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Moringa oleifera Lam.: una preziosa fonte di isotiocianati ed altri composti bioattivi: indagine del valore nutraceutico.

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(1)

D

IPARTIMENTO DI

F

ARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Scienze della Nutrizione Umana

Tesi di laurea

MORINGA OLEIFERA LAM. UNA PREZIOSA FONTE DI ISOTIOCIANATI ED

ALTRI COMPOSTI BIOATTIVI: INDAGINE DEL VALORE NUTRACEUTICO.

Relatrice:

Testai Lara

Candidato:

Franzoni Isacco

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INDICE

INQUADRAMENTO SISTEMATICO E DIFFUSIONE 5

IL GENERE MORINGA 5 LA SPECIE OLEIFERA 5 ORIGINE E DIFFUSIONE 6 MORFOLOGIA 7 FOGLIE 7 FIORI 8 FRUTTI 9 SEMI 9

TRONCO, LEGNO E RAMIFICAZIONI 10

RADICE 10

PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE NUTRIZIONALI 11

MACRONUTRIENTI 12

MICRONUTRIENTI 12

Minerali 12

Vitamine 13

ANTINUTRIENTI 13

ADDITIVO ALIMENTARE ANTIMICROBICO 13

ALIMENTAZIONE ANIMALE 14 COMPOSTI BIOATTIVI 15 COMPOSTI POLIFENOLICI 15 Acidi fenolici 16 Flavonoidi 17 Tannini 17 GLUCOSINOLATI 18 Glucosinolati in Moringa 21

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ISOTIOCIANATI 23

Isotiocianati ed Nrf2 23

Nrf2 e NF-κB 27

Isotiocianati come donatori di solfuro di idrogeno 27

PROPRIETA’FARMACOLOGICHE DELLA MORINGA, POTENZIALE DI INTERESSE

NUTRACEUTICO 30

1-PROPRIETÀ ANTIOSSIDANTI 30

2-PROPRIETÀ ANTINFIAMMATORIE 31

3-PROPRIETÀ IPOGLICEMIZZANTI E ANTIDIABETICHE 33

4-PROPRIETÀ IPOLIPIDEMIZZANTI 34

5-PROPRIETÀ EPATOPROTETTIVE 34

6-PROPRIETÀ ANTICANCEROGENE E CHEMIOPREVENTIVE 35

6,1-Inibizione della carcinogenesi e detossificazione delle sostanze cancerogene 35 6,2-Attività antinfiammatoria 36 6,3-Attività antiproliferativa delle cellule tumorali 36 6,4-Induzione dell’apoptosi 37

7-PROPRIETÀ ANTIMICROBICHE 37

8-PURIFICAZIONE DELL’ACQUA 38

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INQUADRAMENTO SISTEMATICO E DIFFUSIONE

Dominio

Eukaryota

Regno

Plantae

Divisione

Magnoliophyta

Classe

Magnoliopsida

Ordine

Brassicales

Famiglia

Moringaceae

Genere

Moringa

Specie

Oleifera

Il genere Moringa

Moringa è un genere di piante arboree appartenenti all'ordine delle Brassicales, caratteristico delle zone tropicali e subtropicali. È l'unico genere della famiglia Moringaceae.

Attualmente afferiscono a questa famiglia 13 specie diverse, distinguibili per morfologia, ecologia e areale di diffusione (Olson, 2001).

Tra le 13 specie conosciute della famiglia Moringaceae (M. arborea, M. rivae, M. oleifera, M.

longituba, M. stenopetala, M. concanensis, M. pygmaea, M. borziana, M. ruspoliana, M. drouhardii, M. hildebrandtii, M. ovalifolia e M. peregrine) la Moringa oleifera Lam. (Moringa) è quella più

studiata e più utilizzata come integratore alimentare, grazie alle sue proprietà nutrizionali e nutraceutiche legate ad un miglioramento della salute umana e degli animali da allevamento (Ma et al., 2018).

La specie oleifera

La specie da noi trattata è la più importante del genere per uso alimentare e per diffusione. E’ una pianta arborea, molto rustica e dalla grande adattabilità, sempre verde o a foglia caduca, di crescita molto veloce, tanto che già dopo un anno può raggiungere i 3 m di altezza e fruttificare. Gli alberi occasionalmente possono raggiungere altezze di 16 m con uno stelo di diametro oltre 75 cm

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Origine e diffusione

Il nome Moringa deriva dalla parola “Marungakkai” o “Murunga” del dizionario Tamil che significa bacchetta del tamburo (“drumstick”), riferendosi alla somiglianza del frutto, una capsula (a forma di baccello) lunga sottile e triangolare, all’accessorio musicale. La pianta, conosciuta con gli appellativi di “drumstick tree” e “horse radish tree” (rabarbaro) per il sapore simile a questa radice, è inoltre menzionata in diverse parti del mondo con differenti nomi popolari (Godino et al., 2017).

Sono state trovate piante selvatiche riconducibili alla pianta originaria in zone collinari a ridosso della catena dell’Himalaya lungo il fiume Chenab verso oriente, sul Sarda e nell’Uttar Pradesh in India (Ramachandran et al., 1980). Ci sono testimonianze che associano l’origine letteraria del nome a “Shigon” in lingua “Shushruta Sanhita”, appellativo antico risalente al I secolo a.C. (Hsu et al., 2006). Questo evidenzia come la coltivazione di questo albero risalga a migliaia di anni fa, quando veniva usato il seme per estrarre l’olio e la pianta veniva sfruttata per usi farmacologici, oltre che per l’alimentazione umana e come foraggio (Hsu et al., 2006).

Nel corso dei secoli l’aumento degli scambi e i rapporti commerciali tra le varie popolazioni ne hanno favorito la conoscenza e l’utilizzo, determinandone una rapida diffusione (Cavallini, 2001). Questo albero è stato infatti esportato in gran parte dell’Africa e dell’Asia orientale ed è stato utilizzato negli anni da Egiziani, Greci e Romani (Ramachandran, 1980). La Moringa è stata naturalizzata e addomesticata in molte località dei tropici, in particolare in Africa dell’est e dell’ovest, in America (Florida del sud e isole del Pacifico), in Messico e America del sud (Brasile, Perù e Uruguay), in Asia (Afghanistan, Bangladesh, India, Nepal, Pakistan e penisola arabica e Sri Lanka) (Godino et al., 2017). Un esempio di come si è compiuta la sua naturalizzazione è quello delle regioni meridionali dell’India (in Tamilnadu) dove è stata dapprima coltivata come barriera naturale tra appezzamenti per poi essere utilizzata come coltura per l’alimentazione umana. Al nord dello stesso paese non ebbe invece molto successo a causa delle condizioni climatiche poco favorevoli e la sua coltivazione fu presto abbandonata (Hsu et al., 2006).

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I luoghi dove oggi è coltivata e cresce allo stato naturale, appartengono alla fascia tropicale e subtropicale mondiale (Cavallini, 2001).

MORFOLOGIA

Foglie

Le foglie sono composte e sono più volte pennate (generalmente 2-3 pennate). La foglia intera è botanicamente chiamata “pinna” e le foglioline

che la compongono sono denominate “pinnule”, l'asse centrale “rachide”. Le pinne possono raggiungere una lunghezza totale di circa 45 cm di lunghezza e sono disposte in maniera alterna sui ramoscelli oppure sul tronco principale quando l’albero è giovane. La pagina fogliare ha una misura variabile da 1,2 a 2 cm di lunghezza e da 0,6 a 1 cm di larghezza. Le foglioline laterali sono generalmente ellittiche, mentre quelle terminali obovate. I piccioli delle foglioline laterali hanno lunghezza compresa tra 1,5 e 2,5 mm, quelli della parte terminale sono in genere più lunghi e vanno da 3 a 6 mm. Le

foglioline sono di colore verde chiaro se giovani e molto scure se Figura 2: foglia (pinna) Figura 1: Aree geografiche in cui cresce la moringa (Trees For Life Moringa Blog, 2011).

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adulte, quasi prive di tomento sulla superficie, hanno venature rossastre, i margini interi e non dentati e sono arrotondate o smussate verso l’apice (Roloff et al., 2009).

Fiori

I fiori di Moringa sono molto variabili a seconda della specie. In generale sono raggruppati in infiorescenze con numero incostante, da un minimo di 2 a un massimo di 10. Sono di colore bianco, profumati, simili a quelli delle leguminose, con steli sottili, pelosi, di 10-25 cm di lunghezza.

I fiori singoli sono approssimativamente lunghi da 0,7 a 1 cm di lunghezza e 2 cm di larghezza, hanno 5 petali disuguali giallo-bianchi sottilmente venati, 5 stami e un pistillo composto da un ovario unicellulare con stilo sottile.

La fenologia fiorale varia ampiamente a seconda della località in cui la pianta cresce. Durante la stagione fredda nel nord dell’India gli alberi possono fiorire solo tra i mesi di aprile e giugno, mentre nel sud la fioritura avviene, in genere, 2 volte l’anno. In località con stagioni più costanti e temperature e piovosità annua elevate come nelle Isole caraibiche, la fioritura è costante durante tutto l’anno. La fioritura può avvenire già dal primo anno e spesso già 6 mesi dopo il trapianto (Roloff et al., 2009).

