazioni post-critiche;

- le sindromi epilettiche associate a un determinato tipo di crisi.

Engel ritiene opportuno mantenere la distinzione tra crisi parziale e crisi generalizzata, dato l’uso comune che si fa, di tale distinzione, nella pratica clinica e considerate anche le implicazioni farmacologiche. Precisa, tuttavia, che nella crisi parziale la regione epilettogena non è necessariamente una regione anatomica circoscritta, né il termine di crisi generalizzata implica che l’intero encefalo sia coinvolto nell’esordio del processo epilettogeno.

Nel lavoro del 2006 Engel fornisce una rivisitazione della classificazione delle tipologie di crisi, sulla base dei criteri precedentemente esposti e una categorizzazione delle sindromi epilettiche per età di insorgenza.

Un ulteriore lavoro di revisione viene proposto, nel 2010, dalla Commissione ILAE presieduta da Berg23. Egli sostiene che fino al 2006 sia stata realizzata unicamente una revisione della terminologia e della nomenclatura e auspica la realizzazione di un nuovo sistema organizzativo delle crisi e delle sindromi epilettiche, che possa avere un impatto tangibile sulla pratica clinica quotidiana, in tutto il mondo.

Proponendo la sua nuova classificazione delle crisi epilettiche (tabella 1.5), Berg puntualizza le definizioni di crisi generalizzata e parziale:

- nella crisi epilettica generalizzata, la scarica origina da un focolaio epilettogeno e rapidamente coinvolge reti neuronali distribuite bilateralmente. Tali reti neuronali bilaterali possono includere strutture corticali e sottocorticali, ma non necessariamente l’intera corteccia cerebrale. Anche se

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l’esordio delle singole crisi può apparire focale, la posizione e la lateralizzazione non sono costanti da una crisi all’altra. Le crisi generalizzate possono essere asimmetriche23;

- le crisi focali, al contrario, originano all’interno di reti neuronali limitate ad un emisfero. Queste possono essere discretamente localizzate o più ampiamente distribuite. Le crisi focali possono originare in strutture sottocorticali. Per ogni tipo di crisi, il focolaio epilettogeno è costante da una crisi all’altra, con pattern di propagazione preferenziali che possono coinvolgere l’emisfero controlaterale. In alcuni casi, si possono avere più di un pattern neuronale e più tipi di crisi ma ogni singola tipologia di crisi ha un sito d’esordio costante23.

Tab. 1.5 Classificazione delle crisi epilettiche (Berg et al. 2010) Crisi generalizzate

Tonico-cloniche (nelle varie combinazioni) Assenze

Tipiche Atipiche

Assenze aventi caratteristiche peculiari Assenze miocloniche Mioclonie palpebrali Miocloniche Miocloniche Mioclono-atoniche Mioclono-toniche Cloniche Toniche Atoniche Crisi focali

Crisi non classificate Spasmi epilettici

Rispetto alla classificazione ILAE del 1981, sono state apportate, da Berg et al., le seguenti modifiche:

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17

- le crisi neonatali non sono più considerate come un’entità nosologica separata, ma possono essere classificate entro lo schema proposto;

- la precedente classificazione delle crisi tipo assenza è stata semplificata e sono state introdotte le assenze miocloniche e le mioclonie palpebrali;

- a differenza della versione precedente, sono stati inclusi, come tipologia di crisi a sé stante, gli spasmi. Il termine di “spasmi epilettici” è stato usato per comprendere sia gli spasmi infantili, sia gli spasmi che continuano a verificarsi anche oltre i 7 mesi di vita oppure insorgono de novo dopo l’infanzia; essi sono stati inseriti in un gruppo a parte, non potendo definirli con sicurezza né crisi parziali, né crisi generalizzate;

- è stata eliminata la vecchia distinzione, nell’ambito delle crisi focali, tra crisi focali semplici e crisi focali complesse; tuttavia, è importante riconoscere che la perdita di coscienza o altri fenomeni discognitivi, come anche la localizzazione e la progressione della scarica parossistica, possono essere di primaria importanza nella valutazione del singolo paziente;

- l’espressione “crisi astatiche” è stata sostituita con “crisi mioclono-atoniche”23

.

Al fine di garantire una certa continuità con la classificazione del 1981, Berg et al. propongono, inoltre, alcuni elementi descrittivi per le crisi focali, che possano facilitarne l’inquadramento da parte dei clinici23, sulla base di quanto descritto da Blume et al. nel 2001, in un lavoro sulla semeiologia critica26 (tabella 1.6).

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18 Tab. 1.6 Elementi per la descrizione della crisi parziale

Crisi parziali senza perdita di coscienza o vigilanza, con componenti motorie o autonomiche (corrispondenti al vecchio concetto di “crisi parziali semplici”)

Crisi parziali con perdita di coscienza o vigilanza (corrispondenti al vecchio concetto di “crisi parziali complesse”)

Crisi parziali che evolvono in una crisi convulsiva bilaterale, con componenti toniche, cloniche o tonico-cloniche (questa nuova espressione sostituisce quella precedente di “crisi parziale con secondaria generalizzazione”)

Gli eventi critici nella loro diversa morfologia rappresentano la componente essenziale dell’epilettologia. È indispensabile avere una definizione e una classificazione precise e comprensibili, anche per permettere un corretto inquadramento delle epilessie.

