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La responsabilità dell'agente provocatore e del provocato nella disciplina delle operazioni sotto copertura

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IPARTIMENTO DI

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IURISPRUDENZA

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AGISTRALE IN

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IURISPRUDENZA

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A RESPONSABILITÀ DELL

'

AGENTE PROVOCATORE E

DEL PROVOCATO NELLA DISCIPLINA DELLE OPERAZIONI SOTTO COPERTURA

Relatore

Chiar.mo Prof. Giovannangelo De Francesco

Candidata

Barbara Occhiuzzi

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«Il faut faire de l'ordre avec du désordre.»

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SOMMARIO

CAPITOLO PRIMO

LA «TEMATIZZAZIONE DAL BASSO» DELLE OPERAZIONI SOTTO COPERTURA: UNA DEFINIZIONE DETTATA DALLA PRASSI

1.   Analisi delle scelte di politica criminale alla base della disciplina dell’agente provocatore: origini storiche, fenomenologia e suggestioni comparative del frutto di un “iniquo governo demoralizzato e demoralizzatore”………..7 2.   L’esordio normativo dell’agente provocatore: la disciplina in materia di stupefacenti ed il sottotipo del fictus emptor………….39 3.   La frammentarietà legislativa in materia di operazioni sotto copertura fino al tentativo di reductio ad unum della l. 146/2006: il rinvio all’art. 9 nella disciplina dell’ordine di indagine europeo...57 4.   Analisi della fattispecie: gli elementi costitutivi delle ipotesi di

non punibilità………...75 4.1  Le condotte scriminate: tra tipizzazione e clausole

aperte………79 4.2  I soggetti destinatari della fattispecie………104 5. La fattispecie autonoma di cui all’art. 14 l. 3 agosto 1998, n.

269...113 CAPITOLO SECONDO

LA RESPONSABILITÀ DEL PROVOCATORE NEL PRISMA DEL FATTO PROVOCATO

1.   Una premessa: il retaggio delle fonti nella struttura e nella valenza politico – criminale delle soluzioni di non punibilità del provocatore...129 2.   I presupposti d’indagine nel discrimine tra provocazione privata

e provocazione statuale: la pena come scopo...139 3.   Le prospettive ermeneutiche di qualificazione della fattispecie entro i confini dell’antigiuridicità obiettiva...143

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4.   Le forme dell’elemento soggettivo dell’agente infiltrato: la definizione dell’Absicht del provocatore...149 4.1   Struttura ed oggetto del dolo di provocazione nel concorso di persone nel reato...158 4.2   Le peculiarità del ‘doppio – dolo’ del provocatore: il dolo di istigazione...161 4.3   L’accertamento del ‘dolo di tentativo’ del

provocatore...169 4.4   Osservazioni conclusive sula responsabilità concorsuale del provocatore...174

CAPITOLO TERZO

LA RESPONSABILITÀ DEL PROVOCATO E LE SOLUZIONI PROCESSUALI

1.   Presupposti e profili di punibilità del soggetto provocato:

l’incidenza della provocazione sul processo di

autodeterminazione e la soluzione processuale...182 2.   La responsabilità del provocato tra reato impossibile e tentativo punibile: la vicinanza alla predisposizione della forza pubblica...186 3.   La funzione processuale delle operazioni sotto copertura tra prevenzione e ricerca della prova: determinazione e confronto delle attribuzioni del pubblico ministero e della polizia giudiziaria nella fase delle indagini preliminari...203 4.   La declinazione dei limiti all’attività sotto copertura alla luce dei principi del giusto processo...214 4.1   La qualifica dell’infiltrato nel processo, forma ed utilizzabilità del materiale probatorio raccolto nel corso delle operazioni sotto copertura...215 4.2   La soluzione processuale della Corte europea dei diritti umani: riflessi sostanziali nella rinnovata simmetria tra responsabilità del provocatore e provocato...221 Bibliografia...228

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CAPITOLO PRIMO

LA «TEMATIZZAZIONE DAL BASSO» DELLE

OPERAZIONI SOTTO COPERTURA:

UNA DEFINIZIONE DETTATA DALLA PRASSI

1. Analisi delle scelte di politica criminale alla base della disciplina dell’agente provocatore: origini storiche, fenomenologia e suggestioni comparative del frutto di un “iniquo governo demoralizzato e demoralizzatore”. – 2. L’esordio normativo dell’agente provocatore: la disciplina in materia di stupefacenti ed il sottotipo del fictus emptor. – 3. La frammentarietà legislativa in materia di operazioni sotto copertura fino al tentativo di reductio ad unum della l. 146/2006: il rinvio all’art. 9 nella disciplina dell’ordine di indagine europeo. – 4. Analisi della fattispecie: gli elementi costitutivi delle ipotesi di non punibilità. – 4.1 Le condotte scriminate: tra tipizzazione e clausole aperte. – 4.2 I soggetti destinatari della fattispecie. – 5. La fattispecie autonoma di cui all’art. 14 l. 3 agosto 1998, n. 269

1.   Analisi delle scelte di politica criminale alla base della disciplina dell’agente provocatore e dell’agente infiltrato: origini storiche, fenomenologia e suggestioni comparative di un “iniquo governo demoralizzato e demoralizzatore”

«Agenti segreti, polizie segrete, queste sono agli occhi di uno come me, che ha avuto l’onore di farne parte, delle istituzioni inventate da chi ha sete di procurarsi dei fondi senza controllo, o da chi ha sete di dispotismo. Salvo certi casi, alquanto rari, la polizia non si occupa che di spiare se stessa. Alcuni agenti

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ambiziosi, intelligenti, montano dei complotti, redigono statuti di società che essi hanno creato, e poi, al momento dell’azione, fanno arrestare gli infelici che si sono lasciati impaniare.1»

Le memorie di Giacomo Griscelli, “agente segreto di Napoleone III, di Cavour e di Francesco Giuseppe d’Austria” non sono altro che le peripezie di un «tristo prestigiatore della polizia segreta2», e tuttavia

sembrano suggerire un’idea efficace di alcune costanti storiche nell’azione degli agenti infiltrati. In queste caratteristiche si trova appunto, in primo luogo, una stretta correlazione tra lo strumento dell’infiltrazione e le vicende politiche, in cui anche la sola trasmissione di informazioni è fondamentale nella strategia di consolidamento del potere. Si tratta infine di un microcosmo del tutto peculiare, dove i committenti, i “padroni” si confondo e cambiano all’occorrenza, al bisogno, e seguono, trasformandosi, i ricorsi storici. Quella dell’infiltrato è una “costante metodologica”, che pervade la storia d’Italia, in particolare, non solo negli avvicendamenti del potere politico, ma soprattutto nel tentativo di soddisfare una necessaria esigenza di sicurezza di fronte alle realtà criminali complesse: «esiste un mondo marginale, collocato per così dire tra politica e crimine, e tuttavia cruciale, frequentato da cospiratori e da uomini «pericolosi» e, insieme a loro, da tutti coloro che sono incaricati di sorvegliarli e reprimerli: spie, indicateurs, agenti provocatori3». Il ricorso a quelle che sono diventate nel tempo le

                                                                                                               

1 G. GRISCELLI,Mémoires de Griscelli, agent secret de Napoléon III (1850-58), de Cavour

(1859-61), d'Antonelli (1861-62), de François II (1862-64), de l'empereur d'Autriche

(1864-67)

2 A. SAVELLI A.COLOCEI, Gruscelli e le sue memorie, in Archivio Storico Italiano, 1911, 221.

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“operazioni sotto copertura” rappresenta un congegno proteiforme, una disperata alternativa che interviene come extrema ratio di contrasto al crimine organizzato, o forse, molto più semplicemente e per via di una “abitudine” storica, come privilegiato strumento di controllo e costituzione di un “ordine pubblico” che è spesso «frutto di un processo composito, in cui imposizione, negoziato, delega si avvicendano e coesistono4».