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Frutti

I frutti sono capsule pendenti, lineari, con 3 lati e 9 creste longitudinali. La Moringa ha un’ampia variabilità di produzione dei frutti: questi possono variare da frutti corti compresi tra 15 a 23 cm e lunghi tra 60 e 120 cm (Roloff et al., 2009); anche il colore è variabile, oltre al verde esistono infatti varietà con frutti di colore rosso, come “Chemmurunga” che produce fiori tutto l’anno e ha grosse rese di frutti.

Le capsule contengono ciascuna fino a 26 semi di colore verde scuro e hanno bisogno di circa 3 mesi per maturare dopo la fioritura, successivamente rimangono sulla pianta per diversi mesi. A maturità assumono un colore marrone ed essendo elastiche deiscenti si aprono longitudinalmente lungo i 3 lembi rilasciando i semi trioni (a tre facce), che vengono dispersi principalmente per via anemofila oppure trasportati dall’acqua o dagli animali che se ne nutrono (Palanisamy et al., 1985).

Semi

I semi sono non-endospermici e si presentano come piccole sfere dalle quali parte una leggera membrana bianca che forma una caratteristica bordura a barchetta (Watson et al., 2007).

Il loro diametro varia da 0,8 fino a 1,4 cm. Sono costituiti esternamente da un tegumento marrone al cui interno si trova la mandorla bianca, molto ricca di olio. Hanno 3 ali cartacee biancastre sugli angoli, che hanno la funzione di rendere il seme trasportabile dal vento a maturità.

Il loro peso è diverso a seconda della varietà e il numero di semi in 1 kg può variare da 3000 a 9000. L’embrione è ben differenziato in 2 cotiledoni (Roloff et al., 2009).

Figura 4: frutti (Roloff et al., 2009)

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Tronco, legno e ramificazioni

Il tronco è rivestito da una corteccia grigia-biancastra, spessa, soffice, con spaccature ed è porosa o sugherosa, appena ruvida. La corteccia, se intagliata, essuda una resina la quale è inizialmente di colore bianco e poi vira di tonalità intorno al marrone rosso o marrone scuro. Il legno è morbido e chiaro, con una densità tra 0, 5 e 0, 7 g/cm3 (Roloff et al., 2009).

Il legno è spugnoso e di scarsa consistenza e durezza, tanto che non viene usato né per produrre utensili di uso comune né per l’edilizia, neppure come legna da ardere (Cavallini, 2001).

I ramoscelli e le ramificazioni sono leggermente pelose e verdi e diventano marroni con la lignificazione (Roloff et al., 2009).

Radice

La germinazione è ipogea, la radichetta si sviluppa e nel tempo diviene una radice bianca fittonante tuberosa, con un caratteristico odore acre simile al ravanello, e con poche radici secondarie laterali. Gli alberi crescono dai semi sviluppando un fittone profondo e robusto, con una fitta rete di radici laterali. Il fittone non si sviluppa su alberi propagati da talea (Lahjie et al, 1987).

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PROPRIETÀ E CARATTERISTICHE NUTRIZIONALI

Lo studio e la caratterizzazione dei costituenti di Moringa dimostrano come la sua integrazione nella dieta possa contribuire in maniera significativa all'apporto giornaliero di proteine e amminoacidi essenziali, acidi grassi polinsaturi, vitamine e minerali come ferro, calcio e potassio (Alegbeleye, 2018). Inoltre Moringa risulta essere una ricca fonte di polifenoli e di sostanze ad attività antiossidante, confermando l'importanza e il ruolo che essa gioca nel miglioramento della salute degli esseri umani, soprattutto delle popolazioni malnutrite (Makkar & Berker, 1996; Anwar et al., 2007). Le foglie di Moringa possono essere utilizzate come integratore alimentare di alta qualità nell’alimentazione di animali ed esseri umani (Moyo et al., 2011).

Barichella et al. (2019) hanno valutato l’utilizzo, l’accettabilità e la sicurezza dell’integrazione alimentare di foglie essiccate di Moringa nella dieta giornaliera di bambini e adolescenti malnutriti in Zambia, dove la malnutrizione infantile è tuttora un problema diffuso. Lo studio dimostra la sicurezza nel breve e lungo periodo con una somministrazione giornaliera di 14 g.

“Alternative Action for African Development” e “Church World Service” hanno sperimentato, nel sud-ovest del Senegal durante il 1997-1998, in un’area geografica caratterizzata da stato di malnutrizione diffusa, la capacità preventiva e curativa dell’integrazione alimentare di foglie di Moringa sugli effetti della malnutrizione nelle donne in gravidanza ed allattamento e nei loro neonati. È stato registrato un aumento di peso e un miglioramento dello stato di salute generale, una riduzione dell’anemia e un maggiore peso alla nascita (Fuglie, 2001). Inoltre, in un altro studio, sono stati osservati un incremento della lattazione e un aumento dei livelli ematici di prolattina in seguito all’integrazione alimentare di Moringa (Raguindin, Dans & King, 2014).

Diversi autori (Dhakar et al., 2011; Fuglie, 2001; Alegbeleye, 2018) concordano nell’affermare che la Moringa abbia la capacità di combattere la malnutrizione infantile ma, come fanno notare Thurber & Fahey (2010), mancano studi sul campo rigorosi ed evidenze cliniche solide.

Grazie a queste ed altre sperimentazioni, alla semplicità con la quale questa pianta cresce in aree geografiche siccitose e del suo utilizzo come integratore, alla Moringa sono stati attribuiti appellativi quali “Miracle tree” o “nutrition for the tropics”.

Yameogo et al. 2011 hanno studiato la composizione delle foglie di Moringa raccolte nella stessa città, in tre zone differenti caratterizzate dallo stesso clima ma da tipi diversi di terreno e modalità di coltivazione, ottenendo valori molto differenti per quantitativi di macro- e micro-nutrienti. Le caratteristiche nutrizionali della Moringa variano a seconda dei diversi genotipi della pianta e dei cultivar, di fattori ambientali come le caratteristiche del suolo e del clima e a seconda delle modalità di raccolta, essiccazione e conservazione. Anche le modalità di coltivazione (intensiva,

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semi-intensiva, agroforestale) influenzano le caratteristiche nutrizionali, ad esempio la quantità di nutrienti contenuti nel suolo data dall’uso di fertilizzanti è responsabile di una variazione del contenuto proteico, lipidico e di micronutrienti delle foglie (Moyo et al., 2011).

Macronutrienti

Moyo et al. (2011) hanno analizzato la composizione e la caratterizzazione nutrizionale di foglie di Moringa, coltivata in Sud Africa ed essiccata all’ombra, osservando che le foglie presentano un quantitativo totale di proteine del 30,29% (SE=1,48), identificando la presenza di 19 amminoacidi: quelli contenuti in maggiore quantità sono alanina, tirosina e acido glutammico mentre la cisteina è quella presente in quantità minore. Non è stata riscontrata presenza di glutammina che può venire però sintetizzata endogenamente a partire dal glutammato. I lipidi sono il 6,50% (SE=1,042) della massa delle foglie secche e sono composti da 17 tipi di acidi grassi, in preponderanza polinsaturi (52,21%) e saturi (43,31%), mentre quelli monoinsaturi (4,48%) sono presenti in minor quantità. Nello specifico l’acido α-linolenico C18:3Δ9,12,15 (44,57%) è quello maggiormente presente, seguito dall’acido eneicosaenoico C21:0 (14,41%), palmitico C16:0 (11,79%), linoleico C18:2Δ9,12 (7,44%), oleico C18:1Δ9 (3,96%). Il rapporto tra ω6 e ω3 è di 0,17. L’acido α-linolenico appartiene alla categoria degli ω3, definiti “acidi grassi essenziali” in quanto il corpo umano non è in grado di sintetizzarli ed è pertanto necessario introdurli con la dieta. Gli ω3 sono utili nella prevenzione delle malattie cardiovascolari e sono precursori di composti endogeni ad azione anti-infiammatoria (Lunn & Theobald, 2006).

Teixeira et al. (2014) hanno caratterizzato i diversi costituenti contenuti nelle foglie di Moringa essiccate e polverizzate. I campioni contenevano 44.4% carboidrati, 28.7% proteine, 7.1% lipidi.

Micronutrienti

Minerali

Moyo et al. (2011) hanno identificato i macroelementi contenuti nelle foglie essiccate di Moringa trovando calcio (3,65%), potassio (1,50%), zolfo (0,63%), magnesio (0,50%), fosforo (0,30%) e sodio (0,164%). I microelementi identificati sono ferro (490 mg/kg), selenio (363 mg/kg), manganese (86,8 mg/kg), boro (49,93 mg/kg), zinco (31,03 mg/kg) e rame (8,25 mg/kg).

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Molto interessante è l’alto quantitativo di ferro presente, reso maggiormente assimilabile dalla cottura. Il contenuto di ferro (17.2 mg/100 g) delle foglie di Moringa risulta più elevato rispetto a quello contenuto in altre piante indicate dalla FAO (Food and Agriculture Organization) nel 2002:

Amaranthus spp. (8.9 mg/100g), Manihot esculenta (7.6 mg/100g), Ipomoea batatas (8.2 mg/100 g)

(Yameogo et al., 2011).

Teixeira et al. (2014) hanno rilevato, nelle foglie essiccate, quantitativi di 3.0 mg di calcio e 103.1 mg di ferro per 100 g, 20.7 mg di tannini/g, 161 μg di β-carotene/g.