L’opera di Berg è considerata la maggiore riconfigurazione della classificazione delle sindromi epilettiche27. Per la prima volta, si parla, infatti, di “Organizzazione delle Epilessie”. Viene scelto il nuovo termine di “organizzazione”, in sostituzione di “classificazione”, per sottolineare come sia necessaria una sistematizzazione delle epilessie sulla base degli elementi di maggiore interesse e di alcuni parametri di scelta, ad esempio il tipo di crisi, l’EEG o i referti di neuro-imaging.

La suddivisione delle sindromi elettrocliniche rimane, invece, quasi del tutto immodificata rispetto alla versione degli autori precedenti (Engel 2001-2006), se non per alcune variazioni nella terminologia. Sono abbandonati i vecchi termini “maligne”, “idiopatiche”, “sintomatiche” e “criptogenetiche”, mentre il termine “benigne” è sostituito con l’espressione “autolimitanti e farmacoresponsive”.

Berg distingue, inoltre, due diversi approcci per la diagnosi di epilessia: il dominio delle sindromi elettrocliniche e quello eziologico delle sindromi epilettiche. Per ogni paziente si dovrebbe identificare, secondo Berg, la tipologia di crisi, la sindrome elettroclinica e l’eziologia, ove possibile. Una sindrome elettroclinica è definita dall’età di esordio, dalle tipologie di crisi, dai pattern elettroencefalografici, dalle immagini TC o RMN e

(20)

19

dalle eventuali comorbidità presenti. Esse rappresentano delle entità cliniche distintive, con implicazioni terapeutiche e prognostiche e possono essere associate ad eziologie differenti27.

Alcune critiche sono state mosse al sistema di revisione di Berg et al. del 2010. Secondo Panayiotopoulos21 e altri epilettologi28-34, tale riforma ha avuto, come unico risultato, quello di modificare la nomenclatura e l’interpretazione della precedente classificazione ILAE del 1981, senza apportare sostanziali né concrete innovazioni, rendendo, se possibile, ancora più complesso il quadro. La nuova revisione avrebbe dovuto incorporare le più recenti conoscenze in termini di fisiopatologia, clinica, manifestazioni EEG critiche e intercritiche e nuove procedure diagnostiche, arricchendo e, al tempo stesso, semplificando le nozioni già acquisite in materia. Tale intento sarebbe stato, invece, maggiormente raggiunto, secondo Panayiotopoulos, dal gruppo di Engel, nella sua opera di riforma del 2001-200618, 24, che Berg ha abbandonato e modificato senza apparente giustificazione21.

Malgrado tutti i tentativi di classificazione e inquadramento delle sindromi epilettiche, per un terzo delle epilessie, la diagnosi specifica, in termini di sindrome o eziologia, rimane sconosciuta27.

Nel 2014, la ILAE ha proposto una nuova definizione di epilessia, rivolta ai clinici, ai pazienti e alle loro famiglie. Si tratta di una definizione “pratica”, mirata a consolidare i criteri diagnostici e anche a facilitare le decisioni terapeutiche. L’epilessia è stata ridefinita come “una malattia caratterizzata da una delle seguenti condizioni:

- almeno 2 crisi non provocate (o riflesse) che si verifichino con più di 24 ore di distanza;

(21)

20

- una crisi non provocata (o riflessa) associata ad una probabilità che si manifestino ulteriori crisi che sia simile al rischio di ricorrenza generale (almeno del 60%) che si ha dopo due crisi non provocate, nei 10 anni successivi;

- diagnosi di una sindrome epilettica.

L’epilessia si considera guarita per quei soggetti che hanno una sindrome epilettica età-correlata ma che sono ormai oltre la specifica fascia d’età e per quei soggetti che sono liberi da crisi da 10 anni, senza terapia antiepilettica dagli ultimi 5 anni”35

.

1.6 Eziologia della prima crisi convulsiva afebbrile

Una crisi convulsiva afebbrile può restare, durante il follow up, un evento isolato, occasionale, nella storia clinica del paziente. Non è possibile, in tali casi, porre diagnosi di epilessia, per la quale sono necessarie almeno due crisi non provocate (o riflesse) verificatesi ad una distanza temporale maggiore di 24 ore35.

Una crisi convulsiva isolata può essere definita “provocata” se un fattore agisce in modo transitorio, su una struttura cerebrale anatomicamente e funzionalmente normale, abbassando temporaneamente la soglia di scarica neuronale35.

Una crisi convulsiva è, invece, detta “non provocata”, in assenza di un fattore temporaneo o reversibile, che abbassi la soglia di scarica neuronale nel momento in cui clinicamente si manifesta la crisi35.

Le crisi riflesse, che si verificano in risposta a determinati stimoli scatenanti, sono crisi provocate, per le quali, nonostante ciò, può essere posta diagnosi di epilessia. Infatti, sebbene siano esse crisi provocate36, la tendenza del soggetto a rispondere in modo ripetitivo a uno specifico stimolo, incontra la definizione concettuale di epilessia.

(22)

21

Sono molte le possibili eziologie di una prima crisi epilettica nel bambino, inclusi processi infettivi, disturbi neurologici, problemi dello sviluppo, traumi cranici, tossine e disordini del metabolismo37.

