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RUOLO DELL’IPERESTROGENISMO SUL MICROBIOTA VAGINALE: DIAMMINE VAGINALI (PUTRESCINA E CADAVERINA) DI ORIGINE BATTERICA, INDOTTE DALLA STIMOLAZIONE OVARICA CONTROLLATA IN DONNE CHE SI SOTTOPONGONO A PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA

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Sede aggregata Università degli Studi di Siena

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN MICROBIOLOGIA E VIROLOGIA

Dipartimento di Biotecnologie Mediche

LAMMB Laboratorio di Microbiologia Molecolare e Biotecnologia

(Direttore Prof. Gianni Pozzi)

RUOLO DELL’IPERESTROGENISMO

SUL MICROBIOTA VAGINALE:

DIAMMINE VAGINALI (PUTRESCINA E

CADAVERINA) DI ORIGINE BATTERICA,

INDOTTE DALLA STIMOLAZIONE OVARICA

CONTROLLATA IN DONNE CHE SI

SOTTOPONGONO A PROCREAZIONE

MEDICALMENTE ASSISTITA

Relatore

Prof. Gianni Pozzi

Tesi di Specializzazione di

Elisa Lazzeri

A.A. 2016-2017

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INDICE

RIASSUNTO pag. 4

INTRODUZIONE

Poliammine Batteriche pag. 7

Microbiota Vaginale pag. 10

Le Infezioni Vaginali pag. 14

Infertilità pag. 23

Tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita pag. 26

SCOPO DELLA TESI pag. 29

MATERIALI E METODI

Campioni pag. 30

Protocollo Terapeutico di Induzione della Crescita Follicolare Multipla pag. 30

Tamponi Vaginali pag. 32

Saggio di quantificazione delle Diammine (VADA) pag. 32

Batteriologia pag. 33

Analisi Statistica pag. 34

RISULTATI pag. 35

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BIBLIOGRAFIA pag. 48

Ringraziamenti pag. 53

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RIASSUNTO

Le infezioni vaginali sono patologie a carico della vagina, che si estendono anche alla cervice uterina e/o alle strutture adiacenti, causate da uno o più agenti infettivi.

Molteplici sono i fattori che possono alterare l’equilibrio del microbiota vaginale predisponendo ad infezioni che possono dare origine a fastidiosi sintomi oltre che ad importanti complicanze ginecologiche ed ostetriche.

Fra tutte la Vaginosi Batterica (VB) è una delle infezioni più frequenti nelle donne in età fertile (1) e sebbene sia una patologia senza uno specifico agente eziologico, viene descritta come un cambiamento della flora microbica vaginale, che passa da essere una flora composta in larga maggioranza da Lattobacilli ad una ricca di anaerobi stretti o facoltativi (2).

Putrescina e Cadaverina sono diammine di origine batterica, prodotte dal catabolismo di batteri anaerobi, responsabili del caratteristico cattivo odore dei fluidi vaginali di donne con VB. La presenza di diammine può essere identificata dal cosiddetto “whiff test” nel quale l’aggiunta di idrossido di potassio (KOH) ai fluidi vaginali serve ad intensificare l’odore che può così essere identificato da un operatore. Un “whiff test” positivo è uno dei criteri di Amsel per la diagnosi delle VB. Questo test risulta essere discretamente specifico ma la sua affidabilità è messa in discussione a causa della soggettività della procedura. Per valutare il possibile utilizzo delle diammine come biomarkers di salute vaginale, è stato messo a punto presso il nostro laboratorio (3) un saggio enzimatico (VADA) che rileva e dosa le diammine nei campioni clinici. La semplicità ed il basso costo lo rendono applicabile agli esami diagnostici di routine.

A questo punto, abbiamo studiato la flora vaginale di 108 donne, sottoposte a Fecondazione in vitro, prima e dopo il trattamento ormonale con alte dosi di gonadotropine esogene. Tale trattamento ormonale stimola la produzione multipla di ovociti che inducono l’innalzamento dei livelli estrogenici. Le alterazioni ormonali incidono sull’insorgenza di dismicrobismi che vanno a facilitare l’instaurarsi di infezioni vere e proprie a carico del tratto vaginale.

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È noto che le alterazioni del microbiota vaginale hanno un’ incidenza maggiore nelle donne infertili (4), anche se la loro influenza sul risultato della Procreazione Medicalmente Assistita è ancora controverso (5).

Al fine di valutare l’eventuale modificazione della flora vaginale dopo il trattamento ormonale, abbiamo utilizzato il nuovo saggio enzimatico per la quantificazione delle diammine vaginali e le tecniche colturali.

Dai dati del saggio VADA si nota un aumento significativo delle diammine nei fluidi vaginali delle donne dopo il trattamento con gonadotropine esogene.

Infatti, se prima del trattamento ormonale alte concentrazioni di diammine ( >25 µM) sono state riscontrate nell’11,1% dei campioni, dopo il trattamento, la percentuale di campioni contenenti alte concentrazioni di diammine, sale in modo significativo fino al 51% (p = 3,55-10).

In termini di concentrazione, la media di tutti i valori di diammine nei campioni prima del trattamento è di 10,92 ± 2,34 µM, mentre dopo il trattamento ormonale la media delle concentrazioni sale a 43,64 ± 8,34 µM (p = 0,0003).

Questa tendenza all’alterazione della flora vaginale dopo il trattamento ormonale è stato confermato anche analizzando i campioni mediante le indagini batteriologiche.

Il 35,3% dei campioni testati è risultato positivo per batteri potenzialmente patogeni e il 64,7% dei tamponi sono negativi per potenziali patogeni prima della somministrazione della terapia ormonale. Dopo il trattamento ormonale i campioni positivi sono il 43,1% ed i negativi il 56,9%. Nonostante l’incremento dei campioni positivi post trattamento ormonale risulti moderato, mostra comunque una significatività statistica (p = 0,0007, OR = 2,61).

Le specie maggiormente rappresentate nei tamponi vaginali dopo il trattamento ormonale sembrano essere Enterobacteriacae e Streptococcus spp, infatti, andando ad analizzare i microrganismi identificati nei tamponi vaginali rileviamo a seguito del trattamento ormonale, un incremento, rispettivamente, del 13,8% e del 30,8%.

La percentuale di campioni positivi per lattobacilli, invece, non subisce particolari variazioni a seguito del trattamento ormonale con gonadotropine esogene.

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Infine, correlando la positività dei campioni per batteri patogeni, la produzione di diammine ad alte concentrazioni e il tasso di impianto, abbiamo registrato che il 67% delle pazienti, con alte concentrazione di diammine e/o positive per potenziali patogeni, falliscono nell’impianto.

Questo studio conferma:

• che la Putrescina e la Cadaverina sono dei buoni biomarkers di salute vaginale e che il dosaggio enzimatico di queste può facilmente essere inserito in una routine diagnostica;

• che nelle donne sottoposte a trattamento ormonale vi è un significativo spostamento della flora verso batteri patogeni che potrebbero predisporre ad una condizione di VB;

• che tale spostamento della flora, dopo il trattamento ormonale, ci porta ad ipotizzare un legame tra i cambiamenti del microbiota vaginale ed i bassi tassi di gravidanza in donne che si sottopongono alla Fecondazione In Vitro (fallimento dell’impianto).

Lo studio del pattern microbiologico, mediante tecniche molecolari, potrebbe aiutare a chiarire quali sono questi fattori, decisamente sottostimati, che vanno ad influenzare negativamente il complesso percorso della fecondazione assistita.

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INTRODUZIONE

Poliammine Batteriche

Le Poliammine sono composti organici contenenti due o più gruppi amminici con netta carica positiva a pH fisiologico. La replicazione del DNA, la trascrizione e la trasduzione sono essenziali perché un potenziale patogeno possa colonizzare e moltiplicarsi con successo nell'ospite. Le poliammine così come i cationi inorganici, magnesio e calcio, giocano un ruolo fondamentale nel far si che gli acidi nucleici, caricati negativamente, mantengano la conformazione ottimale. Nei batteri i processi di sintesi, degradazione e assorbimento delle poliammine sono processi finemente regolati al fine di garantire sempre i giusti livelli di poliammine intracellulari.

Le più comuni sono putrescina, cadaverina, spermidina, e spermina, che sono importanti fattori di crescita per le cellule eucariotiche e procariotiche (6).

