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1. Una premessa: il retaggio delle fonti nella struttura e nella valenza politico – criminale delle soluzioni di non punibilità del provocatore. – 2. I presupposti d’indagine nel discrimine tra provocazione privata e provocazione statuale: la pena come scopo. – 3. Le prospettive ermeneutiche di qualificazione della fattispecie entro i confini dell’antigiuridicità obiettiva. – 4. Le forme dell’elemento soggettivo dell’agente infiltrato: la definizione dell’Absicht del provocatore. – 4.1 Struttura ed oggetto del dolo di provocazione nel concorso di persone nel reato. – 4.2 Le peculiarità del ‘doppio – dolo’ del provocatore: il dolo di istigazione. – 4.3 L’accertamento del ‘dolo di tentativo’ del provocatore. – 4.4 Osservazioni conclusive sula responsabilità concorsuale del provocatore.

1.   Una premessa: il debito delle fonti nella struttura e nella valenza politico – criminale delle soluzioni di non punibilità.

Quello dell’agente provocatore «è, e resta, sostanzialmente un problema di concorso nel reato271». L’interrogativo fondamentale sulla natura

                                                                                                               

271 C.DE MAGLIE, L’Agente provocatore. Un’indagine dommatica e politico – criminale, cit., 312. L’esposizione degli argomenti che seguono è orientata alla distinzione preliminare sostenuta dall’Autrice in merito a struttura, fonti e valenza politico- criminale emerse nelle aree giuridiche esaminate e comparate nell’opera monografica sull’agente provocatore.

giuridica delle ipotesi di non punibilità del provocatore tuttora esistenti nel nostro ordinamento, come esse si siano evolute nel tempo e se con ciò sia andata modificandosi anche la definizione giuridica del fatto, è una problematica che deve essere inquadrata nella più ampia materia del concorso di persone nel reato, con riguardo alla qualificazione di quel particolare tipo di concorrente che è oggi il provocatore, rectius l’infiltrato, all’interno dell’organizzazione criminale.

L’analisi delle fattispecie di cui all’art. 9 l. 146/2006, così come maturata dagli interventi legislativi precedenti all’ultimo, definito nei termini di uno “statuto delle operazioni sotto copertura”, può risultare in primo luogo funzionale a cogliere le caratteristiche di tipo strutturale e politico – criminale che connotano le ipotesi attuali di non punibilità degli agenti di polizia giudiziaria e dei soggetti interposti e ausiliari coinvolti.

A monte di tale riflessione, occorre in primo luogo ribadire e confermare un profilo qualificante della disciplina in materia di operazioni sotto copertura: la giurisprudenza ha forgiato modelli, strumenti e forme di provocazione e infiltrazione che hanno ispirato il legislatore nella definizione delle singole fattispecie prima di ogni intervento normativo, optando da ultimo per una soluzione di carattere generale, l’art. 9 l. 146/2006. Una simile conclusione raccoglie le condotte scriminate nelle singole materie di intervento (stupefacenti, terrorismo, estorsione, usura, riciclaggio, alla tratta di persone e immigrazione clandestina, al terrorismo internazionale, ecc.) andando a sciogliere il rapporto di diretta riferibilità dell’attività scriminata con le fattispecie delittuose per cui la tecnica delle undercover operations era stata pensata. Se dunque è possibile rintracciare nella giurisprudenza un’opera “creativa” sulla fattispecie, la capacità di individuare le attività funzionali a soddisfare le esigenze di

raccolta del materiale probatorio, la scelta del legislatore di codificare di volta in volta le medesime condotte per singole tipologie di reati, per poi convogliare condotte e fattispecie criminose in un’unica disposizione, non può dirsi un’operazione, per quanto poco “creativa”, lontana dall’avere una valenza sul piano politico – criminale. Si intende alludere ai riflessi che l’incidenza sostanziale di fonti quali la giurisprudenza e la prassi possano avere nella determinazione, in una materia tanto delicata e complessa, dei rapporti esistenti tra le esigenze di repressione ed i principi di legalità e colpevolezza che ordinano il sistema penale. La materia delle operazioni sotto copertura si presenta oggi come un tentativo (fallito) di unificazione, in sé incapace di risolvere una problematica antica nello Stato di diritto272, necessariamente ispirata

dalla giurisprudenza, una giurisprudenza a sua volta condizionata da modelli tipici di carattere generale.