Vitamine

La Moringa è una buona fonte di β-carotene, vitamina C, E, B1, B2 e B3 (Leone et al., 2015). La vitamina C si trova in maggior quantità nelle foglie fresche rispetto a quelle secche a causa della sua sensibilità a luce, temperatura e ossigeno, mentre il β-carotene e la vitamina E si trovano maggiormente concentrate nelle foglie essiccate. La Moringa possiede un elevato contenuto di β-carotene, sia nelle foglie fresche (6.6–17.4 mg/100 g) che nella polvere di foglie essiccate (23.31– 39.6 mg/100 g), in quantità maggiore rispetto a carote, albicocche e zucche (Ma et al., 2018).

Antinutrienti

Le foglie di Moringa contengono elementi antinutrizionali, tra cui tannini, ossalati e fitati.

I tannini legano le proteine contenute negli alimenti rendendole non assimilabili, formando complessi resistenti alle proteasi gastrointestinali, e inibiscono gli enzimi digestivi. La quantità di tannini contenuta nelle foglie essiccate di Moringa varia tra 13,2 g TAE (equivalenti di acido tannico)/kg e 20,6 g TAE/kg (Makkar & Berker, 1996).

Gli ossalati e i fitati legano alcuni minerali come calcio, ferro, magnesio e zinco inibendone l’assorbimento intestinale. Le foglie essiccate di Moringa contengono elevate concentrazioni di questi composti, comprese tra 450 e 1050 mg/100g di ossalati e tra 25 e 31 mg/g di fitati (Leone et al., 2015).

Additivo alimentare antimicrobico

La polvere di foglie essiccate di Moringa può essere utilizzata come additivo per aumentare la conservabilità di alcuni prodotti alimentari, grazie alla sua azione antibatterica e antiproliferativa

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(Alegbeleye, 2018). Bukar, Uba & Oyeyi (2010) hanno dimostrato l’attività antibiotica e antiproliferativa dell’estratto di foglie di Moringa nei confronti di patogeni responsabili di tossinfezioni alimentari come Escherichia coli, Pseudomonas aeruginosa, Staphylococcus aureus,

Enterobacter aerogenes.

Gli isotiocianati contenuti nelle foglie di Moringa hanno mostrato effetti antibiotici nei confronti di Helicobacter pylori (Fahey, 2005).

La polvere dei semi di Moringa possiede la capacità di ridurre drasticamente la carica batterica totale in acqua contaminata, a dosi ottimali di 15 g/l, agendo in particolare nei confronti di

Salmonella spp, Shigella spp e batteri coliformi (Vunain et al., 2019).

Lo studio di Lee et al. (2017) ha dimostrato la capacità dell’estratto liquido di Moringa di inibire la formazione di biofilm batterico del patogeno Staphylococcus aureus.

Alimentazione animale

Le foglie di Moringa hanno un alto contenuto di proteine di ottima qualità e digeribilità, e questa caratteristica la rende ottima per l’integrazione alimentare nella dieta degli animali da allevamento (Moyo et al., 2011).

Studi condotti su avicoli da allevamento dimostrano che l’addizione alimentare (5% sul peso secco del mangime) con foglie essiccate di Moringa, determina un aumento della produzione e della qualità delle uova, oltre che un aumento del peso corporeo e dei valori ematici di globuli rossi ed emoglobina (Falowo et al., 2018).

Lu et al. (2016) hanno riportato che l’integrazione alimentare nella dieta del pollame con farina di foglie essiccate di Moringa in quantità maggiore del 10% comporta una riduzione del peso delle uova dovuta ai tannini che causano una minore assimilazione e digeribilità proteica. Pertanto, alcuni ricercatori hanno raccomandato di includere meno del 10% di Moringa nelle diete del pollame (Tshabalala et al., 2019).

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COMPOSTI BIOATTIVI

Le piante, non potendosi muovere, hanno dovuto adottare meccanismi per difendersi da condizioni biogene o abiogene di stress. I metaboliti secondari rappresentano un meccanismo di difesa adattiva delle piante per prevenire danni causati da una grande varietà di fattori ambientali e agenti patogeni come temperatura, raggi UV, siccità, microorganismi, animali erbivori, insetti (Tshabalala et al., 2019). Molti metaboliti secondari prodotti dalle piante sono composti bioattivi utili per la salute dell’essere umano e la prevenzione di svariate patologie.

Composti polifenolici

I polifenoli sono dei composti organici naturali largamente presenti nel regno vegetale.

Dallo studio condotto da Mayakrishnan et al. (2018) sui polifenoli contenuti nei vari tessuti vegetali di Moringa (foglie, radici, semi, fiori, corteccia) utilizzando diversi solventi di estrazione, è risultato che le foglie sono la parte più ricca di polifenoli (da 20 a 120 mg di acido gallico equivalenti (GAE)/g di materia secca), in particolare di acido gallico, miricetina, quercetina e kaempferolo. Inoltre sono stati identificati biocanina A, acido cumarico, naringina, naringenina, catechina, rasveratrolo (Leone et al., 2015).

La concentrazione e la varietà di composti fenolici presenti nella Moringa varia sostanzialmente in relazione a fattori legati all’ambiente e al clima, alla genetica e alle modalità di lavorazione della pianta. In modo direttamente proporzionale all’aumento degli agenti stressanti per la pianta, ad esempio la carenza idrica o una forte intensità dell’esposizione solare, varia anche il contenuto di polifenoli e la capacità antiossidante (Coppin et al., 2015; Zhu, Yin & Yang, 2020).

Le foglie possiedono una maggior attività antiossidante rispetto alle altre parti della pianta prese in esame, e si può ipotizzare che questo effetto sia in parte dovuto ai polifenoli (Mayakrishnan et al., 2018).

Lo studio di Vyas, Kachhwaha & Kothari (2014) ha indagato il quantitativo di polifenoli totali estratti dai diversi tessuti vegetali di Moringa con metanolo, ottenendo i seguenti risultati espressi in GAE: nelle foglie 144 mg/g, nelle radici 108 mg/g, nei fiori e nella corteccia 100 mg/g, nei semi 87 mg/g.

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Acidi fenolici

Gli acidi fenolici sono un sottogruppo dei composti polifenolici, derivati dagli acidi idrossibenzoico e idrossicinnamico. Nelle foglie di Moringa gli acidi fenolici maggiormente presenti sono acido gallico, acido clorogenico, acido caffeico, e in minor quantità acido ferulico e acido ellagico (Leone et al., 2015).

Gli acidi clorogenici sono esteri formati da acidi idrossicinnamici (acido caffeico, acido ferulico, acido p-cumarico) e acido chinico. Ramabulana et al. (2016) hanno estratto e identificato, dalle foglie di Moringa, diversi acidi clorogenici, e isomeri determinati dalla stereochimica dell’acido chinico. La varietà della conformazione chimica assunta dagli acidi clorogenici è dovuta probabilmente a una “strategia” della pianta per massimizzare l’azione biologica dei composti attivi nei confronti dei diversi agenti stressanti. Gli acidi clorogenici sono noti per le proprietà antiossidanti e antidiabetiche (Tshabalala et al., 2019).

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Flavonoidi

I flavonoidi sono una classe molto numerosa di composti polifenolici ampiamente presenti in forma O-glicosilata nel regno vegetale. Sono molecole idrosolubili e la loro struttura è costituita da uno scheletro di difenilpropano (C6-C3-C6) a 15 atomi di carbonio (Tsao, 2010).

I flavonoidi hanno attività antiossidante (Lin, Zhang & Chen, 2018).

Nella Moringa sono presenti principalmente quattro tipi di flavonoidi: quercetina, kaempferolo, isoramnetina e apigenina (Bennett et al., 2003; Tshabalala et al., 2019). Essi sono legati a diverse tipologie di zuccheri (ad esempio esosi, acetil-esosi, rutinosio, ramnosio) andando a formare dei glicosidi. Alla parte gliconica possono essere legati dei gruppi funzionali, ad esempio gruppi acetili, che modificano la polarità e perciò il profilo farmacocinetico e la biodisponibilità della molecola (Makita et al., 2016; Lin, Zhang & Chen, 2018).

Makita et al. (2017), hanno messo a confronto 12 cultivar di Moringa mostrando che solo 3 su 12 cutivar contenevano rutina, identificandone la presenza come fenomeno cultivar specifico.

Tannini

I tannini sono composti fenolici idrosolubili che legano e precipitano i composti contenenti azoto come le proteine e gli alcaloidi. Possiedono varie proprietà biologiche: antiproliferativa,

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2015). Possiedono inoltre attività antiossidante, che si esplica grazie all’azione dei gruppi ossidrilici (OH-), i quali sono coinvolti nella riduzione dei radicali perossilici (Hagerman et al., 1998). La quantità di tannini contenuta nelle foglie essiccate di Moringa varia tra 13,2 g TAE /kg e 20,6 g TAE/kg (Makkar & Berker, 1996).

