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Ricerca e innovazione educativa e didattica 32

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Academic year: 2021

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“Qualeducazione”, anno X, n. 2 (n. 32 della serie), pag.

21-23, aprile-giugno 1991. ISSN: 1121-7871

Ricerca e innovazione educativa e didattica 32

di Franco Blezza

Come scrivevamo nella "Presentazione" di questa rubrica al n. 31, la descrizione dei contributi assunti (la quale di solito e' parte integrante della presentazione stessa) rispondeva all'acquisizione di una serie di collaborazioni nuove di sicuro interesse, sulle quali centrare il senso delle grandi linee del progetto di ricerca che stavamo svolgendo, anche fornendo al tutto alcune delle opportune chiavi di lettura.

Aggiungevamo, pero', che questo non rispondeva (e non risponde!) all'impostazione metodologica da noi seguita in tale svolgimento, la quale avrebbe invece voluto una ricerca per problemi (problemi educativi e didattici, nella fattispecie) attraverso la posizione di una serie di idee chiaramente espresse, che fossero ipotesi di soluzione di tali problemi e loro inserimenti in sistemi di pensiero piu' ampi, loro sviluppi secondo regole caratterizzanti la ricerca e sulle queli si puo' discutere (ad esempio quelle della logica, e sono disponibili piu' logiche; quelle del divenire storico - critico; quelle del controllo empirico; quelle della congruita' con l'uomo e la sua sua evoluzione).

Piu' volte, abbiamo avuto occasione di sottolineare nel contesto presente l'importanza per noi essenziale del pluralismo, che e' un concetto progressivo rispetto a quello plurisecolarmente meritorio di "tolleranza"; si tratta di comprendere come la disponibilita' per tutti delle idee differenti di ciascuno sia non solo un diritto di ciascuno, ma un preziosissimo bene per tutti; e si tratta, soprattutto, di agire di conseguenza.

In questo senso vorremmo dare lettura ai contributi i quali, nel numero complessivo di sei, costituiscono la presente edizione della nostra rubrica. E, come in precedenza, a dei contributi generali (quattro) ne facciamo seguire di specifici (due), in un complementarismo tra i due termini che consideriamo anch'esso irrinunciabile nella ricerca e nella prassi della materia educativa (e, a maggior ragione, quando si parla di "ricerca ed innovazione" ...).

Apriamo con un contributo prezioso che ci siamo assicurati da Fabrizia Antinori. La nota studiosa padovana di metodologia e didattica, che opera su

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una salda base scientifica - epistemologica, ci offre un contributo specificamente mirato alle nostre esigenze e alla nostra impostazione, del che dobbiamo esserle grati a maggior ragione: "Ma che vuol dire <<insegnare>>?".

Si tratta, propriamente, di una sorta di apologo ricco di stimolazioni, che e' decisamente degno dei lettori di una rivista come "Qualeducazione", qualificati e che sanno bene cio' di cui vi si parla.

D'altra parte, per chi credesse crocianamente che l'unica creativita' e' fuori della scienza e della tecnica, e non capisse quanto ci sia di creativita' umana in una legge scientifica od in un elaborato pedagogico od in un apparato tecnico (cioe', altrettanto che nella Divina commedia o nella Gioconda o in una sinfonia) ci sara' ben di che riflettere. Le scienze naturali e la materia tecnica, come le scienze umane (comunque considerate), sono creazioni dell'uomo, "arti" anch'esse, esattamente come le arti figurative, quelle narrative o poetiche, quelle musicali ed altre ancora, comunque veicolate. Non e' il mezzo che conta; quanto piuttosto la famiglia di problemi umani alla quale si vuol rispondere, e soprattutto il sistema di regole in cui la creazione si inserisce. Ed ecco, quindi, la riprova di come si possa dimostrare un'altissima creativita' "artistica" proprio cercando di rispondere a problemi umani educativi, e nel quadro di una pedagogia scientificamente antropologica (cfr. piu' sopra, circa le idee della ricerca), evolutiva, progressiva, come quella della quale la docente patavina e' esponente di spicco.

Il contributo che rechiamo personalmente a questa rubrica si appoggia logicamente, in modo esplicito, a quello del numero precedente; ma costituisce, in realta', un ulteriore mattone che portiamo al progetto di ricerca complesssivo che in questa rubrica trova una sua concretizzazione importante. "A proposito di ''autarchia'' pedagogica", titolo la cui aventuale valenza provocatoria e' da considerarsi del tutto voluta, avvia un discorso che va ben al di la' dell'esame di un'opera specifica, e sia pur prestigiosa come l'Enciclopedia italiana", ed altresi' al di la' del periodo pur critico come il ventennio fascista. All'interno degli studi epistemologici, vi e' tutta una serie di considerazioni e teorie sugli ostacoli allo sviluppo della ricerca; e tra questi vi e' la dittatuta come anti - democrazia, sotto qualsiasi fattispecie, ed in particolare nelle sue pretese di imbrigliare la circolazione libera delle idee e di inchiodarere la conoscenza ed il suo sviluppo lungo linee coerenti ed organiche alla dittatura stessa ed al suo apparato ideologico.

