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“Mistica e linguaggio ai primi del ‘900. Teresa di Lisieux e Gemma Galgani,”

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Capitolo 4

Mistica e linguaggio ai primi del ’900

Teresa di Lisieux e Gemma Galgani Francesco Galofaro

4.1 Perché occuparsi del linguaggio delle mistiche e dei mistici

Il linguaggio dei grandi mistici è un problema affascinante. Come si parla del divino, dell’ineffabile e inenarrabile per definizione? E come descrivere un rapporto diretto con il divino, un ‘filo diretto’ non mediato da sacerdoti e scritture, che desta scandalo tra i credenti e tra gli atei1? A causa di queste domande la letteratura mistica è oggetto degli studi di linguisti, filosofi del linguaggio e semiotici2. Ad esempio, Steven Katz si è interessato alle contraddizioni che i mistici più radicali costruiscono, come dispositivi letterari per modificare la consapevolezza. Dal

1 Si veda Foucault (2004).

2 Si vedano ad esempio Scazzoso (1967); Katz (1992); De

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canto suo, De Certeau si è occupato di come il mistico si ritiri dalla propria posizione di enunciatore per lasciar spazio a un grande Altro che parla attraverso sé, e di come i suoi scritti vengano espropriati dagli interpreti, che ne normalizzano il contenuto scandaloso. Una simile rete di rapporti si ritrova nella parola della posseduta in relazione alla lingua dell’esorcista. 4.2 Il linguaggio e le ondate di misticismo Il linguaggio sembra interessante anche per un secondo motivo. È una chiave di lettura che ci permette di spiegare un fatto curioso. Il misticismo, infatti, non è una scelta individuale: sono note vere e proprie ondate di misticismo, il quale appare dunque come un fenomeno di contagio3. Un’ondata molto nota caratterizza il passaggio tra il XVI e il XVII secolo4: un periodo in cui la cultura europea attraversa una sostanziale de-cristianizzazione. Il linguaggio che esprimeva la religiosità tradizionale, medioevale, entra in crisi, si dimostra inflazionato e inefficace. I mistici, per reazione, non si accontentano più di riscoprire verità ben note alla comunità dei fedeli. Si

3 Si veda Landowski (2004). 4 Si veda Bremond (1925).

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distaccano dalla teologia tradizionale appropriandosi piuttosto del discorso sperimentale. La loro indagine si concentra su ciò che è strano, sullo straordinario, sulla conoscenza di un Dio nascosto. In precedenza, ‘mistico’ era un aggettivo, mentre ora compare ‘la mistica’ come disciplina con un proprio oggetto5. I mistici adottano allora un linguaggio diverso, un linguaggio del corpo, i cui elementi sono l’estasi, la levitazione, le stigmate, l’assenza di nutrimento, l’insensibilità, le visioni, i tocchi. Tutto questo per parlare di qualcosa che non può essere detto a parole.

Ora, possiamo interpretare questa ondata di misticismo come un caso particolare della grande creatività spirituale che caratterizza il XVI secolo, come prova la riforma protestante6; possiamo spiegarne la fine con la lotta dell’istituzione ecclesiastica contro l’eterodossia dei mistici, come nel caso del quietismo. Ma il contagio del discorso mistico in senso stretto va attribuito senz’altro al fatto che esso si propone come un nuovo linguaggio per parlare del proprio rapporto con Dio.

5 De Certeau (1968-75).

6 È la tesi di Eliade (1983) utile a interpretare il fenomeno,

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4.3 L’ondata 1898-1942

È una scoperta recente: un’altra ondata di misticismo ha attraversato l’Europa all’inizio del Novecento. Questa nuova corrente è emersa con chiarezza solo dopo la desecretazione dell’archivio del Sant’Offizio, serie Devozioni varie, per gli anni tra il 1912 e il 19387. Sui 188 procedimenti aperti, i ‘fatti mistici e pseudomistici’ indagati ammontano a 92, e sono collocati prevalentemente in Europa (87). Guidano la classifica Italia (56 procedimenti), Germania (10 procedimenti), Francia (7 procedimenti) ma sono rappresentati tutti i Paesi cattolici. Il fenomeno è prevalentemente femminile. Tra le mistiche più note possiamo citare Therese Neumann ed Elena Aiello, ma occorrerebbe occuparsi anche dei casi che non hanno incontrato fortuna, sia perché combattuti dal Sant’Offizio, come Esterina Moriconi e Lina Salvagnini, sia perché latori di messaggi politicamente controversi, come Claire Ferchaud. Le figure di mistici dei primi anni del ’900 hanno conosciuto lunghe parabole esistenziali e potevano dunque apparire casi isolati, fino all’apertura dell’archivio del

