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Twincretine nel trattamento del diabete mellito di tipo 2: Tirzepatide agonista ibrido del recettore del GIP e del GLP-1

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(1)

D

IPARTIMENTO DI

F

ARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

TESI DI LAUREA

TWINCRETINE NEL TRATTAMENTO DEL DIABETE

MELLITO DI TIPO 2: TIRZEPATIDE AGONISTA IBRIDO DEL

RECETTORE DEL GIP E DEL GLP-1

Relatore: Candidato:

Prof. Vincenzo Calderone Alessandro Parlagreco

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Sommario

1. Introduzione ... 3 1.1 Epidemiologia ... 3 1.2 Aspetti economici ... 4 1.3 Mortalità ... 5 2. Diabete mellito ... 7 2.1 Fisiopatologia ... 7 2.2 Complicanze ... 7 2.3 Classificazione ... 8 Diabete di tipo 1 ... 8 Diabete di tipo 2 ... 9 Diabete gestazionale ... 10

3. Meccanismi di regolazione glicemica ... 11

3.1 Glicemia ... 11

3.2 Insulina ... 12

3.3 Glucagone ... 12

3.4 Incretine ... 12

GLP-1 (Glucagon-like peptide 1) ... 14

GIP (Glucose-dependent insulinotropic peptide) ... 17

Dipeptidil peptidasi-4 ... 20

Incretine e diabete di tipo 2 ... 21

4. Metodi per la diagnosi del diabete mellito ... 22

4.1 Dosaggio della glicemia ... 22

4.2 Emoglobina glicosilata ... 22

5. Terapie farmacologiche in uso ... 24

5.1 Farmaci diabete tipo 1 ... 24

5.1.1 Insulina ... 24

Insulina ad azione ultrarapida ... 25

Insulina ad azione rapida ... 25

Insulina ad azione intermedia ... 25

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Insulina ultralenta ... 25

Insulina glargina ... 25

Insulina e protamina ... 26

Miscele di insulina precostituite ... 26

Microinfusori ... 26

5.2 Farmaci diabete tipo 2 ... 27

5.2.1 Ipoglicemizzanti ... 28 Biguanidi ... 28 Sulfoniluree ... 29 Glinidi ... 30 Tiazolidindioni ... 30 Inibitori dell’enzima DPP-4 ... 31

Agonisti del recettore GLP-1 ... 32

Inibitori delle alfa-glucosidasi intestinali ... 33

Inibitori del trasportatore renale del glucosio SGLT-2 ... 33

6. Tirzepatide ... 37

6.1 Struttura tirzepatide (LY3298176) ... 37

6.2 Co-agonismo del GLP-1R e GIPR ... 38

6.3 Studi preclinici e clinici ... 41

Caratterizzazione preclinica ... 41

Studio clinico fase I ... 41

Studio clinico fase II ... 43

Studio clinico fase III ... 49

7 Conclusioni ... 50

Bibliografia ... 51

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1. Introduzione

1.1 Epidemiologia

Chiamato “il male del secolo” il diabete mellito ha assunto le caratteristiche e le dimensioni di una vera propria emergenza sanitaria a causa della sua elevata prevalenza (1). Nel 1980 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stimò che c’erano circa 108 milioni di persone affette da diabete nel mondo (2) e questo numero è quadruplicato nelle stime del 2017 dove si contano circa 425 milioni di persone (età 20-79 anni) affette da diabete mellito (Fig.1 (3)), numero che si espande a 451 milioni aumentando il range di età a 18-99 anni; di questo passo, nel 2045, i malati saranno 629 milioni (età 20-79 anni) o 693 milioni (età 18-99 anni) (4); di queste persone, 326,5 milioni sono in età lavorativa (20-64 anni) e 122,8 milioni in età compresa tra 65 e 99 anni. La prevalenza del diabete per le donne è stimata all'8,4%, leggermente inferiore rispetto agli uomini (9,1%), infatti ci sono circa 17,1 milioni di uomini in più con diabete rispetto alle donne (221,0 milioni di uomini contro 203,9 milioni di donne) (Fig.2 (3)) (3). La dimensione del problema, la diffusione a tutte le fasce di età e la gravità delle complicanze associate alla malattia fanno del diabete uno dei maggiori problemi sanitari su scala globale. La prevalenza più elevata negli adulti (età 18-99 anni) tra le regioni dell’IDF (International Diabetes Federation) si trova nella Regione del Pacifico Occidentale (159 mln), mentre quella più bassa la troviamo nella Regione Africana (16 mln); l’Europa conta circa 58 milioni di persone affette (3). In Italia, in particolare, le persone che

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dichiarano di essere affette da diabete sono oltre 3 milioni e 200 mila, il 5,3% dell’intera popolazione (16,5% fra le persone di 65 anni e oltre), numero che è quasi raddoppiato in 30 anni, infatti siamo passati da 2,9% nel 1980 a 5,3% nel 2016, e ciò è dovuto sia all’invecchiamento della popolazione che ad altri fattori, tra cui l’anticipazione delle diagnosi (che porta in evidenza casi prima sconosciuti) e l’aumento della sopravvivenza dei malati di diabete (5).