Ora, riconoscere questi tratti nel Fascismo e nell'opera di Gentile e di chi con lui ha collaborato e' fin troppo facile (ma non per questo meno doveroso). Ebbene, altrettanto doveroso e' indagare sulla permanenza di simili

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atteggiamenti anche dopo la morte del teoreta di Castelvetrano e la caduta del Fascismo. Certo c'e' molto da dire in proposito: ma davvero tutto il gap che la pedagogia italiana di questo secolo denuncia rispetto, ad esempio, a quelle di lingua inglese e francese si deve solo ad un ventennio o poco piu', sia pure dittatoriale in modo ferreo? O non bisogna piuttosto anche vedere che cosa e quanto della lezione gentiliana anche in tal senso sia stato trovato in fin dei conti utile anche presso altre e diverse correnti di pensiero e di politica?

Un altro contributo che siamo lieti di esserci assicurati per la prima volta e' quello di Isabel Jime'nez. L'occasione del primo congresso della Societa' Italiana di Pedagogia ci e' risultata particolarmente propizia per ottenere la collaborazione, od almeno un avvio di collaborazione, della giovane ma gia' ottimamente impostata studiosa messicana.

La breve nota che essa ci ha fatto pervenire d'urgenza tra un viaggio e l'altro riguarda "Una proposta metodologica per gestire il lavoro in classe". Senza voler essere pedantemente (ed inutilmente) sistematici, tale scritto e' quindi ascivibile a quell"innovazione didattica" circa la quale troppo spesso (anche storicamente) nel nostro paese l'inventiva estemporanea e soggettivamente irripetibile cedeva il posto ad una riflessione seria e tendenzialmente trasferibile. Riflessione nella quale proprio le caratteristiche della serieta' scientifica e nella trasferibilita' intersoggettiva sono evidentemente necessarie se si vuole veramente il progresso della scuola.

Qualora venisse colto anche solo in questo suo aspetto, il presente apporto risulterebbe gia' cosi' preziosissimo; ma lo e' certo anche sotto ben altri punti di vista, sia per gli studiosi che per gli uomini di scuola.

Il quarto contributo e' invece la continuazione dell'apporto di Emanuela Cecotti: di una collaborazione, cioe', che eravamo stati lieti di attivare nel numero precedente. In evidente continuita' con la nota precedente, ma anche in avanzamento rispetto ad essa altrettanto evidente a ben leggere, qui la psicologa friulana ci parla di Ricerca sperimentale in campo psicologico ed applicazione in campo didattico: alcune proposte di raccordo".

Sarebbe questo un caso nel quale troverebbe ottima applicazione quel luogo comune sessantottino, purche' finalmente esplicitato nella sua ambigua significativita': "portare avanti il discorso". Locuzione che, quando non era un semplice pleonasmo come dire in pochi casi, veniva disinvoltamente usata sia ad indicare lo "sviluppo evolutivo di un discorso che partisse da certe premesse", sia l'"apparente prosecuzione del discorso con un'accorta modificazione, per lo piu' surrettizia, delle premesse".

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Qui ci sembra proprio di essere di fronte ad un modo, invece, molto corretto di "portare avanti il discorso": ad una dialettica, cioe', tra un'applicazione di certe premesse nel suo sviluppo, ed una revisione delle premesse mdesime se del caso in seguito ai feedback positivi e negativi del discorso stesso.

E veniamo alla parte specifica della rubrica, che come detto piu' che un completamento ne costituisce parte essenziale ed irrinunciabile (e non va letta separatamente). Nel numero precedente avevamo ospitato due contributi d'area sulla nuova scuola elementare; in questa, due sull'alfabetizzazione informatica. Vorremmo sottolineare in modo forte il carattere di sussidio che, sia pure in diverse impostazioni, il calcolatore riveste nelle idee e nei lavori dei nostri autori. Prendiamo un riferimento negativo per capirci meglio: se ci fosse stata analoga consapevolezza del carattere non essenzialistico del laboratorio negli anni '60 e '70 in tante sperimentazioni sulla didattica delle scienze ai vari livelli che proliferavano nel nostro paese, tanti sprechi di risorse umane e materiali si sarebbero potuti evitare. E si' che Bruner era stato molto chiaro in proposito...

Ora, ben vengano quindi contributi cosi' incisivi, ma insieme strumentalisticamente impostati, dell'informatica a scuola. Al di la' del pedagogico, che e' gia' moltissiimo, riflettiamo su che cosa cio' significhi di filosofico, come quella distinzione tra scienza e tecnica che da Croce e Gentile in poi troppi filosofi e troppi pedagogisti non hanno saputo o voluto operare (od entrambe le cose).

L'innovazione didattica e' potente, non v'e' certo chi non la veda. E naturalmente, e' sotto quest'ottica che vanno letti entrambi i contributi (e non quella di un didattica della matematica, ad esempio).

Problema: vi e' qui un presupposto altrettanto potente per la ricerca pedagogica? L'informatica cambia solo l'insegnamento, o ha qualche cosa da dire anche per il progresso dell'educazione in generale?

Non "ai posteri": a tutti noi, ed anche (per quel che possiamo) a questa rubrica e ai nostri contributi, quella che certo e' "ardua", ma non sarebbe e non sara' mai comunque una "sentenza".

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