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Studio del trasportatore della serotonina (SERT) nelle piastrine di pazienti con Corea di Hungtington: correlazioni con i sintomi clinici e i livelli di Ossitocina e BDNF.

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I DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Specialistica in Farmacia

TESI DI LAUREA

STUDIO DEL TRASPORTATORE DELLA 5-HT (SERT)

NELLE PIASTRINE DI PAZIENTI CON COREA DI HUNTINGTON: CORRELAZIONE CON I SINTOMI CLINICI E I LIVELLI

DI OSSITOCINA E BDNF.

Relatori: Candidata:

Prof. Gino Giannaccini Angela Valentina Maietta

Dott.ssa Lionella Palego

Correlatore: Dott.ssa Laura Betti

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INDICE

LE MALATTIE DA ESPANSIONE DI TRIPLETTE.

LA CÒREA DI HUNTINGTON... pag. 2

CAPITOLO 1- STORIA E SINTOMATOLOGIA

DELLA MALATTIA ………. pag 4 1.1 Còrea di Huntington: la storia... pag 4 1.2 Sintomatologia... pag 6 1.3 Diagnosi e valutazione della malattia... pag 8

CAPITOLO 2- LA MALATTIA... pag 12 2.1 Eziopatogenesi ... pag 12 2.2 Funzioni dell'Huntingtina a livello intracellulare... pag 15 2.3Meccanismi di patogenicità della Htt mutante pag 18 2.4 Vulnerabilità neuronale... pag 21 2.5 Ruolo dei mitocondri... pag 23 2.6 Ruolo dell'omeostasi del calcio e stress ossidativo... pag 25 2.7 Terapie farmacologiche standard... pag 26 2.8 Nuove possibili strategie terapeutiche... pag 28 2.9 Basi neurologiche della Còrea di Huntington... pag 30

CAPITOLO 3- NEUROTRASMISSIONE... pag 32 3.1Serotonina (5-HT)... pag.32

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III 3.2La regolazione dei livelli extracellulari di 5-HT: il Trasportatore della 5-HT (SERT)... pag 35 3.3 Ossitocina... pag 38 3.3.1 Il gene del recettore dell’ ossitocina... pag 42 3.3.2 Funzioni dell' ossitocina... pag 42 3.4 Neurotrofine... pag 44 3.4.1 Il “Brain-derived neurotrophic factor” (BDNF)...pag 46

CAPITOLO 4- OBIETTIVI DELLO STUDIO... pag 49 4.1 Scopo della tesi... pag 56

CAPITOLO 5- MATERIALI E METODI... pag 51 5.1 Campionamenti e prelievi... pag 51 5.2 Valutazione clinica neuropsicologica... pag 53 5.3 Prelievo ematico... pag 55 5.4Preparazione delle membrane piastriniche per il binding del SERT pag 56 5.5 Binding del SERT con [3H]- paroxetina... pag 57 5.6Analisi Scatchard... pag 60 5.7 Estrazione dell'Ossitocina dal plasma... pag 63 5.8 Dosaggio EIA dell'ossitocina plasmatica ... pag 64 5.9 Trattamento e lisi delle piastrine per l'analisi del BDNF pag 66 5.10.Dosaggio del BDNF con kit ELISA: principio generale... pag 66 5.11 Preparazione della piastra e procedura... pag 68 5.12.Dosaggio proteico... pag 70 5.13 Analisi statistica... pag 71

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IV CAPITOLO 6- RISULTATI E DISCUSSIONE... pag 73 6.1 Valutazione neuropsicologica... pag 73 6.2 Studio del SERT: Parametri di binding dell'equilibrio della [3H]-paroxetina nelle membrane piastriniche... pag 74 6.3 Livelli plasmatici di ossitocina... pag 78 6.4Livelli intrapiastrinici di BDNF... pag 81

CONCLUSIONI... pag 84

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“Epilepsy, chorea, hysteria come to us like so many Sphinxes..”

Jean-Martin Charcot,

Oeuvres complètes (1888–1894)

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LE MALATTIE DA ESPANSIONE DI TRIPLETTE – COREA DI HUNTINGTON.

Le malattie genetiche dovute ad un’espansione di triplette nucleotidiche sul DNA sono rappresentate da un gruppo eterogeneo di sintomatologie e quadri clinici neurodegenerativi. Tali malattie ereditarie sono dovute a mutazioni che comportano estensioni anormali di specifiche triplette di basi azotate in sequenze geniche che possono essere sia codificanti che non codificanti. A seconda del gene coinvolto, della posizione intragenica, dell’espansione e della tripletta implicata si possono distinguere patologie quali la Sindrome dell’X-fragile, l’atassia di Friederich, la Còrea di Huntington e la distrofia miotonica. Nell’Illustrazione 1 sono rappresentati una generica sequenza genica suddivisa in introni ed esoni, i tipi di espansioni riscontrabili nell’uomo e le corrispondenti patologie associate.

Illustrazione 1: Malattie genetiche umane da espansione di triplette e relative mutazioni, presenti in regioni codificanti o non codificanti di specifici geni.

Da: http://dx.doi.org/10.3389/fnmol.2013.00025 - Frontiers in Molecular Neuroscience.

Tra queste troviamo la Còrea di Huntington, una rara malattia neurodegenerativa dovuta all’espansione di triplette CAG nel gene che codifica la proteina hungtintina, dal nome dello scienziato Sir dr.

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George Huntington, il primo che, nella seconda metà dell’800, ha descritto la sintomatologia e le varie fasi della patologia. La malattia colpisce precise aree cerebrali legate al controllo motorio, evolvendo progressivamente con esito fatale fino alla demenza e alla morte. La tripletta espansa nel gene dell’huntingtina è la CAG che codifica per l’aminoacido glutammina o “Q”, per cui tale malattia viene anche definita come malattia da espansione di poliglutammine o poliQ. La Còrea risulta da un “misfolding” della hungtintina mutante, cioè un mancato raggiungimento della sua conformazione nativa dovuto all’espansione di poliQ e/o dalla citotossicità di questa, portando a danno neuronale ed apoptosi. Nonostante la ricerca in questo settore sia molto intensa e si conosca la causa scatenante della patologia, una cura risolutiva non esiste. Molti aspetti legati alla sua progressione e all’inesorabile processo di neurodegenerazione sono infatti tuttora poco noti. Tra questi, rileviamo le alterazioni neurotrasmettitoriali, neuropeptidiche, neuro-ormonali e metaboliche che possono sottendere i processi neurodegenerativi della Còrea, con particolare riferimento alle disfunzioni sinaptiche e al conseguente danno a carico di popolazioni neuronali maggiormente vulnerabili alla mutazione. Tale argomento è di notevole importanza nel monitoraggio e nella cura della patologia al suo esordio o durante il suo sviluppo.

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CAPITOLO 1

STORIA E SINTOMATOLOGIA DELLA MALATTIA

1.1 Còrea di Huntington: la storia

Se le prime descrizioni della Còrea di Huntington o Huntington’s Disease (HD, malattia di Huntington) sono state effettuate solo nel XIX secolo, si ritiene che questa patologia o forme simili fossero note già nell’antichità. In epoca medioevale, la “moderna” Còrea di Huntington era probabilmente associata a forme di “danza” epidemica diffusesi in vari paesi d’Europa e delle quali ci è pervenuta testimonianza sin dai secoli XIV-XVI sotto il nome di “Chòrea Sancti

Viti” o “ballo di san Vito” (Italia), “danse de St. Guy” (Francia) e

“Chòrea Germanorum” (Germania) (Grandmougin et al., 1997; Aubert, 2005). A Paracelso (1493-1541) si deve questo termine “Còrea” che deriva dal greco, “χορεία”, danza, riferendosi ai movimenti improvvisi, a scatti e involontari tipici della malattia neurodegenerativa. Paracelso coniò il termine per distinguere e porre per la prima volta i confini tra una “Còrea immaginaria” da ricollegarsi ad una forma di isteria (mania danzante) e una “Còrea

naturalis” più organica, derivante da lesioni del Sistema Nervoso

Centrale (SNC). Troviamo altre tracce della Còrea tra il XVII e XVIII secolo durante la “caccia alle streghe” in Nord Europa e nella “Nuova Inghilterra”, quando è probabile che questa patologia venisse assimilata all’isteria e quindi, come purtroppo ancora accadeva in quel periodo, a stregoneria o eresia. Risalgono tuttavia allo stesso periodo documentazioni più scientifiche che riguardano una Còrea post-reumatica infantile oltre a casi sporadici di Còrea incurabile ed idiotismo. Nel corso del XIX secolo, alcuni medici inglesi ed americani, Waters, Gordman (1842 e 1848) e Lyon nel 1863,