Poliammine come la putrescina e cadaverina sono diammine perché contenenti due gruppi amminici per ognuno, mentre la spermidina e la spermina contengono tre e quattro ammino gruppi rispettivamente (Figura 1).

La sintesi della poliammine ha come primo passaggio la decarbossilazione del precursore amminoacidico direttamente in poliammina o in intermedi che successivamente verranno modificati per produrre poliammine funzionali.

ll contenuto intracellulare di spermidina (1-3 mM) è superiore a quello della putrescina (0,1-0,2 mM) in quasi tutti i batteri, anche se la putrescina (10-30 mM) è la poliammina predominante in Escherichia coli seguita dalla spermidina (1-3 mM) (6), mentre la cadaverina è la più rara fra tutte le poliammine batteriche e generalmente assente in E. coli, tuttavia, è in grado di sintetizzarla durante la crescita anaerobica, in presenza della lisina, che fa da precursore, convertita ad opera della lisina decarbossilasi, codificata dal gene CadA. (Figura 2).

In E. coli e in molte specie di Pseudomonas, la putrescina, invece, viene sintetizzata attraverso due vie: (i) decarbossilazione dell'ornitina mediante l'ornitina decarbossilasi (ODC) codificata dal gene SpeC, e (ii) per decarbossilazione dell'arginina ad agmatina da parte della arginina decarbossilasi codificato dal gene SpeA, seguita

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dalla conversione dell' agmatina a putresceina e urea mediante la agmatina ureaidrolasi, codificata dal gene SpeB (6).

Pheifer et al nel 1978 (7) per primo affermò che l'intenso odore rilasciato dall'aggiunta del 10% KOH al liquido vaginale delle donne con VB è dovuto alla presenza delle diammine. Da allora un certo numero di studi hanno accertato che la presenza di poliammine in alte concentrazioni, principalmente le diammine, Putrescina e Cadaverina, nel liquido vaginale, è tipico di donne con VB ma non solo. Chen et al (8) esaminando i fluidi vaginali di donne con vaginiti non specifiche, cercando possibili marcatori di questa sindrome, identificò sette ammine tra le quali fra le più abbondanti, Putrescina e Cadaverina.

Questi risultati hanno portato ad ipotizzare che gli organismi vaginali anaerobi, che aumentano in numero nelle alterazioni della flora vaginale, siano i produttori delle ammine e che le ammine stesse siano dei veri biomarkers di salute per il microbiota vaginale.

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Figura 1. Struttura delle più comuni poliammine batteriche.

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Microbiota Vaginale

L’ecosistema vaginale è un ambiente ricco di microrganismi fondamentali per la salute genitale che convivono in perfetto equilibrio e garantiscono la naturale protezione contro aggressioni interne ed esterne.

Lo studio del microbiota vaginale iniziò oltre 150 anni fa e grazie all’impiego del microscopio ottico e delle colture batteriche fu formulato il concetto di flora vaginale normale e patologica.

Grazie ai sempre più sofisticati metodi molecolari la flora residente del tratto genitale è stata sempre meglio caratterizzata e la sua complessità, dinamicità e diversità rappresenta la chiave per il mantenimento della salute vaginale.

L’ecosistema vaginale è per lo più costituito da batteri anaerobi e microareofili, ma la specie più numerosa è rappresentata dai Lattobacilli o bacilli di Döderlein, dal nome del loro scopritore (9). I Lattobacilli presenti nella vagina variano da 1-1000 milioni per grammo di secreto vaginale e rappresentano dei veri e propri biomarkers al fine di valutare lo stato di salute del distretto in questione. Sono bacilli pleomorfi, Gram positivi, asporigeni, aerobi facoltativi e quasi sempre immobili.

La maggior parte dei Lattobacilli che colonizzano il tratto genitale è in grado di produrre sostanze euregolatrici come l’acido lattico e perossido di idrogeno, tossiche per la maggior parte delle altre specie prive dell’enzima detossificante catalasi; tali sostanze contribuiscono inoltre a mantenere acido il pH vaginale, impedendo la crescita di microrganismi potenzialmente patogeni. I Lattobacilli producono anche sostanze chimiche (batteriocine, lattocine), che rappresentano una ulteriore difesa dell’ambiente vaginale da invasori prevalentemente di origine intestinale quali, Escherichia coli e Enterococcus faecalis (10).

In termini di numerosità, l’età influenza moltissimo la flora lattobacillare, infatti, essendo un fattore controllato dai livelli estrogenici, i Lattobacilli sono molto numerosi nelle donne di età fertile, ma scarse nella flora vaginale delle bambine e delle donne in menopausa. Questo aspetto influenza l’acidità dell’ambiente vaginale che varia considerevolmente nelle diverse fasi della vita di una donna. Le cellule vaginali producono alte quantità di glicogeno che digerito dai Lattobacilli porta alla formazione di acido lattico e all’abbassamento del pH vaginale che in età fertile si aggira intorno a 3,5-4,5, creando un ambiente molto ostile alla proliferazione di batteri soprattutto anaerobi.

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In età prepubere il pH è maggiormente alcalino rispetto all’età adulta, l’epitelio della mucosa è di tipo colonnare, le ghiandole sono assenti e in questa fase della vita la normale flora batterica vaginale è principalmente costituita da cocchi Gram positivi e batteri anaerobi Gram negativi. Al contrario in età adulta il pH vaginale è più acido, l’epitelio della mucosa è di tipo squamoso stratificato caratterizzato dalla presenta di ghiandole e in questo caso nel microambiente sono prevalenti i Lattobacilli. Questi ultimi sono destinati a diminuire drasticamente in menopausa, quando a causa della carenza estrogenica, la mucosa va incontro ad un processo di atrofia con diminuzione del glicogeno necessario allo svolgimento del loro metabolismo (Figura 3).

Figura 3. Fluttuazioni dinamiche dell’ecosistema vaginale correlate all’età e all’attività ormonale associata. Massimo sviluppo della mucosa Estrogeni materni residui No estrogeni Aumento degli estrogeni Massimi livelli di estrogeni Riduzione degli estrogeni

Mucosa sottile Sviluppo della

mucosa Involuzione della mucosa

Nascita Prima infanzia Pubertà

8-13 anni

Età Fertile Menopausa +45 anni

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Mediante indagini molecolari sono state identificate centinaia di specie diverse di Lattobacilli, ma le più rappresentate, nelle donne in buona salute, sono Lactobacillus crispatus, Lactobacillus jensenii, Lactobacillus iners e Lactobacillus gasseri (11).

Queste specie sembrano avere un particolare vaginotropismo, legando in modo specifico e aspecifico i recettori delle cellule epiteliali della mucosa vaginale, tramite la loro componente zuccherina probabilmente, impediscono ai microrganismi patogeni di trovare liberi i siti di legame e quindi di aderire alla mucosa stessa.

L’epitelio della vagina rappresenta una fonte di protezione importante non solo perché secerne glicogeno ma anche perché concorre a stimolare una risposta immunitaria specifica umorale e cellulare. Comportandosi come una cellula APC (Cellula Presentate l’Antigene), presenta recettori Toll-like, sulla propria membrana citoplasmatica, deputati al riconoscimento di elementi “non self” per il nostro organismo. A seguito dell’avvenuto riconoscimento la cellula epiteliale secerne citochine, come Interleuchina (IL)-1β, Tumor Necrosis Factor (TNF)-α, IL 6, IL 8, che permettono di interagire con i linfociti T e B al fine di provvedere alla secrezione di anticorpi specifici antibatterici.

Sempre mediante indagini molecolari di ultima generazione, si è però scoperto che un’importante quota di soggetti peraltro sani (in media 20-30%, ma anche di più nelle etnie ispaniche e nere degli USA) presentano un microbiota vaginale che manca di un numero significativo di specie di Lattobacilli e sviluppa un diverso spettro di microrganismi facoltativi e strettamente anaerobi (Atopobium vaginae, Corynebacterium vaginale, Prevotella bivia, Prevotella disiens, Gardnerella vaginalis, Sneathia sanguinegens, Mobiluncus curtisii, Mobiluncus mulieris, Finegoldia magna, ecc.) che sono associati con un pH in qualche misura maggiore (5,3 - 5,5). Il che sembrerebbe mettere in discussione la classica, diffusa concezione che solo la presenza di un elevato numero di Lattobacilli e un pH vaginale < 4,5 siano sinonimi di “normale” e “sano” ambiente vaginale (12). In realtà precedenti studi avevano già ipotizzato che il microbiota vaginale “non-lattobacillo dominante” poteva essere in grado di mantenere un ecosistema vaginale funzionale grazie alla capacità di preservare la produzione di acido lattico e probabilmente anche altre importanti funzioni (13).