7 Si vedano gli studi raccolti in Billanovic, Mongini, Stroppa

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Sant’Offizio. Oggi sappiamo che l’iniziazione alla mistica avviene più o meno nello stesso periodo, e che il racconto delle vite di questi santi segue uno schema ‘canonico’ più o meno comparabile. Come date simboliche per circoscrivere l’ondata di misticismo, mi sembra opportuno indicare il 1898, anno della prima pubblicazione (postuma) di Storia di un’anima, autobiografia di Teresa di Lisieux, e il 1942, anno della morte, ad Auschwitz, di Edith Stein, filosofa e mistica, che della prima era estimatrice8.

Anche per questa nuova ondata potremmo trovare molte cause per il contagio. Senz’altro gioca un ruolo il 1870, l’annessione di Roma al nuovo Stato italiano unitario e liberale, il clima di assedio dei pontificati coevi, la credenza, da parte di Leone XIII, in una cospirazione diabolica ordita dai liberali ai danni della Chiesa, in connessione a un rilancio della pratica degli esorcismi9. Un’altra spiegazione verte sulla convinzione di poter indagare scientificamente sul fenomeno mistico – coi metodi della parapsicologia, della psichiatria, della psicoanalisi, dell’antropologia. Ma non si può ignorare il fatto che l’autobiografia di Teresa di

8 Si veda Claudio M. Celli, “Presentazione”, Teresa di

Li-sieux (1997:5-7), p. 5.

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Lisieux sia stato un successo editoriale immediato: è il linguaggio di Teresa a innescare l’ondata mistica. Una controprova dell’importanza del linguaggio nello scatenare la nuova ondata viene proprio dal paragone con la precedente: le circostanze storiche in cui si collocano non potrebbero essere più diverse.

In Italia, questo nuovo stile, che impiega un registro quotidiano, colloquiale, talvolta infantile10, è rappresentato da Gemma Galgani. Le due figure sono contemporanee, ed è dubbio che Gemma abbia letto Teresa. Tuttavia, non è improbabile una influenza indiretta tramite Padre Germano di san Stanislao, direttore spirituale di Gemma, che le ordina di scrivere un’autobiografia. L’imposizione costituisce un’analogia con l’esperienza di Teresa, e del resto ricorrente frequentemente nella vita delle mistiche11. Ed è ancora Padre Germano che invita la futura santa a raggiungere, tramite il linguaggio, uno stato di assoluta umiltà12.

10 È la critica mossa a Teresa da Simone Weil, il cui

mistici-smo si caratterizza per una minore passività e un dichiarato impegno esistenziale verso il prossimo - impegno che, a onor del vero, non fa difetto nemmeno a Teresa.

11 Si veda Pozzi (1986).

12 Si veda l’ottimo saggio di Sabrina Stroppa, Scritture

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4.4 La scrittura mistica come metodo sperimentale

Se le vite di Gemma Galgani e di Teresa di Lisieux sono sovrapponibili (perdita della madre, prima comunione segnata da fatti prodigiosi, guarigione da una grave malattia, vocazione in giovane età, morte per tubercolosi). Le loro scritture presentano similarità stilistiche, ma anche profonde differenze. Lo stile è colloquiale, quotidiano, eppure il registro medio adottato non impedisce ad entrambe di utilizzare la scrittura come metodo sperimentale per acquisire una consapevolezza mistica originale. Ad esempio, entrambe le scritture sono improntate alla polifonia: all’interno del discorso delle sante risuonano altre voci. La scrittura di Teresa è – come accade spesso ai mistici – un ordito che si sviluppa su una trama di riferimenti alle sacre scritture:

Anche il grido di Gesù sulla Croce risuonava continuamente nel mio cuore: «Ho sete!13». Quelle parole accendevano in

me un ardore sconosciuto e vivissimo… Io volevo dare da bere al mio Amato ed io stessa mi sentivo divorata dalla sete

tra editoria e direzione spirituale”, in Bilanovich et al. (2011), pp. 229-265.

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delle anime… Non erano ancora le anime dei preti che mi attiravano, ma quelle dei grandi peccatori, io bruciavo dal desiderio di strapparli alle fiamme eterne...14

A partire dalla figura del passo evangelico, la sete, Teresa costruisce una concatenazione di figure, fino a ottenere un livello di lettura coerente che inscena il desiderio: la sete di anime, l’ardore, il bruciare, le fiamme eterne. Si tratta di una scrittura che denota una grande consapevolezza nell’uso della lingua. E tuttavia rimane un metodo di indagine interiore che porta la giovane a vere e proprie scoperte:

Madre mia cara, finalmente torno a lei; sono tutta sbalordita di ciò che ho appena scritto, perché non ne avevo l’intenzione, poiché è scritto deve restare [...]15.