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identificarono più chiaramente una Còrea che compariva in età adulta, a carattere ereditario e legata a demenza. Il medico norvegese Lund, tra il 1859 e il 1868, pubblicò tre articoli su questa forma ereditaria, ma la prima moderna ed accurata descrizione della malattia a noi nota fu presentata nel 1872 dal medico americano Sir. Dr. George Huntington nel suo trattato “On Chòrea”. La natura genetica della malattia ha portato a più di un secolo di tentativi volti ad individuarne la causa e le caratteristiche fisiopatologiche mediante lo studio di grandi comunità di persone e famiglie ritenute a rischio di sviluppare la sua grave sintomatologia. Nel primo ventennio del secolo scorso, l' eugenista americano Charles B. Davenport rintracciò le famiglie con malattie ereditarie, dando vita a quello che era, all'epoca, il più grande studio di famiglie con HD. In quel periodo, i ricercatori notarono per la prima volta il deterioramento della regione cerebrale dei pazienti con la malattia in fase di progressione, che identifica il nucleo caudato e i gangli basali come il principale bersaglio della morte neuronale nella HD. Più tardi, nel 1950, il medico Amerigo Negrette diagnosticò l'HD in una grande comunità di persone che vivevano in Venezuela, che divenne, 20 anni dopo, il centro cruciale della scoperta del gene alla base della HD, resa possibile grazie ai notevoli sforzi di Nancy Wexler, un neuropsicologo della “Columbia University” di New York co-fondatore della Fondazione per la HD (HDF), e di molti altri scienziati e medici provenienti da tutto il mondo.

Grazie agli studi multicentrici e multidisciplinari sulla HD, dall’oscurantismo della “Chorea Sancti Viti” descritta da Paracelso e della “caccia alle streghe” del XVII sec. siamo arrivati a definire a livello molecolare questa patologia genetica acquisendo una conoscenza approfondita dei suoi principali aspetti, tuttavia non ancora sufficiente per prevenirla o guarire i malati.

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1.2 Sintomatologia

Nonostante la complessità dei sintomi, sono state schematizzate dai clinici tre fasi distinte di HD:

1-fase prodromica: ad esordio prevalente in età adulta, consiste in una lieve e progressiva riduzione delle performance intellettive dei pazienti, accompagnata da cambiamenti del tono dell’umore, depressione, ansia, irritabilità, apatia e alterazioni comportamentali. Questi sintomi possono precedere di mesi o anni la comparsa dei sintomi motori e per questo l’esordio della malattia può essere in alcuni casi non facilmente riconoscibile. Tuttavia, alcune lievi alterazioni motorie, quali un certo impaccio nei movimenti volontari, la presenza di lievi ed occasionali movimenti involontari, miocloni, tic e iperreflessia, o alterazioni dei movimenti oculari possono essere rilevati all’esame neurologico già in questa prima fase.

2-fase motoria: il quadro clinico è caratterizzato dalla comparsa dei sintomi tipici della Còrea, quindi da movimenti involontari rapidi, aritmici ed afinalistici. La distribuzione e la gravità del disturbo corèico possono variare da movimenti appena percettibili, fino a movimenti molto violenti, particolarmente disabilitanti, che interessano tutti i segmenti corporei, con gravi conseguenze sulla qualità di vita del paziente. Con il progredire della malattia, al disturbo corèico si sovrappongo rigidità e bradicinesia (lentezza nei movimenti) che compromettono l’attività motoria volontaria rendendo l’andatura instabile. Inoltre si ha anche compromissione del linguaggio (disartria), accompagnata da difficoltà nella deglutizione (disfagia) e contrazione muscolare tonica con ripetitivi movimenti di torsione o assunzione di posture anomale (distonia); disartria, disfagia e distonia possono, raramente, essere presenti già nelle prime fasi di malattia, ma rappresentano la caratteristica prominente dello stadio

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intermedio, dove divengono sempre più evidenti.

3-fase motoria e cognitiva: è la fase avanzata e più invalidante della HD. Il quadro neurologico è caratterizzato da un marcato rallentamento dei movimenti volontari, da pronunciata rigidità e presenza di posture distoniche. I pazienti necessitano di aiuto nelle attività della vita quotidiana, per la deambulazione, per vestirsi, alimentarsi e per la cura dell’igiene personale. Anche il linguaggio diventa molto difficoltoso. La difficoltà a deglutire può richiedere particolari modificazioni alimentari che, nei casi più avanzati, necessita alimentazione tramite PEG (“Percutaneous Endoscopic Gastrostomy”), un tipo di nutrizione artificiale necessaria a quei pazienti che a causa di disturbi neurologici e/o fisici del primo tratto digerente, non riescono a nutrirsi in autonomia. Presenta gli stessi vantaggi dell'alimentazione per via parenterale e in più permette il mantenimento della funzionalità intestinale ed una più facile gestione del paziente a domicilio. Anche se i deficit cognitivi e comportamentali in questo stadio incrementano in modo devastante, i pazienti possono conservare un grado significativo di comprensione della loro condizione. Questo aspetto della malattia riveste sempre più rilievo perché è quello di maggior impatto sulla qualità di vita dei pazienti e dei familiari. E’ rilevante anche sottolineare che, in alcuni casi, le alterazioni del profilo cognitivo possono essere già evidenziate 15 anni prima dell'esordio motorio (Paulsen et al, 2008). Il quadro clinico, schematizzato nelle tre fasi sopra descritte, è tuttavia complesso ed eterogeneo, con sovrapposizione di sintomi psichiatrici, psicologici e motori, variabili da individuo ad individuo.

I sintomi possono variare a seconda che si tratti di soggetti eterozigoti oppure omozigoti, anche se tale ipotesi non è ancora stata del tutto confermata. La malattia esordisce prima negli omozigoti

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(estremamente rari) rispetto agli eterozigoti e sembra anche progredire più rapidamente, con sintomi più severi. Alcuni studi clinici riportano un deterioramento neuronale precoce ed evidente nel 50% degli omozigoti: in questi soggetti, i primi sintomi sono già caratterizzati da disordini del movimento simili al Parkinson assieme a movimenti corèici. Sono stati inoltre osservati casi che sviluppano forme di demenza o deficit cognitivi molto più gravi rispetto agli eterozigoti nelle fasi più tardive della malattia (Wexler et al. 1987; Squitieri et al 2003).

1.3 Diagnosi e valutazione della malattia

Il metodo più accurato di diagnosi della malattia è chiaramente l’attuazione dello screening genetico e il riscontro diretto della mutazione. Per la diagnosi e il monitoraggio dei sintomi e del decorso della HD viene utilizzata anche una scala di valutazione chiamata “Unified Huntington's Disease Rating Scale” (UHDRS) (Illustrazione 2), ideata dal gruppo di studio americano denominato “Huntington Study Group”. I risultati ottenuti dal questionario vengono interpretati da neurologi altamente qualificati e specializzati. La scala UHDRS è uno strumento di ricerca sviluppato per fornire una valutazione uniforme delle caratteristiche cliniche dei pazienti con HD, ampiamente validato da numerosi studi che ne hanno confermato l’attendibilità diagnostica e prognostica. Come altri tipi di questionari clinici, questa scala di valutazione per i sintomi della HD prevede un punteggio “soglia” oltre il quale la sintomatologia acquisisce importanza nella diagnosi e nel “follow-up” dei pazienti (Siesling et

al., 1998). La scala UHDRS si avvale di 6 componenti o “items”

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1. Valutazione motoria 2. Valutazione cognitiva

3 Valutazione del comportamento 4 Scala di indipendenza

5 Valutazione funzionale

6 Capacità totale funzionale (TFC).

Nonostante la sua validità indiscussa, il limite di questa scala consiste nell'impossibilità a diagnosticare la malattia prima dell'insorgenza dei sintomi psichiatrici e motori. La ricerca neurologica e neurobiologica in questo settore si sta quindi anche orientando verso l’identificazione di opportuni marcatori biochimici (“biomarkers”) che siano in grado di predire e/o “seguire” le diverse fasi di malattia, nel migliore dei casi anche la sua insorgenza, al fine di pianificare interventi terapeutici volti ad evitare o ritardare il più possibile le fasi tardive della HD.

