Analisi della persistenza nel tempo dei geni di resistenza
acquisita su ceppi retrospettivi di Pseudomonas aeruginosa
isolati da pazienti con Fibrosi Cistica
Relatore:
Chiar. mo Prof. Gian Maria Rossolini
Candidato:
Dott.ssa Claudia Mugnaioli
1. INTRODUZIONE...1
1.1 Fibrosi Cistica... 1
1.1.1 Manifestazioni della Fibrosi Cistica a livello del tratto respiratorio... 2
1.1.2 Microbiologia ed epidemiologia in Fibrosi Cistica …... 3
1.2 Pseudomonas aeruginosa: un importante patogeno in Fibrosi Cistica …....4
1.2.1 Terapia dell’infezione da Pseudomonas aeruginosa in Fibrosi Cistica……... 7
1.3 Antibiotici usati contro Pseudomonas aeruginosa...8
1.3.1 I β-lattamici …... 8
1.3.2 Gli aminoglicosidi...8
1.3.3 I chinoloni... 9
1.3.4 La colistina... 9
1.4 Meccanismo di resistenza antibiotica in Pseudomonas aeruginosa...10
1.4.1 Ridotta permeabilità della membrana esterna e/o overespressione di sistemi di efflusso...11
1.4.2 Alterazioni del bersaglio del farmaco …...12
1.4.3 Inattivazione o modificazione del farmaco...12
1.4.3.1 Geni di resistenza cromosomici …...13
1.4.3.2 Geni di resistenza acquisiti …...13
1.5 Gli integroni …...14
2. SCOPO DELLA TESI …...…...18
3. MATERIALI E METODI …... 19
3.1 Ceppi batterici…... 19
3.2 Terreni di coltura, condizioni di crescita e di stoccaggio... 19
3.3 Tecnologia del DNA ricombinante... 20
3.3.1 Metodiche di ibridazione su DNA... 20
3.3.2 Estrazione ed elettroforesi degli acidi nucleici... 21
3.3.3 Purificazione dei prodotti di PCR ed estrazione del DNA da agarosio …... 22
3.3.4 Polymerase Chain Reaction (PCR)... 22
3.3.5 Determinazione della sequenza nucleotidica del DNA... 24
3.3.6 Random Amplified Polymorphic DNA (RAPD)...24
4. RISULTATI E DISCUSSIONE …... 29 4.1 Sensibilità agli antibiotici …... 29 4.2 Analisi della prevalenza dei geni di resistenza acquisita in una collezione
longitudinale di ceppi di Pseudomonas aeruginosa…... 30 4.3 Analisi della clonalità e della persistenza di geni di resistenza acquisita
in una collezione longitudinale di isolati di Pseudomonas aeruginosa da
pazienti con Fibrosi Cistica....………...…….. 32 5. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE …... 39 6. BIBLIOGRAFIA …... 42
1. INTRODUZIONE
1.1 Fibrosi Cistica
La Fibrosi Cistica (FC) e una malattia genetica a trasmissione autosomica recessiva multisistemica. L’incidenza nella razza caucasica è stimabile tra 1:2.500 e 1:4.500 nati, mentre quella riscontrata in Italia è di 1:4.238 (Farrel, 2008). Negli ultimi trent’anni, grazie ai numerosi progressi ottenuti nel trattamento dei soggetti affetti da FC, è stato possibile un aumento dell’aspettativa media di vita da 2 ad otre 30 anni.
La FC, nota anche come mucoviscidosi, e caratterizzata da una diffusa alte-razione dei processi secretori, causata da un difetto del trasporto dello ione cloro nelle membrane apicali delle cellule epiteliali. Questa deficienza colpisce le ghian-dole esocrine sia muco-secernenti che sudoripare di tutto il corpo. Negli organi in-teressati, le secrezioni mucose risultano anormalmente viscose e viscide e posso-no determinare ostruzione dei dotti principali provocando l’insorgenza di manife-stazioni cliniche tipiche come l’ostruzione cronica delle vie aeree e infezioni pol-monari ricorrenti, l’insufficienza pancreatica, gli stati di malnutrizione, la cirrosi epatica e l’ostruzione intestinale (Paschoal et al., 2007).
Le basi genetiche della malattia sono state individuate in mutazioni di un gene localizzato sul braccio lungo del cromosoma 7, che codifica per la proteina canale
Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator (CFTR) collocata nella membrana
api-cale delle cellule epiteliali. Il canale CFTR fa parte della superfamiglia dei traspor-tatori ABC, proteine che usano ATP per permettere il trasporto di molecole attra-verso la membrana. CFTR è composto da cinque domini funzionali: i) due domini transmembrana TMD1 e TMD2; ii) due domini di legame per i nucleotidi NBD1 e NBD2; iii) un dominio regolatorio R (Rowe et al., 2005; Patrick et al., 2012). La mutazione ad oggi più frequente è la mutazione ΔF508 che comporta la perdita della fenilalanina in posizione 508. La funzione prevalente della CFTR e la regola-zione dell’omeostasi idro-elettrolitica degli ambienti secretivi esocrini (Sheppard, 2000).
Figura 1. Canale CFTR in cui sono raffigurati i vari domini proteici
A tutt’oggi sono state riscontrate più di 1000 mutazioni genetiche responsa-bili della malattia, che incidono a livelli diversi sulla struttura del gene, inducendo anomalie strutturali distinte della proteina CFTR; di conseguenza, si possono ave-re manifestazioni cliniche della malattia più o meno seveave-re a secondo del tipo di mutazione presente, sebbene altri fattori, ancora scarsamente conosciuti, sia am-bientali sia genetici sembrino influenzare il decorso della malattia (Boucher, 2007).
1.1.1 Manifestazioni cliniche della Fibrosi Cistica a livello del tratto respira-torio
La patologia dell’apparato respiratorio è la principale responsabile della morbosità e della mortalità della FC ed i sintomi respiratori interessano, prima o poi, tutti i soggetti affetti da FC. Tutto l’apparato respiratorio può essere interessato, dai seni paranasali al parenchima polmonare. Le vie aeree non presentano danni alla nascita, ma il loro interessamento segue una progressione che può essere precocemente manifesta o, per contro, essere talmente mite da non rendersi evidente che dopo qualche anno.
Punto chiave della patologia polmonare nella FC è l’ostruzione bronchiale da parte di un muco che non scorre sia perché particolarmente viscoso sia per
l’insufficienza funzionale dell’epitelio ciliare. Il ristagno di secreti densi nell’albero bronchiale e la conseguente compromissione della clearance muco-ciliare costituiscono il tramite dell’instaurarsi della colonizzazione batterica. Una volta avvenuta la colonizzazione da parte dei germi, si assiste alla loro diffusione a livello di tutto l'apparato respiratorio ed all’instaurarsi di infezioni batteriche inizialmente ricorrenti e poi croniche (Ferkol et al., 2006; Gomez, 2007).
Il sistema immunitario del paziente fibrocistico è incapace di risolvere l'infezione; questo, però, non em dovuto a una deficienza immunitaria sistemica, dal momento che i pazienti FC non risultano più suscettibili alle infezioni rispetto a soggetti normali della stessa età, ad eccezione di quelle che interessano il tratto respiratorio.
L’aggravamento delle condizioni polmonari sembra piuttosto dovuto ad un’eccessiva risposta infiammatoria, mediata dal rilascio di interleuchine e altri fattori pro-infiammatori, alla colonizzazione batterica ed alla formazione di immunocomplessi (Gomez et al., 2007). I periodi di stabilità clinica sono intervallati da riacutizzazioni con aumento della tosse e del volume dell’espettorato, calo ponderale e riduzione della funzione respiratoria.
Con gli anni le riacutizzazioni diventano più frequenti e il recupero della funzione polmonare e m sempre meno completo fino alla progressione verso l’insufficienza respiratoria cronica. Quando questa si verifica il trapianto di polmone rappresenta l'unica pratica clinica per prolungare la sopravvivenza e migliorare la qualità della vita. L'infezione cronica pre-trapianto da parte di
Pseudomonas aeruginosa è molto comune e generalmente non è considerata una
controindicazione al trapianto (Snell G et al., 2017)
1.1.2 Microbiologia ed epidemiologia in Fibrosi Cistica
Nella prima infanzia del paziente affetto da FC si osservano colonizzazioni batteriche endobronchiali dovute a Staphylococcus aureus. Tale germe predomina nei primi anni e di solito rimane il colonizzatore esclusivo nell’età adulta solo nei casi con decorso clinico più mite.