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In vagina esiste dunque una comunità microbica la cui elevata diversificazione potrebbe avere lo scopo di preservarne la funzione in presenza di perturbazioni e che quindi, in assenza di sintomi, andrebbe considerata “normale” anche se la sua composizione ricorda da vicino quella associata con stati di Vaginosi Batterica sintomatica.

Una infezione locale può, insorgere a causa di una improvvisa proliferazione di germi patogeni in vagina o in caso di malattie immuno debilitanti (diabete, sindromi immunodepressive), terapie (antibiotici, citostatici) e/o modificazioni ormonali che alterano l’equilibrio dell’ecosistema vaginale favorendo infezioni di tipo opportunistico da parte di microrganismi autoctoni e alloctoni.

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Le Infezioni Vaginali

Le infezioni vaginali sono patologie a carico della vagina che si estendono anche alla cervice uterina e/o alle strutture adiacenti causate da uno o più agenti infettivi. Esse sono classificate in base alla sede di insorgenza in infezioni della mucosa vaginale e infezioni sistemiche, che possono poi coinvolgere altri organi con successivo interessamento anche del pelvi.

In base all’eziologia, le infezioni vaginali si possono dividere in vaginiti con chiara componente infiammatoria, e in vaginosi, in cui non si riscontrano segni di infiammazione.

In condizioni fisiologiche il microambiente vaginale si trova in uno stato di equilibrio dinamico in cui l’assetto ormonale, il pH e la risposta immunitaria costituiscono i principali meccanismi di controllo, ma essendo, quello vaginale, un ecosistema aperto, risulta facilmente influenzabile dall’esterno. Tra i patogeni responsabili si trovano essenzialmente batteri, miceti e protozoi, con netta predominanza delle forme batteriche e micotiche. Nonostante l’estrema varietà degli agenti eziopatogenetici, oltretutto non sempre di natura infettiva dal momento che esistono infezioni vaginali da cause allergiche, irritative e traumatiche, attualmente circa il 95% delle vulvovaginiti infettive sembrano essere causate da Candida albicans, Trichomonas vaginalis, Herpes virus e Vaginosi Batterica.

Vaginiti da Candida albicans La vaginite da Candida albicans è definita come un’infezione opportunistica di origine endogena, piuttosto che un’infezione esogena da contagio, in quanto il micete è un patogeno non obbligato, che diviene virulento in condizioni permissive. Nei meccanismi che regolano la suscettibilità a sviluppare un’infezione da Candida albicans, rivestono un ruolo importante lo stato immunitario, lo stato ormonale, le condizioni dismetaboliche e la presenza di altre infezioni concomitanti. Esistono, infine, delle condizioni che possono influenzare l’ambiente vaginale, rendendolo più recettivo alla micosi, come la fase premestruale, la gravidanza, l’assunzione di estroprogestinici, antibiotici, chemioterapici e corticosteroidi, il diabete mellito e l’immunodepressione. L’incidenza della vaginite da Candida albicans è maggiore in donne di età fertile e la sintomatologia è caratterizzata da prurito, bruciore, arrossamento vulvare ed una secrezione vaginale biancastra non maleodorante, resa spesso caratteristica dall’aspetto “a ricotta”.

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Vaginite da Trichomonas vaginalis Il Trichomonas vaginalis è un protozoo flagellato anaerobio in grado di produrre idrogeno, che, combinandosi con l’ossigeno, crea un ambiente anaerobico. Il Trichomonas vaginalis si accompagna, spesso, ad una Vaginosi Batterica che può essere riscontrata in più del 60% delle pazienti con infezione conclamata. L’infezione è sessualmente trasmissibile ed ha un incidenza che varia dal 5% al 35%, in base all’area geografica, al tipo di popolazione sottoposta a controllo e alle abitudini sessuali della paziente. La sintomatologia è caratterizzata da una mucosa vaginale eritematosa, spesso definita come vaginite a fragola per l’aspetto papulare, inoltre è presente una leucorrea tipicamente maleodorante di colore grigio, giallo-verdastro, talora di aspetto schiumoso, oltre a prurito e bruciore.

Vaginiti virali L’agente patogeno causa della maggior parte delle vaginiti erpetiche è l’Herpes Simplex Virus di tipo 2 (HSV2). Questa infezione vaginale è frequentissima in molti paesi, circa il 90% della popolazione mondiale possiede anticorpi anti-HSV, sebbene solo il 25% dei casi siano sintomatici. L’Herpes genitale è sessualmente trasmissibile ed è caratterizzato da un periodo di incubazione di 2-10 giorni, che porta poi alla comparsa di vescicole in sede vulvare che possono poi diffondersi dando luogo a flogosi a acuta e causando bruciore e prurito piuttosto intensi.

Vaginosi Batterica La Vaginosi Batterica è una sindrome polimicrobica caratterizzata da una radicale modificazione dell’ecosistema vaginale che risulta costituito prevalentemente da anaerobi: Gardnerella vaginalis presente nel 50-90% delle colture, Trichomonas vaginalis, Bacteroides spp, Peptostreptococcus, Mobiluncus spp e spesso Mycoplasma hominis. I Lattobacilli producenti perossido sono, invece, scarsi (solitamente meno del 5%) (14). La vaginosi si differenzia dalle vaginiti in quanto, nel quadro clinico della prima, mancano i fenomeni infiammatori tipici delle vaginiti, anche dal punto di vista citologico.

Il meccanismo patogenetico non è tuttora del tutto chiaro: i Lattobacilli perossido-produttori si riducono fino quasi a scomparire, portando ad una conseguente alcalinizzazione del pH fino a 5-5,5 con sviluppo di una popolazione di microrganismi prevalentemente anaerobi (15). Gli anaerobi liberano come prodotto del loro catabolismo le diammine (Cadaverina, Putrescina), che conferiscono un particolare odore di pesce avariato all’abbondante leucorrea che caratterizza il quadro clinico della vaginosi, spesso come unico sintomo. Infatti, da un punto di vista sintomatologico, questa infezione, pur essendo tra le più frequenti, è anche la meno

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fastidiosa per le donne. La maggior parte non presenta né bruciori, né prurito, ma soltanto le suddette perdite omogenee piuttosto dense di colore grigio o giallastro.

Incidenza e Complicanze L’utilizzo di terapie antibiotiche, gli alterati livelli di estrogeni e progesterone, dovuti all’assunzione di contraccettivi orali o secondari alla gravidanza, una igiene intima inappropriata e lo stress rappresentano tutte condizioni che possono alterare l’ecosistema vaginale creando le condizioni per l’instaurarsi di infezioni vaginali.

Fra le infezioni vaginali, la Vaginosi Batterica, rappresenta la patologia più diffusa in età fertile ed in gravidanza interessando il 20-40% delle donne (16). La vulvovaginite da Candida è la seconda infezione per frequenza interessando mediamente il 20-30% delle donne: la Vaginosi Batterica e la vaginite da Candida rappresentano quasi il 90% delle infezioni vaginali (17). Le tricomoniasi hanno una incidenza minore del 10%, mentre una percentuale ancora ridotta di pazienti è affetta da forme miste o non definite (18) (Figura 4).

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Nel 90% dei casi le infezioni vaginali colpiscono donne in età fertile e rappresentano la prima causa di richiesta di visita ginecologica, determinata dal notevole disconfort e dall’alterazione della qualità della vita.

Ad accezione della Vaginosi Batterica, a volte asintomatica, la sintomatologia che caratterizza questi dismicrobismi è generalmente di tipo irritativo: prurito, bruciore, fastidioso senso di secchezza e tal volta dolore, dispareunia sono i sintomi clinici più comuni. L’odore in caso di Vaginosi Batterica è descritto come maleodorante determinato dalla volatizzazione delle diammine prodotte dai processi catabolici dei batteri generalmente anaerobi che caratterizzano questo disturbo. Il riscontro di secrezioni vaginali abbondanti, eterogenee in quantità e qualità, maleodoranti di colore variabile, unitamente ad eritema ed edema dei tessuti vaginali e cervicali completano il quadro clinico.

