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Cooperazione, comunità e tutela dei diritti dei cittadini in Val di Vara.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

Corso di laurea magistrale in Sociologia e politiche sociali

TESI DI LAUREA

Cooperazione, comunità e tutela dei

diritti dei cittadini in Val di Vara

RELATORE:

Matteo VILLA

CANDIDATA:

Eleonora CUPINI

(2)
(3)

SOMMARIO

INTRODUZIONE 1

CAPITOLO 1 La Val di Vara 3

 1.1 Territorio e andamento demografico 3

 1.2 Disegno istituzionale e organizzativo 11

 1.3 Dalla legge quadro 328/2000 alla legge “Salvaborghi” 17

CAPITOLO 2 La comunità 22

 2.1 Quale concetto di comunità? 22

 2.2 Cooperative di comunità 26

2.2.a Caratteristiche fondamentali della cooperativa di comunità 28

 2.3 Situazione italiana e norme di riferimento 31

 2.4 Comunità locale, secondo welfare e nuovo ruolo 38

per la cooperazione sociale  2.5 Per concludere 41

CAPITOLO 3 I diversi tipi di esperienze di comunità in Italia e in Val di Vara 42

 3.1 Esperienze attive in Italia 42

3.1.a Melpignano la prima cooperativa di comunità- Puglia 43

3.1.b Cooperativa Valle dei Cavalieri Succiso- Emilia Romagna 45

3.1.c Artemisia cooperativa di comunità agricola- Molise 46

3.1.d Il teatro povero di Monticchiello- Toscana 47

3.1.e Sulle realtà nazionali 49

(4)

3.2.a Cooperativa di comunità Vara 50

3.2.b Cooperativa sociale Beverino di comunità (s.r.l.) 52

3.2.c Associazione Ezechiele 36 55

 3.3 L’apporto di Fondazione Carispezia 56

 3.4 Le cooperative a confronto 58

3.4.a Incontro con Ezechiele 36 60

3.4.b Incontro con Cooperativa Beverino di comunità 62

3.4.c Per concludere 63

CAPITOLO 4 Osservazioni e ipotesi 65

 4.1 Punti di debolezza 65

4.1.a Popolazione e territorio 65

4.1.b Sistema dei servizi sociali 67

 4.2 Punti di forza 69

4.2.a Alta Via dei Monti liguri 71

4.2.b Ospitalità diffusa 72

4.2.c Agricoltura e biodistretto 74

4.2.d Siti archeologici e borghi 75

 4.3 Ipotesi di lavoro e considerazioni finali 76

4.3.a Il lavoro sociale di comunità (community work) 78

4.3.b La Comunità Val di Vara 81

CONCLUSIONI 85

BIBLIOGRAFIA 89

(5)

INDICE DELLE TABELLE

 1.1 Andamento della popolazione residente nell’ultimo ventennio-

Val di Vara e provincia 4  1.2 Indicatori di struttura della popolazione per comune –

Val di Vara al 31/12/2015 6  1.3 Popolazione anziana (65 anni e oltre) e indice di vecchiaia per

comune della Val di Vara, Provincia, Regione e Nazione al 1/01/2017 7  1.4 Indicatori demografici Liguria per anno 2012/2016 9

 1.5 Indicatori demografici provincia della Spezia per anno 2012/2016 9

 1.6 Il comitato distrettuale unico 14

 2.1 Confronto fra leggi regionali 36-37

(6)

INDICE DELLE FIGURE

 1.1 – I 15 comuni della val di vara 10

 1.2 – Provincia della spezia 10

1.3 – Organizzazione distretto sociosanitario 13

1.4 – I distretti sociosanitari 15

1.5 – I numeri dei tre distretti 16

3.1 – Le cooperative di comunità in Italia nel 2004 43

4.1 – Alta via dei monti liguri Val di Vara 72

INDICE DEI GRAFICI4.1 – Sistema delle influenze reciproche 80

(7)

Introduzione

Il lavoro di tesi che viene presentato esaminerà il territorio della Val di Vara, un’ampia valle dell’entroterra ligure ricompresa nella provincia di La Spezia. Durante l’analisi si tenterà di studiare le modalità che hanno trovato i cittadini nel tempo per auto-organizzarsi in differenti forme cooperative e associative, con lo scopo di aumentare la soddisfazione dei propri diritti. L’obiettivo è stato quello di far luce sulle eventuali possibilità e potenzialità che hanno questi sistemi nell’affiancare la politica pubblica, nell’agire integrandosi ad essa o nel sostituirla completamente laddove sia carente.

Inizialmente ci si è domandati come si possa vivere mantenendo un livello di benessere generale accettabile in luoghi così lontani dai servizi essenziali e dai centri urbani.

Prima di formulare qualsiasi ipotesi è stato necessario osservare il contesto generale e i cambiamenti registrati nel tempo, soprattutto quelli legati al grande decremento demografico e all’abbandono delle terre coltivate. I giovani lasciano queste terre e i paesi sono sempre meno popolati e presentano indici di vecchiaia molto alti.

In contesti simili sono sorte organizzazioni che hanno preso il nome di cooperative di comunità con lo scopo di incrementare lo sviluppo del territorio in diversi ambiti. Sono stati indagati il reale ruolo della cooperativa di comunità sul territorio e l’incidenza sul suo sviluppo locale. Si è rivelata necessaria una riflessione sul concetto ampio di comunità sul quale si è acceso un lungo dibattito che prosegue fin dai lavori dei primi autori classici e attraversa l’intero sviluppo della sociologia. Il fulcro dell’analisi risiede nell’ultimo capitolo, dove si è tentato di costruire alcune ipotesi alla luce delle caratteristiche del territorio osservate precedentemente, delle forme di associazione già esistenti e degli esempi dati da altre realtà in diverse regioni.

(8)

Il primo capitolo si concentrerà sull’analisi del territorio, dal punto di vista demografico e istituzionale.

Per capire l’oggetto di studio verranno affrontati in particolare i problemi connessi alla struttura municipale, alla dispersione territoriale e all’invecchiamento della popolazione. Verranno presentati alcuni dati utili a mettere in luce le trasformazioni in corso (es. gli indici di vecchiaia e di dipendenza) e alcuni problemi rilevanti in relazione all’obiettivo di questo lavoro (es. calo demografico e abbandono delle terre).

Nel secondo capitolo si tenterà di indagare il concetto di comunità e di scoprire quanti significati porti con sé e quali si possano ritenere utili per questo studio. L’analisi sarà seguita dalla parte dedicata alle cooperative di comunità indagate attraverso le norme nazionali e regionali dedicate. In conclusione si osserverà come nel tempo sia cambiato il sistema di welfare e abbia maturato importanza la territorialità nella programmazione delle politiche sociali

Il terzo capitolo porterà esempi virtuosi di cooperative di comunità presenti sul territorio italiano selezionate perché presentano aspetti interessanti per questo studio. Successivamente si vedranno le cooperative presenti in Val di Vara e anche attraverso gli incontri con il personale impegnato in esse si cercherà di capire se si possano considerare cooperative di comunità oppure no.

Il quarto capitolo proporrà un breve riesame delle caratteristiche del territorio suddividendole in punti di debolezza e punti di forza. A questo seguirà un’ipotesi di lavoro sulla base del significato di community work e delle funzioni che il servizio sociale assume all’interno di questa visione. L’analisi non potrà tralasciare il ruolo delle istituzioni, della politica locale e della relazione tra i diversi attori impegnati nella programmazione locale in un’ottica di sussidiarizzazione delle politiche sociali.

(9)

Capitolo 1

La Val di vara

Questo primo capitolo offre uno sguardo sulla zona della Val di Vara attraverso le sue caratteristiche territoriali, demografiche, istituzionali e organizzative.

Indispensabili per avere un quadro generale sufficientemente esaustivo prima di avanzare ipotesi di lavoro.

1.1 – Territorio e andamento demografico

La Val di Vara è un territorio dell’entroterra ligure ricompreso nella Provincia di La Spezia. Si estende per circa 545 Km2 ed è per questo la valle più estesa non solo della provincia ma dell’intera regione. La valle si suddivide in 15 comuni, per una popolazione totale di circa 30.000 abitanti. Deve il suo nome al fiume Vara che nasce dal Monte Zatta a 1404 metri di altitudine e scorre per 62 chilometri accogliendo molti affluenti. La Valle è delimitata a nord dal Monte Gottero, il promontorio più elevato di tutta la provincia che la separa dalle valli parmensi e nel versante sud-est da altre alture che ne delimitano il confine con la Lunigiana, provincia di Massa-Carrara.