Dall’antica Roma alla vigilia del XX secolo, l’attività di provocazione del reato è propria d’ogni tempo e d’ogni luogo della storia del diritto penale in Europa. L’utilizzo di soggetti che si possono definire gli “antenati” del più moderno agente provocatore è storicamente associato a più blande operazioni di spionaggio, che nell’esperienza romana si rintracciano in ambito bellico nell’azione degli exploratores5, soldati inviati

nell’accampamento nemico e incaricati di reperire informazioni funzionali alla battaglia. I primi “servizi segreti” a Roma vengono istituiti da Domiziano e successivamente perfezionati sotto il governo di Adriano.

Nell’esperienza giuridica romana, accanto alle descrizioni della condotta provocatoria riferibili alla sfera pubblica e per lo più al crimen laesae

maiestatis6, si trovano ragguagli in tema di non punibilità con riguardo al

                                                                                                               

4 A.PIZZORNO,I mafiosi come classe media violenta, in Polis, Ricerche e studi su società e politica

in Italia, I, 1987, 201.

5 G.MOSCHETTI,Atti del Congresso internazionale di diritto romano e di storia del diritto:

Verona27-28-29IX-1948,Milano, 1953, 117; A.PASTUGLIA, Immunità segreto stato di eccezione. Prospettive sistemico-normative, Torino, 73; S.ROBERTI,Corso completo del diritto penale del Regno delle Due Sicilie secondo l'ordine delle leggi penali, dalla stamperia e cartiera

del Fibreno, 1834, 104.

6 M. SBRICCOLI,Crimen laesae maiestatis: il problema del reato politico alle soglie della scienza

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furto invito domino, là dove il proprietario abbia acconsentito al furto del servo sobillato da terzi, al fine di vagliarne la fedeltà7. L’ipotesi esclude il

reato di corruzione del servo, perché mantenutosi fedele, e lo stesso furto, in ragione del consenso del proprietario, pur ignorato dal terzo. La scriminante dell’invito domino, in simili circostanze, è sostenuta dall’avversione verso i ladri, una finalità che giustifica la condotta contra

iuris regulas8, dove il fine dello stesso proprietario non sia il furto in sé,

quanto la volontà di mettere alla prova la fedeltà del servo e la sua sincerità. Ma se l’obbedienza all’autorità privata nei rapporti servo – padrone non esclude la punibilità in capo al dominus, l’ordine emesso nell’esercizio del pubblico ufficio dal pubblico ufficiale, dal magistrato o dal giudice, esclude la violazione del diritto9.

La funzione pubblica e l’azione privata si incontrano nella forma delittuosa del crimen laesae maiestatis, nel cui ambito inizia a svilupparsi la disciplina dell’agente provocatore, con particolare precisione nel corso dell’ancien regime, nella Francia assolutista. Già agli albori applicativi del crimine di lesa maestà, tuttavia, la figura delittuosa si accompagnava a strumenti di politica criminale che è possibile rintracciare tuttora nelle strategie di intervento contro la criminalità organizzata; il riferimento va alle forme di collaborazione, di “pentitismo” di cui si avvale il processo

                                                                                                               

7 C.FERRINI,Diritto penale romano, Esposizione storica e dottrinale – estratto Enc. Diritto penale italiano diretta da E. Passina, Roma, 1976, 80.

8 Così in seguito sostenuto nel Corpus iuris civilis, C. 6,2: par. 8 I. 4, 1; “Si credat aliquis invito domino se rem contrectare, domino autem volentem id fiat, dicitum furtum non fieri”.

9 Nei rapporti servo padrone vale la regula iuris dell’Is damnus dat, qui iubet dare: eius vero

nulla culpa est, qui parere necesse sit (D. 50. 17. 129), mentre la scriminante della salus populi suprema lex esto consentiva ai magistrati di non applicare la legge in ragione di un fine

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per lesa maestà10. Simili scelte repressive vanno ad inquadrarsi nelle

forme di una dimensione del sospetto, dell’ “ossessione del tradimento”11, che caratterizza tipicamente i regimi assolutistici. Già nel

Principato romano l’avversione alle condotte proditorie si ammanta di una veste di liceità indubbia, che deriva dall’esecrabilità percepibile del fatto, come crimen execrandum, lesivo dei doveri massimi di lealtà ed obbedienza12. Nel crimen laesae maiestatis la liceità dello scopo cui tende

l’azione del provocatore si radica nella riprovevolezza morale diffusa che suscita nella società la condotta del provocato.

I profili politico-criminali che ispirano la natura del crimine di lesa maestà si riverberano nella struttura e nell’organizzazione dei modelli repressivi sapientemente elaborati in Francia a partire dalla prima metà del XVIII secolo, quando la figura dell’agente provocatore fa il proprio ingresso “istituzionale” nella storia europea13. Sino al periodo

post-rivoluzionario dell’agente provocatore rimarrà una figura mal vista nella compagine sociale, della quale la polizia si serve in funzione di un legame

                                                                                                               

10 P. FIORELLI,La tortura giudiziaria nel diritto comune, Milano, 1954, 103; J.MVERGÈS,

Strategia del processo politico, Torino, 1969.

11 M. SBRICCOLI,Crimen laesae maiestatis: il problema del reato politico alle soglie della

scienza penalistica moderna, op. cit., 149.

12 J.G.BELLAMY, The law of treason, 14 ss.; ma si pensi anche solo alla percezione che del tradimento si deduce dall’opera di Dante Alighieri nella società medievale, nella figura di Lucifero che divora Guida, Bruto e Cassio, traditori della Chiesa e dell’Impero.

13 Esemplare la ricostruzione storica dell’esperienza francese in C. DE MAGLIE,

L’agente provocatore – Un’indagine dogmatica e politico-criminale, Milano, 1991, 7 ss., dalla

quale è possibile ricavare un quadro dell’evoluzione storica dell’istituto dell’agente provocatore attraverso il periodo assolutista, rivoluzionario e post-rivoluzionario.

