Sommario iii
1 Introduzione 1
1.1 L’evoluzione del sistema elettrico . . . 1
1.2 Energy Storage Systems . . . 7
1.3 Impianti di pompaggio . . . 10
1.4 CAES . . . 12
1.5 I sistemi ibridi . . . 16
2 Sistemi LAES 19 2.1 LAES come evoluzione del CAES . . . 19
2.2 Stato dell’arte . . . 23
3 Il sistema in esame 33 3.1 L’impostazione del software . . . 36
3.2 Caso conclusivo . . . 49
4 Risultati 54 5 Conclusioni 64 Bibliografia 65 Appendice 72 L’impianto pilota di Birmingham . . . 72
La liquefazione dell’aria, stato dell’arte . . . 75 i
Il crescente apporto di energia da parte di impianti alimentati da fonti rin-novabili non programmabili ha cambiato il modo in cui deve venire gestito il sistema elettrico; per rendere possibile un ulteriore sviluppo di queste tecno-logie è necessario inserire sulla rete dei sistemi di accumulo energetico. Gli attuali sistemi di accumulo di grande taglia (PHES e CAES), tuttavia, pre-sentano limiti di natura economica, gestionale e nell’individuazione del sito, e non sempre sono adatti a far fronte alle nuove esigenze.
Tra i sistemi di accumulo sotto studio, una prospettiva interessante è rap-presentata dai sistemi LAES (Liquid Air Energy Storage) in cui l’accumulo è realizzato sotto forma di aria in fase liquida. Nei momenti di scarsa do-manda, l’energia elettrica è utilizzata in un ciclo criogenico per la produzione di aria liquida che è accumulata in questa forma. Quando necessario, l’aria viene prima messa in pressione mediante una pompa, quindi fatta evaporare ed espandere in turbina con un recupero energetico.
In letteratura sono presenti molti studi riguardo l’utilizzo come fluido di potenza, nel ciclo di recupero, dell’aria liquida, nel suo insieme, e del solo ossigeno liquido, opportunamente separato. L’obiettivo di questa tesi è la realizzazione di un sistema LAES in cui i due componenti principali dell’a-ria, l’ossigeno e l’azoto, siano utilizzati separatamente sfruttando il poten-ziale chimico, attraverso una combustione con gas naturale, del primo ed il potenziale fisico del secondo.
Sono state eseguite simulazioni, mediante l’utilizzo del software Aspen HYSIS, il cui risultato è stato un impianto con una efficienza di roundtrip compresa tra il 62% ed il 65%. Nel caso di utilizzo del solo ossigeno nel ciclo di potenza l’efficienza raggiunta è pari al 68% alla luce del minor costo
1.1
L’evoluzione del sistema elettrico
A causa dello sviluppo industriale della società, si è registrato un continuo aumento della temperatura media globale provocato delle emissioni in atmo-sfera legate alle attività umane. Al fine di contenere l’aumento di temperatu-ra entro i 2◦C rispetto all’epoca preindustriale, come previsto dagli accordi
di Parigi, è necessario ridurre in modo ingente le emissioni di gas serra in atmosfera. Dal momento che il settore della produzione di potenza è re-sponsabile della maggiore quantità di emissioni, proprio su di esso sono stati concentrati molti sforzi finalizzati a ridurre il consumo di combustibili fossili per la produzione di energia elettrica attraverso una graduale sostituzione di impianti tradizionali con impianti alimentati da fonti rinnovabili.
Il report del 2017 stillato dal REN21 [1] mostra come la penetrazione da rinnovabili sia aumentata continuamente, specialmente per quanto riguarda la fonte solare e la fonte eolica. Nel corso del 2016 la capacità produttiva da fonti rinnovabili è stata incrementata di 161 GW,il 62% rispetto alle nuove installazioni, circa il 9% della potenza complessivamente installata a fine 2015: oggi nel mondo si installano più impianti di potenza alimentati da fonti energetiche rinnovabili che da fonti fossili, inoltre, con il progresso nella tecnica il costo medio delle tecnologie rinnovabili è molto calato rispetto al passato e insieme ad esso anche il costo di produzione [2].
La tecnologia che ha guidato la crescita è stata il fotovoltaico, che ha visto un aumento della capacità installata di circa 75 GW nel corso del 2016, segui-to dall’eolico con 54 GW e dall’idroelettrico con 25 GW. L’energia elettrica
Figura 1.1: Stima della suddivisione dell’energia elettrica globalmente prodotta da fonti rinnovabili, [1]
Figura 1.2: Evoluzione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili nel corso degli ultimi anni e scenari futuri, fonte IEA [2]
prodotta da fonti rinnovabili è in costante crescita, al punto che nel 2016 ha raggiunto gli oltre 6000 TW h corrispondenti circa al 25% rispetto all’energia elettrica complessivamente prodotta nel mondo, Figura 1.1. Il grafico 1.2 illustra come l’energia elettrica generata da FER nel 2016 fosse già al pari di quella generata mediante la combustione del gas naturale, mentre il gap con il carbone si accorcia di anno in anno.
Questi trend di crescita sono dovuti in special modo ai paesi in cui la potenza installata da fonti rinnovabili è ancora minima rispetto al parco di generazione nel suo insieme.
dell’ordi-ne del 50%, è difficile immaginare un ulteriore sviluppo senza l’introduziodell’ordi-ne in parallelo di sistemi adatti a gestire le problematiche legate all’aleatorietà di questi impianti. Basti pensare che in paesi come Danimarca e Germania , caratterizzati da un alto livello di penetrazione, in più occasioni è stato ne-cessario ricorrere al distacco degli impianti di generazione rinnovabile o alla vendita oltre confine dell’energia elettrica ad un prezzo negativo per evitare problemi sulla rete elettrica [3].
Un caso emblematico per capire la portata delle nuove sfide è quello del parco produttivo italiano. A partire dal 2005, per via di importanti incen-tivazioni, si è assistito ad una enorme diffusione di impianti alimentati da fonti rinnovabili. La capacità complessiva del parco di generazione nazionale è stimabile in circa 120 GW a fronte di un carico che oscilla tra i 20 GW ed i 60 GW. Complessivamente si hanno circa 30 GW di impianti fotovoltaici ed eolici non programmabili, che godono della priorità di dispacciamento, colle-gati prevalentemente in BT, MT ed AT. Questa distribuzione degli impianti di generazione ha comportato, negli ultimi anni, una maggiore insorgenza di congestioni dovute alla risalita di potenza dalle linee di distribuzione a quelle di trasmissione [4, 5].
Inoltre, un incremento massiccio di impianti fotovoltaici installati provo-ca la formazione della cosiddetta "Duck Curve", già osservata in California e nelle Hawaii [6], consistente in una ripida rampa serale dovuta alla concomi-tanza tra la fine del contributo dovuto agli impianti fotovoltaici e all’aumento della potenza richiesta 1.3 nella pagina seguente. L’inseguimento del carico in queste condizioni risulta complesso a causa delle lente dinamiche dei grandi impianti tradizionali.
L’alto livello di aleatorietà e le altre problematiche analizzate, associa-ti ad un siffatto parco di generazione hanno modificato le modalità con cui è esercito il sistema elettrico, premiando gli impianti caratterizzati da una maggiore flessibilità. A riprova di ciò è sufficiente notare come in seguito al boom delle rinnovabili i grandi cicli combinati abbiano lavorato per un nume-ro di ore equivalenti sempre più esiguo, raggiungendo a stento le 1000 h/anno nel 2016 [4].
Figura 1.3: Duck curve, andamento del carico residuo in California dovu-to all’effetdovu-to della grande produzione fodovu-tovoltaica. Da notare la penden-za crescente della rampa serale difficile da essere seguita dagli impianti tradizionali [6].
(a) Giorno feriale tipo (b) Giorno festivo tipo
Figura 1.4: Curva di domanda per un giorno feriale ed uno festivo al variare della stagione: colore blu = periodo estivo, colore rosso = periodo invernale, colore verde = mezze stagioni
(a) Riduzione dell’energia prodotta da unità variabili
(b) Andamenti del costo degli impianti di produzione
Figura 1.5: Riduzione dell’energia prodotta da unità variabili e andamenti del costo degli impianti di produzione in funzione del grado di penetrazione sull’energia totale prodotta annualmente per tre Fattori di Flessibilità, fonte: ENEA [7]
di approvvigionarsi una maggiore quantità di riserva per poter garantire l’e-quilibrio tra produzione ed utilizzazione e la qualità del vettore. Questo si riflette in un maggior prezzo dell’energia elettrica per il consumatore finale.
La Figura 1.5 a) riporta la percentuale di unità di generazione variabi-li da distaccare in funzione del contributo della generazione rinnovabile sul totale dell’energia annua richiesta prendendo come parametro il fattore di flessibilità della rete, si vede chiaramente come ad una maggiore flessibilità corrispondano minori distacchi e quindi un minor spreco di energia. Il di-stacco di unità di generazione variabile, inoltre, si percuote sul costo delle
guimento di questo obiettivo gestionale è attuabile solo se si ha la possibilità di scambiare con la rete elettrica, una determinata potenza ad un determi-nato istante, quindi i sistemi basati su fonti aleatorie per poter far fronte a questo obiettivo vanno integrati con sistemi suppletivi in grado di integra-re la potenza mancante ed assorbiintegra-re la potenza in eccesso rispetto a quella prevista dal diagramma.