La morfologia del territorio è particolarmente aspra, vi sono brevi valli e poche aree pianeggianti, vasti boschi e molti corsi d'acqua. La valle ha anche interessanti specialità geominerarie come formazioni idonee di serpentino, diaspro rosso e arenaria. I comuni sono disposti lungo la valle in modo disomogeneo, composti spesso da numerose frazioni isolate le une dalle altre. Alcune di queste frazioni sono talmente piccole da ricomprendere solo qualche casa. Le strade, nella zona alta della valle, sono per lo più tortuose con diversi tornanti e strettoie. Durante la stagione

(10)

invernale è molto comune la presenza di ghiaccio che richiede molta attenzione e prudenza durante la percorrenza.

La zona è ricca di storia, infatti, fin dai primi anni del 1800 sono stati ritrovati numerosi reperti storici, soprattutto riconducibili alle ere preistoriche. A Maissana si trova il sito archeologico di Lagorara, una cava di diaspro utilizzata dall’uomo preistorico 5000 anni fa.

Sui monti di questa valle, inoltre, si è combattuta la resistenza durante il secondo conflitto mondiale qui nacquero brigate e battaglioni partigiani come la “brigata val di vara”e il “battaglione Zignago”.

La bassa valle è la parte maggiormente popolata, mentre nella zona alta si trovano i comuni di dimensioni più piccole e con il minor numero di abitanti. Infatti, nell’alta valle si trova ancora una natura selvaggia e incontaminata, che gradualmente sparisce scendendo verso le zone più urbanizzate1. La collocazione della valle all’interno della Provincia della Spezia è ben visibile nelle figure 1.1 e 1.2.

In passato, invece, tutta l’area era molto popolata e l'andamento demografico soprattutto nella zona alta registra una forte decrescita.

Come si può vedere dalla tabella che segue, mentre l'andamento generale della provincia è in crescita come quello della parte media e bassa della Val di Vara, al contrario, la zona alta rileva una preoccupante diminuzione della popolazione residente.

Tabella 1.1- Andamento della popolazione residente nell'ultimo ventennio-Val di Vara e Provincia di La Spezia

Provincia Media/bassa Val di Vara

Alta Val di Vara Popolazione residente al 31/12/1995 222.379 22.544 7.467 Popolazione residente al 31/12/2005 216.207 23.060 6.955 Popolazione residente al 31/12/2015 221.003 24.188 6.335

Variazione % dal 2005 al 2015 +2,2% +4,9% -8,9%

Fonte: www.sp.camcom.it

1 Tutte le informazioni relative al territorio sono state tratte dal documento “Val di Vara:elementi per lo studio storico archeologico, dalla preistoria alla romanizzazione” Campana Gervasini Rossi e dai siti: www.biodistrettovaldivara.it, www.invaldivara.it,

(11)

La popolazione che diminuisce fa pensare subito a un abbandono di case e terreni coltivati con conseguenze purtroppo anche per l'ecosistema.

Nel 2011 una tremenda alluvione ha colpito duramente la Val di Vara e le Cinque Terre causando una serie di enormi danni; alcune persone hanno perso la vita, alcune strade sono rimaste impercorribili per molto tempo, un ponte è stato letteralmente portato via dal fiume e ancora oggi, a distanza di anni, vi sono molte strutture provvisorie in attesa di essere messe in sicurezza. Tra le altre cause, quali una quantità di pioggia straordinaria e mai registrata prima, sono state individuate anche la mancata pulizia degli argini dei fiumi e l'abbandono delle terre coltivate2.

Per i piccoli comuni avere meno abitanti, però, significa anche avere meno risorse economiche e meno risorse umane, con un indebolimento delle reti sociali e degli scambi anche informali tra le persone.

Inoltre, per un piccolo paese la diminuzione del numero degli abitanti può provocare anche una sospensione di quelle attività che lo caratterizzano da sempre come sagre, feste patronali e manifestazioni di vario tipo. Queste possono rivelarsi utili perché necessitano di una certa manutenzione degli spazi comuni e fanno sì che altre persone si rechino in questi luoghi e li conoscano.

Di certo si può sostenere che se un paese non è vivo in questo senso, non porterà mai altre persone ad avere il desiderio di viverci e si innesca così un circolo che da anni porta i giovani ad abbandonare queste terre.

Questo dato è ben visibile dalla tabella 1.2.

Da quanto si evince, sono proprio i comuni meno popolosi ad avere anche i tassi di anzianità più elevati.

Inoltre, è importante sottolineare che questi piccoli comuni si trovano arroccati su colline, lontano dai centri urbani e quindi dai servizi principali.

Ad esempio Carro, il comune con il 41,47% di abitanti oltre i 65 anni di età, si trova a circa 178 metri sopra il livello del mare e si estende per quasi 32 km23.

2 Dati tratti da

http://www.ilcambiamento.it/articoli/cause_alluvioni_pesticidi_abbandono_terreni 23/11/2011 di Giuseppe Altieri

(12)

Il paese si trova in una zona di confine, infatti, percorrendo una strada tortuosa di circa 22 km ci si ritrova a Castiglione Chiavarese in provincia di Genova. Il paese più vicino, che offre i servizi essenziali quali farmacia, ambulanze, scuole dell'infanzia e primaria è Sesta Godano che si trova a circa 20 Km di distanza. Una distanza breve per chi è munito di automobile propria, ma può essere comunque molto impegnativa per una persona anziana.

Nella maggior parte di questi comuni è necessario uno spostamento, anche di decine di chilometri, per soddisfare bisogni quotidiani, e spesso per raggiungere il proprio posto di lavoro.

Tabella1.2- INDICATORI DI STRUTTURA DELLA POPOLAZIONE PER COMUNE- VAL DI VARA al 31/12/2015

Classi di età Popolazione residente

0-14 15-64 >64 Beverino 274 1.522 633 2.429 Bolano 1.032 4.811 1.970 7.813 Borghetto Vara 101 536 301 938 Brugnato 145 752 373 1.270 Calice al Cornoviglio 107 700 331 1.138 Carro 29 283 233 545 Carrodano 35 281 187 503 Follo 835 4.145 1.357 6.337 Maissana 48 331 237 616 Pignone 54 335 176 565

Riccò del Golfo 518 2.306 874 3.698

Rocchetta Vara 65 384 254 703

Sesta Godano 86 757 534 1.377

Varese Ligure 171 1.134 754 2.059

Zignago 58 298 176 532

(13)

Tabella 1.3 – Popolazione anziana (65 anni e oltre) e indice di vecchiaia4 per comune della Val di vara, Provincia, Regione e Nazione al 1/01/2017

(dati percentuali)

Popolazione >64 anni Indice di vecchiaia

Beverino 27,1 247,1 Bolano 25,4 189,1 Borghetto Vara 32,9 300,0 Brugnato 29,6 266,7 Calice al Cornoviglio 30,9 332,0 Carro 42,9 828,6 Carrodano 37,1 508,3 Follo 21,3 160,3 Maissana 38,9 515,2 Pignone 30,8 295,0

Riccò del Golfo 23,6 170,5

Rocchetta Vara 36,3 401,6 Sesta Godano 38,9 594,4 Varese Ligure 36,0 450,3 Zignago 33,4 286,9 Provincia di La Spezia 27,6 242,8 Regione Liguria 28,4 249,8 Italia 22,3 165,3

Fonte: www.tuttaitalia.it elaborazione propria

I dati riguardanti la struttura della popolazione sono in perfetta sintonia con l’andamento più generale, infatti, la Liguria nel 2016 è la regione che registra il più alto valore di indice di vecchiaia e di dipendenza5 (DATI ISTAT 2016).

4 L'indice di vecchiaia è il rapporto percentuale tra il numero degli ultrassessantacinquenni ed il numero dei giovani fino ai 14 anni.

5 L'indice di dipendenza strutturale si ottiene rapportando la popolazione residente al 1° gennaio in età non attiva (da 0 a 14 anni e da 65 anni e oltre) sulla popolazione in età lavorativa (da 15 a 64 anni), moltiplicato per 100.