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pregresso con gli ambienti criminali o ancora del tutto attuale14. Si tratta

di detenuti o ex detenuti che assistono l’attività di polizia nelle circostanze in cui non vi siano prove sufficienti ad incriminare i sospettati, in cambio di ricompense in denaro o della libertà. Ancora nella seconda metà dell’Ottocento i gruppi di investigatori ed agenti provocatori mantengono stretti legami con la polizia di Parigi, «risiedono al numero 6 di Rue Saint-Anne, appena dietro l’edificio della Prefettura: le squadre appartengono alla prefettura ma è significativo che queste non si trovassero all’interno della Prefettura; inoltre essi erano finanziati da fondi segreti, piuttosto che apertamente15». Il legame con l’organo di

polizia è fondamentale e significativo, ricorre lungo tutta la vicenda delle attività di polizia sotto copertura in Francia, benché a partire dai primi anni del Settecento si susseguano ordinamenti fra loro piuttosto dissimili. Il mantenimento de “le bien public” nella Francia di Luigi XVI coincideva con una azione di polizia in grado di controllare ogni aspetto della vita pubblica16. L’azione di controllo è rivolta ad un monitoraggio

                                                                                                               

14 A. WILLIAMS, The police of Paris, 1718 – 1789, Louisiana State University Press, 1979, 109 ss; M.CHASSAIGNE, La lieutenance générale de policie de Paris, Ginevra, 1975, 247; N. VIDONI,Les « officiers de police » à Paris (milieu XVIIe-XVIIIe siècle) - Distribution territoriale et compétences, Rives méditerranéennes, 2009, 97; G. MALANDAIN, Les mouches de la police

et le vol des mots. Les gazetins de la police secrète et la surveillance de l'expression publique à Paris au deuxième quart du XVIIIe siècle, Revue d’histoire moderne et contemporaine, 1995,

376.

15 C.EMSLEY,Police Detectives in History, 1750–1950, Haia Shpayer-Makov, 2006 – Routledge, 64 ss., descrive gli ambienti della polizia investigativa nella fase post-rivoluzionaria della politica francese.

16 C.ADAMS, Visions and Revisions of Eighteenth-Century France, Penn State Press, 2005, 83.

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intensivo dell’opinione pubblica, dei cui strumenti continuò a trarre beneficio il rovesciamento politico dell’ancien Régime17.

Fra le cc.dd. “mouches” o “moucherds”, letteralmente “mosche” o, più propriamente, “spie” si sviluppa il prototipo dell’agente provocatore alle dipendenze degli ispettori sottoposti al liutenant de policie, il luogotenente di polizia, istituito dal sovrano a Parigi nel 1667. I compiti assegnati alle

mouches sono articolati in considerazione del soggetto cui è riferita

l’attività di spionaggio. In tal senso, si avranno infiltrati provenienti dai ceti sociali più elevati18, così come detenuti o pregressi tali, idonei a

passare inosservati negli ambienti più malfamati della città. Emblematica a proposito è la celebre vicenda di Eugène-François Vidocq il quale, galeotto durante la Rivoluzione, ottenne la liberazione anticipata grazie all’attività di “indicatore” nei primi anni del XIX secolo all’interno de la

Prison de la Force e successivamente il comando di ventotto malviventi

mouches al servizio del prefetto di Parigi19. La storia di Vidocq esprime

massimamente il delicato connubio che si realizza, nella figura dell’agente provocatore, tra legalità e delinquenza20; un legame che si

serve di una mercificazione della pena e del totale travisamento del divieto di fomentare un consociato alla violazione della legge, che

                                                                                                               

17 W.SCOTT HAINE,The World of the Paris Café: Sociability among the French Working Class,

1789-1914, The Johns Hopkins University Studies in Historical and Political Science,

1996, riporta ad emblema dell’intensa attività di spionaggio dell’epoca, le parole di Gabriel de Sartine, prefetto di Luigi XVI, al sovrano:“Sire, quando tre persone stanno parlando per strada, una di queste è di certo un mio uomo.”

18 È il caso degli observateurs menzionati da AWILLIAMS,The police in Paris, op. cit., 108, come soggetti abbigliati in modo tale da passare del tutto inosservati nell’ambiente in cui operano.

19 A. WILLIAMS,Forensic Criminology, Routledge, 02 set 2014, 153.

20 M.FOUCAULT, Sorvegliare e punire, 314 descrive il “lungo concubinaggio della polizia e della delinquenza” nell’esperienza di francese ai tempi di Vidocq.

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l’ordinamento di fatto pone in essere creando le condizioni ideali alla realizzazione del crimine e tramite il “ricatto” della libertà riservato al provocatore. Proprio in questi termini si esprimeva il rapporto tra Henry, prefetto della polizia, e Vidocq, laddove a quest’ultimo venisse risparmiato il carcere solo nel caso in cui si fosse recato «ogni mese nella Prefettura di Parigi con un determinato numero di criminali21». È un

pactum sceleris quello tra polizia e criminalità, che opera nell’ombra,

complice dell’inganno, un inganno che non si limita a cogliere il provocato, ma tradisce la fiducia dei rapporti tra Stato e cittadino: «Vidocq segna il momento in cui la delinquenza, distaccata dagli altri illegalismi, viene investita dal potere e rovesciata. È allora che si opera l’accoppiamento diretto e istituzionale della polizia e della delinquenza. Momento inquietante in cui la criminalità diviene uno degli ingranaggi del potere. Una figura aveva ossessionato le età precedenti, quella del re mostruoso, fonte di ogni giustizia e tuttavia insozzato dai crimini; un’altra paura appariva, quella di un’intesa nascosta e torbida tra coloro che fanno valere la legge e coloro che la violano. Finita l’età shakespeariana in cui la sovranità si affrontava con l’abominio nello stesso personaggio; comincerà ben presto il melodramma quotidiano

                                                                                                               

21 T.NEWBURN T.WILLIAMSON A.WRIGHT, Handbook of criminal investigation, Routledge, 2007, 199. È curioso osservare la fortuna che ebbe la figura di Vidocq (si veda in proposito J. MORTON,Teh first detective: The life and Revolutinary times of Eugène – François Vidocq, Criminal, Spy and private Eye, Londra, 2005) nell’immaginario letterario

dell’epoca e dei tempi a venire, un fascino enfatizzato da M.FOUCAULT,Sorvegliare e punire, op. cit., nel paragone con il contemporaneo Lacenaire, un “esteta del crimine”

“così fortemente sospettato di essere un provocatore di confidenze - in cella -, che l'amministrazione dovette proteggerlo contro i detenuti della Force, che cercavano di ucciderlo.”.

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della potenza poliziesca e delle complicità che il crimine annoda col potere22».

L’attività dei moutons des prisons si sviluppa lungo tutto l’arco del XVIII secolo, nasce con l’ancien règime e si perfeziona grazie al governo rivoluzionario, il quale si serve, allo stesso modo, di soggetti la cui volontà specifica consiste nel creare le condizioni idonee a massimizzare le probabilità di condanna del provocato. Non è infrequente che la scelta di ricorrere allo strumento delle mouches sia caratteristica di circostanze in cui il sostrato probatorio d’indagine sia profondamente debole ed inconsistente, a differenza di un livello di sospetto elevato, in ragione del quale l’opera degli infiltrati consente di costruire l’indagine attorno al soggetto sospettato, dunque previamente identificato come colpevole23.

L’azione dei mouches si presenta profondamente articolata e disciplinata nel dettaglio, basti pensare che lo stesso Vidocq venne spesso descritto come un Lombroso ante litteram, in quanto profondo conoscitore del crimine e teorizzatore di numerose fisionomie del “tipo criminale”, sulla base dei lineamenti del volto o dei tratti somatici24. Il modello della Sûreté

francese avrà particolare fortuna in Russia25 e, in seguito, acquisterà

rilevanza nella letteratura tedesca di metà Ottocento, ma non riuscirà effettivamente ad esercitare il proprio fascino sull’ordinamento inglese26.

                                                                                                               

22M.FOUCAULT, Sorvegliare e punire, Einaudi editore, Torino, ?