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11 Illustrazione 2: Scala di valutazione UHDRS. Da:Clin.Neurologica-Università di Pisa- Prof. R. Ceravolo

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CAPITOLO 2 LA MALATTIA

2.1 Eziopatogenesi

Come già introdotto precedentemente, la malattia di Huntington (HD) è una malattia genetica rara autosomica dominante, progressiva e con esito infausto, caratterizzata dall'associazione dei movimenti corèici con un deterioramento cognitivo fino alla demenza e al decesso.

E' una malattia mondialmente distribuita, con una prevalenza media di 5-10 casi su 100.000 abitanti e valori più bassi d’incidenza in Finlandia e Giappone. Pur essendo tipica dell'età adulta può esordire anche in età adolescenziale (Huntington's Disease Collaborative Research Group, 1993).

La causa della malattia è nota: si tratta di un’alterazione genetica identificata sul braccio corto del cromosoma 4, a livello di un “locus” genico chiamato IT15 (Interesting Transcript 15), che codifica per una proteina chiamata Huntingtina (Htt), con Peso Molecolare di 348 KDa ed una sequenza di 3144 aminoacidi, espressa ad alti livelli nei neuroni del SNC, ma presente anche nel testicolo, nell'ovaio e a livello polmonare. Nel SNC, l’Htt è ampiamente espressa, in particolare a livello di neocorteccia, corteccia cerebellare, striato e ippocampo.

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Come già detto, la mutazione responsabile dell’insorgenza della HD è caratterizzata dall'espansione anomala della tripletta nucleotidica CAG (Illustrazione 3), codificante l’aminoacido glutammina, a livello di primo esone del gene IT15 isolato per la prima volta nel 1993 (Huntington's Disease Collaborative Research Group, 1993). Nell’Illustrazione 4, possiamo vedere la Htt normale con i suoi siti e domini funzionali più rilevanti (Ross e Tabrizi, 2011).

Illustrazione 3: mutazione responsabile dell'espansione di triplette- Da: epiehonorsbiology.wikispaces.com

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Negli individui sani, il gene della Htt contiene corte ripetizioni di poli tripletta, fino a 30-35, mentre, nelle persone affette dalla malattia, questa è ripetuta un numero di volte molto più alto, da 36 a 40 fino ad oltre 100; queste eccessive ripetizioni provocano cambiamenti ed alterazioni cellulari e neuronali tuttora oggetto di studio. Dal punto di vista anatomico, la malattia induce infatti la morte di popolazioni di neuroni proiettivi prevalentemente GABAergici nella regione nigro-striatale e del nucleo caudato, seguita dalla progressiva alterazione morfo-funzionale a carico di altre aree encefaliche. La dominanza genetica della Còrea di Hungtinton fa sì che basti la mutazione di uno dei due alleli del locus genico codificante la Htt per generare questa grave patologia neurologica. Un'altra variabile da considerare è il fenomeno dell'anticipazione (Ranen et al., 1995) che consiste nell'esordio sempre più precoce della patologia nelle generazioni successive. L’aumento generazionale dell’espansione della tripletta CAG nella HD rientra in un tipo particolare di mutazione che viene definita “dinamica”, ovvero in grado di modificarsi in corso di divisione cellulare. Infatti, le persone, soprattutto di sesso maschile, che hanno un gene della Htt contenente un numero di triplette intermedio (27-35 circa) sono in una condizione chiamata

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mutazione: non sviluppano la malattia, ma rischiano di trasmetterla ai figli perché durante la formazione dei gameti si può verificare l'espansione ulteriore delle triplette, a causa dell'instabilità meiotica delle loro cellule. Il numero di ripetizioni può quindi aumentare portando al superamento della soglia di 35 triplette e alla manifestazione dei sintomi oppure al crescente accorciamento dell’età di esordio nell’albero genealogico. L’ “American College of Medical Genetics Huntington’s Disease Working Group” ha evidenziato 4 categorie diagnostiche: CAG<26 allele normale, CAG=27-35 allele intermedio, CAG ≥36-39 allele a ridotta penetranza, CAG≥40 allele patologico. La correlazione tra lunghezza della ripetizione e gravità della malattia in termini di progressione (Penney et al. 1997) è risultata comunque più sfumata rispetto a quella tra lunghezza del poliQ ed età di comparsa dei sintomi (Finkbeiner, 2011). Come già detto, un quadro clinico più grave della HD è stato osservato nella condizione, pur molto rara, di omozigosi. L’omozigosi è stata collegata sia ad un esordio più precoce sia ad un fenotipo caratterizzato da sintomi più severi rispetto all’eterozigosi (Wexler et

al, 1987; Squitieri et al., 2003). Tuttavia, tali lavori, se pur sostenuti

da indagini condotte in vitro su linee cellulari linfoblastoidi, sono limitati a pochi pazienti e a pochi dati per via della rarità della malattia, quindi non sono stati ritenuti conclusivi (Zuccato et al, 2010).

2.2 Funzioni dell’ Hungtintina a livello intracellulare.

Oltre agli studi genetici, la ricerca biomedica nel campo della HD si è focalizzata sullo studio approfondito della funzione e della regolazione della proteina Htt sana, tuttora scarsamente note. La valutazione delle funzioni cellulari della Htt Wild-Type (WT) è

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sostanzialmente utile sia per chiarire la citotossicità della Htt mutante (mHtt) e i processi molecolari che portano all’apoptosi neuronale sia per spiegare come il danno derivante dalla mHtt possa coinvolgere prevalentemente alcune aree cerebrali, nonostante la diffusa espressione della Htt nel SNC e la sua localizzazione in altri distretti anatomici. La marcata vulnerabilità a carico di specifiche popolazioni neuronali nei pazienti è un aspetto della Còrea che ha intrigato da sempre i neuroscienziati.

L’analisi della funzione della Htt WT ha permesso di individuare alcune tra le vie molecolari per le quali la proteina riveste un ruolo chiave: tra queste, si annoverano le vie di regolazione dei fattori di trascrizione che fanno la “spola” tra nucleo e citoplasma cellulare ed anche quelle che agiscono sull’interazione con proteine del complesso dello “spliceosoma” e degli “small nuclear RNA” (snRNA) (Faber et

al., 1998). E’ probabile quindi che la Htt stessa svolga una funzione di

fattore di trascrizione nucleare e di controllo dell’espressione genica e che venga trasportata dal citoplasma al nucleo con meccanismi “shuttle”. La Htt è stata trovata infatti localizzata nel citoplasma e in zona perinucleare, associata al trasporto vescicolare (DiFiglia et al., 1995), al citoscheletro, alle proteine microtubulari (Hoffner et al, 2002) ed a vari organelli, vescicole e membrane. In sostanza, la Htt svolgerebbe un ruolo determinante nel “signalling” e nella plasticità cellulare particolarmente rilevanti nel tessuto nervoso, fornendo quindi una prima spiegazione al fenomeno di vulnerabilità neuronale legata alla mHtt. Più dettagliatamente, si è visto che la Htt si lega al “Neuron Restrictive Silencer Factor” (NRSF o REST) sequestrandolo nel citoplasma (Zuccato et al, 2003), mantenendolo lontano dai suoi “targets” genici. Il REST è un fattore di regolazione dell’espressione genica che modifica la trascrizione di importanti geni tra i quali il

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gene codificante per la neurotrofina “Brain-Derived Neurotrofic Factor” (BDNF), un fattore che si è rilevato fondamentale per la sopravvivenza dei neuroni striatali e per l'attività delle sinapsi cortico-striatali (Zuccato e Cattaneo, 2007).

La Htt interagisce con molte proteine che regolano il trasporto intracellulare o l'endocitosi nei neuroni, tra le quali le ”Huntingtin Interacting Proteins” 1 e 14 (HIP1, HIP14), la “Huntingtin Associated Protein” 1 (HAP1), la protein- kinasi C e la casein-kinasi. Inoltre, può influenzare sia il trasporto anterogrado che retrogrado nei processi dendritici e assonali attraverso un legame con HAP1 formando un complesso che successivamente interagisce con “motori proteici” quali dineina/dinactina e chiesina (McGuire et al, 2006; Li et al, 1998). Grazie a questa interazione, la Htt promuove il trasporto del BDNF lungo i microtubuli; infatti una concentrazione alta o bassa di Htt nelle cellule aumenta o diminuisce il trasporto intracellulare di BDNF (Gauthier et al , 2004). Studi sia in vitro che in vivo hanno dimostrato che la Htt possiede un marcato effetto anti-apoptotico, contrastando la morte neuronale. In particolare, la Htt interferisce con la funzione proteasica delle caspasi che consente l’avvio del processo di apoptosi cellulare. È stato osservato che la Htt impedisce l'attivazione della caspasi-8, interagendo con il fattore HIP1 e ostacolando la sua associazione con l”HIP1-protein-interactor”, un fattore pro-apoptotico (Gervais et al, 2002). La Htt è poi in grado di bloccare la funzione delle caspasi-3 e caspasi-9, impedendo la formazione e l’attivazione del complesso dell’apoptosoma (Rigamonti et al., 2000).