Nei bambini più piccoli, anche le meningiti batteriche possono costituire una causa importante di crisi e sono spesso associate ad una prognosi infausta38, 39. Una crisi epilettica può rappresentare, quindi, il sintomo clinicamente evidente di un processo patologico sottostante, avente numerose possibili cause37:

 processi infettivi ascesso cerebrale encefalite

meningite neurocisticercosi

 cause neurologiche o inerenti lo sviluppo del bambino sofferenza alla nascita

anomalie congenite

malattie cerebrali degenerative encefalopatia ipossico-ischemica sindromi neurocutanee

malfunzionamento di shunt ventricolo-peritoneale  disturbi del metabolismo

ipercapnia ipocalcemia ipoglicemia ipomagnesiemia ipossia

errori congeniti del metabolismo deficit di piridossina

 lesioni traumatiche o vascolari contusione cerebrale accidente cerebrovascolare abuso

(23)

22 trauma cranico

emorragia intracranica  cause tossicologiche

alcol, amfetamine, cocaina, fenciclidina monossido di carbonio

piombo, litio, insetticidi, organofosfati ipoglicemizzanti orali, isoniazide

fenotiazine, antistaminici, anticolinergici salicilati, simpaticomimetici

antidepressivi triciclici, teofillina, anestetici topici

sospensione improvvisa di alcuni farmaci (es. anticonvulsivanti)  crisi idiopatiche o epilessia

 cause ostetriche (eclampsia)  tumori

In letteratura, tra le possibili cause di crisi epilettiche, sono riportate varie situazioni cliniche, molto comuni nella pratica pediatrica, le quali si presentano, a volte, con un coinvolgimento del sistema nervoso centrale e, in particolare, con una crisi epilettica40. Esse includono le gastroenteriti da rotavirus, le bronchioliti da virus respiratorio sinciziale, l’influenza, l’asma, le trasfusioni di sangue e l’assunzione di una serie di farmaci tra cui la teofillina, le cefalosporine, il metronidazolo e, seppur con evidenze discordanti in letteratura41, l’acyclovir40. Per quanto concerne le gastroenteriti da rotavirus, sono state descritte associazioni con crisi epilettiche ma anche con encefalopatia42. Si ritiene che il meccanismo fisiopatologico alla base delle crisi associate con infezioni da rotavirus sia l’infezione diretta transitoria del sistema nervoso centrale43, 44. È riportato in letteratura che, sebbene la maggior parte dei bambini con infezione da rotavirus e coinvolgimento del sistema nervoso centrale guarisca completamente, un certo numero riporta delle sequele importanti, quali ritardo mentale, crisi afebbrili ricorrenti, esame neurologico alterato e qualcuno persino muore42, 45.

(24)

23

Nonostante tali evidenze, non è raccomandato alcun trattamento antiepilettico per le crisi isolate associate a gastroenteriti46, data la prognosi sempre favorevole47, 48.

1.7 Classificazione eziologica delle epilessie

L’epilessia è, da sempre, considerata il sintomo di una patologia neurologica sottostante. Nonostante ciò, tutte le classificazioni proposte nel corso degli anni sono state maggiormente focalizzate sulla semeiologia critica e l’elettroencefalografia30. L’eziologia è, invece, uno dei maggiori determinanti del trattamento, della prognosi e del decorso clinico di una sindrome epilettica30. Una prima forma di suddivisione in base all’eziologia viene menzionata nelle classificazioni internazionali del 1981 e del 1989 e anche nel lavoro di Engel del 2001. Nel 2010, Berg propone, invece, una suddivisione delle epilessie secondo sei categorie eziologiche (cause genetiche, strutturali, metaboliche, immuni, infettive o non note).

Una considerazione dettagliata dell’eziologia di una sindrome epilettica dovrebbe rappresentare un asse organizzativo, avente una dimensione importante, nell’ambito degli schemi classificativi. Grazie ai progressi compiuti nell’ambito delle tecniche di neuro-imaging e nella biologia molecolare, oggi è possibile identificare una base eziologica per molti tipi di epilessie e si può immaginare quanto differente sarebbe stata la classificazione proposta dalla ILAE se, ad esempio, la risonanza magnetica fosse stata introdotta nella pratica clinica prima dell’EEG30

.

Secondo una classificazione eziologica, possono essere distinte quattro categorie di epilessie30:

1. Epilessie idiopatiche: epilessie con origine prevalentemente genetica o presunta tale, in assenza di anomalie neuroanatomiche o neuropatologiche. Sono incluse

(25)

24

le epilessie per le quali si presume una ereditarietà multigenica o complessa, ma le cui basi genetiche non sono ancora state chiarite;

2. Epilessie sintomatiche: epilessie con causa acquisita o genetica, associate ad anomalie cerebrali anatomiche o patologiche e/o a caratteristiche cliniche suggestive di una condizione patologica sottostante. Sono inclusi, in tale categoria, i disordini congeniti e i disturbi dello sviluppo associati a condizioni cerebrali patologiche, ma anche le malattie genetiche nelle quali l’epilessia è solo una caratteristica clinica nell’ambito di un più ampio spettro fenotipico, con un quadro encefalico e sistemico;

3. Epilessie provocate: epilessie in cui uno specifico fattore scatenante rappresenta la causa predominante nello sviluppo delle crisi, in assenza di anomalie anatomiche o patologiche. Alcune epilessie provocate hanno una base genetica, altre sono acquisite, ma in molti casi non se conosce la causa. Le epilessie riflesse sono incluse in questa categoria ed esse sono, di solito, genetiche;

4. Epilessie criptogenetiche: epilessie dalla presunta natura sintomatica, la cui causa non è stata identificata. Il numero di queste epilessie sta progressivamente diminuendo, grazie al progresso delle conoscenze, ma rappresentano ancora una categoria rilevante.

