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"Potere ai senza potere" Il Samizdat Sovietico e Cecoslovacco tra il 1965 ed il 1985

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

"Potere ai senza potere"

Il Samizdat Sovietico e

Cecoslovacco tra il 1965

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Introduzione

Nel 1984 Robert Sharlet scrive in un articolo pubblicato dalla Academy of Political Science sulla natura della doppia società in URSS, che in Cecoslovacchia negli stessi anni era chiamata polis parallela. 1

In questo contributo, l’autore esplora la tensione dialettica nella doppia esistenza dei cittadini sovietici, che seguono e si conformano alle leggi e convenzioni del Partito, alla luce del sole, mentre di nascosto agiscono da privati cittadini, dando vita ad un anti-mondo sommerso, che si nutre e vive come una realtà parallela e opposta a quella ufficiale.

Sharlet parla di un bilinguismo che esiste a tutti i livelli della cultura e della politica: di giorno si parla il gergo ufficiale, e di notte il linguaggio diametralmente opposto, quello dell’arte proibita, della musica occidentale, del dissenso politico e delle rivendicazioni sociali ed etniche.

Letteratura sotterranea, underground, cultura proibita, illegalità, stampa non ufficiale, polis parallela… ogni studioso ha provato a dare una forma e dei confini a un fenomeno vastissimo, che assume tratti specificatamente politici a fine anni Sessanta, e muore solo con la caduta dei governi comunisti dell’Europa centro-orientale; le idee circolano grazie ai samizdat, il materiale auto pubblicato, il cui obiettivo è quello di creare un’opinione privata, rovesciando il discorso pubblico ed il sistema ufficiale di informazione e censura. Questa realtà alternativa è il frutto di un processo di ri-privatizzazione, o riappropriazione di elementi della società, in risposta ai bisogni e alle richieste del popolo2.

I livelli di questo contro-sistema sono molteplici: si parla di una seconda economia, di una cultura parallela a quella ufficiale e censurata, di rivendicazioni religiose ed etniche, nazionalismo, di un complesso sistema scolastico nascosto, cultura giovanile e molti altri aspetti che caratterizzano quella che è a tutti gli effetti una società che vive dentro quella ufficiale.

1 Sharlet R.,” Dissent and “Contra-System” in the Soviet Union”, in Proceedings of the Academy of

Political Science, vol. 35 n. III, The Soviet Union in the 1980s, New York, 1984, pp. 135-146

2 Bak J., Lyman H. Legters, “The Outlook for Reform in Eastern Europe”, in “Praxis” n 3, University of Texas Writing Center, Austin, 1983, pp. 67-68

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2 In URSS si trova il cuore del movimento contro-culturale che utilizza il medium del samizdat per diffondersi: è lì che le repressioni contro i dissidenti sono più severe, ma è anche il luogo dal quale si aprono gli orizzonti di una cultura nuova. A metà anni Sessanta l’arresto ed il processo ad Andrej Sinjavskij e Jurij Daniel catturano l’attenzione della stampa a causa delle accuse di propaganda antisovietica, e la condanna, a sette e cinque anni di campo di lavoro, provoca il clamore internazionale.

Per i cittadini sovietici, invece, è lo spartiacque: la manifestazione che ha luogo a Mosca il cinque dicembre 1965 segna la nascita del movimento sovietico per i diritti civili, con la richiesta alle autorità, in quella dimostrazione, che queste rispettino le loro stesse leggi.

Da questo momento in poi i testi che circolano in samizdat cambiano natura: non si tratta quasi più di romanzi e raccolte di poesie di autori proibiti o poco graditi; ora si producono illegalmente e si scambiano bollettini, petizioni, riviste, almanacchi, informazioni e saggi sui diritti e sulla libertà.

Soprattutto, in URSS si dibatte del futuro del Socialismo e della democrazia. Sin da metà anni Sessanta, si delineano tre principali correnti politiche che discutono tra loro attraverso articoli, spesso anonimi, pubblicati sui samizdat: la corrente marxista-socialista, che combatte per un socialismo umano e più vicino agli ideali della Rivoluzione, viene dilaniato dalla sconfitta di Dubček nel 1968; il gruppo democratico si batte per un superamento del sistema comunista in favore di democrazia e liberalismo sul modello occidentale; infine, gli slavofili, che invocano il ritorno alle radici russe, cristiane, libere e genuine, affermando che il problema russo sia il rinnegamento della storia e l’adozione di ideologie importate, quali marxismo e democrazia.

In Cecoslovacchia il punto di non ritorno è l’agosto 1968, data tristemente famosa in cui gli eserciti delle Repubbliche del Patto di Varsavia occupano il territorio cecoslovacco ponendo fine all’esperimento Dubček e alla speranza di un “socialismo dal volto umano”.

I venti anni successivi sono chiamati Normalizzazione, il ritorno alla norma dopo appena pochi mesi di tentativi di riforme democratiche.

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3 Scrittori, intellettuali, professionisti di ogni tipo che abbiano appoggiato l’ala riformista del Partito Comunista, vengono allontanati dalla vita pubblica e licenziati dai posti di lavoro: in mancanza di piattaforme indipendenti di libera informazione e di pubblicazione, e con interi settori della cultura in mano ai tecnocrati del Partito o completamente ignorati dalle strutture ufficiali, ci si rivolge anche in Cecoslovacchia al sistema samizdat per la circolazione del materiale proibito e per l’organizzazione di atti di disobbedienza civile e protesta.

Grazie ad un complesso sistema di scambio, le case editrici dell’emigrazione possono pubblicare e ristampare testi di autori proibiti e censurati in Cecoslovacchia, e distribuirli, illegalmente, in patria e liberamente nel resto del mondo; case editrici indipendenti, di nascosto alla polizia, producono e diffondono samizdat casalinghi di intellettuali perseguitati dal regime, instaurando rapporti tra gruppi di intellettuali, associazioni per i diritti civili, uomini di cultura, operai, ex riformisti espulsi dal Partito e cecoslovacchi emigrati.

L’intero sistema del samizdat rimane attivo, in tutte le Repubbliche Socialiste, almeno fino al 1989: la maggior parte dei gruppi e delle pubblicazioni cessano entro il 1991, mentre altre continuano in modo legale durante la transizione dai regimi comunisti a quelli democratici, ed alcune riviste vengono tuttora prodotte. Il presente lavoro vuole offrire una panoramica generale sul samizdat e sulle modalità di diffusione della controcultura dal 1968 al 1985, utilizzando le fonti d’archivio principali (Open Society Archive, Archiv Samizdata e Libri Prohibiti, in particolar modo), e provando a tracciare la storia, le cause, gli obiettivi dei gruppi di attivisti e le principali correnti, per offrire al lettore una panoramica quanto più concisa, ma esaustiva, di questo modo originale di fare letteratura, e, soprattutto, di fare opinione.

Ci si sofferma su queste date perché sono quelle di maggior diffusione e fermento dei movimenti e delle pubblicazioni proibite; la scelta dei due poli, URSS e Cecoslovacchia, è stata dettata da ragioni storiche e personali.

Innanzitutto, l’Unione Sovietica è il centro da cui si irradiano e il controllo e la sub cultura, mentre la Cecoslovacchia, con il 1968 che funge da soglia e cesura, è il luogo emblematico in cui est ed ovest si scontrano e si confrontano.

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4 I motivi personali sono dettati dalla mia permanenza, per circa un anno, a Brno, in Moravia, durante la ricerca e la stesura della tesi: le forti contraddizioni di una città industriale, estremamente ricca di cultura e storia, ma povera di tutto il resto, dove i segni di un recente passato traumatico si fanno sentire sia nell’architettura che sui volti delle persone, hanno fatto nascere in me il desiderio di approfondire, seppur attraverso una porzione così piccola dell’intero quadro, i motivi dei contrasti che percepivo.

Dopo un primo inquadramento storico-politico (capitolo I), si chiariranno gli strumenti della cultura dissidente nel Blocco Sovietico (capitolo II), le correnti e i principali samizdat sovietici (capitolo III) e cecoslovacchi (capitolo IV), per concludere con una riflessione sul valore “dell’oggetto samizdat” (conclusioni).

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Capitolo I Introduzione Storica

Per comprendere i motivi della fioritura eccezionale della controcultura in Cecoslovacchia e URSS tra gli anni 1970 e ’80, è necessario analizzare i rapporti tra questi due Stati.

