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Il danno tanatologico

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Academic year: 2021

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(1)

Danno tanatologico

Estratto da:

DIGESTO

delle Discipline Privatistiche

Sezione Civile

Aggiornamento

XII

diretto da

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Composizione: Sinergie Grafiche S.r.l. - Corsico (MI) Finito di stampare nel mese di ottobre 2019

dalla Stamperia Artistica Nazionale S.p.A. Via Massimo D’Antona, 19 – 10028 Trofarello (TO)

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INDICE

Arbitrio del terzo e arbitraggio di parte di PAOLOGALLO . . . p. 1

Arricchimento senza causa di PAOLOGALLO . . . » 13

Biotestamento di MARIANNARINALDO . . . » 23

Clausoleclaims made di GIULIAROSSI . . . » 39

Compensatio lucri cum damno di ELENA BELLISARIO . . . » 49

Contatto sociale e responsabilita` medica di PAOLOGALLO. . . » 67

Contratti di convivenza di LUIGI NONNE . . . » 77

Contratti di durata (eccessiva onerosita` sopravvenuta nei) di EMANUELETUCCARI . . . » 97

Contratto preliminare ad esecuzione anticipata di GIUSYCOSCO . . . » 113

Correttezza e buona fede di GIOVANNIFINAZZI . . . » 125

Costituzione e (processo del) fine vita di UGOADAMO . . . » 143

Danno tanatologico di ANGELOVIGLIANISI FERRARO . . . » 183

Donazione obbligatoria di LORENZO PELLEGRINI . . . » 199

Fiducia e causa di PAOLOMARRA . . . » 215

Garanzia (connessione per) di IDACARLAMAGGIO . . . » 227

Matrimonio (promessa e celebrazione) di RAFFAELLAPASQUILI . . . » 239

Motivo (del negozio) di CRISTIANOCICERO . . . » 253

Nullita` ed annullabilita` (diritto comparato) di PAOLOGALLO . . . » 261

Patto di non concorrenza di MARCOVORANO . . . » 279

Prodotti spontanei (in agricoltura) di MARIOMAURO . . . » 289

Rent to buy di ALESSANDROSEMPRINI . . . » 301

Responsabilita` in ambito sanitario di RAFFAELLADEMATTEIS . . . » 315

Responsabilita` patrimoniale negoziata di GIOVANNA MARCHETTI . . . » 331

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Revisione del contratto ed equilibrio sinallagmatico di PAOLOGALLO . . . » 365

Revocazione delle disposizioni testamentarie di CRISTIANOCICERO . . . » 383

Smart contract di GELSOMINASALITO . . . » 393

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Danno tanatologico

Bibliografia: A´LVAREZVIGARAY, La responsabilidad por dan˜o mo-ral, in Anuario derecho civil, 1966, 109 ss.; ASTONE, Il danno tanato-logico. Una controversa ricostruzione, in DFP, 2017, 191; B ARCEL-LONA, Funzione e struttura della responsabilita` civile: considerazioni preliminari sul concetto di danno aquiliano, in RCDP, 2004, 231 ss.; BARGELLI, Danno non patrimoniale iure hereditario. Spunti per una riflessione critica, in RCP, 2014, 777 ss.; BE´ NABENT, La chance et le droit, L.G.D.J., Paris, 1973, passim; BERTOZZI, Danno biologico da morte immediata, in www.vittimestrada.org; BIANCA, Diritto civile. Vol. V. La responsabilita`, Milano, 2012, 178 ss.; ID., Il danno da perdita della vita, in VN, 2012, 1497 ss.; ID., La tutela risarcitoria del diritto alla vita: una parola nuova della Cassazione attesa da tempo, in RCP, 2014, 493 ss.; BONA, Lesioni mortali e danni tanato-logici non pecuniari: danni risarcibili, quantificazione e questioni aperte, in AA.VV., Il nuovo danno alla persona, Milano, 1999, 81 ss.; BONILINI, Il danno non patrimoniale, Milano, 1983, 457 ss.; B OR-DON, Causalita` e danni da morte: non si arresta la spinta evolutiva, in RCP, 2008, 1837 ss.; BUSNELLI, Il danno biologico. Dal «diritto vi-vente» al «diritto vigente», Torino, 2001, passim; ID., Problemi giuri-dici di fine vita tra natura e artificio, in RDC, 2011, 153 ss.; CARIOTA

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Legislazione: si rinvia al testo.

Sommario: 1. Premessa. – 2. Le (dieci) tradizionali (e confutabili) ragioni contrarie al riconoscimento del danno tanatologico. – 3. La sentenza della Corte costituzionale 27-10-1994, n. 372, ed i timidi segnali di apertura presenti in alcune pronunce di inizio secolo della Corte di Cassazione. – 4. I (poco persuasi) tentativi dottrinali di sussumere la figura in esame nelle categorie del danno collettivo e del danno da perdita di chance. – 5. La totale apertura al danno tanatologico contenuta nella ‘‘sentenza-monografia’’ 23-1-2014, n. 1361. – 6. La presa di posizione assunta con la sentenza delle S.U., 22-7-2015, n. 15350 (e confermata dalla giurisprudenza successiva della Suprema Corte). – 7. I problemi irrisolti dalle Sezioni Unite e la non convincente tesi dell’assenza di un titolare del diritto al mo-mento della lesione. – 8. L’opportunita` di superare la netta distin-zione tra diritto alla vita e diritto alla salute. – 9. La ricostrudistin-zione del danno tanatologico in chiave di danno ‘‘biologico irreversibile’’ da lesioni mortali. – 10. Conclusioni. La necessita` di un intervento legislativo che confermi la configurabilita` del danno tanatologico e contenga precise indicazioni sul quantum debeatur.

1. Premessa.

Una delle questioni piu` discusse nel settore della responsabilita` civile, e attorno alla quale da decenni si consumano accese dispute fra gli studiosi e gli in-terpreti, riguarda la possibilita` – al momento assolu-tamente negata da un monolitico orientamento della Suprema Corte italiana – di accordare iure successio-nis agli eredi il ristoro per la perdita (istantanea) della vita del loro congiunto (1)).

A chiudere – in via definitiva – le porte al c.d. danno tanatologico hanno recentemente provveduto le Se-zioni Unite Civili, con la sentenza 22-7-2015, n. 15350.

A novant’anni di distanza da una nota pronuncia del Gran Plenum della Cassazione del Regno, anch’essa contraria alla configurabilita` della controversa figura in esame (2), il giudice di legittimita` ha scelto di con-fermare la posizione espressa in quella decisione, nella quale si stabiliva che «intanto e` possibile l’espe-rimento iure haereditatis di un’azione di danni dipen-denti dalla morte di una persona, in quanto il diritto al risarcimento fosse acquisito gia` a costei, nel

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mo-mento del decesso. Ma se tali danni, in quanto deri-vanti dalla morte, non possono logicamente non es-sere a questa successivi, e` evidentemente assurda la concezione, rispetto ad essi, di un soggetto originario di diritto che piu` non esisteva quando i medesimi si verificarono».

Parziali ‘‘concessioni’’ (3) nella delicata materia de qua sono state riconosciute dall’autorita` nomofilatti-ca, mediante l’elaborazione di nuove categorie di pregiudizi di natura non patrimoniale suscettibili di essere fatti valere direttamente dal successore, in quanto gia` entrati a far parte dell’asse ereditario del-la vittima prima del suo decesso. Si tratta del ‘‘danno biologico terminale’’ (definito senza mezzi termini un vero e proprio ‘‘sotterfugio’’ ermeneutico da una col-ta voce dottrinale (4)) e del ‘‘danno morale termina-le’’ (detto anche ‘‘catastrofatermina-le’’ o ‘‘catastrofico’’) (5). Ma, sebbene una piu` recente sentenza del Consiglio di Stato (che sembra aver chiuso definitivamente l’annosa vicenda riguardante il caso Eluana Engla-ro) (6), sia arrivata ad ammettere la possibilita` di invocare iure hereditatis un risarcimento del danno per ‘‘ritardata morte’’, ossia per lesione del diritto all’autodeterminazione di una paziente ‘‘mantenuta artificialmente in vita’’ (costretta, cioe`, a trattamenti sanitari salvifici), senza il suo consenso, sembrano essere ormai sbarrate in Italia le porte al danno da perdita istantanea della vita.