Alla fine del primo decennio di vita, invece, il patogeno predominante è la P.
diventando il colonizzatore respiratorio esclusivo (Burns et al., 1998; Saiman et al., 2003). Altri batteri del gruppo dei Gram-negativi non fermentanti quali
Stenotrophomonas maltophilia, Alcaligenes xylosoxidans e Burkholderia cepacia complex sono patogeni opportunisti che si isolano con frequenza crescente dai
pazienti con FC, sebbene il loro contributo alla patologia sia ancora da chiarire e la loro prevalenza sia inferiore a quella dei due patogeni principali (Mahenthiralingam
et al., 2008).
Figura 2. Prevalenza dei patogeni respiratori calcolata per l’età in pazienti FC. (CFF National
Patient Registry 2001) Saiman et al. ICHE 2003 24:S6)
Recentemente sono stati isolati anche alcuni ceppi appartenenti alla famiglia delle Enterobacteriaceae, quali Klebsiella pneumoniae ed Escherichia
coli, anche se in bassa percentuale (Khanbabee et al., 2012; Delfino E et al, 2015;
Leão R.S et al, 2018).
1.2 P. aeruginosa: un importante patogeno in Fibrosi Cistica
P. aeruginosa è un batterio Gram-negativo, aerobio, non fermentante che
normalmente vive in ambienti umidi ed è caratterizzato dall’avere esigenze nutrizionali esigue in quanto può utilizzare come fonti di carbonio e di energia una grandissima varietà di composti organici (Antonelli et al., 2011). Nell’uomo, i siti preferenzialmente colonizzati da P. aeruginosa sono le aree umide come il
perineo, le mucose del tratto respiratorio e l’orecchio. Fonti ambientali di contaminazione importanti sono gli ambienti e le superfici umide.
Mentre la frequenza di colonizzazione da parte di questo microrganismo è abbastanza bassa nell’individuo sano, questa aumenta in caso di ospedalizzazione e ripetute terapie antibiotiche con farmaci ad ampio spettro d’azione. P. aeruginosa è infatti essenzialmente un patogeno opportunista che necessita, perché l’infezione si instauri, del danneggiamento delle barriere fisiche (ad esempio, la pelle o le mucose) o del passaggio attraverso queste mediante supporti medici quali, ad esempio, cateteri e tubi per la respirazione assistita e/o la presenza di disfunzioni del sistema immunitario.
Le infezioni nosocomiali che ne derivano riguardano usualmente il tratto respiratorio, con frequente evoluzione verso la polmonite, il tratto urinario e ferite chirurgiche. Batteriemia e shock settico si osservano in pazienti immunocompromessi e sono associati ad un alto tasso di mortalità. P. aeruginosa è il patogeno opportunista più comune e clinicamente importante in FC. La colonizzazione da parte di questo patogeno inizia generalmente con basse densità di popolazione e spesso mostra un andamento intermittente che, caratterizzato dall’assenza di effetti clinici evidenti e dalla suscettibilità al trattamento antibatterico, tende nel tempo a diventare cronico.
La persistenza di P. aeruginosa nelle vie aeree trova spiegazione nella sua notevole flessibilità genetica e metabolica, che gli permette di adattarsi alle più differenti condizioni ambientali. Solitamente, la colonizzazione avviene ad opera di un singolo clone batterico ma, con il progredire della malattia, la popolazione microbica si differenzia andando incontro a cambiamenti sia di tipo genetico che fenotipico, che si traducono nella comparsa di differenti morfologie di colonia, diversi pattern di chemioresistenza ed abilita metaboliche (Mathee et al., 2008). Inoltre è possibile la presenza contemporanea di più ceppi di P. aeruginosa fenotipicamente distinti nel medesimo paziente, che possono essere alternativamente isolati.
La variazione fenotipica, che generalmente segna la progressione verso la cronicità della colonizzazione, consiste nel passaggio da un fenotipo non mucoide (rugoso) a uno mucoide, passaggio che si traduce in una più severa evoluzione della malattia ed una diminuzione della funzionalità polmonare (Smith et al., 2006). Il meccanismo di insorgenza e il mantenimento dell’infezione sembra essere molto
complesso: l’avvio dell’infezione prevede infatti l’intervento di ceppi non mucoidi, non capaci quindi di produrre l’esopolisaccaride, capaci di aderire all’epitelio tramite adesine fimbriali. In un secondo tempo la particolare situazione dei pazienti affetti da FC, attiva il promotore AlgD che controlla la sintesi di alginato. Questo determina lo shift del fenotipo verso la variante mucoide che coincide con la perdita delle adesine fimbriate ormai diventate inutili e che costituirebbero un facile bersaglio per il sistema immunitario (Antonelli et al., 2011).
Il passaggio al fenotipo mucoide riflette la capacita del microrganismo di crescere come un complesso multicellulare detto biofilm (Murray et al., 2007, Høiby N. et al., 2011). Questa è una struttura dinamica che si origina grazie alla produzione di una matrice polisaccaridica, che permette la formazione di macrocolonie cellulari in cui il microganismo risulta protetto dall’azione del sistema immunitario e dei farmaci antibatterici. Una volta che questa struttura si em formata, i patogeni non possono essere eliminati e si assiste ad una loro disseminazione che finisce col promuovere il riacutizzarsi dell’infezione (Gomez et al., 2007).
Un altro fenomeno associato al progredire della colonizzazione e la tendenza alla progressiva perdita di virulenza da parte del patogeno, che tende a modulare la propria espressione genica per diminuire la propria capacità tossica e sfuggire alle difese immunitarie dell’ospite (Oliver et al., 2000; Oliver et al., 2004).
Figura 3. Andamento dell’interazione ospite-patogeno durante la colonizzazione del polmone
1.2.1. Terapia dell’infezione da P. aeruginosa in Fibrosi Cistica
Sebbene molti progressi siano stati fatti nel trattamento di numerosi aspetti della patologia polmonare in FC, l’infezione delle vie respiratorie rimane la principale causa di morbosità e mortalità nei pazienti FC, per i quali il trattamento antibiotico rimane un sussidio terapeutico indispensabile (Canton et al., 2005; Döring et al., 2000; Høiby et al., 2000; Mahenthiralingam et al., 2008). Nella fase iniziale della colonizzazione polmonare, i protocolli terapeutici prevedono un trattamento volto all’eradicazione del patogeno. Generalmente ci sono approcci terapeutici diversi, sono stabiliti in base allo stato del paziente e all’evoluzione della patologia:
- terapia preventiva: consiste essenzialmente in una terapia antibiotica fina-lizzata alla profilassi della prima colonizzazione;
- terapia eradicante: attuata tramite la combinazione di β-lattamici, fluorochi-noloni, aminoglicosidi e colistina. Questo trattamento risulta molto spesso importante per la sua efficacia nel rallentamento del danno a carico del pol-mone. Il fallimento di questo tipo di terapia è un indice della tendenza alla cronicizzazione;
- terapia di mantenimento: volta alla minimizzazione degli effetti della coloniz-zazione da parte di P. aeruginosa; è essenzialmente finalizzata alla riduzio-ne della probabilità di andare incontro a una colonizzazioriduzio-ne cronica. Consi-ste nella somministrazione regolare di β-lattamici per via endovenosa o di tobramicina per via inalatoria;
- terapia delle esacerbazioni polmonari: per evitare l’aggravarsi dei sintomi respiratori e alla diminuzione della carica batterica. Consiste nella sommini-strazione combinata di penicilline, cefalosporine o carbapenemi per via en-dovenosa in associazione con tobramicina per via inalatoria;
- terapie aggiuntive: in combinazione con la terapia antibiotica è stata valuta-ta la possibilità di utilizzare altri farmaci per la terapia dell’infezione cronica come ad esempio corticosteroidi ad alta attività antinfiammatoria.
L’eradicazione risulta possibile solo nella fase “eradicante” dell’evoluzione della malattia ed il suo successo, correlato alla presenza del fenotipo rugoso di P.
aeruginosa, e ritenuto di primaria importanza al fine di impedire o ritardare
l’instaurarsi di una patologia cronica.
Una volta avvenuta l’evoluzione verso la cronicita, la terapia non em più in grado di eradicare il patogeno ma e essenzialmente solo di mantenimento (Canton et al., 2005).
1.3 Antibiotici usati contro P. aeruginosa
Data l’intrinseca resistenza di P. aeruginosa contro svariate classi di antimicrobici, sono utilizzati soprattutto antibiotici a largo spettro con attività battericida. I più frequentemente utilizzati sono i β-lattamici, gli aminoglicosidi, i chinoloni e la colistina.
1.3.1 β-lattamici
I β-lattamici costituiscono una famiglia di antibiotici caratterizzati dalla pre-senza nella loro struttura di un anello tetratomico β-lattamico; questi farmaci inter-feriscono nel processo di biosintesi della parete batterica, legandosi ed inattivando particolari enzimi (PBS, penicillin-binding-proteins) responsabili della sintesi dei legami crociati del peptidoglicano. I βlattamici includono: i) le penicilline; ii) le cefa -losporine, che si distinguono in generazioni sulla base delle diverse caratteristiche e dello spettro di azione; iii) i monobattami; iv) i carbapenemi, che includono imipe-nem e meropeimipe-nem, e rivestono particolare importanza in quanto farmaci di ultima risorsa nel trattamento di infezioni da P. aeruginosa multi-resistente (La Placa, 2006).