Le infezioni vaginali, se tempestivamente diagnosticate e opportunamente trattate, sono risolvibili in breve tempo ma se questo non viene fatto, le complicanze possono anche essere serie, e di particolare rilevanza ginecologica ed ostetrica.

L’Infiammazione Pelvica Cronica, per esempio, ha un forte impatto sulla salute e in particolare sulla fertilità a causa di molteplici fattori, come il danno tubarico meccanico (19), l’alterazione del microbiota vaginale, l’alterazione del sistema immunitario locale, con notevole produzione di IL-1, IL-6 e IL-8, e conseguente induzione di un ambiente cervicale pro-infiammatorio. Non solo, tra le complicanze ginecologiche sono da menzionare la cervicite, endometrite e l’insorgenza di malattie sessualmente trasmette causate da Herpes simplex, Trichomonas vaginalis, Chlamydia trachomatis, Neisseria gonorrhoeae e HIV, favorite dall’alterazione della flora vaginale fisiologica e del sistema immunitario locale (20). Infine, anche se asintomatica la Vaginosi Batterica può influire su problematiche di tipo ostetrico come aborti spontanei, parti pretermine e sepsi neonatale che autorizzano il medico ad intervenire con trattamenti antibiotici (21).

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Diagnosi: In caso di sospetta infezione vaginale la visita ginecologica rimane l’unica via per una diagnosi differenziale, essa permette di confermare il sospetto diagnostico mediante l’anamnesi accurata, l’osservazione diretta della mucosa vaginale e del collo dell’utero ed eventualmente l’osservazione a forte ingrandimento tramite microscopio (colposcopia). Per fare diagnosi delle diverse tipologie di infezioni vaginali è necessario studiare bene i segni ed i sintomi riferiti dalla paziente, ovvero leucorrea variabile per odore, colore e quantità, eritema ed edema dei fornici vaginali, prurito, bruciore, calore, fastidio, senso di secchezza, dispareunia e dolore vulvare.

Il clinico va quindi alla ricerca di quelli che si chiamano criteri di Amsel e per fare diagnosi di Vaginosi Batterica tre parametri su quattro devono risultare positivi. Nel dettaglio i criteri includono: PH vaginale > 4,5, presenza di leucorrea biancastra adesa ai fornici vaginali senza segni di infiammazione vulvo-vaginale, > 20% di cellule epiteliali esfoliate con batteri adesi alle loro membrane cellulari (clue cells), presenza di “fish odor” dopo l’esecuzione del “whiffy test”, che consiste nell’aggiungere al secreto vaginale una preparazione al 10% di idrossido di potassio (KOH) per alcalinizzare il secreto, con rilascio del classico odore di pesce dovuto al rilascio delle diammine volatili (22).

Nonostante questi criteri la Vaginosi Batterica può essere asintomatica nel 50% dei casi (23), perciò, per una diagnosi più accurata, quando la sintomatologia o il quadro clinico non permettono una precisa caratterizzazione della patologia, il sospetto diagnostico può essere confermato mediante tampone vaginale, fondamentale nelle diagnosi di infezioni vulvo-vaginali. Il tampone vaginale viene strisciato su un vetrino e osservato al microscopio per valutare la presenza di batteri, lo stato dell’epitelio della mucosa, la presenza dei leucociti e lo stato di salute della mucosa vaginale.

Questo metodo, chiamato Nugent score, prevede la colorazione di Gram del secreto vaginale, l’osservazione del preparato e l’attribuzione ad esso di un punteggio (da 0 a 10) contando il numero dei tre morfotipi batterici scelti fra Lattobacilli, Gram negativi a forma di bastoncello (tipo bacteroidi), Gram negativi a forma ricurva (tipo Mobiluncus spp.) o Gram variabile (Gardnerella vaginalis) (Figura 5).

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A seconda del numero di morfotipi conteggiati in un settore viene attribuito un punteggio (24) (Tabella 1):

• da 0 a 3 suggerisce la presenza di una flora vaginale normale • da 4 a 6 suggerisce una iniziale alterazione dell’ecosistema vaginale • da 7 a 10 testimonia la presenza di una Vaginosi Batterica.

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Tabella 1: Determinazione del Nugent Score.

N score viene calcolato contando il numero di morfotipi descritti in tabella per ogni campo di osservazione. Il vetrino su cui viene strisciato il fluido vaginale previa colorazione di Gram, viene osservato con obiettivo 100X

Figura 5: Fluidi vaginali analizzati mediante colorazione di Gram. (A) Epiteli vaginali

normali con presenza di Lattobacilli, (B) clue cells con presenza di Gardnerella . Hum Reprod. 2016

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Terapia delle infezioni vaginali: Le opzioni terapeutiche delle infezioni vaginali, ed in particolare della Vaginosi Batterica, sono limitate e con esito spesso insoddisfacente, soprattutto per quanto riguarda l’alto tasso di recidive, inoltre l’uso indiscriminato degli antimicrobici sta incrementando la comparsa di resistenze.

Gli obiettivi primari della terapia sono: la risoluzione dei sintomi, l’eradicazione del microrganismo coinvolto, con riduzione al minimo di formazione di recidive e di farmaco-resistenze e l’agevolazione del ripristino dell’ecosistema vaginale.

La terapia delle Vaginosi Batteriche in donne non in gravidanza, secondo le Linee Guida Internazionali del Center for Disease Control and Prevention (CDC), prevede l’utilizzo di clindamicina o metronidazolo, utilizzati sia per uso topico che sistemico, e/o antisettici locali con supplemento di Lattobacilli per ripristinare la flora vaginale fisiologica in tempi brevi (25).

In ambito ginecologico-ostetrico l’intervento terapeutico della Vaginosi Batterica in gravidanza pone due problemi: la necessità di una terapia finalizzata al controllo, e possibilmente, all’eradicazione dell’infezione e l’obbligo di una scelta terapeutica priva di rischi per il feto. La tossicità fetale, accertata o presunta, di alcuni farmaci utilizzati nella terapia delle infezioni vaginali, ne impedisce l’utilizzo nella cura delle medesime affezioni in ambito ostetrico. Attualmente il metronidazolo è controindicato in gravidanza “sia accertata che presunta” e durante l’allattamento; la clindamicina non è invece raccomandata durante il primo trimestre di gravidanza, ma può essere somministrata nel 2°e 3° trimestre o durante l’allattamento, dopo valutazione del rapporto rischio/beneficio, essendo secreta nel latte materno (26,27).

Attualmente gli antibiotici a largo spettro per somministrazione orale, contro i batteri anaerobi (metronidazolo e clindamicina), sono molto efficaci ai fini della riduzione della sintomatologia, con una percentuale di guarigione del 71%-89%, nel mese successivo la terapia, ma alcune sono le problematiche che possono seguire:

• Frequenti recidive,

• Pazienti “non responder” alla terapia, • Antibiotico-resistenza,

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Esiste infatti un alto tasso di recidive nei mesi successivi, ovvero circa il 30-50% delle donne entro 2-3 mesi, e un 50-70% entro 6-12 mesi dal termine della terapia (28). Le cause di recidive possono essere dovute alla persistenza, o alla riesposizione, a un indefinito fattore di rischio, al fallimento nell’eradicazione batterica (a causa della resistenza all’antibiotico, a un inadeguato dosaggio o durata della terapia), al fallimento del tentativo di ripopolare la flora vaginale con Lattobacilli produttori di perossido d’idrogeno e/o alla reinfezione della vagina con batteri associati alla vaginosi da parte del partner.

Le suddette cause sono frutto dell’incompleta conoscenza dell’eziologia di questo tipo di infezioni. Il batterio Atopobium vaginae, per esempio, presente nel 50% delle Vaginosi Batteriche, è costituzionalmente resistente al metronidazolo e potrebbe essere coinvolto nei fallimenti terapeutici a causa del biofilm prodotto resistente agli antibiotici (28). Inoltre è stata evidenziata una percentuale di pazienti “non responder” alla terapia per vaginosi a base di metronidazolo (1%) e clindamicina (17%), mentre è stata riportata un’alta percentuale (80%) di batteri anaerobi nel tampone vaginale resistenti alla clindamicina dopo un ciclo terapeutico, a circa 70-90 giorni dalla fine del trattamento (28).