Studi in topi “knock-out” hanno dimostrato che la Htt è necessaria per il normale sviluppo embrionale e la neurogenesi: topi privi di Htt muoiono infatti durante lo sviluppo embrionale (Nasir et al, 1995).

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La Htt è fondamentale anche nella vita adulta, e l’inattivazione del suo gene nel cervello di topo adulto conduce verso la neurodegenerazione (Dragatsis et al, 2000). Sempre nel modello murino in vivo, la Htt WT protegge dalla morte cellulare indotta da mHtt, dalla neurodegenerazione ischemica o dall'attivazione del recettore per il glutammato NMDA (Cattaneo et al., 2001). Un’altro importante meccanismo d’azione della Htt è dato dal suo taglio o frammentazione grazie all’azione di specifici enzimi proteolitici che riconoscono siti di taglio consenso ben caratterizzati sulla proteina intorno al 500° residuo amminoacidico, generando una vasta gamma di frammenti. Le proteine Caspasi (2-7), Calpaina, e Aspartil proteasi sono tutte coinvolte in questo processo.

La Htt può inoltre subire diversi tipi di modifiche post-traduzionali come, ad esempio, la fosforilazione di residui di serina e l’acetilazione di residui di lisina, quest’ultima collegata alla “clearance” della proteina, anche se non è ancora del tutto chiaro come queste modifiche ne regolino l'attività fisiologica (Illustrazione 4).

In ogni caso, è sempre più chiaro che per una conoscenza profonda dei meccanismi patogenetici della HD si devono integrare i dati ottenuti dallo studio della funzione della Htt sana con la rilevazione delle alterazioni derivanti dall’ espressione della mHtt.

2.3 Meccanismi di patogenicità della Htt mutante

Le conoscenze sulla funzione della Htt sana a livello molecolare hanno consentito di formulare ipotesi su quanto avviene nelle cellule esprimenti la mHtt.

L’espressione della mHtt può provocare: i) la perdita della funzione della proteina (“LOSS OF FUNCTION HYPOTESIS”) e ii) l’acquisizione di “nuove” caratteristiche citotossiche (“GAIN OF

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FUNCTION HYPOTESIS”).

Illustrazione 5: Traffico vescicolare. Da: biologiawiki.it

L’espansione di triplette CAG, essendo una mutazione dominante, esercita un effetto anche in presenza dell'allele sano. Secondo l’ipotesi LOSS OF FUNCTION, la proteina mutata subisce un “misfolding” modificando la sua struttura 3D e perdendo la funzioni anti-apoptotiche, legate al trofismo e alla plasticità neuronale, della proteina sana. In sostanza, la mutazione dominante fa perdere le attività e interazioni molecolari normali della Htt WT che sono cruciali per il funzionamento e la vitalità dei neuroni striatali. Secondo l’ipotesi GAIN OF FUNCTION, l’espansione di triplette produce invece un cambiamento di conformazione della proteina tale da farle acquisire nuove attività e promuovere nuove interazioni o localizzazioni intracellulari, producendo tossicità per i neuroni. Infatti, la mHtt può cambiare diverse attività cellulari, come la trascrizione, il

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funzionamento del sistema ubiquitina-proteosoma, l'autofagia, l’omeostasi del calcio, la formazione e funzione del citoscheletro, il traffico vescicolare (Illustrazione 5) e la fisiologia mitocondriale. E’ stato inoltre visto che la scissione della mHtt in frammenti contenenti l’espansione N-terminale è collegata ai tratti più gravi della malattia sia in modelli in vitro che in vivo, implicando la rilevanza del taglio proteolitico della mHtt come un fattore di citotossicità da “GAIN OF FUNCTION”.

Un recente studio, volto a chiarire i meccanismi di danno cellulare indotti dall’espansione di poliQ, ha valutato la risposta di cellule cerebrali in coltura dopo l’aggiunta, tramite tecniche di ingegneria genetica, di Htt umana nella sua forma normale, non patologica, e di Htt umana mutante: le cellule sovraesprimenti la Htt sana sono risultate resistenti a vari stimoli apoptotici, a favore dell’ipotesi “LOSS OF FUNCTION” (Zuccato e Cattaneo, 2014). A sostegno dei meccanismi “LOSS OF FUNCTION” vi sono anche studi in modelli animali, dove la deplezione dell' Htt WT era capace di ridurre i livelli di BDNF e promuovere apoptosi neuronale, originando sintomi comparabili alla HD. Attualmente si ritiene tuttavia che entrambe le ipotesi possano compenetrarsi durante il progredire della malattia. Un altro importante aspetto patogenetico della HD è dato da uno dei suoi tratti distintivi, ovvero la formazione di aggregati citoplasmatici e inclusioni nucleari a livello di SNC (Bates, 2003). Il chiarimento dei meccanismi di formazione di queste inclusioni viene ritenuto utile per comprendere la patogenesi della HD e per la sua terapia. Le inclusioni possono sequestrare diverse altre proteine, tra cui fattori importanti di trascrizione e di ripiegamento delle proteine, suggerendo che la loro presenza è deleteria per la funzione delle cellule. Alcuni autori hanno suggerito che la lunghezza della sequenza poliQ N-terminale potrebbe

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essere legata alla formazione delle inclusioni ed al grado di citotossicità della mutazione (Davies et al, 1997). Tuttavia, il ruolo degli aggregati nella HD è ancora materia di dibattito, soprattutto perché una precisa correlazione tra il livello di aggregazione di mHtt e la morte neuronale non è stata ancora dimostrata. Secondo alcuni autori, la formazione di grandi inclusioni di mHtt potrebbe persino essere una strategia di protezione, mentre le piccole forme oligomeriche sarebbero le specie più associate alla patogenicità (Legleiter et al., 2010).

2.4 Vulnerabilità neuronale

Nella HD è stata riscontrata una massiva perdita neuronale a carico della regione striatale (Halliday et al., 1998; Vonsattel, 2008), pari al circa 95% dei neuroni “medium-sized spiny” che proiettano al “globus

pallidus” e alla “substantia nigra”. Questi neuroni esercitano anche

un’azione inibitoria sulla corteccia mediante la sintesi e il rilascio del neurotrasmettitore acido γ-aminobutirrico (GABA); la loro perdita provoca quindi iper-eccitazione corticale, spiegando i disturbi psichici e la perdita del controllo motorio, le discinesie e i movimenti coréici a scatto. La progressione della malattia porta all’atrofia a carico di regioni della corteccia celebrale, della sostanza bianca sottocorticale del talamo, dei nuclei ipotalamici specifici ed altre regioni cerebrali (Ross e Tabrizi, 2011). Più che di vulnerabilità selettiva si parla oggi piuttosto di vulnerabilità differenziale, sottolineando la prevalenza e la severità del danno cellulare provocato ai neuroni dalla mHtt, senza escludere le alterazioni anche a carico di altri tessuti (Han et al, 2010). Uno degli aspetti più importanti nello studio della patogenesi della HD è proprio la definizione dei fattori che concorrono ad una tale vulnerabilità in presenza di mHtt e che incrementano la mortalità dei

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neuroni GABAergici striatali presinaptici, provocando una degenerazione che avviene secondo meccanismi di tipo retrogrado (“dying back degeneration”) (Han et al, 2010). Varie linee di ricerca su questo argomento si stanno definendo: una tale vulnerabilità striatale potrebbe essere dovuta all’instabilità post-mitotica del DNA in diverse popolazioni neuronali durante lo sviluppo dell’encefalo con maggiore espansione della mutazione ed espressione della mHtt nella regione striatale (Gonitel et al, 2008); fattori neurochimici e neurotrasmettitoriali, presenti ad alte concentrazioni nell’area nigro-striatale e peculiari dei neuroni localizzati in questa regione, potrebbero contribuire alla tipica suscettibilità riscontrata nella HD. Tra queste molecole, ricordiamo la dopamina (Jakel e Maragos, 2000), il glutammato (Han et al, 2010) e neuropeptidi quali encefalina, sostanza P e dinorfine (Holt et al, 1997; Morfini et al., 2005; Han et

al., 2010). Anche i recettori di neurotrasmettitori, neuropeptidi e

neuromodulatori, il loro stato di accoppiamento e stato di sensibilizzazione nonché il loro signalling intracellulare rivestirebbero un ruolo importante. L’osservata atrofia del caudato-putamen e della neocorteccia, specie frontale e temporale, accompagnata da perdita neuronale, viene ritenuta come una causa della citotossicità mediata dai recettori NMDA del glutammato. Le interferenze della mHtt con la produzione del fattore neurotrofico cerebrale (BDNF) sono anche un importante fattore di vulnerabilità dei neuroni del corpo striato, portando alla compromissione delle proiezioni cortico-striatali. La neurotrofina, come presenteremo più avanti, esercita un ruolo sulla plasticità e sopravvivenza di determinati neuroni del SNC e periferico, rivestendo un ruolo sicuramente determinante nell’insorgenza e nella progressione della neurodegenerazione della HD. Il BDNF è in grado sia di mantenere la sopravvivenza di neuroni già esistenti che di favorire la crescita e la differenziazione di nuovi neuroni (Cowan et

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al, 2006).