La scelta si espone a non poche critiche.

Rimanendo coerenti con le premesse logiche sulle quali si basa l’impostazione sostenuta da quanti ne-gano la configurabilita` della figura giuridica in esa-me, dovrebbe immaginarsi – come qualche autore ha evidenziato – che, nel caso in cui un soggetto si de-terminasse a distruggere con una potente bomba una costosissima autovettura del proprio rivale in amore, senza avvedersi della presenza di quest’ultimo all’in-terno del veicolo, non solo nulla sarebbe dovuto iure successionis agli eredi della vittima sotto il profilo dei pregiudizi non patrimoniali per la morte (immediata) del de cuius, ma essendo venuto ad esistenza il diritto al ristoro per la perdita materiale subita nel momen-to stesso in cui il timomen-tolare del bene e` mormomen-to, neppure tale pretesa risulterebbe trasmissibile ai successori. Agli eredi «spetterebbe il solo relitto, ma essi non potrebbero reclamare a titolo ereditario un danno (emergente)» (7). Quindi, il reo, in aggiunta ad una (non troppo severa) sanzione penale, potrebbe esse-re destinatario solo di una condanna a liquidaesse-re ai congiunti della vittima il pregiudizio da perdita del rapporto parentale (ben poca cosa rispetto al pretium mortis e all’elevato valore patrimoniale dell’automo-bile).

Considerazioni analoghe (mutatis mutandis) dovreb-bero d’altra parte valere ex latere rei, con la conse-guenza che, nel caso di morte (immediata) di

que-st’ultimo in concomitanza (attentato suicida) o addi-rittura in antecedenza (lancio di un ordigno ad ampio raggio accompagnato dall’immediato decesso del danneggiante) alla realizzazione di un atto illecito produttivo di danni, nessun obbligo risarcitorio po-trebbe entrare nel patrimonio dell’offensore ed esse-re trasmesso ai successori, i quali godesse-rebbero, pero`, dell’eredita` del de cuius (e anche dei benefici deri-vanti, in ipotesi, dall’uccisione da parte di quest’ulti-mo del negoziante che aveva da poco aperto un eser-cizio commerciale considerato dall’omicida scomodo e dannoso per i suoi eredi).

Peraltro, richiamando un argomento invocato molti anni fa dalla stessa Corte di Cassazione per escludere la risarcibilita` dei pregiudizi indiretti subiti da un prossimo congiunto di persona ferita non mortalmen-te, si puo` asserire che, continuando a negare l’am-missibilita` del danno tanatologico, si giunge al para-dossale «risultato che il responsabile e` tenuto ad una sola liquidazione nel caso di omicidio (a favore dei prossimi congiunti della vittima) ed a duplice liqui-dazione nel caso di lesioni (a favore del leso e dei prossimi congiunti)» (8).

Secondo quanto si tentera` di evidenziare in questo lavoro, al di la` delle sovrastrutture dogmatiche (ca-paci di trasformarsi nelle famose ‘‘gabbie interpreta-tive’’ di cui ha parlato un autorevole studioso (9)) e delle prese di posizione rigide, il vero problema (del danno non patrimoniale in generale, e non solo di quello legato alla perdita della vita del congiunto), da affrontare una volta per tutte con la dovuta con-sapevolezza, e` quello del quantum debeatur (come condivisibilmente asserisce da tempo un profondo conoscitore della materia in esame (10)) (11). Ed e` su questo scivoloso, ma inevitabile, terreno che il dibattito teorico dovrebbe svolgersi, per tentare di limitare gli effetti incontenibili della «esplosione del-la responsabilita` civile» (12) o di queldel-la che un giuri-sta spagnolo ha definito «la fiebre actual de la respon-sabilidad civil» (13) ed un cultore della materia sud-americano ha chiamato «la orgI´a de pleitos o dama-ges industry (‘‘industria de dan˜os’’)» (14).

(1) E` pacifico, invece, che ai congiunti di un soggetto deceduto spetti il diritto ad ottenere iure proprio il risarcimento del danno c.d. ‘‘riflesso’’ o ‘‘di rimbalzo’’): sulla figura in questione, si e` pronunciata, in maniera pressoche´ unanime, la Corte di Cassa-zione. V. gia` Cass., 22-7-1963, n. 2017. Il risarcimento e`, peraltro, ammesso anche a favore di coloro in capo ai quali sarebbe sorto il rapporto di parentela, se non si fosse prima verificata la morte del (futuro) congiunto: Cass., 3-5-2011, n. 9700.

(2) Si tratta della sentenza 22-12-1925, n. 3475.

(3) Cosı` le definisce BIANCA, La tutela..., cit., 493, considerando comunque le soluzioni giurisprudenziali insufficienti a garantire i diritti spettanti agli eredi.

(4) BUSNELLI, Il danno..., cit., passim.

(5) Presupposto fondamentale perche´ tali fattispecie possano configurarsi e` pero` che il soggetto colpito nella sua integrita` psico-fisica sia sopravvissuto all’evento pregiudizievole per un

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‘‘apprezzabile periodo di tempo’’ (anche di brevissima durata, per quel che riguarda la configurabilita` del danno morale), tale da aver consentito alla vittima, rimasta – sia pur solo per pochi secondi – in uno stato vigile, di assistere consapevole allo spe-gnersi della propria vita (non a caso si e` parlato altresı` di ‘‘danno da lucida agonia’’).

(6) Si tratta della pronuncia del C. St., sez. III, 21-6-2017, n. 3058. (7) Cosı` SIMONE, La livella..., cit., 2703.

(8) Cosı` nella sentenza 16-12-1988, n. 6854. (9) LIPARI, Danno..., cit., 525 ss.

(10) Cfr. PONZANELLI, Non e` tanto..., cit., 135 ss.; ma, anche ID.,

Quale danno..., cit., 71 ss. Sul tema, si rinvia, inoltre, a QUARTA, Tutela..., cit.

(11) V., piu` recentemente, SALVI, Il risarcimento..., cit., 526 ss. (12) La plastica espressione e` di ROPPO, Crisi d’impresa..., cit., 540.

(13) Cosı` YZQUIERDOTOLSADA, La responsabilidad..., cit., 1. (14) MORENORODRI´GUEZALCALA, Quie´n Responde?, cit., pas-sim.

2. Le (dieci) tradizionali (e confutabili) ragioni con-trarie al riconoscimento del danno tanatologico. Gli argomenti storicamente utilizzati per negare la configurabilita` (e la trasmissibilita` iure hereditario) nel sistema normativo italiano del danno da perdita istantanea della vita sono almeno dieci, tralasciando quello, davvero risibile (e che non meriterebbe di essere nemmeno menzionato), relativo ad una pre-sunta assenza del contra ius nella lesione del diritto alla vita, derivante dalla impossibilita` di annoverare quest’ultimo tra le situazioni giuridiche soggettive tutelate dall’ordinamento giuridico.

Il primo argomento, facilmente superabile, riguarda la natura del bene da proteggere, che per alcuni (stu-diosi ed interpreti) sarebbe ‘‘immateriale persona-le’’ (15) (e pertanto insuscettibile di generare pretese attivabili da soggetti diversi dal suo titolare). Ma, «forse la salute lo e` meno?», si chiede provocatoria-mente uno studioso, evidenziando come «oggetto di protezione...non sarebbe il diritto, personalissimo, ... ma la patrimonializzazione della lesione stessa, tra-dottasi in diritto al risarcimento, come tale trasmissi-bile anche a soggetti diversi dalla vittima» (16); a meno che, pur avendo subı`to lesioni particolarmente gravi (e, in ipotesi, manifestamente mortali), il de cuius abbia espressamente dichiarato ex ante di voler rinunciare alla richiesta di ristoro.