(14)

Questi indicatori segnalano un incremento nella percentuale di abitanti che hanno superato il sessantaquattresimo anno di età e un grande squilibrio generazionale. Entrando ancora più nello specifico la provincia della Spezia, che conta circa 220.000 abitanti, ha un indice di vecchiaia espresso in valori percentuali pari al 242,86 (ISTAT 2016) e un indice di dipendenza strutturale pari al 63,87. Ponendosi così al settimo posto nella classifica per anzianità delle province italiane.

Un ulteriore fattore da non trascurare è dato dal fatto che dei 32 comuni della provincia, la maggior parte abbia un numero molto contenuto di abitanti e di conseguenza con scarse risorse, basti pensare che 16 di essi non arrivano ai 2000 abitanti.

Questa tendenza è in perfetta corrispondenza con il trend nazionale. In Italia infatti ci sono 5683 comuni con un numero di abitanti al di sotto dei 5000, per un totale di circa 10 milioni di persone che vivono in luoghi caratterizzati per lo più da: contesti territoriali disagiati, scarsi collegamenti con reti infrastrutturali, difficoltà di accesso. Inoltre, è importante sottolineare che questi piccoli Comuni costituiscono più del 70% delle amministrazioni e governano oltre il 55% del territorio nazionale (Stomeo 2015).

Dal documento per le strategie nazionali per le aree interne8, emerge inoltre che la diminuzione della popolazione che riguarda tutto il territorio nazionale, ha iniziato a registrarsi nelle aree periferiche e ultra-periferiche già dagli anni Settanta, soprattutto in alcune regioni tra le quali la Liguria.

Allo stesso modo è aumentata la percentuale di popolazione anziana sul totale della popolazione, l'invecchiamento si è registrato proprio nelle aree periferiche e ultra-periferiche con valori oltre il 30 per cento proprio in Liguria.

Quindi abbiamo territori lontani dai centri urbani, lontani dai servizi principali e abitanti per lo più da cittadini anziani, cioè che hanno più di 65 anni.

6 Significa che ci sono 246,5 anziani ogni 100 giovani.

7 Significa che ci sono 68,5 persone a carico ogni 100 in età lavorativa.

8 “Strategia nazionale per le aree interne: definizione, obiettivi, strumenti e governance” accordo di partenariato 2014-2020

(15)

Tabella 1.4: INDICATORI DEMOGRAFICI LIGURIA per anno 2012/2016

Indicatori in valori percentuali al 1°gennaio

2012 2013 2014 2015 2016

Popolazione 0-14 anni 11,6 11,6 11,6 11,5 11,5

Popolazione 15-64 61,1 60,7 60,7 60,5 60,3

Popolazione 65 anni e più 27,3 27,7 27,7 28 28,2

Indice di dipendenza strutturale 65,6 64,7 64,7 65,4 65,8 Indice di dipendenza degli anziani 44,7 45,6 45,7 46,3 46,8

Indice di vecchiaia 236,2 238,2 239,5 242,7 246,5

Età media della popolazione 47,9 48,1 48,1 48,3 48,5

Dati estratti da I.Stat

Tabella 1.5: INDICATORI DEMOGRAFICI PROVINCIA DELLA

SPEZIA per anno 2012/2016

Indicatori in valori percentuali al 1°gennaio

2012 2013 2014 2015 2016

Popolazione 0-14 anni 11,5 11,5 11,5 11,5 11,4

Popolazione 15-64 61,8 61,5 61,9 61,1 61,1

Popolazione 65 anni e più 26,8 27 27,2 27,5 27,6

Indice di dipendenza strutturale 61,9 62,6 63,2 63,8 63,8 Indice di dipendenza degli anziani 43,3 44 44,4 45 45,1

Indice di vecchiaia 233,4 236 236 239,4 241,7

Età media della popolazione 47,7 47,9 47,9 48,1 48,2

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Figura 1.1 I 15 COMUNI DELLA VAL DI VARA

fonte: www.idealista.it

Figura 1.2 PROVINCIA DELLA SPEZIA

(17)

1.2- Disegno istituzionale e organizzativo

Come si è potuto osservare dalle tabelle precedenti, i comuni della Val di Vara non sono molto popolosi. Quella che viene individuata come Alta Val di Vara è formata da sei comuni e quattro di essi non raggiungono i mille abitanti.

Al momento nessuno di questi comuni ha concluso procedimenti di fusione, ma diversi di loro hanno associato alcune funzioni e condividono figure amministrative come il segretario comunale. Vi è poi “L’unione dei comuni della Val di Vara” nata nel 2014 e formata dai comuni di Calice al Cornoviglio, Rocchetta di Vara, Sesta Godano e Zignago. Per statuto, essa si occupa di alcuni servizi quali: amministrazione generale, gestione finanziaria e contabile, servizi pubblici, catasto, urbanistica ed edilizia, protezione civile e primo soccorso, gestione dei rifiuti e riscossione dei tributi annessi, progettazione e gestione dei servizi sociali ed erogazione delle prestazioni ai cittadini, servizi scolastici, polizia municipale e statistica9.

Il complesso delle funzioni sociali e sanitarie è disciplinato dalle norme regionali, emanate secondo quanto previsto dalle linee guida date dalla normativa nazionale. La Regione Liguria, attraverso la legge n. 12 del 200610 ha istituito il distretto sociosanitario (DSS) e l’ambito territoriale sociale (ATS).

Il distretto è l’insieme del distretto sociale e del distretto sanitario. Questo diventa la dimensione territoriale in cui si integrano le funzioni sociali complesse e le funzioni sanitarie. I suoi confini coincidono con quelli del distretto sociale.

L’ambito, invece, comprende il territorio di più comuni che si associano per programmare e gestire l’organizzazione dei servizi sociali.

Al momento il territorio provinciale è suddiviso in tre ambiti sociosanitari, visibili in Figura 1.3.

Il distretto sociosanitario della Val di Vara è il DSS 17 e conta un totale di 40678 abitanti ed è composto da 3 Ambiti Territoriali Sociali:

9 Informazioni estratte da: www.unionedeicomunidellavaldivara.it

10 Legge Regionale 12/2006 “Promozione del sistema integrato di servizi sociali e sociosanitari”

(18)

 n. 60 del quale fanno parte: Beverino, Sesta Godano, Brugnato, Borghetto di Vara, Rocchetta di Vara, Pignone, Zignago e Carrodano, con 8669 abitanti11;  n. 61 del quale fanno parte: Bolano, Follo, Riccò del Golfo e Calice al

Cornoviglio, con 19075 abitanti;

 n. 62 del quale fanno parte: Levanto, Riomaggiore, Monterosso al Mare, Deiva Marina, Vernazza, Bonassola e Framura, con 12934 abitanti12.

I comuni di Carro, Maissana e Varese Ligure, appartenenti al territorio della provincia spezzina, non fanno parte di questo DSS, ma sono ricompresi nel distretto 16 del Tigullio Orientale. Infatti, non sono presenti nella cartina di Figura 1.4. Qui si incontra un rilevante contrasto burocratico in quanto i comuni di Maissana e Carro hanno associato le altre funzioni con il comune di Sesta Godano, questo è appunto ricompreso nel distretto sociosanitario della Val di Vara e rimane sotto la competenza della Azienda Sanitaria Locale n° 5 “Spezzino”.

Il distretto socio sanitario è organizzato come indicato in Figura 1.1 tratta dal Piano Sociale Integrato Regionale 2013-2015 (da qui nominato PSIR).

Dallo schema è ben visibile come il PSIR abbia voluto enfatizzare la zona dell’integrazione tra la parte sanitaria e quella sociale, questa diventa una porzione ampia e importante, regolata da convenzioni e protocolli operativi tra ASL e comuni. Tra le attività previste dal PSIR vi era una riorganizzazione delle équipes negli Ambiti Territoriali Sociali per avere un maggiore ascolto della domanda dei cittadini, un accesso al sistema integrato dei servizi sociosanitari, la presenza del segretariato sociale e lo sviluppo di comunità.

Per fare questo all’interno delle équipes era prevista la presenza di esperti in sviluppo di comunità che avrebbero dovuto proporre attività di progettazione territoriale e coprogettazione insieme ai soggetti del Terzo Settore, nonché con referenti territoriali delle ASL come i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta. Oltre a questo era stato preannunciata la creazione di un Comitato Distrettuale unico per tutte le funzioni sociosanitarie, composto da: i due direttori di distretto sociale e

11 Nel corso dell’anno 2018 il comune di Rocchetta Vara ha chiesto e ottenuto di uscire dall’ambito n.60 per essere ricompreso nell’ambito n.61.

