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Discriminazione e manifestazione del pensiero

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Academic year: 2021

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(1)

Jovene editore

Percorsi costituzionali

1-2.

2015

Libera critica

in libero Stato

Fondazione Magna Carta

(2)

Condirettore

Tommaso Edoardo Frosini

Comitato scientifico

Luca Antonini, Paolo Armaroli, Mario Bertolissi, Paola Bilancia

Beniamino Caravita di Toritto, Ginevra Cerrina Feroni, Achille Chiappetti Claudio Chiola, Fabio Cintioli, Mario Comba, Giovanni Cordini

Giuseppe Franco Ferrari, Guido Guidi, Giampaolo Ladu, Vincenzo Lippolis Aldo Loiodice, Susanna Mancini, Stefano Mannoni, Manlio Mazziotti di Celso Luca Mezzetti, Giuseppe Morbidelli, Roberto Nania, Ida Nicotra, Raffaele Perna Giovanni Pitruzzella, Giulio Maria Salerno, Lorenza Violini, Nicolò Zanon

Comitato scientifico internazionale

Armin von Bogdandy (Germania), Selin Esen (Turchia) Marcelo Figueiredo (Brasile), Anna Gamper (Austria) Yasuo Hasebe (Giappone), Chris Himsworth (Scozia) Peter Leyland (Inghilterra), Otto Pfersmann (Francia) Calogero Pizzolo (Argentina), Michel Rosenfeld (USA) Dominique Rousseau (Francia), Pedro Tenorio (Spagna)

Segreteria di Redazione

Ulrike Haider Quercia

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JOVENE EDITORE

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Le comunicazioni in merito a mutamenti di indirizzo vanno indirizzate all’Editore. I contributi pubblicati in questa Rivista potranno essere riprodotti dall’Editore su altre proprie pubblicazioni, in qualunque forma.

I contributi pubblicati su questo fascicolo sono soggetti a valutazione da parte di un comitato di referee.

Finito di stampare nell’ottobre 2015 - Ink Print Service - Napoli.

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INDICE

1-2.2015

Libera critica in libero Stato

EDITORIALE

GIUSEPPE DEVERGOTTINI, La libertà di pensiero è sempre attuale?... p. 3

SAGGI

ELISABETHSTEINER - ANDREEA MARIAROS¸U, Freedom of expression and the challenges of internet in the jurisprudence of the ECHR ... » 33 TOMMASOEDOARDOFROSINI, Libertà di critica vs. vilipendio ... » 57

GIULIO ENEA VIGEVANI, Sviluppi del diritto di critica politica, tra giudice nazionale ed europeo ... » 67 GINEVRACERRINAFERONI- ANTONIOBELLIZZI DISANLORENZO,

Di-scriminazione e manifestazione del pensiero ... » 85 MARCOSABBIONETI, “Così frola e così magistrato”. Cenni su satira e

diritto di cronaca nell’Italia liberale ... » 105

OSSERVATORIO

ANNA GAMPER, Ni la force, ni la rigueur? Judicializing Direct Democracy ... » 125

FERNANDO REVIRIEGO PICÓN, Istituti penitenziari e diritti

fonda-mentali ... » 141

MARCELO FIGUEIREDO, L’influenza della dottrina nelle decisioni

dei Tribunali costituzionali del Brasile ... » 175

MICHELE BELLETTI, La sollecitazione del “fatto”. Nella

conforma-zione delle unioni di persone dello stesso sesso ... » 193

CLAUDIOMARTINELLI, La Magna Carta tra storia del diritto e diritti

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LUIGICOMPAGNA, Stagione di antiparlamentarismo ... p. 227

GIAMPIERO DI PLINIO, Teoria del nucleo e costituzione vivente tra

costituzionalismo ‘occidentale’ e ‘costituzionalismo islamico’ ... » 239

PASSATO E PRESENTE GEORG JELLINEK, Il ruolo delle prime camere nella legislazione in materia finanziaria ... » 259

CLEMENTEFORTE, Postfazione ... » 287

LUIGICIAURRO, Camere alte e decisioni di finanza pubblica ... » 291

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GINEVRA CERRINA FERONI - ANTONIO BELLIZZI DI SAN LORENZO

DISCRIMINAZIONE E MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO

SOMMARIO: 1. Individuazione del tema e profili evocati. – 2. L’azione dell’Unione

europea per l’affermazione del principio di non discriminazione in ragione dell’identità e orientamento sessuale. – 3. Uno sguardo comparato su alcuni ordinamenti: Regno Unito, Francia, Portogallo, Danimarca, Paesi Bassi. – 4. Il nodo cruciale della questione: ovvero indeterminatezza del concetto di “di-scriminazione” e determinatezza della fattispecie. – 5. Rilevanza civilistica del concetto di discriminazione, definizione legislativa ai fini civili ed ammini-strativi ed assenza di una definizione penale. – 6. Quale rischio per la libertà di manifestazione del pensiero? Profili di incostituzionalità dell’incrimina-zione del concetto di “istigadell’incrimina-zione” nell’attuale formuladell’incrimina-zione della norma.

1. Individuazione del tema e profili evocati

Costituisce un’occasione di riflessione sul concetto giuridico di “discriminazione” la proposta di legge presentata il 15 marzo 20131, *Il lavoro, nel suo impianto, svolgimento e conclusioni, è frutto del lavoro

con-diviso di entrambi gli Autori. Tuttavia i paragrafi 1, 2, 3 sono più specificamente rife-ribili a G. Cerrina Feroni, il 4, 5, 6 a A. Bellizzi di San Lorenzo.

1Si veda Atti parlamentari, XII Legislatura, Camera dei Deputati n. 245,

d’ini-ziativa dei deputati Scalfarotto e altri. La questione è nota. La proposta di legge, già approvata con modifiche dalla Camera dei Deputati il 19 settembre 2013 ed attual-mente in discussione al Senato, introduce: la reclusione fino a un anno e 6 mesi o la multa fino a 6.000 euro per chi «istiga a commettere o commette atti di discrimina-zione per motivi fondati sull’omofobia o transfobia»; la reclusione da 6 mesi a 4 anni per chi in qualsiasi modo «istiga a commettere o commette violenza o atti di provoca-zione alla violenza per motivi fondati sull’omofobia o transfobia»; la reclusione da 6 mesi a 4 anni per chiunque «partecipa, o presta assistenza ad organizzazioni, associa-zioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi fondati sull’omofobia o transfobia». Tali formazioni sono espressamente vietate dalla legge. La pena per coloro che le promuovono o dirigono è la reclusione da 1 a 6 anni. Nel testo, dopo una vivace discussione parlamentare, è stato poi aggiunto un comma in base al quale: «non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convinci-menti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte al-l’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale,

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avente ad oggetto l’espansione della fattispecie incriminatrice del-l’art. 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654 c.d. “legge Reale” (così come novellata dall’art. 1 della legge 25 giugno 1993, n. 205 c.d. “legge Mancino” e poi dall’art. 13 della legge 24 febbraio 2006, n. 85) ai motivi di “omofobia/transfobia”, rispetto ai “motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”, quali moventi già tipizzati2 degli “atti

di discriminazione”, ovvero di “istigazione a commettere” questi ul-timi.