Recenti studi in vitro hanno evidenziato, quale possibile spiegazione della maggiore suscettibilità dei neuroni “medium-sized spiny” striatali, l'interazione tra mHtt e proteina Rhes, localizzata proprio a livello di nucleo striato, dato non ancora supportato da studi anatomopatologici sull'uomo (Subramaniam et al, 2009). Un’altra ipotesi per spiegare la diversa vulnerabilità delle aree cerebrali alla mHtt è quella legata ai suoi meccanismi di fosforilazione e “clearance”, quest’ultima in particolare più o meno attiva in modo tessuto specifico e area dipendente (Wade et al., 2014).

Oltre alla perdita di neuroni GABAergici striatali, è stato anche possibile evidenziare nella HD, attraverso studi anatomopatologici, una consistente perdita a carico di neuroni del nucleo tuberale laterale e paraventricolare. Parallelamente, tramite esami immunoistochimici, è stata riportata una riduzione anche della popolazione neuronale secernente il nonapeptide ossitocina (OT), prodotto dall’ipotalamo e secreto dalla neuroipofisi nel circolo sanguigno. L’OT è una molecola che regola le emozioni sociali, l’attaccamento della madre alla prole o tra le persone, l’empatia e le relazioni interpersonali.

Quindi, le alterazioni del tono dell’umore, il disturbo motorio e la perdita di funzioni cerebrali importanti quali la capacità di riconoscere le emozioni altrui, la scarsa empatia e la compromissione delle abilità cognitivo-sociali riscontrate nei malati di Còrea, sono tutti sintomi che potrebbero derivare da processi apoptotici di popolazioni di neuroni secernenti specifici neurotrasmettitori, neuromodulatori, neuropeptidi e neurotrofine (Angelini e Battistin, 2014).

2.5 Ruolo dei mitocondri

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mitocondriali nelle cellule dei pazienti che potrebbero contribuire alla neurodegenerazione. I neuroni sono infatti molto sensibili ai difetti mitocondriali perché caratterizzati da un’elevata esigenza energetica: devono soddisfare diverse funzioni fisiologiche “costose”, come la liberazione, il re-uptake e il metabolismo dei neurotrasmettitori nelle sinapsi, l’alta specializzazione dei microtubuli e del citoscheletro, il flusso assonico e il mantenimento di un elevato tasso di espressione genica e sintesi proteica. E' stato a lungo dibattuto se la disfunzione mitocondriale fosse solo una conseguenza della degenerazione cellulare o potesse rivestire un ruolo patogenetico diretto. Alcune linee di ricerca considerano infatti il coinvolgimento dei mitocondri come una caratteristica aspecifica dell’insorgenza e progressione della malattia. Tuttavia, numerosi studi sono in atto per determinare le alterazione mitocondriali nella HD (Lonigro et al, 2009; Quintanilla et

al, 2009). Sono state rilevate, in particolare, alterazioni morfologiche

dei mitocondri sia in tessuti cerebrali post-mortem sia in cellule periferiche e linfoblasti di pazienti (Lonigro et al, 2009), alterazioni ritenute sottendere difetti del metabolismo energetico cellulare, con particolare risonanza su quello cerebrale. Nella corteccia cerebrale e nei gangli della base di pazienti con HD è stato infatti osservato, fin dalle prime fasi della malattia e utilizzando la tomografia ad emissione di positroni (PET), un ipometabolismo accompagnato da una riduzione dell’utilizzo di glucosio. Il talamo di pazienti con HD sintomatica ha mostrato una bassa concentrazione di N-acetilaspartato, una molecola abbondante nei neuroni, la cui produzione riflette l'attività metabolica mitocondriale. Nei gangli della base, il ridotto metabolismo glucidico è stato correlato alla riduzione dei recettori D1 e D2 per la dopamina assieme ad atrofia striatale. Al contrario, si è osservato un aumento del metabolismo glucidico a livello di cervelletto, a sostegno dell’interessamento più tardivo di questa

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regione nella patogenesi della HD. Sono state anche riportate importanti alterazioni della catena respiratoria, a livello di complessi II, III e IV, e a carico della fosforilazione ossidativa con riduzione di ATP ed anche AMPc intracellulare (Lonigro et al, 2009).

Ulteriore supporto al ruolo patogenetico mitocondriale giunge da importanti studi che hanno evidenziato il possibile effetto diretto della mHtt sui mitocondri, mediante meccanismi tipo GAIN OF FUNCTION: la proteina mutante si lega direttamente alla proteina 1 (DRP1) legata alla GTPase della famiglia delle dinamine che regola la fusione e fissione dei mitocondri nel modello murino di HD (Song et

al, 2011). La valutazione della relazione causa-effetto delle interazioni

mHtt-mitocondrio nel quadro della HD sono quindi oggetto di intensa investigazione.

2.6 Ruolo dell’omeostasi del calcio e stress ossidativo

La regolazione del Ca2+ intracellulare è stata trovata alterata nella HD. Cambiamenti a carico di componenti del ciclo del fosfatidilinositolo e risposte modificate a composti agonisti di recettori legati a questa via trasduzionale sono stati infatti riscontrati in cellule e neuroni striatali di modelli murini della patologia. Il risultato complessivo di tali modifiche è un’alterata risposta del secondo messaggero trifosfatidilinositolo (IP3) e conseguente alterata risposta del Ca

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intracellulare nelle cellule affette (Bezprozvanny, 2009). Oltre a queste modifiche, anche disfunzioni dell'omeostasi del Ca2+ mitocondriale sono state rilevate in cellule striatali immortalizzate del modello murino della malattia. Alterazioni della permeabilità al Ca2+ sono state osservate nei mitocondri di linfoblasti provenienti da pazienti con HD: i mitocondri dei malati sono risultati sensibili a concentrazioni di Ca2+ più basse rispetto ai mitocondri di soggetti di

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controllo, probabilmente per una ridotta soglia al passaggio del Ca2+ da parte della membrana mitocondriale, legata all’apertura dei canali per questo ione. In sostanza, le cellule esprimenti la mHtt avrebbero mitocondri particolarmente vulnerabili alle sollecitazioni indotte dal Ca2+ (Quintanilla et al, 2009). Il preciso significato di questa aumentata eccitabilità è tuttora in via di chiarimento: questa potrebbe infatti essere anche un tentativo di compensazione allo stress e alla morte cellulare.

Un altro importante aspetto che sembra avere un ruolo sempre più importante in neuropsichiatria e nelle patologie neurodegenerative è dato dallo stato di ossidazione del “milieu” intracellulare: anche nella HD è stato rilevato un incremento della formazione di radicali liberi e incremento di specie reattive dell’O2 (ROS) a livello striatale

provocato dalla mHtt e dall’apoptosi neuronale (Browne et al, 2006), contribuendo alla patogenesi della malattia nelle sue fasi più tardive.