Per questo scopo si può optare per una soluzione basata su macchine tra-dizionali, per esempio un motore Diesel, per integrare la potenza prodotta dalla fonte rinnovabile, e eventualmente su carichi regolabili per assorbire la potenza in eccesso. Una struttura di questo tipo comporta un sovradi-mensionamento dei sistemi integrativi ed una complessa gestione dei flussi di potenza, specialmente per la difficoltà di gestire i carichi regolabili.
L’alternativa è quella di inserire un accumulo gestionale per poter con-trollare i flussi di potenza in modo da assorbire il surplus ed integrare la produzione della fonte rinnovabile quando necessario. Un aspetto fondamen-tale di questi sistemi è la scelta del tipo di serbatoio e di vettore intermedio più adatto. In particolare, attraverso le esperienze effettuate con i sistemi di accumulo energetico in aria compressa (CAES), si è visto come l’introdu-zione di un combustibile ausiliario si possa ottenere un deciso miglioramento delle prestazioni del sistema; il risultato complessivo è un sistema ibrido rinnovabile - accumulo - fossile.
L’obiettivo di questa tesi è quello di analizzare dal punto di vista ener-getico un sistema ibrido in cui l’energia è accumulata in forma di aria li-quida (LAES) e i due flussi di ossigeno ed azoto sono utilizzati separata-mente per produrre potenza, sfruttando il potenziale chimico del primo, con l’integrazione di un flusso di GNL, e il potenziale fisico del secondo.
1.2
Energy Storage Systems
Un sistema di accumulo è un sistema fisico in grado di conservare e scambiare energia con un altro sistema; è formato da due strutture, un serbatoio ed un sistema di scambio.
Il serbatoio è caratterizzato da una capacità (C) definita come la massima energia incamerabile nel serbatoio stesso. La quantità di energia contenuta nel serbatoio in un istante generico è definita come stato di riempimento (sta-to di carica, nel caso di accumula(sta-tori elettrochimici). Il sistema di scambio è caratterizzato dal numero di porte con cui scambia (in genere una o due) e dalla massima potenza con cui può scambiare su ciascuna porta. Nel caso della presenza di una sola porta il flusso di potenza scambiata è, in tem-pi diversi, di segno opposto e le potenze massime scambiabili nei due versi possono essere diverse.
L’inserzione di un accumulo consente di trasferire l’energia nelle varie fasi del processo energetico, dalla fonte all’utilizzazione, e di sincronizzare la disponibilità dell’energia nella forma richiesta con l’utilizzo.
Attraverso l’inserzione di accumuli, il surplus di energia prodotto dalle fonti rinnovabili può essere immagazzinato evitando il distacco delle unità di generazione, per poi essere ceduto in momenti in cui la potenza richie-sta alla rete è elevata. Inoltre, il SO può utilizzare gli accumulatori come punti di generazione/carico per il mantenimento dell’equilibrio di sistema nell’esercizio.
I sistemi di accumulo possono essere classificati in base a svariate carat-teristiche come ad esempio il modo in cui è accumulata l’energia all’interno del serbatoio (energia meccanica, termica, chimica).
Una classificazione che funzionale a questo studio riguarda la modalità di impiego degli accumulatori. Questi possono essere suddivisi in due categorie: gli accumulatori adatti a fare un servizio in potenza, caratterizzati da un alto rapporto tra potenza erogabile e capacità, e quelli adatti a fare un servizio in energia, caratterizzati da al contrario da un alto rapporto tra capacità e potenza erogabile.
Figura 1.6: Diagramma di Ragone: confronto tra potenza specifica ed energia specifica [8]
Figura 1.8: Diagramma di Ragone: confronto tra il tempo di scarica e l’energia accumulata [10]
Figura 1.9: Diagramma di Ragone: confronto tra i costi per unità di energia ed unità di potenza [9]
Figura 1.10: Mappa dei servizi ancillari necessari alla rete in relazione alle tipologie di accumulo da installare [11]
Analizzando i diagrammi di Ragone riportati nelle Figure 1.6, 1.7, 1.8, 1.9 è possibile notare come le varie tecnologie di accumulo differiscano tra di lo-ro sotto molti aspetti. La scelta della tipologia di storage da utilizzare è un problema economico legato alle necessità di impiego. Dalla Figura 1.9 nella pagina precedente emerge il fatto che per realizzare un accumulo con una elevata capacità energetica i sistemi più economici risultano essere i CAES ed PHES, caratterizzati, tuttavia, da bassi valori di energia e potenza speci-fiche, Figura 1.6 a pagina 8, sorge quindi la necessità di impiegare serbatoi di grandi dimensioni, spesso non economicamente convenienti da realizzare. Storicamente si utilizzano serbatoi naturali soggetti a vincoli geografici, ba-cini idrici naturali o artificiali per i sistemi di pompaggio e grotte sotterrane per i CAES [7–9, 12–14].
1.3
Impianti di pompaggio
Gli impianti di pompaggio, PHES (Pumped Hydroelectric Energy Storage), rappresentano la tecnologia di accumulo energetico storicamente più utilizza-ta e tecnicamente matura. Con una potenza globalmente insutilizza-tallautilizza-ta di circa 130 GW [8], il PHES rappresenta oltre il 99% della capacità installata e
con-tribuisce a circa il 3% della produzione globale. Un impianto tipico usa due riserve d’acqua poste a diversi livelli di altezza. Durante il periodo di minimo carico della rete l’acqua è pompata dal bacino inferiore a quello superiore, durante il picco l’acqua è fatta defluire attraverso una turbina con produzione di potenza. L’ammontare dell’energia accumulata dipende dalla differenza di altezza tra i due serbatoi e dal volume totale di acqua immagazzinata. Glo-balmente sono presenti impianti di pompaggio di varie taglie, da 1 MW fino a oltre 3000 MW.
I vecchi impianti di generazione erano caratterizzati da una turbina con un rendimento stimabile nel 90% e pompa con un rendimento del 80% con un ηRT
complessivo del 65-70% circa. Gli impianti più recenti riescono a raggiungere un rendimento complessivo pari all’85% [8, 13]. Gli impianti di questo tipo solitamente lavorano su grandi salti geodetici, di conseguenza hanno bisogno di macchine dinamiche caratterizzate da un elevato numero di giri specifico, storicamente si utilizzano quindi turbine Pelton, irreversibili, accoppiate con una pompa centrifuga per la fase di carica. Nel caso di storage a livelli più bassi può essere utilizzata anche una turbina di tipo Francis reversibile.
Il problema principale associato a questa tecnologia risulta essere la ne-cessità di un sito adatto per la realizzazione del bacino. Per gli impianti di questo tipo, infatti, i costi di installazione diventano sostenibili economica-mente solo realizzando un grande accumulo, e poiché l’energia accumulata nello storage è direttamente proporzionale alla quantità massima di acqua presente nel bacino superiore e al dislivello tra i due serbatoi, per ottenere una buona capacità è necessario realizzare uno storage di grandi dimensioni ad una altezza elevata.
Le dinamiche associate ad una produzione distribuita risultano estrema-mente variabili e non riescono ad essere seguite dagli impianti a bacino che risultano troppo lenti per gestire i tempi caratteristici e le oscillazioni date dalle fonti rinnovabili non programmabili. All’inizio degli anni 2000 era pre-visto un grande sviluppo nel campo degli impianti di pompaggio, invece si è notato il continuo decremento dell’energia immessa in rete in corrispondenza dell’incremento della produzioni da fonti rinnovabili, Figura 1.11 [4].
Figura 1.11: Energia destinata al pompaggio e l’energia prodotta da impianti eolici o fotovoltaici [4]
Figura 1.12: Schema dell’impianto CAES ibrido di Huntorf, Germania [15]
1.4
CAES
I sistemi di accumulo energetico in aria compressa (Compressed Air Energy Storage), insieme agli impianti di pompaggio, sono gli unici sistemi di accu-mulo energetico esistenti adatti, da un punto di vista economico (Figura 1.9), ad immagazzinare un ingente quantitativo di energia. Il sistema è basato sul disaccoppiamento del ciclo Bryton e la separazione tra la fase di compressione e la fase di espansione. Il concetto di CAES fu esposto per la prima volta nel 1949 quando la STAL LAVAL ha registrato il primo brevetto di un sistema
ad aria compressa che utilizzava una caverna sotterranea per immagazzinare l’aria [16].
Nei momenti di minimo carico, l’aria è portata ad una pressione tipica-mente compresa tra 4 e 8 MPa da un treno di compressione, quindi è stoccata in un serbatoio adibito al contenimento (CAS), solitamente una grotta sot-terranea impermeabile, per via del grande volume richiesto. Per estrarre energia dalla caverna, l’aria è fatta espandere attraverso una turbina dopo eventuali recuperi termici. In configurazione ibrida, la temperatura dell’aria è alzata grazie all’inserzione di un combustibile, in modo da aumentare la densità energetica dell’accumulo ed il rendimento dell’impianto.