(19)

sanitario, dai referenti per le quattro aree tematiche (anziani, minori, disabilità e psichiatria), i coordinatori degli ambiti e i referenti distrettuali di area per la parte sanitaria.

In sintesi, la struttura organizzativa del distretto socio-sanitario, dopo il PSIR è delineata come indicato in tabella 1.6.

FIGURA 1.3 – ORGANIZZAZIONE DISTRETTO SOCIOSANITARIO

(20)

Tabella 1.6- IL COMITATO DISTRETTUALE UNICO

Distretto sociale Distretto sanitario

Unità distrettuale Direttore di Distretto Sociale Direttore di Distretto Sanitario Area minori e famiglia Coordinatore équipe territoriale

sociale ATS1 + area Minori e Famiglia

Referente distrettuale di Area

Area anziani Coordinatore équipe territoriale sociale ATS2 + area anziani

Referente distrettuale di Area Area disabilità Coordinatore équipe territoriale

sociale ATS3 + area disabilità

Referente distrettuale di Area Area psichiatrica

dipendenze povertà

Coordinatore équipe territoriale sociale ATS4 + area inclusione

sociale

Referente distrettuale di Area

Membri di diritto (dlgs 502/92)

Altri coordinatori di ATS Un rappresentante dei medici di medicina generale, uno dei pediatri di libera scelta e uno degli specialisti ambulatoriali convenzionati operanti nel

distretto Fonte: PSIR LIGURIA 2013-2015

Il PSIR, oltre a questo, si occupa di definire gli obiettivi di benessere sociale da perseguire, le priorità regionali di intervento, gli indirizzi per favorire criteri omogenei per l’accesso alle prestazioni su tutto il territorio regionale, le risorse regionali per il co-finanziamento delle attività e gli indirizzi per la stesura dei piani di DSS.

Date queste premesse, vedremo in seguito che non è ben chiaro come tutti questi strumenti siano stati applicati in un territorio così dispersivo come la Val di Vara. Il

(21)

servizio sociale è affidato ad uno o due assistenti sociali per ambito, ma si tratta comunque di un qualche migliaio di abitanti e di parecchi chilometri quadrati di area.

Figura 1.4I DISTRETTI SOCIOSANITARI

(22)

Figura 1.5 I NUMERI DEI TRE DISTRETTI

(23)

1.3- Dalla legge quadro 328/2000 alla legge “Salvaborghi”

Secondo quanto previsto dalla legge quadro del 2000, compete proprio ai comuni offrire un sostegno in denaro e in servizi alle famiglie per varie necessità: bisogni connessi alla crescita dei figli, assistenza agli anziani e alle persone con disabilità, contrasto del disagio legato alla povertà e all'emigrazione.

Tuttavia, i trasferimenti verso i comuni volti a finanziare la spesa sociale hanno subito riduzioni a partire dal 2009, per effetto della riduzione delle risorse finanziarie destinate alle iniziative sociali e dei vincoli determinati dal patto di stabilità (ISTAT rapporto annuale 2016).

Questo genera senza dubbio problemi di risorse e di offerta di servizi, quindi un forte malcontento nelle amministrazioni locali, le quali si sentono sole di fronte a un numero elevato di richieste di aiuto di ogni genere.

La legge quadro 328 del 2000, esplicitava chiaramente cosa dovesse essere presente in ogni ambito sociale, all'art. 22 comma 4, parla infatti di livelli essenziali (Liveas) e prevede:

 segretariato sociale

 servizio sociale professionale

 servizio di pronto intervento sociale per situazioni di emergenza familiari e personali

 strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti fragili  centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario

Dopo quasi vent’anni dall’approvazione della norma questi livelli essenziali di assistenza non sono mai stati fissati e messi in pratica dalle regioni. Così facendo non esiste un riferimento in termini di copertura dei costi univoco per tutto il territorio nazionale, le risorse del fondo nazionale delle politiche sociali dedicate al finanziamento dei servizi vengono trasferite alle regioni senza alcun vincolo riguardo alla destinazione d’uso. Senza i liveas non esiste nemmeno un riferimento per i

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cittadini relativamente ai diritti garantiti dallo Stato attraverso i vari servizi e la programmazione territoriale delle politiche sociali non ha alcun meccanismo per assicurare prestazioni minime (Costa 2013).

La Regione Liguria ha accolto i principi della legge quadro nazionale emanando la già citata legge regionale numero 12 del 2006. La norma di riordino dei servizi sociali, dedica spazio soprattutto alla promozione e al sostegno della persona e della famiglia, con un’attenzione particolare al rischio di esclusione sociale. Promuove la cittadinanza attiva e riconosce la centralità delle comunità locali con lo scopo di migliorare la qualità di vita dei cittadini e delle loro relazioni. Per fare ciò, si pone l’obiettivo di prevenire il disagio sociale e quindi superare le condizioni che ostacolano la piena partecipazione alla vita sociale.

L'osservazione di tali aspetti porta a domandarsi se, in queste previsioni vi sia anche uno sguardo verso il territorio. Posto che in ogni ambito vi siano realmente tutti i servizi elencati, resta possibile che non siano poi facilmente accessibili a tutti. La programmazione infatti tiene conto solo del numero di abitanti e non considera le caratteristiche del territorio e le sue problematiche in termini di spostamenti.

Come in effetti accade al momento in Val di Vara. L’ambito territoriale 60 vede impiegata una sola assistente sociale che si reca nei vari comuni come vedremo anche in seguito solo su appuntamento, ma per lo più resta nel comune capofila. Una sorta di punto unico di accesso si trova nel comune di Ceparana, capofila di tutto il distretto socio-sanitario ma molto distante dalla zona alta. Una persona anziana, disabile o comunque sprovvista di mezzi di trasporto propri non riesce a raggiungere tale servizio in autonomia.

Il principio secondo il quale questi servizi debbano essere in ogni ambito sociale si rifanno sicuramente ad un'idea di equità: ogni individuo deve avere lo stesso diritto ad accedere al servizio sociale e alle prestazioni socio-sanitarie.

Nella pratica però questa equità ha bisogno di condizioni e strumenti operativi specifici altrimenti rischia di venir meno come nell’esempio appena citato. Per essere veramente efficaci sul territorio è necessaria una conoscenza esaustiva del presente, questo permetterebbe anche di dirigere le energie professionali e governare qualsiasi processo di cambiamento.

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Questa riflessione ha avuto risvolti anche a livello nazionale, infatti, recentemente è stato approvato, da Camera e Senato, un disegno di legge denominato “legge salvaborghi” per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni.

Il disegno di legge parla di “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni13”.

La nuova normativa prevede che siano individuate apposite azioni destinate alle aree montane e rurali per il miglioramento delle reti infrastrutturali e per il coordinamento tra i servizi pubblici e privati. Questi saranno finalizzati al collegamento tra i comuni di queste aree e tra questi e il comune capoluogo di provincia e regione.

Inoltre, i piccoli comuni potranno istituire centri multifunzionali per la prestazione di diversi servizi in materia ambientale, sociale, energetica, scolastica, postale, artigianale, turistica, commerciale, attività di volontariato e associazionismo culturale14.

Per fare tutto questo “nello stato di previsione del Ministero dell’interno è istituito,

con una dotazione di 10 milioni di euro per l’anno 2017 e di 15 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2018 al 2023, un Fondo per lo sviluppo strutturale, economico e sociale dei piccoli comuni destinato al finanziamento di investimenti diretti alla tutela dell’ambiente e dei beni culturali, alla mitigazione del rischio idrologico, alla salvaguardia e alla riqualificazione urbana dei centri storici, alla messa in sicurezza delle infrastrutture stradali e degli istituti scolastici nonché alla promozione dello sviluppo economico e sociale e all’insediamento di nuove attività produttive” art. 3 L. 158/2017.