Il tema, da affrontarsi con un approccio giuridico necessaria-mente interdisciplinare3, pone allo studioso profili di analisi non

ba-nali: da un lato, al di là dell’indubitabile impatto emotivo di una proposta-manifesto come quella in discussione4, essa obbliga ad

in-terrogarsi sul concetto stesso di “non discriminazione”. Un con-cetto che, per la sua genetica natura retorico-declamativa, sembra in questo contesto quasi evocare l’inclusione edenica di una “massa dannata” precedentemente esclusa, tramite un’apparente salvifica fattispecie penale, di cui si pretende arricchire lo strumentario pu-nitivo; dall’altro, costituisce la prova della emersione di una sorta di “neo-manicheismo sociologico-mediatico” che ritiene di risolvere ogni problema attraverso un uso vessillare della sanzione penale5, a

sanitaria, di istruzione, ovvero di religione o di culto, relative all’attuazione dei principi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni».

2In questo senso G. Riccardi, Omofobia e legge penale. Possibilità e limiti

del-l’intervento penale (30 settembre 2013), in http://www.penalecontemporaneo.it/ upload/1380446460RICCARDI%202013a.pdf, ove, con riferimento alla tecnica

legisla-tiva di «cristallizzazione normalegisla-tiva del movente» (p. 34), già si segnala che «l’assun-zione dell’omofobia ad oggetto dei motivi ovvero della finalità non è neutra» (p. 43) «poiché lo scopo (o la finalità) rappresenta l’aspetto conoscitivo del fatto psichico» che «presuppone una volontà già decisa a conseguire il risultato oggetto della rappresen-tazione ed è necessariamente consapevole» laddove «il movente rappresenta l’aspetto oggettivo del fatto psichico, dunque precede la deliberazione criminosa e può essere sia consapevole sia inconscio». ibidem.«Il pericolo è, dunque, che lo sbilanciamento delle fattispecie sulle componenti soggettive che connotano la condotta possano rivi-talizzare un diritto penale sintomatico, dell’atteggiamento interiore (…)» ibidem, 25.

3Si veda J. Piaget, Méthodologie des relations interdisciplinaires, in Archives de

philosophie, 1971, 34 (4), 539-549.

4Cfr. A. Pugiotto, Le parole sono pietre? I discorsi di odio e la libertà di

espres-sione nel diritto costituzionale (15 luglio 2013), in http://www.penalecontemporaneo.it/ upload/1378823427PUGIOTTO%202013.pdf, 12; di «ipercriminalizzazione» parla L.

Goisis, Omofobia e diritto penale: profili comparatistici, in

http://www.penalecontem-poraneo.it, 16 novembre 2012.

5Di «legislazione simbolica» parla G. Riccardi, op. cit., 51, che richiama il

mira-bile scritto di C.E. Paliero, Minima non curat praetor. Ipertrofia del diritto penale e

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scapito dei principi basilari di legalità, sub specie di tassatività-de-terminatezza della fattispecie6, nonché di materialità7 e di

offensi-vità del reato8. Principi, questi, che, insieme alla libertà di

manife-stazione del pensiero, rappresentano invece i cardini dello Stato di diritto e che, in quanto tali, devono essere costituzionalmente cu-stoditi, proprio partendo dalla consapevolezza giuridica dei beni-in-teressi da tutelare proporzionalmente ai diritti fondamentali impli-cati, come il diritto all’identità persona9, che costituisce il valore

normativo apicale dell’ordinamento (art. 2 Cost.)10.

2. L’azione dell’Unione europea per l’affermazione del principio di non discriminazione in ragione dell’identità e orientamento ses-suale

La necessità di tale consapevolezza specifico-contestuale non è alleviata, ma anzi è accresciuta dal fenomeno di “tutela multilivello dei diritti fondamentali” implicata da quel work in progress che è il processo di integrazione europea11e dall’affermarsi nei vari

ordina-menti di fattispecie analoghe.

La questione delle discriminazioni in ragione dell’orienta-mento e identità sessuale è infatti da tempo oggetto di attenzione in vari Paesi, specialmente su impulso della Unione europea. Non è infatti improprio sostenere che l’affermazione del principio di non discriminazione in base all’orientamento sessuale sia riconducibile in massima parte all’azione della Unione europea che da tempo lo promuove e lo tutela, anche simbolicamente12. Si tratta di un

prin-cipio che ha trovato per la prima volta affermazione nell’art. 13 del 87

DISCRIMINAZIONE E MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO

6V., ex pluribus, F. Palazzo, Il principio di determinatezza in diritto penale, Padova

1979; G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale-parte generale, Bologna 2002, 66 e ss.

7Cfr. F. Mantovani, Diritto penale - parte generale, 3ª ed., Padova 1992, 157 e ss. 8V., ex pluribus, G. Riccardi, op. cit., 22 e ss.

9Per una ricognizione problematica, si confronti C. Mignone, Identità della

per-sona e potere di disposizione, Napoli 2014, segnatamente 109 e ss.

10Nel senso che la Costituzione ha posto la persona come Grundnorm

dell’ordi-namento giuridico, C. Castronovo, Danno biologico. Un itinerario di diritto

giurispru-denziale, Milano 1998.

11A. Cardone, La tutela multilivello dei diritti fondamentali, Milano 2012. 12Emblematica la giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia che

dal 2007, per volontà dell’Unione europea, si celebra simbolicamente il 17 maggio, giorno nel quale, era il 1990, l’Organizzazione Mondiale della Sanità escluse l’omoses-sualità dalla lista delle malattie mentali.