Dal momento che l’efficienza dell’impianto dipende dal rapporto tra l’e-nergia liberata durante l’espansione e quella necessaria per effettuare la com-pressione, il punto chiave per migliorare le prestazioni impiantistiche risulta essere la riduzione del lavoro speso per la compressione e l’aumento del lavoro ottenuto dall’espansione.
Al fine di diminuire il lavoro di compressione sarebbe opportuno realizza-re una trasformazione isoterma, tuttavia, vista l’impossibilità di attuarealizza-re una compressione di questo tipo, si utilizzano una serie di compressioni adiabati-che interrefrigerate, eventualmente cercando di accumulare il calore sottratto dagli intercooler in modo da utilizzarlo per alzare il contenuto entalpico del-l’aria in fase di espansione. Vista la discrasia temporale tra le due fasi, questo tipo di accumulo termico può essere realizzato per mezzo di scambiatori ri-generativi. Solitamente anche la fase di espansione è frazionata con uno o più risurriscaldamenti.
Un aspetto fondamentale per questo tipo di impianti è determinato dalla tipologia di storage e dalle capacità; se l’utilizzo di aria compressa accumu-lata in piccole bombole per l’innesco di macchine più pesanti è largamente diffuso, risulta più problematico l’installazione di sistemi di grande taglia per le difficoltà nel reperire una localizzazione adatta per il sistema di storage. In particolare sono adatti allo scopo 3 tipologie di formazioni geologiche: grotte sotterranee rocciose, formate scavando la roccia solida; depositi di sale create per soluzione o drenaggio delle formazioni saline; serbatoi porosi realizzati dalla corrosione dell’acqua delle falde acquifere oppure vecchi giacimenti di
le fasi di carica si ha una pressione variabile, mentre nella fese di recupero si può far lavorare la turbina a pressione costante, mediante un sistema di riduzione dissipativo, oppure modulando la portata in ingresso per sopperire alla diminuzione di pressione.
La configurazione ibrida comporta un innalzamento del rendimento della densità energetica del fluido contenuto all’interno della grotta. Infatti, sia nel caso di espansione isoterma che adiabatica, il lavoro specifico ottenuto è direttamente proporzionale alla temperatura in ingresso in turbina (espressa in Kelvin): facendo espandere aria alla temperatura dell’accumulo si avrà un flusso di gas a circa 300 K, recuperando calore dalla fase di carica si può salire di temperatura, fino anche a 700 / 800 K, con l’utilizzo del combustibile si possono raggiungere le temperature tipiche di un ciclo Brayton, quindi circa 1600 K, teoricamente raddoppiando la potenza estraibile da uno stesso volume di aria compressa. Il disaccoppiamento tra la fase di compressione e la fase di espansione, consente comunque di ottenere in uscita tutta la potenza erogata dalla turbina, mentre in un sistema turbogas tradizionale il compressore arriva ad assorbire anche 2/3 della potenza prodotta.
Nonostante la tecnologia CAES sia matura ed in fase commerciale, nel mondo sono presenti soltanto due impianti di grande taglia, uno a Huntorf, Germania e l’altro a McIntosh, Alabama, Stati Uniti. Entrambi questi im-pianti sono in configurazione diabatica [18], quindi, non si ha un recupero del calore durante l’interrefrigerazione, ma questo viene disperso nell’ambiente.
L’impianto tedesco, il cui schema è riportato in Figura 1.12, è il meno recente tra i due ed è operativo dal 1978; ha una potenza nominale di 290 MW e l’accumulo è formato da una caverna situata in una miniera di sale con un volume di 310 000 m3. L’impianto è dimensionato per un ciclo giornaliero
con 8 ore di carica per il riempimento della miniera con dei compressori da 60 MW che raggiungono una pressione massima di 10 MPa. A pieno carico l’impianto può produrre una potenza di 290 MW per circa 2 ore con un rendimento di round trip pari al 42%.
Il secondo impianto è stato messo in operazione nel 1991. Il CAES ame-ricano accumula aria compressa a 7,5 MPa in una miniera di sale con un volume di 500 000 m3 con una capacità di generazione di 110 MW. Il sistema
può generare continuativamente per 26 ore. Questo sistema è dotato di uno scambiatore recuperativo per utilizzare l’energia termica dei gas di scarico consentendo così un risparmio di combustibile stimabile nel 25% rispetto al sistema di Huntorf e un rendimento pari al 52%.
L’ostacolo principale per la diffusione di questa tecnologia è, come per il PHES, la necessità di un sito adatto per l’installazione nel caso di impianti ad elevata capacità.
I sistemi CAES possono essere utilizzati in abbinamento con impianti ali-mentati da fonti rinnovabili non programmabili, sono infatti caratterizzati da tempi di risposta dell’ordine dei minuti e dalle capacità di accumulo ne-cessarie per gestire un ingente quantitativo di energia [19]. In particolare, sono stati studiati possibili accoppiamenti tra sistemi CAES ed impianti eo-lici di grande taglia al fine di aumentarne la producibilità e quindi abbassare il costo di produzione dell’energia [20, 21].
I sistemi AA-CAES (Advanced Adiabatic CAES) fanno sperare in ef-ficienze decisamente superiori rispetto ai sistemi convenzionali, perciò sono ampiamente studiati. La caratteristica peculiare è l’assenza di combustione e l’implementazione di un sistema di accumulo termico per recuperare il calore disperso nella fase di compressione. Il primo impianto pilota di questo tipo, ADELE, è in fase di sviluppo in Germania. L’impianto avrà una capacità di 360 MWh e una potenza installata di 90 MW con un rendimento di round trip atteso del 70% circa [22].
Molti studi sono in corso riguardo all’identificazione di nuovi strutture per lo storage sotterraneo. Ad esempio, Rutqvist et al. hanno studiato un sistema CAES da 2 MW utilizzando come storage un tunnel in cemento di una miniera abbandonata in Giappone [23]. In Italia l’ENEL stava testando
Figura 1.13: Schema di funzionamento di un sistema ibrido fossile - accumulo - rinnovabile collegato alla rete elettrica
un impianto CAES a Sesta da 25 MW, ma ha dovuto interrompere i test nel a causa di un disturbo geologico [8].
Oltre agli impianti sotterranei di media e grande taglia, sono oggetto di studio anche i piccoli impianti in bombola come alternativa alle batterie per applicazioni industriali, come i servizi di non interrutibilità e i sistemi di back-up.
1.5
I sistemi ibridi
Il sistema CAES rappresenta, un sistema ibrido tra un accumulo puro ed un sistema di generazione tradizionale. Questo abbinamento risulta conveniente al fine di aumentare la densità di potenza e la capacità di energia accumulata in un sistema di storage. In generale, i sistemi ibridi, offrono la possibilità di migliorare le prestazioni, in termini di flessibilità, rendimento, potenza, o energia, rispetto ai tradizionali, con la contropartita di un sistema più complesso da gestire ed esercire.
La Figura 1.13 schematizza un impianto rinnovabile utilizzato in combina-zione con un sistema di accumulo ibrido. L’impianto rinnovabile è collegato ad una linea in corrente continua a cui è collegato anche il sistema di accu-mulo, in questo caso un sistema CAES oppure LAES. Il flusso di potenza generato dalla fonte rinnovabile è unidirezionale, mentre il flusso tra la linea in DC ed il sistema di accumulo è bidirezionale. Il sistema di accumulo è ibrido in quanto si ha un flusso unidirezionale di combustibile in ingresso, nel caso in esame GNL. La rete in DC a sua volta è collegata con la rete elet-trica per mezzo di un inverter, il sistema nel suo complesso è collegato alla rete attraverso una sola porta, la cui peculiarità è la possibilità di consentire un flusso bidirezionale. E’ possibile inserire altri storage sulla linea in DC con dinamiche più veloci, come ad esempio un sistema BES (Battery energy storage)
All’interno del sistema di accumulo il blocco indicato con la lettera C rappresenta il sistema di carica dello storage, quindi per i sistemi CAES è il treno di compressione dell’aria, mentre per i LAES è la sezione criogenica per la produzione dell’aria liquida. Il blocco indicato con la lettera S è il serbatoio vero e proprio all’interno del quale è stoccata l’energia accumulata. Nel caso studiato in questa tesi è costituito da tre serbatoi, uno per l’ossigeno liquido, uno per l’azoto liquido ed uno per il GNL, integrato dal flusso esterno quando necessario. Il blocco indicato con la lettera P rappresenta la sezione di produzione di potenza a partire dall’energia accumulata.
Un impianto di potenza ibrido, in generale, include un mix di sistemi di generazione e accumulo in grado di scambiare una determinata potenza nel tempo rendendo possibile uno scambio secondo un ben preciso diagramma di carico nel caso di collegamento alla rete, oppure rendendo possibile l’insegui-mento del carico nel caso di sistemi isolati [24–26]. Questi sistemi sono stati pensati appositamente per compensare la natura fortemente intermittente delle fonti rinnovabili.