L’analisi interiore si estende alla malattia che preannuncia la morte:

[...] avevo appena avuto il tempo di posare il capo sul cuscino che sentii come un fiotto di sangue che saliva, saliva

14‘Manoscritto A’ in Teresa di Lisieux (1997), p. 135. Da

qui in avanti i corsivi sono tutti dell’autrice.

15 ‘Manoscritto C’ in Teresa di Lisieux (1997), p. 306. Ai

mistici i committenti richiedono una scrittura di getto, senza ripensamenti, proprio perché essa è frutto di un rapporto immediato col divino.

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gorgogliando fino alle mie labbra. Io non sapevo cosa era, ma pensai che forse stavo per morire e la mia anima era inondata di gioia … 16

Con lo stesso metodo si affronta il problema della morte, dell’annichilimento e del nulla:

mi sembra che le tenebre, facendo propria la voce dei peccatori, mi dicono facendosi scherno di me: “Tu sogni la luce, una patria odorosa dei più soavi profumi, tu sogni il possesso eterno del Creatore di tutte queste meraviglie, tu credi di uscire un giorno dalle tenebre che ti circondano! Avanza, avanza, rallegrati della morte che ti darà, non ciò che tu speri, ma una notte più profonda ancora la notte del nulla17”.

Ritorneremo più avanti sullo spirito che caratterizza la ricerca di Teresa anche in un frangente tanto drammatico.

4.5 Gemma Galgani

Il dialogo con le scritture si trova anche in Gemma – si vedano le estasi dalla 90a in avanti. Ma in genere è un altro il dialogo che troviamo nei suoi scritti: quello che ha per interlocutori Gesù, l’Angelo custode, san Gabriele, nonché il

16 ‘Manoscritto C’ in Teresa di Lisieux (1997), p. 254. 17 ‘Manoscritto C’ in Teresa di Lisieux (1997), p. 257.

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Demonio: tutto un teatro anima la povera stanza della giovane mistica.

«Figlia, – mi diceva Gesù abbracciandomi – io mi do tutto a te, e tu sarai tutta mia?». Vedevo bene che Gesù mi aveva tolto i genitori, e alle volte mi disperavo, perché credevo di essere abbandonata. Quella mattina me ne lamentai con Gesù, e Gesù sempre più buono, sempre più tenero mi ripeteva: «Io, figlia, sarò sempre con te. Sono Io tuo Padre, la mamma tua sarà quella … – e m’indicò M. S. Addolorata –. Mai può mancare la paterna assistenza a chi sta nelle mie mani: niente dunque mancherà a te, quantunque ti abbia tolta ogni consolazione e appoggio su questa terra. Vini, avvivinati… sei mia figlia… Non sei felice di essere figlia di Gesù e di Maria?». I tanti affetti, che Gesù mi aveva fatti nascere nel cuore, mi impedirono di rispondere18.

Gemma è un personaggio più tormentato e meno risolto di Teresa. Le sue lettere abbondano di passi toccanti:

Mi aiuti, mi fa Passionista? Muoio dal desiderio. Due sono le cause per le quali il Confessore mi tiene sempre nel mondo. La 1a perché ho una malattia che si chiama esterismo, e con

quella non mi prenderebbero; ma Gesù mi assicura che appena entrata sarò guarita, e di me non sarà nulla fino dopo

18 Gemma Galgani (1958), pp. 249-250. Nel riportare i

passi che seguono abbiamo evitato di correggere la lingua della Santa, per ragioni connesse al valore del linguaggio immediato che adotta, sul quale porta l’intera nostra argo-mentazione.

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la S. Professione. L’altra poi è grossa: non ho nulla nulla, sono senza babbo e mamma, e senza quattrini; possiedo una cosa sola: il desiderio grande grande di farmi Passionista19. Gemma è bollata due volte: in quanto povera e in quanto considerata isterica dal proprio confessore, Mons. Volpi, dopo aver consultato un medico, tale dr. Pfander. Gemma introietta la malattia mentale che le viene attribuita, che entra in conflitto con le sue visioni, con i dialoghi con Gesù, con la presenza concreta del sacro nella propria vita quotidiana.