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Trattato di Amsterdam13 e che trova oggi riferimenti espressi

nel-l’art. 10 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che prevede che «nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione mira a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni perso-nali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale»; nell’art. 19 che prevede che «il Consiglio, deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la re-ligione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orienta-mento sessuale»; nell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali del-l’Unione europea (dotata, in base all’articolo 6 TUE, dello stesso valore giuridico dei Trattati) che sancisce il divieto di qualsiasi di-scriminazione fondata sulle tendenze sessuali. Il tema era stato affrontato nella direttiva del 27 novembre 2000/78/CE riguardante la parità di trattamento fra persone, indipendentemente dall’età, re-ligione, credo, handicap, e appunto orientamento sessuale e, più recentemente, è stato oggetto di una proposta di direttiva del Con-siglio del 2 luglio 2008 (COM(2008) 426 definitivo) recante appli-cazione del principio di parità di trattamento fra le persone indi-pendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabi-lità, l’età o l’orientamento sessuale. La proposta intende istituire “un quadro per il divieto della discriminazione fondata su questi motivi” e stabilire “un livello minimo uniforme di tutela all’interno dell’Unione europea per le persone vittime di discriminazione”. In-cessante è inoltre la produzione di risoluzioni del Parlamento euro-peo in materia tra cui quella del 24 maggio 2012 sulla lotta all’o-mofobia in Europa che «condanna con forza tutte le discrimina-zioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere e

13Prima dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, nel noto caso Grant

del 17 febbraio 1998 (causa C-249/96), la Corte di giustizia si è interrogata sulla op-portunità di ampliare, in assenza di altro e più preciso riferimento normativo, il signi-ficato dell’espressione “discriminazione fondata sul sesso” contenuta nell’art. 119 del Trattato che istituisce la Comunità europea, ricomprendendo anche la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale. Tuttavia, la Corte ha escluso una simile soluzione, motivando che “la portata del detto articolo, così come quella di qualunque disposi-zione di diritto comunitario, può essere definita solo tenendo conto del suo dettato e del suo scopo, nonché della sua collocazione nel sistema del Trattato e del contesto giuridico in cui va iscritta tale disposizione (…)” e “allo stato attuale il diritto comu-nitario non si applica ad una discriminazione fondata sull’orientamento sessuale (…)”.

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deplora vivamente che tuttora, all’interno dell’Unione europea, i di-ritti fondamentali delle persone LGBT non siano sempre rispettati appieno; invita pertanto gli Stati membri a garantire la protezione di lesbiche, gay, bisessuali e transgender dai discorsi omofobi di in-citamento all’odio e dalla violenza e ad assicurare che le coppie dello stesso sesso godano del medesimo rispetto, dignità e prote-zione riconosciuti al resto della società; esorta gli Stati membri e la Commissione a condannare con fermezza i discorsi d’odio omofobi o l’incitamento all’odio e alla violenza nonché ad assicurare che la libertà di manifestazione, garantita da tutti i trattati sui diritti umani, sia effettivamente rispettata» e «ritiene che i diritti fonda-mentali delle persone LGBT sarebbero maggiormente tutelati se esse avessero accesso a istituti giuridici quali coabitazione, unione registrata o matrimonio; plaude al fatto che sedici Stati membri of-frono attualmente queste opportunità e invita gli altri Stati membri a prendere in considerazione tali istituti». O quella più recente del 4 febbraio 2014 intitolata “Tabella di marcia dell’UE contro l’o-mofobia e la discriminazione legata all’orientamento sessuale e all’i-dentità di genere” nella quale si invita la Commissione europea, gli Stati membri e le agenzie competenti a collaborare alla definizione di una politica globale pluriennale per la tutela delle persone LGBTI e tra le cui azioni si sottolinea la necessità della lotta, me-diante strumenti di diritto penale, avverso forme ed espressioni di odio e incitamento all’odio fondate sull’orientamento sessuale e sul-l’identità di genere. Numerose sono, peraltro, anche le indagini sta-tistiche raccolte in numerosi Paesi europei che testimoniano la dif-fusione del fenomeno dell’omofobia, anche nella forma più grave dei c.d. hate crimes (crimini d’odio), ampia categoria criminologica di derivazione anglosassone che ricomprende i crimini basati sul pregiudizio, la discriminazione e l’odio generati da fattori quali la razza, l’origine etnica, l’orientamento sessuale, la religione, la con-dizione sociale, l’appartenenza politica14. Lo Statistical Bulletin

re-datto dall’Home office inglese – il dipartimento del Governo britan-nico deputato, tra l’altro, alla raccolta di dati in materia di giustizia – registra nel periodo di riferimento 2013-2014, solo per Inghilterra

14L’espressione “crimini d’odio” è impiegata ufficialmente per la prima volta nel

2003 dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). Sul tema si rinvia a L. Scaffardi, Oltre i confini della libertà di espressione. L’istigazione

all’odio razziale, Padova 2009.

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e Galles, 44.480 hate crimes. Di questi, l’84% (37.484) sono crimini a sfondo razziale ma, immediatamente a seguire, il 10% (4.622) sono crimini motivati da odio c.d. omofobico. A quest’ultima per-centuale (peraltro cresciuta rispetto al periodo 2011-2012) deve poi sommarsi un ulteriore 1% (555) di crimini rivolti a persone c.d. transgender15.

3. Uno sguardo comparato su alcuni ordinamenti: Regno Unito, Francia, Portogallo, Danimarca, Paesi Bassi

Quali sono state le risposte degli Stati a fronte di queste pre-cise indicazioni da parte degli organi dell’Unione europea? Il pano-rama delle soluzioni elaborate dagli Stati europei per fronteggiare un simile fenomeno è assai variegato, anche se vi sono alcune linee comuni riconducibili o alla introduzione nei codici penali dei vari ordinamenti di fattispecie autonome di reato di discriminazione in ragione dell’orientamento o identità sessuale, o comunque l’intro-duzione del movente, appunto legato all’orientamento o identità sessuale, quale circostanza aggravante di determinati reati. Rari sono invece i casi di ordinamenti, come quello portoghese, che hanno contemplato in Costituzione un espresso divieto di discrimi-nazione in ragione dell’orientamento sessuale.

Lo stesso Regno Unito, pur non fornendo una specifica defini-zione legislativa di omofobia, punisce la stessa nel quadro più gene-rale della repressione dei reati connotati da odio razziale o religioso verso le vittime e dalla discriminazione in ragione del loro orienta-mento sessuale. Già nel 2003, il Criminal Justice Act (art. 146) aveva previsto un aggravamento di pena per il caso in cui l’atto criminoso fosse stato motivato da ragioni (anche presunte) legate all’orienta-mento sessuale della vittima. E nel 2008, nell’ambito del Criminal

Justice and Immigration Act, è stata introdotta un’importante

mofica della Parte 3A del Public Order Act del 1986 che ha esteso la di-sciplina prevista per i crimini ispirati da odio religioso a quelli