Il momento di rottura nella storia culturale, politica e sociale cecoslovacca, è senza dubbio il 1968, anno della Primavera di Praga, culmine del movimento democratico e suo fallimento, e della conseguente repressione e normalizzazione da parte dell’Unione Sovietica.

È necessario capire cosa è successo in Cecoslovacchia, a livello politico e sociale nel 1968, per comprendere appieno la risonanza internazionale, anche nelle Repubbliche Socialiste, delle spinte democratiche e riformiste, che trovano poi spazio nei samizdat e nelle organizzazioni per i diritti umani: l’esperimento cecoslovacco e la conseguente risposta dell’URSS rappresentano il motore del movimento dissidente dell’Europa centrale negli anni a seguire.

Per Primavera si intende tutta una serie di riforme in senso democratico intraprese dal regime socialista cecoslovacco nel corso degli anni ’60, proposte a Bratislava dal KSS nel 1963, e grazie all’ adozione da parte del KSČ nel 1968 conosciute in tutto il mondo; la nuova linea politica, quella del “socialismo dal volto umano”, viene subito adottata dalla comunità di emigrati e dalla stampa occidentale, utilizzata dalla Sinistra europea per dimostrare l’innata bontà del socialismo, e dalla Destra per provare la necessità universale del liberismo. In Cecoslovacchia la Primavera vuole affermare l’idea che l’identità nazionale si esprima appieno solo nel Partito. Queste riforme portano alla rinascita del pluralismo partitico e dell’opinione pubblica, riabilitano il Paese agli occhi dell’occidente, e cambiano la sua immagine da satellite sovietico a stato democratico e patria del “socialismo dal volto umano”, e sono infine il motivo scatenante dell’invasione e della successiva Normalizzazione.

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Cecoslovacchia e Unione Sovietica – anni 1960

Partiamo da una descrizione delle relazioni Cecoslovacchia-URSS dalla destalinizzazione alla normalizzazione. Lo storico Bronisław Geremek nel suo articolo del 19903 mette in luce il carattere ciclico delle rivolte contro l’Unione Sovietica nei Paesi aderenti al Patto di Varsavia: le manifestazioni di dissenso, nel 1956, ‘68, ‘70, ‘76, ‘80, e ’89, suggeriscono la presenza di un ciclo interno, politico, soprattutto nel caso della Polonia.

In molte di queste crisi, le aspirazioni nazionalistiche hanno una tale intensità, che la rivolta prende la forma di una virtuale insurrezione nazionale: la tradizione delle nazioni-stato in Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria, sottolinea lo storico, è relativamente recente, e i Paesi interessati hanno vissuto secoli di sottomissione a potenze straniere, ma hanno sviluppato un forte sentimento nazionale; l’impianto del sistema socialista in queste nazioni è vissuto come un’imposizione contro il volere popolare, ed i rispettivi Partiti Comunisti non hanno un appoggio democratico tale da consentire la vittoria di elezioni legalmente svolte, e la svolta socialista è, in tutti e tre i Paesi, la negazione degli interessi nazionali, poiché i Partiti portano avanti politiche che rifiutano l’esistenza di tratti distintivi e sentimenti nazionalistici.4

Le similarità con cui i Partiti comunisti prendono il potere tra il 1945 e ’48 in Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia ha conseguenze importanti nella loro evoluzione negli anni a seguire: Stalin decide di standardizzare la situazione, grazie all’uso della strategia del terrore, intimidazione e all’attitudine passiva della popolazione, così, sebbene questi Paesi non vengano incorporati nell’Unione Sovietica, sono economicamente e politicamente dipendenti da Mosca e dal modello sovietico che adottano

La Cecoslovacchia degli anni ’60 possiede il Partito Comunista autoctono tra i più autoritari ed intransigenti d’Europa, e quello più legato all’Unione Sovietica e agli altri Paesi del Patto di Varsavia: dopo il 1948 il KSČ consolida la sua posizione in politica interna, grazie alla liquidazione dell’opposizione politica, piani

3 Geremek B., “Between Hope and Despair”, Daedalus, vol. 119, n. 1, 1990, pp. 91-109 4

Kende P., “1956, Varsovie-Budapest, La deuxième revolution d’Octobre”, Politique étrangère, 1979, vol. 44, n. 2 pp. 365-368

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7 quinquennali e collettivizzazione; nonostante ci siano un Parlamento e un Presidente, il vero potere è infatti nelle mani del KSČ, il cui segretario è anche Presidente della Repubblica, che controlla inoltre il Partito Comunista Slovacco, KSS, il quale già dal ’49 ha come unico scopo quello di appoggiare le politiche già decise dal KSČ.5

In politica estera, all’interno dei paesi del Patto, la Cecoslovacchia spicca per l’ammirazione e l’emulazione nei confronti dell’URSS, che si percepiscono con espressioni come “esperienza sovietica”, “esempio sovietico” e “insegnamento sovietico” in giornali, bollettini, discorsi ai congressi, televisione e radio; ogni giorno la programmazione televisiva si conclude con gli inni cecoslovacco e sovietico, e le due bandiere vengono issate insieme anche nelle feste nazionali specificamente ceche. Le canzoni e le ballate popolari, tradotte dal russo e dal tedesco, vengono insegnate a scuola e i Pionieri dei due Paesi vestono la stessa uniforme. I viaggi e il contatto con i veri cittadini sovietici sono, però, praticamente inesistenti per i normali cecoslovacchi, mentre l’élite politica fa largo uso di consiglieri sovietici per risolvere questioni relative all’organizzazione del Partito, l’esercito, la polizia e la giustizia, e i suoi membri più promettenti vengono mandati a Mosca per frequentare una speciale scuola politica6.

In tutto il Paese i segni di gratitudine per i liberatori dall’invasore nazista sono visibili: toponomastica ideologicamente corretta, statue, nomi di fabbriche e fermate di trasporto pubblico, mausolei e così di seguito, anche nella regione slovacca, dove però si vocifera di una rivolta nazionale che nel ’44 viene soppressa sul nascere dai Sovietici7.

I problemi con l’URSS iniziano dopo il XXII Congresso del Partito Comunista Sovietico, tenutosi a Mosca nell'ottobre 1961, dove Kruscev non si limita a rinnovare la denuncia dello Stalinismo, già avvenuta nel discorso segreto del '56, ma mette Novotný, Presidente Cecoslovacco, in una posizione scomoda. La leadership del KSČ infatti, deve dimostrare all'Unione di voler mettere in pratica delle politiche liberali; d'altra parte però una de-stalinizzazione completa

5

Heimann M., Czechoslovakia, the State that failed, Yale University Press, New Haven, 2011, pp.211-13

6 Heimann M., Czechoslovakia, op. cit., pp. 213-15

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8 porterebbe l'opinione pubblica ad accusare molti uomini del Partito cecoslovacco, alcuni di essi ancora facenti parte del Presidium, e, probabilmente, Novotný stesso. Novotný non introduce nessuna reale riforma liberale, mentre il paese è in fermento e le questioni interne molteplici e problematiche.

Innanzitutto, si avverte nel Paese una completa dominanza ceca, e ogni tentativo in senso patriottico della zona slovacca viene stroncato sul nascere e etichettato come “nazionalismo borghese”.

L'economia sembra essere in costante deficit, e ogni mese arrivano al Partito dettagliati resoconti della StB, la polizia segreta, con le lamentele delle casalinghe sulla scarsezza o cattiva qualità del cibo ed altri beni, accompagnati da inchieste clandestine provenienti dalla lettura di lettere private ed ascolto di conversazioni, le quali arrivano, addirittura, direttamente al Segretario del KSČ in momenti importanti per il Partito, per esempio in prossimità di elezioni. Gli economisti sono preoccupati dal fatto che il piano quinquennale, che si è concentrato sull'industria pesante, più come esposizione di forza politica che come risposta ad una domanda del mercato, possa essere ciò che effettivamente rende instabile l'economia cecoslovacca, portando continue carenze di beni di prima necessità.

A metà degli anni '60, dopo la riconciliazione tra Tito e l'Unione Sovietica, la soluzione jugoslava, cioè l'introduzione di elementi del sistema economico capitalista per rafforzare il socialismo, non è più impensabile8.

L'ultima questione a preoccupare il Partito è l'apparente indifferenza nei confronti del socialismo da parte dei giovani, i quali, sebbene siano troppo piccoli per aver conosciuto il "nazionalismo borghese" della Prima Repubblica, non sono interessati alla vita politica e ai valori del comunismo.