Si tratta in primo luogo di una scelta che incide sul piano della determinatezza della fattispecie273. In tal senso si vuole intendere il venir

meno di una precisa corrispondenza tra le attività scriminate e l’ambito di reati per il perseguimento dei quali è ammesso il compimento di operazioni sotto copertura che comportino di fatto non solo atteggiamenti di carattere provocatorio del reato, quali l’acquisto, ma in particolare condotte prossime alla partecipazione, anzi, idealmente finalizzate a consentire all’agente di polizia di inserirsi nell’organizzazione criminale. Prima dell’avvento dell’art. 9 l. 146/2016, la disciplina delle operazioni sotto copertura andava a costituire una

                                                                                                               

272 D. PULITANÒ,«Politica criminale», in Encicl. dir., Milano, 1985, XXXIV, 73

273 Come è stato già rilevato, F. BURASCHI,L’agente provocatore e le attività sotto copertura, in Riciclaggio ed obblighi dei professionisti, a cura di C.BERNASCONI –F.GIUSTA,Milano, 2011, 228.

parte di un sistematico intervento legislativo in materie determinate. Oggi l’art. 9 l. 146/2006 non può dirsi esauriente su un profilo sistematico generale, se solo si pensa alla mancata abrogazione della disciplina di cui all’art. 14 l. 269/1998, ed ha perso il carattere di diretta corrispondenza rispetto alla compagine criminale cui è orientata. Sul punto è appena il caso di osservare che molte delle condotte confluite nell’art. 9 l. 146/2006 rappresentavano una trasposizione “scriminata”, perché per definizione priva del carattere dell’antigiuridicità, per lo più per via della clausola “Fermo quanto disposto dall'articolo 51 del codice penale…”, di alcune delle fattispecie di reato cui era dedicata la normativa di contrasto nella quale si disciplinava l’attività degli agenti sotto copertura. Non a caso alcune ipotesi, quali l’acquisto di stupefacenti ed il riciclaggio di denaro, beni o altre utilità, assumevano l’appellativo di acquisto e riciclaggio simulati274, potendo infine l’agente

di polizia realizzare vere e proprie condotte di riciclaggio, ad esempio, o comunque di concorso nel reato275. La tendenziale corrispondenza tra

condotte lecite ed illecite, motivata dalla necessità di una maggiore efficienza di indagine all’interno di una realtà associativa criminale organizzata, direttamente ispirata e pensata dal legislatore per l’attività di infiltrazione in determinate compagini criminali, sembra potenzialmente venire meno a fronte dell’unificazione sub art. 9 l. 146/2006 ed in particolare in considerazione delle fattispecie delittuose destinate ad aggiungersi al numerus clausus di delitti contemplati nello statuto delle

                                                                                                               

274 Caratteristica, come si vedrà, fondante una delle teorie sulla qualificazione giuridica delle ipotesi di non punibilità, riconducibile alla categoria delle cause di esclusione del tipo (v. par. 3).