Il secondo – ben piu` pregnante – motivo, per il quale e` stata storicamente negata la configurabilita` del danno tanatologico, concerne la difficolta` di immagi-nare, salvo che con artifizi retorici e finzioni giuridi-che, l’acquisto, da parte di un determinato soggetto (per il quale con la cessazione della vita si estingue la capacita` giuridica e si apre istantaneamente la suc-cessione, ex art. 456 c.c.), di un diritto di credito de-rivante dalla sua stessa morte. Il principio, espresso chiaramente nella sentenza della Cass., 24-3-2011, n. 6754, era gia` stato sancito nella pronuncia n. 3475/ 1925, dove si legge che «...se e` alla lesione che si

rapportano i danni, questi entrano e possono logica-mente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando il medesimo sia in vita. Questo spentosi, cessa anche la capacita` di acquistare, che presuppone appunto e necessariamente l’esistenza di un subbietto di diritto...Onde, in rapporto alla per-sona del lesionato, come subbietto dell’azione di dan-ni, questi restano senz’altro confinati nell’ambito dei danni verificatisi dal momento della lesione a quello della morte, ed e` soltanto rispetto ad essi che gli eredi possono agire iure haereditatis». Ma, criticando tale presa di posizione (definita da alcuni autori ‘‘epi-curea’’ (17), in quanto riecheggia le parole contenute nella ‘‘Lettera sulla felicita`’’, rivolta dal filosofo greco a Meneceo), gia` Carnelutti segnalava che, invero, «la posizione e` assolutamente identica a quella che si avrebbe qualora, nell’istante medesimo della morte, altro diritto dell’autore venisse violato: chi neghera` all’erede, come tale, il diritto al risarcimento contro chi abbia, nell’atto stesso in cui Tizio moriva, rubato il suo portafoglio?» (18).

Al secondo argomento usato dagli studiosi contrari al riconoscimento del danno tanatologico e` strettamen-te connesso il strettamen-terzo, in base al quale la responsabilita` civile non ammette il risarcimento di pregiudizi ‘‘in re ipsa’’, in quanto occorre che il danno sia una ‘‘conse-guenza’’ (immediata e diretta) del fatto illecito. Dare ingresso nell’ordinamento italiano al ristoro della perdita istantanea della vita equivarrebbe ad ammet-tere la risarcibilita` (sia pure solo in questo caso, del tutto eccezionale) del c.d. danno-evento: nulla di troppo sconvolgente, secondo una qualificata dottri-na, considerando che «l’assunto della irrisarcibilita` del danno-evento non ha alcun riscontro normativo e, per quanto costantemente ribadito nelle massime giurisprudenziali, e` smentito dalla stessa giurispru-denza» (19); del resto, per molti autori «lı` dove sono in gioco i valori che appartengono in modo piu` inti-mo alla persona – vita, salute, integrita`, dignita`, auto-determinazione – si deve ritenere, per l’insopprimi-bile appartenenza all’individuo che li contraddistin-gue, che la loro violazione contenga gia` tutti i pre-supposti del danno, di cui dev’essere, pero`, dimostra-ta la concredimostra-ta esistenza ed entidimostra-ta`» (20). Invero, come si vedra` a breve, ricostruendo il danno tanatologico in chiave di pregiudizio da lesione mortale, e consi-derando il decesso quale processo (giammai istanta-neo), non occorre creare eccezioni alla regola in que-stione (ancorche´ essa sia di creazione giurispruden-ziale ed abbia gia` di fatto ricevuto molte deroghe). Il quarto motivo per il quale si tende a negare la configurabilita` della controversa figura di danno e` legato alla funzione tipica della responsabilita` civile, la quale avrebbe nell’ordinamento italiano natura compensativa (e, al massimo, solidaristico-satisfatto-ria), ma mai una funzione deterrente,

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general-pre-ventiva, allocativa o punitiva: «l’evento morte, quan-do non sia la conseguenza di un semplice accadimen-to naturalistico, e` rimiraaccadimen-to dal diritaccadimen-to nella predomi-nante dimensione di ascrizione ad altri di responsa-bilita` che trovano la loro sede nell’ambito della pre-tesa punitiva dello Stato» (21). Tale orientamento – che, invero, non prende adeguatamente in conside-razione quanto emerge anche dalla Relazione n. 803, del Guardasigilli al codice civile del 1942 – non ha convinto tutti i cultori del tema (ed in particolare quanti hanno fatto, ad esempio, notare che la stessa Corte costituzionale – sin dalla sentenza 14-7-1986, n. 184 – ha affermato «in modo tanto netto quanto ignorato finora dai giudici di legittimita`» che «in de-terminati casi, come avviene per i danni non patri-moniali, essa puo` assumere compiti preventivi al pari della responsabilita` penale» (22)). Secondo taluni, infatti, «che la funzione del risarcimento possa essere solo riparatoria appare conclusione discutibile in se´ ed ancor piu` se inserita nel contesto di un danno, come quello alla persona (o, ancor piu`, come quello da perdita della vita), per il quale nessun prezzo puo` pagare il pregiudizio sofferto...Una responsabilita` proporzionata alla gravita` del fatto invoglia il possi-bile danneggiante ad adottare cautele e precauzioni che lo pongano al riparo dal rischio di dover soppor-tare il carico risarcitorio se la vittima muore...specie in un sistema in cui la responsabilita` penale per omi-cidio colposo fa davvero poca paura» (23). Si consi-deri che la sanzione criminale per questo reato (e, soprattutto, per il delitto preterintenzionale) appare realmente modesta in Italia e viene resa ancora piu` blanda – e scarsamente dissuasiva – dalla possibilita` di invocare circostanze attenuanti, attivare procedi-menti speciali (come il rito abbreviato), o godere entro poco tempo dalla commissione dell’illecito di misure alternative alla detenzione (usufruendo, ma-gari, anche del patrocinio a spese dello Stato durante le varie fasi del giudizio). Non a caso, sullo stesso piano penale, sempre piu` frequentemente si ritiene preferibile privilegiare ben altre misure – volte, piut-tosto, a colpire dal punto di vista patrimoniale gli appartenenti a sodalizi criminali (privandoli dei beni di provenienza illecita) – per prevenire (oltre che reprimere) il compimento di reati, gravi come l’omi-cidio o il tentato omil’omi-cidio, tipici di alcune associazio-ni a delinquere. Del resto, in presenza di un reato di strage o di omicidio plurimo (a danno, magari, di soggetti appartenenti tutti allo stesso nucleo familia-re), dal punto di vista penale le conseguenze per il reo non sembrano divergere molto da quelle che de-riverebbero dal compimento di un omicidio semplice aggravato (ne´ essere condannato a cinque, invece che a dieci, ergastoli comporta grandi differenze pra-tiche per l’assassino); e anche con riferimento all’ob-bligo di liquidare il danno da perdita del rapporto

parentale (a favore dell’unico congiunto sopravvissu-to, si immagini), gli effetti, nelle ipotesi teste´ citate, non sarebbero neanche lontanamente equiparabili a quelli che si avrebbero ammettendo il danno tanato-logico (per la perdita della vita di ognuna delle vitti-me primarie). D’altronde, si e` fatto anco´ra notare, che non sono pochi gli «ambiti», nei quali la ripara-zione civile del pregiudizio arrecato alla persona «pa-re assume«pa-re anche connotati sanzionatori e deter«pa-ren- deterren-ti, come ad esempio nelle previsioni di legge che contemplano fattispecie discriminatorie» (24). Per cui, secondo alcuni studiosi si potrebbe davvero par-lare oggi di una «multifunzionalita` della responsabi-lita` civile» (25). E la recente pronuncia delle S.U., 5-7-2017, n. 16601 dovrebbe aver fugato ogni dubbio sul punto (26).