Nell’ambito delle epilessie idiopatiche si ritrovano, quindi, le epilessie dovute a mutazioni di un singolo gene e quelle ad ereditarietà complessa.

Le epilessie sintomatiche comprendono le epilessie con prevalente causa genetica o legate a problemi del neurosviluppo (ad esempio le sindromi epilettiche dell’infanzia, le sindromi neurocutanee, le epilessie miocloniche progressive) e le epilessie da cause congenite o acquisite durante lo sviluppo, fra le quali si riconoscono:

(26)

25 - la sclerosi ippocampale; - cause pre-peri-postnatali; - tumori cerebrali; - infezioni cerebrali; - disturbi cerebrovascolari;

- disordini cerebrali immunologici; - patologie neurologiche degenerative.

In particolare, le epilessie da danno cerebrale, congenito o acquisito, in epoca pre-peri-postnatale, posso essere dovute a:

- fattori prenatali: disgenesie (malformazioni del SNC, malattie metaboliche, sindromi malformative, cromosomopatie), infezioni (toxoplasmosi, citomegalovirus, rosolia), malattie metaboliche materne (diabete, PKU); - fattori perinatali: infezioni, emorragie, sindrome ipossico-ischemica; - fattori postnatali: ipossia postnatale, traumi, meninigiti-encefaliti.

Nelle epilessie provocate, infine, si considerano le epilessie riflesse (epilessie fotosensitive, epilessia da lettura, epilessia da contatto con acqua calda, ecc.) e le epilessie che riconoscono fattori provocativi determinati, quali le epilessie indotte da farmaci, alcool o tossine, da disordini endocrini e del metabolismo o le epilessie catameniali.

È importante sottolineare come, prima dell’avvento della risonanza magnetica dell’encefalo, la maggior parte dei casi di displasia corticale o di sclerosi ippocampale non poteva essere diagnosticata; allo stesso modo, prima dei grandi progressi nel campo delle genetica e della biologia molecolare, non era certamente possibile individuare molte delle cause di epilessia, che oggi invece cominciamo a conoscere e che, negli anni futuri, saranno sicuramente sempre più indagate e approfondite.

(27)

26

1.8 Scopo della tesi

La prima crisi convulsiva afebbrile rappresenta una patologia neurologica diffusa in età pediatrica e un frequente motivo di accesso al Pronto Soccorso; pochi sono, tuttavia, gli studi in letteratura riguardo l’incidenza, l’eziologia e la prognosi di questa patologia. Questo lavoro di tesi si pone l’obiettivo di contribuire ad aumentare le acquisizioni in merito a tale fenomeno.

È stata condotta un’analisi retrospettiva degli accessi al pronto soccorso pediatrico dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pisa dal 1° gennaio 2008 al 31 dicembre 2013. Nel lavoro sono stati inclusi i bambini di età compresa fra 1 mese e 18 anni, che hanno presentato una prima crisi convulsiva non febbrile nell’arco dei 6 anni considerati. Per ciascun paziente, la raccolta dei dati di interesse ha previsto lo studio della relazione di pronto soccorso e della cartella clinica stilata nel corso del ricovero in osservazione. Sono stati analizzati le caratteristiche cliniche della crisi, gli elementi anamnestici personali a partire dall’età gestazionale, le modalità del parto, la presenza eventuale di asfissia-pre-perinatale; eventuali convulsioni febbrili pregresse; fattori di rischio familiari e tutti i possibili fattori acuti scatenanti o causali. È stato indagato il substrato familiare riguardo a fenomeni convulsivi, che può porre le basi di una suscettibilità genetica al verificarsi di tale evento e allo sviluppo di una specifica forma di epilessia (ad esempio nel caso dell’Epilessia con convulsioni febbrili plus, sono ereditate, in maniera autosomica dominante, con trasmissione verticale nelle generazioni, le mutazioni dei geni codificanti per i canali del sodio, SCN1A, SCN1B e SCN2A e per la subunità γ2 del recettore GABAa, responsabili di tale sindrome). Ai fini di un corretto inquadramento diagnostico, sono stati valutati i dati clinici (derivati da un’accurata e attenta raccolta anamnestica) e i risultati delle indagini di laboratorio e strumentali, eseguite al momento dell’accesso in pronto soccorso e ripetute

(28)

27

successivamente, nel caso dei pazienti seguiti poi ambulatorialmente. L’esame elettroencefalografico e, in particolare, gli esami neuroradiologici (TC e/o RMN), sono fondamentali per l’inquadramento eziologico. Una prima crisi convulsiva può, infatti, essere un unico episodio occasionale oppure può rappresentare la prima manifestazione di una epilessia o sindrome epilettica, isolata o nell’ambito di patologie genetiche, neurodegenerative, neuromuscolari, metaboliche e malformative.

Non è sufficiente la semplice diagnosi di epilessia, ma occorre specificarne il tipo, la causa eziologica e la prognosi.

Dalla letteratura emerge che in età pediatrica la prevalenza delle epilessie parziali (58%) è maggiore rispetto alla prevalenza delle epilessie generalizzate (39%)49. Per quanto concerne l’eziologia, le epilessie criptogenetiche o sintomatiche (59%) sono maggiormente rappresentate rispetto a quelle idiopatiche (31%)50. L’avvento della Risonanza Magnetica cerebrale ha portato negli ultimi 10 anni alla cancellazione di numerosi casi di epilessie definite in passato come criptogenetiche, per il riscontro di lesioni epilettogene non rilevabili con le precedenti indagini. Sebbene le epilessie criptogenetiche vadano progressivamente diminuendo, esse rappresentano ancora oggi una larga quota di tutte le epilessie del bambino. Alcuni studi riportano, inoltre, che l’eziologia acuta sintomatica è più comune nei bambini sotto l’anno di età51

.