275 S.DEL CORSO,Commento all' art. 12-quater, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, in Legisl. pen. 1993, 152; C.PIEMONTESE, Commento all' art. 4, d.l. 18 ottobre 2001, n. 374, in Legisl.

operazioni sotto copertura. Una simile eventualitànella pratica, e là dove il legislatore si limitasse ad un richiamo delle fattispecie caratterizzate da tutt’altre condotte, potrebbe voler significare una rinuncia alla figura dell’agente infiltrato come partecipe tipizzato nella compagine criminale nella quale è chiamato ad aderire «al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ad un determinato numero tassativo di delitti», oppure semplicemente un maggiore affidamento alle clausole aperte che racchiudono la non punibilità dell’agente impegnato in operazioni sotto copertura: il riferimento all’art. 51 c.p. (e più in generale alle cause di giustificazione) e la possibilità di compiere attività prodromiche e strumentali alle attività “tipiche”. Al momento le fattispecie aggiunte successivamente all’intervento dell’art. 8, comma 1 della l. 13 agosto 2010, n. 136, si limitano agli articoli 453, 454, 455, 460, 461, 473, 474 c.p., introdotti dall’art. 1, comma 3, del d.lgs. 21 giugno 2016, n. 125. Tali ipotesi di reato rispondono alla medesima logica operativa dei delitti di riciclaggio276. Deve ritenersi che l’aggiunta sia una mera attuazione

dell’art. 9 della Direttiva 2014/62/UE, che ha previsto con riferimento agli strumenti di indagine che gli Stati membri adottino «le misure necessarie per assicurare che le persone, le unità o i servizi preposti alle indagini o all'azione penale per i reati di cui agli articoli 3 e 4277

                                                                                                               

276 C.ROMEO,Autoriciclaggio ereati tributari: questioni applicative e problemi legati all’utilizzo

fiscale della legge penale, in Dir. e Prat. Trib., 2017, 2, 540

277 Si tratta delle fattispecie di contraffazione o alterazione fraudolenta di monete; immissione in circolazione fraudolenta di monete falsificate; importazione, esportazione, trasporto, ricettazione o procacciamento di monete falsificate, riconosciute tali, per la loro immissione in circolazione; fabbricazione fraudolenta, ricettazione, procacciamento o possesso di: strumenti, oggetti, programmi informatici e dati nonché ogni altro mezzo che per loro natura sono particolarmente atti alla contraffazione o all'alterazione di monete; o elementi di sicurezza quali ologrammi,

dispongano di efficaci strumenti di indagine, come quelli usati per le indagini riguardanti la criminalità organizzata o altre forme gravi di criminalità».

Occorre infine render conto di due “grandi assenti” nel novero dei reati ricompresi nell’art. 9 l. 146/2006, se solo si tiene conto della lettera dell’art. 20 della Convenzione delle Nazioni Unite che fa riferimento allo scopo di combattere efficacemente la criminalità organizzata con tecniche investigative che si sono tradotte, nell’ordinamento interno, nelle operazioni sotto copertura. Si tratta degli articoli 416 e 416bis del codice penale, per la mancata previsione dei quali nel testo dell’art. 9 si deve convenire che il ricorso alle operazioni sotto copertura sia escluso in questo ambito e che, conseguentemente, non sia stata data attuazione completa all’art. 20 della Convenzione, trattandosi di fattispecie potenzialmente ricomprese nell’ambito di applicabilità dello strumento normativo sovranazionale: «è appena il caso di rilevare come anche le disposizioni non abrogate sono riferibili ad attività tipiche della criminalità organizzata. Dunque, se l'intento del legislatore era quello di prevedere una disciplina comune a tutte le SIT riferibili alle attività della criminalità organizzata, rimediando così al caos normativo, tale intento può ritenersi conseguito solo in parte278».

Con riguardo alle ragioni dell’assenza, in primo luogo occorre rilevare che se il legislatore ha potuto attingere dalle condotte tipiche dei reati al cui perseguimento è stata disposta la disciplina delle operazioni sotto

                                                                                                               

filigrane o altri componenti della valuta che servono ad assicurarne la protezione contro la falsificazione.