Politica interna

La Cecoslovacchia degli anni ’60, in un clima di tensioni interne economiche e ed esterne per via dei nuovi equilibri in politica estera, vive un grande momento di ri-pluralizzazione della politica, che mette in moto tutti i meccanismi che sfoceranno

8 Heimann M., “The Scheming Apparatchik of the Prague Spring”, Europe-Asia Studies, 2008, pp. 1719-36.

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9 nella Primavera, che, come spiega David Paul, non è un evento isolato o anomalo, né una rivolta nazionalista contro la dominazione straniera, sebbene siano coinvolti elementi di nazionalismo ceco e slovacco; piuttosto, si tratta del culmine di un processo graduale di riforme che inizia in risposta all’alienazione generale del Paese nel confronti del sistema politico, al sentimento di violazione dei principi nazionali fondamentali9.

Il pluralismo politico cecoslovacco ha una lunga storia: dagli anni ’90 dell’Ottocento, vari movimenti hanno politicizzato Boemia, Moravia e Slovacchia e le elezioni generali austriache del 1907 vedono almeno dieci diversi partiti cechi candidarsi e ottenere un numero significante di voti10; nel 1914 anche partiti ed organizzazioni slovacche trovano spazio nel dibattito culturale, e nel periodo tra le due guerre, grazie alla Costituzione della Prima Repubblica che garantisce la rappresentanza proporzionale su basi religiose, etniche e socioeconomiche, il numero dei partiti politici raggiunge il suo culmine. Nonostante l’occupazione nazista e lo stato satellite slovacco tra il 1938 ed il ’45, dopo la guerra la elezioni del 1946 e ’48 mostrano che il pluralismo democratico cecoslovacco è genuino e vibrante: il governo monolitico tra il 1948 e gli anni sessanta è frutto di passività e soppressione dell’opposizione, per questo il nuovo assetto politico si conforma nel quadro di una ri-pluralizzazione.

Il potere politico, nella Cecoslovacchia degli anni Sessanta, è caratterizzato da un sistema altamente autoritario, concentrato unicamente nelle mani di una élite di tecnici. La società è divisa in due principali componenti, élite politica e resto della popolazione, che non ha accesso al processo decisionale del Partito: questo gruppo è composto da individui relativamente uguali tra di loro, ed impoveriti rispetto ai pochi del Partito; la biforcazione verticale della società permette il totale controllo dei pochi sui molti, mentre la nazionalizzazione delle imprese e la collettivizzazione mira a proletarizzare tutti i cittadini, dunque la divisione in classi è netta, e questa situazione inasprisce il conflitto politico e sociale tra i due strati della società.

9 Paul D.W., “The Repluralization of Czechoslovak politics in the 1960s”, Slavic Review, vol. 33, n. 4, 1974, 721-740

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Kann R., The Habsburg Empire: A study in Integration and Disintegration, N.Y., 1957, cit. in Paul, op. cit., p. 724

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10 Negli anni sessanta le fazioni del Partito Comunista sono tre: quella dominante di Novotný, conservatrice, anti-slovacca, e legata a doppio filo ai processi giudiziari falsati degli anni cinquanta; la fazione slovacca nazionalista, guidata da Dubček, Husák e Bilak, liberali e tecnici; un gruppo di matrice libertaria, che include molti artisti e scrittori, impegnato per il rilassamento delle costrizioni culturali e sociali. Alexander Dubček in particolare, quadro del KSS formatosi a Mosca, Segretario per l'industria nel Comitato Centrale e leale a Kruscev, capisce che la Cecoslovacchia ha bisogno di accelerare il processo di de-stalinizzazione, ed inizia la sua ascesa politica configurandosi come principale avversario politico di Novotný, il quale cerca di arginare i problemi interni senza riforme democratiche, e di prendere tempo con i russi senza concedere la de-stalinizzazione completa. Sebbene Dubček sia oggi considerato il simbolo della Primavera di Praga, dipinto come un riformista democratico sincero e liberale, il processo della sua ascesa al potere suggerisce che abbia usato il risentimento del popolo per ottenere la sua carica nel Presidium, piuttosto che una reale convinzione sulle posizioni riformiste.11

Nel frattempo in tutto il Paese ha inizio la de-stalinizzazione con la distruzione delle statue e dei monumenti ai Sovietici, e nel '63 Novotný ha già rafforzato abbastanza la sua posizione interna al Partito, da non temere più le riforme sullo stile di Kruscev, e per questo motivo organizza una commissione che indaghi sull'affare Slánský e i processi consecutivi: la cosiddetta commissione Kolder riabilita molti comunisti cechi accusati di tradimento titiano e slovacchi incarcerati per nazionalismo borghese.

La strada per il 1968

Nel 1963 il settimanale Kulturny život, approvato dall'Unione degli Scrittori Slovacchi, può pubblicare senza censura, e di lì a poco anche Pravda, organo ufficiale del KSS inizia a premere per una riapertura dei documenti relativi ai processi contro gli “slovacchi nazionalisti borghesi”. In poco tempo il KSS pretende un testa a testa con il KSČ, e il suo primo segretario, Dubček, non fa niente per fermare l'ondata di risentimento contro Novotný: la risposta di Dubček è che la

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11 riabilitazione in Cecoslovacchia è troppo lenta rispetto all'Unione Sovietica. L’opinione pubblica non è più tenuta a freno dalla censura, ed iniziano a circolare notizie sul trattamento economico speciale delle regioni ceche, e su una insensibilità di Novotný alle peculiarità slovacche.12

Nel 1963 si verificano altri fatti che avvicinano la Cecoslovacchia alla sua Primavera; prima di tutto gli uomini di Novotný vengono sostituiti nel Presidium da riformisti dell’ala di Dubček. Poi, di fronte al collasso del prodotto interno lordo, la manovra economica del 1963 orienta la produzione verso l'industria leggera, e descrive aree dove il mercato si autoregoli in base a meccanismi di domanda-offerta; il nuovo sistema economico è stato ufficialmente adottato come linea di partito tra il '64 e il '6613.

Ancora, Novotný inizia ad allentare il controllo delle arti: il Realismo Socialista rimane l'unico stile ufficialmente approvato nella società socialista, ma ora piccoli teatri iniziano a sperimentare con temi non tradizionali come l'esistenzialismo e l'alienazione umana, prima considerati inappropriati, perché l'alienazione non esiste nel socialismo. I teatri sperimentali a Praga erano il Reduta, Na zabradlí e Semafor, ma nel 1963 sono così tanti che viene permessa una conferenza sulle piccole forme di teatro a Karlovy Vary14.

Tra il 1964 e il '66 il giornale Tvař, organo dei giovani autori dell'Unione degli Scrittori, attrae drammaturghi e novellisti non comunisti, che ritengono che il futuro del socialismo cecoslovacco vada di pari passo con la tradizione nazionalista e una democrazia progressista15. Tra questi c'è Vaclav Havel e altri autori, questi stalinisti, come Ivan Klima, Pavel Kohout e Milan Kundera, che si mettono a difesa del giornale e della libertà di espressione nel 1965, quando questo inizia ad attrarre le critiche del Ministro della Cultura ed Informazione Hendrych per la stampa di articoli “scandalosi”16; il Tvař viene comunque monitorato dal '66 in poi dalla polizia segreta.

12 Steiner E., the Slovak Dilemma, Cambridge University Press, Cambridge, 1978, p 115

13 Williams K., The Prague Spring and its Aftermath: Czechoslovak Politics 1968-1970, Cambridge University Press, Cambridge 1997, p. 22.

14 Kusin V., The intellectual origins of the Prague Spring, Cambridge University Press, 1971, p. 60 15 Kaplan K., Všechno jste prohrali!, Praga, 1997, pp. 36-39

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12 Nell'ottobre 1964 in URSS Kruscev viene stato sostituito da Brežnev: mentre Novotný continua il processo di de-stalinizzazione, fa gesti amichevoli all'ex segretario di Partito, senza la certezza di sapere quanto sarebbe durato Brežnev. Al XIII congresso del KSČ nel 1966 si dichiara che, dal momento che le relazioni sociali socialiste in Cecoslovacchia sono state caratterizzate dall'eliminazione degli antagonismi di classe, il futuro dello sviluppo deve essere collegato direttamente alla diffusione della democrazia socialista e alla partecipazione di tutto il popolo alla politica17. Questa risoluzione offrea Dubček l'opportunità di presentarsi al partito come la perfetta alternativa rispetto alla vecchia guardia praghese, soprattutto per la leadership più aperta, amichevole e i cui risultati in Slovacchia sono già stati messi alla prova: la partecipazione nella vita politica di giovani e cittadini appartenenti alle minoranze etniche ha infatti già portato l'economia a crescere.