“ha-tred on the grounds of sexual orientation”. La Francia ad esempio ha

attuato negli ultimi anni interventi legislativi che si sono mossi in tre direzioni: a) con successive modifiche del codice penale, viene oggi contemplata la discriminazione in ragione dell’orientamento o

iden-15Home Office Statistical Bulletin Hate Crimes, England and Wales, 2013/14,

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tità sessuale quale autonoma figura di reato. Ai sensi dell’art. 225-1 codice penale francese infatti «costituisce una discriminazione ogni distinzione operata tra persone fisiche in ragione della loro origine, del loro sesso, della loro situazione familiare, del loro stato di gra-vidanza, della loro apparenza fisica, del loro patronimico, del loro stato di salute, del loro handicap, delle loro caratteristiche geneti-che, delle loro tradizioni, del loro orientamento o identità sessuale, della loro età, delle loro opinioni politiche, delle loro attività sinda-cali, della loro appartenenza o non appartenenza, vera o supposta, a un’etnia, una nazione, una razza o una religione determinata (…)». La discriminazione che consista in uno dei casi specificati in detto articolo è punita (art. 225-2 codice penale) con tre anni di re-clusione e 45000? di ammenda. Parallelamente, in applicazione del-l’articolo 432-7 del codice penale, la discriminazione definita all’ar-ticolo 225-1, commessa verso una persona fisica o morale da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio nel-l’esercizio delle funzioni o del servizio, è punita con cinque anni di reclusione e 75000? di ammenda quando tale violazione consiste nel rifiutare il beneficio di un diritto stabilito dalla legge o nell’o-stacolare il normale esercizio di una qualsiasi attività economica. b) Il legislatore francese è intervenuto anche in materia di libertà di stampa (legge 29 luglio 1881) prevedendo quali fattispecie penali la diffamazione pubblica (art. 32), l’ingiuria pubblica (art. 33) e l’isti-gazione pubblica alla discriminazione, all’odio o alla violenza (art. 24) commesse nei confronti di una persona o di un gruppo di per-sone in ragione del loro sesso, del loro orientamento o identità ses-suale, o dei loro handicap. Le pene irrogate sono quelle previste in materia di odio razziale o religioso: un anno di detenzione e 45000? di ammenda per la diffamazione pubblica a causa dell’orientamento sessuale della vittima; sei mesi di detenzione e 22500? di ammenda per l’ingiuria pubblica a causa dell’orientamento sessuale della vit-tima; un anno di detenzione e 45000? di ammenda per l’istigazione pubblica alla discriminazione a causa dell’orientamento sessuale della vittima. Questo apparato è stato completato con la modifica del codice penale francese che reprime l’istigazione privata all’odio o alla discriminazione e la diffamazione o l’ingiuria private, quando esse sono commesse a causa dell’orientamento sessuale della vittima (si vedano le disposizioni di natura regolamentare contenute negli artt. R-624 ss. cod.pen.). c) Infine il legislatore ha introdotto il mo-91

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vente dell’orientamento sessuale quale circostanza aggravante di numerosi reati. Il riferimento è all’art. 132-77 del Codice penale in base al quale la circostanza aggravante si realizza «quando il reato è preceduto, accompagnato o seguito da propositi, scritti, utilizzo di immagini o di oggetti o atti che attentano all’onore o alla reputa-zione della vittima o di un gruppo di persone di cui la vittima fa parte in ragione del loro orientamento sessuale vero o supposto». Deve dunque trattarsi di elementi oggettivi che permettano di ca-ratterizzare in modo preciso e concreto la motivazione omofoba del comportamento incriminato. I reati interessati dall’aggravante sono molteplici: omicidio, tortura ed atti di barbarie, violenze inducenti alla morte non intenzionale, violenze provocanti una mutilazione o una infermità permanente, stupro, furto, minacce, estorsione ecc.

Il Portogallo, oltre ad avere riformato la propria Costituzione introducendo un espresso divieto di discriminazione in ragione del-l’orientamento sessuale (art. 13 Cost.), con la riforma del Codice pe-nale del 2007 (Lei n° 59/2007), ha introdotto misure repressive di comportamenti omofobi prevedendo il reato di incitamento alla di-scriminazione, all’odio e alla violenza verso persone fisiche, in ra-gione del loro orientamento sessuale o identità di genere (art. 240 cod. pen.). Tale previsione è stata poi recentemente modificata con la Lei n. 19/2013. Analoga la situazione in Belgio dove la loi du 25 février 2003 ha esteso la portata della loi du 30 juillet 1981 volta a reprimere gli atti ispirati da razzismo o xenofobia e ogni forma di di-scriminazione su essi fondata, includendo l’orientamento sessuale tra i motivi di discriminazione illegittima. La stessa legge ha inoltre con-figurato la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale quale circostanza aggravante e punito con la reclusione da un mese a un anno e/o con l’ammenda da 50 a 1000 euro chiunque “inciti alla di-scriminazione, all’odio o alla violenza nei confronti di una persona, di un gruppo, di una comunità o dei suoi membri, in ragione (…) dell’orientamento sessuale”. La stessa pena è prevista per chiunque renda pubblica la sua intenzione di adottare simili comportamenti. La diffusione, pubblicazione o esposizione di testi o documenti che comportano una discriminazione sono vietate dalla legge.

In Danimarca il Codice penale punisce chiunque, pubblica-mente o mirando ad una vasta diffusione, pronuncia dichiarazioni o diffonde informazioni per le quali un gruppo di persone sia minac-ciato, disprezzato o umiliato a causa del suo orientamento sessuale

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(Straffeloven, sez. 266b-1); in Spagna il codice penale identifica al-cune fattispecie di reato legate alla discriminazione per motivi omofobici tra cui il reato di incitamento all’odio e alla violenza con-tro gruppi e associazioni, anche a causa delle tendenza sessuali dei loro membri (art. 510, punto 2 cod. pen.) o la discriminazione com-messa da un incaricato di pubblico servizio e consistente nel rifiuto ad uno o più individui del beneficio di un diritto accordato dalla legge sulla base delle loro tendenze sessuali (art. 511 cod. pen.).

Nei Paesi Bassi, ben quattro disposizioni del Codice penale in-trodotte nel 1992 (artt. 137c, 137d, 137e e 137f) condannano il pro-posito omofobico. In particolare, l’art. 137c punisce il fatto di esprimersi in pubblico (in forma orale, scritta o a mezzo di imma-gini) in modo deliberatamente offensivo nei confronti di un gruppo di persone determinato in ragione della loro razza, religione, con-vinzioni personali, handicap e orientamento sessuale.