23 M.MCCONVILLE -A.SANDERS -R.LENG, The Case for the Prosecution - Police Suspects

and the Construction of Criminality, Routledge, 1991, 140.

24 C.EMSLEY,Police Detectives in History, 1750–1950, 153.

25 R. APPELBAUM,Terrorism Before the Letter: Mythography and Political Violence in England,

Scotland, and France 1559-1642, Oxford University Press, 2015, richiama M. Foucault

e la correlazione tra l’esercizio della forza e le dinamiche politiche che influenzano l’ordinamento nelle scelte repressive.

26 C.EMSLEY,Soldier, sailor, Beggarman, Thief – Crime and the British armed services since

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La figura dell’agente provocatore non può dirsi, ciononostante, del tutto ignota all’esperienza inglese27, essendo utilizzata sin dai tempi di

Elisabetta I come strumento di controllo dell’informazione e lotta alla cospirazione politica28.

La figura dell’agente provocatore nasce, dunque, storicamente in Francia, tra il XVII e il XIX secolo. L’esperienza francese è interessante e peculiare per una molteplicità di ragioni che ineriscono ora la figura dell’agente provocatore che, pur destinata a perfezionarsi nel tempo, tuttora conserva l’eco lontana delle incongruenze dei tempi passati, ora più in generale i rapporti con l’ordinamento e la forma di governo che se ne serve. Con riguardo a quest’ultimo profilo, rilevano due aspetti in particolare. Da una parte la capacità di uno strumento di controllo talmente radicato nel tessuto sociale da essere duttile alleato di ordinamenti politici talvolta diametralmente opposti, quali l’ancien régime e la Rivoluzione, dall’altra, il connubio costante con la dimensione politica, un legame che si esprime già all’epoca del principato romano con il crimen laesae maiestatis e si conferma nel contrasto alla propaganda ostile durante l’assolutismo francese e l’azione di consolidamento

                                                                                                               

27 D.TAYLOR,The New Police in Nineteenth-Century England: Crime, Conflict and Control, Manchester University Press, 1997, 100; A.STRAHAN,The contemporary review, vol. 113,

1918; J.GRANDE,William Cobbett, Romanticism and the Enlightenment: Contexts and Legacy,

Routledge, 2015, 65. Curioso l’episodio riportato da H.BUISSON, La police: son histoire,

149 con riferimento al ministro Fouchè e all’agente Méhée “Le plus étonnant de l’époque, dit Chevalier de la Touche, qui réussit à chapter la confiance du chef du service secret anglai, Drake, émargeait aux fonds anglais qui lui confiait tous les rensiugnements secrets en sa possession, s’entandait dèclarer: “Pour rèussir en espionage, il ne faut, Monsieur, que deux choses: de la prudence et de la discrétion”. 28 G.R. ELTON,England under the Tudors, Routledge, 2012, 367; B.ROSHIER H.TEFF,

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politico della Rivoluzione29. Entrambi i rilievi sono funzionali a cogliere

lo scopo intrinseco della provocazione del reato da parte di agenti di polizia o privati almeno fino alla prima metà del XIX secolo in Europa: un’azione al servizio del potere che poco o nulla ha a che vedere con i principi di legalità e personalità che attualmente governano il sistema ed il processo penale degli ordinamenti moderni. «Nella Francia dei predetti secoli, il dispotismo di Stato, tendeva a cogliere, al di là delle manifestazioni esteriori della volontà, l’intimo convincimento dei cittadini contrari ai generali indirizzi politici30». Uno strumento

strettamente connesso ai concetti di autorità e potere, ora con riguardo al soggetto cui proviene l’ordine di provocare la consumazione del reato, ora con riferimento agli stessi agenti provocatori, al ruolo che questi avevano nella realizzazione delle scelte politico-criminali dell’ordinamento, pur godendo del disprezzo profondo della società in cui operavano31. Per quanto attiene invece alla figura dell’agente

provocatore in sé, quale strumento di attuazione di una politica criminale funzionale al controllo sistematico degli ambienti predisposti al crimine, questi assiste nel tempo ad un progressivo affinamento delle tecniche di

camouflage, tecniche votate ad una sorta di immedesimazione all’interno

dell’ambiente del soggetto da provocare. Nell’esperienza francese si documenta il passaggio dal mouche al provocateur policier come un progredire

                                                                                                               

29 E. FLORIAN, Parte generale del diritto penale, Vol. II, Milano, 1934, 710; R. DELL’ANDRO, Agente provocatore, in Enc. Dir., op. cit., 864.; C.DE MAGLIE,L’agente provocatore. Un’indagine dommatica e politico – criminale, op. cit., 9: PIASENZA P.,Polizia e mendicità a Parigi tra Sei e Settecento : aspetti legislativi e costituzionali, Torino, 1983, 69.

30 Sono le parole di R. DELL’ANDRO,Agente provocatore, in Enc. Dir., vol. I, Milano, 1958, 864.

31 P.PIASENZA,Polizia e mendicità a Parigi tra Sei e Settecento: aspetti legislativi e costituzionali, Tirrenia stampatori, 1983, 64.

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di attenzioni per l’ambiente in cui si realizza l’azione del provocatore ed i soggetti destinatari della provocazione32. Significativo il crescendo da

semplice osservateur dell’ambiente criminale a provocatore, inteso come «culmine della professione, di un livello nel quale gli informatori si confondono con gli agenti provocatori. E quale migliore agente provocatore di un informatore ben sperimentato?33». Il passaggio è

significativo in quanto realizza l’elemento teleologico della figura dell’agente provocatore, la punizione del provocato; in mancanza di uno Stato di diritto votato al rispetto dei principi di legalità e responsabilità penale, un simile intento fa della pena un fine, piuttosto che un mezzo. Proprio l’evidente incompatibilità tra l’azione del provocatore ed i principi che andavano consolidandosi nell’ordinamento francese favorì l’allontanamento dell’azione di polizia da simili tecniche di repressione. Tra il XVIII ed il XIX secolo l’attività degli “indicatori” spaziava dalla semplice diffusione negli ambienti sospetti al fine di raccogliere informazioni e limitarsi a riferirle occasionalmente, dai salotti ai bassifondi di Parigi, a forme di “commercio” della denuncia di reati34,

fino all’impiego di rappresentanti stabili, spie di professione. È stato evidenziato35 come un’ulteriore mercificazione delle forme di

repressione e delle pene previste interessasse la “competizione” tra

                                                                                                               

32 C. BORNET,La provocation aux délicts par des agents de l’autorité, in Rev. Pénit. Et de Droit

pénal, 1948, 27.

33 COBB, Polizia e popolo. La protesta popolare in Francia, Bologna, 1970, 27.

34 Si tratta di agenti addetti alla viabilità di Parigi, che “ricevono cento franchi per ogni denuncia di emigrazione fraudolenta”, sono le parole di BUISSON,La police, op. cit.,

148, riportate da C. DE MAGLIE,L’agente provocatore, op. cit., 12.