L’epilessia rolandica è il tipo più frequente di epilessia idiopatica nei bambini e rappresenta l’8-23% delle epilessie in età pediatrica52

, mentre la prevalenza dell’epilessia con assenze dell’infanzia è del 10-12,3% in età evolutiva52

.

La diagnosi errata o mancata di epilessia, determina una serie di ripercussioni importanti. In primo luogo, bisogna considerare l’uso improprio e anche dannoso di farmaci inutili o, al contrario, il mancato impiego di una terapia opportuna; in secondo luogo, non bisogna dimenticare che, dal punto di vista del paziente (ancora di più del

(29)

28

piccolo paziente), l’epilessia si associa ad un rilevante stigma sociale e a ripercussioni psicologiche e cognitive notevoli53.

(30)

29

2. MATERIALI E METODI

Nel presente lavoro di tesi, è stato effettuato uno studio retrospettivo degli accessi al pronto soccorso pediatrico dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Pisa nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2008 e il 31 dicembre 2013, per un totale di sei anni. Sono stati considerati tutti gli ingressi al pronto soccorso pediatrico per prima crisi convulsiva non febbrile, di pazienti in età evolutiva, bambini e adolescenti, di età compresa fra 1 mese di vita e 18 anni. Non è stata prevista la raccolta delle prime crisi convulsive afebbrili verificatesi nei neonati fino a 1 mese di vita, in quanto tali casi afferiscono primariamente al dipartimento di Neonatologia. Sono stati esclusi, inoltre, dalla raccolta, tutti i casi di ingresso per convulsione febbrile e tutti quelli in cui la manifestazione convulsiva non rappresentasse, per il paziente, il primo episodio clinico (ad esempio bambini con precedente diagnosi di epilessia e ingresso al pronto soccorso per ricorrenza di crisi, nonostante la terapia antiepilettica).

La raccolta dei dati ha previsto la consultazione del referto stilato dal medico di pronto soccorso al momento dell’accesso, durante la valutazione in urgenza del paziente: monitoraggio dei parametri vitali, condizioni cliniche, esami ematochimici, EEG ed eventuali TC o RMN encefalo eseguite in urgenza. Una prima crisi convulsiva, specialmente se afebbrile, è una condizione clinica che richiede particolare attenzione da parte dei medici, non solo per quanto riguarda il primo approccio in urgenza, ma anche per la necessità di un successivo corretto inquadramento. Per tutti i casi studiati, dopo l’accesso in pronto soccorso è stato disposto il ricovero del paziente presso la Clinica Pediatrica dell’Azienda Ospedaliera. Ai fini del lavoro è stato possibile studiare, quindi, anche la cartella clinica compilata nel corso dell’osservazione in regime di ricovero. Da tale documento sono state ricavate notizie riguardanti l’anamnesi familiare

(31)

30

e l’anamnesi personale fisiologica e patologica, remota e prossima, del paziente e sono stati studiati tutti gli accertamenti diagnostici, strumentali e non, eseguiti durante i giorni di osservazione. In seguito alla dimissione, la maggior parte dei bambini inclusi nello studio è stata, poi, seguita nei mesi e anche negli anni successivi, presso l’ambulatorio di Neuropediatria della Clinica Pediatrica. Pertanto, sono state consultate anche le cartelle ambulatoriali dei singoli pazienti, al fine di studiarne il follow up successivo al periodo del ricovero e poter rilevare l’eventuale ricorrenza di crisi e gli ulteriori accertamenti diagnostici disposti in elezione.

Alcuni pazienti non hanno seguito, dopo la dimissione dalla Clinica, il percorso ambulatoriale; per tali pazienti il periodo di follow up era pari a zero e si è resa obbligatoriamente necessaria la loro esclusione dalla casistica. In assenza di follow up, infatti, è stato impossibile inquadrare correttamente questi episodi da un punto di vista diagnostico, come crisi isolate oppure come primi episodi di una possibile forma di epilessia.

In base alla data di manifestazione dell’episodio convulsivo, i pazienti inseriti nella casistica hanno un periodo di follow up progressivamente crescente, a partire dai pazienti che hanno presentato l’episodio nei vari mesi dell’anno 2013, fino ai pazienti in cui il primo episodio risale all’anno 2008. Ai fini dello studio sono stati inclusi, quindi, quei pazienti seguiti ambulatorialmente, per i quali fosse disponibile un periodo di follow up minimo di sei mesi. Per i pazienti che hanno avuto la prima manifestazione convulsiva negli anni 2008, 2009 e 2010 è stato, invece, stabilito un periodo massimo di 36 mesi per lo studio del follow up.