Le possibilità impiantistiche per quanto riguarda questo tipo di impianti sono elevatissime, per questo non è possibile risolvere il problema dell’otti-mizzazione per via analitica, ma solo attraverso ragionamenti pratico-teorici e metodi stocastici, essendo i sistemi ibridi rinnovabile fossile accumulo,
ba-(c) High-frequency AC- Coupled (d) Hybrid-Coupled
Figura 1.14: Diagrammi schematici per le tipologie di collegamenti dei sistemi ibridi [26]
sati su input aleatori. Per il dimensionamento di questo tipo di sistemi in abbinamento tra un accumulatore ed una fonte rinnovabile, si sono espres-si molti autori [27–33], mostrando come il problema non espres-si presti ad una soluzione univoca.
A diverse tipologie impiantistiche possono corrispondere diversi vettori energetici intermedi. Nel caso in esame questo vettore è rappresentato dall’a-ria liquida. Nel caso in cui sia scelto un vettore elettrico si può pensare di fare una prima schematizzazione secondo le modalità di Figura 1.14 utilizzando di volta in volta la corrente continua o alternata in base alle esigenze.
2.1
LAES come evoluzione del CAES
L’esperienza maturata con gli impianti di tipo CAES, analizzati precedente-mente ha aperto la strada ad un altro possibile tipo di sviluppo per i sistemi di accumulo ibridi: il sistema LAES (Liquid Air Energy Storage).
I principali difetti associati agli accumuli in aria compressa sono legati al sito di installazione e alla necessità di disporre di una grotta naturale estremamente capiente e sigillata per evitare eccessivi trafilamenti di aria; inoltre durante la produzione di potenza parte dell’energia estraibile viene dissipata dalla valvola di laminazione necessaria per mantenere costante la pressione del flusso in ingresso alla turbina.
A causa di questi difetti i sistemi di accumulo in aria compressa non hanno subito uno sviluppo ed una diffusione significativi, ed attualmente so-no attivi e funzionanti solo i due impianti discussi in precedenza. I sistemi CAES, tuttavia, sono gli unici sistemi di accumulo esistenti che possano com-petere economicamente con gli impianti di pompaggio per quanto riguarda la capacità energetica. Per questo motivo sono stati fatti molti studi per arginare queste problematiche e un risultato è stato quello di sostituire la fase di compressione con un ciclo criogenico per la liquefazione dell’aria.
Il risultato è un sistema basato su una sezione criogenica per la carica dello storage, un serbatoio (LAS) relativamente semplice da mantenere in quanto il fluido non necessita di essere mantenuto sotto pressione, e una sezione di produzione di potenza in cui l’aria liquida è portata in pressione attraverso l’utilizzo di una pompa e successivamente è espansa in turbina,
Figura 2.1: Schema semplificato di un sistema LAES completo [34] dopo essere stata rigassificata, come riportato nell’immagine 2.1.
L’aria liquida si trova ad una temperatura di circa 80 Kelvin e ad una pressione compresa tra 1,5 e 2 bar, di conseguenza non si hanno problemi per quanto riguarda lo storage, poiché l’unica accortezza necessaria è la realizza-zione di un buon isolamento in modo da contenere le perdite termiche che, con le tecnologia attuali, si attestano sotto l’ 1% di perdita giornaliero [8].
In condizioni criogeniche, inoltre, l’aria allo stato liquido ha una densità circa 700 volte maggiore rispetto alle condizioni ambiente [35], mentre l’aria compressa a 200 bar, se riportata a temperatura ambiente, ha una densità di 200 volte maggiore rispetto alle condizioni ambiente. Va da se che a parità di energia accumulata, il volume del serbatoio di un sistema LAES sarà circa il 25% rispetto ad un CAES, consentendo in questo modo di accumulare ingenti quantità di energia in serbatoi più ridotti che non risultano nemmeno
Tabella 2.1: Tabella riassuntiva dell’articolo [36]
Parameter CAES cycle LAES cycle
Energy consumption during
char-ging 1775 MW h/cycle 790.4 MW h/cycle
Energy generated during recovery 1722 MW h/cycle 1086 MW h/cycle Supplied chemical energy of fuel 2557 MW h/cycle 1200 MW h/cycle
Round trip efficency of the cycle 39,8% 55,2%
Volume of the cavern 310 000 m3
-Volume of the liquid air tank - 5000 m3
Low temperature cold storage - 12000 m3
High temperature cold storage - 2000 m3
Total volume of tanks 310 000 m3 33 000 m3
Unit volume density of stored
energy 180 m
3/M W h 30 m3/M W h
sollecitati dall’alta pressione all’interno.
L’accumulo può quindi essere realizzato in bombole e serbatoi, purché opportunamente isolati, svincolando completamente lo storage dal sito di installazione ed abbassandone i costi. Inoltre, la pressione di esercizio dipen-de esclusivamente dalla pompa e non è funzione dipen-del livello di carica, come avviene nei sistemi CAES.
Krawczyk et al. [36] effettuano un confronto, mediante l’utilizzo del soft-ware Aspen HYSYS®tra due impianti ibridi, un LAES ipotetico ed un CAES
basato sull’impianto da 290 MW di Huntorf in Germania come riportati in Figura 2.2. L’analisi mette in luce i vantaggi e le potenzialità del sistema LAES superiore al CAES in svariati aspetti, riportati in tabella 2.1 nella pagina seguente.
Dal Confronto emerge chiaramente una superiorità del sistema LAES rispetto al CAES per quanto riguarda efficienza e densità energetica.
La possibilità di ricreare un ciclo Brayton disaccoppiando le due fasi di compressione ed espansione rende l’impianto molto più flessibile. È possibi-le dimensionare separatamente il ciclo di carica dello storage ed il ciclo di recupero di potenza in modo da poter rendere l’impianto adatto a più tipi di applicazione, inoltre, la turbina mette a disposizione della rete elettrica
(a) Impianto CAES
(b) Impianto LAES
tutta la potenza generata al contrario del ciclo Brayton classico in cui la fase di compressione assorbe circa 2/3 della potenza erogata dalla turbina. Va inoltre detto che in un sistema LAES il fluido è portato in pressione da una pompa, di conseguenza è possibile raggiungere pressioni più elevate rispetto al caso di Turbogas, dell’ordine di 150 bar contro i 40/50 bar di un turbo-gas tradizionale. A parità di condizioni dell’aria in ingresso alla turbina, un sistema LAES è in grado di generare una potenza più che tripla rispetto ad un generatore turbogas tradizionale. Il costo energetico per la liquefazione è asincrono rispetto alla produzione, di conseguenza non inficia la potenza erogata dal sistema.
Per un sistema LAES completo la liquefazione dell’aria è ottenuta me-diante cicli criogenici basati sulla compressione in più stadi e la successiva espansione in una turbina criogenica, oppure in una valvola, per abbassare la pressione; in queste condizioni l’unica spesa energetica significativa per l’impianto sono i compressori, attraverso i quali il surplus di energia elettri-ca accumulato nel sistema, mentre il recupero avviene mediante la turbina. Per definire l’efficienza di round trip del sistema, quindi, ci si basa sull’e-nergia necessaria all’impianto per la liquefazione di un kg di aria e l’esull’e-nergia estratta dall’espansione della medesima quantità da cui va decurtata la spesa necessaria al funzionamento della pompa criogenica, di solito trascurabile:
ηRound T rip =
EComp
ET urb (2.1)
Nella configurazione di accumulo puro il sistema LAES è basato tipi-camente su un processo Linde oppure Claude, per la liquefazione dell’aria, un serbatoio isolato (LAS) e una sezione di potenza in cui il l’aria liquida è pompata ad alta pressione, fatta evaporare scambiando con l’ambiente, e fatta espandere in una turbina a gas. Senza l’inserzione di accumuli termi-ci tra le due fasi non è possibile recuperare il calore asportato dall’aria nel processo criogenico e il rendimento di Round trip risulta estremamente bas-so [25]. Cercando di migliorare questo sistema di base, bas-sono state studiate varie configurazioni impiantistiche.
2.2
Stato dell’arte
Il principio di funzionamento basato su una tecnica di accumulo criogenica fu ipotizzato dall’Università di Newcastle nel 1977 con un’efficienza di conver-sione del 72%, [37], valore ottimistico ottenuto mediante un accurato studio sul rigeneratore per il recupero dell’accumulo termico.
Al fine di ottenere un’efficienza più elevata rispetto al caso di base, si utilizzano degli accumuli termici intermedi per raccogliere l’energia termica sottratta al flusso d’aria sia nella fase iniziale di compressione inter refri-gerata, sia nella fase di raffreddamento prima del crioespansore. Si ha la possibilità di accumulare calore a due differenti livelli termici, uno ad alta temperatura, utile soprattutto nella fase di produzione di potenza per alzare la temperatura dei gas prima di farli espandere in turbina, ed uno a bassa temperatura, finalizzato a migliorare le prestazioni nella sezione criogenica riducendo il ricircolo d’aria e quindi la portata elaborata dai compressori.