1.3.2 Gli aminoglicosidi
Gli aminoglicosidi sono antimicrobici costituiti da due o più aminozuccheri uniti attraverso un legame glicosidico ad un nucleo esoso (aminociclitoli) ed i principali rappresentanti sono la streptomicina, la neomicina, la kanamicina, la gentamicina, la tobramicina e l’amikacina. Il principale sito d’azione degli
aminoglicosidi è la subunità 30S del ribosoma, sulla quale agiscono sia bloccando l’inizio della sintesi proteica che interferendo nell’allungamento del peptide, provocando un’interruzione prematura della sintesi o la produzione di proteine non funzionali. Inoltre in vitro, e probabilmente anche in vivo, l’azione degli aminoglicosidi provoca anche errori di lettura dello RNA-messaggero da parte degli RNA-transfer, con l’inserimento di un aminoacido errato dando luogo alla formazione di proteine non funzionali. Sono antibiotici ad azione sia sui Gram-positivi che sui Gram-negativi e hanno forte attività battericida. Tuttavia la loro azione non si estrinseca in ambiente anaerobio o nei confronti di batteri anerobi obbligati (La Placa, 2006). Nonostante presentino una maggiore tossicità rispetto ad altre classi di antibiotici, sono farmaci molto utilizzati nelle infezioni causate da batteri aerobi Gram-negativi.
1.3.3 I chinoloni
I chinolonisono farmaci chemioterapici di natura sintetica che agiscono inibendo la replicazione del DNA, mediante l’interazione con gli enzimi DNA girasi e DNA topo isomerasi IV, che regolano la replicazione e riparazione del DNA e mantengono la forma superavvolta del DNA batterico, causandola morte del batterio. Nei pazienti affetti da FC vengono somministrati chinoloni di nuova generazione quali i fluorochinoloni (ciprofloxacina, levofloxacina). I fluorochinoloni sono derivati fluorurati dei chinoloni, caratterizzati da un più ampio spettro d’azione, utilizzabili sia per Gram-positivi che Gram-negativi ed agiscono anche nei confronti dei ceppi di P. aeruginosa, che sono intrinsecamente resistenti ai chinoloni di prima generazione.
1.3.4 La colistina
La colistina (polimixina E) ha un’attività antimicrobica ristretta ai batteri Gram-negativi. La colistina è una molecola anfipatica tensioattiva (presenta sia gruppi lipofili che gruppi lipofobi) ed interagisce con i fosfolipidi di membrana. Tale interazione permette a questi antibiotici di penetrare nel doppio strato fosfolipidico
alterandolo e provocando una modificazione immediata della permeabilità della membrana batterica. Questo modo di agire permette di avere generalmente un basso livello di resistenza alla colistina.
1.4 Meccanismo di resistenza antibiotica in P. aeruginosa
P. aeruginosa è un microrganismo intrinsecamente resistente e anche in
grado di acquisire resistenza contro una vasta gamma di antibiotici, tra cui molti β-lattamici, chinoloni e aminoglicosidi (Rossolini et al., 2005). Inoltre, la notevole pla-sticità del genoma di questo microrganismo frequentemente si associa all’acquisi-zione di geni di resistenza tramite fenomeni di scambio genico orizzontale con altri batteri, quali la diffusione di plasmidi, trasposoni ed integroni. Queste caratteristi-che rendono le terapie contro P. aeruginosa abbastanza limitate.
Lo stato di resistenza può originare a partire da diversi meccanismi, presen-ti da soli o in combinazione tra di loro, che sono:
- ridotta permeabilità della membrana esterna e/o overespressione di sistemi di efflusso
- inattivazione o modificazione del farmaco stesso
Figura 4. Principali meccanismi di resistenza in P. aeruginosa
1.4.1 Ridotta permeabilità della membrana esterna e/o overespressione di si-stemi di efflusso
La resistenza ad alcuni farmaci, ad esempio β-lattamici ed aminoglicosidi, può essere legata all’incapacità di questi ultimi di attraversare la membrana esterna del microrganismo e di raggiungere quindi i rispettivi bersagli. Le porine sono proteine di membrana che permettono il passaggio di svariate molecole tra cui alcuni antibiotici; la mancata presenza o l’alterazione di questi canali impediscono la diffusione all’interno della cellula di tali sostanze e causano quindi l’insorgenza di un fenotipo resistente. Un esempio ne è la porina OprD, che media normalmente l’entrata di aminoacidi carichi positivamente ed è la via di accesso dei β-lattamici carbapenemici (Mesaros et al., 2007; Huang et al., 1993).
I sistemi di efflusso attivo sono implicati nella resistenza a vari agenti antimicrobici, quali β-lattamici, fluorochinoloni ed aminoglicosidi. In P. aeruginosa
MODIFICAZIONE MODIFICAZIONE DEL DEL BERSAGLIO BERSAGLIO MECCANISMI MECCANISMI DI DI RESISTENZA RESISTENZA GENI GENI CROMOSOMICI CROMOSOMICI GENI ACQUISITI
GENI ACQUISITI OVERESPRESSIONE OVERESPRESSIONE DEI SISTEMI DI DEI SISTEMI DI EFFLUSSO EFFLUSSO PERDITA PERDITA \\ MODIFICAZIONE MODIFICAZIONE DELLE PORINE DELLE PORINE OVERESPRESSIONE OVERESPRESSIONE β β--LATTAMASI LATTAMASI ENDOGENE ENDOGENE ENZIMI ENZIMI DI DI MODIFICAZIONE MODIFICAZIONE ENZIMI INATTIVANTI ENZIMI INATTIVANTI ALTERAZIONE ALTERAZIONE DELLA DELLA PERMEABILITA’ PERMEABILITA’ ED EFFLUSSO ED EFFLUSSO INATTIVAZIONE INATTIVAZIONE O O MODIFICAZIONE MODIFICAZIONE DEL FARMACO DEL FARMACO ALCUNI ALCUNI AMINOGLICOSIDI AMINOGLICOSIDI FLUOROCHINOLONI FLUOROCHINOLONI AMINOGLICOSIDI AMINOGLICOSIDI CARBAPENEMI CARBAPENEMI ALTRE SOSTANZE ALTRE SOSTANZE FLUOROCHINOLONI FLUOROCHINOLONI AMINOGLICOSIDI AMINOGLICOSIDI CARBAPENEMI CARBAPENEMI TUTTI I TUTTI I β β--LATTAMICILATTAMICI AMINOGLICOSIDI AMINOGLICOSIDI MODIFICAZIONE MODIFICAZIONE DEL DEL BERSAGLIO BERSAGLIO MECCANISMI MECCANISMI DI DI RESISTENZA RESISTENZA GENI GENI CROMOSOMICI CROMOSOMICI GENI ACQUISITI
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sono stati descritti quattro principali sistemi di efflusso: MexA-MexB-OprM, MexC-MexD-OprJ, MexE-MexF-OprN e MexX-MexY-OprM. Sono appartenenti alla stessa famiglia proteica e composti ciascuno da una proteina transmembrana, che effettua il trasporto attivo del farmaco all’esterno della cellula, una proteina con funzione di canale nella membrana esterna e una proteina periplasmatica accoppiata alle prime due. Tali sistemi di efflusso sono responsabili della resistenza a pressoché tutte le classi di antibiotici, oltre che ai disinfettanti o detergenti (Poole, 2004). La loro espressione basale è di per sé sufficiente a garantire un basso livello di protezione verso i farmaci antimicrobici e l’overespressione, generalmente dovuta a mutazioni in geni regolatori, causa alti livelli di resistenza. Lo spettro di attività dei sistemi di efflusso è generalmente ampio.
1.4.2 Alterazioni del bersaglio del farmaco
Mutazioni che portano a una modificazione del bersaglio dell’agente antimicrobico impediscono al farmaco di interagire con il proprio target e quindi ne vanificano l’efficacia; tale meccanismo di resistenza e frequentemente riscontrato in P. aeruginosa. Esempi ne sono la mutazione del gene gyrA, codificante per la subunita A della DNA girasi, che e responsabile della resistenza ai fluorochinoloni e i cambiamenti strutturali della subunità ribosomiale 30S che influenzano la sensibilità agli aminoglicosidi (Rossolini et al., 2005).
1.4.3 Inattivazione o modificazione del farmaco
L’inattivazione e la modificazione degli antibiotici e dovuta alla presenza di enzimi prodotti dal batterio stesso, sia di tipo residente nel cromosoma che acquisiti mediante trasferimento genico orizzontale.