La quinta ragione per escludere la possibilita` di li-quidare il pregiudizio de quo risiederebbe nella cir-costanza che «la scomparsa del titolare del diritto renderebbe impossibile sia il risarcimento in forma specifica sia quello per equivalente» (27), posto che «non e` piu` in vita colui che dell’utilita` sostitutiva del bene perduto dovrebbe giovarsi» (28). Consideran-do, infatti, che la somma di denaro concessa al dan-neggiato dovrebbe servire per «ricreare condizioni alternative a quelle pregiudicate dal fatto illecito» (pur senza ripristinare lo stato quo ante) (29), e` im-possibile che tale obiettivo venga raggiunto in assen-za del soggetto al quale andrebbe accordato il risto-ro. Pertanto, ammettere il risarcimento del danno tanatologico corrisponderebbe «solo al contingente obiettivo di far conseguire piu` denaro ai congiunti, non essendo sostenuto da alcuno che sarebbe in linea col comune sentire o col principio di solidarieta` che il risarcimento da perdita della vita fosse erogato agli eredi ‘‘anziche´’’ ai congiunti (se, in ipotesi, diversi) o, in mancanza di successibili, addirittura allo Sta-to» (30). Non la pensa cosı`, invece, chi ritiene che «e` proprio attraverso la trasmissione mortis causa del credito che la vittima trarrebbe un vantaggio, consistente nel beneficiare i propri eredi» (31). D’al-tra parte, aggiunge un autore, occorre considerare che, per un verso, «contribuendo a formare il patri-monio del defunto, il risarcimento ripagherebbe eventuali debiti ereditari», e per un altro, «il mero riconoscimento di forme di risarcimento iure proprio determina situazioni di profonda ingiustizia nelle ipo-tesi in cui la vittima non annoveri congiunti che la-mentino un danno, poiche´ il danneggiante non sareb-be tenuto ad alcun risarcimento» (32).

Non andrebbe, tuttavia, trascurato il problema (dal quale origina il sesto argomento utilizzato dai piu` critici nei confronti della figura del danno tanatolo-gico) connesso alla «impossibilita` tecnica» (o comun-que alla serissima difficolta`) di determinare il quan-tum debeatur, perche´ «la funzione compensativa pre-DANNO TANATOLOGICO 187

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suppone la possibilita` di stimare una perdita secondo valori di mercato...La perdita di natura non patrimo-niale, invece, non puo`, tecnicamente, essere compen-sata ne´ ripianata. Cio` esige che il giudice, in sede di liquidazione, ancori il risarcimento a precisi crite-ri» (33) (non predisposti dal legislatore, almeno per ora, e quindi rimessi alla scelta discrezionale dell’in-terprete). Ma, le stesse perplessita` sono state da sem-pre avanzate anche con riguardo al danno non patri-moniale tout court (sin dai tempi dei romani, in forza del famoso principio secondo il quale ‘‘cicatricium autem aut deformitatis nulla fit aestimatio, quia libe-rum corpus nullam recipit aestimationem’’) e – piu` recentemente – a quello biologico terminale (ma, non sono ormai piu` considerate ostative al riconosci-mento del diritto alla riparazione delle perdite non economiche subite).

Una settima ragione addotta in dottrina per avversa-re la possibilita` di daavversa-re spazio al pavversa-regiudizio da per-dita della vita si fonda sul concreto rischio di dupli-cazioni risarcitorie a detrimento del danneggiante. Come ha segnalato la Corte di Cassazione, nulla esclude che, aprendo le porte alla categoria dogma-tica in esame, si possa arrivare a liquidare contempo-raneamente agli eredi somme a titolo di danno bio-logico terminale, danno catastrofale e danno tanato-logico (partendo proprio dal presupposto – tutto da verificare, invero, come si vedra` – che quest’ultimo e` «altro e diverso, in ragione del diverso bene tutelato, dal danno alla salute» e, poiche´, «vita e salute sono due diritti inviolabili distinti, ciascuno dei quali avra` il proprio apparato di rimedi»). Tale evenienza e` stata, tuttavia, esclusa da chi ha sottolineato che «le varianti del danno biologico sono pur sempre frutto di un lavoro ‘‘creativo’’ giustificato dall’assenza del danno tanatologico» (34). Ma, proprio al fine di evi-tare una overcompensation per il danneggiato, il ri-conoscimento del danno da perdita istantanea della vita si risolverebbe, secondo la Suprema Corte, «in una diminuzione di quanto riconosciuto jure proprio ai congiunti» (35). E, benche´ cio` possa non rilevare da un punto di vista strettamente algebrico (laddove la somma delle varie poste di danno fosse comunque capace di soddisfare adeguatamente le pretese degli attori), a rigore e` innegabile che «gli eredi avrebbero tutto l’interesse a ricevere la somma iure proprio, per evitare di vedersi il patrimonio aggredito dai credi-tori del de cuius» (36).

Ed e` esattamente questo l’ottavo motivo dello storico rifiuto dottrinale del danno tanatologico, da leggersi assieme al nono che ritiene la figura in commento assolutamente ‘‘obsoleta’’ e priva ormai di ragion d’essere, considerando che la nuova interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. con-sente di tutelare adeguatamente le vittime seconda-rie dell’illecito (ossia gli eredi del soggetto

scompar-so), senza la necessita` di ricorrere ad «una tecnica indiretta al fine di attribuire ad essi una forma di ristoro del pregiudizio subito in conseguenza del de-cesso del loro congiunto. L’istituto in questione ave-va, in altre parole, una sua giustificazione quando i giudici, non potendo (ancora), da un lato, riconosce-re in capo ai congiunti del deceduto un danno auto-nomo (esistenziale), ma consapevoli, dall’altro, del-l’insufficienza delle altre voci di ristoro economico loro riconoscibili, erano costretti a liquidare un dan-no configurandolo come dandan-no della vittima prima-ria» (37). A questa osservazione potrebbe, tuttavia, replicarsi che la categoria dei ‘‘familiari’’ e` ontologi-camente (e pericolosamente) molto piu` ampia di quella degli ‘‘eredi’’ (38), pertanto appare preferibile non confondere le due classi di interessati.

Il decimo argomento invocato per mettere in discus-sione l’utilita` della refudiscus-sione di somme iure heredita-rio concerne il pericolo di un aumento del premio assicurativo, che dovra` essere pagato dai potenziali danneggianti, il quale, da un lato, «risente inevitabil-mente del livello dei risarcimenti concessi» (39), e, dall’altro, e` legato alle «percentuali di rischio relative ai risarcimenti medi disposti dai giudici: ove l’alea del giudizio divenisse (ancora piu`) ampia, le compagnie non potrebbero fare altro che ‘‘scaricare’’ questo ri-schio dovuto all’indeterminatezza sulla massa dei lo-ro clienti, incrementando, cosı`, il costo della singola assicurazione» (40). A queste, condivisibili, preoccu-pazioni si potrebbe, pero`, replicare con le parole di un altro autorevole studioso, ad avviso del quale «un risarcimento intestato originariamente alla vittima e trasferito agli eredi risponde meglio del risarcimento iure proprio all’esigenza di calcolabilita` e di certez-za..., dato che, ove preso sul serio attribuendo a cia-scuno il suo, il risarcimento ai congiunti, a parte l’in-certezza circa quali essi siano cui solo la legge puo` ovviare, dovrebbe variare in relazione al numero de-gli stessi, creando una inspiegabile diversita` di tratta-mento per lesioni ugualmente letali che si ripercuo-terebbero sul responsabile in relazione alla diversa numerosita` e composizione delle famiglie» (41).

(15) Cfr., tra le pronunce piu` recenti, la sentenza del T. Milano, 12-1-1989, n. 2778, in DEA, 1990, 740 ss.

(16) PUCELLA, Danni da morte e tutela dei congiunti, in DELLE

MONACHE(a cura di), Responsabilita` civile. Danno non patrimo-niale, Torino, 2010, 640.

(17) CASTRONOVO, Danno biologico..., cit., 157. (18) CARNELUTTI, Natura..., cit., 402.

(19) Cosı` BIANCA, Il danno..., cit., 1499.

(20) PUCELLA, Coscienza..., cit., 270. (21) BONILINI, Il danno..., cit., 457 ss. (22) Cosı` GALASSO, Il danno..., cit., 260. (23) PUCELLA, Danni..., cit., 640. (24) FACCI, Il danno..., cit.

(25) Cosı` PARDOLESIe SIMONE, Postilla, cit., 402 ss. Dello stesso avviso e` apparsa, ad esempio, la parte piu` autorevole degli stu-diosi portoghesi. Cfr., per tutti, VARELA, Das Obrigac¸o˜es..., cit.,

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70. Nella dottrina francese, v., fra i tanti, STARCK, Essai d’une the´orie..., cit.