Nel 1967 lo scontro tra i funzionari comunisti riformisti e i conservatori, è diventato inevitabile. 18

Al IV Congresso degli Scrittori, in giugno, scrittori precedentemente stalinisti come Kundera, Kohout e Klima uniscono le forze con gli oppositori come Havel nella pubblica opposizione alla censura, citando in difesa Alexandr Solzenitzyn e la sua Lettera all'Unione degli Scrittori Sovietici.

Dubček alla fine del '67 ha un consenso sempre più largo nel Presidium, e preme per una separazione delle figure del Primo Segretario di Partito e del Presidente della Repubblica. In inverno la frattura tra il KSS guidato da Dubček e il KSČ di Novotný è già così ampia che provoca grande scandalo in tutto il Blocco.

All'inizio del 1968 il Comitato rende pubblica una risoluzione per separare le due cariche più alte dello Stato come parte necessaria della democratizzazione del Paese, e Novotný rinuncia al posto di Primo Segretario del KSC, mentre Brežnev è sempre più convinto che il Presidente non sia più in grado di guidare il partito.19

17 V. Mencl e F. Ourednik, “What happened in January (1968)”, in R. Remington, Winter in Prague:

Documents on Czechoslovak Communism in Crisis, Cambridge University press, 1969, p. 24

18 DubČek, op. cit., p. 94

19Navratil J., The Prague Spring, 1968, National Security Archive Documents, Central European University press, 1998, p. 35

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Il 1968 tra URSS e Cecoslovacchia

Il piano di Dubček è quello di ottenere consensi nel Presidium attirando l'attenzione sugli errori del passato. Il 1 febbraio 1968 annuncia di voler avere un "approccio risolutivo ai problema del sistema datato" con la produzione di un Programma d'Azione che sarebbe stato direttamente "collegato all'elaborazione dettagliata dei problemi chiave del progresso socialista", in modo da preparare l'agenda del XIV Congresso del Partito Comunista20.

Dubček ottiene consenso nel Presidium, circondandosi di uomini fedeli, e nell'opinione pubblica, permettendo la fine della censura in modo circoscritto. Invece di cercare appoggio da Mosca o di usare il metodo dei processi pubblici, come i suoi predecessori, per discreditare gli avversari e indebolire il blocco del Presidium, Dubček lascia tutto all'opinione pubblica grazie alla rinnovata libertà dei giornalisti21, e decide che il Partito guidi il Paese insieme ad altre istituzioni, come l’Assemblea Nazionale, il Gabinetto e i sindacati, che riacquistano rilevanza, insieme alle Unioni di studenti e giovani lavoratori.

Il 4 marzo 1968 il Presidium inizia il processo di smantellamento della censura, con la conseguenza che l'8 marzo la stampa per la prima volta chiede pubblicamente che Novotný rinunci alla Presidenza: guidati da politici ed intellettuali, nelle settimane successive, lavoratori studenti e artisti chiedono ufficialmente la rimozione di Novotný, del Primo Ministro Lenart, della leadership del Consiglio dei Sindacati, dell'Unione della Gioventù cecoslovacca, e dell'Unione dei Giornalisti.

A metà marzo la censura non è stata completamente abolita, ma i giornali sono pieni di accuse e rimostranze contro le autorità comuniste: nemmeno Brežnev può fermare le autorità della Germania Democratica dall’impedire i viaggi in Cecoslovacchia per paura che le notizie riportate influenzino negativamente la

20Skilling, Czechoslovakia’s interrupted revolution, Princeton University Press, Princeton N.J., 1976 p. 183

21 Williams K., The Prague Spring and its Aftermath, Cambridge University Press, Cambridge, 1997, p. 68

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14 popolazione. La paura non è infondata: a marzo torna a vivere il gruppo giovanile parallelo ai Pionieri, lo Junák, si crea il gruppo degli ex prigionieri politici K-23122. Il 21 marzo Novotný annuncia la decisione di dimettersi dalla carica di Presidente, mentre due giorni più tardi sei membri del Patto di Varsavia (Ungheria, Unione Sovietica, Repubblica democratica tedesca, Polonia, Bulgaria e Cecoslovacchia) si incontrano a Dresda per discutere la crescente minaccia cecoslovacca e trovare delle soluzioni alla “controrivoluzione”. 23

I cinque leader socialisti decidono di intervenire sulla delegazione cecoslovacca per aver permesso una “varietà di opinioni” che sfocia nella controrivoluzione e apre la strada a “minacce esterne al campo socialista”24: al ritorno dall’incontro, in patria, Havel suggerisce dalle pagine di Literární Listy la necessità di formare una opposizione per tenere in KSČ in ordine, perché, nonostante le intenzioni del partito, “la democrazia non è una questione di fede ma di garanzie, e un governo può migliorare sé stesso solo quando la sua stessa esistenza sia in discussione, non solo il suo nome”25

Il 5 aprile 1968 il Presidium approva il Programma d’Azione, cioè il manifesto delle riforme il cui scopo sia la nascita del Socialismo dal volto umano26.

Diviso in cinque sezioni scritte da gruppi anonimi, il manifesto mira a produrre un’analisi storica sui motivi della situazione socioeconomica cecoslovacca, dando un particolare peso agli anni di Novotný, il quale ha promosso una politica economica che ha portato all’esaurimento delle risorse materiali e umane27: se in passato i lavoratori non hanno sempre avuto la possibilità di far sentire le loro voci, il Partito ora vuole umanizzare il lavoro e migliorare le condizioni di questo28. Il testo del Programma tocca tutti i punti fondamentali della relazione tra Partito e società: libertà di parola e movimento, dibattito e associazione e fine degli arresti

22 Dalla legge sulla base della quale erano stati condannati, n. 231, “Legge per la difesa della Repubblica popolare” del 1948. Cit. in M. Heimann, Czechoslovakia, op. cit., p. 232

23 Dubček, Hope dies last, traduzione in inglese di J. Hochmann, Kodansha international, New York, 1993, p. 141

24 ivi

25 ivi, pp. 141-42

26 “The Action Programme of the Communist Party of Czechoslovakia adopted at the plenary session of the Central Committee of Czechoslovakia on April 5th 1968”, tradotto in inglese da P. Ello, in Czechoslovakia’s Blueprint for Freedom, Washington DC 1968, pp. 89-178

27 Dubček, op. cit., pp. 91-93 28 Dubček, op cit., p.97

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15 arbitrari per quanto riguarda le libertà individuali; a livello economico, una nuova spinta per le industrie e le imprese, e la richiesta di uguaglianza nelle relazioni economiche tra URSS e Cecoslovacchia, con una grande apertura su politiche liberali; il Partito ammette delle disuguaglianze tra la zona slovacca e quella ceca, e propone un sistema federale, con i due centri a Praga e Bratislava; il Partito rimane l’organo principale di governo, ma c’è un nuovo spazio per le organizzazioni ed i gruppi, che prendono di nuovo parte al processo decisionale; in politica estera il Partito riconosce lo stato di Israele e chiede la cessazione del commercio in armi con Egitto e Nigeria29.

Nel processo di ripluralizzazione della scena politica e sociale, i mezzi di comunicazione rivestono un ruolo fondamentale: diventano il catalizzatore dell’attivismo pubblico, trasmettono notizie dei progressi del governo, danno voce agli eventi del momento; i reporter riaprono ferite storiche del popolo cecoslovacco, dal 1948alla politica estera, ai grandi processi degli anni cinquanta, coprendo anche servizi ed interviste ai leader politici attuali, e contribuendo alla formazione di un’opinione pubblica consapevole e partecipata.

Anche i giovani e gli studenti diventano, tra il 1967 ed il ’68, attori principali della Primavera, e da cittadini fondamentalmente apolitici si trasformano in ponte tra partito e lavoratori:30 l’istituzione del ČSM, l’Unione Cecoslovacca della Gioventù viene sciolta, e nuove associazioni, che rappresentano interessi di gruppi e regioni diverse, nascono al suo posto, libere dal Partito, unificando la realtà politica grazie ad una pluralità di movimenti giovanili.31

Le unioni e i sindacati vivono una simile rinascita: il ROH, il Movimento Rivoluzionario dei Sindacati, cambia leadership e adotta nuovi statuti, mentre le associazioni non comuniste acquistano un ruolo centrale nei consigli di fabbrica e nelle unioni locali; le vecchie associazioni professionali tornano a vivere, e nuovi movimenti, come il KAN e il Club 231, formata da ex prigionieri politici (condannati sulla base della Legge n. 231, per la Difesa della Repubblica) iniziano a

29 Action Program of the Communist Party of Czechoslovakia (extracts), Marxism Today, 1968, pp. 205-217

30 Anon., “Svoboda – die Presse in der Tschechoslovakei, 1968”, Internationales Presseinstitut, Zurigo, 1969, pp. 35-36

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16 raccogliere volontari ed attivisti in tutto il Paese, diventando veicolo di interessi politici ed esercitando una nuova pressione sul governo.