Dall’analisi di tutti i documenti suddetti, sono state ricavate, per ogni paziente, le seguenti informazioni:

(32)

31 - genere maschile o femminile;

- morfologia, durata e momento di insorgenza della crisi convulsiva; - eventuali sintomi associati ed eventuali fattori precipitanti la crisi;

- esame neurologico al momento dell’ingresso al pronto soccorso e stato post-critico;

- eventuali recidive a breve, nell’arco delle successive 24-48 ore;

- eventuali diagnosi pregresse e presenza di segni clinici di sindromi neurocutanee o genetiche;

- presenza di familiarità per convulsioni febbrili o epilessia; - pregresse convulsioni febbrili;

- presenza di fattori di rischio pre-perinatali: a) le settimane di età gestazionale;

b) la modalità di espletamento del parto, se eutocico o distocico;

c) l’eventuale asfissia pre-perinatale, con rianimazione o ventilazione meccanica alla nascita;

- eventuali traumi, avvelenamenti o infezioni pregressi o recenti;

- eventuale ritardo nell’acquisizione delle principali tappe dello sviluppo psicomotorio o presenza di disturbi del comportamento;

- indagini diagnostiche effettuate: esami ematochimici (leucociti, sodiemia, potassiemia, calcemia, cloremia, PCR, glicemia), EEG, TC o RMN encefalo (eseguiti in urgenza o successivamente in elezione), prove neurometaboliche, ricerca degli indici di infettività e di eventuali antigeni virali, screening per la celiachia, analisi del liquido cefalorachidiano;

- sviluppo di eventuali sequele neurologiche successive all’episodio critico convulsivo;

(33)

32

- diagnosi dell’evento, stabilita, oltre che sulla base della manifestazione clinica della crisi, anche sulla base degli accertamenti eseguiti successivamente nel corso del follow up.

La raccolta anamnestica ha permesso di indagare, oltre alle caratteristiche cliniche della manifestazione convulsiva, tutti i possibili fattori scatenanti o di rischio, mentre gli accertamenti eseguiti, strumentali e non, hanno permesso di inquadrare l’episodio dal punto di vista diagnostico.

Le crisi convulsive inquadrate come crisi isolate, in quanto prive di ricorrenza nel corso del periodo di follow up considerato, sono state distinte tra crisi provocate e crisi non provocate, sulla base di quanto esposto nella recente “Definizione pratica di epilessia”, proposta dalla ILAE nel 201435.

Per la definizione della morfologia della crisi convulsiva è stata seguita la classificazione proposta da Engel nel 200118, mentre per la classificazione delle epilessie e sindromi epilettiche, si è fatto ricorso, oltre alla classificazione proposta da Engel18, alla classificazione eziologica delle epilessie proposta da Shorvon nel 201130. I risultati degli esami ematochimici sono stati invece confrontati con i valori di riferimento internazionali, distinti per le diverse fasce di età54.

Tutte le notizie e i dati raccolti per ciascun paziente sono stati necessari per l’inquadramento diagnostico di ogni singolo caso.

Al termine della raccolta, i dati sono stati esposti in parte in maniera descrittiva e in parte tramite la presentazione dei risultati dell’elaborazione statistica effettuata. L’elaborazione statistica è stata condotta mediante il programma SPSS Statistics v.21 della IBM. Per il confronto di gruppi di variabili categoriali sono stati usati il test del chi quadrato (χ2

) o il test esatto di Fisher, quando appropriati. Nel caso di variabili quantitative sono stati, invece, eseguiti i seguenti test: test t di Student per campioni

(34)

33

indipendenti, quando il numero dei gruppi a confronto era pari a due; l’analisi della varianza, seguita dal test post-hoc di Bonferroni, se il numero dei gruppi a confronto era maggiore di due. Sono stati considerati significativi valori di p<0,05.

(35)

34

3. CASISTICA

La casistica totale dello studio si compone di 98 pazienti, dei quali 65 sono di sesso maschile e 33 di sesso femminile (figura 3.1).

Figura 3.1 Ripartizione dei pazienti per sesso

L’età dei pazienti inclusi nella casistica è compresa fra 1 mese e 18 anni. È stata considerata l’età dei pazienti al momento della manifestazione della prima crisi convulsiva non febbrile. Ai fini del lavoro, i pazienti sono stati divisi in quattro fasce d’età:

- pazienti con età compresa tra 1 mese e 12 mesi;

- pazienti in età prescolare, con età compresa fra 1 e 6 anni; - pazienti in età scolare, con età compresa fra 6 e 12 anni; - pazienti adolescenti, con età compresa fra 12 e 18 anni.

Nell’ambito della prima fascia d’età sono inclusi 9 pazienti, 5 maschi e 4 femmine. Nel secondo gruppo i pazienti sono 47, di cui 29 maschi e 18 femmine.

Alla terza fascia d’età appartengono 24 pazienti, tra cui 17 maschi e 7 femmine.

65

33

Maschi Femmine

(36)

35

Nell’ultima fascia di età si ritrovano, invece, 18 pazienti, dei quali 14 maschi e 4 femmine (figura 3.2).

Figura 3.2 Distribuzione dei pazienti per sesso e fascia d’età

0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50

1<mesi≤12 1<anni≤6 6<anni≤12 12<anni≤18

Numer

o

pa

zie

n

ti

Fasce d'età

Femmine Maschi

(37)

36

4. RISULTATI E DISCUSSIONI

Nel presente lavoro di tesi sono stati arruolati 98 pazienti, 65 di sesso maschile e 33 di sesso femminile con età media pari a 6,64 ± 5,02 anni. La popolazione in oggetto rappresenta il totale dei pazienti che, nell’arco dei sei anni di studio considerati, ha manifestato una prima crisi convulsiva afebbrile con accesso al pronto soccorso pediatrico e ha avuto un successivo periodo di follow up (da un minimo di 6 mesi fino a un massimo di 36 mesi), come previsto dai criteri di inclusione nello studio.