(26) Il Supremo Collegio ha, infatti, evidenziato che negli ultimi anni «accanto alla preponderante e primaria funzione compen-sativo riparatoria dell’istituto (che immancabilmente lambisce la deterrenza) e` emersa una natura polifunzionale (un autore ha contato piu` di una decina di funzioni), che si proietta verso piu` aree, tra cui sicuramente principali sono quella preventiva (o deterrente o dissuasiva) e quella sanzionatorio-punitiva». (27) Cosı` CARNEVALEe SCARANO, Il danno..., cit., 306.

(28) TRAPUZZANO, Il danno..., cit., 1005.

(29) FRANZONI, Il danno..., cit., 705. (30) V. la citata sentenza n. 6754/2011. (31) GORGONI, Il danno..., cit., 423. (32) A sostenerlo e` PATTI, Danno..., cit., 780. (33) Cosı` GORGONI, Il danno..., cit., 421. (34) FOFFA, La sentenza ‘‘Scarano’’..., cit., 399. (35) Cosı` nella sentenza n. 6754/2011.

(36) Sul punto v. GENTILE, «Danno alla persona», cit., 671.

(37) Cosı` TOMASELLI, Sul danno..., cit., 2153. Corsivi aggiunti.

(38) Il danno iure proprio, al momento previsto solo a favore dei congiunti della vittima (i quali parrebbero essere oggi anche soggetti non legati da alcun vincolo familiare o para-familiare – matrimonio, unione civile o stabile convivenza – con quest’ul-tima, ma risultare semplicemente ‘‘partner non registrati’’ o step-relatives), in un futuro non troppo lontano (e alla luce delle recenti aperture giurisprudenziali nel settore) potrebbe essere riconosciuto perfino a persone ‘‘vicine’’ al defunto solo contrat-tualmente (da tempo si discute, infatti, del diritto del creditore al risarcimento del danno derivante da uccisione del debitore) o da un punto vista meramente affettivo (si pensi all’amico fraterno col quale il de cuius e` cresciuto in orfanotrofio, al datore di lavoro che ha svolto il ruolo di padre per la persona deceduta, o al collega con il quale l’interessato lavorava in team da anni). Interessanti esempi delle ‘‘ripercussioni dannose’’ dell’uccisione si possono rinvenire in TRIMARCHI, La responsabilita`..., cit., 214

ss. e 614.

(39) PONZANELLI, Incertezze..., cit., c. 2737. (40) A sostenerlo e` VAIRA, La risarcibilita`..., cit., 12. (41) CASTRONOVO, Il danno..., cit., 312.

3. La sentenza della Corte costituzionale 27-10-1994, n. 372, ed i timidi segnali di apertura presenti in alcune pronunce di inizio secolo della Corte di Cassazione. Molte delle argomentazioni sin qui analizzate sono state utilizzate dalla Consulta, nella nota sentenza 27-10-1994, n. 372.

La Corte costituzionale, sposando – in particolare – la tesi secondo la quale vi sarebbe una netta distin-zione tra vita e salute, precisa che, «sebbene connes-se (la connes-seconda esconnes-sendo una qualita` della prima), esconnes-se costituiscono beni giuridici diversi, oggetto di diritti distinti, sicche´ la lesione dell’integrita` fisica con esito letale non puo` considerarsi una semplice sottoipotesi di lesione alla salute in senso proprio, la quale impli-ca la permanenza in vita del leso con menomazioni invalidanti».

Nonostante tale netta presa di posizione, all’inizio del nuovo secolo qualche timido segnale di apertura nei confronti del danno tanatologico si era registrato in seno alla Corte di Cassazione.

Nella sentenza 2-4-2001, n. 4783 e` stata richiamata «la dottrina che propone una tesi di tutela piu` estesa,

proprio per la discrasia che si crea tra morte imme-diata e lesioni mortali, con conseguente disparita` di trattamento per i superstiti», ma il Supremo Collegio si e` limitato a sottolineare che «e` una discrasia...su-perata da norme internazionali ed europee (ad es. in tema di risarcimento ai superstiti di disastri aerei) o da progetti di convenzioni europee (v. Consiglio di Europa deliberazione 75-7 in tema di risarcimento del danno alla persona), ma che non costituisce lacu-na o discrimilacu-nazione costituziolacu-nalmente rilevante per il nostro ordinamento interno, posto che comun-que il legislatore appresta mezzi di tutela, giurisdizio-nalmente azionabili (in sede penale e civile)»; e ha concluso asserendo che «de iure condendo e` dunque auspicabile una riforma che possa allineare il sistema italiano a quello internazionale o di diritto comune (ma ancora in fieri)».

E, qualche mese dopo, segnatamente con la pronun-cia del 25-1-2002, n. 887, l’autorita` nomofilattica ha rinviato nuovamente al summenzionato «suggeri-mento», definendolo «utile de iure condendo, ove il legislatore italiano decida di seguire la legislazione internazionale in materia di trasporto aereo e navi-gazione, dove l’evento morte determina di per se´, come lesione del bene della vita, un quid da risarcire ai superstiti legittimati, a prescindere dall’immedia-tezza o meno dell’evento».

Ma, la prima vera «voce fuori dal coro» (42), in un granitico orientamento giurisprudenziale ormai quasi secolare, e` stata sicuramente la sentenza 12-7-2006, n. 15760, la quale ha affrontato – sia pur solo in un obiter dictum «sistematico (descrittivo dell’intera tu-tela oggi esperibile)» – la «suggestiva problematica» legata all’ammissibilita` del danno tanatologico, evi-denziando che «la dottrina italiana ed europea che riconoscono la tutela civile del diritto fondamentale della vita, premono per il riconoscimento della lesio-ne come momento costitutivo di un diritto di credito che entra istantaneamente come corrispettivo del danno ingiusto al momento della lesione mortale, senza che rilevi la distinzione tra evento di morte mediata o immediata».

Per la Corte, «la certezza della morte, secondo le leggi, nazionali ed europee, e` a prova scientifica, ed attiene alla distruzione delle cellule cerebrali e viene verificata attraverso tecniche raffinate che verificano la cessazione dell’attivita` elettrica di tali cellule. La morte cerebrale non e` mai immediata, con due ecce-zioni: la decapitazione e lo spappolamento del cervel-lo. In questo quadro anche il danno da morte, come danno ingiusto da illecito e` trasferibile mortis causa, facendo parte del credito del defunto verso il dan-neggiante ed i suoi solidali».

Questa coraggiosa presa di posizione e`, tuttavia, ri-masta assolutamente isolata.

E gia` con la sentenza 19-10-2007, n. 21976, pur rico-DANNO TANATOLOGICO 189

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noscendo «la delicatezza della questione e gli incon-venienti prospettati dai ricorrenti circa le possibili discriminazioni fra le varie poste risarcitorie, secondo il dato casuale che la morte sia conseguita all’illecito in via immediata, oppure a distanza di tempo anche breve», il Supremo Collegio ha preferito rientrare nei solchi dell’orientamento consolidato, perche´ mo-dificarlo «imporrebbe di rivedere l’intera materia del danno da morte..., non potendosi certo sommare il c.d. danno biologico tanatologico (ove fosse ritenuto risarcibile), con i danni terminali, conseguenti a pe-riodi anche brevi di sopravvivenza: danni la cui liqui-dazione e` palesemente attribuita in considerazione della ritenuta impraticabilita` dell’altra e piu` radicale soluzione».

(42) Cosı` GUIDI, Storia ..., cit., 1208.

4. I (poco persuasi) tentativi dottrinali di sussumere la figura in esame nelle categorie del danno collettivo e del danno da perdita di chance.

Nonostante la netta chiusura della giurisprudenza suprema e della Consulta, in dottrina si e` continuato a parlare di un ‘‘vuoto della giustizia’’, in un settore decisamente sensibile del diritto, destinato a lasciare la persona uccisa una «vittima dimenticata» (43), col rischio di rendere addirittura sul piano civile «piu` conveniente uccidere che ferire» (44).