278 Così A.ROSSETTI,Commento a l. 16 marzo 2006, n. 146, Criminalità organizzata – reato

transnazionale, cit., 876; GANDINI, Lotta alla criminalità organizzata, le operazioni sotto copertura, in Dir. Giust., XX, 2006, 318.

copertura, per definire le possibilità operative degli stessi agenti, lo stesso difficilmente avrebbe potuto dirsi per le fattispecie di cui agli articoli 416 e 416bis del codice penale. In secondo luogo, le ragioni possono dirsi differenti per la fattispecie di associazione per delinquere e l’ipotesi di associazione a delinquere di tipo mafioso. Per entrambe le fattispecie di reati associativi occorre sempre tener presente l’elemento qualificante della figura dell’agente provocatore, la finalità di giungere alla punibilità del provocato.

Per quanto attiene all’associazione a delinquere semplice, le condotte di promozione, costituzione ed organizzazione difficilmente potrebbero conciliarsi con la prerogativa dell’agente di acquisire elementi di prova in ordine a delitti determinati, salvo che il presupposto dei medesimi, quindi la stessa associazione, non sia in toto opera del medesimo agente. La formulazione e la natura stessa della fattispecie di associazione per delinquere impedisce di riprendere le condotte contenute nella disposizione, dovendosi piuttosto guardare ai reati – scopo cui è votata la stessa, in gran parte, a dire il vero, potenzialmente già nei delitti richiamati dall’art. 9 l. 146/2006279. È in definitiva del tutto illogico che

l’agente di polizia possa essere votato a costituire od organizzare l’attività di un’associazione a delinquere, tanto più se si ritiene che questi debba dedicarsi alla mera osservazione e controllo dell’attività criminosa. Per ciò solo non si può tuttavia escludere del tutto la possibilità che l’infiltrato entri a far parte dell’associazione. A tale proposito, tuttavia, rileva considerare una qualificazione diversa dell’attività dell’agente di

                                                                                                               

279 G.GENTILE,La disciplina sanzionatoria della normativa anti-riciclaggio, La legislazione

penale in materia di criminalità organizzata, misure di prevenzione ed armi, (a cura di) V.

MAIELLO,in Trattato teorico-pratico di diritto penale, (diretto da) F. PALAZZO –C. E. PALIERO,Torino,2015,31.

polizia che agisca come agente infiltrato, vale a dire come «soggetto che si insinua per lungo tempo nella struttura criminale al fine di coglierne le dinamiche, che non provoca reati ma è spesso costretto a lasciarsi provocare proprio per inserirsi più stabilmente nelle maglie dell’organizzazione, accreditando il proprio ruolo di membro della stessa280». Con riguardo alla fattispecie di cui all’art. 416 c.p. si ricorda

tuttavia che la dottrina tradizionalmente assume che l’atteggiamento psicologico dell’infiltrato escluda, di regola, la punibilità per il reato associativo281 (ma non per i reati – fine di volta in volta realizzati).

Pur potendosi ritenere che la previsione di potenziali reati – scopo dell’associazione per delinquere abbia indotto il legislatore a tralasciare un richiamo espresso all’art. 416 c.p., non sembra che tale scelta si possa spiegare altrimenti, né tanto meno risulta giustificata la mancanza di un riferimento all’associazione a delinquere di tipo mafioso. Forse simili “mancanze” possono trovare una ragione nel rapporto peculiare che lega la legislazione anti – mafia, l’opera della polizia impegnata nel contrasto alla criminalità mafiosa ed infine il contributo significativo della giurisprudenza, nella definizione, in particolare, di forme di contiguità alla mafia che spesso coinvolgono proprio soggetti impegnati nelle indagini per i delitti di associazione a delinquere di stampo mafioso. Il ruolo delle fonti del diritto in tale ambito, l’opera creativa della giurisprudenza e le posizioni del legislatore esprimono il carattere delle

                                                                                                               

280 G. AMARELLI, Le operazioni sotto copertura, in La legislazione penale in materia di

criminalità organizzata, misure di prevenzione ed armi, (a cura di) V.MAIELLO,in Trattato teorico-pratico di diritto penale, (diretto da) F. PALAZZO –C.E.PALIERO,Torino,2015, 167.