35 Il riferimento è alla conclusione di C. DE MAGLIE, L’agente provocatore, 13 sull’esperienza francese.

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informatori, i quali, al fine di garantire maggiori risultati, arrivavano a provocare autonomamente la consumazione del reato, in particolare per i reati politici e relativi alla stampa clandestina. La differenza tra semplice informatore ed agente provocatore viene, dunque, a configurarsi talvolta a fronte di una necessità “personale”, perché finalizzata ad un mero profitto, talaltra in ragione di un vero e proprio ordine del superiore, che l’agente riceve come ordine legittimo, nel solo spregio della società e non già delle leggi o dei principi dell’ordinamento. Simile legittimità, giustificata dalle necessità di ordine pubblico dettate ora dal monarca, ora dal bisogno di stabilità e consenso del nuovo ordinamento nato dalla Rivoluzione, non poneva di fatto limiti all’utilizzo di forme di provocazione da parte delle forze di polizia. Queste iniziano a manifestare la propria inadeguatezza a fronte di questioni di carattere etico-politico36 e successivamente giuridico, lasciando a lungo

indeterminata la sottile linea di confine tra provocazione legittima o meno.

Dietro il merito di aver coniato il nomen iuris dell’agent provocateur, così utilizzato in particolare dalla dottrina tedesca, e di averne espresso lo stretto legame con il regime assolutistico37, l’esperienza francese porta

con sé le inevitabili degenerazioni sistematiche dell’attività investigativa che diviene provocazione del reato. La dottrina francese farà tesoro del proprio passato nell’affrontare la distinzione tra provocazione lecita ed

                                                                                                               

36 C.FANUELE,La ricostruzione del fatto nelle investigazioni penali, Padova, 2012, 45. 37 A. BEKZADIAN,Der Agent – provocateur (Lockspitzel) mit besonders Berücksichtigung der

politischen Provokation in Russland. Ein Betrag zum Strafrecht und zur Kriminalpolitik, Zurigo,

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illecita38, pur senza arrivare a quella raffinata elaborazione concettuale

che, al contrario, in materia di spionaggio e condotte provocatorie sarà propria della riflessione dogmatica tedesca. L’approfondimento fin qui condotto può essere funzionale a rintracciare i profili di rilevanza sistematica che l’utilizzo dell’agente provocatore e, di contro, la limitazione alla sola attività di informazione ed indagine può generare all’interno del nostro ordinamento ed, in particolare, alla luce del modello processuale italiano. In tal senso, analoga funzione può essere svolta dall’esperienza della Russia zarista, con particolare riferimento all’azione dell’Oghrana rispetto al Partito socialista rivoluzionario39.

Anche in Russia lo strumento della provocazione permane nel sistema politico successivo; in proposito si ricorda la “Trust operation”, operazione anti-bolshevica conclusasi con l’arresto di due dissidenti40.

La portata sistematica degli istituti di parte generale coinvolti nella figura dell’agente provocatore sollecita la riflessione in Germania a partire dagli ultimi anni del XIX secolo, con la teorizzazione di Julius Glaser nel Zur

Lehre vom Dolus des Anstifters, il quale definisce il provocatore come

«chiunque determina o istiga altri al reato perché vuole che questi venga

                                                                                                               

38 DECOQ,Droit pénal général, Paris, 1971, 346;DONNEDIEU DE VEBRES H.,Traité

élémentaire de droit criminel et de législation pénale comparée, paris, 1943,76.

39 BORIS I.NIKOLAEVSKIJ, Aseff the spy. Russian terrorist and police stool, Garden City, N. Y, Doubleday, 1934; M.L. SLONIM, Storia delle rivoluzioni in Russia, Casa Editrice

Monanni, 1929, 255. Anche in questa circostanza la figura dell’agente provocatore non risulta indifferente alla letteratura, si pensi al “l’agente segreto” di J.CONRAD,

1994.

40 J. SMELE, The "Russian" Civil Wars, 1916-1926: Ten Years That Shook the World, Oxford University Press, 2016, 134.

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preso sul fatto e punito41». Il merito della concettualizzazione tedesca si

esprime, in primo luogo, nell’aver concepito un’elaborazione della figura dell’agente provocatore sui profili di parte generale accanto ad una più circoscritta analisi del fenomeno all’interno delle organizzazioni criminali, quindi della partecipazione nel reato42. Alle porte del XX

secolo mentre in Germania si assiste alla teorizzazione delle caratteristiche dell’agente provocatore, con particolare attenzione al profilo soggettivo, in Francia, la consapevolezza dell’irrinunciabilità di uno strumento di controllo sociale tanto efficace porta la riflessione giuridica a soffermarsi sulla condotta dell’agente e sul dato obiettivo di discrimine tra provocazione punibile e provocazione lecita.

Nella riflessione della prima metà del Novecento, la figura dell’agente provocatore in Germania si distingue per l’orientamento teleologico che ne guida l’azione, il fine specifico, l’Absicht, il proposito criminoso di punire il provocato per mezzo del reato. La finalità perseguita, in effetti, distingue il provocatore dal soggetto agente43 ma non sempre potrebbe

risultare sufficiente a determinare un discrimine fra la condotta di un

                                                                                                               

41 J.GLASER,Gesammelte kleinere Schriften über Strafrecht, Civil- und Strafproceß, Tendler & Comp., 1858, 33.

42 La bipartizione segue l’elaborazione di C. DE MAGLIE, L’agente provocatore.

Un’indagine dommatica e politico-criminale, op. cit., 105. Di particolare importanza le prime

definizioni elaborate dalla dottrina tedesca, accanto alla già citata definizione di Glaser, quella di Plate: “Per agent provocateur o Lockspitzel nella dottrina penalistica si intende qualcuno che istighi qualcun altro ad un fatto di reato per arrestarlo dopo l’inizio dell’esecuzione del reato stesso e consegnarlo agli organi del perseguimento penale” (PLATE,Zur Strafbarkeit des agent provocateur, in ZSTW, 1972, 294) e KELLER,“Come provocazione al delitto deve intendersi: la promozione di un reato con la consapevolezza che l’agente contro le proprie aspettative non sfuggirà alla pena, e con il fine specifico di raggiungere con il reato o con la punizione del suo autore, scopi ulteriori divergenti dallo scopo che l’agente persegue” (KELLER, Rechtliche genzer der Provokation von Straften, Berlino, 1989).

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infiltrato e quella di un vero e proprio istigatore. L’analisi parallela della dottrina tedesca sulle forme di concorso nel reato si giustifica grazie alla stretta correlazione esistente fra l’istigazione e la determinazione a commettere il reato facendo sorgere nel provocato un proposito criminoso prima inesistente44, dunque nelle forme del concorso morale

che sul piano soggettivo incontra il discrimine tra la condotta lecita e la condotta punibile. Ma il concorso può realizzarsi anche tramite la commissione di fatti, da parte del provocatore, che materialmente contribuisce al venire ad esistenza del reato45. La considerazione della

compagine associativa criminale, in Germania, agevola la comprensione delle forme di agente infiltrato che spaziano fino alla provocazione: si tratta dei cc.dd. V-Mann46, agenti sotto copertura potenzialmente in

grado di arrivare ad essere autori del reato. La spinta provocatoria, ancora una volta, può derivare da un interesse personale di guadagno economico, o in funzione dell’adempimento di un interesse governativo47. I tratti che caratterizzano le figure affini all’agente

provocatore sono indubbiamente la segretezza dell’identità, garantita

                                                                                                               

44 J.GLASER,Gesammelte kleinere schriften, Vienna, 1868, I, 5. 45 S. RANIERI,Il concorso di più persone nel reato, Milano, 227.