In particolare, si e` evidenziato che «il margine tra morte istantanea e morte mediata e` alquanto elastico e incerto» (45), o, invocando una ‘‘necessaria’’ e ‘‘di-retta’’ «proporzione nella commisurazione della rea-zione civilistica ai pregiudizi che riguardano la salute e la vita della persona umana», si e` segnalato che cosı` come il codice penale «nell’intento di commisurare la sanzione alla gravita` del pregiudizio, considera come massima lesione provocata all’uomo quella che scon-fina nella privazione della vita» e quindi punisce «piu` severamente di chi lede la salute altrui tramite per-cosse (art. 581 c.p.) o lesioni personali (art. 582 c.p.), colui che, tramite le stesse e percosse o lesioni per-sonali, provoca la morte della vittima (v. l’art. 584 c.p., che sanziona l’omicidio preterintenzionale)», al-lo stesso modo, nel diritto privato «a una lesione impercettibile della salute deve corrispondere una piccola misura di responsabilita`, alla privazione della vita deve corrispondere la massima misura della re-sponsabilita` per danni all’uomo» (46).

Secondo uno studioso, per aggredire correttamente il problema concernente l’ammissibilita` o meno del danno tanatologico, bisognerebbe anzitutto conside-rare che l’assolutezza dello schema concettuale basa-to sulla piena «coincidenza tra il punbasa-to soggettivo di incidenza del danno e il titolare dell’azione risarcito-ria» (47), e` di fatto, «smentita, ad esempio, dal diritto dei consumatori dove soggetto leso e titolare

dell’a-zione non coincidono (art. 37 cod. cons.). La perdita della vita non riguarda, infatti, soltanto il singolo soggetto, ma l’intera collettivita`. Percio` se emerge un interesse che trascende il singolo, deve trovare spazio, anche a scopo di deterrenza, il risarcimento del danno» (48). La tesi non convince, perche´ po-trebbe essere applicata per ogni violazione delle nor-me imperative (anche di natura civile o amministra-tiva), che ancorche´ perpetrata nei confronti di una o piu` persone specifiche potrebbe essere ‘‘avvertita’’ da molti altri soggetti (e produrre in questi ultimi turbamenti, patemi d’animo, stato d’angoscia tran-seunte) ed avere direttamente o indirettamente un costo per una determinata comunita` (considerata, anzitutto, la necessita` di accertare e sanzionare l’in-frazione). Si pensi al sacrificio economico collettivo che puo` produrre una lesione personale, grave, ma non mortale, arrecata ad un soggetto, costretto cosı` a ricorrere a costose cure mediche pubbliche. Piu` accattivante, ma destinato anch’esso a scontare notevoli critiche, e` apparso l’orientamento che ha concepito il danno da morte quale perdita delle chan-ce di sopravvivenza (49).

Della «disparition de la probabilite´ d’un e´ve`nement favorable» (50) aveva, invero, parlato la Cour de cas-sation francese (gia` in un arreˆt del 14-12-1965, ma pure in una piu` recente pronuncia del 14-10-2010), occupandosi anche della questione relativa alla perte de chance de survie a causa di un errore medico ed ammettendo la risarcibilita` del danno in questione, in una pronuncia del 18-3-1969. Tuttavia, se il 13-3-2007, la Prima Sezione Civile ha previsto che «l’ac-tion en re´para«l’ac-tion du pre´judice moral du fait d’une perte de chance de survie est trasmise aux he´ritiers, car elle est ne´e dans le patrimoine de la victime avant son de´ce`s», piu` recentemente, sia la Chambre criminel-le (51) che la Seconda Sezione civicriminel-le (52) hanno sta-bilito che «n’existe pas en droit franc¸ais un ‘‘droit de vivre jusqu’a` un aˆge statistiquement de´termine´’’, qui puisse fonder la ‘‘re´paration d’une perte d’une chance de vie’’ jusqu’a` un aˆge plus avance´» e pertanto, non essendo presente nel patrimonio del soggetto il dirit-to a vivere per un cerdirit-to periodo di tempo prestabili-to, non si puo` ipotizzare una sua trasmissibilita` agli eredi.

(43) GIANNINI, Il risarcimento..., cit., 95.

(44) Cfr. GIANNINI, Il danno..., cit., 385 ss.

(45) TRAPUZZANO, Il danno..., cit., 1006. (46) Cosı` NAPOLI, Problematiche..., cit., 1107. (47) LIPARI, Le categorie..., cit., passim.

(48) Cosı` GORGONI, Il danno..., cit., 423, rinviando a LIPARI, Le categorie..., cit., passim.

(49) ZORZIT, La perdita..., cit., 1122, e ZIVIZ, Il danno..., cit., 486 ss.

(50) Si occupa dell’evoluzione giurisprudenziale della figura in esame, individuando anche le varie nozioni attribuite alla stessa nel tempo (‘‘la chance conside´re´e comme une probabilite´’’, una

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disparue o una possibilite´; e, successivamente, come un pre´judice pre´sume´certain), SINTEZ, La perte de chance: une notion en queˆte

d’unite´, in Petites affiches, 2013, 9 ss. La letteratura francese in materia e` vastissima. Cfr., per tutti, V. ORIF, La perte..., cit., 773 ss.; RUELLAN, La perte..., cit., 729 ss.; VACARIE, La perte..., cit., 917 ss.; BE´ NABENT, La chance..., cit.

(51) V. l’arreˆt del 26-3-2013, ma anche quello del 21-10-2014. E nella giurisprudenza dei tribunaux de premie`re instance, v. le pronunce del TGI de Bourges (28-11-2008); del TGI de Bor-deaux (29-1-2009); del TGI de Nanterre (30-1-2009); del TGI d’Agen (14-5-2009); del TGI de Poitiers (2-7-2009); del TGI de Noume´a (5-10-2009).

(52) Cfr. le pronunce del 18-4-2013 e del 20-10-2016.

5. La totale apertura al danno tanatologico contenuta nella ‘‘sentenza-monografia’’ 23-1-2014, n. 1361. Molte delle critiche sollevate dalla dottrina nei con-fronti della tesi contraria all’ammissibilita` del danno tanatologico sono state recepite in una voluminosa monografia del 2013, che e` stata poi pressoche´ inte-gralmente trasfusa nella storica pronuncia 23-1-2014, n. 1361 – non a caso, lunghissima e ricca di riferimen-ti giurisprudenziali (con quasi 400 precedenriferimen-ti citariferimen-ti) –, il cui estensore e` stato proprio lo stesso autore del libro (53).

La sentenza ‘‘Scarano’’ non tenta affatto di aggirare inutilmente l’annosa questione concernente la pre-sunta irrisarcibilita` del danno-evento, ma fonda l’in-tera ricostruzione del problema sul presupposto che «il ristoro del danno da perdita della vita costituisce ontologica ed imprescindibile eccezione al principio della risarcibilita` dei soli danni conseguenza» (54). Premessa, quest’ultima, che, sebbene non intenda in-trodurre la regola secondo la quale il danno tanato-logico potra` essere considerato sussistente in re ipsa (pena l’attribuzione di una funzione – di natura pu-nitiva – della responsabilita` civile ancor oggi presso-che´ estranea all’ordinamento giuridico italiano, no-nostante le citate aperture registratesi con la senten-za delle S.U., 5-7-2017), avallerebbe, per alcuni, un’e-stensione incontrollabile della deroga de qua «oltre il campo della lesione del diritto alla vita, per coinvol-gere (quantomeno) le posizioni che rivestono analo-ga caratura» (55). Incurante di tali rischi, la Terza Sezione Civile ritiene che, proprio in considerazione della centralita` in ogni ordinamento moderno e de-mocratico della situazione giuridica in gioco, negare un credito risarcitorio iure hereditatis ai parenti della vittima, per la morte del proprio congiunto, cozze-rebbe in maniera insopportabile con ‘‘la coscienza sociale’’, alla quale rimorderebbe che la lesione del diritto primario alla vita fosse priva di conseguenze sul piano civilistico (56). Il Supremo Collegio giunge, pertanto, a stabilire che «la perdita della vita va ri-storata a prescindere dalla consapevolezza che il dan-neggiato ne abbia, anche in caso di morte c.d. imme-diata o istantanea, senza che assumano pertanto ri-lievo ne´ il presupposto della persistenza in vita per

un apprezzabile lasso di tempo successivo al danno evento ne´ il criterio dell’intensita` della sofferenza subita dalla vittima per la cosciente e lucida perce-zione dell’ineluttabile sopraggiungere della propria fine».