1.4.3.1 Geni di resistenza cromosomici
La P. aeruginosa possiede una β-lattamasi, codificata dal gene ampC, presente a livello cromosomico in tutti i microrganismi di questa specie; questo enzima conferisce un livello basale di resistenza e risulta inducibile da parte di alcuni β-lattamici (qualche penicillina e cefalosporina). L’insorgenza di mutazioni a livello dei geni regolatori può esser causa di una overespressione di questo enzima con la conseguente comparsa di un fenotipo resistente (Juan et al., 2005).
1.4.3.2 Geni di resistenza acquisiti
P. aeruginosa è in grado di acquisire una grande varietà di geni codificanti
per enzimi che conferiscono resistenza soprattutto a β-lattamici ed aminoglicosidi. Il profilo di resistenza risultante dipende dal tipo e dalla specificità dell’enzima acquisito.
Le β-lattamasi sono enzimi largamente diffusi nel mondo microbico, soprattutto tra i batteri Gram-negativi, in grado di idrolizzare il legame amidico dell’anello β-lattamico con produzione di un derivato inattivo. Dal punto di vista strutturale, le β-lattamasi sono state divise in quattro classi molecolari: A, B, C, e D in base alle somiglianze a livello della sequenza aminoacidica (Ambler, 1980). Le β-lattamasi di classe molecolare A, C e D sono β-lattamasi con sito attivo a serina, mentre le β-lattamasi di classe molecolare B, Metallo-β-Lattamasi (MBL), richiedono l’intervento di uno ione zinco come cofattore enzimatico nella reazione di idrolisi. Tra gli enzimi che si possono isolare in P. aeruginosa troviamo: i) gli enzimi a spettro ristretto di attività, che sono in grado di idrolizzare efficacemente solo le penicilline ed, in maniera meno efficiente, alcune cefalosporine; tra questi possiamo ricordare gli enzimi di tipo PSE e alcuni enzimi di tipo OXA (Livermore, 2002) ii) gli enzimi ad ampio spettro di azione (Extended-Spectrum
β-Lactamases), che sono in grado di idrolizzare efficacemente le cefalosporine ad
ampio spettro di attività (ad esempio il ceftazidime) ed i monobattami; tra questi possiamo ricordare gli enzimi di tipo VEB, GES, PER e alcuni enzimi di tipo OXA (Paterson et al., 2005); iii) le MBL, che sono in grado di idrolizzare virtualmente tutti i β-lattamici ed i carbapenemi, tra le quali possiamo ricordare gli enzimi di tipo
VIM, FIM, IMP, GIM, SPM, NDM e KPC (Pollini et al., 2013; Queenan et al., 2007, J. M. Rolain et al., 2010, Cornaglia G et al., 2011).
In particolare le OXA β-lattamasi sono enzimi capaci di idrolizzare oxacillina e cloxacillina e sono caratterizzate dalla debole inibizione nei loro confronti da parte dell’acido clavulanico. Fanno parte della classe D delle β-lattamasi e conferiscono resistenza principalmente contro ampicillina e cefalotina.
Per quanto riguarda la resistenza acquisita agli aminoglicosidi, essa deriva dalla produzione di enzimi in grado di modificare, mediante l’aggiunta di un gruppo acetilico, adenilico o fosfato, il farmaco e di renderlo così inattivo; gli enzimi vengono di conseguenza suddivisi in acetil-trasferasi, adenil-trasferasi e fosfo-trasferasi. Tutte le categorie di enzimi possono essere ritrovati in P. aeruginosa, sebbene gli enzimi più frequentemente isolati appartengano alla categoria delle acetil-trasferasi di tipo AAC(6’).
In particolare gli enzimi di resistenza aminoglicosidica AADA, codificati dai geni aadA, sono adeniltrasferasi che conferiscono resistenza alla streptomicina e alla spectinomicina. Questi enzimi aggiungono un gruppo adenile al 3’ del gruppo idrossilico -OH sul III anello amino-esoso della streptomicina e al gruppo idrossilico dell’anello actinaminico della spectinomicina (Shaw et al, 1993). Gli enzimi AADB codificati da geni aadB conferiscono, tramite lo stesso meccanismo, resistenza alla gentamicina, tobramicina e kanamicina (Jones et al., 2005).
Gli enzimi di resistenza AAC catalizzano l’acetilazione del gruppo amminico -NH2 della molecola accettore, in questo caso un antibiotico aminoglicosidico,
usando l’acetil coenzima A come donatore substrato. Gli enzimi di resistenza APH catalizzano la trasferasi di un gruppo fosfato alla molecola aminoglicosidica (Ramirez et al., 2010).
1.5 Gli integroni
Un’importante struttura a cui sono frequentemente legati i determinanti di resistenza, è rappresentata dagli integroni. Queste sono unità genetiche, che includono componenti di un sistema di ricombinazione sito-specifica rec-indipendente, capaci di catturare e mobilizzare geni contenuti in elementi mobili, chiamati cassette geniche. L’espressione delle cassette inserite nell’integrone
viene effettuata ad opera di un promotore comune. Per questo motivo essi possono essere considerati sistemi naturali di clonaggio e di espressione (Mazel, 2006).
Gli integroni non sono capaci di spostarsi da soli, ma possono essere associati a trasposoni e/o a plasmidi, che ne promuovono la trasmissione intra- ed inter-specie, e ne mediano la diffusione a livello mondiale (Mazel, 2006). Gli integroni sono largamente diffusi in batteri Gram-negativi resistenti agli antibiotici, circolanti sia in ambito nosocomiale che comunitario, e costituiscono un potente
reservoir di determinanti di chemioresistenza. Tali determinanti si trovano associati
sullo stesso integrone, che rappresenta il tramite per l’acquisizione di un fenotipo di multi resistenza da parte del microrganismo; per questo motivo, la presenza di integroni in isolati batterici di provenienza clinica costituisce una problematica di notevole importanza che contribuisce a restringere le opzioni terapeutiche disponibili. Inoltre, la possibilità di mobilizzazione e trasferimento dei determinanti di resistenza è un importante strumento per la creazione di nuove combinazioni geniche, in grado di conferire multiresistenza ad antibiotici e disinfettanti, che potrebbero essere selezionate positivamente in ceppi sempre più tenaci ed immuni alle attuali terapie farmacologiche.
La natura del gene codificante l’integrasi, permette di definire differenti classi di integroni, anche se quelli maggiormente studiati e coinvolti nella diffusione delle chemioresistenze in ceppi di interesse clinico appartengono alla classe 1.
Gli integroni di classe 1 presentano due regioni costanti poste all’estremità 5’ e 3’ denominate rispettivamente 5’CS e 3’CS (Conserved Segment). Il 5’CS e una regione altamente conservata e indispensabile per la definizione dell’integrone, al contrario del 3’CS, che talvolta può essere assente.
La struttura dell’integrone prevede al 5’CS: i) il gene intI1 che codifica per l’enzima integrasi, una ricombinasi sito specifica, appartenente alla famiglia delle tirosina-ricombinasi, che effettua l’integrazione e l’escissione delle cassette geniche; ii) un sito attI, adiacente all’enzima, che rappresenta il sito bersaglio delle integrasi nonché il sito recettore delle cassette geniche; iii) un promotore, Pc,
localizzato all’interno del gene intI1, necessario per l’espressione delle cassette inserite nella regione variabile (Hall et al., 1999; Hall et al., 1995; Recchia et al., 1997).
Figura 5. Struttura generale degli integroni di classe 1. Sono indicate le estremità 5’CS a sinistra e
3’CS a destra; al centro è mostrata la regione definita cassette array (come linea tratteggiata) ed, in particolare, la struttura generale di una cassetta genica, composta dal gene e dal 59-be, posto alla sua destra, indicati dalle frecce. Il 5’CS è costituito dal gene intI1 (posto in orientamento oppo-sto rispetto al cassette array), il sito attI1 pooppo-sto alla sua destra e il promotore Pc (indicato al di
so-pra del gene). Il 3’CS è costituito dai geni qacEΔ1 e sulI e dalla orf5, poste nello stesso orienta-mento delle cassette geniche e in orientaorienta-mento opposto rispetto a intI1.