2.7 Terapie farmacologiche standard

Le attuali terapie farmacologiche hanno l’obiettivo di contrastare ed alleviare i sintomi della HD, non potendo prevenirne la comparsa né eliminarne la causa. I farmaci raccomandati per trattare la Còrea sono: la tetrabenazina (100 mg/die), il riluzolo (200 mg/die), l’amantadina (300–400 mg/die) e il nabilone. La tetrabenazina è un inibitore del traffico vescicolare delle monoamine ed è stato approvato per contenere i movimenti coréici. Questo farmaco deve essere somministrato insieme ad altri composti per prevenire la possibile comparsa di depressione. I trials clinici relativi a composti per la funzione cognitiva hanno dato risultati solo parzialmente soddisfacenti (Lonigro et al, 2009). Tra questi ricordiamo la memantina e gli inibitori dei recettori dell’ acido-N-metil-D-aspartico NMDA, che

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ritardano o riducono la progressione della demenza. L’esordio e l’evoluzione della patologia richiede anche la necessità ad alleviare i disturbi psicologici e psichiatrici, data l’elevata tendenza al suicidio dei pazienti e la comorbidità con veri e propri disturbi psichiatrici. Depressione, irritabilità, apatia e disturbi ossessivi vengono controllati con farmaci ansiolitici quali le benzodiazepine (es. alprazolam), antidepressivi triciclici (es. imipramina) o antidepressivi di seconda generazione (atipici e inibitori selettivi del re-uptake della serotonina (5-HT) o SSRIs), stabilizzanti dell’umore o anticonvulsivanti (es. valproato di sodio). Questi farmaci vengono spesso usati in combinazione, mostrando buoni risultati su irritabilità, ansia e depressione. In alcuni casi, i farmaci usati per il controllo dei disturbi dell’umore hanno anche effetto sulla disfunzione motoria che caratterizza la malattia. In particolare, l’efficacia sul controllo dei movimenti di alcune benzodiazepine e di alcuni inibitori della trasmissione nervosa a livello centrale (inibitori della trasmissione di dopamina e glutammato) è documentata da anni di utilizzo. Sono purtroppo altrettanto noti anche i possibili pesanti effetti collaterali quali sintomi Parkinson-simili, disturbi dell’equilibrio, apatia e/o distonia tardiva. Attualmente, buoni risultati con minori effetti secondari possono essere ottenuti con gli antidepressivi atipici o di seconda generazione (es. Trazodone, Venlafaxina). Per il controllo dei sintomi psicotici nei pazienti con HD, gli antipsicotici atipici (es. olanzapina) sono preferenziali; infatti gli antipsicotici tradizionali quali i neurolettici (es. aloperidolo) sono di largo impiego per il controllo del disturbo psicotico ma possono presentare gravi effetti collaterali di tipo motorio, sindrome parkinsoniana, discinesia tardiva e depressione, peggiorando l’evoluzione della sintomatologia nel tempo.

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2.8 Nuove possibili strategie terapeutiche

Le strategie del domani mirano ad una terapia che possa proteggere i neuroni dalla morte cellulare o ne ritardi la degenerazione attraverso approcci farmacologici o terapie riparative, quali il trapianto cellulare, contrastando in tal modo l’insorgere e il progredire della malattia.

Sono in corso studi di efficacia e tossicità di nuovi potenziali farmaci per l’HD sia sull’uomo, sia sugli animali.

Particolare interesse è rivolto a sostanze legate al metabolismo energetico e con attività non mirata alla trasmissione a livello centrale, quali il coenzima Q10, la creatina e il Miraxion (acido eicosapentaenoico, EPA). Lo studio CARE-HD coordinato dall’Huntington Study Group (HSG) e dal dottor Kieburtz (Feigin et

al., 1996) negli Stati Uniti ha mostrato su un ridotto numero di

soggetti che il CoenzimaQ, attivo nei processi di produzione dell’energia intracellulare, può rallentare la progressione della malattia, risultando ben tollerato.

Altre strategie riguardano la modifica di attività legate alla patogenicità: ad esempio, l’inibizione di attività proteolitiche e caspasiche legate al taglio della mHtt può rallentare la malattia (Cooper et al., 1998), mentre l’acetilazione delle lisine può concorrere al miglioramento della “clearance” della proteina impedendo gli effetti tossici della mHtt (Jeong et al., 2009). Inibitori di deacetilasi istoniche sono in sviluppo per contrastare le alterazioni dell’espressione genica regione-specifica responsabile di molte alterazioni metaboliche neuronali (Lonigro et al, 2009). Anche i processi epigenetici di metilazione del DNA sono possibili targets terapeutici. A questi aggiungiamo il “targeting” delle modifiche post-traduzionali e degli stati di fosforilazione della mHtt, in grado di modularne la tossicità,

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come potenziali bersagli terapeutici contro la HD.

Interventi sugli aggregati intracellulari sono un’altra via di sviluppo di approcci terapeutici mirati e farmaci che bloccano la scissione sito-specifica della mHtt e la formazione di frammenti patogeni N-terminali contenenti l’espansione di triplette potrebbero considerevolmente ridurre la citotossicità e rallentare la progressione della neurodegenerazione (Graham et al, 2006).

Le innovazioni dell’ingegneria genetica potrebbero condurre invece verso terapie più risolutive. Tra queste, ricordiamo lo sviluppo di oligonucleotidi antisenso e il silenziamento dell’espressione del gene HT15 modificato portando alla mancata espressione della proteina mutante (Carroll et al, 2011).

Possiamo quindi sostenere che gli studi dedicati al chiarimento del ruolo fisiologico della Htt e delle alterazioni provocate dalla mHtt stanno entrambi implementando le conoscenze della HD a livello molecolare facendo sperare, in un futuro prossimo, di poter delineare efficaci strategie in opposizione all’esito fatale della malattia.

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2.9 Basi neurobiologiche della Còrea di Huntington

Come già accennato, la delucidazione delle basi neurochimiche che definiscono le varie fasi della HD è uno dei principali “targets” nella caratterizzazione di questa invalidante patologia neurologica. La perdita del GABA striatale non è la sola alterazione neurotrasmettitoriale associata alla malattia. La comparsa di sintomi prodromici che si confondono con le patologie neuropsichiatriche lascia supporre il coinvolgimento di sistemi monoaminergici, neurotrasmettitoriali e neuroendocrini, già nelle prime fasi di malattia. Abbiamo ricordato come altri sistemi neurotrasmettitoriali possano influenzare la vulnerabilità striatale alla mHtt. Per questo, l’approccio

di valutazione multifattoriale e multiparametrico nell’indagine biochimica della HD si sta rivelando particolarmente efficiente (Ross e Tabrizi, 2011). Ne consegue l’importanza della ricerca di validi biomarkers periferici: tali markers consentirebbero non solo di valutare le alterazioni neurotrasmettitoriali o neurotrofiche che sottendono la HD, ma essere anche di grande utilità nella pratica clinica.

Sono infatti ancora relativamente poche le attuali conoscenze sui cambiamenti di concentrazione e funzionalità a carico di altri sistemi monoaminergici oltre la dopamina, quali, in particolare, il sistema della serotonina (5-HT), nella patogenesi di questa rara malattia genetica.

In uno studio condotto in tessuti cerebrali post-mortem di pazienti con HD e soggetti di controllo, sono stati misurati i livelli di GABA, glutammato, 5-HT e del suo principale metabolita acido 5-idrossi-indolacetico (5-HIAA), in quattro diverse aree dell’encefalo. I livelli di GABA sono risultati significativamente ridotti non solo nei gangli basali come atteso, ma anche nella corteccia e nell'ippocampo. La

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diminuzione di glutammato è stata rilevata in tutte le regioni ad eccezione del pallidum, dove si valutava il massimo deficit di GABA. I livelli di 5-HT e 5-HIAA sono risultati aumentati significativamente in tutti le regioni tranne che nell'ippocampo, rivelando quindi una “regionalità” delle alterazioni neutrasmettitoriali (Reynolds e Pearson, 1987). La trasmissione 5-HTergica potrebbe essere quindi alterata e sbilanciata durante i processi di neurodegenerazione provocati dalla HD. Alcuni lavori hanno messo in evidenza il coinvolgimento della funzione della 5-HT, assieme alla dopamina (DA) e al GABA nei processi d’invecchiamento e degenerazione cognitiva, con particolare riferimento alla compromissione del comportamento sociale e alla motivazione (Rehman e Masson, 2001). Questi risultati potrebbero indirettamente sostenere un ruolo della trasmissione 5-HTergica anche nella HD, dove la progressione dei sintomi cognitivi porta ad una grave alterazione di emotività, funzione cognitiva e socialità. Un altro parametro neurochimico che potrebbe contribuire, assieme alla 5-HT, alle alterazioni della funzione sociale riscontrate nei pazienti con HD è il nonapeptide ossitocina (OT), preposto al comportamento sociale (Insel et al, 2000). Se diversi studi in letteratura hanno messo in relazione cambiamenti dei livelli plasmatici di OT con comportamenti affettivi alterati nel contesto di patologie neuropsichiatriche (Modahl

et al., 1998; Goldman et al., 2008) o con lo stato d’ansia in volontari

sani (Marazziti et al., 2006), altri hanno persino rilevato un ruolo citoprotettivo del peptide sull’apoptosi neuronale (Erbaş et al, 2012).