La pronuncia in esame non ha convinto molti studio-si, oltre che per una serie di ragioni legate alle tradi-zionali – e gia` menzionate – critiche mosse alla con-troversa figura del danno tanatologico, per via delle scelte operate dal suo estensore con riferimento alla individuazione del quantum debeatur a favore dei congiunti del soggetto leso. Sarebbe stato, quindi, secondo taluni autori piu` coerente – rispetto alla figurazione della morte quale danno «che ha per con-seguenza la perdita non gia` solo di qualcosa bensı` di tutto» (57) – ipotizzare «la liquidazione di un am-montare uguale per tutti, idoneo a ristorare la totalita` dei pregiudizi immaginabili, a prescindere dalle cir-costanze del caso concreto» (58).

(53) SCARANO, La quantificazione..., cit.

(54) Una «imperdonabile forzatura», secondo GORGONI, L’alta-lena..., cit., 229.

(55) Cosı` ZIVIZ, Grandi..., cit., 380. Sembra condividere questa critica BARGELLI, Danno..., cit., 777.

(56) Scarano fa suo, in particolare, il pensiero di LIPARI, Le categorie..., cit., 212.

(57) La nota espressione e` di SCARANO, La quantificazione..., cit.,

87 ss.

(58) Cosı` VAIRA, La risarcibilita`..., cit.

6. La presa di posizione assunta con la sentenza delle S.U., 22-7-2015, n. 15350 (e confermata dalla giuri-sprudenza successiva della Suprema Corte).

Il revirement segnato dalla decisione del 2014 non ha goduto di una vita lunga, giacche´ contro la sentenza, che avrebbe avuto per molti studiosi il merito di «get-tare il cuore oltre l’ostacolo... si e` levata un’onda di dissensi, presto tradottisi nell’ordinanza n. 5056 del 4 marzo 2014 che ha spianato la strada al pronuncia-mento delle Sezioni unite» (59).

Il Collegio rimettente aveva richiesto un intervento della Corte, che – oltre a stabilire se fosse «legittimo o non negare il risarcimento del danno biologico ri-chiesto iure hereditario dagli stretti congiunti della vittima allorquando la vittima stessa sia immediata-mente deceduta a seguito alle gravi lesioni riportate a seguito di un incidente stradale» – definisse e preci-sasse, «per imprenscindibili ragioni di certezza del diritto, il quadro della risarcibilita` del danno non patrimoniale, gia` delineato nel 2008, alla stregua de-gli ulteriori contributi di riflessione, tra loro discor-danti, offerti dalla Sezione semplice sul tema... della risarcibilita` jure hereditario del danno da morte im-mediata».

La speranza, tradita in realta` dalla sentenza del 2015, era quella di poter avere delle nuove guidelines (piu` complete e aggiornate) con riferimento al controver-DANNO TANATOLOGICO 191

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so art. 2059 c.c. e, soprattutto, in tema di danno da morte.

Le Sezioni Unite sostengono che non e` possibile scorgere nell’«ampia motivazione della sentenza n. 1361/2014, che ha effettuato un consapevole revire-ment...argomentazioni decisive per superare l’orien-tamento tradizionale...d’altra parte...conforme agli orientamenti della giurisprudenza europea con la so-la eccezione di quelso-la portoghese».

Non convincerebbero, soprattutto, due dei piu` effi-caci argomenti usati dalla sentenza ‘‘Scarano’’ per giustificare la scelta di riconoscere il danno tanatolo-gico.

Il primo, secondo il quale «la negazione sarebbe con-trastante con la coscienza sociale alla quale rimorde-rebbe che la lesione del diritto primario alla vita fos-se priva di confos-seguenze sul piano civilistico», non e` apparso persuasivo, poiche´ (contrariamente, invero, a quanto stabilito altre volte dalle stesse Sezioni Uni-te (60)) «la corrispondenza a un’indistinta e difficil-mente individuabile coscienza sociale, se puo` avere rilievo sul piano assiologico e delle modifiche norma-tive, piu` o meno auspicabili, secondo le diverse op-zioni culturali, non e` criterio che possa legittimamen-te guidare l’attivita` dell’inlegittimamen-terprelegittimamen-te del diritto positi-vo».

Il secondo, solitamente riassunto nella invalsa formu-la «e` piu` conveniente uccidere che ferire», benche´ «di indubbia efficacia retorica», non sarebbe decisi-vo, «perche´ non corrisponde al vero che, ferma la rilevantissima diversa entita` delle sanzioni penali, dall’applicazione della disciplina vigente le conse-guenze economiche dell’illecita privazione della vita siano in concreto meno onerose per l’autore dell’il-lecito di quelle che derivano dalle lesioni personali, essendo indimostrato che la sola esclusione del cre-dito risarcitorio trasmissibile agli eredi, comporti ne-cessariamente una liquidazione dei danni spettanti ai congiunti di entita` inferiore». E se anche cosı` fosse, si preoccupa di chiarire il Collegio, «e` noto che secon-do la giurisprudenza costituzionale il principio del-l’integrale risarcibilita` di tutti i danni non ha coper-tura costituzionale» (61). Cosı`, dando se´guito all’in-dirizzo giurisprudenziale incline a considerare il «be-ne giuridico ‘‘vita’’...autonomo, fruibile solo in natura da parte del titolare e insuscettibile di essere reinte-grato per equivalente» (62), le Sezioni Unite asseri-scono senza mezzi termini che, poiche´ una perdita, per rappresentare un danno risarcibile, va rapportata a un soggetto legittimato a far valere il credito risar-citorio, «nel caso di morte verificatasi immediata-mente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni perso-nali, l’irrisarcibilita` deriva...dalla assenza di un sog-getto al quale, nel momento in cui si verifica, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio pos-sa essere acquisito il relativo credito, ovvero dalla

mancanza di utilita` di uno spazio di vita brevissimo». Ne´ gioverebbe immaginare di ammettere un’eccezio-ne all’aurea regula della risarcibilita` dei soli ‘‘danni conseguenza’’, poiche´ la deroga in questione «sareb-be di portata tale da vulnerare la stessa attendibilita` del principio e, comunque, sarebbe difficilmente con-ciliabile con lo stesso sistema della responsabilita` ci-vile».

Entrambi gli incisi sollevano una serie di interrogati-vi, ai quali non e` semplice dare una risposta. Con quali strumenti, ad esempio, si puo` stabilire con cer-tezza quando lo ‘‘spazio di vita’’ e` talmente tanto breve da non rilevare per il diritto? Deve davvero il giudice decidere autonomamente, caso per caso, o e` bene che sia il legislatore a fornire delle indicazioni al riguardo? E come puo` l’interprete verificare se, a se´guito di una lesione mortale, il tempo di sopravvi-venza e` stato cosı` lungo da superare la soglia di ri-sarcibilita` prevista dalla giurisprudenza suprema? Che cosa si intende, inoltre, con il sintagma ‘‘man-canza di utilita`’’? Irrilevanza ai fini risarcitori o as-senza di importanza per il titolare del diritto alla vita?

L’ordinamento considera spesso di centrale impor-tanza anche cio` che si verifica negli ultimissimi mo-menti di vita del soggetto, non a caso si applica l’ag-gravante della crudelta` (ex art. 61, co. 1, n. 4, c.p.) se al corpo – agonizzante – dell’offeso vengono inflitte sevizie, mentre la stessa circostanza del reato non si riconosce nelle ipotesi in cui la condotta efferata del-l’omicida sia perpetrata su un soggetto ormai esami-ne (e sovente l’intero impianto difensivo, volto ad evitare che l’imputato – in ipotesi reo confesso – possa essere condannato all’ergastolo, si impernia proprio sul tentativo di dimostrare che la vittima non ha patito inutili e superflue sofferenze aggiunti-ve, essendo deceduta alcuni istanti prima di subire ulteriori lesioni corporali).