Glucosinolati

I glucosinolati sono composti glucosidici contenenti zolfo e fanno parte dei metaboliti secondari prodotti esclusivamente dalle piante dell’ordine Brassicales o Capparales. I circa 120 glucosinolati conosciuti condividono una struttura chimica che consiste in un residuo di b-D-glucopiranosio legato con legame S-glucosidico ad un estere N-idrossiminosolfato e un gruppo R derivato da uno degli otto amminoacidi: Ala, Leu, Ile, Met, Val, Phe, Tyr, Trp. I composti che derivano da Ala, Leu, Ile, Met e Val sono chiamati glucosinolati alifatici, quelli derivati da Phe o Tyr vengono chiamati glucosinolati aromatici e quelli derivati da Trp sono chiamati glucosinolati indolici. Il gruppo R della maggior parte dei glucosinolati è ottenuto da numerose modificazioni dell’aminoacido di provenienza tra cui reazioni di elongazione, idrossilazione, O-metilazione, desaturazione, glicosilazione e acilazione (Halkier & Gershenzon, 2006). I glucosinolati sono composti idrofili immagazzinati nei vacuoli delle cellule vegetali di quasi tutti i tessuti. Quando la cellula vegetale viene danneggiata (cottura, masticazione, taglio o, congelamento) i glucosinolati vengono a contatto con un enzima chiamato mirosinasi (tioglucosidasi), presente in vescicole nella cellula, che idrolizza il legame glicosidico. L’aglicone libera spontaneamente, per riarrangiamento di Loessen, il gruppo solfato e si ha isotiocianato come prodotto della reazione. Altri prodotti della reazione possono essere i nitrili che si formano in vitro a pH< 3 e in presenza di ioni di Fe2+ o in vivo grazie alla

presenza di “epithiospecifier protein” (ESP) (Halkier & Gershenzon, 2006). Quando al C-2 del gruppo R è legato un gruppo idrossilico, l’isotiocianato è instabile e ciclizza in ossazolidin-2-tione, composto tossico che danneggia la tiroide e provoca il gozzo (Halkier & Gershenzon, 2006).

Figura 9: struttura comune ai glucosinolati (Halkier &

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La mirosinasi è termolabile e viene denaturata dalla cottura, perciò, perché si abbia il massimo rendimento dei glucosinolati, viene consigliata una breve cottura di 5 min al vapore. L’attività dell’enzima rimane invariata a temperature fino ai 60°C mentre con temperature superiori si ha una riduzione dell’attività dovuta alla denaturazione (Tetteh et al., 2019).

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Inibitori della mirosinasi sono i gruppi fosfato che si formano durante la reazione. L’acido ascorbico è un cofattore della mirosinasi in quanto ne stimola l’attività (Burmeister et al.,2000).

La flora batterica intestinale produce mirosinasi in quantità molto variabile da individuo a individuo. Se la mirosinasi contenuta nei tessuti vegetali viene inattivata dal calore, la conversione dei glucosinolati in isotiocianati e metaboliti (ditiocarbammati) viene in parte effettuata dalla flora batterica intestinale (Yagishita et al., 2019; Fahey et al., 2003; Narbad & Rossiter, 2018). Il tasso di conversione da glucosinolati a isotiocianati e ditiocarbammati è molto variabile da individuo a individuo e va da un minimo dell’1% ad un massimo del 40% della dose di glucosinolati, con una media dell’11,8%. A questo proposito la popolazione si divide tra bassi convertitori ed alti convertitori; molto più frequenti sono i bassi convertitori, infatti solo un quinto dei soggetti superano la conversione del 20% della dose. Inoltre la popolazione viene suddivisa anche tra veloci (2/3 della conversione in 8 ore) e lenti convertitori (tra le 8 e le 24 ore) (Fahey et al., 2003). Questi dati sono confermati da vari studi condotti su popolazioni eterogenee per genetica dieta e ambiente (Shapiro et al., 1998; Shapiro et al., 2006). Con rimozione meccanica della flora o in seguito a trattamento con antibiotici la conversione dei glucosinolati vi è pressoché impedita. I batteri contenuti nelle feci degli alti convertitori hanno una maggiore capacità di convertire glucosinolati in isotiocianati rispetto a quelli dei bassi convertitori (Narbad & Rossiter, 2018). La somministrazione di estratto ricco in isotiocianato presenta, senza differenze interpersonali significative, una conversione del 70-90% della quantità di isotiocianati in ditiocarbammati che vengono rilevati nelle urine (Fahey et al., 2003).

Le crucifere possiedono ESP che indirizzano l'idrolisi dei glucosinolati, catalizzata dalla mirosinasi, a nitrili, epitionitrili e tiocianati. Dalle ricerche svolte sul meccanismo di queste proteine identificatrici, è stato stabilito che gli ioni ferrosi svolgono un ruolo chiave all'interno del sito attivo della proteina durante la catalisi (Kuchernig, Burow & Wittstock, 2012). Nello studio di Narbad & Rossiter (2018) è stato notato che la maggior parte dei batteri presi in esame trasformano in modo non tipologia specifico i glucosinolati in desulfo-glucosinolati e da questi per idrolisi in nitrili, utilizzandoli come fonte di carbonio. Questa conversione è facilitata dalla presenza di ferro. Anche nelle piante la presenza di ferro fa sì che la mirosinasi converta i glucosinolati in nitrili al posto che in isotiocianati, anche senza la presenza di una EPS. La presenza di ioni metallici influenza il risultato della conversione dei glucosinolati. Gli isotiocianati sono tossici per la maggior parte dei batteri (attività antimicrobiche) e perciò è per loro vantaggioso convertire i glucosinolati in nitrili. Molti dei batteri che possono convertire i glucosinolati in isotiocianati sono usualmente utilizzati come probiotici (Lactobacillus, Bifidobacteria) e questa è una possibile opportunità, se abbinati ad

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Bacteroides thetaiotaomicron è stato isolato dalla flora batterica umana e ha dimostrato di

convertire glucosinolati in isotiocianati (Elfoul et al., 2001).

Un altro batterio gram positivo estratto dalla flora batterica umana è Lactobacillus agilis che converte sinigrina in allil isotiocianato, ma la conversione avviene solo in presenza delle cellule batteriche e non con estratto proteico dei batteri senza le cellule, inoltre la conversione in isotiocianato non inibisce la crescita suggerendo che gli isotiocianati non possono attraversare la parete batterica o che i batteri hanno sviluppato altri meccanismi di resistenza (Narbad & Rossiter, 2018).

Dall’estratto proteico della coltura di Enterobacter cloacae è stata estratta mirosinasi (Wassermann et al., 2017)

Glucosinolati in Moringa

I glucosinolati sono presenti in varie parti della pianta, in particolare nel seme si ha la concentrazione più elevata (200 mg/g peso secco), seguito dalle giovani foglie (116 mg/g peso secco), dalle foglie più vecchie (63 mg/g peso secco) e dalle radici (43 mg/g peso secco) (Bennett

et al., 2003). Il metanolo e l’acqua sono i solventi più utilizzati per l’estrazione dei glucosinolati (Forster et al., 2015).

Glucomoringina (4-α-L-ramnopiranosilossi-benzil glucosinolato) è il glucosinolato presente in maggior quantità nelle foglie e nei semi e in minor quantità si trova la sua forma acetilata che può assumere diverse conformazioni stereochimiche determinando tre diversi isomeri (acetil-4-α-L-ramnopiranosilossi-benzil glucosinolato I, II, III).

Forster et al. (2015) hanno indagato ciò che accade ai glucosinolati contenuti in estratti metanolici conservati per nove giorni a diverse temperature, dimostrando che i glucosinolati si degradano più rapidamente a temperatura ambiente (-23%) rispetto a temperature inferiori a 0°C (-5%) e che circa la metà dell’isomero III (il più rappresentato dei tre) si trasforma negli altri due isomeri. Nei semi è presente inoltre glucotropaeolina (benzilglucosinolato) (Abd Rani, Husain & Kumolosasi, 2018).

Figura 11: glucosinolati in Moringa.

Glucomoringina (R1, R2, R3=H)

Acetil-glucomoringina isomero I (R1, R2=H; R3=Ac) Acetil-glucomoringina isomero II (R1, R3=H; R2=Ac) Acetil-glucomoringina isomero III (R2, R3=H; R1=Ac)

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Tetteh et al. (2019) hanno studiato la variazione del contenuto di glucosinolati in relazione ai metodi di raccolta delle foglie, di essiccazione e di trasporto. La modalità di raccolta che assicura un maggior quantitativo di glucosinolati nel prodotto finale è la raccolta manuale delle foglioline, rispetto a quella delle pinne. Inoltre le foglie più giovani, che si trovano nella parte superiore della pianta, contengono un maggior quantitativo di glucosinolati rispetto alle foglie più vecchie raccolte dalla stessa pianta. I metodi di essiccazione che hanno dato risultati nettamente migliori sono quelli al sole (con temperatura massima registrata di 33°C) e in forno (a 40°C), rispetto all’essiccazione all’ombra e a quella in forno solare (temperatura massima registrata 62°C).

Estrazione acquosa da foglie di Moringa

Fahey et al. (2019) hanno voluto indagare quale fosse il metodo più efficace per l’estrazione di glucosinolati e isotiocianati da tre diversi campioni di foglie di Moringa polverizzate a varia granulometria. Hanno confrontato il metodo di estrazione in acqua fredda con quello in acqua bollente, misurando come, a diversi intervalli di tempo, variasse il contenuto di glucosinolati (glucomoringina) e di isotiocianati (moringina) negli estratti. Inoltre hanno misurato l’attività e la stabilità della mirosinasi, il contenuto di proteine solubili, l’attività antinfiammatoria su macrofagi murini indotta da LPS, la carica batterica dopo 2 giorni in incubazione a 23°C.