La regione 3’CS, che può anche essere assente, include un gene sul1 per la resistenza ai sulfamidici, un gene qacEΔ1 che conferisce debole resistenza ai composti dell’ammonio quaternario come alcuni disinfettanti, e una open reading
frame di funzione sconosciuta (orf5) (Hall et al., 1994; Paulsen et al., 1993). In
al-cuni integroni di classe 1 è stata descritta la presenza di ORFs aggiuntive che possono presentare delezioni oppure essere interrotte dalla presenza di sequenze di inserzione (IS). Tra il 5’CS e il 3’CS è presente una regione variabile, detta
cas-sette array, che può presentare una o più cascas-sette geniche integrate che
compren-dono ciascuna un gene e un sito di ricombinazione specifico, conosciuto come
attC o 59-base element (59be), che può essere riconosciuto dall’integrasi e
utiliz-zato per inserirle e rimuoverle. La dimensione di questa regione è variabile e di-pende da numero di cassette geniche inserite al suo interno. Generalmente le cas-sette non presentano un promotore proprio e quindi l’espressione dei geni
conte-intI1
intI1 attI1attI1
gene gene Cassetta genica Cassetta genica
sul1
sul1 orf5orf5
59 59--bebe 5 5’’CSCS 33’’CSCS P Pcc Cassette Cassette arrayarray
qacE qacEΔΔ11 intI1
intI1 attI1attI1
gene gene Cassetta genica Cassetta genica
sul1
sul1 orf5orf5
59 59--bebe 5 5’’CSCS 33’’CSCS P Pcc Cassette Cassette arrayarray
qacE qacEΔΔ11
nuti dipende dall’unico promotore Pc localizzato all’interno del gene intI1. Sebbene
alcune cassette genetiche contengano ORFs di funzione sconosciuta, la grande maggioranza di quelle ad oggi descritte contengono determinanti di chemioresi-stenza.
2. SCOPO DELLA TESI
P. aeruginosa è uno dei più importanti patogeni opportunisti in pazienti con
FC (Remmington et al., 2007). P. aeruginosa è in grado di acquisire resistenza nei confronti di una vasta gamma di antibiotici ed è frequente l’isolamento di ceppi con alti livelli resistenza nei pazienti affetti da FC.
Nonostante i grandi progressi della terapia antimicrobica, che negli ultimi anni hanno contribuito ad un aumento dell’aspettativa di vita, l’uso continuo ed obbligato di antibiotici a cui i pazienti FC sono sottoposti ha portato ad una selezione della popolazione batterica, determinando un aumento della frequenza di ritrovamento dei ceppi chemioresistenti. Questo è associato ad una cronicizzazione dell’infezione con andamento clinico più severo e una prognosi più infausta.
In questo contesto, data la numerosità dei processi di determinazione della resistenza e la facilità con cui P. aeruginosa riesce ad acquisire nuovi geni, risulta fondamentale riuscire a comprendere le dinamiche di sviluppo della chemioresistenza, identificandone le basi genetiche e come queste cambiano durante il tempo.
Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quindi quello di condurre uno studio longitudinale, su isolati clinici retrospettivi di P. aeruginosa ottenuti da pazienti affetti da FC in cura presso il Centro Fibrosi Cistica dell'Ospedale Pediatrico Meyer (Firenze), volto ad analizzare la persistenza o il cambiamento nel tempo dei geni di resistenza acquisiti.
L’andamento dei determinanti di resistenza nel tempo, potrebbe aiutare a definire i meccanismi che queste particolari strutture conferiscono ai ceppi batterici, permettendo una previsione delle modalità e dei cambiamenti a cui P.
aeruginosa è sottoposta nelle infezioni croniche in pazienti affetti da FC. Tali
conoscenze potrebbero così contribuire al miglioramento della qualità delle cure a cui sono sottoposti, sin dalla nascita, questi pazienti, permettendo la salvaguardia del loro stato di salute e rendere possibile un’ancora più lunga aspettativa di vita.
3. MATERIALI E METODI
3.1 Ceppi batterici
I ceppi batterici presi in esame sono stati isolati da pazienti ricoverati presso il Centro Fibrosi Cistica dell’Ospedale Pediatrico Meyer (Firenze). Sono stati analizzati 116 isolati clinici di P. aeruginosa ottenuti da 9 pazienti affetti da FC.
I ceppi di P. aeruginosa analizzati sono stati isolati nel periodo compreso tra il 1993 e il 2008.
3.2 Terreni di coltura, condizioni di crescita e di stoccaggio
Tutti i ceppi batterici sono stati fatti crescere a 37°C, se non altrimenti specificato, in eventuale agitazione a 200 rpm.
Per la conservazione i ceppi sono stati stoccati a -80°C in eppendorf da 2 ml contenenti terreno BHI addizionato a glicerolo con concentrazione al 30%.
Tutti i componenti dei diversi terreni di coltura sono stati forniti dalle ditte Oxoid (Basingtoke, Hampshire, GB) e Difco (Detroit, USA). Tutti i terreni sono stati sterilizzati in autoclave a 121°C per 15 minuti. L’eventuale gelificazione è stata ottenuta mediante l’aggiunta di agar alla concentrazione finale 1,7% (p/v).
- Terreno Luria-Bertani (LB): buon terreno di crescita, utilizzato per tutte le piastrature effettuate. Composizione finale: Triptone 10 g/L, estratto di lievi-to 5 g/L, NaCl 5 g/L
- Terreno Mueller-Hinton (MH): terreno usato per la misurazione della sen-sibilità antibiotica su piastra dei ceppi batterici isolati. Composizione finale: infusione di manzo 300 g/L, idrossilato di caseina 17,5 g/L, amido solubile 1,5 g/L
- Terreno Brain Heart Infusion (BHI): terreno molto ricco usato per il conge-lamento a -80°C di ceppi batterici, addizionato a glicerolo 30%. Composi-zione finale: infuso da cervello di vitello 200 g/l, infuso di carne di bue 250 g/L, peptocomplex 10 g/L, glucosio 2 g/L, sodio cloruro 5 g/L, sodio fosfato bibasico 2,5 g/L
I prodotti in plastica monouso sono stati forniti dalla ditta Sarstedt (Numbrecht-Rommelsdorf, Germania).
3.3 Tecnologia del DNA ricombinante
3.3.1 Metodiche di ibridazione su DNA
Al fine di valutare la presenza di geni di resistenza è stata utilizzata la tecnica di ibridazione su filtro. I ceppi sono stati fatti crescere su terreno LBA a 37°C O/N. 10 μl di acqua sporca di ciascun isolato ottenuto è stata trasferita in 150μl di soluzione di lisi (NAOH 0,4N ed EDTA 10 mM) precedentemente preparata in piastra di tipo microtiter da 96 pozzetti; la sospensione batterica è stata incubata a 70° per 3 ore. 100 μl di lisato batterico sono stati trasferiti su membrana di nylon Hybond-N (Amersham Biosciences, UK) utilizzando un apparato BIO-dot (Bio-Rad Laboratories, Milano Italia). Prima di deporvi il campione, la membrana è stata lavata per 2 volte con 100 ml di SSC in concentrazione 6X (NaCl 0.3 M, C6H5Na3O7 0.03 M, pH 7,0). Successivamente
sono stati effettuati due ulteriori lavaggi con SSC 2X. Smontato l’apparato BIO-dot, il DNA è stato fissato alla membrana con radiazione UV, usando l’apparato
Stratalinker UV Crosslinker 1800 (Stratagene, La Jolla, CA, USA).
Per la tecnica di ibridazione del DNA, è stato utilizzato un apposito kit commerciale (DIG High Prime DNA Labeling and Detection Starter Kit II, Roche, Svizzera) che prevede l’uso di digossigenina, un aptene steroideo, per la marcatura del DNA, effettuata utilizzando un nucleotide marcato (DIG-dUTP). Come sonde specifiche per i geni blaPSE, blaPER, blaGES, blaOXA-1,blaOXA-10,blaFIM,
blaVIM-2, blaIMP, aacA4, aacC1, aadA1, aadB, aphA15 e intI1 sono stati utilizzati
frammenti di DNA codificanti i geni di resistenza, ottenuti mediante PCR utilizzando primer specifici disegnati sulla sequenza dei geni da isolati batterici già caratterizzati. I frammenti di DNA sono stati utilizzati per ottenere la sonda marcata seguendo il protocollo raccomandato dalla ditta fornitrice del kit.
La rivelazione del legame tra la sonda marcata ed il DNA fissato su membrana avviene tramite una reazione immunoenzimatica in cui un anticorpo anti-digossigenina è coniugato ad un enzima con attività fosfatasica che, in presenza del suo substrato, provoca l’insorgenza di emissioni con una lunghezza d’onda massima pari 447nm, che possono essere fissate mediante l’utilizzo di una lastra fotografica (kodak BioMax MS film, Rochester, USA). Anche in questo caso, la procedura di ibridazione e di rivelazione del segnale luminoso è stata effettuata come raccomandato dalla ditta produttrice del kit.