Dalla casistica è emersa una netta prevalenza del fenomeno “prima crisi convulsiva non febbrile”, nei pazienti di sesso maschile. Tale tendenza è confermata anche all’interno delle quattro fasce d’età considerate, come illustrato graficamente nella figura 3.2 ed esposto nella tabella 4.1.

Tab. 4.1 Distribuzione numerica e percentuale dei pazienti ripartiti per genere e fascia d’età

1<mesi≤12 1<anni≤6 6<anni≤12 12<anni≤18

M N° 5 29 17 14

% 55,6 61,7 70,8 77,8

F N° 4 18 7 4

% 44,4 38,3 29,2 22,2

Al test del chi quadrato, non è emersa differenza significativa per il sesso, tra le fasce d’età considerate (p>0,05).

In letteratura, gli studi che hanno incluso tra le prime manifestazioni critiche non solo le crisi convulsive afebbrili, ma anche le convulsioni febbrili, riportano una maggiore prevalenza nel sesso maschile11, 51, 55. Fra i lavori presi in esame, uno studio che ha operato la distinzione tra le due tipologie di prima crisi riporta, invece, nel gruppo di

(38)

37

pazienti con prima crisi convulsiva non febbrile, una prevalenza lievemente maggiore nel sesso femminile11.

Per ciascun paziente, sono state analizzate le caratteristiche cliniche della prima crisi convulsiva afebbrile.

La durata media della crisi calcolata sul totale dei pazienti è risultata di 5,35 minuti. Quattro pazienti, tutti di sesso maschile, pari al 4% del totale, hanno sperimentato una prima crisi convulsiva afebbrile in forma di stato epilettico (tabella 4.2). Lo stato di male epilettico è definito come una crisi che persiste per un tempo sufficientemente lungo, maggiore di 30 min, oppure come una serie di crisi che ricorrono repentinamente, senza che vi sia recupero della coscienza tra i vari episodi56. Si tratta di un’emergenza neurologica nell’infanzia, con un’incidenza stimata di 18-20 su 100.000 bambini per anno57. Viene distinto lo stato di male epilettico generalizzato da quello parziale. In letteratura è frequente l’uso del termine di stato epilettico non convulsivo, per definire sia gli stati epilettici di “assenza”, che quelli parziali complessi e, spesso, anche condizioni in cui la diagnosi differenziale fra lo SE parziale o generalizzato è difficile o inapplicabile.

Tab. 4.2 Descrizione dei casi di stato di male epilettico

Pazienti con manifestazione di SE alla prima

crisi

Durata della

crisi (minuti) Età all’esordio Morfologia della crisi

1 40 3 anni e 5 mesi Crisi parziale complessa

2 60 6 anni e 5 mesi Crisi parziale complessa

3 60 9 anni Crisi tonico-clonica

generalizzata

(39)

38

Per ciascun paziente, la morfologia della prima crisi rientra in una delle seguenti categorie:

 crisi tonico-clonica generalizzata;

 crisi parziale con secondaria generalizzazione;  crisi parziale complessa;

 crisi ipertonica generalizzata;  crisi ipotonica generalizzata;  crisi parziale semplice;  spasmi;

 crisi tipo assenza.

È stata studiata la frequenza delle crisi nei quattro gruppi d’età considerati. Dallo studio è emerso che il maggior numero di crisi si ha tra i pazienti di età compresa tra 1 e 6 anni, con una percentuale pari al 48% rispetto al totale. Seguono, in ordine di frequenza decrescente, il gruppo di pazienti tra 6 e 12 anni, quello dei pazienti fra 12 e 18 anni e, da ultimo, il gruppo dei pazienti di età compresa tra 1 mese e 1 anno (tabella 4.3)

Tab. 4.3 Frequenza della prima crisi convulsiva non febbrile nei diversi gruppi di età

1<mesi≤12 1<anni≤6 6<anni≤12 12<anni≤18 Totale

N° pazienti 9 47 24 18 98

% 9,2 48 24,5 18,4 100

La maggiore frequenza dell’insorgenza di una prima crisi convulsiva non febbrile nei bambini in fascia d’età prescolare, tra 1 e 6 anni, è confermata anche in letteratura; uno studio riporta, nella suddetta fascia d’età, una percentuale del 52,5% rispetto al totale dei pazienti arruolati11. La stessa tendenza è confermata anche dagli studi che non escludono le convulsioni febbrili nell’analisi del fenomeno prima crisi convulsiva55

(40)

39

Dall’analisi dei dati è emerso che le tipologie di crisi maggiormente rappresentate fra i pazienti dello studio sono la crisi parziale con secondaria generalizzazione e la crisi tonico-clonica generalizzata, corrispondenti, ciascuna, ad una percentuale del 29,6% rispetto al totale (figura 4.1). Seguono, con frequenza decrescente, la crisi parziale complessa (16,3%), la crisi ipertonica generalizzata (8,2%), la crisi ipotonica generalizzata (6,1%), la crisi parziale semplice (5,1%), gli spasmi (4,1%) e infine, la crisi tipo assenza, manifestata da un solo paziente nella casistica (1%). È raro l’accesso al pronto soccorso per crisi di assenza, spesso non riconosciuta all’inizio e con minore impatto sullo stato emotivo dei genitori. Questi soggetti afferiscono in prima battuta ad un ambulatorio specialistico.

Figura 4.1 Distribuzione della frequenza delle varie tipologie di crisi

In letteratura, gli studi riportano una maggiore frequenza della crisi tonico-clonica generalizzata rispetto alle altre tipologie di crisi, nei bambini con accesso al pronto soccorso per primo episodio critico11, 55.