13 Legge 158/2017 “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonche' disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni” (www.camera.it)

14 Dossier del servizio studi del Senato sull’A.S. n.2541 “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni” ottobre 2016

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Tutto questo potrebbe incentivare le persone a rimanere in terre come l’alta Val di Vara, nonostante gli spostamenti giornalieri e quindi la fatica di vivere qui potrebbero esserci molti lati positivi o prospettive accattivanti che aiuterebbero a superarla. Con il recente provvedimento verranno, inoltre, stanziati finanziamenti a favore di comuni fino ai 5000 abitanti, o fusioni tra comuni aventi ciascuno fino a 5.000 abitanti, che si trovino in determinate condizioni. Nello specifico la finalità è quella di promuovere l’equilibrio demografico favorendo appunto la residenza in questi piccoli comuni, oltre a valorizzare il loro patrimonio naturale, rurale e storico. I mezzi da utilizzare saranno misure a favore dei residenti e delle attività produttive insediate, soprattutto per quanto riguarda il sistema dei servizi essenziali, questo insieme dovrebbe contrastare lo spopolamento e incentivare il turismo. L’insediamento nei piccoli comuni è visto come risorsa a tutela del territorio per tutte quelle attività che riguardano il contrasto al dissesto idrogeologico, la piccola e diffusa manutenzione e la conservazione dei beni comuni. Come già sottolineato, non basta che il comune abbia fino a 5.000 abitanti, ma occorre anche che rientri in una delle seguenti tipologie:

 essere collocato in aree interessate da fenomeni di dissesto idrogeologico;  avere una marcata arretratezza economica;

 aver registrato un significativo decremento della popolazione;

 essere in condizioni di disagio insediativo rilevabile da indice di vecchiaia, di occupazione e di ruralità;

 inadeguatezza dei servizi sociali essenziali;

 essere ubicati in aree caratterizzate da difficoltà di comunicazione e dalla lontananza dai centri urbani;

 avere una densità di popolazione non superiore agli 80 abitanti per chilometro quadrato;

 appartenere alle unioni di comuni montani o che esercitano obbligatoriamente in forma associata le funzioni fondamentali;

 avere un territorio compreso totalmente o parzialmente nel perimetro di un parco nazionale, regionale o di un’area protetta

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 comprendere nel proprio territorio frazioni con talune caratteristiche, in questo caso i finanziamenti riguarderanno solo le medesime frazioni15.

Da quanto analizzato finora si può sicuramente prevedere che questa norma e i finanziamenti a lei legati potrebbero essere richiesti da molti dei comuni della Val di Vara, trovandosi anche in più di una delle categorie elencate.

Al momento non esistono ipotesi o discussioni in corso sull’argomento in Val di Vara, sembra che solo poche persone siano a conoscenza della norma e delle potenzialità dei suoi risvolti sul territorio. Alla luce di quanto emerso in questo studio può essere considerata importante, per questo verrà trattata ulteriormente nell’ultimo capitolo.

15 Dossier del servizio studi del Senato sull’A.S. n.2541 “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni” ottobre 2016

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Capitolo 2

La comunità

In queste pagine verrà osservato brevemente il concetto ampio e mai realmente definito di “comunità” per passare poi ad un’analisi delle cooperative di comunità così definite dalla legge e ad una breve analisi su come l’aspetto territoriale sia diventato così importante nella programmazione delle politiche sociali.

2.1- Quale concetto di comunità?

Aristotele tentando di spiegare la nascita dello stato nel suo scritto “La politica” affermava che l’uomo è un animale sociale e tende per natura ad aggregarsi agli altri individui16.

Società e comunità sono due concetti ampi, difficili da riassumere e osservabili da diversi punti di vista ma indispensabili per poter spiegare e analizzare lo sviluppo della società moderna. Nozione da sempre e fortemente collegata all'appartenenza, alla coesione sociale, al bisogno di sicurezza, alle relazioni sociali, il significato della comunità è stato argomento di studio di molti importanti pensatori quali Durkheim, Tönnies, Weber e Bauman. Gli stessi temi si possono ritrovare anche in molti studi e ricerche di altre discipline oltre alle scienze sociali, come l'antropologia, la scienza politica e il diritto.

Sicuramente, non si può trattare della comunità senza porre uno sguardo accurato e attento al dualismo classico tra integrazione e conflitto che la comunità ripropone in sé. Come realtà che esiste all’interno della società basata sullo scambio mercantile, infatti la comunità può essere luogo di incontro e di accoglienza, ma anche territorio delimitato, chiuso fisicamente e simbolicamente (Ciucci 2005).

16 “La Politica” (in greco Τὰ πολιτικὰ) è un’opera di Aristotele dedicata all’amministrazione della polis risalente al IV secolo a.C.

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Tönnies alla fine dell'ottocento distingueva la comunità (Gemeinschaft) dalla società

(Gesellshaft) essenzialmente basandosi su relazioni sociali di tipo diverso. Nella

comunità racchiuse ogni convivenza intima, confidenziale, esclusiva, spontanea mentre la società veniva caratterizzata dal pubblico con scambi regolati da contratto. Alla base della comunità ci sarebbe un “sentimento reciprocamente vincolante” e una "reciproca comprensione di tutti i suoi membri", comprensione che non ha bisogno di essere ricreata, ma esiste già in natura ( Tönnies 1887).

La comunità quindi sarebbe riconoscibile come il luogo in cui le volontà e i sentimenti dei singoli si uniscono.

E questo è riconosciuto anche da Weber che si riferisce alla comunità come una categoria sociologica in cui è presente un sentimento di comune appartenenza, di tipo emotivo e tradizionale, soggettivamente sentita dai singoli. Questa si differenzia dall'associazione che è fondata su un legame di interessi, qui le persone hanno una motivazione razionale rispetto ad uno scopo. La sua riflessione prende in considerazione anche la distinzione tra relazioni aperte e relazioni chiuse che contraddistinguono le associazioni e le comunità. Queste possono essere aperte se non impediscono la partecipazione o chiuse se invece si basano su tradizioni, affetti, valori o scopi che ne limitano la partecipazione a chi li condivide (Weber 1922). La riflessione weberiana trova un legame anche tra comunità e stato moderno, e ci induce a credere che nella società capitalistica la comunità esista ancora, ma con una funzione storica, forme e modalità innovative (Fistetti 2003).

Ritenendo plausibile il suo pensiero si potrebbe affermare che oggi, oltre novantanni dopo le sue riflessioni, effettivamente si registra un ritorno alla comunità seppur concettualmente diversa.

Fino ad arrivare a riflessioni più contemporanee e al cruciale problema della dicotomia sicurezza-libertà:

“L’assenza di comunità significa assenza di sicurezza; la presenza di una comunità,

quando si verifica, finisce ben presto con il significare perdita di libertà. Sicurezza e libertà sono due valori parimenti preziosi e agognati, che possono essere più o meno adeguatamente bilanciati, ma quasi mai pienamente conciliati ed esenti da attriti. Quanto meno non è stata ancora inventata una ricetta sicura per tale conciliazione.

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Il problema è che la ricetta con cui vengono realizzate le «comunità realmente esistenti» non fa altro che rendere la dicotomia tra sicurezza e libertà ancor più

acuta e difficile da sanare.” (Bauman 2001, p.6)

Secondo Bauman, non riusciremo mai a trovare una soluzione tra i due bisogni perché li definisce complementari e incompatibili. Questo non significa però che l’essere umano smetterà di provarci e di credere che si possa raggiungere un proficuo equilibrio. Non vogliamo rinunciare alla libertà, ma abbiamo un gran bisogno di vivere in "comunità" per condividere l'instabilità della vita moderna e della "società liquida", per usare le parole dello stesso Bauman.

Egli riprendendo gli studiosi classici, trova una certa “naturalità” della comunità e la definisce come una cosa “sempre buona” che infonde un effetto sempre piacevole, perché protegge, rende più sicuri e fiduciosi. Essendo così naturale la reciproca comprensione non viene notata e se diventa autocosciente e viene conclamata non sopravvive. Quindi la comunità esiste e funziona solo se non parla di sé e quasi non si accorge di esistere. Molto difficile quindi da individuare e da osservare nella realtà. Secondo Redfield la comunità vera e pura non corre questo rischio poiché non cerca riflessione o critica. Per essere considerata tale però dev’essere: peculiare, piccola e autosufficiente. Con il termine peculiare si intende una comunità con confini ben definiti, con un inizio ed una fine, una chiara distinzione tra il “noi” della comunità e il “loro” dell’esterno (Redfield 1976).

Una comunità con tali caratteristiche tuttavia non è possibile nel mondo globalizzato. Bauman riporta le cause di tale dissolvimento con l’arrivo dei mezzi di trasporto meccanici che eliminano le distanze e dell’informatica che permette una distribuzione delle informazioni immediata e largamente diffusa.