3.3.2 Estrazione ed elettroforesi degli acidi nucleici
Il DNA (DNA cromosomico e DNA extracromosomiale) è stato estratto utiliz-zando un protocollo specifico per microrganismi gram-negativi. L'elettroforesi degli acidi nucleici è stata effettuata in gel d'agarosio ad una concentrazione di 0,75% (p/v), di 1,2% (p/v) e di 2% (p/v) a seconda della grandezza dei prodotti da separa-re. L’elettroforesi è stata effettuata in tampone TAE 1x (40mM TRIS-acetato, 1mM EDTA, pH 8,0) se non altrimenti specificato. Le corse sono sempre state effettuate utilizzando 5 μl per ogni campione e con voltaggio costante (7-8 V/cm, calcolati sulla base della distanza tra gli elettrodi, in relazione alla dimensione dei frammen-ti da separare). Al termine della migrazione, il DNA è stato visualizzato mediante colorazione con bromuro di etidio (1μg/ml in tampone TAE 1x). Il bromuro di etidio è in grado di intercalarsi tra le basi azotate del DNA e di emettere fluorescenza se sottoposto a raggi U.V., quindi, dopo un tempo di colorazione compreso tra 15 e 20 minuti, il gel è stato osservato al transilluminatore a raggi UV (λ = 302 nm). Il marcatore di peso molecolare utilizzato come riferimento è stato il 100bp DNA
Ladder, 1Kb DNA Ladder e il λ / Hind III (Promega) in base alla dimensione dei
3.3.3 Purificazione dei prodotti di PCR ed estrazione del DNA da gel di agarosio
La purificazione dei frammenti di DNA da gel d'agarosio e dei prodotti di PCR è stata effettuata utilizzando il kit Wizard SV Gel and PCR Clean-Up System (Promega, Madison, U.S.A.), seguendo il protocollo della ditta fornitrice.
3.3.4 Polymerase Chain Reaction(PCR)
La PCR (Polymerase Chain Reaction) e una tecnica che permette l’amplificazione in vitro di un determinato frammento di DNA (template) rendendolo disponibile per altre applicazioni (ad esempio sequenziamento), grazie ad una coppia di oligonucleotidi (primer) complementari alle due estremita della sequenza che si vuole amplificare, che hanno la funzione di innesco.
Oltre agli oligonucleotidi specifici sono necessari alla reazione: una DNA-polimerasi termostabile in grado di sintetizzare, su uno stampo esistente, la sequenza che si desidera amplificare; nucleotidi-trifosfato che verranno inseriti nella catena nascente di DNA; un tampone a concentrazioni idonee di ioni per far avvenire l’estensione dei primer. L’amplificazione si realizza attraverso una serie di cicli, ciascuno dei quali comprende tre fasi che hanno luogo a temperature diverse:
- Denaturazione (94-96 °C);
- Ibridizzazione (valore che varia a seconda della temperatura di appaiamen-to del complesso primer-template, corrisponde alla temperatura di melting, Tm);
- Polimerizzazione (tipicamente 72 °C corrispondente a l'optimum di attivita delle DNA polimerasi termostabili); la ripetizione di questi cicli porta ad un’amplificazione esponenziale della sequenza nucleotidica.
La PCR è stata effettuata in un volume di 25 μl di cui 5 μl di tampone di reazione “GoTaq Flexi Buffer” 5x, raccomandato dalla ditta produttrice dell’enzima
GoTaq®DNA Polimerase (Promega, Madison, USA), 1,5 μl di MgCl2 (25mM), 5 μl
di una miscela di desossi-nucleotidi (1,25mM), 3 μl di ognuno dei due primer (10 pM/μl), 6,7 μl di H2O sterile, 0,3 μl di Taq-DNA polimerasi (5,0 U/μl) (Promega) e
0,5 μl di campione di DNA genomico o 2 μl in caso di sospensione batterica (2-3 colonie risospese in 500 μl di H2O sterile, lisate per 15 minuti a 100°C e
centrifugate per 5 minuti); oppure in 50 μl di cui 10 μl di tampone di reazione GoTaq Flexi Buffer” 5x, 3 μl di MgCl2 (25mM), 8 μl di desossi-nucleotidi (1,25mM),
6 μl di ognuno dei due primer (10 pM/μl), 16,1 μl di H2O sterile, 0,4 μl di Taq-DNA
polimerasi (5,0 U/μl) e 1 μl di campione di DNA.
Tabella 1.Primer utilizzati nelle PCR
Gene Primer Sequenza (5’-3’) Tm °C
intI1 Int1-Rev In-END_fwd CTTCTGTATGGAACGGGCAT ACCTCTCACTAGTGAGGGG 57,3 58,83 Integrone attI_Integron 3’CS_Integron AGAACCTTGACCGAACGCAG CTCTCTAGATTTTAATGCGGATG 59,35 57,08 aadB aadB-fwd-seq aadB_ORF_rev aadB_ORF_fwd AAGGTTGAGGTCTTGCGTG TTAGGCCGCATATCGCGAC ATGGACACAACGCAGGTCA 56,67 58,83 56,67 aacA4 aacA4_univ_fw aacA4_univ_rev TTGCGATGCTCTATGAGTGGCTA CTCGAATGCCTGGCGTGTTT 60,65 59,35 aadA1 AadA_Rev Aad1_For_seq2 GCTCGCCGCGTTGTTTCATCA TGTACGGCTCCGCAGTGG 61,78 60,52 blaOXA-1 OXA1Fw OXA1Rev TTATCTACAGCAGCGCCAGTG GTGTGTYTAGAATGGTGATCGCa 59,82 58,39-60,25 blaOXA-10 Oxa5/10/r Oxa10 specific TTAGCCACCAATGATGCCYTC GGAACAAAGAGTTCTCTGCC 57,87-59,82 57,3 blaVIM-type VIM-DIA Fwd VIM-DIA Rev CAGATTGCCGATGGTGTTTGG AGGTGGGCCATTCAGCCAGA 59,8 61,4 blaIMP-type IMP_DIA_Fw IMP_DIA_Rev GGAATAGAGTGGCTTAATTCTC GTGATGCGTCYCCAAYTTCACT 56,53 58,39 aY: C/T; R: A/G; S: G/C; K: G/T; W: A/T.
I parametri della reazione di amplificazione, effettuata utilizzando il Thermal
Cycler MyCycler (BioRad, Milano, Italia), sono stati: 5 minuti a 94°C per la
denaturazione iniziale del template; 30/35 cicli, composti ognuno da 30 secondi a 94°C, 30 secondi a Tm stabilita e da 1 a 4 minuti, a seconda del prodotto da amplificare, a 72°C, per la fase di amplificazione; da 5 a 20 minuti a 72°C per l’allungamento finale.
Gli oligonucleotidi sono stati disegnati su sequenze note al fine di amplificare il gene.
3.3.5 Determinazione della sequenza nucleotidica del DNA
La determinazione della sequenza nucleotidica del DNA e stata determinate con il metodo dei dideossi-nucleotidi terminatori (Sanger et al., 1977). A questo scopo, i frammenti di DNA ottenuti mediante PCR sono stati purificati utilizzando il
kit Wizard®SV Gel and PCR Clean-up System (Promega), seguendo il protocollo consigliato dalla ditta fornitrice del kit, e sono stati utilizzati per il sequenziamento. La determinazione della sequenza nucleotidica del DNA e stata effettuata dalla ditta Macrogen Inc. (Seoul, Korea); come primer per la determinazione della sequenza nucleotidica, sono stati utilizzati i medesimi impiegati per l’amplificazione mediante PCR, eccetto per la metodica MLST. L’analisi e manipolazione delle sequenze nucleotidiche ottenute e stata effettuata con il software VectorNTI 6.0 (Informax, Bethesda, Md).
Gli allineamenti di sequenza sono stati realizzati con il programma “BLAST”, disponibile in rete presso l’indirizzo internet http://www.ncbi.nlm.nih.gov.
3.3.6 Random Amplified Polymorphic DNA (RAPD)
La RAPD permette di valutare i polimorfismi del DNA attraverso l’amplificazione di DNA genomico tramite PCR, utilizzando un solo primer di sequenza arbitraria. In questa reazione, il primer utilizzato si lega al DNA in maniera casuale e innesca l’amplificazione di frammenti di numero e dimensioni variabili, che risultano distintivi di un particolare genotipo batterico. In relazione al
profilo di bande che si ottiene da ogni singolo isolato batterico, è possibile stabilire la somiglianza o l’identità di più ceppi batterici e suddividerli in cloni. La RAPD è una delle tecniche più usate per la genotipizzazione rapida di isolati batterici, dal momento che fornisce informazioni circa la loro clonalità con costi e tempi contenuti; tuttavia, questa tecnica richiede l’uso di protocolli stabiliti e controlli interni molto accurati che assicurino la riproducibilità del dato sperimentale. Per questo motivo, gli isolati da analizzare con questa tecnica sono sempre stati sottoposti ad amplificazione nello stesso esperimento e i risultati sono stati ripetuti in triplice copia in momenti successivi. A differenza della tradizionale PCR, la RAPD non richiede alcuna conoscenza specifica della sequenza di DNA del bersaglio.