Il Programma d’Azione è un documento che stabilisce principi nuovi in Cecoslovacchia: dato che l’intellighenzia è ora un’intellighenzia del popolo, la precedente sottostima del suo ruolo sociale viene combattuta, insieme a ogni cosa che alteri la relazione tra lavoratori e intellettuali.32

Le minoranze nazionali (ungherese, tedesca, polacca e ucraina), hanno ora diritto alla propria vita nazionale;33 i giovani devono essere spronati a fidarsi del Partito, eliminando tutte le differenze tra le parole e le azioni di questo.

L’equalizzazione dei salari va abbandonata a favore del principio di remunerazione in base alla quantità e qualità del lavoro svolto, e de essere premiato chi dimostri iniziativa nell’avanzamento sociale, produttivo, tecnico e culturale.34

La vera novità del Programma d’Azione è però il nuovo ruolo del Partito Comunista, non più strumento della dittatura del proletariato, bensì veicolo primario della nascita dell’iniziativa socialista, che soddisfi i desideri del proletariato, e promuova gli interessi della società tutta, per creare nuovi interessi progressisti35. Cioè, sebbene il Partito non abbandoni il suo ruolo trainante nella società, deve renderlo reale permettendo che il potere non sia concentrato tutto in poche mani, ma si diffonda equamente tra i due partiti comunisti nazionali e in tutto l’apparato36.

Il Programma viene pubblicato il 6 aprile 1968, ed il giorno successivo il governo si dimette a favore di Dubček: pochi giorni dopo, Brežnev esprime il suo disappunto per non essere stato consultato, mentre in Cecoslovacchia il Presidente è criticato aspramente per le riforme che non sono abbastanza incisive.

Nel mese di maggio 1968 in tutto il territorio accadono avvenimenti chiave: il 2 maggio Literární Listy pubblica un appello per abolire la Milizia del Popolo; a Praga una grande manifestazione chiede la creazione di un partito di opposizione per dimostrare solidarietà agli studenti polacchi che chiedevano al loro governo un

32 Dubček, op. cit., pp. 102-103 33 Ivi, pp. 104-105

34 Ivi, p.109 35 Ivi, p. 110 36 Ivi, pp. 112-113

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17 uomo come Dubček. Il 4-5 maggio i Sovietici incontrano la delegazione cecoslovacca, mettendo in chiaro che il KSČ sta perdendo il controllo della situazione e che le riforme economiche possono portare ad un ritorno del capitalismo, mentre dal 7 maggio i canali radio occidentali sono di nuovo aperti per l’ascolto dei cittadini cecoslovacchi.

Mentre i giornali occidentali applaudono la Primavera di Praga scrivendo che questa rappresenta la fine delle interferenze sovietiche negli affari interni degli altri Stati, i giornali sovietici, polacchi e tedesco orientali negano che le riforme siano solo affare cecoslovacco, e insistono che queste siano una reale minaccia per tutto il blocco: è una minaccia reale, perché il popolo cecoslovacco sta apertamente sfidando il Partito, obbligandolo a riconsiderare il suo diritto esclusivo nel legiferare. Quello che è iniziato come un programma di riforme controllato dall’alto, sta sfociando in un movimento di massa per la democratizzazione del Paese, che minaccia le basi stesse dell’esistenza del partito.

Alla fine di giugno Ludvík Vaculík scrive una petizione intitolata 2000 parole ai lavoratori, contadini, scienziati, artisti e tutti, la quale invita tutti i cittadini a prendere il potere eliminando tutte le forze conservatrici del Partito Comunista: il 27 giugno questa viene pubblicata simultaneamente su Líterarní Listy, Práce, Zemědělské noviny, e Mladá Fronta, chiedendo ai cecoslovacchi di rendere i consigli e i sindacati più rappresentativi, di istituire commissioni per forzare il governo a lavorare sulle riforme e perché gli organi di partito siano rimpiazzati da edizioni edite da rappresentati del Fronte Nazionale o da cittadini comuni37.

2000 parole si chiude con un paragrafo che recita:

“In questi ultimi tempi si nota una grande inquietudine per la possibilità che potenze straniere interferiscano nel nostro sviluppo. Di fronte alle superpotenze l'unica nostra alternativa è tener duro, senza assumere iniziative. Possiamo garantire ogni sostegno al nostro governo, se occorre anche con le armi, se esso realizzerà il mandato che gli affideremo; e assicureremo i nostri alleati che terremo fede ai trattati di alleanza, amicizia e commercio.

La trascorsa primavera ci ha nuovamente ridato, come dopo la guerra, una grande occasione. Abbiamo di nuovo la possibilità di riprendere in mano la nostra causa comune, che in ogni caso

37 Vaculík L., „2000 words to Workers, Farmers, Scientists, Artists and Everyone“, come riprodotto nella traduzione inglese in Remington, Winter in Prague, pp. 196-202

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chiamiamo "socialismo", e darle il volto che meglio corrisponda alla buona opinione che un tempo avevamo di noi stessi. La primavera è appena finita e non tornerà mai più. Il prossimo inverno ci chiarirà tutto.

Concludiamo così il nostro proclama agli operai, ai contadini, agli impiegati, agli artisti, agli scienziati, ai tecnici e a tutti gli altri”

Settanta firme sul documento, tra scienziati, artisti, professori, poeti, compositori, membri del Comitato centrale e atleti: viene condannato immediatamente dalle autorità sovietiche come strumento delle forze anti rivoluzionarie.

Il 18 luglio su Pravda sovietico è pubblicata la Lettera di Varsavia, in cui si afferma che le forze reazionarie e imperialiste stanno spingendo la Cecoslovacchia fuori dal cammino socialista, contro gli interessi dell’intero sistema socialista: i paesi fratelli sperano in una riconciliazione nelle relazioni con la Cecoslovacchia, perché non possono tollerare il rischio che il Paese esca dal commonwealth a causa della controrivoluzione messa nera su bianco da 2000 parole.38

I membri del Patto di Varsavia, quindi, si aspettano dal KSČ un’ azione offensiva risoluta contro le forze antisocialiste di destra, la fine delle organizzazioni che si oppongono al socialismo, la riacquisizione del controllo sui media e la stretta osservanza dei principi di centralismo democratico.39

Il KSČ risponde formalmente alla lettera scrivendo che non esiste alcun reale pericolo per il socialismo cecoslovacco o negli altri stati membri, che le relazioni diplomatiche rimangono amichevoli e che la politica interna ed estera rimane fermamente socialista. Il partito, in questa risposta, asserisce che il documento 2000 parole viola il carattere costituzionale delle riforme intraprese, perché spinge il popolo ad atti sovversivi ed anarchici, e viene dunque condannato dal Presidium, ma che, in effetti, questo non rappresenta una minaccia al Partito e allo Stato. In breve, il KSČ è convinto che le riforme siano in linea con i principi marxisti -leninisti, e che sono supportate dalla maggioranza della popolazione40.

38 Dubček, op. cit., pp.225-26 39 Ivi, pp. 227-230

40 Versione integrale in inglese in Remington, Winter in Prague: Documents on the Czechoslovak

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19 Alla fine di luglio 1968 le relazioni diplomatiche tra Cecoslovacchia e URSS sono così deteriorate da necessitare di un dialogo tra i vertici: questi si incontrano sul confine tra gli Stati, a Čierna nad Tisou, tra il 29 luglio e il 1 agosto 1968.

Brežnev chiede la reintroduzione della censura e la messa al bando dei gruppi anti socialisti KAN e K-231, ma, nonostante il KSČ prometta un ritorno al centralismo democratico, si rivela impossibile soddisfare le richieste, in patria, di riformisti e conservatori.

Il 17 agosto il Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica decide di intervenire sugli affari interni della Cecoslovacchia; nella notte tra il 20 ed il 21 agosto le truppe di terra di cinque stati del Patto di Varsavia entrano nel Paese, invadendolo.