Con l’estrazione in acqua bollente, dopo 10 minuti di infusione, la glucomoringina nell’acqua ha raggiunto il valore massimo (40% di quella contenuta in totale nelle foglie) senza sostanziali differenze date dal diverso grado di macinazione delle foglie, mentre viene impedita la sua conversione in moringina a causa della termolabilità della mirosinasi. Le proteine solubili rilasciate nell’acqua sono 400 mg/g, circa 0,6 g di proteine per tazza di infuso, una quantità non rilevante allo scopo di utilizzare l’estratto acquoso per l’integrazione proteica nella dieta.

L’estrazione in acqua a temperatura ambiente (23°C) ha dimostrato che la glucomoringina estratta è stata interamente convertita in moringina e ha raggiunto il massimo valore dopo 30 minuti di macerazione, con il valore finale in funzione della quantità di glucomoringina e dell’attività e stabilità della mirosinasi presente nel campione. Il contenuto di moringina nell’estratto a temperatura ambiente è pari circa al 25% del contenuto di glucomoringina dei relativi campioni.

L’attività antinfiammatoria, misurata sull’induzione di iNOS in macrofagi stimolati da LPS, si è dimostrata assente nell’estrazione con acqua bollente, ricco in glucomoringina ma privo di moringina, mentre l’estratto con acqua fredda ha dimostrato un’azione antinfiammatoria simile ai controlli positivi effettuati con moringina e sulforafano (isotiocianato tipico dei broccoli).

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Dal punto di vista del contenuto microbiologico, l’estratto in acqua bollente ha subito un processo di abbattimento della carica microbica dovuto alla temperatura, mentre in quello effettuato a temperatura ambiente, dopo 48 ore senza refrigerazione, si registra una netta riduzione della carica microbica iniziale del campione dovuta alla capacità antibiotica della Moringa.

Si può quindi concludere che l’attività antinfiammatoria è data dalla moringina e non da altri composti non considerati nell’esperimento, e che l’estratto realizzato dalla macerazione in acqua a temperatura ambiente è il più efficace per l’estrazione degli isotiocianati, ed è sicuro da un punto di vista microbiologico. Inoltre la dimensione della macinazione delle foglie non influenza il contenuto di glucosinolati e isotiocianati.

Isotiocianati

Diversi studi suggeriscono che gli isotiocianati della Moringa abbiano un’azione preventiva nei confronti di molteplici patologie croniche, come cancro, diabete e disturbi cardiovascolari (Fahey et al., 2019).

Isotiocianati ed Nrf2

Il fattore di trascrizione Nrf2 è un attore importante nella regolazione dei processi citoprotettivi della cellula in quanto incrementa i meccanismi di difesa cellulare verso xenobiotici e stress ossidativo. Nrf2 agisce coordinando l’espressione di geni coinvolti nella detossificazione e nel mantenimento dell’omeostasi ossidoriduttiva della cellula e riprogrammando il metabolismo cellulare in supporto all’attività antiossidante (Bellezza et al., 2018).

L’attività di Nrf2 è regolata da diversi fattori: trascrizionali, post-trascrizionali, dalla presenza e stabilità dei cofattori proteici, dallo stato energetico della cellula (Bellezza et al., 2018; Tonelli, Chio

Figura 12: isotiocianati in Moringa.

Moringina (R1, R2, R3=H)

Acetil-moringina isomero I (R1, R2=H; R3=Ac) Acetil-moringina isomero II (R1, R3=H; R2=Ac) Acetil-moringina isomero III (R2, R3=H; R1=Ac)

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dimostrato possedere un’attività citoprotettiva, stimolando l’attivazione dei geni target di Nrf2 (Jaja-Chimedza et al., 2017).

In particolare, Nrf2 è una proteina modulare composta da sette domini (Neh 1-7) ognuno con funzioni specifiche.

Neh1 ha la funzione di legare il DNA e piccole proteine (sMaf) con le quali forma un dimero. Neh2 contiene sequenze amminoacidiche altamente conservate (DLG e ETGE) che mediano l’interazione con Keap1 (Kelch-like ECH-associated protein 1) e sette lisine (K) che indirizzano l’ubiquitinazione e la conseguente degradazione di Nrf2 via proteasoma. Neh3, Neh4 e Neh5 inducono l’attività di trascrizione dei geni target di Nrf2. Neh6 è una regione ricca di serina che regola la stabilità di Nrf2, inducendo la degradazione indipendentemente da Keap1. Neh7 è coinvolto nel legame con il recettore X per i retinoidi (RXRα) per la repressione dell’attività trascrizionale di Nrf2 (Tonelli, Chio & Tuveson, 2018).

In condizioni di omeostasi, Nrf2 è legato attraverso il dominio Neh2 a due molecole di Keap1 che lo sequestrano nel citosol, stimolando l’ubiquitinazione e la degradazione ed impedendo così la migrazione del fattore nel nucleo. Keap1 stimola la continua degradazione e il ricambio di Nrf2 che presenta un’emivita di 10-30 minuti e livelli molto bassi di attività (Nguyen et al., 2003).

In risposta a stress ossidativi, Keap1 viene ossidata a livello di residui reattivi di cisteina e resa inattiva nei confronti di Nrf2, che non viene degradato e può quindi traslocare nel nucleo dove andrà incontro al processo di eterodimerizzazione con una delle proteine della famiglia sMaf (MafF, MafG e MafK).

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Le sMaf sono uno dei meccanismi di regolazione dell’attività di Nrf2. Il complesso Nrf2-sMaf si lega a sequenze specifiche ARE (antioxidant responding elements) nelle regioni promoter dei geni target di Nrf2 (Tonelli, Chio & Tuveson, 2018).

Un altro meccanismo per l’inibizione del legame Nrf2-Keap1 è dato dalle chinasi, tra cui il sensore energetico AMPK o l’indicatore di stress cellulare correlato al reticolo endoplasmatico PERK, che fosforilano Nrf2 aumentandone l’espressione (Lin, Cantley & DeNicola, 2016).

E’ stato dimostrato che gli isotiocianati della Moringa interagiscono con Keap1 determinando il rilascio di Nrf2 e inducendone la traslocazione a livello nucleare (Singh et al., 2010).

E’ stato osservato che attraverso la stimolazione di Nrf2 è possibile influenzare quasi 500 geni (Tonelli, Chio & Tuveson, 2018).

La famiglia delle UDP-glucuronato tranferasi (UGT) catalizza la coniugazione tra acido glucuronico e sostanze idrofobe allo scopo di aumentarne l’idrofilia e conseguentemente l’eliminazione. Insieme al glutatione è parte degli enzimi di fase II nella detossificazione da sostanze endogene e esogene. Nrf2 ha dimostrato di indurre l’espressione di UGT1A1 e UGT1A6 (Yueh & Tukey, 2007).

Nrf2 controlla finemente la sintesi dei livelli di glutatione regolando l’espressione delle subunità del complesso glutammato-cisteina ligasi (GCLC e GCLM) (tappa limitante della sintesi di glutatione) e incrementando la disponibilità di cisteina (Sasaki et al., 2002).

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Inoltre Nrf2 regola la trascrizione di numerosi enzimi antiossidanti tra cui glutatione perossidasi 2 (Gpx2) e vari glutatione S-transferasi (Gsta1, Gsta2, Gsta3, Gsta5, Gstm1, Gstm2, Gstm3 e Gstp1) che utilizzano glutatione ridotto (GSH) per inattivare i radicali liberi (ROS) (Chanas et al., 2002). Il glutatione ossidato (GSSG) dai ROS viene poi ridotto a GSH per opera della glutatione reduttasi 1 (Gsr1), anch’essa target di Nrf2 in quanto NADPH-dipendente (Harvey et al., 2009). Nrf2 è quindi responsabile del mantenimento dei livelli cellulari di glutatione ridotto regolandone la sintesi, l‘utilizzo e la rigenerazione.

In modo simile Nrf2 modula anche i livelli di proteine ad azione antiossidante, sia nelle cellule procariote che eucariote ed in tutti i tipi di tessuto umano: tioredossina (TXN), che riduce i ponti disolfuro delle proteine ossidate dai ROS, tioredossina reduttasi 1 (Txnrd1), che possiede il complesso seleno-cisteina con il quale rigenera la tioredossina ossidata grazie a NADPH, e sulfiredossina (Srxn1) che riduce l’acido solfinico a gruppo tiolico (Bellezza et al., 2018).

NADPH è cofattore di numerosi enzimi detossificanti tra cui glutatione (GSH) e tioredossina (TXN) e Nrf2 incrementa la produzione di NADPH regolando gli enzimi: glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6pd), 6-fosfogluconato deidrogenasi (Pgd), isocitrato deidrogenasi 1 (Idh1) ed enzima malico 1 (Me1) (Tonelli, Chio & Tuveson, 2018).