La RAPD è stata condotta utilizzando gli oligonucleotidi denominati 208 (5’ACGGCCGACC) e 272 (5’AGCGGGCCAA), con rispettiva Tm di 37,1°C e di 33°C, disegnati per la tipizzazione di P. aeruginosa. Riguardo alle condizioni sperimentali, l’amplificazione è stata eseguita in un volume di 25 μl contenente 4 μl del primer 272 o 208 (10 pM/μl), 5 μl di una miscela di desossinucleotidi (1,25mM), 3 μl di MgCl2 (25mM), 5 μl di tampone di reazione 5x, 0,4 μl di Taq-DNA
polimerasi (5,0 U/μl) (Promega), 6,6 μl di H2O sterile e, infine, 2 μl di campione di
DNA, ottenuto sottoponendo una sospensione batterica di ciascun ceppo alla temperatura di 100°C per 15 minuti, o 0,5/1 μl in caso di DNA ottenuto mediante protocollo di estrazione genomica. I parametri della reazione di amplificazione, effettuata utilizzando il “Thermal Cycler MyCycler” sono stati: 5 minuti a 94°C per la denaturazione iniziale del template, 5 minuti a 36°C e 5 minuti a 72°C; 30 cicli, composti ognuno da 1 minuto a 94°C, 1 minuto a 36°C e 2 minuti a 72°C, per la fase di amplificazione; 10 minuti a 72°C per l’allungamento finale. I prodotti di amplificazione sono stati analizzati mediante corsa elettroforetica in gel di agarosio al 2% (p/v).
3.3.7 MLST (Multi Locus Sequence Typing)
Si tratta di una tecnica molecolare utilizzata per la genotipizzazione di isolati batterici. Con MLST è possibile confrontare specie differenti di microrganismi in base al sequenziamento di 7 geni housekeeping (o costitutivi), amplificati
mediante PCR. Questi geni possono esistere in varianti alleliche a causa di mutazioni nella sequenza nucleotidica, per cui l’obiettivo di MLST è quello di identificare il tipo di allele presente nei loci considerati, per ogni clone analizzato. Tramite il sequenziamento di queste zone conservate vengono assegnati a tutte le sequenze dei numeri corrispondenti alle varianti alleliche. La combinazione dei numeri allelici fornisce la sequenza tipo (ST: sequence type), che si confronta con delle librerie genetiche presenti in un database (http://pubmlst.org/paeruginosa) al fine di ottenere un profilo allelico. Una volta ottenuto il profilo allelico, questo sarà riproducibile in ogni laboratorio, in modo da avere una genotipizzazione univoca (Curran et al., 2004). Infine, attraverso la comparazione dei diversi profili vengono stabilite le correlazioni tra isolati. Cloni correlati hanno lo stesso ST o differiscono in uno o due alleli. E’ utile per determinare l’evoluzione nel tempo delle specie batteriche, per confrontare cloni diversi e a distanza di anni perché si vanno a definire dei “complessi clonali”, ovvero gruppi di ceppi accomunati dall’identità di sequenza per almeno 5 dei 7 loci. Per il sequenziamento non sono stati impiegati gli stessi primer usati per ottenere l’amplificato, bensì dei primer interni a questo prodotto.
Tabella 2. Primer usati nell’amplificazione e nel sequenziamento di ogni allele e rispettivi
ampliconi.
Locus Primer Forward
(5’-3’) Primer Reverse (5’-3’) Amplicone (bp) acsA Amplification
Sequencing ACCTGGTGTACGCCTCGCTGAC GCCACACCTACATCGTCTAT GAT GTGGACAACCTCGGCAACCTGACATAGATGCCCTGCCCCTT- 842390 aroE
Amplification
Sequencing TGGGGCTATGACTGGAAACC ATGTCACCGTGCCGTTCAAG CA TGAAGGCAGTCGGTTCCTTGTAACCCGGTTTTGTGATTCCTA- 825495 guaA
Amplification
Sequencing CGGCCTCGACGTGTGGATGA AGGTCGGTTCCTCCAAGGTC GAACGCCTGGCTGGTCTTGTGG-TA TCAAGTCGCACCACAACGTC 940372 mutL
Amplification
Sequencing CCAGATCGCCGCCGGTGAGGTG AGAAGACCGAGTTCGACCAT CAGGGTGCCATAGAGGAAGTC ATGACTTCCTCTATGGCACC 940441 nuoD
Amplification
Sequencing ACCGCCACCCGTACTG ACGGCGA-GAACGAGGACTAC TCTCGCCCATCTTGACCA TT-CACCTTCACCGACCGCCA 1042366 ppsA
Amplification
Sequencing GGTCGCTCGGTCAAGGTAGTGG GGTGACGACGGCAAGCTGTA TAG TCCTGTGCCGAAGGCGATACGGGTTCTCTTCTTCCGGCTCG- 989369 trpE
Amplification
Sequencing GCGGCCCAGGGTCGTGAG TT-CAACTTCGGCGACTTCCA CCCGGCGCTTGTTGATGGTT GGTGTCCATGTTGCCGTTCC 811441
3.4 Misurazione della sensibilità agli antibiotici in vitro
3.4.1 Metodo di Kirby-Bauer
La metodica del Kirby-Bauer o antibiogramma è un test in vitro che permette di determinare la sensibilità o resistenza di un microrganismo ad un determinato antibiotico. La tecnica dell’antibiogramma permette di saggiare più antibiotici contemporaneamente, rendendo così possibile la determinazione di un profilo di chemiosensibilità a diversi antimicrobici e identificare, se presente, una sinergia tra i farmaci.
Gli isolati batterici da analizzare sono stati risospesi da piastra in 2 ml di MHB e, tramite analisi spettrofotometrica a 600 nm, diluita fino a raggiungere un O.D. di 0,15 pari a una concentrazione di 1,5· 106 CFU/ml.
La superficie di una piastra di terreno solido MHA è stata quindi inoculata omogeneamente utilizzando un tampone sterile imbevuto nella sospensione
batterica; sulla superficie della piastra sono quindi stati deposti dischetti imbevuti con concentrazioni note di ciascun antibiotico (Oxoid, Milano, Italia). Il diametro dell’alone di inibizione è stato misurato dopo incubazione di 16-18 ore a 37 °C. I risultati sono stati interpretati sulla base dei breakpoints EUCAST (European Committee on Antimicrobial Susceptibility Testing breakpoints (v.8.0, January 2018; http://www.eucast.org/clinical_breakpoints).
4. RISULTATI E DISCUSSIONE
Una collezione longitudinale di 116 isolati di P. aeruginosa, ottenuti da 9 pazienti in cura da almeno 5-10 anni presso il centro FC di Firenze, è stata analizzata per la presenza di geni di resistenza acquisita.
4.1 Sensibilità agli antibiotici
Il profilo di resistenza agli antibiotici degli isolati è stato determinato tramite l’utilizzo della metodica del Kirby-Bauer. Sono stati saggiati i seguenti farmaci antipseudomonas: i) ticarcillina–acido clavulanico, ceftazidime, imipenem e meropenem, per i β-lattamici; ii) gentamicina, tobramicina e amikacina, per gli aminoglicosidi; iii) ciprofloxacina e levofloxacina, per i fluorochinoloni e iv) colistina, per le polimixine.
Le percentuali di chemioresistenza verso i farmaci anti-pseudomonas risultavano alte, con percentuali sempre superiori al 35% (Tabella 1) tranne che per la colistina, per cui nessun isolato mostrava resistenza.
In accordo con la definizione di multiresistenza proposta da Saiman (Saiman et al., 2003), secondo la quale un ceppo è definito multiresistente (MDR) quando manifesta resistenza a tutti i farmaci testati di almeno due classi tra aminoglicosidi, β-lattamici e fluorochinoloni, il 14% degli isolati risultava MDR. Inoltre, il 19% degli isolati mostrava un fenotipo panresistente (PDR) (Paterson, 2006) a tutti i farmaci testati eccetto la colistina (Tabella 3).