Ciò che segue l’invasione della Cecoslovacchia sarà chiamato Normalizzazione, ed inizia con i giorni subito successivi alla comparsa delle truppe straniere.

Il Programma d’Azione di aprile non ha potuto rendere reali le promesse in esso contenute: la irrealistica aspettativa che il Partito, sostenuto dal popolo, rimanga al potere per sempre, è l’utopia che permette la riduzione della censura, uno dei punti più attaccati dagli altri Paesi del Patto, e quello più osannato dalla stampa occidentale.

La disputa tra Praga e Mosca raggiunge il climax nella notte tra il 20 ed il 21 agosto, quando, nell’intento di fermare la controrivoluzione in uno Stato fratello, più di mezzo milione di soldati ungheresi, sovietici, polacchi e tedeschi entrano in Cecoslovacchia: oggi rimangono documenti fotografici e video delle dimostrazioni di massa e di atti di disobbedienza civile che hanno accolto le truppe straniere, usate come propaganda anti sovietica dai media occidentali nel corso delle settimane seguenti.

Le ricostruzioni sono state fornite dagli studiosi dell’Accademia delle Scienze cecoslovacca41: già dalla sera del 20 agosto i membri del Presidium condannano l’invasione come atto contro le forze alleate, mentre, intorno alle ore 23, gli eserciti di URSS, Polonia, Ungheria, Repubblica democratica tedesca, e Bulgaria attraversano la frontiera ad intervalli regolari.

41Šimečka M., The Restoration of the order: The Normalization in Czechoslovakia, Verso Book, Praga, 1984, pp. 8-9

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20 Le truppe straniere hanno il compito di assistere le istituzioni legittime in Cecoslovacchia nelle loro funzioni ufficiali, senza disarmare l’esercito, uscendo dalle aree dove si trovano le truppe cecoslovacche, stazionando solo in aree aperte, senza bloccare l’accesso ad edifici dello stato e del partito, e facendo in modo che le banche funzionino normalmente. 42

Le truppe straniere, dunque, non possono interferire negli affari interni del Paese, ma cooperare e supportare le istituzioni legittime, sebbene le attività di queste siano mescolate a quelle della resistenza; i corpi eletti nel XIV Congresso del Partito non vengono riconosciuti dall’URSS e dai governi occupanti, mentre sono supportate alcune istituzioni riconosciute.

La resistenza ha carattere non violento e mira a normalizzare il Paese e preservare l’ordine e la calma, mantenendo unita la popolazione e il Partito. La protesta della popolazione cecoslovacca vuole esprimere il supporto e la solidarietà ai leader del Partito, condannando l’intervento armato, proteggendo istituzioni minacciate dalle truppe, ostracizzando in modo pacifico gli eserciti stranieri, portando avanti la vita comune in modo normale, non offrendo assistenza alle forze occupanti: le truppe alleate, agli occhi dei media occidentali, sembrano l’unico fattore che si contrappone alla normalizzazione della Cecoslovacchia, mentre la popolazione e le istituzioni cercano di mantenere ordine e normali condizioni di vita quotidiana. Nel momento in cui i leader tornano da Mosca, la Normalizzazione è avviata.

Normalizzazione

Il Protocollo di Mosca viene firmato da URSS e Cecoslovacchia a Mosca il 26 agosto 1968 è il documento che mette fine alla Primavera di Praga ed apre la strada al periodo di crisi e Normalizzazione che segue.

Il popolo cecoslovacco è stretto attorno a Dubček, Cernik, Svoboda e Smrkovsky, ma il Protocollo firmato è più una resa che un accordo: la tv di stato commenterà

42 Czechoslovak Academy of Science, Sedm Prazkych dnu: 21-27 srpen 1968, Praha, Praga, 1969, in F. Eidlin, „Capitulation, Resistance and the Framework of Normalization: The August 1968 Invasion of Czechoslovakia ant the Czechoslovak Response“, Journal of Peace Research, vol. 18, n. 4, 1981, pp. 319-32

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21 che “non è assolutamente un compromesso, ma un diktat unilaterale. Ora la lotta contro i russi significherebbe lotta contro Dubček e Svoboda. Abbiamo definitivamente perso”43.

Agli studiosi l’invasione della Cecoslovacchia appare come un simbolo della crisi del Paese, più che una reale minaccia alla sovranità del Partito;44 il popolo, nei giorni seguenti al 21 agosto, mostra solidarietà ai leader, individua i collaboratori e le organizzazioni identificabili col regime di Novotný, come le forze armate, la polizia e la milizia del popolo, e compie atti di disobbedienza civile nei confronti degli occupanti.

La paura è che circolino liste di cittadini passabili di arresto da parte delle forze alleate45, e che gli slovacchi, scontenti della dominanza ceca, approfittino della situazione per portare avanti politiche indipendentiste, piuttosto che schierarsi con i cechi.

Il Protocollo di Mosca firmato dalla delegazione cecoslovacca si configura come un contratto secondo cui la Cecoslovacchia deve adempiere a certi obblighi perché la parte sovietica si impegni nelle sue promesse; in particolare, la Cecoslovacchia deve dichiarare non valido il Congresso di Vysočany e eseguire alcuni cambi nei quadri di partito, oltre ad imporre nuovamente la censura sui mass media46.

Il documento legittima la realtà dell’occupazione, concedendo mezzi di influenza e libertà di manipolazione dell’informazione e della politica, derivanti dalla presenza dell’esercito sul territorio cecoslovacco: è l’URSS che stabilisce gli standard della Normalizzazione.

Sebbene il movimento riformista cecoslovacco non sia sovietico né anti-socialista (proprietà pubblica, collettivizzazione dell’agricoltura e lealtà all’URSS non sono in discussione)47, come lo erano state le rivolte in Ungheria e Polonia nel 1956, l’URSS non può agire in modo neutrale nei confronti dell’alleato: il socialismo, secondo il Cremlino, è sinonimo di sovietizzazione, cioè di assimilazione alle caratteristiche del sistema politico ed economico sovietico; in

43 Volny S., Blick Zeitung, Zurigo, 23.09.1968 44 Eidlin F., ibid., p. 325

45 Czechoslovak Academy of Science, ibid., p. 109-112

46 Il testo del Protocollo si trova in P. Tigrid, Why Dubček Fell, TBS Book Service, Londra, 1971, pp. 293-298

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22 questo senso, l’ala di Dubček è controrivoluzionaria, perché, affinché l’assimilazione riesca, i pilastri dello stato comunista devono rimanere tutti intatti. Questi pilastri sono: l’egemonia e l’autorità del Partito Comunista; il livello alto di centralizzazione all’interno del Partito, imposto grazie alla disciplina e un dibattito condotto dall’alto; censura politica dei mezzi di comunicazione.

L’ala riformista di Dubček rimane al potere fino al 1969 secondo i termini del Protocollo, mantenendo la legittimità del regime e assicurando all’URSS la cooperazione volontaria del popolo cecoslovacco. Nel 1969 Dubček viene sostituito da Gustav Husák alla guida del KSČ, il quale, già Segretario del Partito Comunista Slovacco dal 1968, rimane in carica fino alla fine del 1987, affiancando questo incarico a quello di Presidente della Repubblica Socialista tra il 1975 e l’89.

La Normalizzazione, che Šimečka chiama obnovenie poriadku, restaurazione dell’ordine48, rappresenta la ripresa completa del controllo del Paese da parte del KSČ, e, nonostante la società speri in un ritorno delle libertà democratiche, il nuovo status quo viene accettato senza particolari proteste, piuttosto con un senso di rassegnazione ed accettazione.49

Molti cittadini cecoslovacchi lasciano il Paese negli anni ’70 e supportano i dissidenti in patria, dove l’iniziativa più importante è la Charta 77, petizione circolata nel 1977 dopo l’arresto di alcuni componenti della band Plastic People of the Universe.

Gli anni ’70 nell’Europa socialista

Un quadro generale delle Repubbliche socialiste negli anni Settanta mostra una grande dissonanza tra i valori espressi dai Partiti Comunisti locali e quelli reali dei popoli, come se la sovietizzazione, o stalinizzazione, di questi riuscisse negli anni solo in virtù di quei pilastri succitati, e non per un reale convincimento dei cittadini: per questo motivo, una riduzione dell’educazione al marxismo e delle strutture del Partito e dello Stato non è pensabile, soprattutto dopo la fallimentare esperienza sovietica, ma questa dicotomia strutturale tra popolo e Partito è

48 Šimečka M., op. cit., p. 9

49 Cashman L., “Remembering 1948 and 1968: Reflection on two pivotal years in Czech and Slovak history”, Europe-Asia Studies, vol. 60, n. 10, 2008, p. 53-55

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23 importante per capire l’origine e l’incidenza della cultura dissidente tra il 1968 e la fine dei regimi socialisti in Europa centro-orientale.