281 M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale. Art. 85-149, cit., 199; F. MANTOVANI,Diritto penale. Parte generale, 535; PAGLIARO,La responsabilità del partecipe per il reato diverso da quello voluto, Milano,1966, 570.

scelte di politica criminale sottese alla disciplina delle operazioni sotto copertura in materia di criminalità organizzata, contribuendo finanche a definirne la natura giuridica.

L’esperienza giurisprudenziale, da ultimo, insegna che non è raro l’impiego di agenti sotto copertura nell’ambito di associazioni criminali di tipo mafioso. Si segnala in particolare il caso relativo all’impiego di un agente infiltrato per vagliare la presenza di infiltrazioni camorristiche in un appalto per la linea ad alta velocità nelle zone di Napoli e Caserta282.

Nella vicenda si poneva appunto l’interrogativo sull’opportunità di utilizzo di un agente infiltrato nelle indagini relative al reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e la configurabilità o meno del reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Sul caso la Suprema Corte osservava come «tutta la trattativa per l'affidamento dei lavori dell’alta velocità a ditte segnalate dalla camorra e dalla politica, non avrebbe mai potuto avere uno sviluppo reale, perché condotta con ufficiale di polizia giudiziaria infiltrato e non già con un rappresentante delle società titolari dei cantieri ivi aperti e già oggetto di diversi attentati», contrariamente a quanto affermato dal tribunale del riesame, è del tutto indifferente e comunque inidonea ad escludere l'ipotizzato concorso esterno in associazione mafiosa, perché attinente alla commissione dei reati-fine e non già al concorso già perfezionato nel reato associativo283». Simili occasioni segnalano non solo la possibilità

                                                                                                               

282 Cass., Sez. VI, 9 aprile, 2013, n. 39216, in CED Cassazione penale, 2013

283 Cass., Sez. VI, 9 aprile, 2013, n. 39216, in CED Cassazione penale, 2013 precisa in merito alla posizione dell’infiltrato che « per gli effetti di cui all'art. 49 c.p., comma 2 può e deve considerarsi "azione inidonea" soltanto quella che attiene alla condotta dell'imputato e non quella determinata da una causa esterna, quale l'attività di un ufficiale di p.g. in funzione di infiltrato o agente provocatore, che potrebbe perfino assumere la qualifica di concorrente nel reato ove non fosse scriminato ai sensi dell'art.

che un agente infiltrato venga impiegato in associazioni a delinquere di tipo mafioso, ma in particolare la prossimità esistente tra l’attività dell’agente di polizia infiltrato nell’organizzazione criminale in virtù di un’operazione sotto copertura ed una delle ipotesi storicamente più frequenti di concorso esterno in associazione mafiosa, appunto riferibile alle forme di contiguità di agenti di polizia alle organizzazioni criminali di stampo mafioso. Tale constatazione esprime, se non altro, la difficoltà di descrivere e forse anche solo prevedere un’ipotesi “lecita” di concorso di fatto molto prossima alle forme di concorso esterno in associazione mafiosa, un istituto di “diritto vivente”284 interessato, negli ultimi anni,

da una delle più complesse vicende di definizione ermeneutica della fattispecie nel nostro sistema penale285

                                                                                                               

51 c.p., e detta inidoneità va valutata oggettivamente con giudizio ex ante, nel suo valore assoluto e non di relazione con la simultanea azione del provocatore, dovendo essere intesa come inefficacia ontologica e strutturale delle condotte dispiegate e dei mezzi ad esse funzionali, indipendentemente dalle concause estrinseche che l'accompagnano. Di tal che per sostenere l'ipotesi del reato impossibile l'inidoneità degli atti deve essere assoluta in rapporto all'evento voluto e perseguito, con valutazione astratta dell'inefficienza costitutiva e strumentale dei mezzi. Con l'ovvia conseguenza che l'azione dell'agente provocatore diventa una causa estrinseca (e ulteriore) in nessun modo incidente sull'attuazione della condotta dell'imputato rispetto al risultato che era suo intento raggiungere, sì che gli atti dallo stesso compiuti conservano per intero i coefficienti di effettività causale e sintomatica loro propri». 284 G.FIANDACA C.VISCONTI,Il concorso esterno come persistente istituto “polemogeno”, in

Arch. pen., 2012, 487; T. PADOVANI,Plurisoggettività nel reato e come reato,Pisa University Press, 300.