L’unico impianto LAES esistente, è l’impianto pilota di Birmingham, for-mato da un ciclo Claude per la liquefazione, un serbatoio per l’accumulo e da una turbina multi-stadio con risurriscaldamenti. L’efficienza dell’impianto ha raggiunto il valore massimo del 25% [38, 39]. L’azienda che si è occupata della costruzione, la Highview, ha già in progetto un nuovo impianto da 5 MW con un rendimento previsto del 60% [34]. Ulteriori dettagli riguardo l’impianto esistente sono contenuti in appendice.
Guizzi et al., [40], hanno studiato l’effetto sulle prestazioni di un impianto LAES, dell’efficienza isoentropica delle turbine e dei pinch point negli scam-biatori, specialmente per quanto riguarda il lato criogenico del ciclo. Nel layout proposto il punto critico è l’efficienza isoentropica della crioturbina,
necessaria per riportare il flusso d’aria dalle condizioni supercritiche dentro la campana. Considerando un rendimento isoentropico dell’espansore pari a 0,7 hanno raggiunto un Round trip del 55% circa.
Ameel et al. [41], hanno proposto un approccio differente basato su un ci-clo Rankine ad aria accoppiato con un cici-clo Linde per la liquefazione. Questa configurazione riesce a raggiungere il 43% di rendimento di round trip rima-nendo sotto la pressione critica dell’aria. Xue et al. [42] hanno fatto un’analisi simile focalizzandosi principalmente sull’efficienza dei vari elementi impian-tistici e sulle pressioni operative del processo, ottenendo un rendimento di round trip massimo pari al 49%, o con una pressione massima nel ciclo crio-genico pari a 14 MPa ed una pressione nella fase di recupero di potenza di 7 MPa.
Morgan et al. [38, 39], studiano la possibilità di inserire un ciclo Claude nel processo di liquefazione di un impianto LAES in modo da ottimizzare il ciclo. In questa configurazione ottengono un rendimento di round trip pari al 57% con un impianto configurato per gestire al meglio le oscillazioni della rete elettrica; un’analisi economica mostra che il costo di installazione di sistemi LAES con una potenza in uscita di 20 MW ed una capacità di 80 MWh è paragonabile a quello di sistemi CAES da 50 MW.
Partendo dai risultati forniti da [38], Sciacovelli, Vecchi e Ding in [43], hanno effettuato per la prima volta uno studio dinamico su un impianto LAES con una potenza in uscita di 100 MW ed una capacità di 300 MWh in configurazione standalone, validando le simulazioni con i dati sperimentali dell’impianto pilota di Birmingham. La modellazione del sistema è stata effettuata mediante l’approccio algebrico differenziale di ogni componente, in particolare dello scambiatore rigenerativo a letto fisso, Figura 2.3, composto da rocce di quarzo ed utilizzato per il recupero termico, facendovi passare i gas da raffreddare in fase di carica ed i fluidi criogenici nella fase di recupero di potenza. Lo studio ha condotto ad un rendimento di round trip pari al 50% ed ha mostrato come l’accumulo freddo possa ridurre del 25% il lavoro di compressione nella fase di liquefazione. L’inconveniente dello scambiatore rigenerativo è rappresentato dalla variazione nel tempo delle caratteristiche termiche dello storage e dal conseguente calo di prestazioni del sistema in
Figura 2.3: Schematizzazione di uno scambiatore rigenerativo a letto fisso poroso
corrispondenza della fase finale dei cicli di carica e scarica.
Peng et al. [44] studiano un sistema LAES in configurazione stand alone basato su un ciclo criogenico Linde con accumulo termico in letto poroso sia per gli interrefrigeratori che per il raffreddamento dopo la compressione del flusso. Il lavoro mostra come possa essere raggiunta un’efficienza compresa tra il 50% e il 62% sfruttando le tecnologie esistenti e che il sistema risulta adatto ad applicazioni su larga scala.
Per quanto riguarda le applicazioni su piccola scala, Borri et al. [45] han-no analizzato il lato criogenico di un impianto LAES di piccole dimensioni, confrontando tra di loro tre sistemi criogenici, il ciclo Linde, il ciclo Claude ed il ciclo Kapitza. Proprio quest’ultimo si è rivelato il migliore portando ad un’efficienza energetica di liquefazione del 12,16% con un consumo specifico di oltre 700 kWh/t di aria liquefatta. Aumentando la pressione nell’ambiente di separazione e la pressione massima raggiunta dal compressore, tuttavia, è stato possibile raggiungere valori inferiori a 500 kWh/t, avvicinandosi quindi ai risultati dei grandi stabilimenti industriali, ma risentendo comunque in larga misura dell’effetto scala. La liquefazione è stata effettuata senza il re-cupero del calore che invece avrebbe potuto abbassare notevolmente il costo energetico, basti pensare che nell’articolo [36], nella fase di compressione è stato raggiunto un valore di consumo specifico pari a 0,184 kWh/ kg di aria liquida, utilizzando il calore sottratto al fluido nella fase di raffreddamento
per preriscaldare l’aria in fase di espansione, a sottolineare come un aspetto fondamentale per l’incremento delle prestazioni di un impianto LAES sia la sinergia per mezzo del recupero termico, tra la fase di liquefazione e quella di recupero energetico.
Kantharaj, Garvey e Pimm [46, 47], hanno introdotto la possibilità di un impianto ibrido, tra CAES e LAES dove la sezione principale è rappre-sentata dall’aria compressa, mentre l’aria liquida serve per la gestione dei picchi. Questo sistema consente di avere i vantaggi del CAES con uno sto-rage di volume molto inferiore rispetto alle reali necessità in quanto il fluido in eccesso può essere convertito in aria liquida semplicemente mediante un ciclo criogenico. L’utilizzo di questo doppio sistema di accumulo risulta in-teressante anche se la trasformazione di liquefazione dell’aria compressa e la trasformazione di ritorno hanno complessivamente un rendimento del 70%, consentendo perciò un round trip complessivo non superiore al 53%. Nell’ar-ticolo [48], si effettua un’analisi economica da cui emerge la non fattibilità attuale, in essenza di incentivazioni, per quanto riguarda i sistemi CAES, LAES e ibridi tra i due; tuttavia, tra i tre sistemi, il CAES risulta il più economico, benché affetto dalla problematica associata alla necessità del sito geografico adatto; un sistema LAES con uno storage più piccolo basato sul-l’aria compressa, risulta comunque economicamente più fattibile rispetto ad un LAES puro. In particolare nell’articolo è analizzato un sistema con una capacità di accumulo di 100 MWh, di cui 10 sotto forma di aria compressa e 90 sotto forma di aria liquida e in cui lo storage in aria compressa risul-ta diretrisul-tamente collegato alla rete mentre quello in aria liquida, è collegato al primo. Nell’articolo è anche abbozzato lo schema di un algoritmo per la gestione dei due storage.
She et al. hanno proposto un’altra configurazione ibrida all’interno dell’ar-ticolo [49]. La loro analisi parte dall’idea che essendo l’aria liquida prodotta in una percentuale compresa tra il 60% e l’80% del flusso elaborato dalla sezione criogenica, in quanto il titolo di vapore a seguito del crio espansore è necessariamente maggiore di 0, una quota parte dell’energia termica ac-cumulata per raffreddare il fluido compresa tra il 20% ed il 40% non potrà essere utilizzata. Il lavoro si propone di recuperare quella parte di lavoro con
Tutti gli studi analizzati fino a questo punto si riferivano a configurazioni impiantistiche del tipo stand alone senza l’apporto di fonti di energia esterne. Nel tentativo di migliorare le prestazioni dei sistemi LAES, Li et al. [50] hanno studiato l’accoppiamento tra un impianto nucleare e un sistema LAES in modo da riuscire a modulare la potenza in uscita spostando parte della generazione dalle ore in cui la potenza è poco richiesta, tipicamente di notte, al servizio di picco in cui è molto richiesta e quindi maggiormente remunerata. L’impianto complessivo è studiato in modo tale da avere una fase di carica di 8 ore, una fase di scarica di 1 ora e 15 ore giornaliere di funzionamento convenzionale durante le quali l’unità produce una potenza di 250 MW netti. Durante la fase di carica, il gruppo di compressione della sezione criogenica necessita di 76 MW circa che vanno a decurtare la potenza prodotta. Durante la fase di scarica il vapore, invece di evolvere in turbina, è deviato da una valvola a tre vie ed è utilizzato per surriscaldare l’aria. In questo modo il gruppo turbine riesce a produrre una potenza di 707 MW da cui va decurtata la parte da fornire alla pompa di alimento ottenendo una potenza netta di 687,5 MW. Definiti TER e TES rispettivamente come il tempo di energy
recovery ed energy storage, il rendimento di round trip è calcolato come, il rapporto tra l’energia erogata durante la fase di scarica, decurtata dei 250 MW h che il sistema avrebbe prodotto in configurazione tradizionale, e l’energia utilizzata nella fase di carica per la liquefazione dell’aria. Il round trip in questo modo supera il 70%.