In questo quadro, la Jugoslavia è un’eccezione, perché l’ideologia ufficiale e i suoi valori vengono modificati negli anni in modo maggiore rispetto ad altri Paesi dell’Europa centrale, affinché si allineino meglio ai valori e alla cultura della maggioranza della popolazione; la persistenza di una forte coscienza nazionale, la rivalità tra i gruppi etnici, e la prevalenza di credi religiosi sono punti importanti nella situazione iugoslava degli anni ’70: un sondaggio del 1969 mostra l’incidenza della fede religiosa del 25-30% tra i colletti bianchi sloveni, 50-60% tra gli operai e 92% tra i contadini, mentre, negli stessi anni, la conoscenza dei fondamenti politici del socialismo precipita vertiginosamente, e un sondaggio pubblicato nel 1972 mostra che il 70% degli studenti di scuola secondaria di Belgrado non conoscono il nome dei fondatori del marxismo.50

In Cecoslovacchia i dati della fine degli anni ’60 parlano di un grande attaccamento al socialismo, sebbene nelle domande dei questionari il “socialismo” non sia ben definito: quasi certamente, il sistema socioeconomico socialista significa, per gli intervistati, la proprietà pubblica e comune dei mezzi di produzione, le politiche sociali statali, e la sicurezza del lavoro; se nel 1946 un quinto dei cechi vota a favore di un candidato pro-capitalismo, nel 1968 quasi nessuno si augura un ritorno del capitalismo su larga scala, nonostante l’espandersi delle campagne di legalizzazione dei piccoli business privati.

Il nuovo orientamento politico non è solo un adattamento alla realtà economica socialista, o il frutto del successo delle politiche sociali da parte del Partito: i numeri parlano di un rafforzamento del pensiero che, in termini sovietici, si definisce come socialdemocrazia o democrazia borghese. Infatti, nel 1968, Tomáš Masaryk è ritenuto dall’81% della popolazione cecoslovacca la personalità più importante nella storia del Paese, ed il periodo della sua presidenza, il migliore in termini di pluralismo e democrazia. 51

50 Dyker D., “Yugoslavia: Unity out of Diversity?”, in A. Brown et al., Political Culture and Political

Change in Communist States, Macmillan and Holmes and Meier, Londra, 1977

51 Tutti i dati si trovano in Vztah Čechů a Slováků k dějinám dell’Istituto di Opinione Pubblica dell’Accademia Cecoslovacca delle Scienze ČSAV, Praga, 1968

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24 In Ungheria emerge il relativo fallimento delle politiche di socializzazione: un’indagine sulla gioventù ungherese nel 1968 rivela che il 32% dei giovani crede in Dio, e 66% si considera prevalentemente “materialista”; solo il 14% del 66% crede nei valori del socialismo, mentre la conoscenza della struttura dello Stato e della politica contemporanea appare scarsa.52

La Polonia degli anni Settanta evidenzia il generale sostegno popolare al socialismo, inteso, come in Cecoslovacchia, nel senso di proprietà comune dei mezzi di produzione industriali, welfare, e sicurezza lavorativa, ma i risultati delle indagini indicano anche una forte impopolarità del Marxismo come discorso teoretico imposto. Inoltre, solo il 27% dei lavoratori agricoli nel 1969 vede nella collettivizzazione dei terreni e nelle fattorie statali il futuro dell’agricoltura, mentre le inchieste del 1973 indicano come cattolici la chiara maggioranza dei polacchi.53 Per quanto riguarda la Repubblica Democratica Tedesca, i dati a disposizione evidenziano, anche in questo caso, delle mancanze nell’educazione al socialismo da parte delle autorità: per esempio, un’indagine del 1970 sugli studenti di scuola secondaria del Magdeburgo per capire se questi abbiano assorbito il significato di libertà proposto dalle autorità, mette in luce una altissima percentuale di risposte ideologicamente scorrette; il significato ufficiale di “libertà” insegnato a scuola è “libertà è comprendere il necessario”, e lo 0% degli alunni tra i 12 ed i 14 anni in Magdeburgo risponde esattamente, mentre intorno al 40% di questi fornisce risposte analoghe, il 50% concepisce la libertà come libertà individuale, ed il 10% non sa definire il termine.54

In generale, i dati raccolti nelle inchieste svolte tra la fine degli anni 1960 e la metà degli anni Settanta, indicano che anni di controllo autoritario su mezzi di comunicazione ed educazione scolastica non producono necessariamente i cambiamenti sperati dalle leadership politiche in ordine di valori e morale popolare: con una politica sociale orientata al welfare e più egalitaria, un controllo

52 Toma P., Politics in Hungary, Freeman, San Francisco, 1977, p. 143-146

53 Kolankiewicz G., R. Taras, “Poland: Socialism for Everyman?”, in Brown, Gray et al., Political

Culture and Political Change in Communist States, op. cit., pp. 107-109, 111

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25 più comprensivo e meno orientato ideologicamente, i governi comunisti avrebbero probabilmente avuto successo.55

Infatti, in tutti i Paesi citati, appare chiaro che tutto ciò che è stato conquistato è l’accettazione di alcune politiche sociali che sono state portate avanti negli anni, mentre i fondamenti ideologici marxisti-leninisti, ancora a metà anni ’70, sono ben lontani dall’essere stati assimilati dalla massa, incerta e confusa su concetti che si presumono perfettamente familiari e ben definiti per i cittadini sovietici.56

Nel suo articolo del 197957, Archie Brown descrive un quadro generale delle società nei paesi del blocco socialista negli anni ’70; in particolare, parla della seconda economia e della sua forza nella vita quotidiana dei cittadini sovietici e non: il mercato parallelo, legale semilegale e illegale, modifica in modo sostanziale il sistema economico socialista, e la portata dell’attività illegale si stima essere, a metà anni ’70, di almeno un terzo dell’intera attività economica.58

In Ungheria la leadership di Kadar segue una politica distintamente etnica, prestando particolare attenzione ai simboli della nazionalità ungherese, e procedendo a riforme economiche più radicali dell’intero blocco sovietico dopo la Primavera di Praga, e con la politica culturale più rilassata: la decentralizzazione economica, il diritto di libera vendita di prodotti concesso ai contadini, e l’azzeramento del divario tra operai industriali e lavoratori agricoli, permettono il successo delle politiche economiche ungheresi, grazie alla disponibilità dei beni di consumo e ad un accresciuto potere d’acquisto della popolazione. 59

La crisi polacca del 1970 dovuta all’innalzamento dei prezzi del cibo, e la conseguente caduta del governo Gomułka, trovano risposta nella leadership di Gierek, che pone l’accento sul carattere nazionalista della Polonia e sull’economia interna; il Paese assiste ad una nuova apertura alla Chiesa cattolica e, dopo le ulteriori proteste del ’76, ad un aumento dei prezzi più modesto.

55 White S., “Political Socialization in the USSR: A Study in Failure?”, Studies in Comparative

Communism, n. 10, 1977, p. 334-336

56 Gitelman Z., “Soviet Political Culture: Insights from Jewish Emigrés”, Soviet Studies, n. 29, 1977, p. 564

57 Brown A., “Eastern Europe: 1968, 1978, 1998”, op. cit., pp. 157-159 58

Smith H., The Russians, Ballantine Books, N.Y., 1976, p. 108 59 Toma, “Politics in Hungary”, op. cit., p. 152

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26 La Cecoslovacchia della Normalizzazione vede un miglioramento sostanziale dello standard di vita, nonostante la crescita economica del Paese sia accompagnata da una crescita rapidissima della corruzione e della persecuzione politica, con decine di migliaia di cittadini allontanati da istituzioni ufficiali, posti di lavoro e istituti di educazione.