In considerazione delle problematiche suddette degli antibiotici, quando la vaginosi non crea complicanze o in caso di eziopatogenesi non ben definita, sono utilizzati prodotti con attività antinfettiva/disinfettante. Essi sono stati usati per anni nel trattamento dei disturbi vaginali, facilitando l’eradicazione dei batteri anaerobi e la ricolonizzazione dei Lattobacilli commensali e di solito sono somministrati assieme a terapie antibiotiche (25).

Sebbene non ci siano dati certi, che dimostrano la raccomandazione dell’uso dei probiotici durante il trattamento delle Vaginosi Batteriche, sembra promettente la loro associazione ai trattamenti antibiotici.

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Infertilità

A cavallo tra il XX ed il XXI secolo, la riproduzione umana ha subìto una profonda modificazione grazie alle continue scoperte ed innovazioni in ambito biomedico. Si è reso fondamentale l’intervento laboratoristico a seguito di un crescente tasso di infertilità che è, in buona parte, riconducibile a profondi cambiamenti nelle abitudini riproduttive recenti. La tendenza delle coppie a programmare in età più avanzata la prima gravidanza, se non ha cambiato drammaticamente il numero delle coppie infertili, ne ha comunque determinato una ovvia diminuzione del potenziale riproduttivo (14).

È fondamentale chiarire che per infertilità si intende un disordine nel sistema riproduttivo definito come il fallimento nell’ottenere una gravidanza dopo 12 mesi o più di regolari rapporti sessuali non protetti (29).

Nel caso di donne di età superiore ai 35 anni, è raccomandabile effettuare una prima valutazione medica dopo i primi 6 mesi.

Si parla di infertilità secondaria quando una coppia che ha già avuto figli non riesce ad averne altri.

Viene definita sterilità l’assoluta, l’incapacità di concepire, in seguito ad un ostacolo, dovuto a patologie sia femminili che maschili.

È difficile stimare un tasso di infertilità globale, a causa della presenza di fattori sia maschili che femminili, che complicano qualsiasi stima, dal momento che l’outcome è invece, quantificabile solo sulla donna. Un’altra criticità risiede nella mancanza di omogeneità nell’uso di definizioni e criteri di diagnosi.

Secondo uno studio portato avanti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità dal 1990 al 2004, ad una coppia su quattro nei paesi sviluppati è stata fatta diagnosi di infertilità. Un più recente studio del 2012, ha dimostrato come il tasso di infertilità in donne di 190 paesi dal 1990 al 2010 non sia cambiato in maniera significativa (30).

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Cause di sterilità: Valutare quale sia l’impatto dei diversi fattori di infertilità è molto difficile. Una stima affidabile, benché relativa solo ad una parte della popolazione, proviene dai dati riguardanti le coppie che si rivolgono ai centri per la procreazione assistita.

I dati raccolti dal Registro Nazionale sulla Procreazione Medicalmente Assistita (dati aggiornati a Marzo 2015) sono i seguenti:

• cause maschili: 29,3% • cause femminili: 37,1%

• cause maschili e femminili: 17,6% • infertilità idiopatica: 15,1%

• fattore genetico: 0,9%

Inoltre, la letteratura medica sottolinea sempre di più il ruolo di fattori psico-sociali di infertilità dovuti a fenomeni complessi come lo stile di vita, l’uso di droghe, l’abuso di alcool, il fumo, le condizioni lavorative, l’inquinamento e, come già sottolineato, la ricerca del primo figlio in età sempre più avanzata.

La sterilità maschile ha come risultato l’assenza o una cattiva qualità degli spermatozoi. Tra le cause sono compresi:

• Fattori ambientali. Stress e cattiva alimentazione, abitudini di vita, esposizione ad agenti chimici nocivi, assunzione di alcuni farmaci (anabolizzanti) che possono causare danni a livello testicolare.

• Infiammazioni e infezioni urogenitali.

• Disfunzioni ormonali. Infertilità causata da uno squilibro nella produzione e nella regolazione degli ormoni sessuali.

• Fattori genetici. Modificazioni genetiche che possono portare ad alterazioni tali da determinare problemi nella produzione degli spermatozoi.

• Problemi immunologici. L’infertilità può essere dovuta alla produzione di anticorpi anti-spermatozoi prodotti dall’organismo in seguito ad infezioni dell’apparato genitale, interventi chirurgici sul testicolo e torsione testicolare.

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• Cause testicolari. Il varicocele è sicuramente una delle patologie più rilevanti data la sua incidenza nella popolazione maschile (20-24%).

• Problemi del sistema di trasporto degli spermatozoi dal testicolo all’esterno. Le ostruzioni possono essere dovute all’assenza congenita dei dotti deferenti, ad infezioni e a tumori.

La sterilità femminile, che riguarda circa il 15% delle donne, come nel caso di quella maschile può dipendere da diversi fattori:

• Cause tubariche. Alterazioni funzionali (difetto di capacitazione dell’ovocita o modificazione della qualità del fluido tubarico), alterazioni anatomiche (agenesia o atresia congenita, eccessiva lunghezza delle tube), obliterazione parziale o totale del lume; pregressa sterilizzazione tubarica, endometriosi tubarica;

• Cause uterine. Malformazioni uterine (agenesie o anomalie mulleriane), processi infiammatori, sindrome di Asherman, fibromi o polipi uterini, atrofia endometriale;

• Cause cervicali. Anomalie anatomiche (atresia, ipoplasia grave, stenosi), processi infiammatori, assenza o scarsità di muco cervicale;

• Cause vaginali. Sindrome di Rokitansky-Kuster-Hauser (agenesia di vagina e utero), vaginismo, flogosi vaginali;

• Cause endocrine. Anovulazione da fattore ipotalamico organico (tumori) o disfunzionale (anoressia nervosa, sindrome di Kallmann, amenorrea primitiva o secondaria), anovulazione da fattore ipofisario organico (adenomi prolattino-secernenti) e iperprolattinemia in genere, sindrome di Turner, sindrome di Cushing, iper o ipotiroidismo, diabete mellito, Premature Ovarian Failure (POF), Polycystic Ovary Syndrome (PCOS), deficit della fase luteale.

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Tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita ( PMA)

In accordo con le linee guida emanate dal Ministero della Salute, sono inclusi, sotto la definizione di Procreazione Medicalmente Assistita tutti i trattamenti e le tecniche per la fertilità, per i quali i gameti, sia femminili (ovociti) che maschili (spermatozoi), vengono trattati, al fine di determinare il processo riproduttivo. Queste tecniche sono utilizzate per aumentare le potenzialità riproduttive della coppia, al fine di aiutare il concepimento, laddove questo non possa avvenire spontaneamente (31).

La coppia che si rivolge ad un centro per la diagnosi e cura della sterilità è sottoposta ad un iter diagnostico, specifico e diverso, per l’uomo e per la donna, che consiste in una serie di indagini cliniche e di laboratorio volte a definire le possibili cause della sterilità. Alla conclusione dell’iter diagnostico viene proposto il trattamento più idoneo (Figura 6).

Figura 6. Iter diagnostico e terapeutico per la sterilità di coppia. La coppia segue uno specifico

percorso alla ricerca di possibili cause di sterilità per poi essere sottoposta all’iter terapeutico, che può essere chirurgico e/o tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita.

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Se il concepimento spontaneo è impossibile, o sembra essere una possibilità remota, data l’inadeguatezza di trattamenti chirurgici e/o farmacologici, si può ricorrere a diverse tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita.

Tra queste Inseminazione Intrauterina è una tecnica di primo livello che consiste nel trattare in laboratorio il liquido seminale per la selezione degli spermatozoi più mobili e iniettarli mediante catetere sottile nella cavità uterina al momento dell’ovulazione. Si ricorre a tale tecnica in caso di ostacoli nel canale cervicale, infertilità inspiegata o problemi andrologici lievi.

Per le donne con occlusione tubarica, l’unica possibilità terapeutica è rappresentata dalla Fecondazione In vitro ed Embrio Transfer. Attraverso farmaci induttori dell’ovulazione viene stimolata al livello ovarico la crescita di più follicoli al fine di ottenere un maggior numero di ovociti ed incrementare il numero di embrioni da trasferire (al massimo tre secondo quanto prescritto dalla legge 40/2004 in materia di PMA, 30 Aprile 2008) e quindi la possibilità di successo. Una volta recuperati gli ovociti, gli spermatozoi del partner vengono aggiunti al terreno di coltura contenente gli ovociti per far avvenire la fecondazione. Se la crescita dell’embrione ha successo, questo viene trasferito all’interno della cavità uterina attraversando il collo dell’utero.