4. Il nodo cruciale della questione: ovvero indeterminatezza del concetto di “discriminazione” e determinatezza della fattispecie

Il punto nodale di tutto quanto detto finora, in assenza di utili indicazioni del diritto comparato, sta proprio nel concetto di “di-scriminazione”, in quanto tale, che evidenzia una fondamentale ca-renza di autosufficienza normativa. Tale caca-renza riguarda infatti la definizione degli “atti di discriminazione”, oggetto di incrimina-zione: ciò che manca, insomma, è il minimum giuridicamente ap-prezzabile della condotta incriminata, che consenta la sua distin-zione da una condotta lecita16. Se è vero che “discriminazione” si-16La centrale questione è tendenzialmente data per scontata dalla dottrina

pe-nalistica con qualche eccezione: v. E. Dolcini, Omofobi: nuovi martiri della libertà di

manifestazioni del pensiero?, in Riv .it. dir. proc. pen., 2014, n. 1, § 4.3 e 7.2. Pur

con-dividendosi una serie di rilievi qualitativi dello scritto che di seguito si cita, la dimo-strazione dell’assenza della consapevolezza esaustiva del vulnus è data da F. Pesce,

Omofobia e diritto penale al confine tra libertà di espressione e tutela di soggetti vulne-rabili (24 marzo 2015), in http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1427121259PE-SCE_2015.pdf laddove si afferma che: «la locuzione “atti di discriminazione” ha

certa-mente carattere normativo e deve necessariacerta-mente riferirsi ai contenuti provenienti da diversi settori extrapenali quali quello storico sociale e culturale»; cfr. G. Riccardi, op.

cit., 38 laddove rileva che il concetto di “discriminazione” «è delimitato da un

lin-guaggio tipicamente commutativo e non già denotativo». Non è condivisibile il passag-gio dal diritto penale alla realtà extragiuridica senza prendere in considerazione la realtà giuridica extrapenale quale il diritto civile ed amministrativo, dove, a quei fini di

93

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gnifica scelta, rientra proprio nell’ambito delle facoltà esistenziali del soggetto il potere di “discriminare”, appunto, se relazionarsi o meno con altri per condividere o meno aspetti di vita privata e sociale17. E

dunque possiamo, ad esempio, considerare discriminazione il rifiu-tare una determinata condivisione di rapporto con un’altra persona per motivi sessuali, etnici, religiosi o altro? È sindacabile il motivo del non invito ad una festa privata? Evidentemente la discrimina-zione diventa giuridicamente rilevante se vi è un potere autoritativo, dunque pubblicistico o comunque potestativo di scelta, che deter-minandosi leda il principio di eguaglianza, tramite discriminazioni razziali, sessuali, religiose, ecc. Ma tale concetto, trasposto a livello paritetico interprivato, rischia di produrre risultati aberranti, distor-sivi e liberticidi anche per gli stessi soggetti tipologici, che si pro-pone di tutelare: se ad esempio si costituisce un’associazione dei mi-granti esuli camerunensi è da considerarsi questa discriminatoria verso chi, di diversa etnia (esempio nigeriani) se ne veda inibito l’ac-cesso? Spesso il fenomeno associativo, proprio in una società mul-tietnica e pluralistica, è legato a motivi etnico-identitari reattivi allo sradicamento comunitario dei vecchi e nuovi migranti: si pensi, già a livello endo-italiano pre-globalizzazione, ad associazioni come “Fa-miglia lucana” o “Calabresi nel mondo”.

Premesso che l’intero sistema giuridico si fonda sulla discrimi-nazione fondamentale tra persona umana-soggetto di diritto gene-rale e astratto e mondo delle cose – oggetto di diritto, cui afferisce anche il regno animale – e che quindi è ipotizzabile un futuro non lontano, in cui sia predicabile in termini di sopruso tale discrimina-zione ai danni degli animali che già godono di talune tutele18– la

fe-nomenologia del diritto stesso si appalesa come discriminazione continua, nel senso di scelta continua tra lecito e illecito, tra titolare del diritto e titolare dell’obbligo19, in base al mutare storico della

tutela, sussiste una definizione di “discriminazione”, di cui si pone un problema di coordinamento di rilevanza o meno ai fini penali (v. infra § 2).

17V. A. Gentili, Il principio di non discriminazione nei rapporti civili, in Riv. crit.

dir. priv., 2009, 230: «il diritto privato è essenzialmente discriminatorio». Per l’attualità

del tema, si veda anche S.M. Flick, Elogio della dignità (se non ora quando?), in Pol.

dir., 2014, n. 4, 515 ss.

18V. novella apportata al Codice penale dalla legge 20 luglio 2004 n. 189 che ha

inserito il Titolo IX bis “Dei delitti contro il sentimento per gli animali (artt. 544 bis, 544 ter, 544 quater, 544 quinquies).

19V., in prospettiva prescrittivista, G. Carcaterra, Le norme costitutive, Torino

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percezione sociale da parte del potere costituito. L’autonomia delle scelte individuali non può essere quindi deprivata dell’aspetto sog-gettivo del relazionamento, avocato ad un Leviatano morale e neo-totalitario che pianifichi una fungibilità totale dei rapporti intersog-gettivi. Tanto più pericoloso è che la libertà di scelta intersoggettiva venga limitata, in difetto di una condotta tipizzata articolatamente, attraverso l’extrema ratio della sanzione penale: da questo punto di vista, anzi, vanno rapportati già alla condotta materiale di discrimi-nazione i pericoli, autorevolmente rilevati20, di un “diritto penale

propulsivo di una diversa visione sociale”, a scapito del più garanti-stico “diritto conservativo di beni”. E questo perché il concetto di discriminazione viene immesso subito nella categoria dell’illecito senza vagliarne l’estrinsecazione lecita, quale civilistica manifesta-zione del diritto all’identità individuale21 dinamicamente inteso

nella sua proiezione selettiva delle relazioni sociali, in base a criteri opinabili perché soggettivi e soggettivi perché opinabili, in un plu-ralismo di dignità conviventi e non prevaricanti. Il che val quanto revocare in dubbio che la categoria della “discriminazione” si pre-sti a qualificare, in termini di liceità o d’illiceità, condotte private quando invece tale categoria presiede alla governance dell’inclu-sione, ovvero esclusione rispetto allo spazio pubblico assoggettato alle pubbliche potestà o poteri assimilati: quest’ultimi sono tanto i fenomeni di esercizio privato di un servizio pubblico, che i c.d. po-teri privati (es.: potere del datore di lavoro)22. Si devono quindi

in-dagare, ai fini della suddetta rilevanza penale, anche poteri formal-mente privatistici ma connotati da profili di “potestatività”, di guisa che il loro esercizio risulti discriminatorio a scapito dei valori tute-lati dall’art. 3 Cost.

20F. Mantovani, I delitti di omofobia e transfobia e le inquietudini giuridiche, in

http://www.scienzaevita.fi.it/cms/Persona, 16 ottobre 2013: «ci troviamo di fronte non

ad un diritto penale conservativo di tutela di specifici beni giuridici, ma un diritto

pe-nale propulsivo, usato cioè come strumento per l’imposizione da una diversa visione

sociale per creare una nuova sensibilità, con una funzione c.d. di moralizzazione; fina-lità che sono state sempre stigmatizzate dalla dottrina penalistica liberal-democratica e laica»: cfr. G. Fornasari, Mutilazioni genitali femminili e multiculturalismo: premesse

per un discorso giuspenalistico, in Legalità penale e crisi del diritto, oggi. Un percorso in-terdisciplinare, a cura di A. Bernardi, B. Pastore, A. Pugiotto, Milano 2008, 194.