Ora poi vengo a parlargli di una cosa, che a me assai mi dispiacque. Anzitutto, non creda a nessuna delle mie parole, perché tutto lavoro della mia testa20.

Il rapporto con il medico e con il suo direttore spirituale pone Gemma in un paradosso21: il suo direttore spirituale, che la considera matta, la forza a parlare di quelle visioni che costituiscono tutto il suo mondo, un mondo in pezzi in cui, se vuole realizzare il proprio desiderio di entrare in convento, non dovrebbe credere affatto. D’altro canto, come accade a tutti i mistici, è proprio

19 Gemma Galgani (1941), p. 11. 20 Gemma Galgani (1941), p. 32.

21 Si tratta di quel che Gregory Bateson (1972) chiama

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quando la presenza materiale di Cristo, dell’angelo custode e di san Gabriele dell’Addolorata viene a mancare che Gemma soffre maggiormente, sentendosi abbandonata.

Nel mondo di Gemma, Gesù è la fonte del piacere e del dolore. Il secondo spesso è visto come una consolazione inviata da Gesù in risposta alla sua domanda «di patire, e di patire tanto 22 ». L’imitazione della Passione spinge la Santa, con il permesso del proprio confessore, a umiliare il proprio corpo:

L’altra cosa che mi nacque in cuore, dopo avere veduto Gesù, fu un gran desiderio di patire qualche cosa per Lui, vedendo che aveva patito tanto per me. Cominciai fino d’allora a provvedermi di una grossa fune, che all’insaputa di tutti tolsi dal pozzo; ci feci parecchi nodi e me la posi alla vita. Non feci in tempo però a tenerla neppure un quarto d’ora, che l’Angelo Custode rimproverandomi me la fece togliere, perché non ne avevo chiesto il permesso al Confessore: glielo chiesi poco dopo, e ottenni il permesso23.

Una caratteristica della prosa di Gemma è l’esplorazione meticolosa delle proprie colpe, per le quali riceve dal suo angelo custode e da Gesù stesso aspri rimproveri e severe punizioni:

22 Si veda ad es. Gemma Galgani (1958), p. 237. 23 Gemma Galgani (1958), pp. 255-256.

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Ma ciò che mi affliggeva, era il non poter amar Gesù come avrei voluto; mi davo premura di non offenderlo, ma la mia cattiva inclinazione al male era [sì] forte, che senza una grazia speciale di Dio sarei caduta all’inferno24.

Ci si può chiedere quali fossero le gravi colpe commesse da questa giovane, spesso malata, reclusa in casa, cui non fu permesso ritirarsi in convento per via della sua indigenza. E tuttavia il suo direttore spirituale, Padre Germano, non mancava certo di rinforzare il suo senso di colpa: Fa in modo che non abbia ad affezionarti alle consolazioni di Gesù. Quando egli ti accarezza e ti consola, non mancare di ripetergli la giaculatoria che ti ho insegnato, di umiliarti e di domandare bastonate e travagli, come tu ti meriti25.

D’altronde, non si può escludere che proprio in questo genere di relazione la mistica si sia realizzata più pienamente, avendo rifiutato il matrimonio e la prospettiva di una vita mediocre e comune.

4.6 Un confronto

Come abbiamo visto, il linguaggio permette a Gemma di articolare il piacere estatico e il dolore

24 Gemma Galgani (1958), p. 256. 25 Gemma Galgani (1941), p. 129, n. 2.

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del proprio rapporto con il divino, incarnato in Gesù, secondo il modello ben noto delle nozze mistiche26; questo non vuol dire che in Teresa di Lisieux sia assente il tema della sofferenza – in quanto parte dell’esperienza umana. Si tratta di una sofferenza sempre ricompensata dalla gioia: Io sento proprio che non avrei alcuna delusione, perché, quando ci si aspetta una sofferenza pura e senza alcun’altra cosa, la più piccola gioia diventa una sorpresa insperata27.

In luogo del dialogo con Gesù, Teresa preferisce poi il monologo e l’acclamazione:

Sì mio Amato, ecco come si consumerà la mia vita … Io non ho altro mezzo di provarti il mio amore, che gettare fiori, cioè non lasciarmi sfuggire alcun piccolo sacrificio, alcuno sguardo, alcuna parola, approfittare di tutte le più piccole cose e farle per amore … Io voglio soffrire per amore e persino gioire per amore, così getterò fiori davanti al tuo trono28.