Le percentuali di resistenza più elevate si osservano per farmaci appartenenti al gruppo degli aminoglicosidi, (alla gentamicina e anche all’amikacina ma in modo inferiore), che non corrispondono ai farmaci maggiormente somministrati ai pazienti in terapia per infezione cronica da P.
aeruginosa. È stata riscontrata anche una significativa resistenza all’imipenem,
Tabella 3. Percentuali di resistenza dei 118 isolati di P. aeruginosa nei confronti dei farmaci
antipseudomonas (A) e fenotipi di resistenza (B). (A)
Agenti antimicrobici Isolati resistenti (%)
Ticarcillina – acido clavulanico 42%
Ceftazidime 45% Imipenem 49% Meropenem 39% Gentamicina 77% Tobramicina 35% Amikacina 49% Ciprofloxacina 41% Levofloxacina 42% Colistina 0% (B) Fenotipo di resistenza (%) MDRa 14% PDRb 19%
aMDRsecondo la definizione proposta da Saiman (Saiman et al., 2003)
bPDR secondo la definizione proposta da Paterson (Paterson, 2006)
4.2 Analisi della prevalenza dei geni di resistenza acquisita in una
collezione longitudinale di ceppi di P. aeruginosa
L’analisi è stata condotta mediante la tecnica dell’ibridazione del DNA su colonia; sono stati ricercati i seguenti geni di resistenza acquisita e relative varianti geniche: i) blaPSE, blaPER e blaGES,codificanti per β-lattamasi di classe A a spettro
ristretto ed esteso d’idrolisi; ii) blaOXA-1 e blaOXA-10, codificanti perβ-lattamasi di classe
D; iii) blaIMP, blaFIM e blaVIM, codificanti per MBL; iv) aacA4, aphA15, aacC1, aadA1 e
aadB, codificanti per aminoglicoside-acetil- e adenil-trasferasi. Oltre ai
codificante l’enzima integrasi degli integroni di resistenza di classe 1.
Condizioni di bassa stringenza sono state utilizzate durante gli esperimenti di ibridazione, al fine di rilevare varianti alleliche dei diversi geni di resistenza. Tutti gli isolati positivi all’ibridizzazione sono stati successivamente confermati mediante PCR ed eventualmente determinazione della sequenza nucleotidica del DNA.
Tabella 4. Prevalenza dei geni di resistenza acquisiti in una collezione longitudinale di isolati di P.
aeruginosa da FC
Anno isolatiN. di Integrone classe 1 (int)
Resistenza ai β-lattamici Resistenza agli aminoglicosidi
blaPSE/PER/GES blaOXA -1 blaOXA-10 blaIMP blaFIM blaVIM-2 aacA4 aphA15 aacC1 aadA1 aadB
1993 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1997 2 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1998 8 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1999 5 1 (20%) 0 0 0 0 0 1 (20%) 1 (20%) 0 0 0 0 2000 8 5 (62%) 0 0 0 0 0 1 (12%) 0 0 0 0 0 2001 5 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 2002 11 8 (72%) 0 3 (25%) 0 0 0 0 3 (25%) 0 0 0 3 (27%) 2003 9 1 (11%) 0 1 (11%) 0 0 0 0 1(11%) 0 0 0 1 (11%) 2004 16 6 (37%) 0 2 (12%) 1 (6%) 0 0 0 3 (19%) 0 0 1 (6%) 2 (12%) 2005 24 11 (45%) 0 2 (8%) 2 (8%) 0 0 0 4 (16%) 0 0 2 (8%) 3 (12%) 2006 17 5 (29%) 0 1 (6%) 0 0 0 1 (6%) 0 0 0 0 2 (12%) 2007 6 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 2008 4 1 (25%) 0 0 1 (25%) 0 0 0 1 (25%) 0 0 1(25%) 0 Tot 116 38 (33%) 0 9 (8%) 4 (3%) 0 0 3 (2%) 13(11%) 0 0 4 (3%) 11(9%)
Dall’analisi effettuata è stata osservata una prevalenza del 14% per i geni codificanti le β-lattamasi e del 27% per i geni di resistenza agli aminoglicosidi. Inoltre il gene intI1 è stato riscontrato in 38 isolati su 116 totali, con una percentuale del 33%.
In particolare, il gene codificante la MBL di tipo VIM e le β-lattamasi di classe D OXA-1 e OXA-10, sono stati gli unici geni di resistenza ai β-lattamici ritrovati. Per quanto riguarda i geni di resistenza agli aminoglicosidi, i determinanti più frequentemente ritrovati risultano essere aadB e aacA4, con rispettivamente una una prevalenza del 11% e del 9%(Tabella 3).
La PCR è stata utilizzata per confermare la positività ai diversi geni di resistenza degli isolati. In seguito all’amplificazione tramite PCR, la dimensione del prodotto di amplificazione ottenuto è stata verificata mediante elettroforesi in gel di agarosio e, in ciascun caso, il prodotto di amplificazione ottenuto con i primer specifici per ogni gene di resistenza ricercato è risultato di dimensione conforme alle attese.
Laddove necessario, i prodotti di amplificazione sono stati sottoposti a sequenziamento del DNA al fine di verificare quale variante genica fosse presente negli isolati analizzati. Nel caso degli isolati provenienti dal paziente FI-SanD, portatori del gene blaVIM, l’analisi della sequenza dei prodotti di amplificazione ha
permesso di individuare la varianti del gene blaVIM-2 corrispondente all'enzima più
diffusi sul territorio italiano (Rossolini et al., 2008). Le MBL erano state finora ritrovate raramente in pazienti con FC (Pollini et al., 2011, Pollini at al., 2018).
In generale, la prevalenza dei geni di resistenza acquisita è risultata maggiore di quella osservata in altri studi condotti su isolati di P. aeruginosa da pazienti con FC (Hansen et al., 2008); questa osservazione suggerisce l’esistenza di rilevanti differenze epidemiologiche tra la presenza di meccanismi di resistenza acquisita in isolati da pazienti FC provenienti da differenti realtà cliniche. Inoltre, l’isolamento di MBL in FC è da considerarsi un fenomeno allarmante, in considerazione delle possibili ricadute sulle scelte terapeutiche per questi pazienti e della dimostrata persistenza negli anni dei ceppi portatori del determinante di resistenza.
Solo gli isolati provenienti da pazienti, di cui almeno uno era risultato positivo al gene intI, sono stati sottoposti a successive analisi.
4.3 Analisi della clonalità e della persistenza di geni di resistenza
acquisita in una collezione longitudinale di isolati di P.
aeruginosa da pazienti con Fibrosi Cistica
I ceppi provenienti dai pazienti FI-MusD (n=25 dal 2000 al 2006), FI-BelG (n=6 dal 2002 al 2006), FI-PaoY (n=20 dal 1998 al 2008) e FI-SanD (n=3 dal 1999 al 2006) sono stati analizzati per stabilirne la clonalità attraverso le metodiche della RAPD e MLST (Tabella 5).
Per tutti i ceppi positivi all'integrasi provenienti dallo stesso paziente è stato sempre possibile stabilire una relazione di clonalità, ad eccezione degli isolati provenienti dal paziente Fi-MusD (Tabella 5).
Come confermato in altri studi, la prima infezione che riesce a persistere e superare le difese dell’ospite, sarà determinante nello stabilire il genotipo infettivo; infatti a causa del particolare ambiente in cui si viene a trovare, P. aeruginosa attiva dei meccanismi che rendono difficile la sua eradicazione (Mathee et al., 2008; Smith et al., 2006). Da questa definizione differiscono gli isolati di FI-MusD, dove si evidenziano, all’interno dei ceppi positivi all’integrasi, 2 diversi profili di clonalità: il gruppo “13” e il gruppo “14” (Tabella 5).
L'analisi attraverso MLST, metodica che ci permette di confrontare i nostri isolati con un database comune a livello internazionale, ha confermato i risultati della clonalità ottenuti precedentemente tramite RAPD, attribuendo ai ceppi provenienti dai pazienti FC i seguenti ST type: BelG ST 17, PaoY ST 274, FI-SanD ST282, FI-MusD del gruppo “13” ST622, FI-MusD del gruppo “14” ST17.
Tutti e 6 i ceppi clinici di P. aeruginosa provenienti dal paziente FI-BelG sono risultati positivi per la presenza del gene intI1 e tutti clonalmente correlati tra loro sottolineando la persistenza per oltre 5 anni di un solo ceppo di P. aeruginosa. Nel primo isolato, del 2002, l’integrone presentava in prima ed in seconda posizione i geni di resistenza acquisita per gli aminoglicosidi aadB, aacA4
rispettivamente ed in terza posizione il gene per i β-lattamici blaOXA-1 (Figura 6).
Questa situazione sembra restare invariata con gli isolati del 2003 e del 2004. Negli isolati di P. aeruginosa del 2005 e del 2006 si osserva la perdita sia del gene aacA4 che di blaOXA-1 (Figura 6). In questi isolati la perdita dei geni di
resistenza non sembra essere correlata con la conseguente variazione del fenotipo di chemioresistenza, che rimane PDR per tutta la durata della colonizzazione (Tabella 5). Nell'integrone non è stato ad ora possibile caratterizzare la regione al 3'CS. Tale regione conservata può anche risultare assente (Hall et al., 1994; Paulsen et al., 1993).
Dei 20 ceppi provenienti dal paziente FI-PaoY solo quattro sono risultati positivi alla presenta del gene intI (Tabella 5). Tali ceppi risultano essere clonalmente correlati tra loro e hanno colonizzato il paziente per un periodo di 5