Anche le nuove forme di unione che si rifanno al concetto di identità non si possono considerare vere comunità. L’identità infatti permette all’individuo di distinguersi e di sentirsi unico nella massa, così che chi si riconosce nello stesso ideale si aggrappa insieme a “comunità grucce” per combattere le insicurezze vissute individualmente. Per questo la conclusione della sua riflessione porta a pensare che le comunità esistenti possano essere soltanto il frutto di un processo “artificiale”. La reciproca comprensione può essere soltanto ricostruita dopo una lunga discussione e una

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complicata trattativa. Il risultato sarà comunque una comunità incerta, “a tempo determinato”, che necessita di continua sorveglianza e difesa verso l’esterno (Bauman 2001).

Addirittura c’è chi pensa che non ci sia una “cultura della comunità”, poiché la riportiamo a modelli del passato oggi impensabili e non abbiamo idea di quale sia il suo vero significato. La parola indica apertura e pluralità, mentre solitamente viene associata a una realtà ben circoscritta e definita. (Mancini 2004)

Sembra infatti che nelle nuove comunità nascenti si proclami il vivere in comunione con l’altro, ma al tempo stesso si stiano delimitando sempre più nettamente i confini della comunità in cui si vive, creando così extracomunitari che ne restano fuori. La consapevolezza dell’altro assume un’importanza notevole, proprio perché comunità può essere vista come un evento, l’incontro di individui, di “esseri finiti”. (Esposito 1998) L’incontro con l’altro sottrae all’isolamento e richiama una mutualità, oltre che al dono inteso come corresponsabilità universale, almeno ambita se non raggiunta. Così dono e comunità hanno valore simbolico, diventano una possibilità non sono esperienze previste, ma sono “inattese”. Entrambi sono eventi che vanno oltre la quotidianità e convivono con altri aspetti più conosciuti e stabili. Il dono, inteso qui non come semplice scambio, ma come atto tipico dell’amore fraterno e disinteressato, permette alla comunità di aprirsi ed essere ospitale verso l’estraneo e verso il territorio. Questa però, non è una condizione stabile, ma è un avvenire che non permane e un rifiuto del dono, un suo misconoscimento, è sempre possibile. La comunità rischia di fallire proprio quando manca il riconoscimento di questo dono e quindi della mutualità che lo compone (Ciucci 2005).

Difficile quindi parlare di comunità se non si comprende l’evoluzione storica della riflessione sociologica e filosofica che la riguarda.

Per quel che riguarda il lavoro qui esposto possiamo assumere quale concetto di comunità solamente quella locale composta da tutti quei soggetti che vi abitano e da tutte le forme di associazione, imprese, cooperative che vi operano. Una definizione differente da questa sarebbe davvero difficile da applicare per chi è impiegato sul territorio e vuole definirsi cooperativa di comunità. Decidere di rivolgersi a un altro tipo di comunità, per offrirle beni e servizi, porterebbe a dover risolvere tutte le

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problematiche di appartenenza, identità, sicurezza e libertà che abbiamo appena visto.

Anche se rivolgersi alla più semplice comunità territoriale non li risolve del tutto. Soprattutto in termini di appartenenza e riconoscimento si possono riscontrare ancora delle difficoltà che si traducono nella poca partecipazione dei cittadini alla vita delle comunità stesse. Infatti un’ulteriore e fondamentale differenza permane a seconda dell’osservatore della stessa comunità. Vi è una distinzione notevole tra la comunità definita da chi la osserva da fuori e la comunità vissuta da chi vi appartiene. McMillan definisce il senso di comunità e si concentra sull’appartenenza e la soddisfazione dei bisogni:

un sentimento che i membri hanno di appartenere e di essere importanti gli uni per gli altri e per il gruppo, e una fiducia condivisa che i bisogni dei membri saranno soddisfatti dal loro impegno di essere insieme.” (McMillan 1976)

In questa definizione non si parla di contesto o territorio e nemmeno del tipo di interazioni che si sviluppano tra i membri, ma solamente del senso che assume la relazione in funzione al soddisfacimento di alcuni bisogni. Come vedremo alcune tra le più famose cooperative di comunità si sono basate proprio sul soddisfacimento di un o più bisogni specifici. I membri hanno trovato nella comunità il modo di soddisfare un bisogno che altrimenti singolarmente non sarebbero stati in grado di sopperire. Forse è questo il lato della comunità che interessa quando si analizzano tali esperienze.

2.2- Cooperative di comunità

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La definizione ufficiale di cooperativa è stata data dall’International Co-operative Alliance nel 1995 all’interno della Dichiarazione d’Identità Cooperativa18:

17 Tutte le informazioni di carattere tecnico sulle cooperative di comunità contenute in questo paragrafo provengono da “Guida alle cooperative di comunità” di Legacoop 2011 disponibile online alla pagina www.legacoop.coop/cooperative-di-comunità.

18 L’Alleanza Co-operativa Internazionale (International Cooperative Alliance ICA) in occasione del XXXI Congresso del Centenario (Manchester, 20-22 settembre 1995) ha adottato una Dichiarazione d’Identità Cooperativa che definisce cosa essa sia e quali

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“Una cooperativa è un'associazione autonoma di persone riunite

volontariamente per soddisfare i loro bisogni e aspirazioni economiche, sociali e culturali, attraverso un'impresa di priorità comune, democraticamente controllata.”

All’interno di questo decalogo per le cooperative che contiene i valori e i principi sui quali il movimento cooperativo si è basato e si basa ancora oggi, si parlava già di comunità. Il VII principio nell’originale inglese ha come titolo “Concern for Community” e indica che le cooperative lavorano per uno sviluppo sostenibile delle proprie comunità. Questa particolare categoria quindi non è del tutto nuova, ma possiamo trovarne esempi fin dalla fine del 1800 quando nacquero le prime società cooperative per l’illuminazione elettrica. Negli anni ‘30 le cooperative elettriche erano molto sviluppate sia in Italia sia in Europa e possono essere considerate le prime cooperative di comunità. Esse offrivano un servizio di interesse generale e soddisfacevano i bisogni della comunità intera e non solo dei propri soci (Mori 2015). Per definire la cooperativa di comunità è possibile dunque partire dai suoi destinatari, la novità di questa forma di associazione sta nel fatto di rivolgersi all’intera società e non più ai propri soci o a gruppi specifici di cittadini, come invece accade con le cooperative sociali. Le attività e i servizi della cooperativa di comunità non sono rivolti a una categoria specifica come ad esempio lavoratori, disoccupati, consumatori, ma sono al servizio di una comunità intera. Inoltre, la cooperativa vede i cittadini nello stesso tempo produttori e fruitori di beni e servizi, in una specifica e ben definita comunità. L’idea maggiormente diffusa, come abbiamo già accennato, è quella di associare una comunità ad uno specifico territorio. In questo caso la comunità è formata dalle persone che essendo residenti in un dato territorio possono essere interessate a usufruire di quei beni o servizi offerti. Anche se non ne usufruiscono al momento, potrebbero averne bisogno in futuro e per questo sono tutti

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potenziali soci per il principio della “porta aperta” che verrà analizzato con maggiore cura nel prossimo paragrafo.(Mori 2015)

La definizione di cooperativa di comunità mette in relazione due concetti che come abbiamo visto sono già molto complicati in sé:

 cooperativa che per essere definita tale deve rispettare i requisiti di volontarietà dei soci, aspirazioni e democraticità

 comunità che come ampiamente visto pone interrogativi importanti nella fase di individuazione della stessa che richiamano il senso di appartenenza, il riconoscimento e la sicurezza.

2.2.a – Caratteristiche fondamentali della cooperativa di comunità

Molte delle caratteristiche delle cooperative di comunità sono identiche a quelle delle semplici cooperative sociali.

Legacoop ha fornito una guida alle cooperative di comunità disponibile online, dove ha descritto tali realtà dettagliatamente.

Per quanto concerne la forma, la cooperativa può essere una società a responsabilità limitata o una società per azioni e operare come cooperativa di produzione e lavoro, di consumo e utenza, sociale e mista.

Per costituire una cooperativa è necessario che ci siano almeno tre soci, essi possono essere soci utenti, soci lavoratori o appartenere ad entrambe le categorie ed essere quindi soci utenti e lavoratori. Sono soci utenti i consumatori dei servizi erogati dalla cooperativa, mentre sono soci lavoratori coloro che possiedono capacità professionali e lavorative funzionali e coerenti con lo svolgimento della cooperativa stessa. Ogni socio deve corrispondere una quota associativa che dev'essere compresa fra 25 e 500 euro, ma non esiste un capitale sociale minimo da sottoscrivere. La partecipazione massima di ogni singolo socio al capitale della cooperativa tra quote e azioni è di massimo 100.000 euro. Possono essere soci persone fisiche, persone giuridiche, organizzazioni del terzo settore e anche enti pubblici.