I chinoni sono composti organici che possono essere convertiti dalla NADPH citocromo P450 reduttasi in semichinoni, i quali reagiscono con l’ossigeno generando ROS. Nrf2 regola positivamente anche la reazione riduttiva catalizzata da NADPH che riduce i chinoni a idrochinoni, grazie a NADPH chinone ossidoreduttasi 1 (NQO1) e aldo-cheto reduttasi (AKR), contrastando la formazione di semichinoni e stress ossidativo (Lin, Cantley & DeNicola, 2016).

Nrf2 aumenta la sintesi delle multidrug resistance-associated proteins (Mrps) (metabolismo di fase III), importanti trasportatori di membrana per l’eliminazione di sostanze tossiche (Maher et al., 2007).

Un altro enzima regolato positivamente da Nrf2 è la eme-ossigenasi (Hmox1 o HO-1) che catalizza la rottura dell’eme generando ferro ferroso (Fe2+), biliverdina e monossido di carbonio (CO). Il CO

eserciterà le sue proprietà antinfiammatorie aumentando l’espressione di interleuchina 10 (IL-10) e l’antagonista del recettore per l’interleuchina 1 (IL-1RA) (Piantadosi et al., 2011). Parallelamente Nrf2 induce l’espressione dei geni che regolano la sintesi della ferritina, un complesso che ossida il ferro ferroso a ferro ferrico (Fe3+) e lo immagazzina all’interno della cellula impedendo così la

reazione di Fenton, che genera i radicali ossidrili da perossido di idrogeno e Fe2+ (Orino et al., 2001;

Tonelli, Chio & Tuveson, 2018).

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Nelle cellule tumorali si assiste spesso a un’inattivazione di Keap1 con conseguente induzione aberrante di Nrf2 determinando un’elevata resistenza verso antitumorali e ROS, attivando meccanismi citoprotettivi e portando la cellula tumorale a una riprogrammazione metabolica (Taguchi & Yamamoto, 2017).

Nrf2 e NF-κB

Nrf2 e NF-κB (nuclear factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cells) regolano l’omeostasi dello stato redox della cellula e le risposte a stress e infiammazione (Bellezza et al., 2018). A livello trascrizionale Nrf2 e NF-κB competono per il fattore di trascrizione CREB binding protein (CBP), per questo l’incremento dei livelli di NF-κB contribuisce a ridurre la trascrizione genetica dei geni indotti da Nrf2. Inoltre NF-κB regola indirettamente la deacetilazione di Nrf2 a livello nucleare, attraverso il reclutamento dell’istone deacetilasi 3 (HDAC3) (Wang et al., 2012). Gli agenti antinfiammatori che sopprimono NF-κB, incrementano quindi l’espressione di Nrf2 (Bellezza et al., 2018). È stato dimostrato come la subunità p65 di NF-κB possa avere un duplice ruolo. Rushworth et al. (2012) hanno studiato come, in cellule leucemiche, aumentino i livelli e l’espressione di Nrf2 grazie al legame tra p65 e siti κB in loci promoter di Nrf2 causando uno dei meccanismi di chemioresistenza. Infine la GTPasi Rac1 (Ras-related C3 botulinum toxin substrate 1), stimola NF-κB ad attivare l’espressione di Nrf2. Aumenta così l’espressione di HO-1, che causa una riduzione dell’attività infiammatoria di NF-κB e rappresenta quindi un meccanismo protettivo (Cuadrado et al., 2014).

Nrf2 si lega a loci specifici dei geni proinfiammatori, inibendo la RNA polimerasi II e bloccando la trascrizione (Kobayashi et al., 2016).

Isotiocianati come donatori di solfuro di idrogeno

Recentemente è stato dimostrato che gli isotiocianati presenti in un estratto ottenuto dai semi di Moringa agiscono come donatori di solfuro di idrogeno (H2S) (Xiangshe et al., 2018). Questo

risultato è confermato da altri studi che hanno evidenziato come la molecola di isotiocianato sia in grado di liberare in ambiente biologico e in modo efficiente H2S (Citi et al., 2014; Martelli et al.,

2014; Lucarini et al., 2018; Testai et al., 2016).

H2S è un composto gassoso caratterizzato dall’odore di uova marce e ben noto per la sua tossicità

a concentrazioni relativamente alte (>50 μM), in quanto a causa l’inibizione del citocromo ossidasi mitocondriale, compromettendo la respirazione cellulare (Volkel & Grieshaber, 1996; Martelli et al.,

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2012). A concentrazione minori di 20 μM è studiato per le sue attività biologiche di “gas-trasmettitore”. H2S, come anche monossido di carbonio (CO) ed il più noto ossido nitrico (NO),

possiede le caratteristiche di diffondere attraverso le membrane cellulari, di essere prodotto a livello endogeno, di regolare funzioni biologiche nelle cellule animali (Wang, 2002).

H2S è prodotto endogenamente nelle cellule animali attraverso reazioni enzimatiche e non

enzimatiche. Quelle enzimatiche sfruttano l’amminoacido L-cisteina per liberare H2S grazie a

cisteina amminotransferasi (CAT) e 3-mercaptopiruvato sulfurtransferasi (3MST), cistationina β-sintetasi (CBS), cistationina γ-liasi (CSE), utilizzando piridossal fosfato (vitamina B6) come cofattore. H2S può essere immagazzinato nelle proteine come riserva zolfo-sulfuro, soprattutto dalle

cellule che esprimono gli enzimi cisteina amminotransferasi (CAT) e 3-mercaptopiruvato sulfurtransferasi (3MST) (Shibuya et al., 2009).

H2S ha un ruolo citoprotettivo: reagisce con una vasta gamma di ROS, proteggendo i lipidi e le

proteine dal danno ossidativo, e previene la diminuzione dei livelli di glutatione (GSH). Inoltre H2S

agisce su target specifici attivando i canali al potassio ATP-dipendenti, che sono ubiquitari e regolano le funzioni biologiche di molti tessuti, con rilevanti effetti sul sistema cardiocircolatorio, causando una iperpolarizzazione delle cellule della muscolatura liscia (Martelli et al., 2012).

A livello del sistema cardiocircolatorio H2S determina vasodilatazione sia a livello dei grandi vasi

che dei vasi periferici, grazie soprattutto all’attivazione dei canali del potassio ATP dipendenti e dei canali del potassio voltaggio dipendenti, determinando iperpolarizzazione cellulare e rilassamento della muscolatura liscia vascolare (Tang et al., 2005).

H2S agisce come cardioprotettore attraverso meccanismi che avvengono grazie alle sue proprietà

antiossidanti e di regolazione dell’attività dei canali ionici determinando il miglioramento della funzione mitocondriale, della risposta antinfiammatoria, la riduzione dell’apoptosi dei cardiomiociti, la stimolazione dell’angiogenesi. A livello del miocardio H2S previene i danni da

ischemia/riperfusione, infarto, aritmia, fibrosi (Shen et al., 2015).

I donatori esogeni di H2S sono efficaci nella prevenzione dell’ipertensione e dell’aterosclerosi,

abbassando i valori della pressione arteriosa e promuovendo l’apoptosi delle cellule muscolari lisce dell’aorta in topi con ipertensione indotta dall’inibizione dell’ossido nitrico sintasi (NOS) (Yang, Wu & Wang, 2006; Zhong et al., 2003).

Xiangshe et al. (2018) hanno estratto, quantificato e identificato chimicamente gli isotiocianati presenti nei diversi tessuti vegetali di Moringa, per poi misurare la loro capacità di donare H2S.

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Hanno mostrato che il seme senza buccia è il tessuto vegetale più ricco di isotiocianati (180 μmol sulforafano equivalenti (SE)/g tessuto vegetale secco), (principalmente moringina) rispetto a radici (60 μmol SE/g tessuto vegetale secco) e foglie (50 μmol SE/g tessuto vegetale secco). Hanno poi eseguito estratti di isotiocianati dai tessuti vegetali e misurato la capacità di rilascio di H2S

utilizzando la tecnica di colorimetria con cartine all’acetato di piombo (II). Per esprimere la capacità di rilascio di H2S hanno confrontato l’analisi colorimetrica delle cartine esposte agli estratti di

Moringa con quella ottenuta con diverse concentrazioni di allil isotiocianato, arrivando al risultato che l’estratto di isotiocianati dal seme ha una capacità di rilascio di solfuro di idrogeno misurata in AITC-E (allil isotiocianato equivalenti) pari a 1,56 mmol AITC/g di estratto.

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PROPRIETA’FARMACOLOGICHE DELLA MORINGA,

POTENZIALE DI INTERESSE NUTRACEUTICO

1-Proprietà antiossidanti

La capacità antiossidante di vari tipi di estratti di foglie di Moringa nei confronti dei ROS è stata dimostrata da molti studi scientifici condotti appositamente.

Le proprietà antiossidanti della Moringa servono a mantenere l’equilibrio tra composti ossidanti e antiossidanti a favore di questi ultimi, venendo in supporto ai sistemi detossificanti endogeni. Questa capacità aiuta a diminuire lo stress ossidativo nelle cellule prevenendo l’insorgere di svariate malattie, ed è dovuta a un gran numero di composti contenuti nelle foglie: β-carotene, tocoferolo, composti polifenolici, isotiocianati. La combinazione dei diversi composti antiossidanti contenuti nella Moringa si è dimostrato più efficace rispetto ai vari composti presi singolarmente a causa di un probabile meccanismo sinergico (Vergara-Jimenez, Almatrafi & Fernandez, 2017).