Si differisce dalla Fecondazione In vitro ed Embrio Transfer, la tecnica dell’Iniezione Intra-Citoplasmatica dello Spermatozoo, poiché in questo caso lo spermatozoo viene iniettato direttamente all’interno dell’ovocita. Ciò consente di ottenere la fecondazione degli ovociti anche in quei casi in cui il numero degli spermatozoi vitali sia basso oppure presentino delle atipie morfologiche.

Induzione della crescita follicolare multipla (ICFM) La maggior parte delle tecniche sopra elencate, siano esse di primo, secondo o terzo livello, sono accomunate dalla necessità di intervento farmacologico al fine di ottenere un numero di ovociti superiore ad uno. Infatti, la prima fase per l’avvio delle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita, prevede l’Induzione della Crescita Follicolare Multipla mediante la somministrazione di farmaci induttori dell’ovulazione (32). Lo scopo di tale tecnica è di portare a maturazione un numero di ovociti superiore ad uno, al fine di avere più possibilità che una buona percentuale di questi siano fecondati, si trasformino in embrioni di buona qualità e diano una gravidanza.

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Come già accennato in precedenza, è noto che i livelli plasmatici di estradiolo siano direttamente proporzionali al numero di follicoli ovarici, dal momento che l’estradiolo è secreto prevalentemente dalle cellule della granulosa dei follicoli (33). È per questo motivo che le terapie ormonali necessarie durante la Procreazione Medicalmente Assistita inducono una condizione di iperestrogenismo, dal momento che, in un solo ciclo, arrivano a maturazione più ovociti, i cui follicoli producono ingenti quantità di estradiolo.

L’induzione della crescita follicolare multipla si ottiene previo abbattimento dei livelli di gonadotropine endogene, mediante la soppressione della sintesi ipofisaria e la somministrazione di gonadotropine di sintesi in quantità superiore a quelle fisiologiche. L’abbattimento dei livelli di gonadotropine endogene si ottiene somministrando o gli agonisti dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH-a), o un antagonista di tale ormone (GnRH-ant) (33) . È così possibile recuperare anche i follicoli ovarici destinati all’atresia.

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SCOPO DELLA TESI

Lo scopo della ricerca, oggetto di questa tesi, è stato di valutare l’effetto del trattamento con gonadotropine esogene sulla flora vaginale di donne che si sottopongono a iperstimolazione ovarica controllata, nel contesto delle procedure di Procreazione Medicalmente Assistita.

Sono stati analizzati i tamponi vaginali, prima e dopo il trattamento ormonale, di donne sottoposte a cicli di Fecondazione In Vitro, presso il Centro per la Diagnosi e Terapia della Sterilità di Coppia dell’U.O.C. di Ostetricia e Ginecologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese.

Mediante il dosaggio delle diammine vaginali, prodotte dal catabolismo dei microrganismi anaerobi, e tecniche batteriologiche tradizionali è stata valutata la presenza di alterazioni della flora vaginale in termini di positività per potenziali patogeni e di concentrazione di diammine rilasciate nei fluidi vaginali in correlazione alla condizione di iperestrogenismo, tipica delle pazienti sottoposte a cicli di Procreazione Medicalmente Assistita.

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MATERIALI E METODI

Campioni. Previa approvazione del comitato etico dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese e compilazione del modulo per il consenso informato, è stato selezionato, nell’anno 2015, il gruppo campione presso il Centro per la Diagnosi e Terapia della Sterilità di Coppia, U.O.C. di Ostetricia e Ginecologia, presso la medesima Azienda. Un totale di 108 donne di età compresa tra 25 e 44 anni, che sono state sottoposte a terapia ormonale per Induzione della Crescita Follicolare Multipla, sono state coinvolte nello studio come campione. L’unico criterio di esclusione previsto è stato l’assunzione di antibiotici nel mese precedente l’inizio dello studio.

Protocollo Terapeutico di Induzione della crescita follicolare multipla. Il protocollo scelto per l’Induzione della Crescita Follicolare Multipla di tutte le donne coinvolte nello studio, include la somministrazione di gonadotropine ricombinanti (Gonal F-Merck Serono, Italia o Peregon – MSD, Italia) con un dosaggio iniziale di 150-200 UI dal primo o secondo giorno di mestruazione, spontanea o indotta. La dose di gonadotropine è poi adattata in base alla risposta ovarica, valutata ecograficamente. Dal momento in cui il follicolo dominante raggiunge i 14 mm (6° giorno di mestruazione), l’antagonista del GnRH viene somministrato quotidianamente (Orgalutran –MSD, Italia e Cetroride – Merck Serono, Italia), fino al giorno del triggering dell’ovulazione. Il triggering viene effettuato con hCG (Gonasi, 10.000 UI-IBSA, Italia e Ovitrelle –Merck Serono, Italia), quando almeno due follicoli raggiungono i 18 mm di diametro. Circa 36 ore dopo il triggering, si procede con il prelevare gli ovociti (Figura 7).

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Figura 7. Schema temporale del protocollo terapeutico per la Procreazione Medicalmente Assistita. Con il tratteggio sono

indicati i periodi variabili a seconda della fisiologia delle donne. Al primo giorno di mestruazione viene somministrato gonadotropine ricombinanti (r-FSH) al fine di stimolare la produzione multipla di follicoli. Al sesto giorno della mestruazione, per abbattere i livelli di gonadotropine, viene somministrato l’antagonista dell’ormone stesso (GnRH-ant). Per monitorare le dimensione e il numero dei follicoli le donne vengono controllate ecograficamente e mediante dosaggio dei livelli plasmatici di estradiolo (E2). Quando almeno due follicoli raggiungono dimensioni superiori ai 18 mm viene somministrata la gonadotropina corionica umana (hCG) per indurre l’ovulazione. Dopo circa 36 h il prelievo degli ovociti. Al momento dello screening viene effettuato un primo tampone vaginale (TVA0) a cui segue un secondo tampone vaginale al momento del prelievo degli ovociti (TVA1).

Screening

Attesa del ciclo mestruale r-FSH GnRH-ant Almeno 2 follicoli >18 mm 36H hCG Prelievo degli ovociti TVA 0 TVA 1 1°g Ciclo mestruale 6°g Monitoraggio ecografico e prelievi giornalieri per

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Tamponi Vaginali. Il gruppo campione è stato sottoposto a due tamponi: il primo durante la visita di screening il mese precedente l’inizio della terapia ormonale, il prelievo ovocitario (Figura 7).

Saggio di Quantificazione delle Diamine (VADA): Questo saggio enzimatico si basa sull’enzima diammina ossidasi (DAO) che reagendo con Cadaverina e la Putrescina, prodotti del catabolismo batterico, producono H2O2 in quantità proporzionale (34). Ogni mole di diammina rilasciata nel fluido vaginale reagisce con la DAO producendo una mole di H2O2. L’ H2O2 prodotta durante questa reazione viene misurata mediante spettrofotometro attraverso una reazione colorimetrica catalizzata dalla perossidasi di rafano (HRP). Il saggio è in grado di rilevare concentrazione di diammine che vanno da 4 a 256 µM.

La soluzione in cui è stato risospeso il tampone viene saggiata per l’eventuale presenza delle diammine secondo il protocollo messo a punto dai colleghi Mendonca K et al. (3). Cento microlitri di ogni campione viene sottoposto a saggio enzimatico in piastre di polistirene da 96 pozzetti (Nunc, 25361), aggiungendo secondo protocollo i seguenti reagenti:

• 45 µl del reagente sviluppante il colore (4 parti di 1.5 M Tris a pH 9,0 + 1 parte di 400 mM 4-aminoantipirina + 1 parte di 40 mM fenolo, Sigma-Aldrich Co) • 5 µl HRP (175 U/ ml in acqua, Sigma-Aldrich Co) e 50 µl DAO (1600mU/ml in

acqua, Sigma-Aldrich Co).

Le piastre sono state incubate a 50°C per 1 ora. La densità ottica è stata letta con spettrofotometro ad una lunghezza d’onda di 510 Nm.