46 C.DE MAGLIE,L’agente provocatore. Un’indagine dommatica e politico – criminale, op. cit., 113.

47 La “tipizzazione” dottrinaria delle categorie di agente infiltrato e agente provocatore precede la tipizzazione legislativa in Germania, la quale individua la figura dell’informatore, quella “persona che in un singolo caso è disposta, dietro assicurazione della riservatezza, a dare informazioni agli organi del perseguimento penale”, del confidente, “persona che senza appartenere agli organi del perseguimento penale, è disposta a collaborare con essi in via riservata al fine di scoprire i reati, e la cui identità viene di regola tenuta segreta” e gli investigatori segreti, “funzionari di polizia particolarmente scelti ed attrezzati, i quali al fine di ottenere riscontri utili per l’applicazione di provvedimenti processuali penali, prendono contatto sotto mentite spoglie con l’ambiente criminale, e la cui identità deve essere tenuta segreta anche dal processo penale”.

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nella fase delle indagini e del processo, e la collaborazione, occasionale o duratura, con gli organi di polizia limitata a mere informazioni sull’ambiente criminale o sui reati commessi dai soggetti sorvegliati. La continuità della collaborazione distingue il modus operandi delle figure di informatori maggiormente simili all’agente provocatore, laddove la semplice raccolta di informazioni, sia questa pur realizzata in corso di processo, può esser propria anche del semplice informatore, il quale è tenuto a muoversi entro i confini delle regole istruttorie e a limitarsi a raccogliere informazioni.

La considerazione dell’elemento soggettivo nelle primissime elaborazioni dogmatiche della dottrina tedesca dei primi anni del Novecento non è priva di fondamento nella più ampia considerazione del concorso di persone nel reato. Ad esempio, con riferimento alle successive riflessioni sulla Tatherrschaftslehre, la teoria del dominio sul fatto48, risulta fondamentale rintracciare una netta differenza tra il dolo

del provocatore rispetto al dolo dell’autore, potendo questi compiere la medesima azione ma «l’uno, all’insaputa dell’altro, contro l’altro49».

L’azione del provocatore si colloca inevitabilmente nella dinamica concorsuale e, in mancanza di un’evidente distinzione sul piano obiettivo, la linea di discrimine dovrà tracciarsi lungo la dimensione dell’elemento soggettivo.

                                                                                                               

48 Già in WELZEL H.,Die Deutsches Strafrecht, XI ed, 1969, Berlin, 491; C. ROXIN,

Täterschaft und Tatherrschaft, Berlin – New York, 1963, 107 ss.

49 DELL’ANDRO, Agente provocatore, op. cit., 865, pone sin da subito il rilievo fondamentale dell’elemento soggettivo, in quanto “La visuale finalistica non deve, è vero, oscurare (o peggio, porre nel nulla) la causazione obiettiva della condotta del partecipe; ma è senza dubbio erroneo ritenere che il concorso di persone nel reato si svolga unicamente sul piano oggettivo-causale e che, se mai, le posizioni obiettive dei concorrenti giochino unicamente il ruolo di requisiti soggettivi dell’imputazione”.

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È il movente che qualifica il provocatore. E dal movente potrà distinguersi la fisionomia di un istituto al “limite della legalità”. Questa dimensione border line che qualifica il provocatore coinvolge inevitabilmente i principi fondamentali di un ordinamento, che vi trova un vaglio di non scarsa importanza sin dal momento in cui si compie la scelta politico – criminale di servirsi di determinati strumenti. In questo senso è tuttavia compito del sistema che intenda usufruire della provocazione come mezzo di repressione criminale identificare in primo luogo un discrimine obiettivo nella condotta del provocatore.

La riflessione dottrinaria francese nella prima metà del XX secolo è assistita da una cospicua serie di interventi legislativi, per lo più in materia di traffico di stupefacenti, traffico illecito di oro e valuta. A seguito di un primo atteggiamento di riluttanza nei confronti degli strumenti provocatori, manifestatosi in Francia all’indomani del consolidamento della Restaurazione, è nella giurisprudenza del regime di Vichy che torna alla ribalta l’azione dell’agente provocatore, affrontata dalla dottrina sotto il profilo della necessità di rintracciare un criterio obiettivo di identificazione delle condotte punibili50. Nelle ipotesi in cui l’azione

dell’agente provocatore si collochi in una dimensione di occasionalità rispetto all’attività del provocato, il grado di intensità della provocazione sarà determinante nel definire la responsabilità tanto del provocatore quanto del provocato51. In altri termini, la distinzione fondamentale che

                                                                                                               

50 Accanto alla posizione, poi rimasta isolata, di C.PARRA -MONTREUIL, Traitè, 435, sulla distinzione tra piège avec appàt e piège sans appàt o piège – embuscade, C.DE MAGLIE,

L’agente provocatore. Un’indagine dommatica e politico – criminale, op. cit. 31, riporta la

distinzione di MANGOL,Observations, 1928 fra provocazione come occasione o come

causa del reato del provocato. 51 P. BORNET, La provocation, 33.

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determina la responsabilità dell’agente provocatore ed, in senso speculare, la non punibilità del provocato, risiede nella differenza tra le ipotesi in cui l’azione del provocatore sia stata causa del reato, da quelle in cui sia stata piuttosto mera occasione per la realizzazione dello stesso. Si tratta di criteri elaborati dalla dottrina francese al fine di rintracciare dei limiti alla liceità della condotta provocatoria: il paradigma dell’intensità della provocazione si basa su una gradazione dell’intervento dell’agente di polizia sull’azione del provocato. Il livello più basso di intensità, quello dell’occasione, garantisce al provocatore di andare esente da responsabilità. Viceversa, al livello più alto di intensità, caratterizzato dalla causalità, dalla «pressione istigatoria» dell’agente di polizia sul provocato, la provocazione è illecita. Accanto al criterio dell’intensità, la dottrina francese elabora una serie di fattispecie “tipiche” di provocazione, stabilendo per ciascuna di esse in particolare la natura di provocazione lecita o meno. La soluzione del tipo qualitativo52 ricerca una maggiore

aderenza alle ipotesi di provocazione, nel tentativo di riparare al carattere generico della soluzione orientata all’intensità della provocazione, pur mantenendo una sorta di “gradazione” della liceità nell’elaborare le cc.dd. «forme attenuate di provocazione», quali la «trappola con esca» (piège avec appàt) e la «trappola senza esca» (piège sans appàt). Se si pensa alla legislazione attuale, il criterio dell’occasione continua ad avere fortuna, pur a fronte di un intervento normativo ed una prassi applicativa, nell’esperienza italiana, orientati alla tipizzazione delle condotte provocatorie. Il parametro dell’intensità della provocazione si dimostra così una soluzione particolarmente efficace e duttile nella prassi per

                                                                                                               

52 Una soluzione elaborata da C. PARRA J.MONTREUIL,Traite de procedure penale

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escludere la responsabilità del provocatore, là dove ancora oggi la Corte di Cassazione in tema di attività sotto copertura di polizia giudiziaria di contrasto dei reati contro la libertà sessuale dei minori ritenga legittima la condotta del provocatore che, «lungi dall’essere determinante per la commissione del reato, nel senso che, senza di essa, il reato non sarebbe stato commesso, si limiti a disvelare un’intenzione criminale esistente, ma allo stato latente, fornendo l’occasione per concretizzare la stessa53».