21Per una ricognizione sul Diritto all’identità personale, v. D. Minussi, in

http://www.e-glossa.it/wiki/diritto_all’identit%C3%A0_personale.aspx; v. pure A.

Gentili, op. ult. cit.

22A. Di Majo, La tutela civile dei diritti, Milano 1987, 349 ss.

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Ecco dunque che si pone un problema definitorio dell’illiceità giuridica – ancor prima che penale – della condotta discriminatoria: è evidente che, qualora il rapporto sia fungibile, come la vendita di un bene di pubblico consumo, ovvero la prestazione di un servizio di trasporto, è discriminatorio e quindi illecito rifiutare o consentire a condizioni più svantaggiose23 la vendita per motivi razziali24 o

ses-suali, ma qualora vi sia una infungibilità/personalità del rapporto, non si capisce perché il soggetto non possa esser libero, ad esempio, di scegliere un badante uomo piuttosto che donna, eterosessuale piuttosto che omosessuale, cristiano piuttosto che musulmano, bud-dista piuttosto che ateo ecc.: trattasi di caratteristiche non automati-camente riconducibili a preconcetti25, ma inerenti a situazioni in cui

– per usare la definizione del Manuale di diritto europeo della non discriminazione – non si tratta, a rigore di un’eccezione relativa alla discriminazione in quanto tale ma di una giustificazione della diffe-renza di trattamento che impedisce sussistere una discriminazione ove «per la natura di un’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito essen-ziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, pur-ché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato»26.

5. Rilevanza civilistica del concetto di discriminazione, definizione legislativa ai fini civili ed amministrativi ed assenza di una defi-nizione penale

Sotto il profilo giuridico extrapenale, i parametri della

legitti-mità e della proporzione della discriminazione li si rinviene già nella

23Per il caso di un titolare di un bar che applicava un prezzo doppio a clienti

“extracomunitari”, v. Tribunale di Padova, ordinanza 19 maggio 2005, in Giur. it., 2006, 949 e ss.

24Nel senso che la dichiarazione di non voler servire clienti extracomunitari da

parte di un titolare di un bar che aveva rifiutato di fare il caffè a persone nordafricane-compiendo già il reato di atti di discriminazione-potesse integrare altresì il reato di dif-fusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale, v. Cass. pen., sez. III, 21 dicembre 2005, n. 46783, in www.Dirittoegiustizia.it.

25Per una esaustiva analisi della rilevanza del “preconcetto”del quadro del

di-ritto contrattuale antidiscriminatorio v. D. Maffeis, voce Discriminazione (Dir. priv.), in

Enc. dir. Annali IV, Milano 2011, 490 e ss.

26Agenzia per i diritti fondamentali, Manuale di diritto europeo della non

discri-minazione, Strasburgo, 18 agosto 2011, 51-52 leggibile in http://fra.europa.eu/sites/de-fault/files/fra_uploads/1510-FRA-CASE-LAW-HANDBOOK_IT.pdf.

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legge italiana del 1998 che ha conformato una tutela civile di un “diritto a non essere discriminati” – sia in termini di “interesse op-positivo” che di “interesse pretensivo” – nei confronti di pubbliche amministrazioni e di privati che nel mercato rivestano un determi-nato ruolo (datore di lavoro o suo preposto) od offrano beni e ser-vizi attinenti a specifici settori o con modalità pubbliche, ovvero at-tuino comportamenti impeditivi della libertà d’impresa. Si pone poi quindi il problema se tale definizione normativa extrapenale sia, sic

et simpliciter, rilevante ai fini penali. Infatti in funzione dell’art. 44

del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 disciplinante l’azione civile contro la discriminazione non solo diretta ma anche indiretta, l’art. 43 sotto la rubrica Discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali

o religiosi – dispone: «1. Ai fini del presente capo, costituisce

di-scriminazione ogni comportamento che, direttamente o indiretta-mente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o prefe-renza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica. 2. In ogni caso compie un atto di discriminazione: a) il pubblico ufficiale o la per-sona incaricata di pubblico servizio o la perper-sona esercente un servi-zio di pubblica necessità che nell’eserciservi-zio delle sue funservi-zioni com-pia od ometta atti nei riguardi di un cittadino straniero che, sol-tanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità, lo discriminino ingiustamente; b) chiunque imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire beni o servizi offerti al pubblico ad uno straniero soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità; c) chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire l’accesso all’occupazione, all’alloggio, all’istruzione, alla for-mazione e ai servizi sociali e socio-assistenziali allo straniero rego-larmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condi-zione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, reli-gione, etnia o nazionalità; d) chiunque impedisca, mediante azioni od omissioni, l’esercizio di un’attività economica legittimamente in-trapresa da uno straniero regolarmente soggiornante in Italia, sol-97

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tanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, confessione religiosa, etnia o nazionalità;

e) il datore di lavoro o i suoi preposti i quali, ai sensi dell’articolo 15

della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificata e integrata dalla legge 9 dicembre 1977, n. 903, e dalla legge 11 maggio 1990, n. 108, compiano qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche indirettamente, i lavo-ratori in ragione della loro appartenenza ad una razza, ad un gruppo etnico o linguistico, ad una confessione religiosa, ad una cit-tadinanza. Costituisce discriminazione indiretta ogni trattamento pregiudizievole conseguente all’adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori appartenenti ad una determinata razza, ad un determinato gruppo etnico o lingui-stico, ad una determinata confessione religiosa o ad una cittadi-nanza e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell’at-tività lavorativa. 3. Il presente articolo e l’articolo 44 si applicano anche agli atti xenofobi, razzisti o discriminatori compiuti nei con-fronti dei cittadini italiani, di apolidi e di cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea presenti in Italia».

Il d.lgs. del 9 luglio 2003 attuativo della direttiva CE n. 43 del 2000 per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dalle origine etnica, intervenuto ad integrare la sud-detta normativa, stabilisce (all’art. 2 co. 1) appunto che: «1. Ai fini del presente decreto, per principio di parità di trattamento si in-tende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell’origine etnica. Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite: a) discriminazione diretta quando, per la razza o l’origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in situazione ana-loga; b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un cri-terio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparente-mente neutri possono mettere le persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone»; e art. 3 co. 1 «1. Il principio di parità di tratta-mento senza distinzione di razza ed origine etnica si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale, secondo le forme previste dall’articolo 4, con specifico riferimento alle seguenti aree: a) accesso all’occupazione e

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al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di sele-zione e le condizioni di assunsele-zione; b) occupasele-zione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del licenziamento; c) accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqua-lificazione professionale, inclusi i tirocini professionali; d) affilia-zione e attività nell’ambito di organizzazioni di lavoratori, di datori di lavoro o di altre organizzazioni professionali e prestazioni ero-gate dalle medesime organizzazioni; e) protezione sociale, inclusa la sicurezza sociale; f ) assistenza sanitaria; g) prestazioni sociali; h) istruzione; i) accesso a beni e servizi, incluso l’alloggio».