Le elevate prestazioni dell’impianto studiato da Li et al., sono dovute prevalentemente all’alta temperatura massima raggiunta dall’aria surriscal-data che entra in turbina a 280°C. Il passaggio successivo per incrementare il rendimento dell’impianto è quello di innalzare ulteriormente la temperatura
massima raggiunta dal ciclo con l’ausilio della combustione in modo da avere una maggiore densità di potenza e spesso anche un maggiore rendimento. At-traverso questa integrazione l’impianto si configura come un sistema ibrido, in cui convivono lo storage e la produzione di potenza mediante l’introduzione di combustibile.
Antonelli et al. [25], hanno analizzato varie configurazioni impiantistiche a partire dal caso di base, senza combustione, per poi inserire del combustibile e valutare le differenze in termini di rendimento e valutare quale sia la mi-gliore configurazione impiantistica. L’inserzione della combustione consente di raggiungere densità energetiche molto elevate, aumentando la quantità di energia estraibile dal singolo kilogrammo di aria liquida.
In [25] non viene studiato un impianto LAES nel suo complesso, ma il focus è fatto esclusivamente sulla sezione di potenza. Esistono numerose real-tà industriali che si occupano della produzione di fluidi tecnici in condizioni criogeniche, tra cui anche l’aria liquida; queste tecnologie risultano mature e consolidate, di conseguenza si focalizza l’attenzione sulla parte del ciclo meno nota: il recupero di potenza dallo storage.
Si suppone di avere a disposizione dell’aria liquida prodotta con una spesa energetica stimabile in un range di 0, 35 − 0, 50 kWh/kg
Per la definizione di un parametro di merito dell’impianto, va considerata, oltre alla spesa energetica per la produzione dell’aria, anche l’energia intro-dotta nel sistema attraverso il combustibile. Essendo il Rendimento di round trip un rapporto tra energie elettriche, si considera l’energia elettrica produ-cibile con la miglior tecnologia disponibile con il flusso di calore introdotto. Poiché il combustibile introdotto è il gas naturale, la BAT di riferimento è il ciclo combinato, con un efficienza di trasformazione pari al 60% [51]; in base a questo è possibile dare una nuova definizione di rendimento di round trip secondo l’Equazione 2.2: ηround trip = Etot Eair+ ηccECH4 (2.2) In cui:
gia esterna, si può immaginare la sezione di potenza del ciclo LAES come una macchina termica operante su un processo ciclico aperto tra le temperature TC e TH, ossia la temperatura dello storage criogenico e la massima
tempera-tura raggiunta nel ciclo. Fa quindi comodo introdurre un ulteriore indice di qualità sul sistema per analizzare la bontà del ciclo e l’efficienza nel consumo del combustibile, questo indice è definito rendimento di combustibile secondo l’Equazione 2.3:
ηf uel =
Ptot
LHVf uelm˙f uel
(2.3) Antonelli et al. [25] analizzano 4 configurazioni impiantistiche, ciascuna delle quali in due casi: un caso ottimistico ed uno caso. I quattro casi in esame sono i seguenti:
• Caso base: senza combustione, l’aria è riscaldata esclusivamente dal-l’ambiente esterno in due riprese in modo da frazionare l’espansione. ηRT è compreso in un range che va dal 10% al 18%;
• Caso con combustione: l’aria è riscaldata grazie al gas naturale fino a 1673 kelvin nelle due camere di combustione. ηRT è compreso tra il
53% ed il 76%;
• ORC criogenico: il funzionamento del ciclo top è il medesimo del ca-so precedente, stavolta tuttavia il flusca-so di fumi caldi in uscita dalla turbina è utilizzato nell’evaporatore di un ciclo ORC bottom; al fine di abbassare la temperatura di quest’ultimo, nel condensatore è convo-gliata l’aria esterna utilizzata nel preriscaldatore del ciclo top. ηRT è
• Brayton freddo: il funzionamento del ciclo top è il medesimo del caso precedente, l’aria esterna utilizzata per il preriscaldamento dell’aria liquefatta, è convogliata in un ulteriore ciclo Brayton per sfruttarne la temperatura inferiore rispetto alle condizioni ambiente. In questo caso ηRT è compreso tra il 68% ed il 90%.
Per quanto riguarda lo studio dei sistemi di accumulo ibridi, [36], già ana-lizzato in precedenza, si ha la schematizzazione di un impianto LAES con un rendimento di round trip del 55,2%. Il dato dipende dal fatto che l’interesse di Krawczyk et al. era il confronto con un sistema CAES analogo e non l’ot-timizzazione del processo in sè, come si può intuire anche dal fatto che non è stato accumulato il calore sottratto dagli intercooler. Il dato interessante dell’articolo comunque risulta essere l’energia specifica per la liquefazione del-l’aria, decisamente inferiore anche rispetto al caso più ottimistico utilizzato da Antonelli et al.
Per via della diversa densità, una volta liquefatta l’aria, i due principali componenti si stratificano ed è facile separarli. Il combustibile integrativo inserito reagisce chimicamente con il solo ossigeno, mentre l’azoto è inerte; inoltre ricircolando l’azoto liquido nel ciclo criogenico, si riesce ad aumenta-re l’efficienza di quest’ultimo. Dal punto di vista energetico, può risultaaumenta-re più conveniente una configurazione LOES (Liquid Oxygen Energy Storage), in cui l’energia è accumulata nell’ossigeno liquido e l’azoto è utilizzato nel processo a monte.
Wu et al. [52, 53] hanno studiato un impianto LOES. Anche qui, come nel caso di Antonelli et al., l’impianto è studiato a partire da uno storage di ossigeno liquido (LOS), fornito da una ASU adibita alla produzione del fluido criogenico. La spesa energetica necessaria per la liquefazione, è stimata in 0, 42 kW h/kgO2. L’impianto è ibrido in quanto si ricorre all’utilizzo di un
combustibile esterno per alzare le temperature del ciclo. In particolare il combustibile qui utilizzato è il GNL.
La presenza del solo ossigeno come comburente consente la separazione della CO2 dai fumi e la conseguente cattura e stoccaggio della stessa. Il
raf-freddamento delle camere di combustione è effettuato per mezzo del ricircolo di una parte dell’acqua fatta condensare dai fumi, a formare un anello chiuso.
combustione [54] con un’efficienza di 8 punti percentuali inferiore rispetto al normale GTCC; il rendimento di riferimento è quindi pari al 52%.
Ciambellotti et al. [55], hanno ripreso il lavoro di questi articoli modifi-cando il dato relativo alla liquefazione dell’ossigeno, in quanto considerato troppo ottimistico. Le prestazioni ottenute in [55] si sono rivelate nettamente superiori rispetto al caso precedente con picchi del 75%.
La presente tesi prende il via da [25] e [55] con l’obiettivo di studiare una nuova configurazione impiantistica in cui i flussi di ossigeno ed azoto sono utilizzati separatamente in modo da sfruttare il potenziale chimico del primo, grazie al combustibile integrativo, e fisico del secondo, dopo averlo portato ad alte temperature fornendogli parte del calore di combustione.
L’aria è una miscela composta prevalentemente da azoto e ossigeno in centuale rispettivamente del 78% e del 21% in volume, il restante punto per-centuale è composto prevalentemente da Argon e CO2. La temperatura e la
pressione critica dell’aria sono rispettivamente −140,6◦C e 37,2 atm mentre
la temperatura di saturazione alla pressione atmosferica è pari a −194,4◦C.
Supponendo che l’aria sia formata solamente dai suoi due componenti principali, dopo la liquefazione è semplice separare tra loro l’azoto e l’os-sigeno e liquidi che non sono miscibili per via della differente densità, pari rispettivamente a 802 kg/m3 e 1024 kg/m3, ma tendono a stratificarsi.
Il minimo costo energetico per la liquefazione di un kilogrammo di aria a partire dalle condizioni di 300 K e 1 atm, coincidente con l’exergia fisica dell’aria a 78 K e 2 bar è pari a 0,205 kWh/kg.
Sulla base di dati forniti da aziende esperte nel settore e di [25], si è scelto come valore di riferimento
Eair = 0,35
kWh kg
Il combustibile integrativo considerato è il gas naturale liquido (GNL); in generale sul sito è presente uno storage strategico del combustibile, ricaricato attraverso una porta unidirezionale. La scelta di questo tipo di combustibi-le dipende da due considerazioni: trovandosi a temperature criogeniche, è possibile sfruttarne l’exergia fisica utilmente nell’impianto; una possibile ap-plicazione del sistema in studio è l’integrazione agli impianti rinnovabili nel caso di sistemi isolati in cui potrebbe non essere presente una rete di distri-buzione del gas naturale. Le condizioni termodinamiche del GNL sono 100 K
ed O2 ed è semplice far condensare il vapore presente nei fumi. Una volta
separata tutta l’acqua i gas residui vanno raffreddati fino alla liquefazione del biossido di carbonio in modo da poterlo catturare e stoccare (CCS). La condensazione del gas è possibile grazie alle bassissime temperature dei fluidi in ingresso al sistema.