La dottrina francese del Novecento tende quindi ad elaborare criteri di determinazione della responsabilità del provocatore in senso obiettivo, trascurando tuttavia la dimensione concorsuale in cui opera l’agente, dimensione su cui invece si concentra l’esperienza tedesca, che vede nella provocazione un’attività naturalmente partecipativa. In questo senso il criterio dell’intensità della provocazione, pur ad oggi ancora diffuso, rischia di trascurare profili determinanti, quali appunto la dinamica concorsuale in cui si colloca l’azione del provocatore, o ancora finisca per eludere la verifica sull’elemento soggettivo dell’agente, che pure abbia, di fatto, determinato il provocato a commettere il reato. Si tratta dunque di criteri che ad oggi non sono stati considerati espressamente considerati dal legislatore italiano e checiononostante influenzano la giurisprudenza in modo determinante nella definizione della responsabilità del provocatore, con tutti i limiti che un simile criterio possa tuttavia avere.

                                                                                                               

53 Cass., Sez. III, 3 giugno 2008, n. 26763 in CED Cassazione penale, 2008. La Corte ritiene che là dove il soggetto indagato sia « pronto a commettere la violazione anche in mancanza dell'intervento degli agenti di polizia», l’attività provocatoria sia lecita e conforme alla giurisprudenza CEDU in materia di operazioni sotto copertura, nonché all’art. 6 della Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti umani.

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Nella prima metà del XX secolo, l’approfondimento dottrinario sulla figura dell’agente provocatore si concentra, in Francia, sugli elementi obiettivi della condotta, dovendosi differenziare le condotte del vero e proprio provocatore, dell’infiltrato o semplice informatore, e in Germania sul profilo soggettivo che distingue il provocatore dall’istigatore54. La dottrina tedesca distingue l’agente provocatore sul

profilo del dolo mancante: è il dolo dell’istigatore, il dolo della consumazione, che nel provocatore manca55. Di qui la riflessione dottrinaria tedesca

arriverà a sostenere l’ipotesi della c.d. “consumazione formale”, un giusto compromesso tra consumazione e tentativo56: una volta

riconosciuta al provocatore la tipicità oggettiva di concorrente morale, questi difetta di dolo.

L’esperienza francese e tedesca dei primi anni del Novecento percorrono le due problematiche principali inerenti la disciplina dell’agente provocatore. Da una parte emerge in particolare l’attenzione per la

                                                                                                               

54 La figura dell’istigatore in Germania è caratterizzata dalla presenza di un “doppio dolo”, il dolo di determinare l’istigato alla commissione del reato ed il dolo di voler cagionare la realizzazione del fatto. “Se si deve accettare che il dolo dell’istigatore si estende alla consumazione (Vollendung) del fatto, allora ne consegue che colui che sin dall’inizio vuole che sia realizzato soltanto un tentativo non possiede il dolo proprio dell’istigatore. Ma da ciò ulteriormente consegue che l’agente provocatore non può essere punito a titolo di istigazione dal momento che la sua condotta non integra i presupposti del § 48 st.GB” (MORITZ, Die Abwendung des Erfolges einer Tat des

Angestifteten durch den Anstifter in ihrer strafrechlichen Bedeutung für den Anstifter, Breslavia,

1911, 31).

55 R. KELLER,Rechtliche Grenzen der Provokation von Straftaten, Duncker & Humblot, 1988, 242;T. ROTSCH, "Einheitstäterschaft" statt Tatherrschaft: zur Abkehr von einem differenzierenden Beteiligungsformensystem in einer normativ-funktionalen Straftatlehre, Mohr

Siebeck, 2009, 42; R. KATZENSTEIN, Der agent provocateur vom Standpunkt des RStGB,

ZStW, 1901, 643.

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condotta del provocatore intesa in una prospettiva di carattere obiettivo: si tenta di individuare parametri oggettivi di valutazione della liceità della provocazione, o ancora di tipizzare singole “fattispecie” di provocazione lecita od illecita. Di contro, in Germania, la riflessione dottrinaria si concentra sull’analisi dell’elemento soggettivo del provocatore, un «istigatore senza dolo». Entrambe tali prospettive saranno destinate, per così dire, a completarsi nel tempo: nell’esperienza francese è con riguardo alla responsabilità del provocato che emerge sin da subito la necessità di indagare l’elemento soggettivo del soggetto agente, secondo la soluzione della contrainté morale57, mentre in Germania, tra le

caratteristiche della più recente disciplina in materia di Verdeckter

Ermittler figura uno spiccato «orientamento al Tatbestand», inteso come

clausola generale che «in realtà si indirizza ad un novero ristretto e selezionato di fattispecie58» (si tratta, al §110° StPO, di einer Straftat «von

erheblicher Bedeutung»), si distinguono diverse tipologie di infiltrato

(Informant, Augenblickshelfer, NoeP, Lockspitzel e V-Mann). Da ultimo, per entrambe le discipline si è posto, complice l’intervento della Corte europea dei diritti umani, il problema della compatibilità con la tutela dei diritti fondamentali e delle garanzie processuali a tutela dell’indagato. Entrambe le esperienze europee costituiscono, in qualche modo, dei presupposti funzionali alla comprensione delle scelte adottate nel nostro ordinamento, dal legislatore quanto dalla riflessione dottrinaria e dalla giurisprudenza.

                                                                                                               

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58 C.DE MAGLIE,Gli «infiltrati» nelle organizzazioni criminali: due ipotesi di impunità, cit., 1052.

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Per quanto «sarebbe in manifesto errore chi ritenesse la stessa figura limitata nel tempo e nello spazio: è di tutti i tempi e di tutti i luoghi l’esistenza di individui che, per i fini più diversi (cioè anche per lo specifico scopo delatorio) istigano altri al reato affinché si raggiunga la punizione dell’istigato59», un’analisi sistematica del fenomeno non può

prescindere dalla considerazione dei legami esistenti, storicamente, tra determinate forme di governo e particolari forme di repressione criminale60. In tal senso, l’approfondimento delle caratteristiche attuali

della figura dell’agente provocatore non potrà sfuggire al richiamo dell’esperienza passata al momento di doversi confrontare con i principi del nostro sistema penale: «le vicende del diritto variano col variare di quelle degli ordinamenti politici61». La connessione tra politica e diritto

penale non è univoca, ma fatta di influenze reciproche: così come un cambiamento politico porta con sé una rinnovata legislazione penale e la spinta politica guida la formazione del diritto positivo, così anche una riforma normativa può divenire «indizio di una rivoluzione politica latente62». L’analisi della corrispondenza tra un nuovo intervento

legislativo ed i principi di un ordinamento potrà prescindere dal momento storico in cui la riforma normativa si realizza soltanto in considerazione del presupposto legame esistente tra norma e volontà politica. Ad arricchire l’elemento politico della disciplina penale

                                                                                                               

59 Sono le parole di R.DELLANDRO,Agente provocatore (voce), in Enciclopedia del diritto, op. cit., 864.

60 MALINVERNI, Agente provocatore, in Nov. Dig. It., op. cit. 397.

61 MANZINI V.,Trattato di diritto penale italiano (a cura di P.NUVOLONE), vol. 1, UTET, 1986, 45.

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concorre, in particolare negli ordinamenti democratici, il sostrato sociale, l’opinione pubblica63.