I requisiti e le procedure di ammissione dei soci vengono stabili dallo statuto stesso della cooperativa, ma devono rispettare il principio della “porta aperta” vale a dire

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devono favorire l'ingresso di nuovi soci. Questo principio permette all’impresa di essere flessibile, infatti l’ingresso e l’uscita di un socio avviene senza che venga modificato l’atto costitutivo.

Si parla di impresa intergenerazionale che sopravvive ai soci fondatori perché il patrimonio è indivisibile, anche in caso di scioglimento ed è previsto il reimpiego degli utili nella cooperativa stessa versandone una percentuale in una riserva indivisibile. Così la cooperativa può continuare ad esistere nel tempo nonostante l’uscita dei soci anziani e il basso valore della quota associativa non è un ostacolo all'ingresso dei giovani, offrendo loro ottime opportunità lavorative.

Un particolare imprescindibile è lo scambio mutualistico tra i soci stessi e la cooperativa. La mutualità comporta vantaggi e obblighi reciproci con l’obiettivo di disporre di migliori condizioni rispetto a quelle presenti sul mercato. Il capitale umano osservato dal punto di vista delle conoscenze, competenze e motivazioni dei singoli è elemento centrale nell’organizzazione e nella gestione della cooperativa che deve garantire il coinvolgimento e la partecipazione di tutti i soggetti.(Ministero dello sviluppo economico 2016)

Lo scopo della cooperativa di comunità è quello di produrre beni e servizi che incidano in modo stabile e duraturo sulla qualità della vita sociale ed economica della comunità.

Per questo la comunità deve essere ben identificata, in modo tale che la cooperativa possa predisporre un progetto in grado di riconoscere le situazioni di bisogno e attivare le risorse idonee. L’identificazione della comunità è contenuta nello statuto della cooperativa nel rispetto dalle normative regionali di riferimento, come vedremo meglio di seguito spesso queste prendono in considerazione i territori comunali e le loro circoscrizioni.

Anche le attività devono essere ben chiare e definite in un progetto imprenditoriale. Questo punto è fondamentale perché è in ragione di questo progetto che i cittadini decideranno se associarsi o meno alla cooperativa (Stomeo 2015).

Anche se è indubbio che il progetto iniziale subirà dei cambiamenti nel corso del tempo necessari e indispensabili per la sopravvivenza stessa della cooperativa in

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funzione dei mutamenti stessi delle caratteristiche territoriali, della popolazione, dei bisogni e molto altro ancora.

I progetto, come la comunità di riferimento, viene indicato dalla legge regionale di riferimento che vedremo nel prossimo paragrafo.

A livello di governance non esistono differenze formali rispetto alle cooperative tradizionali19, tranne per il coinvolgimento della comunità in momenti di consultazione che però non sempre sono previsti dagli statuti. Come avremo modo di vedere nel capitolo seguente nessuna delle cooperative intervistate dichiara di aver istituito appositi strumenti per la consultazione della comunità.

La cooperativa viene amministrata come una società di capitali, cioè attraverso l’assemblea, il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale. Quest’ultimo non è necessario per le cooperative con capitale inferiore ai centoventimila euro. Ogni socio può esprimere un solo voto indipendentemente dalla partecipazione al capitale sociale.

Sono state definite imprese “ibride” perché la propria mission20 spesso è ampia, con obiettivi diversi e attività multi-settoriali. Vede inoltre la partecipazione di soggetti diversi: privati, no profit e pubblici impegnati in una co-produzione da parte dei membri della comunità che sono allo stesso tempo produttori e acquirenti.

Il ruolo della comunità locale è molteplice, i cittadini sono soci o lavoratori dell’impresa che produce risultati reinvestiti nella comunità stessa, la quale ne è anche la principale consumatrice. Ci sono cooperative definite “stakeholder” che coinvolgono la comunità con un’ampia diffusione delle informazioni, ma senza includerla nelle scelte. E poi altre cooperative “multistakeholder” che includono potenzialmente tutta la comunità locale, di conseguenza i membri sono soci o lavoratori e in questo caso la cooperativa deve rendere conto in piena trasparenza

19 “Studio di fattibilità per le politiche di comunità- report finale” 2016, Ministero dello sviluppo economico

20 Nel linguaggio del marketing, termine che esprime l’identità e gli obiettivi dell’azienda o dell’organizzazione, al fine di comunicarne l’orientamento strategico di fondo e la sua connessione con la visione e i valori di riferimento. Nella m. vengono spiegate la ragion d’essere dell’organizzazione e la giustificazione stessa della sua esistenza: l’attività svolta, i mercati o i clienti serviti, le risorse e le competenze distintive, i fattori che la contraddistinguono dalle altre. (www.treccani.it)

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dell’uso delle risorse collettive, delle scelte effettuate, degli investimenti pensati. (Bandini Medei Travaglini 2015)

Si parla proprio di “cittadinanza attiva” in questo senso quando le cooperative nascono dall’iniziativa dei cittadini e dagli stessi vengono controllate e amministrate. La cittadinanza attiva è però un fenomeno molto più ampio che vede i cittadini co-fornitori di servizi, attivi al pari delle istituzioni pubbliche. La partecipazione dei cittadini in queste cooperative avviene attraverso un’organizzazione controllata direttamente da essi e ha bisogno di una pianificazione di impresa. La cooperativa di comunità può essere vista quindi quale strumento della partecipazione cittadina alla gestione di determinati servizi. (Mori 2015)

Quanto detto finora non chiarisce però in modo definitivo quale relazione ci sia tra la cooperativa e la comunità. Il fatto che la cooperativa sia di comunità può significare che le appartenga, sia in relazione con essa o che sia al servizio di una comunità o anche di una parte di essa. Le attività inoltre sono spesso legate alla comunità per le caratteristiche stesse del territorio, ne sono un esempio le cooperative agricole o boschive. In questi casi cooperativa e comunità sono legate da un rapporto professionale e non da una funzione di servizio che l’una ha verso l’altra. Senza considerare il cambiamento che inevitabilmente con il tempo si riscontrerà nella comunità stessa. Non è chiaro come la cooperativa si comporterà di fronte al mutamento inevitabile della comunità, delle sue risorse, dei suoi bisogni e come già detto del suo progetto iniziale.

2.3- Situazione italiana e norme di riferimento

Dalle ricerche effettuate emerge una differenza sostanziale tra nord e sud Italia nel modo in cui le cooperative di comunità sorgono. Al centro-nord sembra che l’iniziativa parta dai cittadini stessi e in località isolate, montane e con pochi abitanti. Al sud, invece, il ruolo del soggetto pubblico è molto predominante perché esso dà la spinta iniziale per far nascere cooperative di comunità, in località poste a valle o sulla costa con un numero maggiore di abitanti. (Bandini Medei Travaglini 2015)

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Per questa forma di cooperazione al momento non esiste un quadro normativo nazionale, ma è stata presentata una proposta di legge denominata “Disciplina delle cooperative di comunità” nell’anno 2017 che non ha ancora terminato il proprio iter legislativo. Questa legge se approvata definirà per prima cosa cosa siano a livello normativo le cooperative di comunità, fornendo un quadro per le regioni che entro un anno dall’entrata in vigore della legge dovranno emanare le norme attuative. Inoltre stabilirà una cornice per le misure di sostegno economico per le cooperative di comunità favorendo strumenti di accessi al credito21. Tuttavia alcune regioni come Puglia Liguria e Abruzzo, hanno già approvato norme specifiche sulle cooperative di comunità, mentre altre come Basilicata, Emilia-Romagna, Lombardia, Toscana, hanno inserito articoli dedicati nelle leggi vigenti sulla cooperazione.

Sono queste norme a definire le comunità di riferimento nelle quali possono sorgere le cooperative, anche se in termini di riconoscimento e appartenenza sembra un paradosso notevole.

Puglia, Abruzzo e Basilicata hanno preso come riferimento i comuni e le circoscrizioni dei comuni stessi. Mentre, Basilicata e Toscana parlano di piccole realtà locali in situazioni di disagio socio-economico e a rischio di spopolamento (vedi Tabella 2.1).