L’acqua, fatta condensare e separata dai fumi, può essere riutilizzata all’interno del ciclo stesso per il raffreddamento delle camere di combustione dove avviene la reazione tra il combustibile e l’ossigeno puro. La temperatura di fiamma adiabatica associata ad una ossicombustione con metano è pari a 3150◦C. Quindi, nel caso in esame, le condizioni quasi stechiometriche
porterebbero a temperature di gran lunga troppo elevate per poter essere utilizzate in sicurezza. L’iniezione di acqua in camera di combustione e la parzializzazione della reazione su più camere consentono di mantenere valori accettabili di temperatura. L’acqua necessaria per il mantenimento di queste condizioni è ottenuta dalla separazione dei fumi e quindi c’è bisogno di una integrazione esterna.
La condensazione dell’acqua presente nella miscela dei gas in uscita avvie-ne per mezzo di un condensatore a superficie raffreddato ad aria e dimensio-nato per funzionare con un flusso in ingresso alla temperatura di 40°C, quindi anche per quanto riguarda il raffreddamento dell’impianto non è necessaria la presenza di acqua esterna.
Il principale parametro di merito considerato per la valutazione delle prestazioni è l’efficienza di round trip:
ηRT =
Etot
In cui:
• Etot = mP˙totair =
Pturb−Ppump−Pcomp−Pvent
˙
mair è l’energia prodotta netta per
unità di massa, espressa in kWh/kg, ottenuta come differenza tra l’e-nergia specifica erogata dalle turbine, decurtata dall’el’e-nergia specifica necessaria al pompaggio dei fluidi criogenici, alla compressione dei fumi finalizzata alla cattura della CO2 e alla movimentazione dell’aria per
l’estrazione della potenza termica dal condensatore;
• Eair = 0, 35è l’energia necessaria per liquefare un chilogrammo di aria,
espressa in kWh/kg;
• ηcc = 0, 52 è l’efficienza di un impianto a ciclo combinato alimentato
da gas naturale con tecnologie adatte alla cattura della CO2 [54].
• ECH4 =
LHVCH4m˙CH4 ˙
mair è l’energia in ingresso all’impianto mediante il
combustibile, espressa in kWh/kg.
Un altro parametro di merito risulta essere il rendimento di combustibile, definito come in [25]:
ηf uel =
Ptot
LHVCH4m˙CH4
(3.1) Sulla base di queste considerazioni sono stati realizzati degli impianti at-traverso l’utilizzo del software Aspen HYSIS® più complessi rispetto a quelli
presenti in [25] per via della sezione di CSS e della separazione dell’acqua dei fumi con conseguente iniezione nella camera di combustione.
Mentre i costi energetici di pompe e compressori possono essere ricavati direttamente dal software Aspen, è fondamentale conteggiare anche la po-tenza elettrica assorbita dai ventilatori per la movimentazione dell’aria. Per stimare i consumi in funzione del calore da dissipare, si considera un sistema formato da più impianti modulari da 500 kW ciascuno. Una portata di acqua di 8 kg/s scorre nel condensatore dove viene scaldata da 45◦C a 60◦C; per
provvedere al raffreddamento dell’acqua si vuole dimensionare una torre a secco dove una portata di 99,5 kg/s di aria entra a 40◦Ce fuoriesce a 45◦C.
Il dimensionamento si basa sul metodo −NT U e sulle relazioni di Briggs e Young, valide per sistemi a tubi alettati [56]. Una volta calcolata l’efficienza
∆pC = R 1 2ρariau 2 aria con R = 3, 5 (3.3) P = 1 ηF AN ∆pm˙aria ρaria = 10, 8 kW (3.4)
La potenza necessaria per la ventilazione è dell’ordine di 11 kW elettrici per 500 kW termici da asportare. Al fine di non appesantire il corpo principa-le della tesi, il calcolo dettagliato della potenza necessaria per la ventilazione, è riportato in appendice 5 a pagina 82.
3.1
L’impostazione del software
Nella fase preliminare del software sono stati scelti cinque componenti chimici dalla libreria di Aspen:
• O2
• N2
• CO2
• H2O
• CH4
Le proprietà delle sostanze sono basate sulle equazioni di stato di Peng -Robinson.
Figura 3.1: Condizioni di ingresso dei fluidi nell’impianto
L’unica reazione chimica inserita è stata quella di combustione del metano ideale:
CH4 + 2 O2 −→ CO2 + 2 H2O (3.5)
Per poter fare riferimento a [55], si pone una portata di ossigeno di 1 kg/s. Al fine di non avere incombusti, si ha un eccesso di ossigeno del 10%. Tutta-via in prima approssimazione, si considera un rapporto stechiometrico, per semplificare i calcoli nella prima fase, successivamente saranno introdotte le non idealità. La portata di metano, quindi è calcolabile in base alla stechio-metria di reazione. La portata di azoto, invece, è ottenibile considerando il rapporto volumetrico tra i due componenti dell’aria:
˙ mO2 = 1 kg s (3.6) ˙ mCH4 = ˙mO2 νCH4 νO2 P MCH4 P MO2 = 1kg s 1 2 16 32 = 0, 25 kg s (3.7) ˙ mN2 = ˙mO2 XN2 XO2 P MN2 P MO2 = 1kg s 0, 79 0, 21 28 32 = 3, 29 kg s (3.8)
Al fine di poter confrontare in modo omogeneo il presente sistema con quello LOES descritto in [55] si sono adottati gli stessi riferimenti per quanto riguarda i vincoli sul flusso di ossigeno e dei gas combusti. I vincoli sul flusso
• 80% per i ventilatori.
Le perdite di carico in prima approssimazione sono state trascurate, sono state quindi inserite nella configurazione finale per rendere più realistica l’a-nalisi, nella misura di 2 kP a su ciascuno scambiatore di calore, mentre per i separatori sono state fissate in 2 kP a come perdite concentrate di sbocco e 2 kP a all’uscita per la parte di vapore dovendo il fluido attraversare una valvola.
Per quanto riguarda i limiti tecnologici associati alle macchine si è impo-sto:
• 1000 °C temperatura massima dei prodotti di combustione in ingresso in turbina;
• 1100 °C temperatura massima dell’azoto in ingresso in turbina,[57]; • 1500 °C temperatura massima dei fumi in uscita dalla camera di
com-bustione,[57];
• 20 °C minimo ∆T in ogni scambiatore di calore dell’impianto;
• 50 °C minima temperatura raggiungibile raffreddando i flussi con l’uti-lizzo dell’aria esterna.
Per evitare che in alcuni tratti si formi del ghiaccio che tenderebbe a bloccare il processo, si è imposto che ogni flusso contenente una quantità di acqua maggiore dello 0,5% debba trovarsi ad una temperatura maggiore di 0°C; in conseguenza di ciò la percentuale di acqua nei gas combusti in
ingresso allo scambiatore adibito alla liquefazione della CO2, deve essere
inferiore rispetto allo 0,5%.
La CO2 in uscita dall’impianto deve trovarsi allo stato liquido e non
con-tenere tracce di ghiaccio che potrebbero andare ad intasare le condutture. All’uscita il fluido si deve trovare a −57◦C e 5 bar. L’eventuale presenza di
ghiaccio secco, in questo flusso è monitorata per mezzo del comando CO2
Freeze Out installato in Aspen, come mostrato nella Figura 3.2 nella pagina seguente. Se il metano è in rapporto stechiometrico con l’ossigeno, i gas, pri-ma dell’ultimo scambiatore, saranno composti esclusivamente da CO2 e sarà
possibile catturare tutto il biossidi di carbonio prodotto. L’eccesso d’aria, comporta la presenza nei fumi di O2; questo abbassa la pressione parziale
della CO2 costringendo il compressore ad arrivare ad una pressione
maggio-re. La presenza di una parte di gas che non viene liquefatto, inoltre, fa si che una percentuale di anidride carbonica rimanga in fase gassosa, secondo la regola della leva applicata al caso di cambiamenti di fase di miscele con più componenti.
Un vincolo fondamentale, risulta quindi la cattura di almeno il 90% della CO2 prodotta.
Per massimizzare le prestazioni dell’impianto è necessario sfruttare al me-glio l’exergia posseduta da tutti i flussi, evitando se possibile, scambi termici con l’ambiente che corrispondono a sicure perdite di exergia.
Dovendo gestire un salto di temperatura tanto elevato (si passa dai 78 K dello storage ai 1800 K dell’ossicombustione), è prevedibile che sarà necessaria una grande quantità di scambiatori di calore. In una prima approssimazione si è sfruttato quindi il componente LNG Exchanger come unico scambiatore del sistema, per poi andare a suddividerlo in scambiatori semplici a due flussi una volta raggiunta la configurazione finale ottimale 3.3 a pagina 41. In rispetto delle ipotesi fissate anche su questo componente è stato fissato un ∆T minimo di 20◦C sullo scambiatore.