Gran parte degli studi in vitro eseguiti per determinare il potere antiossidante degli estratti di Moringa si basano sui saggi FRAP (Ferric Reducing Ability of Plasma), DPPH (un composto ossidante), e di inibizione della perossidazione lipidica.

Siddhuraju & Becker (2003) hanno testato il potere antiossidante di tre diversi tipi di estratti di foglie di Moringa (metanolico, etanolico ed acquoso) per concludere che tutti e tre gli estratti hanno un buona capacità di inibire la perossidazione lipidica dell’acido linoleico (89,7-92%) e riducente dei ROS (EC50 0,08-0,2 mg/mL), ottenendo i risultati migliori con l’estratto metanolico ed etanolico

rispetto a quello acquoso.

Vongsak et al. (2013) hanno condotto uno studio simile da cui è risultato che l’estratto etanolico (70%) di foglie secche di Moringa possiede le migliori caratteristiche antiossidanti con i saggi DPPH (EC50 62,94 μg/mL) e FRAP, seguito dall’estratto metanolico (80%) e da quello acquoso.

Verma et al. (2009) hanno indagato l’attività antiossidante delle foglie di Moringa in vivo utilizzando topi trattati con CCl4 divisi in gruppi a seconda del trattamento: a due gruppi veniva

somministrato un estratto etilacetico di foglie di Moringa rispettivamente alle dosi di 50 e 100 mg/Kg di peso corporeo al giorno, ad un altro 50 mg/Kg di peso corporeo al giorno di vitamina E e l’ultimo era il controllo negativo. I risultati mostrano che la supplementazione con estratto di Moringa ha effetti positivi sui marker di stress ossidativo, diminuendo la perossidazione lipidica e

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negativo, in particolare il gruppo trattato con la dose più alta di estratto di foglie di Moringa presenta valori simili al controllo con vitamina E.

La stagione di raccolta, le condizioni climatiche, il tipo di suolo, lo stadio di maturazione delle foglie e l’esposizione allo stress possono influenzare sensibilmente il potere antiossidante della pianta (Leone et al., 2015).

2-Proprietà antinfiammatorie

Un isotiocianato presente nei broccoli, molto studiato per le sue proprietà antinfiammatorie, è il sulforafano. Nello studio di Park et al. (2011) è stata comparata l’attività antinfiammatoria di isotiocianati della Moringa, sulforafano e benzil isotiocianato. Risulta che la moringina sia il composto con la capacità più alta tra i tre di inibire iNOS e le citochine proinfiammatorie.

Kooltheat et al. (2014) hanno studiato l’effetto in vitro dell’estratto etilacetico di foglie di Moringa nei confronti di macrofagi umani stimolati con LPS e con un estratto concentrato di fumo di sigaretta. I risultati evidenziano le proprietà antinfiammatorie della Moringa in quanto diminuisce la produzione di TNF, IL-6, IL-8; questo effetto è dovuto all’inibizione dell’espressione di RelA (p65), un gene coinvolto nell’attivazione di NF-kB e perciò della cascata infiammatoria.

Waterman et al. (2014) hanno dimostrato che con un estratto acquoso di foglie fresche di Moringa titolato in isotiocianati (1,66%), si osserva una significativa attenuazione dell’espressione genica e della produzione di markers infiammatori (iNOS, IL-1β, NO, TNF-α), da parte di macrofagi murini RAW, a concentrazioni di 1 e 5 μM.

Jaja-Chimedza et al. (2017) hanno eseguito un estratto secco di semi di Moringa titolato in isotiocianati al 38,9% e ne hanno valutato l’attività antinfiammatoria in vivo e in vitro. Nella prova dell’edema indotto da carragenina, l’estratto ha dimostrato di ridurre l’infiammazione (33% con 500 mg/kg) in modo comparabile al controllo positivo con aspirina (27% con 300 mg/kg). In vitro hanno sperimentato che l’estratto, a concentrazione di 1,5 e 10 μM, agisce sui macrofagi inibendo l’espressione di iNOS, la produzione di NO, di TNF-α, COX-2 e di citochine proinfiammatorie (IL-1β e IL-6). L’estratto a concentrazione 10 μM ha dimostrato una significativa stimolazione dei geni target di Nrf2 (NQO1, HO1, GSTP1). Nrf2 è associato alla risposta infiammatoria in quanto inibisce l’espressione dei geni pro infiammatori (iNOS) e incrementa l’espressione dei geni che determinano una risposta antiossidante (NQO1, HO1, GSTP1) (Cheng et al., 2020).

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Interessante è lo studio in vivo condotto da Das et al. (2013) nel quale vengono testati, su topi alimentati con una dieta ad alto contenuto di grassi saturi, sia un estratto di foglie di Moringa sia un estratto purificato contenente quercetina. Hanno scoperto che entrambi, rispetto al controllo, riducono da 2 a 4 volte l’espressione di NF-kB, inibendo p65, e che influiscono negativamente sull’espressione di iNOS, sul quantitativo di proteina C reattiva, sul rilascio a livello serico di TNFα (-30%) e IL-6 (-27%).

Le proprietà antinfiammatorie delle foglie di Moringa sono attribuibili alla presenza di polifenoli, in particolare flavonoidi, e di isotiocianati, probabilmente per la capacità di inibire a monte la cascata infiammatoria riducendo l’espressione di Nrf2.

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3-Proprietà ipoglicemizzanti e antidiabetiche

In letteratura risulta che le foglie di Moringa possiedono proprietà utili nella prevenzione e nel trattamento del diabete mellito di tipo 2, determinando un abbassamento della glicemia (AUC), riducendo l’insulinoresistenza e migliorando lo stato delle cellule β pancreatiche (Tuorkey, 2016; Abd Rani, Husain & Kumolosasi, 2018).

Gli studi scientifici sono stati condotti somministrando estratti acquosi, alcolici o idroalcolici di foglie di Moringa a topi affetti da diabete, indotto da streptozotocina (STZ) oppure spontaneo (topi Goto-Kakizaki), o a esseri umani affetti da diabete mellito di tipo 2. I gruppi sono stati sottoposti alle seguenti indagini: valutazione dei livelli di glicemia a digiuno, test orale di tolleranza al glucosio (OGTT) e misurazione dei valori dell’emoglobina glicata (HbA1c).

Nello studio di Jaiswal et al. (2009), condotto utilizzando topi con diabete indotto da STZ, è stato osservato che nei gruppi sperimentali, trattati con estratto acquoso di foglie di Moringa a dose di 200 mg/Kg di peso corporeo, si ha una riduzione massima del 26,7% del valore della glicemia a digiuno e del 29,9% a 3 ore dal OGTT rispetto ai controlli. I gruppi sperimentali sono poi stati sottoposti ad un trattamento di 21 giorni, con la stessa quantità giornaliera di estratto e vengono rilevate riduzioni dei valori di glicemia a digiuno di 25,9%, 53,5% e 69,2% dopo 7, 14 e 21 giorni rispettivamente.

Kumari (2010) ha sperimentato su 55 pazienti tra i 30 e i 60 anni affetti da diabete mellito di tipo 2, divisi in due gruppi: sperimentale (46 pazienti) e di controllo (9 pazienti), gli effetti dell’integrazione per 40 giorni di 8 g al giorno di foglie di Moringa divisi in 3 pasti. L’alimentazione dei pazienti era simile dal punto di vista della tipologia di alimenti, valori nutrizionali e importo calorico relativo. I valori di glicemia a digiuno e di glicemia post prandiale sono stati registrati all’inizio e alla fine dell’esperimento in entrambi i gruppi. Nel gruppo sperimentale i valori della glicemia a digiuno e post prandiale sono diminuiti del 28% e del 26% rispettivamente mentre nel gruppo di controllo non vi sono variazioni significative. Sono stati monitorati anche i valori ematici di lipidi con una netta diminuzione del colesterolo totale (14%), LDL (29%), VLDL (15%) e trigliceridi (14%) ma non aumento di HDL.

Gli isotiocianati sono composti ad azione antidiabetica presenti negli estratti di foglie di Moringa che riducono la gluconeogenesi epatica, diminuendo l’espressione genica di fosfoenolpiruvato carbossichinasi (PEPCK) e glucosio-6-fosfatasi (G6P), due enzimi chiave del processo (Waterman et al., 2015).

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vari organi e tessuti: pancreas, fegato, muscoli scheletrici, tessuto adiposo bianco (Vergara-Jimenez, Almatrafi & Fernandez, 2017). Questi effetti sono legati alle loro attività antiossidante, inibente le saccarasi intestinali e l’α-amilasi pancreatica, di interazione con vari recettori e altri meccanismi ancora da indagare (Leone et al., 2015).

4-Proprietà ipolipidemizzanti

Le foglie di Moringa hanno dimostrato di possedere interessanti proprietà regolatorie sulle quantità seriche di LDL, VLDL, TG e HDL grazie alla presenza di vari composti:

 flavonoidi e acidi fenolici: inibiscono l’enzima colesterolo esterasi pancreatica che rende il colesterolo esterificato assunto con la dieta assimilabile dall’intestino, diminuendo perciò la quantità di colesterolo libero intestinale e aumentando l’escrezione fecale (Siasos et al., 2013);

 fitosteroli: competono con il colesterolo per l’assorbimento intestinale;

 saponine: si legano al colesterolo e agli acidi biliari rendendoli non assimilabili dall’intestino, aumentandone l’escrezione fecale e incrementando l’utilizzo del colesterolo da parte del fegato per produrre gli acidi biliari.