Ora, dall’esame di tale normativa discendono due ordini di considerazioni: la prima è che la definizione di condotte antidiscri-minatorie, sia di soggetti pubblici che privati, è dettata espressa-mente dalle leggi ai fini della tutela civile o comunque amministra-tiva (art. 43 d.lgs. n. 286 del 1998 cit.: «Ai fini del presente capo, costituisce discriminazione (…)»; art. 2 d.lgs. n. 215 del 2003 cit.: «Ai fini del presente decreto, per principio di parità di trattamento s’intende l’assenza di qualsiasi discriminazione (…)» e come tale conferma di non potere essere mutuata automaticamente e sempli-cisticamente dalla normativa penale che, viceversa, non definisce la condotta discriminatoria. Con il paradosso normativo che il diritto comune (civile e amministrativo) è più garantistico del diritto pe-nale che pur deve costituzionalmente rispettare il principio di tassa-tività - determinatezza della fattispecie (!)27.

Il secondo ordine di considerazione è che, com’è stato autore-volmente colto: «La materia è di diritto privato»28, con difetto di

competenza legislativa regionale a riguardo, ed inoltre «il divieto di discriminazione appartiene all’ordine pubblico di direzione ed è ispirato all’obbiettivo di edificare una società che, una volta

dive-27Sulle problematiche generali di tale normativa penale v. G. Pavich, A.

Bo-nomi, Reati in tema di discriminazione: il punto sull’evoluzione normativa, sui principi

e valori in gioco, sulle prospettive legislative e sulla possibilità di interpretare in senso conforme a Costituzione la normativa vigente (13 ottobre 2014), in http://www.pe-nalecontemporaneo.it/area/3-/15-/-/3329-reati in tema di discriminazione il punto sull’evoluzione normativa recente sui principi e valori in gioco sulle prospettive legi-slative e sulla possibilità di interpretare in senso conforme a costituzione la normativa vi-gente.

28D. Maffeis, op. cit., 492.

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nuta multietnica, conservi il valore primario del rispetto della di-gnità della persona»29: ne consegue che l’illecito discriminatorio,

tanto nei contratti associativi che nei contratti di scambio, di cui vi sia stata pubblica offerta, negoziabili in esercizi pubblici o indivi-duati dalla legge come il lavoro subordinato o la locazione d’immo-bili, sussiste non solo nei confronti di soggetti esclusi per motivi et-nici, razziali, ecc., ma anche qualora perpetrato nei confronti di persone omosessuali o comunque per motivi attinenti al sesso anche a prescindere da una esplicita previsione legislativa in tal senso. In-fatti in virtù dell’atipicità dell’illecito civile30– a differenza della

ti-picità di quello penale – per coerenza sistematica, l’ordinamento non può non reagire comunque all’ingiusta compressione dell’espli-cazione contrattuale del soggetto discriminato per motivi sessuali: ingiustizia che discende proprio dall’illecito rilievo dato a facoltà esistenziali della persona31non attinenti alla dimensione negoziabile

ma a quella identità sessuale, che del valore normativo apicale co-stituisce proiezione personalissima.

Viceversa sul fronte dell’illecito penale, fermi i rilievi sull’inde-terminatezza dell’incriminata condotta di discriminazione, per quanto riguarda quindi la proposta di aggiungere tra i motivi quali-ficanti gli atti discriminatori, quelli «fondati sull’omofobia o sulla transfobia»32, sarebbe piuttosto rispettosa dell’art. 3 Cost. una

for-mulazione, in termini di «motivi fondati sull’identità sessuale»33,

giacché altrimenti la proposta formulazione in termini di motivi di “omofobia/transfobia”, peccherebbe per difetto rispetto a possibili discriminazioni nei confronti degli eterosessuali o nei rapporti tra uomini e donne, ecc., violando il principio di eguaglianza34. Con il

paradosso che una legge che si proponga di combattere le discrimi-nazioni rischierebbe di essere “discriminatoria”, nei termini anzi-detti, sotto il profilo proprio dell’identità sessuale di tutti i conso-ciati.

29Ibidem.

30Per una ricognizione del quadro evolutivo dell’illecito civile, v. per tutti F.

Al-caro, Diritto privato, II ed., Padova 2015, 625 e ss.

31V. per taluni spunti, M.R. Marella, Il fondamento sociale della dignità umana.

Un modello costituzionale per il diritto europeo dei contratti, in Riv. crit. dir. priv., 2007,

88.

32M. Graglia, Omofobia, Roma, 2012; v. M. Ferraresi, Omosessualità e

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6. Quale rischio per la libertà di manifestazione del pensiero? Pro-fili di incostituzionalità dell’incriminazione del concetto di “isti-gazione” nell’attuale formulazione della norma

Quale conseguenza delle precedenti osservazioni, è da osser-vare che la carenza di determinatezza della fattispecie diviene del tutto evanescente nella condotta dichiarativa di «chi istiga a com-mettere atti di discriminazione» così come sopra richiamati: qui si apre l’inquietante scenario della limitazione alla libertà di manife-stazione del pensiero35, che non si sia estrinsecato ancora in atti

prodromici alla compromissione di un bene giuridico penalmente protetto (delitto tentato, ecc.). A ciò va aggiunto che, nell’ipotesi di una istigazione, in tal senso accolta dal destinatario, ovviamente l’i-stigazione è già punibile per disposizione di parte generale a titolo di concorso di persone nel reato (art. 110 c.p.); nell’ipotesi, inoltre, in cui l’istigazione diretta o indiretta (apologia) avvenga pubblica-mente, è punibile di per sé come reato contro l’ordine pubblico a prescindere dall’accoglimento operativo dell’istigazione da parte dei destinatari (art. 414 c.p.); nell’ipotesi poi macroscopica in cui il fatto dichiarativo professante idee di superiorità o odio (razziale, ecc.) si rivolga ad un numero indeterminato di persone, si ha quel reato di propaganda nell’attuale formulazione dell’art. 3 lett. a, re-strittiva del più generico disvalore penale della pregressa (e

ripro-33Da questo punto di vista, deve quindi osservarsi che la proposta di legge

Scal-farotto nella sua originaria formulazione è rispettosa del precetto costituzionale del-l’art. 3, diversamente dal Disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati il 19 settembre 2013 (v. Atti Senato della Repubblica, XII Legislatura n. 1052) dove appunto compare l’espressione «fondati sull’omofobia o sulla transfobia». Si è dunque, su que-sto punto, in disaccordo con G. Riccardi, op. cit., 41.