A questo punto, uno sguardo d’insieme non potrà allontanarsi da un’analisi dei principi dello Stato di diritto coinvolti da una disciplina che, pur con le dovute metamorfosi, risulta più che mai attuale nelle forme che l’hanno vista persistere allo scorrere del tempo. La provocazione, intesa come strumento di cui si serve un ordinamento giuridico, coinvolge una prospettiva peculiare del principio di legalità, dunque dei principi di colpevolezza e funzione della pena, nonché il principio di separazione dei poteri64.

Abbiamo visto come la Francia assolutista e poi quella rivoluzionaria abbiano fatto largo uso di informatori e forme di provocazione o istigazione del reato in quegli stessi anni in cui iniziava a diffondersi un testo fondamentale nella concettualizzazione del principio di legalità: l’Esprit de Lois di Montesquieu. L’ostacolo principale che si pone nell’analisi dell’azione dell’agente provocatore rispetto al principio di legalità muove dal divieto di promuovere la violazione della legge, atteggiamento in sé del tutto illogico prima che illecito, se considerato nella prospettiva della provocazione che deriva da un organo di governo

                                                                                                               

63 MANZINI, Trattato di diritto penale, op. cit. 49 cita alla nota 2 la definizione di ROMAGNOSI G.D.,Ricerche sulla validità dei giudizi nel pubblico a discernere il vero dal falso,

Firenze, 1832-39 (rist., Prato 1833-42, 17, e la definizione di “opinione pubblica” come “modo di pensare uniforme e costante della massima parte di una Nazione, mercé della quale elle giudica qual cosa buona o cattiva, e ad un tempo stesso stima e disprezza, loda o biasima, ascrive a onore o ad infamia tutto quello che è giovevole o contrario, conforme o difforme alla verità ed alla costante di lei felicità e perfezione”. 64 Nell’esperienza tedesca, la riflessione sui principi si sviluppa, in KELLER, Rechtliche

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e, dunque, dallo Stato65. Ma la contraddizione che si realizza al momento

in cui un ordinamento si serve della provocazione tout court quale strumento di repressione è ben più profonda della semplice incongruenza logica. Basti pensare che proprio in una delle fonti storiche del principio di legalità, il Du Contract social ou, principes du droit politique di Jean Jacques Rousseau, ripreso da Cesare Beccaria nel Dei delitti e delle

pene, questi si esprime, prima di tutto, nel rapporto di fiducia, esistente tra

il cittadino e lo Stato66. La provocazione, uno strumento figlio del

sospetto e complice dell’inganno non può che rompere un simile rapporto. E gli epigoni dai contorni incerti della disciplina provocatoria, le figure degli infiltrati che difettano di determinatezza contribuiscono a scalfire questa fiducia, destinata a riversarsi sul trattamento riservato ai diritti della personalità67.

Al principio di legalità si accompagna una visione garantistica della pena e del giusto processo, due aspetti che ugualmente sono coinvolti nella dinamica d’azione dell’agente provocatore. Nel rischio di violazione del principio di legalità e dei capisaldi dell’ordinamento ad esso connessi non si trascuri uno sguardo d’insieme alle ragioni che ineriscono forme di violazione del principio di legalità di carattere “sistematico”. Il riferimento va alle ipotesi cc.dd. di legalità sospesa68 che comportano, verso

determinati soggetti o peculiari circostanze, appunto una sospensione

                                                                                                               

65 Ancora KELLER, Rechtliche Grenzen der Provokation von Straftaten, op. cit., 15 approfondisce la tematica della provocazione privata rispetto alla provocazione pubblica (riporta KELLER).

66 A. CADOPPI,Storia del diritto penale, in Trattato di diritto penale, a cura di A.CADOPPI – S. CANESTRARI –A.MANNA –M.PAPA, Utet, 2012, 31.

67 C.DE MAGLIE, L’agente provocatore. Un’indagine dommatica e politico – criminale, op. cit., 320.

68 T.PADOVANI, jus non scriptue crisi della legalità nel diritto penale, Editoriale scientifica, 2014, 9.

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delle garanzie della legalità penale69. Ciò che accomuna tali ipotesi e ne

fa un argomento funzionale alla presente trattazione, sono i caratteri del predominio di un’efficienza del diritto penale garantita dal venir meno delle garanzie del principio di legalità rispetto al modello legale ordinario. Sono i profili di eccezione rispetto al paradigma istituzionale che si basano sulle ragioni dell’emergenza a giustificare una sostanziale violazione del

                                                                                                               

69 Esemplare ai fini dell’approfondimento in oggetto la riflessione di G. JAKOBS,

Bürgerstrafrecht und Feindstrafrecht, in Höchtsrischterliche Rechtspechung Strafrecht, 2004, 88 ss.

(con riferimento alla quale si rimanda a M.DONINI –M.PAPA,Diritto penale del nemico. Un dibattito internazionale, Milano, 2007) sulla teorizzazione del c.d. “diritto penale del

nemico”, dovendosi intendere per tale l’insieme di strategie giuridiche di controllo sulla criminalità nelle quali è rintracciabile una forma di allontanamento dal paradigma del principio di legalità (se non, addirittura, un’ “abdicazione della ragione”, come sostenuto da L. FERRAJOLI, Il “diritto penale del nemico”: un’adbicazione della ragione, in BERNARDI –PASTORE –PUGIOTTO (a cura di), Legalità penale e crisi del diritto, oggi. Un percorso interdisciplinare, Milano, 2008, 161, con riferimento alle fonti di legittimità

teorica dell’espressione “diritto penale del nemico”, là dove, come spesso accade per buona parte della filosofia politica e giuridica, la “fallacia realistica” scambia “ciò che accade con ciò che è giusto e legittimo che accada”, ovvero l’autolegittimazione, in nome della efficienza, di pratiche pur in contrasto con il modello normativo penale. Sempre L.FERRAJOLI,questa volta in Diritto e ragione, Laterza, 1998, 100, una distorsione del linguaggio che nega le categorie su cui si fonda il diritto penale. Nel diritto penale

del nemico vengono meno tutte le garanzie del corretto processo, le categorie che distinguono il diritto penale dalla violenza criminale: la cancellazione dell’habeas corpus, gli arresti e le detenzioni illimitate, la tortura, alla quale si accompagna l’umiliazione dell’arrestato come non-persona. La valenza razzista dell’etichetta “terrorismo” come pulsione omicida irrazionale vale a qualificare il nemico come non umano, non persona, là dove la più aberrante negazione dello stato di diritto si realizza la confusione perversa tra diritto penale e guerra. È la nascita di una nuova antropologia della disuguaglianza. Il principale argomento a sostegno del paradigma del diritto penale del nemico è quello della sua maggiore efficacia. in realtà, quella che ha assunto le sembianze di una repressione selvaggia e sregolata ammantata del titolo di diritto penale, perde due dei tratti costitutivi del diritto penale: il rispetto delle garanzie e la sua asimmetria con il crimine. Non si riconosce l’impiego di forze statali riconosciute come pubbliche, eserciti pubblici, ma organizzazioni occulte che operano clandestinamente come qualsiasi delinquente. L’esperienza del “diritto penale del nemico” è stata spesso identificata nelle forme di un Übermaßverbot, un “abuso”, con particolare riferimento alle garanzie del principio di legalità.

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