L’estratto idroalcolico di foglie di Moringa ha dimostrato azione inibitoria sull’HMG-CoA reduttasi, enzima fondamentale delle prime fasi della biosintesi endogena di colesterolo (Vergara-Jimenez, Almatrafi & Fernandez, 2017).

5-Proprietà epatoprotettive

Le proprietà epatoprotettive di vari estratti di foglie di Moringa sono dimostrate in numerosi studi

in vivo che si basano sulla regolazione dei livelli serici di aspartato transaminasi (AST), alanina

transaminasi (ALT), fosfatasi alcalina (ALP), dal quantitativo epatico di lipidi e di perossidazione lipidica, dalla regolazione positiva dei sistemi endogeni antiossidanti (glutatione).

Uno studio condotto da Uma, Fakurazi & Hairuszah (2010) su topi ai quali è stato indotto un danno epatico da paracetamolo, ha dimostrato una minore perossidazione lipidica a livello epatico e un rapido ritorno alla normalità dei livelli di glutatione perossidasi (Gpx), glutatione-S-tranferasi (GST) e glutatione reduttasi (GR) grazie a una pre-somministrazione di estratto idroalcolico di foglie di Moringa con risultati simili al controllo positivo (silimarina 200 mg/Kg).

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Uno studio di Das et al. (2012) dimostra che l’estratto di foglie ha attività epatoprotettiva, in topi con danno epatico indotto da una dieta ad alto contenuto di grassi, diminuendo i livelli di AST, ALT e ALP e regolando positivamente i sistemi antiossidanti endogeni (GST, Gpx e GR).

Kou et al. (2018) ipotizzano, analizzando numerosi studi, che la Moringa possieda proprietà sia preventive che curative sui tessuti epatici danneggiati.

6-Proprietà anticancerogene e chemiopreventive

La definizione di “tumore” o “neoplasia”, coniata dall’oncologo Rupert Allan Willis ed accettata a livello internazionale, è “una massa di tessuto che cresce in eccesso ed in modo scoordinato rispetto ai tessuti normali, e che persiste in questo stato dopo la cessazione degli stimoli che hanno indotto il processo”.

La carcinogenesi può essere indotta da fattori fisici (raggi UV, radiazioni), chimici (sostanze tossiche) o biologici. Il tumore è caratterizzato da una proliferazione cellulare incontrollata con inibizione delle vie apoptotiche cellulari e angiogenesi (Nurul Ashikin Abd Karim et al., 2016).

Le proprietà antitumorali della Moringa sono attribuibili soprattutto agli isotiocianati, che agiscono attraverso vari meccanismi e interferendo in diversi modi con l’iniziazione e la promozione del processo di carcinogenesi: inducono l’arresto del ciclo cellulare e l’apoptosi, inibiscono la proliferazione cellulare, l’angiogenesi e il processo di metastasi, regolano positivamente l’attività degli enzimi epatici di fase I e fase II, agiscono sinergicamente con gli agenti chemioterapici (Kou et al., 2018).

Gli studi in vitro sull’estratto di foglie di Moringa dimostrano le sue proprietà antitumorali su diverse linee di cellule tumorali. (Guevara et al., 1999; Bao et al., 2020).

Chemioprevenzione è un termine definito per la prima volta da Micheael Sporn nel 1976 e indica “l’utilizzo di agenti specifici per prevenire o interrompere il processo carcinogenico che porta alla formazione di un tumore” (Nurul Ashikin Abd Karim et al., 2016).

La Moringa è una pianta con una potenziale attività chemiopreventiva in quanto agisce su più meccanismi.

6,1-Inibizione della carcinogenesi e detossificazione delle sostanze

cancerogene

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il processo carcinogenico: se questo viene inibito la carcinogenesi non avviene (Taguchi & Yamamoto, 2017; Nurul Ashikin Abd Karim et al., 2016).

Gli isotiocianati, gli acidi fenolici, il kaempferolo e la quercetina stimolano i processi citoprotettivi di detossificazione ed espulsione di intermedi pericolosi attraverso l’attivazione del fattore di trascrizione nucleare Nrf2 che induce gli enzimi di fase II ed enzimi ad azione antiossidante, esprimendo attività inibitoria tumorale (Cheng et al., 2020; Jaja-Chimedza et al. 2017; Tonelli, Chio & Tuveson, 2018).

6,2-Attività antinfiammatoria

L’infiammazione cronica può portare all’attivazione del processo carcinogenico. La Moringa dimostra proprietà chemiopreventive andando a inibire l’espressione dei mediatori dell’infiammazione NF-kB, citochine, iNOS, chemochine, COX (Jaja-Chimedza et al. 2017; Waterman et al., 2014; Park et al., 2011).

6,3-Attività antiproliferativa delle cellule tumorali

L’estratto di foglie di Moringa ha dimostrato di ridurre del 15% la proliferazione di cellule tumorali umane (Sreelatha et al., 2011). I benzil isotiocianati possiedono la proprietà di indurre l’arresto del ciclo cellulare nella fase G2/M, di rallentare la velocità di proliferazione tumorale, inibendo fattori della proliferazione cellulare come Cdk4, cicline, Bcl-2 e Bcl-x (Nurul Ashikin Abd Karim et al., 2016).

Khan et al. (2020) hanno documentato le proprietà antiproliferative e proapoptotiche dell’estratto metanolico di foglie di Moringa, in coltura di cellule di tumore della prostata umano DU145. Hanno posto la loro attenzione in particolare alla via di segnalazione Notch, un meccanismo che gioca un ruolo nel controllo di crescita, differenziazione e morte cellulare (Palermo et al., 2014). Khan et al. (2020) hanno osservato che l’estratto metanolico causa calo della vitalità cellulare, alterazione morfologica, induzione dell’apoptosi. Hanno misurato un notevole aumento dei livelli di espressione (mRNA) di Bax, una proteina proapoptotica, e la diminuzione dei livelli di Bcl-2, che regola meccanismi anti apoptotici. Inoltre hanno registrato una inibizione della via di segnalazione Notch 1 in maniera dose dipendente. Notch 1-4 sono recettori transmembrana che si attivano quando interagiscono con ligandi specifici (Dll-1, Dll-3, Dll-4, Jagged-1 e Jagged-2) espressi dalle cellule adiacenti (Singh et al., 2000). La via di segnalazione Notch regola la trascrizione di vari fattori tra cui Hes, Hey, HERP, ciclina A, ciclina D1 e NF-κB (Borggrefe & Oswald, 2009). L’attivazione

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aberrante della via di segnalazione Notch e dei suoi geni target è stata riscontrata in numerose forme tumorali e la sua soppressione porta all’inibizione della proliferazione cellulare e all’induzione dell’apoptosi (Khan et al., 2020).

6,4-Induzione dell’apoptosi

In colture di cellule tumorali trattate con l’estratto di foglie di Moringa è stato osservato il processo di blebbing e la formazione di corpi apoptotici (Sreelatha et al., 2011; Khan et al., 2020).

Gli isotiocianati della Moringa hanno dimostrato di indurre apoptosi dipendente da caspasi-3 in coltura di cellule tumorali (Brunelli et al., 2010). I meccanismi che sottendono l’induzione dell’apoptosi da parte degli isotiocianati nelle cellule tumorali sono incompresi ma l’induzione delle caspasi indica una attivazione del processo apoptotico (Nurul Ashikin Abd Karim et al., 2016).

7-Proprietà antimicrobiche

La Moringa viene utilizzata per purificare l’acqua grazie alle sue proprietà antimicrobiche e flocculanti-coagulanti (Abd Rani, Husain & Kumolosasi, 2018).

L’estratto metanolico di semi di Moringa possiede proprietà inibenti verso patogeni che contaminano l’acqua, in particolare nei confonti di Salmonella typhii, Vibrio cholera ed Escherichia

coli (Walter et al., 2011). La moringina estratta dai semi di Moringa possiede attività antimicrobica

nei confronti di Staphylococcus aureus, Staphylococcus epidermis, Bacillus subtilis,

Epidermophyton floccosum e Trichophyton rubrum (Padla et al., 2012).

L’estratto etanolico di semi e di foglie di Moringa ha dimostrato di inibire i dermatofiti

Trichophyton mentagrophytes, Microsporum canis, Trichophyton rubrum e Epidermophyton floccosum (Chuang et al., 2007).

Rahman et al. (2010) hanno valutato l’attività antibatterica di varie tipologie di estratti di foglie di Moringa, effettuati con metanolo, etanolo, cloroformio ed esano, nei confronti di alcuni batteri che causano diarrea: Serratia marcescens, Shigella dysenteriae, Enterobacter spp, Escherichia coli,

Klebsiella pneumoniae e Salmonella spp. Tutti gli estratti hanno dimostrato attività antibatterica con

concentrazioni minime di inibizione comprese tra i 62,5 e i 1000 μg/ml e zone di inbizione di 8– 23,2 mm.

Torondel et al. (2014) hanno sperimentato l’efficacia della polvere di foglie di Moringa come prodotto per la disinfezione delle mani. Solo la dose più alta di polvere (4 g) ha dimostrato effetti

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