Ogni campione è stato testato sia con l’aggiunta di DAO che serve per rilevare la possibile presenza di H2O2 prodotta da lattobacilli presenti nel microbiota vaginale o da cellule umane come i macrofagi. Per ogni campione il valore di OD ottenuto senza l’aggiunta di DAO è stato sottratto dal valore ottenuto con il DAO.

L’OD risultate è stato usato per calcolare la concentrazione delle diammine nel campione usando curve standard di Putrescina e Cadaverina in rapporto 1:1 (range 4-256 µM). I risultati sono stati espressi come µM di diammine per campione.

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Batteriologia: La ricerca batteriologica ha avuto lo scopo di ricercare specie appartenenti agli Enterobatteri, Enterococchi, Streptococchi, Stafilococchi, Lattobacilli, anaerobi stretti e miceti (Candida spp) tramite crescita in terreni di coltura selettivi e metodi di identificazione di specie.

I tamponi vaginali sono stati risospesi in 1 ml di soluzione salina sterile contenente il 10% di glicerolo. I tamponi bagnati sono stati direttamente piastrati in terreni solidi selettivi (Oxoid, Milano, Italia) per varie specie batteriche:

• COS, terreno ricco e differenziale per evidenziare il tipo di emolisi,

• CNA, terreno COS con l’aggiunta di colistina e acido nalidixico, selettivo per gli streptococchi,

• Sale Mannite, terreno contenente NaCl 7,5% e mannitolo, selettivo e differenziale per gli stafilococchi mannitolo fermentanti e non fermentanti, • McConkey, terreno contenente sali biliari e lattosio, selettivo per batteri Gram

negativi e differenziale per enterobatteri lattosio fermentanti e non fermentanti, • Sabouraud, terreno con pH di 5,6, contenente destrosio, cloramfenicolo e

gentamicina per inibire la crescita della maggior parte dei batteri, selettivo per miceti,

• Gardnerella, terreno CNA con l’aggiunta di gentamicina e amfotericina, selettivo per G. vaginalis,

• Scheadler, selettivo per batteri anaerobi obbligati,

• Rogosa, terreno con elevata concentrazione di acetato selettivo per la crescita dei Lattobacilli.

Nel caso di positività, le specie batteriche sono state identificate usando test biochimici standard:

• Test della Catalasi per distinguere Streptococchi dagli Stafilococchi,

• Test della Coagulasi (Oxoid) al fine di evidenziare l’eventuale presenza di coagulasi, per identificare e diversificare S. aureus dagli altri Stafilococchi, • Test dell’Ossidasi (Oxoid) che evidenziando la presenza della citocromo C

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• Test di Agglutinazione (Oxoid), metodo rapido per l’identificazione degli streptococchi di gruppo A, B, C, D, F e G,

• Gallerie API diverse (Biomérieux Italia S.p.A., Firenze, Italia), specifiche per specie batteriche raggruppabili nello stesso profilo metabolico.

Analisi statistica. L’analisi dei dati è stata effettuata usando il software GraphPad Prism4 (GraphPad Software, San Diego, CA, USA). La significatività statistica è stata valutata mediante t-Student test. Un p-value inferiore a 0,05 (p <0,05) è stato considerato statisticamente significativo.

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RISULTATI

Per ogni paziente inclusa nello studio sono stati eseguiti due tamponi vaginali: uno prima dell’inizio della terapia ormonale per l’Induzione della Crescita Follicolare Multipla ed uno al momento del prelievo degli ovociti, quindi al termine della terapia ormonale stessa (Figura 7).

Al fine di caratterizzare eventuali alterazioni della flora vaginale è stata quantificata la presenza di Putrescina e Cadaverina nel fluido vaginale delle pazienti prima e dopo la stimolazione ormonale, mediante l’utilizzo del saggio enzimatico VADA.

L’analisi statistica, della media delle concentrazioni rilevate nei fluidi vaginali dei campioni prima del trattamento ormonale, 10,92 ± 2,34 µM e dei campioni dopo il trattamento 43,64 ± 8,34 µM, mostra una differenza statisticamente significativa (p=0,0003) (Figura 8).

Sulla base della concentrazione di diammine (DA) rilevate i campioni sono stati divisi in tre gruppi:

• concentrazione di DA < 1 µM, flora batterica vaginale fisiologica

• concentrazione di DA compresa tra 1 e 25 µM, flora batterica vaginale mista • concentrazione di DA >25 µM, flora batterica vaginale alterata

Dall’analisi dei campioni è emerso che, prima del trattamento ormonale per l’Induzione della Crescita Follicolare Multipla, la concentrazione di Putrescina e Cadaverina, nei fluidi vaginali, risultava inferiore a 1 µM nel 55,6% dei campioni, dopo il trattamento solo il 18,7% dei campioni mostrava un contenuto di diammine paragonabile ai campioni con flora vaginale normale. Condizione opposta è stata osservata dopo iperstimolazione ovarica controllata, infatti, la percentuale di campioni con concentrazione di diammine superiore a 25 µM, prima del trattamento, era pari all’11,1%, per poi aumentare fino al 51,4% dopo il trattamento con gonadotropine esogene (p = 3,55-10) (Figura 9).

La percentuale di campioni con una concentrazione intermedia di diammine non varia in modo significativo con la terapia.

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Figura 8. Concentrazione delle diammine espresse in µM sui fluidi vaginali delle donne prima e

dopo trattamento ormonale. La media delle concentrazioni di Putrescina e Cadaverina prima del trattamento ormonale corrisponde a 10,92 ± 2,34 µM, mentre a seguito del trattamento ormonale la concentrazione media sale a 43,64 ± 8,34 µM (p=0,0003).

Pr e tr a tta me nto or m on ale Po st tra tta me nto or m on ale 0 5 0 1 0 0 2 0 0 2 5 0 3 0 0 3 5 0 4 0 0 [ ] D i a m m i n e M ic ro m o li D ia m m in e S a m p le s

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37

Figura 9. Rappresentazione mediante istogramma delle concentrazioni di diammine (µM) nei

fluidi vaginali delle donne prima e dopo trattamento ormonale per la stimolazione ovarica controllata. Come mostrano gli istogrammi in bianco, prima del trattamento ormonale, il 55,6% dei campioni avevano concentrazioni di diammine sotto l’1µM, mentre dopo il trattamento la percentuale dei campioni scende al 18,7%. Gli istogrammi in grigio scuro rappresentano i campioni con alte concentrazioni di diammine (>25µM), e mentre prima del trattamento ormonale erano solo l’11,1%, dopo il trattamento la percentuale sale al 51,4%

(p = 3,55-10). La percentuale di donne che producono livelli intermedi di diammine rimane costante. 0.0 10.0 20.0 30.0 40.0 50.0 60.0

Pre Trattamento Ormonale Post Trattamento Ormonale

% d i c am p io n i Negative 0-25 µM >25 µM

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Parallelamente al dosaggio delle diammine, i tamponi vaginali sono stati analizzati anche mediante batteriologia classica.

Dall’analisi delle crescite batteriche ottenute dai due tamponi prelevati è stato osservato un significativo incremento della positività per potenziali patogeni dopo stimolazione ovarica controllata.

Come si può osservare in Figura 10, prima del trattamento ormonale il 35,3% dei tamponi vaginali sono risultati positivi per almeno un microrganismo potenzialmente patogeno per il tratto genitale, mentre, dopo il trattamento ormonale sono risultati positivi il 43,1% dei campioni. L’incremento della percentuale di positività è risultato statisticamente significativo (OR=2,61; p=0,0007).

Andando ad analizzare i microrganismi identificati nei tamponi vaginali rileviamo a seguito del trattamento ormonale, un incremento del 13,8% di campioni positivi per Enterobacteriacae e un incremento del 30,8% per Streptococcus spp

(Figura 11). La percentuale di campioni positivi per lattobacilli, invece, non subisce particolari variazioni a seguito del trattamento ormonale con gonadotropine esogene e si mantiene intorno al 60% (Figura 12).

L’incremento consistente dei campioni positivi per Streptococcus spp. e per Enterobacteriacae è interessante perché è già descritto in letteratura una associazione fra E. coli, streptococchi e anaerobi e l’abbassamento del Life Birth Rate (LBR), cioè la percentuale delle donne che si sottopongono a trasferimento dell’embrione e che riescono a portare a termine la gravidanza con successo (35).