Infine, sempre nell’ambito della ricerca dei marcatori biochimici di questa malattia, un altro punto che rimane da chiarire è l’alterazione a livello periferico della neurotrofina BDNF (Zuccato et al, 2011), la quale, come indicato nei capitoli precedenti, è al centro del quadro apoptotico neuronale della HD. I risultati circa l’utilizzo del BDNF

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infatti ad oggi dubbiosi (Zuccato et al, 2011).

Con questo studio, ci siamo pertanto proposti di valutare proprio dei parametri biochimici periferici relativi a questi sistemi, 5-HT, OT e BDNF, misurati nel plasma o piastrine ottenuti da pazienti affetti da HD, come possibili markers per la HD. Prima di definire pienamente i nostri obiettivi, forniremo a seguire una breve descrizione della biochimica e della fisiologia di questi importanti fattori neurochimici e neuroendocrini.

CAPITOLO 3

NEUROTRASMISSIONE 3.1 Serotonina (5-HT)

La Serotonina (5-HT) è un’indoleamina endogena prevalentemente prodotta nei nuclei del rafe mesencefalico a livello di SNC dove svolge un ruolo di neurotrasmettitore e a livello delle cellule enterocromaffini dell’apparato gastrointestinale dove regola la peristalsi intestinale. Alti livelli di 5-HT sono stati rilevati anche in circolo e in particolare nelle piastrine ematiche dove l’ammina svolge un ruolo importante nella risposta infiammatoria e nella coagulazione. Nel corso degli ultimi decenni la 5-HT è diventata un'importante area di ricerca ed oggetto di diversi studi. E' un importante modulatore della percezione del dolore, del sonno e dell'umore, nei soggetti sani; è stata associata all'ansia, alla depressione, alla schizofrenia, all'abuso di farmaci, al sonno ed all'attività onirica, all'emicrania, alle malattie cardiovascolari, all’obesità e alla malattia di Alzheimer (Meltzer et al, 1998; Vikenes et al, 1999; Murai et al, 2001; Ursin, 2002; Giannaccini

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trasportatore della 5-HT (SERT), la proteina carrier responsabile del trasporto intercellulare del neurotrasmettitore, nei disturbi neuropsichiatrici e condizioni che sono stati collegati alla modifica dell'attività serotoninergica (Holmes et al., 2003). I livelli di 5-HT dipendono da molti fattori; l'attività fisica e la luce solare, ad esempio, ne aumentano la produzione.

La 5-HT viene biosintetizzata a partire dal suo precursore, l' amino acido essenziale L-triptofano, introdotto con la dieta. I neuroni serotoninergici contengono l'enzima triptofano idrossilasi che converte l' L-triptofano in 5-idrossi-L-triptofano (5-OH-Trp), mediante l’azione di un enzima limite che è la triptofano idrossilasi, nelle due isoforme TPH1 e TPH2, a localizzazione periferica e pinealocitica (TPH1) o nei nuclei del rafe (TPH2) (Sakowski et al, 2006). Il 5-OH-Trp viene successivamente trasformato in HT tramite l’enzima ubiquitario 5-OH-Trp decarbossilasi.

E’ una molecola che esercita funzioni pleiotropiche ed è quindi in grado di influenzare numerose attività sia del SNC in qualità di neurotrasmettitore sia a livello periferico come importante fattore umorale. Il suo ruolo fisiologico comprende la modulazione della percezione del dolore, dei cicli sonno-veglia e del sonno (è il

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precursore dell’ormone pineale melatonina) e dell'umore; è stata associata all'ansia, alla depressione, alla schizofrenia, all'abuso di farmaci, al sonno ed all'attività onirica, all'emicrania ed alle malattie cardiovascolari. La 5-HT prodotta a livello di SNC è stata implicata quindi nei disturbi neuropsichiatrici e nella depressione (Hyttel, 1994): gli antidepressivi triciclici, gli antidepressivi inibitori selettivi del re-uptake della 5-HT (SSRIs) e gli antidepressivi atipici di seconda generazione agiscono tutti sui livelli di 5-HT intracerebrali. L’azione pleiotropica della 5-HT sia a livello centrale che in periferia si può realizzare grazie all’interazione di questa monoamina con un’ampia gamma di recettori specifici che ne influenzano e ne controllano l’attività. Più di 14 distinti recettori per la 5-HT sono stati caratterizzati a livello molecolare e farmacologico, raggruppati in 7 classi principali, 5-HT1R-5-HT7R, ognuna a sua volta divisa in diversi sottotipi anche questi caratterizzabili e definibili sia dal punto di vista biochimico che di azione e specificità farmacologica nonché di meccanismi preferenziali di trasduzione del segnale (Pytliak et al., 2011). I recettori delle varie classi possono essere localizzati sia a livello pre-sinaptico sui neuroni del nuclei del rafe con funzione di autorecettori che post-sinaptico a livello di neuroni che ricevono le proiezioni 5-HT-ergiche dal rafe. Ne consegue che tutte le aree cerebrali contengono i recettori per la 5-HT, ma i diversi sottotipi possono essere localizzati preferenzialmente in specifiche aree cerebrali con funzioni svariate sulla regolazione del firing neuronale pre- e post-sinaptico. I recettori della 5-HT della classe 1, 5-HT1R sono suddivisi in recettori 5-HT1A, 5-HT1D, 5-HT1E e 5-HT1F , tutti

recettori metabotropici a 7 domini idrofobici trans membrana, accoppiati a proteine G. La via di trasduzione del segnale promossa dalla 5-HT e dai composti definiti agonisti su questi recettori è la via dell’inibizione dell’enzima adenilato ciclasi (AC) che quindi non è più

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attiva nella sintesi di AMP ciclico a partire dal ATP. Si tratta quindi di recettori accoppiati a proteine di tipo Gi (inibitorie), anche se altre vie del segnale possono essere attivate da questi recettori (ex., apertura di canali del K+ via proteine G0). Ne consegue che gli autorecettori

somato-dendritici localizzati sul rafe inibiscono il firing dei neuroni 5-HTergici stessi inibendo il rilascio della 5-HT nel vallo sinaptico. Un esempio sono i recettori 5-HT1A somato-dendritici. I recettori 5-HT1A

possono anche trovarsi post-sinapticamente sui neuroni target della 5-HT del rafe dove esercitano un ruolo inibitorio sul rilascio di altri neurotrasmettitori a seconda del tipo di popolazione neuronale coinvolta. L’alto differenziamento e sottotipizzazione dei recettori della 5-HT è presente sia nel SNC che in periferia dimostrando quindi la fine regolazione esercitata da questa molecola nell’intero organismo. Poiché il grado di sensitizzazione e attivazione nonché l’ espressione dei recettori della 5-HT è capace di condizionare in modo significativo le risposte neuronali e degli organi bersaglio, i livelli di 5-HT nel vallo sinaptico e negli spazi extracellulari hanno un ruolo rilevante dal punto di vista omeostatico.

La molecola che regola i livelli extracellulari di 5-HT è proprio il carrier sopracitato della 5-HT (SERT), una molecola a 12 domini idrofobici trans membrana, che è coinvolta nel trasporto intracellulare della 5-HT, riducendone i livelli extracellulari. Tale molecola è il target farmacologico di quasi tutti i farmaci psicotropi utilizzati in clinica psichiatrica.

3.2 La regolazione dei livelli extracellulari di 5-HT: il Trasportatore della 5-HT (SERT).

L'azione fisiologica della 5-HT è regolata dal suo trasportatore, SERT, che modula i livelli di 5-HT nel fluido extracellulare.

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sinaptica dovuta al neurotrasmettitore. Ogni neurotrasmettitore è associato ad un trasportatore.

Il trasportatore della 5-HT è rappresentato da un polipeptide di 630 amminoacidi, organizzati in 12 domini idrofobici trans-membrana, con peso molecolare di 70 kDa (Giannaccini et al. 2011; Giannaccini

et al. 2013). Entrambe le terminazioni ammino- e carbossi- terminale

sono localizzate nello spazio intracellulare ed è presente un loop extracellulare molto esteso.

Il processo di uptake della 5-HT è strettamente legato alla presenza di ioni Na+ e Cl-.