La normalizzazione, per cechi e slovacchi, significa depoliticizzazione: dopo l’esperienza storica di autonomia politica e la recente stagione di risveglio relativamente democratico, la passività dei cittadini cecoslovacchi diventa l’unica alternativa alla persecuzione.60

La leadership rumena, non potendo contare su beni materiali, gioca la carta del sentimento nazionale, sebbene il territorio non sia etnicamente omogeneo: Ceauşescu guida uno dei Paesi più politicamente repressivi ed economicamente arretrati d’Europa, ma difende vigorosamente l’autonomia nazionale rumena dalle interferenze straniere, soprattutto dalle pressioni sovietiche, mantenendo il Paese unito ed il sostegno popolare al suo governo alto.61

Nella Repubblica Democratica Tedesca avviene invece l’opposto: il governo socialista deve essere particolarmente cauto nel fare appello a sentimenti nazionali e nell’evocare i ricordi peggiori, perché il ruolo dell’Armata Rossa durante la II Guerra Mondiale e la costante pressione tedesca, agli occhi di molti cittadini, è l’unico fattore che legittima il potere sovietico in Europa orientale. Richard Davy scrive, infatti, che la Germania Est è Germania, ed il suo governo cerca di sviluppare un senso di identità nazionale parlando di tradizione rivoluzionaria tedesca, per questo, i cittadini che conoscevano la Germania prima della guerra, trovano che la DDR sia più simile a sé stessa della sua vicina americanizzata, più prussiana.62

Il riconoscimento come stato sovrano della Repubblica Democratica da parte degli Stati occidentali, nel 1972, migliora le relazioni con la Repubblica Federale, ed aumenta il prestigio della DDR all’interno del Blocco; la crescita economica negli anni settanta è particolarmente importante nel contesto dell’Europa orientale,

60 Brown A., op. cit., pp. 159-160 61

Tőkes R., Eurocommunism and Detente, New York University Press, New York, 1978, pp. 54-56 62 Davy R., “East Germany: View from both sides of the Wall”, The Times, Londra, 20.09.1977

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27 come quella della Repubblica Federale nel contesto dell’Europa occidentale, ma i cittadini della Germania Est rimangono delusi dal loro standard di vita, paragonandolo a quello dei vicini ad ovest, piuttosto che al resto degli Stati comunisti.63

In Jugoslavia le discussioni politiche ed il dibattito sono permessi in modo più libero ed aperto rispetto agli altri Paesi socialisti; dopo la crisi dei primi anni Settanta, il grado di pluralismo politico viene gradualmente ridotto, ma non sparisce del tutto, e decentralizzazione, economia di mercato, e, soprattutto, particolarismi etnici e religiosi, evidenziano la devianza dall’ortodossia marxista. 64 La situazione dell’Europa centro orientale dei primi anni Ottanta vede stati socialisti retti da leader con un grado variabile di popolarità, tra il grande sostegno popolare in Jugoslavia a Tito, al poco amato Husák in Cecoslovacchia; in ogni Paese, eccetto, forse, la Bulgaria, il signoraggio sovietico è mal sopportato, ma il potere militare, politico ed economico dell’URSS è una condizione necessaria per la continuamento del sistema sovietico.

È ovunque possibile vivere una vita relativamente normale, che renda il sistema tollerabile per la maggioranza della popolazione, sottolinea Davy nel 1977, sebbene cibo e prodotti di base non siano sempre disponibili; a condizione che non si sfidi apertamente il governo, si possono vivere vite private tranquille, perché persecuzioni politiche e torture, continua Davy, sono rare.65 Criminalità, disoccupazione, e inflazione hanno tassi di incidenza bassissimi, mentre i servizi di welfare di base e opportunità di educazione più accessibili sono previsti dal sistema stesso.

La differenza tra l’esperienza storica degli stati socialisti e quella dell’URSS è grande: i cittadini sovietici possono identificare il patriottismo sovietico col nazionalismo russo, i cui significati si rafforzano a vicenda; i cittadini polacchi, tedeschi, ungheresi e cecoslovacchi si identificano invece nella tradizione intellettuale occidentale e nel comune patrimonio culturale. Infatti, la Polonia vive tre momenti di crisi e ribellione alle autorità statali nel ’56, ’70 e ’76; l’Ungheria

63 Zimmerman H., “The GDR in the 1970s”, Problems of Communism, n. 27, 1978, pp.38-40

64 Rusinow D., The Yugoslav Experiment: 1948-1974, Hurst [for the Royal Institute of International Affairs], Londra, 1977, pp. 245-270

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28 vede una rivolta popolare soppressa nel ’56, ma anche un graduale processo di accomodamento tra Partito e cittadini, e una serie di concessioni che moderano l’autoritarietà del governo; la Cecoslovacchia vive un’invasione relativamente pacifica delle forze alleate, indicante la profondità dei cambiamenti del sistema e delle risorse politiche ed intellettuali che avrebbe potuto causare.

Società socialiste negli anni Ottanta

Caratteristiche generali comuni a tutti gli Stati a regime socialista tra gli anni Settanta e Ottanta sono il rallentamento della mobilità sociale, l’alto livello di formazione scolastica ed universitaria, le influenze politiche e culturali internazionali, i problemi nel campo dell’opinione pubblica, e la coscienza nazionale: questi sono i tratti che influenzano il cambiamento socio-politico dei Paesi del Blocco socialista.

Il rallentamento della mobilità sociale ha due aspetti principali. Il rapido incremento della forza lavoro industriale, la grande espansione delle istituzioni educative e l’aumento dei lavori impiegatizi, porta ad assunzioni su larga scala di lavoratori di origini contadine e, simultaneamente, alla prima generazione di intellighenzia di origini operaie negli anni ’50.66

Se la rapida ascesa della mobilità sociale è la misura di supporto al sistema in quei cittadini riconoscenti per l’innalzamento dello standard di vita e della posizione, la conseguente frenata della mobilità produce invece, nella generazione successiva, intellettuali e lavoratori le cui aspettative e termini di paragone sono profondamente diversi da quelli della generazione precedente, e la diretta conseguenza è la rinascita di una coscienza di classe.67

L’urbanizzazione e l’espansione capillare del sistema educativo alzano la soglia generale dell’alfabetizzazione e dell’educazione, nonostante i vincoli rigorosi dell’ideologia marxista-leninista insegnata, ed il livello culturale dell’intellighenzia

66 Connor W., “Social change and Stability in Eastern Europe”, Problems of Communism, n. 26, 1977, p. 24

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29 tecnico-scientifica dell’Europa centro-orientale è simile a quello della controparte occidentale.

L’innalzamento del livello culturale è importante per due ragioni: prima di tutto, perché significa che i cittadini possono essere ingannati meno facilmente, ed in secondo luogo, perché questi chiederanno di avere effettivamente voce nel processo politico ed amministrativo del Paese, come succede nella Cecoslovacchia del 1968.68

Influenze politiche e culturali tra nazioni sono in larga misura il prodotto dell’avanzamento economico e tecnologico: trasmissioni radiofoniche e televisive occidentali e turismo sono la principale fonte di informazioni per la nuova classe media del Blocco e per la propagazione di miti e stili di vita.

In questo contesto però si inserisce anche il problema dell’opinione pubblica, perché l’assenza di competitività in politica, di interessi dei gruppi anonimi, e di libertà di protesta, alla presenza invece di censura dei mezzi di informazione, non permettono ai Partiti Comunisti di sapere cosa il popolo realmente pensa e pretende dalla leadership69.

Un forte senso di coscienza nazionale e di identificazione in tradizioni e simboli, in particolar modo in quelli di indipendenza nazionale, sono una caratteristica vitale delle società dell’Europa orientale, la cui sovranità è costantemente minacciata dal sistema sovietico: la spinta nazionalista tende ad essere diretta contro l’URSS, e contro il modello sovietico che appare un’imposizione aliena, e in modo particolare questo accade in Cecoslovacchia, Polonia e Ungheria dopo il 1968. All’interno dell’Unione Sovietica, inoltre, negli anni ’70 e ’80 la stabilità viene minacciata dalle crescenti richieste delle minoranze etniche.70

Negli anni Ottanta i fattori di cambiamento producono società che si spingono lontano dal modello sovietico, verso misure di democrazia e un sistema politico socialista e pluralistico. Le basi sociali delle tendenze riformiste nelle strutture di potere dei Partiti diventano sempre più forti negli anni Ottanta, e l’intellighenzia

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Medvedev R., Let History Judge: The Origins and Consequences of Stalinism, Macmillan, Londra, 1972, p. 428-29

69 Brus W., Socialist Ownership and Political System, Routledge & Kegan Paul, Londra, 1975, p. 193 70 Newth J.A., “Demographic Developments”, in Brown, Kaser et. al., The Soviet Union since the Fall of

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30 assume un ruolo centrale nel contatto tra le pressioni sociali dal basso e le decisioni dei governi.

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