Del resto, se tutto e` legato ad aspetti meramente temporali, quid iuris qualora venga ucciso un bimbo nato solo qualche minuto prima del fatto letale? E` difficile immaginare, in quest’ultimo caso, di poter configurare il danno morale catastrofale (la vittima non e` in grado di avvertire il dramma della perdita della vita) o quello biologico terminale. E anche sul piano del risarcimento iure proprio la liquidazione dovrebbe forse essere piu` contenuta (considerando l’eta` della vittima e l’intensita` del vincolo parentale venutosi a formare con quest’ultima).

Il riconoscimento del danno da perdita della vita tra-smissibile ai genitori consentirebbe di evitare risultati applicativi assolutamente inaccettabili.

E, peraltro, benche´ appaia condivisibile in linea di principio il timore che, accogliendo la figura del dan-no tanatologico, si possa aprire di fatto il varco alla incontrollata liquidazione di danni-evento, una piu`

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attenta riflessione meriterebbe la stessa questione relativa alla assoluta inammissibilita` di eccezioni al principio secondo il quale non possono essere rico-nosciuti pregiudizi (neppure di tipo non patrimonia-le) ‘‘in re ipsa’’ (63).

Basterebbe pensare all’offesa provocata ad un indi-viduo ridotto in schiavitu` con il suo stesso consen-so (64) (e, quindi, senza che cio` possa teoricamente consentirgli di avvertire magari alcun tipo di danno-conseguenza morale, biologico o esistenziale, per usare una vecchia ed incisiva tripartizione); o a quel-la perpetrata (attraverso altre possibili gravi forme di lesione della dignita`) ad un soggetto in stato coma-toso o, in ipotesi, incapace di percepire l’oltraggio altrui (a causa di una sua qualche infermita` mentale, piu` o meno invalidante); o alla lesione (inconfutabil-mente in re ipsa) provocata da un atto di violenza sessuale consumato con una minorenne consenziente o dalla castrazione chimico-biologica di un novanten-ne gravemente infermo. Sarebbe, in questi casi, di-scutibile subordinare il risarcimento del torto subı`to alla dimostrazione in giudizio delle concrete conse-guenze pregiudizievoli prodotte dalla condotta del danneggiante (o, peggio anco´ra, alla capacita` del sog-getto leso di percepirle).

Si consideri che molte delle riparazioni concesse dal-la Corte di Strasburgo, per viodal-lazioni di diritti fonda-mentali riconosciuti nella CEDU, sono state accor-date per veri e propri danni-evento (prodotti, peral-tro, incidendo talvolta su situazioni giuridiche sogget-tive che nel momento in cui e` stata perpetrata l’offe-sa non risultavano essere neppure annoverabili nel-l’ordinamento italiano fra quelle meritevoli di tutela ex art. 2059 c.c. (65)).

D’altra parte, che la morte possa essere vista come «una lesione suscettibile di essere risarcita a prescin-dere da cio` che comporta sul piano patrimoniale e non patrimoniale (a prescindere, appunto, dalle ‘‘conseguenze’’)» e` apparso chiaro a taluni commen-tatori anche in base alla «ricostruzione inizialmente recepita dalla Corte costituzionale che a meta` degli anni ‘80 la utilizza per giustificare la risarcibilita` del danno biologico in quanto (non conseguente, ma) inerente al decesso» (66).

Per altri autori il problema andrebbe risolto diversa-mente, partendo dal presupposto che nel caso del danno da perdita della vita (trasmissibile iure succes-sionis), «l’evento mortale coincide con la conseguen-za quale la perdita della vita, con il corollario che il c.d. danno evento ed il c.d. danno conseguenza si fondono» (67).

Nessuna di queste impostazioni ha convinto, come si e` accennato, le Sezioni Unite, il cui orientamento – categoricamente negazionista – e` stato sposato da varie Sezioni semplici della Corte di Cassazione, in una serie di pronunce successive (68).

(59) PARDOLESIe SIMONE, Postilla, cit., 401 (corsivi aggiunti). L’ordinanza e` stata pubblicata in FI, 2014, I, c. 719. Per un commento alla stessa, cfr. anche SCOGNAMIGLIO, Il problema del danno da morte: il danno non patrimoniale torna alle Sezioni Unite, in www.giustiziacivile.com.

(60) Nelle sentenze gemelle del 2008, il Supremo Collegio ha piu` volte richiamato il «parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico». E della necessita` di un costante adeguamento al sentire sociale hanno discorso sempre le Sezioni Unite nella pronuncia 11-7-2011, n. 15144. (61) Questa affermazione sembra ridimensionare l’importante regola – sulla quale pone, invece, l’accento la dottrina (cfr., ex multis, MALOMO, Perdita..., cit., 383 ss.) – sancita dalla stessa

Cass., nella sentenza n. 26972/2008 (par. 4.8) e in una lunga giurisprudenza successiva. V., per tutte, le pronunce n. 8360/ 2010, n. 11609/2011, n. 2228/2012, n. 16516/2012, n. 5342/2014, n. 16197/2015.

(62) Cass., n. 1633/2000, cit., e n. 12253/2007.

(63) Si pone interrogativi simili PUCELLA, Lesione del valore-per-sona e danno-conseguenza: un’architettura da rimodernare, in RCDP, 2015, 69. V., inoltre, MONATERI, La responsabilita` civile,

in Tratt. Sacco, Torino, 1998, 277; BARCELLONA, Funzione..., cit.,

231 e SCALISI, Illecito..., cit., 659.

(64) Sul tema, v. PIEPOLI, Agire contro di se´, in GI, 2007, 2 ss. (65) Cfr. la sentenza Oliari e altri c. Italia del 21-7-2015, ricorsi nn. 18766/2011 e 36030/2011, con la quale l’Italia e` stata condan-nata a risarcire i danni non patrimoniali (pari adE 5.000,00 per ognuno dei ricorrenti) sussistenti in re ipsa, per non aver potuto i conviventi dello stesso sesso godere di alcuna forma di ricono-scimento del loro diritto ad una vita familiare e privata. (66) Cosı` CAVASSA, Le sezioni..., cit., rinviando alla citata

sen-tenza 14-7-1986, n. 184. (67) VIOLA, Danno..., cit.

(68) Come la n. 16993 del 20-8-2015, la n. 5684 del 23-3-2016; la n. 21060 del 19-10-2016; la n. 22451 del 27-9-2017 (oltre che dalla sez. lav., con l’arresto n. 14940 del 20-7-2016); la n. 3424 del 13-2-2018; la n. 6691 del 19-3-13-2-2018; la n. 11251 del 10-5-13-2-2018; la n. 13753 del 31-5-2018; la n. 17043 del 28-6-2018; la n. 18328 del 12-7-2018; la n. 24558 del 5-10-2018; la n. 26727 del 23-10-2018; e la n. 32372 del 13-12-2018.

7. I problemi irrisolti dalle Sezioni Unite e la non convincente tesi dell’assenza di un titolare del diritto al momento della lesione.

Le aporie lasciate irrisolte dalle Sezioni Unite nel 2015 inducono ad auspicare una revisione dell’impo-stazione seguita dal Supremo Collegio (69). Come e` stato acutamente segnalato in dottrina, cen-surando in modo duro «l’artificiosita` e la complica-zione insite nell’orientamento giurisprudenziale do-minante» ed utilizzando un esempio emblematico per dimostrare la debolezza dell’orientamento teso a negare la configurabilita` del danno tanatologico, e` impossibile «stabilire chi, se e per quale spazio temporale, ad esempio, tra i passeggeri precipitati nel mare di Ustica abbia avvertito la percezione e quindi l’angoscia per la morte imminente» (70); e secondo quanto ha evidenziato anche un noto giuri-sta spagnolo «el cara´cter ingiuri-stanta´neo o no de la muer-te es una diferencia accidental que no justifica un di-verso re´gimen jurI´dico» (71).

Accettando, del resto, la linea interpretativa propo-sta dalle Sezioni Unite, e quindi anche il suo piu` DANNO TANATOLOGICO 193

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