Infine, accanto al tema dell’amore per lo Sposo, in Teresa troviamo anche quello dell’amore verso il prossimo, che la giovane interpreta in maniera piuttosto originale:

26 Si veda il saggio di Vuarnet in De Certeau et al. (1986). 27 Teresa di Lisieux (1997), p. 264.

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Ah! Signore, io so che tu non comandi niente di impossibile, tu conosci meglio di me la mia debolezza, la mia imperfezione, tu sai bene che mai io non potrei amare le mie sorelle come tu le ami, se tu stesso, o mio Gesù non le amassi anche in me. È perché tu volevi accordarmi questa grazia che tu hai fatto un comandamento nuovo. - Oh! Quanto lo amo perché esso mi dà la sicurezza che la tua volontà è di amare in me tutti quelli che tu mi comandi di amare!...29.

Abbiamo già visto che Teresa tratta anche uno dei più classici temi della mistica: l’oscuramento della fede, nella consapevolezza della morte imminente: Quando io canto la felicità del Cielo, l’eterno possesso di Dio, io non ne sento alcuna gioia, perché canto soltanto quello che IO VOGLIO CREDERE. Talora è vero, un piccolissimo raggio di sole viene a illuminare le mie tenebre, allora la prova smette un istante, ma in seguito il ricordo di questo raggio invece di provocarmi gioia rende le mie tenebre ancora più spesse30.

La soluzione della mistica è originale:

O Madre mia, mai io ho sentito così bene che il Signore è dolce e misericordioso, egli non mi ha mandato questa prova che nel momento in cui ho avuto la forza di sopportarla31.

29 Teresa di Lisieux (1997), p. 267.

30 Teresa di Lisieux (1997), pp. 258-259. Maiuscolo

dell’autrice.

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Come vediamo, la rivoluzione del linguaggio al principio del ’900 libera i mistici e permette loro di esplorare il proprio rapporto con il divino in maniera originale. Se la scrittura è il metodo sperimentale del mistico, allora il linguaggio sarà il suo strumento di elezione. Si tratta di quella che altrove ho chiamato una semiotecnica: una tecnica che permette di considerare un insieme molto vago e confuso di percezioni, sensazioni e stati d’animo come significante, e di associare ad esso un insieme di significati che fanno riferimento al divino, come avviene nella sintesi dei composti a partire dagli elementi32.

4.7 Ancora sul contagio

Come abbiamo visto, il misticismo si diffonde per contagio, «vale a dire trasformando gradualmente se stessi secondo il modo in cui la relazione con l'altro, con il suo habitus, tende a farci essere33». Vi è un contagio diretto, che presuppone solo la presenza del corpo dell’altro, come nel caso della risata; vi è un contagio che presuppone un vettore, un virus, che nel nostro caso è precisamente il

32 Per la nozione di semiotecnica si veda Galofaro (2018). 33 Si veda Landowski (2004), p. 171.

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linguaggio. Il linguaggio mistico permette di sentire ed esplorare il corpo e può essere pertanto assimilato alla musica 34 . Opposto alla manipolazione, il contagio non presuppone la persuasione, ma l’interazione fra sensibilità35. 4.8 Conclusioni provvisorie

Prima di passare al prossimo capitolo, in cui ci occuperemo di Padre Pio e del modo in cui il linguaggio permette di esplorare il rapporto tra corpo e significati spirituali, è opportuno riassumere quanto abbiamo detto fin qui. Si è visto come Teresa di Lisieux, in Francia, e in Italia Gemma Galgani, rappresentino le iniziatrici di una nuova invasione mistica, di quelle che periodicamente percorrono l’Europa. La causa principale di questa ondata di misticismo è dovuta alla forza delle innovazioni introdotte dalle due sante nell’uso del linguaggio, improntato alla semplicità e all’impiego di un registro quotidiano che ha talvolta degli esiti sconcertanti. La lingua è lo strumento che permette al mistico l’adozione di un metodo sperimentale, che ha per ‘laboratorio’ il

34 Il ruolo della musica è approfondito in Landowski (2004),

p. 185.

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proprio corpo, le proprie percezioni, le proprie sensazioni. La lingua permette di prendere questo insieme con significante, e di legare ad esso un insieme di significati sul piano spirituale. Non si deve credere che questa nuova lingua della mistica abbia l’effetto di omologare i contenuti: ne è prova la differenza tra l’oscurità della ricerca di Gemma, che insiste sul dolore e sulla sua ricerca deliberata come causa di godimento nell’imitazione di Cristo, e la solarità assertiva di Teresa, che ritrova la santità nelle piccole cose. Un modello, quest’ultimo, destinato a cambiare la nozione stessa di ‘Santo’ nel ’90036.

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