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39 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50

Pre Trattamento Ormonale Post Trattamento Ormonale

% ta m p o n ip o sitiv i

Figura 10. Analisi batteriologica su 108 tamponi vaginali di donne prima e dopo trattamento

ormonale per stimolazione ovarica controllata. Gli istogrammi mostrano i campioni positivi per batteri potenzialmente patogeni. A sinistra è rappresentata la percentuale di campioni positivi prima del trattamento ormonale (35,3 %), sulla destra la percentuale di campioni positivi dopo il trattamento ormonale (43,1 %) (p=0,0007).

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40 En tero ba c teri a ce a e Str e pto c oc c us s pp Ca n did a s p p Sta ph ylo c oc c us s pp En tero c oc c us s sp 0 2 0 4 0 6 0 % t a m p o n i p o s it iv i P r im a d e l T r a tta m e n to O r m o n a le D o p o il T r a tta m e n to O r m o n a le

Figura 11. Istogramma delle frequenze dei microrganismi maggiormente rappresentati nei

tamponi vaginali delle 108 donne sottoposte a protocolli di Procreazione Medicalmente Assistita, prima e dopo il trattamento ormonale per la stimolazione ovarica controllata. Nelle colonne in chiaro sono riportate le frequenze dei microorganismi prima del trattamento e in scuro la percentuale degli stessi batteri dopo il trattamento. Per le Enterobacteriaceae dopo trattamento ormonale registriamo un incremento del 13,8%, ancora più consistente è l’incremento per Streptococcus spp che aumenta del 30,8%.

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41 Pre tra tta me nto orm on ale Po st tra tta me nto orm on ale 0 2 0 4 0 6 0 8 0 1 0 0 % c a m p io n i L a tto b a c illi

Figura 12. Gli Istogrammi indicano la percentuale di campioni positivi per Lattobacilli. Prima del trattamento ormonale circa il 67% dei campioni sono risultati positivi per lattobacilli e la percentuale rimane praticamente invariata (60%) dopo il trattamento ormonale con gonadotropine esogene.

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42

Tale andamento tende a confermare l’ipotesi che la terapia ormonale va ad alterare l’equilibrio del microbiota vaginale predisponendo ad una condizione di Vaginosi Batterica.

Al fine di capire quale fosse l’impatto delle alterazioni del microbiota vaginale sull’outcome delle pazienti sottoposte a Fecondazione in vitro, sono stati interpolati, mediante Diagramma di Venn, i dati ottenuti dalla batteriologia dei tamponi vaginali, la concentrazione delle diammine nei fluidi vaginali, prima e dopo stimolazione e il fallimento dell’impianto.

Il numero totale di donne analizzate scende ad 82 poiché alcune non sono state seguite dopo l’impianto e quindi non sono pervenute notizie circa il successo o meno. Sul campione preso in esame 55 donne con flora vaginale alterata falliscono nell’impianto, il 67% del campione totale. Di queste 9 falliscono l’impianto indipendentemente dai fattori analizzati e 11 donne sembrano avere alterazioni del microbiota che non incidono sull’impianto stesso. Sette campioni non rispondono ai requisiti richiesti per questo sono esclusi dall’analisi. Questi campioni sono ragionevolmente donne che hanno avuto un esito positivo di impianto. (Figura 13).

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Figura 13. Il Diagramma di Venn mostra le intersezioni tra le infezioni microbiche, la

concentrazione delle diammine e il tasso di impianto per le donne che si sottopongono alla Fecondazione In Vitro, dopo somministrazione di dosi elevate di gonadotropine esogene. Un totale di 82 donne è stato incluso nell'analisi e 64 hanno fallito l'impianto, di queste donne, 55 erano positive per uno o più agenti patogeni e/o positivi per la produzione di alte concentrazioni di diammine. Solo 9 donne hanno fallito l'impianto senza associazione con l'infezione microbica e 11 donne, anche se presumibilmente affette da dismicrobismi sono risultate positive per l’impianto. Sette donne non soddisfano i parametri richiesti e quindi non vengono incluse nell’analisi.

Tampone Positivo

DA >25 µM

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DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

Secondo uno studio portato avanti dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità dal 1990 al 2004, ad una coppia su quattro nei paesi sviluppati è stata fatta diagnosi di infertilità. Tali dati sono stati confermati da un più recente aggiornamento che risale al 2010 (30).

Sono orami passati trenta anni dalla nascita del primo “bambino in provetta”, ed attualmente, la Procreazione Medicalmente Assistita racchiude un insieme di tecniche largamente fruibili per il trattamento della maggior parte delle cause di infertilità. Per compensare l’inefficienza delle procedure della Fecondazione In Vitro, alte dosi di gonadotropine esogene vengono somministrate alle donne per stimolare lo sviluppo di più ovociti nello stesso ciclo mestruale.

L’Induzione della Crescita Follicolare Multipla promuove lo sviluppo di più follicoli interferendo con il fisiologico controllo ormonale, facendo si che si instauri una condizione di iperestrogenismo.

Uno squilibrio ormonale, indipendentemente dalla sua natura, è in grado di favorire condizioni patologiche del microbiota vaginale, Srinivasan et al (36) e Fredricks et al (37) hanno descritto fluttuazioni batteriche del microbiota vaginale anche durante il ciclo mestruale.

Sebbene i microrganismi siano in grado di adattarsi all’ambiente in cui si trovano, sono altrettanto influenzabili sia qualitativamente che quantitativamente dalle modificazioni dello stesso.

van Oostrom descrive, in una meta-analisi recente, che i dismicrobismi hanno una alta frequenza prevalentemente in donne infertili (4) e sono associati a parti prematuri, rottura prematura delle membrane, corioamniositi e altre complicanze ostetriche (38).

Lo scopo della ricerca oggetto di questa tesi è stato di valutare l’effetto del trattamento con gonadotropine esogene sulla flora vaginale di donne che si sottopongono a iperstimolazione ovarica controllata nel contesto delle procedure di Procreazione Medicalmente Assistita, mediante il dosaggio di diammine vaginali e batteriologia classica.

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Infine è stato valutato l’impatto della flora vaginale e delle sue eventuali alterazioni sul successo di impianto dell’embrione.

Sono stati analizzati tamponi prima e dopo la terapia ormonale in donne sottoposte a cicli di Fecondazione in Vitro, presso il Centro per la Diagnosi e la Terapia della Sterilità di coppia dell’UOC di Ostetricia e Ginecologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese.

Un recente studio condotto presso il nostro laboratorio ha analizzato 90 donne non gravide in fase pre menopausale mediante le metodiche diagnostiche attualmente in uso, criteri di Amsel e Nugent Score, ed è stato osservato che l’esame microscopico è risultato positivo nel 23,7% delle donne asintomatiche e il 16,8% delle donne con un quadro clinico di Vaginosi Batterica hanno mostrato una flora vaginale caratterizzata dalla presenza di Lattobacilli (dati non pubblicati). Lo studio dimostra che gli attuali metodi utilizzati per la diagnosi della Vaginosi Batterica, data la soggettività interpretativa e la complessità del microbiota vaginale, non risultano completamente affidabili e spesso sono forvianti, da qui la necessità di mettere a punto nuovi saggi diagnostici al fine di produrre diagnosi più accurate e specifiche a cui far seguire terapie mirate.

Per questo motivo al fine valutare come l’iperestrogenismo influisce sulla flora vaginale, siamo andati a dosare, a livello dei fluidi vaginali, le diammine prodotte dal catabolismo dei batteri anaerobi.

Tale saggio enzimatico è stato validato su campioni clinici da Mendonca et al (3) e comparato al Nugent score, considerato il gold standard per la diagnosi di Vaginosi Batterica, ha mostrato una sensibilità dell’85,71% e una specificità del 100%, dimostrandosi un valido metodo per il dosaggio nei tamponi vaginali delle diammine, potenziali marcatori di Vaginosi Batterica.

I dati ottenuti dai nostri campioni mostrano una concentrazione di diammine media nei fluidi vaginali delle donne prima del trattamento ormonale di 10,92 ± 2,34 µM, mentre dopo il trattamento ormonale sale in modo statisticamente significativo a 43,64 ± 8,34 µM (p=0,003). Fra tutti i campioni analizzati solo l’11,1% dei campioni mostrava alte concentrazioni di diammine (>25 µM), prima del trattamento ormonale, per poi salire al 51,4% dopo il trattamento (p = 3,55-10).

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