Ciambellotti A. et al. hanno studiato l’andamento dei parametri di pre-stazione dell’impianto con utilizzo del solo ossigeno al variare della pressione massima raggiunta; il valore di 150 bar si configura come un ottimo com-promesso: oltre questo valore l’efficienza dell’impianto arriva praticamente
Figura 3.2: Interfaccia del comando CO2 Freeze Out per determinare se è
presente CO2 solida nel flusso
a saturazione crescendo di pochissimo all’aumentare della pressione. Sulla base di ciò in questo lavoro di tesi si è posta come pressione massima quella di 150 bar. L’ossigeno e il metano devono mescolarsi per poter bruciare, di conseguenza dovranno essere obbligatoriamente alla medesima pressione, si prevede di portare anche il GNL a 150 bar con l’ausilio della pompa. L’azoto al contrario, non è vincolato all’ossigeno dal punto di vista della pressione, tuttavia si pompa a 150 bar anche l’azoto per non sollecitare eccessivamente gli scambiatori.
La legge di Mariotte afferma che la sollecitazione meccanica a cui è sot-toposta una tubazione è direttamente proporzionale al ∆p tra l’interno e l’esterno della tubazione stessa. Gli scambiatori ad elevata temperatura, po-sti subito dopo il combustore, saranno estremamente sollecitati già dal punto di vista termico, per questo motivo si preferisce che la sollecitazione mecca-nica dovuta alla differenza di pressione sia ridotta. La pressione massima di azoto ed ossigeno sarà uguale, mentre si è imposto che la differenza di pres-sione tra i due flussi dopo che ciascuno nelle varie fasi successive non super i
(a)
(b)
Figura 3.3: Aspetto del LNG Exchanger e tabella con le prestazioni dello scambiatore, per quanto riguarda il caso con due turbine e due camere di combustione
Figura 3.4: Grafico della campana dell’Ossigeno nel piano T-s. TC =
154, 58 K e pC = 50, 49bar.
9 bar. Per ulteriori delucidazioni si veda Appendice.
Come è possibile vedere dai grafici 3.4,3.5 e 3.6, in queste condizioni di pressione, metano, ossigeno e azoto attraversano la fase super critica.
Per cercare di realizzare una trasformazione il più vicino possibile all’iso-terma, si cerca di effettuare una espansione parzializzata intervallata da un post riscaldamento con conseguente scambio termico con l’azoto, ciò è reso possibile frazionando il flusso di combustibile in più camere di combustione. In questa sede si sono analizzati 3 tipologie impiantistiche per stabilire quale fosse la migliore:
• una camera di combustione, una turbina per i gas di scarico, una per l’azoto;
• due camere di combustione, due turbine per i gas di scarico, due per l’azoto;
• tre camere di combustione, tre turbine per i gas di scarico, tre per l’azoto.
In Figura 3.7 a pagina 45, si riporta lo schema di Aspen del caso più semplice, dal momento che le varianti più complesse risultano impossibili
Figura 3.5: Grafico della campana dell’Azoto nel piano T -s. TC = 126, 2 K
e pC = 33, 56bar.
Figura 3.6: Grafico della campana del Metano nel piano T -s. TC = 190, 15 K
Tabella 3.1: Parametri per l’ottimizzatore di Aspen HYSYS
Tabella 3.2: Tabella comparativa con i risultati delle simulazioni per una pM AX pari a 150 bar.
Parametro Udm 1 CC 2 CC 3 CC
ηRT 59% 65% 65%
ηf uel 58% 64% 64%
Potenza netta erogata [MW] 7,28 8,02 8,03
Potenza termica da dissipare [MW] 4,92 4,14 4,18
Pressione minima [bar] 0,44 0,29 0,22
Portata d’acqua ricircolata [kg/s] 1,98 1,20 0,80
Passaggi nello scambiatore 11 14 17
Minimo approach point [°C] 20 24 27
da leggere. Più avanti si riporterà una tabella riassuntiva dei risultati più significativi.
Una volta steso l’impianto e fissati i limiti sul software si è proceduto mediante l’ottimizzatore di Aspen a cercare la migliore configurazione possi-bile per ogni tipologia impiantistica. Per il settaggio dello strumento si sono utilizzate le impostazioni riportate in tabella 3.1.
Il sistema preso in esame risulta molto complesso per via del grande nu-mero di variabili in gioco, di conseguenza risulta difficoltoso anche per l’otti-mizzatore di Aspen trovare una configurazione che sia un massimo assoluto, di conseguenza per ogni tipologia impiantistica è stato necessario agire a mano per controllare l’ottimizzatore.
gresso alla camera di combustione. La configurazione migliore risulta quindi essere quella con due camere di combustione e due turbine per ciascun flusso gassoso.
E’ interessante da notare come all’aumentare del frazionamento della com-bustione in più camere corrisponda una diminuzione della portata d’acqua ricircolante per il raffreddamento dell’ossicombustore. Una maggiore potata di acqua significa da una parte una maggior portata fluente attraverso le turbine, ma d’altra parte significa una maggior perdita di potenza termica dal condensatore.
La presenza di un circuito a valle per il condizionamento dei fumi, con-sente di uscire sotto vuoto dalla turbina in modo da sfruttare al massimo il salto entalpico a disposizione per quanto riguarda il lato dei prodotti di combustione. Mediamente all’uscita si ha una pressione dell’ordine dei 0,25 bar. Dopo lo scarico della turbina, è recuperata una parte dell’entalpia dei fumi facendoli passare attraverso lo scambiatore, una volta separati i flussi di acqua e CO2 quest’ultimo è raffreddato ulteriormente quindi dopo una nuova
separazione volta a rimuovere ogni traccia d’acqua, viene compresso fino alla pressione di 5 bar e quindi raffreddato fino alla temperatura di −57◦C in
modo da arrivare allo stato liquido. La frazione di acqua, invece, viene pom-pata fino a 150 bar, fatta riscaldare attraverso lo scambiatore ed è iniettata in camera di combustione per limitare le temperature.
Una volta stabilito che la configurazione con 2 camere di combustione è la migliore, si è proceduto nella suddivisione dell’unico scambiatore centrale nei singoli componenti in modo tale da mantenere il più possibile inaltera-ta la configurazione ottenuinaltera-ta mediante l’ottimizzatore. Il passaggio è sinaltera-tato complicato dal fatto che i flussi termici erano estremamente diversificati sia
Figura 3.8: Grafico dell’andamento dei flussi all’interno dello scambiatore, se ne sono riportati solo alcuni in via esemplificativa
in valore che in range di temperatura. Grazie al plotter del LNG Exchanger, tuttavia è stato possibile tracciare un andamento qualitativo di tutti i vari flussi dentro lo scambiatore come si può vedere dalla Figura 3.8.
Mediante le informazioni presenti sulla tabella 3.3, si provvede ad accop-piare in modo corretto, cercando di soddisfare il fabbisogno energetico di ciascun flusso e allo stesso tempo di ridurre al minimo le perdite exergetiche legate agli scambi sotto ∆T finito. Come è possibile vedere, non sempre un singolo flusso può essere riscaldato da un unico scambiatore, ma spesso ne servono più di uno, è il caso ad esempio dell’azoto che dopo la compressione viene portato a 150 bar e deve passare da −186◦C a 995◦C necessitando
per la transizione di quasi 5 MW termici. Per questo passaggio, quindi ci si appoggia ad un circuito intermedio realizzato mediante le componenti di
N2 6 N2 7 449,8 20,0 -1527 No CP 1 CP 2 1467,1 993,2 -2497 No CP 4 CP 5 1279,5 998,1 -1521 No CP 6 CP 7 425,2 200,8 -964 No CO2 1 CO2 2 50,0 11,2 -1110 No CO2 4 CO2 5 357,1 13,9 -293 No CO2 6 CO2 7 13,9 -53,0 -283 Sì H2O 6 H2O 7 42,1 198,6 842 Sì H2O 8 H2O 9 40,7 20,0 -48 no
Aspen Heater e Cooler. Uno schema del circuito in questione è riportato in appendice.
A partire da questa configurazione, si ha quindi la necessità di accoppiare a due a due i flussi in modo da simulare degli scambiatori effettivamente rea-lizzabili. Questo accoppiamento consente di arrivare ad una configurazione impiantistica ideale, a cui vanno aggiunte tutte le non idealità che finora si erano trascurate: le perdite di carico sugli elementi circuitali, ed un ecces-so di ossigeno pari al 10%. Le perdite di carico ecces-sono fissate in misura di 2 kPa per ciascuno scambiatore e separatore, ma hanno un’influenza trascura-bile rispetto all’efficienza del sistema. L’eccesso di ossigeno, invece, risulta più penalizzante per il sistema in quanto varia la potenza prodotta alle tur-bine e allo stesso tempo viene modificata la pressione parziale di CO2 nei
fumi. L’ipotesi di un eccesso di ossigeno risulta sensata in quanto lavorando in condizioni stechiometriche si correrebbe il rischio di avere incombusti nei fumi.
Fissato il flusso di ossigeno in ingresso in 1 kg/s, per ottenere un eccesso di comburente, occorre modificare la portata di combustibile e lo si fa sfruttando