29,60% 29,60% 16,30% 8,20% 6,10% 5,10% 4,10% 1%

crisi parziale con secondaria generalizzazione

crisi tonico-clonica generalizzata

crisi parziale complessa crisi ipertonica generalizzata crisi ipotonica generalizzata crisi parziale semplice spasmi

(41)

40

La frequenza delle diverse tipologie di crisi varia anche in base all’età d’esordio; è stata, pertanto, effettuata una ripartizione per le fasce d’età considerate (tabella 4.4).

Tab. 4.4 Distribuzione delle tipologie di crisi per fascia d’età

Tipologia di crisi

1<mesi≤12 1<anni≤6 6<anni≤12 12<anni≤18 Totale

Spasmi 4 0 0 0 4 % 4,1 0 0 0 4,1 Assenza N° 0 0 0 1 1 % 0 0 0 1 1 Parziale semplice N° 0 2 3 0 5 % 0 2 3,1 0 5,1 Parziale complessa 1 12 3 0 16 % 1 12,5 3,1 0 16,3 Parziale con secondaria generalizzazione 1 11 11 6 29 % 1 11,2 11,2 6,1 29,6 Tonico-clonica generalizzata 1 11 6 11 29 % 1 11,2 6,1 11,2 29,6 Ipotonica generalizzata 2 4 0 0 6 % 2 4,1 0 0 6,1 Ipertonica generalizzata N° 0 7 1 0 8 % 0 7,1 1 0 8,2

Dall’analisi della distribuzione, emerge che:

- gli spasmi si riscontrano esclusivamente nei bambini tra 1 mese e un anno di età, in accordo con l’esordio tipico, nel primo anno di vita, di questa tipologia di crisi epilettiche;

- l’unico episodio di crisi tipo assenza si è verificato nella fascia d’età adolescenziale, tra 12 e 18 anni;

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- le crisi parziali semplici si distribuiscono nel gruppo dei bambini in età prescolare (1-6 anni) e scolare (6-12 anni);

- le crisi parziali complesse si riscontrano in bambini d’età prescolare e scolare per la maggior parte; un caso si è avuto nella prima fascia d’età considerata (tra 1 mese e 1 anno);

- le crisi parziali con secondaria generalizzazione e le crisi tonico-cloniche si distribuiscono, seppur con percentuali differenti, nelle quattro fasce d’età, con un solo caso per ciascuna, nei bambini di età compresa fra 1 mese e 1 anno; - le crisi ipotoniche generalizzate interessano solo i bambini nelle prime due

fasce di età (fino a 6 anni);

- le crisi ipertoniche generalizzate si riscontrano prevalentemente nel gruppo di bambini fra 1 e 6 anni, con un solo caso nella fascia d’età compresa fra 6 e 12 anni.

Non è stato possibile eseguire la correlazione statistica fra le diverse tipologie di crisi e le quattro fasce d’età, dato l’alto numero di categorie considerate e l’esiguità dei sottogruppi che ne sarebbero derivati e che non avrebbero consentito un confronto significativo; d’altra parte accorpare i tipi di crisi avrebbe comportato la perdita di informazioni importanti riguardo la morfologia della manifestazione critica e la ripartizione per età, considerati aspetti rilevanti ai fini del presente lavoro di tesi.

Studiando la distribuzione delle differenti tipologie di crisi fra i pazienti dello studio in base al genere, è emersa una sostanziale equivalenza tra maschi e femmine, per quanto riguardo il numero di spasmi, il numero delle crisi ipotoniche generalizzate e quello delle crisi ipertoniche generalizzate. Le crisi parziali con secondaria generalizzazione e le crisi tonico-cloniche generalizzate (le due tipologie più rappresentate all’interno della casistica) hanno una prevalenza nel sesso maschile, mentre le crisi parziali complesse

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sono prevalenti nel sesso femminile. L’unico caso di crisi tipo assenza si è verificato in una paziente di sesso femminile, mentre tutti i casi di crisi parziale semplice si sono verificati fra soggetti di sesso maschile (tabella 4.5).

Nel sottogruppo delle crisi parziali semplici riscontrate all’interno della casistica (5 pazienti sul totale di 98), 4 sono state crisi parziali semplici di tipo motorio e solo 1 è stata una crisi parziale semplice con sintomi e segni vegetativi.

Tab. 4.5 Distribuzione delle tipologie di crisi per genere

Tipologia di crisi M F Totale

Spasmi 2 2 4

Assenza 1 1

Parziale semplice 5 5

Parziale complessa 6 10 16

Parziale con secondaria generalizzazione 21 8 29

Tonico-clonica generalizzata 24 5 29

Ipotonica generalizzata 3 3 6

Ipertonica generalizzata 4 4 8

Totale 65 33 98

Dopo la prima manifestazione critica, i pazienti sono stati seguiti in modo retrospettivo mediante l’analisi e lo studio della documentazione disponibile.

È stato considerato un periodo di follow-up minimo di 6 mesi e un limite massimo di 36 mesi. Considerando la distribuzione dei pazienti nei 6 anni di studio e la variabilità del periodo di follow-up fra i pazienti, è stato calcolato un periodo medio di follow-up pari a 20,27 mesi.

È stata studiata, per ciascun paziente, la diagnosi finale emessa al termine degli accertamenti eseguiti, in parte già durante l’accesso al pronto soccorso, in parte durante

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