La Liguria, pur avendo emanato una norma specifica22 riguardante queste cooperative, non ha definito in modo chiaro e preciso quale sia l’ambito territoriale da considerarsi comunità, lasciando così la difficile scelta alle cooperative stesse ma evitando così il paradosso sopracitato.

La legge ligure di riferimento definisce le cooperative di comunità “le società

cooperative che hanno per scopo il rafforzamento del tessuto sociale ed economico delle comunità interessate, con l’accrescimento delle occasioni di lavoro, di nuove opportunità di reddito e, in particolare, con la produzione e la gestione di beni e servizi rivolti prioritariamente alla fruizione piena dei diritti di cittadinanza e al

21 Proposta di legge "Disciplina delle cooperative di comunità" (N.4588) da www.camera.it

22 Legge regionale 7 Aprile 2015 numero 14 “Azioni regionali a sostegno delle cooperative di comunità”

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soddisfacimento dei bisogni dei cittadini che vi appartengono. Nel perseguire questo obiettivo le cooperative valorizzano le risorse umane, le innovazioni, le tradizioni, i beni culturali, ambientali e comuni presenti nella comunità” (L.R. Liguria

n.14/2015, Art.2)

La legge prevede che tra i soci possano esserci enti locali sul cui territorio opera la cooperativa, oltre a altri enti pubblici. Quindi, il comune o i comuni nei quali opera la cooperativa possono essere soci della stessa. Questo fattore potrebbe aumentare il radicamento territoriale della cooperativa, ma potrebbe far prevalere l’interesse istituzionale a discapito di quello dei cittadini ed è difficile ridimensionare il potere di un socio così imponente che rischierebbe di diventare un organo strumentale. Nella normativa inoltre, si fa riferimento a “progetti integrati” che riguardano molteplici attività attraverso i quali le cooperative possano corrispondere alle esigenze della comunità.

Le attività possibili dei progetti, indicate nella norma sono:  valorizzazione dei beni comuni, culturali e ambientali  cura e valorizzazione dell’ecosistema comunitario;  difesa e valorizzazione delle tradizioni tipiche territoriali;  valorizzazione delle risorse umane;

 produzione e gestione di servizi finalizzati all’utilizzo degli stessi da parte degli appartenenti alla comunità;

 promozione e produzione delle peculiarità locali tipiche;  promozione e sviluppo di attività produttive ed economiche;  promozione di nuova occupazione.

Giuridicamente la cooperativa di comunità si colloca in un contesto flessibile ed è bene chiarire alcuni punti.

La cooperativa è un’impresa e non un’associazione di promozione sociale, si colloca nel mercato con l’obiettivo di massimizzare il benessere di una comunità e non il profitto. Il modello al quale si avvicinano seppur con ragioni sociali differenti, è quello del business no profit che prevede un reinvestimento degli utili in altre attività

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con lo stesso obiettivo finale. Queste caratteristiche rendono le cooperative di comunità molto simili alle cooperative sociali con problemi di sovrapposizione. Due aspetti le differenziano o meglio dovrebbero differenziarle da queste: la multi-settorialità delle attività proposte e la mutualità che può essere definita “interna multipla” rivolta cioè all’intera comunità oltre che ai soci. La cooperativa di comunità infatti persegue l’interesse della comunità e lo sviluppo locale oltre che quello dei propri soci, anche se questo aspetto vale anche per le cooperative sociali di tipo A23 dove però la comunità funge soltanto da destinatario e non da soggetto associativo.

Un ulteriore punto importante è il rapporto con la Pubblica Amministrazione con la quale la cooperativa di comunità si trova ad operare parallelamente. Le amministrazioni comunali nella maggior parte dei casi, ma non sempre come vedremo nel prossimo capitolo, rivestono grande importanza sulle cooperative di comunità e le sostengono in vari modi: sostegni diretti, concessioni spazi pubblici, acquisto e/o concessione servizi alla cooperativa. Altre regioni come Puglia e Abruzzo, oltre alla Liguria che come abbiamo visto parla di progetti integrati, hanno previsto modalità diverse di interazione con la pubblica amministrazione adottando schemi di convenzioni-tipo. Ovviamente le regioni che hanno promulgato leggi specifiche per la cooperazione di comunità hanno chiarito più dettagliatamente molte questioni come è possibile vedere in tabella. Puglia, Liguria e Abruzzo prevedono inoltre la possibilità di intervento a sostegno delle cooperative di comunità attraverso finanziamenti agevolati, contributi in conto capitale e in conto occupazione24. (Ministero dello sviluppo economico 2016)

Assunto tutto quanto detto finora non sembra che le cooperative di comunità si distanzino molto dalle cooperative sociali se si osservano soltanto i dati normativi.

23 Le cooperative sociali di tipo A sono quelle che si occupano della gestione di servizi socio-sanitari ed educativi come indicato dall’ Art.1 della L.381/1991 “Disciplina delle cooperative sociali”.

24 Contributo in conto capitale: sono finalizzati all’incremento dei mezzi patrimoniali dell’impresa, senza essere necessariamente correlati all’obbligo di effettuazione di specifici investimenti, ovvero alla copertura delle perdite d’esercizio.

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Probabilmente le differenze non risiedono in questo tipo di dati, ma sarebbero certamente più evidenti considerando le pratiche e gli indicatori qualitativi.

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Tabella 2.1- Confronto fra leggi regionali

OGGETTO SCAMBIO MUTUALISTICO SOCI COMUNITÀ DI

RIFERIMENTO Liguria

L.R. 14/2015 Società cooperative con scopo rafforzamento del tessuto sociale ed economico di una comunità, per fruizione piena dei diritti di cittadinanza

Se sono coop.sociali vengono iscritte nel registro del Terzo Settore, possono essere: coop. di produzione e lavoro, di supporto, di utenza, sociali o miste in ragione dello scopo mutualistico che le caratterizza

Soci lavoratori, utenti, Persone fisiche,

persone giuridiche,

organizzazioni del terzo settore, enti locali Non specificata Abruzzo L.R. 25/2015 Puglia L.R. 23/2014

Società cooperative che valorizzano le competenze dei residenti, delle tradizioni, delle risorse territoriali con lo scopo di migliorare la qualità sociale ed economica della vita nella comunità locale

Vengono istituiti gli albi reg. delle cooperative di comunità che possono essere:coop. di produzione e lavoro, di utenza, di supporto, sociali o miste

Soci lavoratori, utenti, finanziatori, persone fisiche, giuridiche, associazioni e fondazioni senza scopo di lucro

Comuni e circoscrizioni, il numero dei soci deve rappresentare una determinata quota

percentuale del totale dei residenti

Toscana L.R. 24/2014 Art. 11bis

Cooperative con lo scopo di organizzare e gestire attività che interessano in particolare ambiente e paesaggio

Non specificato Non specificato Piccole realtà locali a rischio

di spopolamento situate in territori montani e marginali

Lombardia L.R. 36/2015 art. 11

Società cooperative che promuovono la partecipazione dei cittadini

all’erogazione di servizi pubblici e di pubblica utilità, alla valorizzazione e gestione di beni comuni (salute, cultura paesaggio..), all’acquisto collettivo di beni o servizi di interesse generale.

Possono essere cooperative di produzione e lavoro, di utenza, sociali o miste.

Soci

lavoratori, soci utenti, soci finanziatori, che a vario titolo operano con e nella comunità di riferimento; Non specificata Emilia-Romagna L.R. 12/2014 Art.2 co.3

Coop. che perseguono lo sviluppo di attività economiche a favore della comunità finalizzate a: produzione di beni e servizi, recupero beni

ambientali e monumentali, creazione di offerta di lavoro

Non specificato Non specificato Non specificata

Basilicata L.R.12/2015

Società cooperative con lo scopo di capacitare la cittadinanza e

Non specificato Persone fisiche, persone giuridiche, fondazioni e

Comuni e ambiti aggregativi previsti dagli statuti dei

(43)

art.12 soddisfare i bisogni della comunità locale con attività eco-sostenibili finalizzate a produzione beni e servizi, recupero di beni ambientali e monumentali, creazione di offerta di lavoro, generazione di capitale sociale.

associazioni senza scopo di lucro, enti locali

comuni, piccole realtà comunali con disagio socio-economico e rarefazione demografica, il numero dei soci deve rappresentare una determinata quota

percentuale del totale dei residenti

Riferimenti

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