Il complesso molecolare di trasporto è paragonabile ad un canale ionico che lega prima il Na+ poi la 5-HT ed infine il Cl- formando un complesso quaternario. Il Na+ è importante nella fase di captazione dell'ammina dall'ambiente extracellulare e il Cl- ha un ruolo essenziale nel trasferimento della 5-HT nell'ambiente intracellulare.

Questi legami causano delle modificazioni steriche del trasportatore, che provocano la liberazione dei tre componenti all'interno della cellula.

A questo punto il trasportatore libero lega uno ione K+ che permette la nuova esposizione del canale al mezzo extracellulare. Una volta che si è distaccato il K+ il sistema è pronto ad effettuare un altro ciclo.

Come mediatore la 5-HT esercita le sue azioni per mezzo di interazioni con i recettori specifici, che sono differenziati sulla base di strutture, meccanismi molecolari e profili farmacologici.

Ad esempio, uno dei meccanismi d'azione degli antidepressivi che bloccano il SERT è dato dall'aumento di 5-HT nel vallo sinaptico che produce un'iperstimolazione dei recettori post-sinaptici che genera down-regulation a livello pre- e post- sinaptico.

Questi fenomeni si accompagnano ad una riduzione dei siti di legame della 5-HT sul trasportatore che a loro volta sono in grado di

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provocare una diminuzione della funzionalità del trasportatore, regolando quindi il tono serotoninergico.

E' stato evidenziato che il SERT, sia neuronale che piastrinico, presenta sei siti di fosforilazione, tre per le PKA, attivati dall' cAMP, e tre per la PKC, attivato dal DAG. Il SERT è ampiamente espresso in cellule epiteliali intestinali, neuroni serotoninergici centrali o periferici e piastrine. Molteplici sono quindi le specie molecolari come ioni, ormoni, fattori di crescita e differenziamento che sono in grado di influenzare sia l’espressione genica che il numero di trasportatore della 5-HT nei suoi siti di localizzazione oltre ad influenzarne la conformazione 3D, il grado di affinità per i farmaci e per il ligando endogeno nonché la sua velocità di trasporto della 5-HT nell’ambiente intracellulare (Zahniser e Doolen, 2001).

Come già riportato, i primi segni della HD sono di natura comportamentale e neuropsichiatrica; quindi la sintesi, il rilascio, l’attività e il funzionamento della 5-HT a livello sinaptico nei malati può rivestire un ruolo fondamentale. Come altri neurotrasmettitori I llustrazione 7: Sinapsi serotoninergica.( tratto da www.treccani.it)

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centrali, anche la 5-HT è in grado d'interagire con neuropeptidi tra cui l’OT (Marazziti et al, 2012) e neurotrofine come il BDNF, concorrendo alla plasticità e al trofismo neuronale, alla vitalità di popolazioni neuronali capaci di svolgere funzioni elevate quali la percezione delle emozioni e il comportamento sociale degli individui, gravemente alterato nei pazienti con HD.

Studi molto interessanti e relativamente recenti mettono in rilievo il ruolo della 5-HT e del SERT nella funzione cognitivo-emotiva e motivazionale del sistema nervoso centrale (Szily et al., 2008; Sumiyoshi et al., 2014). Infine è stato dimostrato che i livelli di 5-HT intracerebrali sono in grado di influenzare la percezione sociale modulando l'accuratezza del riconoscimento delle espressioni emotive facciali (Boll e Gamer, 2014).

3.3 Ossitocina

L'ossitocina (OT) è un ormone peptidico costituito da una sequenza di soli nove amminoacidi comprendente un ponte disolfuro tra i residui di cisteina 1 e 6.

La presenza del ponte disolfuro fa si che il peptide sia costituito da una parte ciclica di sei amminoacidi e da una coda con tre residui amminoacidici. La glicina terminale presenta un legame con un gruppo amminico dovuto a processi di modificazione propri della proteina. Il suo peso molecolare è di circa 1007 daltons. La porzione carbossiterminale subisce una reazione di α-ammidazione che si realizza durante i processi di sintesi del peptide.

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Questa struttura è molto simile a quella di altri nonapeptidi, tra cui la vasopressina, che differisce per due soli residui aminoacidici, la fenilalanina in posizione 3 e l’arginina in posizione 8. Queste sequenze sono “affiliate” a due distinte famiglie di nonapeptidi con funzione neuroendocrina, la famiglia dei peptidi dell’OT e quella dei peptidi della vasopressina che differiscono soprattutto per l’AA in posizione 8, un AA neutro per i peptidi della famiglia dell’OT o un AA basico (arginina o lisina) per i peptidi della famiglia della vasopressina. In particolare, le sostituzioni degli AA in posizione 3 e 8 sono alla base delle affinità rispettive dell’OT e della vasopressina per i propri recettori (Gimpl e Fahrenholz, 2001).

L'OT è stata purificata e sequenziata nel 1953, ed è stato il primo ormone peptidico ad essere sintetizzato in laboratorio a scopo farmacologico, in forma biologicamente attiva.

L'OT è un ormone tipico de mammiferi e la sede principale della sua sintesi è l' ipotalamo, da cui viene trasportata in altre aree del SNC in particolare nella Neuroipofisi.

Nell'ipotalamo, l'OT viene sintetizzata da due principali tipi di cellule: magnocellule (mgc), di grandi dimensioni, e le parvocellule (pvc), di dimensioni inferiori.

Le cellule mgc si trovano prevalentemente localizzate all'interno del Illustrazione 8: Struttura dell'ossitocina.

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Nucleo Sopraottico (SON) e del Nucleo Paraventricolare (PVN), in quelli che vengono definiti “nuclei accessori” dell'Ipotalamo e nel Nucleo Basale.

I peptidi sintetizzati in questo tipo di cellule sono trasportati lungo gli assoni fino alla Neuroipofisi dove vengono immagazzinati e, sotto opportuni stimoli, rilasciati nella circolazione sistemica.

L'OT, come altri ormoni peptidici, viene sintetizzata a partire da un precursore polipeptidico più ampio, ovvero un pro-ormone chiamato prepro-ossitocina, che comprende:una sequenza segnale per la secrezione, la sequenza dell'ormone e quello della sua proteina vettore (Neurofisina 1).

E' stato proposto che la Neurofisina funga da trasportatore durante l'immagazzinamento del peptide nelle vescicole e durante il trasporto lungo l'assone, proteggendo il peptide dalla degradazione.

Dopo la dissociazione del complesso Neurofisina- peptide, il peptide può interagire con il proprio recettore.

Il recettore dell'OT è stato identificato in diversi tessuti, sia centrali che periferici.

A livello del SNC è presente in varie aree, con importanti differenze tra le varie specie. Nell'uomo è presente nella pars compacta della substantia nigra, suggerendo un possibile bersaglio nei neuroni dopaminergici nigrostriatali e un coinvolgimento nelle funzioni motorie e gangliari di base. A livello periferico il recettore per l'OT è espresso a livello delle cellule miometrali dell'utero, dove regola la contrazione della muscolatura liscia; nelle cellule mioepiteliali della ghiandola mammaria, nelle cellule delle isole pancreatiche, nel fegato, nel surrene e a livello cardiaco.

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Il sito di legame dell'OT con il suo recettore sembra essere localizzato in parte nei domini transmembrana ed in parte nei loops extracellulari. Il recettore dell'OT è costituito da 388 AA disposti in domini transmembrana ad alfa elica, funzionalmente accoppiato alla proteina Gq/11 e, in risposta al legame con gli agonisti, attiva la Fosfolipasi C (PLC).

La PLC agisce idrolizzando il polifosfoinositolo e forma, come secondi messaggeri, l'inositolo 1,4,5-trifosfato (IP3) e il 1,2-

diacilglicerolo (DAG).

L'IP3 libera ioni calcio dai siti di deposito intracellulare, come ad

esempio dal reticolo endoplasmatico; il DAG attiva invece la proteinchinasi C. In questa via di trasduzione del segnale, il Ca2+ è considerato il vero secondo messaggero. Per esplicare le sue funzioni, generalmente il Ca2+ si deve legare ad una proteina citoplasmatica chiamata Calmodulina. Il complesso Ca2+- calmodulina attiva una protein-chinasi calmodulina-dipendente.

L'incremento intracellulare del calcio, produce un iniziale abbassamento del pH all'interno della cellula, che ha come conseguenza un flusso di ioni H+ e di ioni Na+ al fine di riportare il pH

Illustrazione 9: Rappresentazione degli organi bersaglio dell' ossitocina.

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