34Sui problemi dell’uguaglianza sessuale, v., ex pluribus, M. Ainis, La piccola

uguaglianza, Torino 2015 e letteratura ivi richiamata.

35Sulla frizione tra il diritto alla libera manifestazione del pensiero (art. 21

Cost.) e «strumenti preventivo-repressivi particolarmente efficaci per combattere il dissenso politico ideologico» come le fattispecie di istigazione nell’ambito dei delitti politici, v. G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale-parte speciale, I, 5ª ed., Bologna, 2012, 85; ibidem, v. 478, nell’ambito dei delitti contro l’ordine pubblico, nel senso che comunque l’incriminazione dell’istigazione costituisce norma derogatrice al principio espresso dall’art. 115 c.p., per cui l’istigazione a commettere un reato non è punibile se non è seguita dall’effettiva commissione del reato. Inoltre, nella fattispecie esami-nata nella c.d. legge Mancino, manca la condizione di punibilità della pubblicità del-l’istigazione che, nell’ordinaria istigazione a delinquere (art. 414 c.p.), corrobora ga-rantisticamente la fattispecie derogatrice al suddetto principio, giustificandola in ter-mini di lesioni dell’ordine pubblico.

101

(22)

posta) mera diffusione in qualsiasi modo di idee: infatti mentre si conviene con la giurisprudenza, per cui “incitamento” è una va-riante linguistica d’istigazione36, invece il concetto di propaganda

implica non solo la mera diffusione di un’idea ad un numero vir-tualmente indeterminato di persone, ma l’idoneità concreta, anche per i mezzi usati, ad influenzare la psiche di un vasto pubblico37.

Ora, in caso di espansione della fattispecie in questione in direzione omofobica, la libertà di sostenere che il matrimonio sia eteroses-suale e che sia configurabile piuttosto l’unione omoseseteroses-suale, o sol-levare dubbi, per quest’ultima, sull’adottabilità di minori, rientre-rebbero in condotte dichiarative punibili come istigatrici alla discri-minazione38? Indubbiamente si può replicare che invece la suddetta

“istigata” discriminazione de iure condendo rientri in un esercizio di libertà scriminante e che una diversa istigata discriminazione de

facto non vi rientri (es: “non è bene affittare agli extracomunitari”)

e come tale vada giustamente punita. Ma la formulazione della norma si presta a forzature ideologiche e soggettivismi interpreta-tivi, forieri infine di arbitrii giudiziari destinati ad acuire mediatica-mente la conflittualità sociale effettiva. Certo è che, pur in assenza di una specifica scriminante dettata in subjecta materia, è innegabile la sussistenza della scriminante generale dell’esercizio del diritto ex art. 51 c.p. con riferimento al diritto fondamentale di libertà di ma-nifestazione del pensiero, qua talis ex art. 21 Cost.39.

La realtà è che la pretesa di tradurre l’ambigua categoria so-ciologico-giornalistica del “politicamente corretto”, in politica cri-minale, può tradursi in un boomerang rispetto all’effettiva tutela dei beni giuridici finali, i cui portatori si vuole non vengano “discrimi-nati”40. Infatti in uno Stato democratico, la migliore “sanzione”, 36V. Cass. pen., sez. III, 7 maggio 2008, n. 37581, leggibile in

www.asgi.it/wp-content/uploads/public/20.cass.37581.del.2008.doc, laddove non si coglie discontinuità

normativa non solo tra incitamento e istigazione ma anche tra diffusione e propaganda.

37V. in tal senso il rilievo di G. Pavich, A. Bonomi, op. ult. cit.

38È il dubbio, oltremodo fondato, di G. Amato, Omofobia o eterofobia?,

Ve-rona, 2014, spec. 196 ss.

39Tra l’altro «la tutela multilivello dei diritti fondamentali (il c.d.multilevel

co-stituzionalism) va conformata alla regola del best standard e pertanto la libertà di

espressione sancita in termini ampi dall’art. 21 Cost. non può essere delimitata nei più angusti confini disegnati dall’art. 10, comma 2 CEDU», così G. Riccardi, op. cit., 30.

40Cfr. per vari spunti problematici G. Pino, Discorso razzista e libertà di

manife-stazione del pensiero, in Politica del diritto, 2008, 2, 287 e ss.; A. Pugiotto, Le parole sono pietre?, cit., 16 e ss.; E. Dolcini, op. cit.

(23)

contro l’idea ritenuta più assiologicamente incompatibile con una data idea di democrazia, resta il pubblico assoggettamento alla rea-zione dichiarativa caratteristica della dialettica democratica: anzi, idee di cui s’impedisca la manifestazione possono più facilmente e più pericolosamente prendere la via dell’attuazione fattizia diretta, con nocumento effettivo dei beni giuridici finali, senza passare per l’immissione nel circuito dialettico democratico. Ma la contrapposi-zione tra i fautori di una più ampia libertà di manifestacontrapposi-zione del pensiero anche “politicamente scorretto” ed i fautori di limitazioni correttive e sanzionatorie è, in definitiva, la contrapposizione tra chi ha fiducia nell’effettiva eguaglianza partecipativa41 dei cittadini e

chi è – anche inconsciamente – sorretto da una visione paternali-stica42nei confronti dei consociati, ritenuti immaturi di avvedersi e

di reagire a posizioni dichiarative assiologicamente incompatibili con i valori democratici.

Abstract

The italian debate on the extention of the repressive norms of dis-crimination and incitement of the disdis-crimination to homophobia and transphobia evades the problem regardind the absence of a criminal defi-nition of the concept of discrimination, which is defined only under the meaning of the civil and administrative law. Through the instigation, this determines a dangerous vulnus to the freedom of expression. After a com-parative overview, the paper proposes a reconstruction of the concept of discrimination in order to find out the application profiles and the risk of an abuse of it.

Il dibattito italiano sull’estensione ai motivi di omofobia e di transfo-bia delle norme repressive della discriminazione e dell’istigazione alla di-scriminazione elude il problema dell’assenza di una definizione penale del concetto di discriminazione, definito solo ai fini civili e amministrativi. Ciò determina, attraverso l’istigazione, un pericoloso vulnus alla libertà di manifestazione del pensiero. Dopo un excursus comparatistico, il lavoro si propone una ricostruzione del concetto stesso di discriminazione, al fine di coglierne i profili applicativi e i rischi di un suo abuso.

41U. Allegretti, voce Democrazia partecipativa, in Enc. dir., Annali IV, cit., 295 e ss. 42N. Matteucci, voce Paternalismo, in N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, Il

Dizionario di Politica, Torino, 2004, 693 e ss.

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