285 Con riguardo alla sentenza Contrada c. Italia, 14 aprile 2015, si prendono a riferimento V.MAIELLO,La Consulta e la Corte EDU attestano la matrice giurisprudenziale del concorso esterno, in Dir. pen. proc., 2015, IX, 1028 ss.; D. PULITANÒ,Paradossi della legalità. Fra Strasburgo, ermeneutica e riserva di legge, in Dir. pen. cont., 2015, II, 46 ss.; F.

PALAZZO,La sentenza Contrada e i cortocircuiti della legalità, in Dir. pen. proc., 2015, IX,

1061 ss.; O.DI GIOVINE,Antiformalismo interpretativo: il pollo di Russel e la stabilizzazione del precedente giurisprudenziale, in Dir. pen. cont., 2015, II, 11 ss.; G.DE FRANCESCO,Brevi spunti sul Caso Contrada, in Cass. pen., 2016, 12 ss.; A. DI MARTINO, Una legalità per due?

Con particolare riferimento alla comprensione dei parametri di accertamento della responsabilità e di ricostruzione del contributo concorsuale del provocatore all’interno della fattispecie plurisoggettiva eventuale, di seguito si avrà modo di analizzare gli elementi costitutivi della fattispecie di infiltrazione alla luce degli interrogativo fondamentali in materia di responsabilità dell’agente provocatore nel fatto provocato.

2.   I presupposti di indagine nel discrimine tra provocazione privata e

provocazione statuale: la pena come scopo

Il dato della provenienza della provocazione acquista un rilievo fondamentale in ordine non soltanto ai profili di responsabilità dell’agente provocatore, ma anche ed in particolare, con riferimento alla responsabilità del provocato, «quel soggetto determinato o istigato da un agente provocatore alla commissione di un reato che altrimenti non avrebbe commesso286». Il tema della responsabilità del provocato si

coniuga necessariamente alla dimensione processuale, là dove un pubblico ufficiale abbia determinato la condotta del soggetto agente, concorso nella commissione di un reato o ancora abbia incaricato un

                                                                                                               

Riserva di legge, legalità CEDU e giudice fonte, in Criminalia, 2015, 91 ss.; M.DONINI,Il Caso Contrada e la Corte EDU. La responsabilità dello Stato per carenza di tassatività/tipicità di una legge penale retroattiva di formazione giudiziaria, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, II, 346;

F. VIGANÒ,Il caso Contrada e i tormenti dei giudici italiani: sulle prime ricadute interne di una scomoda sentenza della Corte EDU, in Dir. pen. cont., 26 aprile 2016.

286 G. AMARELLI,Le operazioni sotto copertura in La legislazione penale in materia di criminalità

organizzata, misure di prevenzione ed armi, (a cura di) V.MAIELLO,in Trattato teorico-pratico

soggetto privato ad assolvere la funzione di provocatore o partecipe, trovandosi appunto nel processo il momento decisivo di bilanciamento dei rapporti tra Autorità e libertà individuali287 che qualificano le

dinamiche delle operazioni sotto copertura.

L’analisi dei presupposti di legittimità dell’azione del provocatore si fonda sulla considerazione dei principi generali dell’ordinamento, che informano la disciplina della responsabilità penale e la funzione della pena. In tal senso si inserisce il discrimine tra provocazione privata e statuale, nonché la riflessione sugli strumenti di intervento che operano sul piano della c.d. «provocazione preventiva», quale metodo di accesso alle organizzazioni criminali avverso le quali si faccia ricorso alle operazioni sotto copertura. Da ultimo, occorre verificare la validità delle

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