Fig.2 Prevalenza delle persone affette da diabete per età e sesso, 2017.

1.2 Aspetti economici

Analizzando i costi è stato stimato che la spesa sanitaria globale dovuta al diabete per le persone di età compresa tra i 20 e i 79 anni è di 727 miliardi di dollari nel 2017. Numero che sale a 850 miliardi di dollari espandendo la fascia di età a 18-99 anni. Entro il 2045 questo dato dovrebbe aumentare del 7% a 776 miliardi di dollari (20-79 anni) e a 958 miliardi di dollari (18-99) (4). Il motivo di questo incremento dei costi è dovuto, almeno in parte, all’aumento dell’aspettativa di vita media; in Italia, per esempio, i dati epidemiologici dicono che quasi il 65% delle persone con diabete si colloca nella fascia di età pari o superiore ai 65 anni. Circa un paziente su 5 ha età pari o superiore a 80 anni, circa il 2% ha età inferiore a 20 anni e circa il 35% dei soggetti è in età lavorativa (20-64 anni). Questi dati confermano il fatto che il diabete affligge moltissimi anziani, anche se moltissime persone con diabete (oltre 200 mila in questa casistica e oltre 1 milione su base nazionale) non sono anziani e sono nel pieno dell’età lavorativa (6). Nell’anno 2015 la spesa a carico del Servizio Sanitario Nazionale è stata di 12 miliardi di euro (7), il costo complessivo per il monitoraggio e la cura

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è più che doppio nelle persone con diabete, rispetto a quanto speso in assenza di diabete (circa 2900 rispetto a circa 1300 euro). La composizione della spesa per circa la metà è da riferire ai ricoveri, per il 17% alla specialistica, per il 23% ai farmaci diversi dagli anti-iperglicemici, per il 7% ai farmaci anti-iperglicemici e per il 4% ai dispositivi (Fig.3 (6)); da notare che la spesa per le visite diabetologiche rappresenta solo una piccola parte (circa 1%) della spesa totale, il costo attribuibile alle complicanze e alle comorbidità (vere e proprie complicanze della malattia) rappresenta il 90% del costo totale della malattia, mentre la gestione del problema metabolico costa solo il 10% (6). Infine, il diabete è causa di una enorme perdita di produttività, risultante dalla morbilità (giorni di lavoro perso, minore efficienza produttiva, pensionamento anticipato) e dalla mortalità. Tali costi sociali, benché di più difficile quantificazione, rappresentano un pesante onere economico per la società (7), specialmente quelle dei paesi in via di sviluppo (8).

Fig.3 Composizione della spesa nelle persone con diabete.

1.3 Mortalità

Si stima che circa 4 (3,2-5,0) milioni di persone di età compresa tra i 20 ei 79 anni muoiano di diabete nel 2017, il che equivale a un decesso ogni otto secondi. Circa il 46,1% dei decessi dovuti al diabete tra i 20 e i 79 anni si verifica in persone di età inferiore ai 60 anni (Fig.4

(7)

(3)). Il diabete rappresenta il 10,7% della mortalità globale per tutte le cause tra le persone in questa fascia di età. Questo dato è superiore al numero complessivo di morti per malattie infettive (0,9 milioni di decessi per HIV / AIDS (9), 1,3 milioni per tubercolosi (10) e 0,4 milioni per malaria nel 2017 (11)) (3).

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2. Diabete mellito

2.1 Fisiopatologia

Il diabete mellito, chiamato più semplicemente diabete, è una malattia cronica caratterizzato da una iperglicemia e quindi un aumento delle concentrazioni di glucosio nel sangue. Questa iperglicemia è causata da un difetto nella produzione di insulina da parte del pancreas o da un difetto dell’azione di quest’ultima o entrambi. Nello sviluppo del diabete sono coinvolti diversi processi patogeni. Questi vanno dalla distruzione delle cellule beta del pancreas con meccanismo autoimmune e conseguente deficienza di insulina alle anormalità che si traducono in resistenza all'azione dell'insulina. La base delle anormalità nel metabolismo dei carboidrati, dei grassi e delle proteine nel diabete è l'azione carente di insulina sui tessuti bersaglio. L'insufficiente azione dell'insulina deriva da una inadeguata segregazione insulinica e/o diminuita risposta del tessuto all'insulina in uno o più punti nelle complesse vie dell'azione ormonale. La compromissione della secrezione di insulina e i difetti nell'azione insulinica spesso coesistono nello stesso paziente, e spesso non è chiaro quale anomalia, se sola, sia la causa primaria dell'iperglicemia. I sintomi di marcata iperglicemia comprendono poliuria, polidipsia, perdita di peso, a volte con polifagia e visione offuscata. Anche l'alterazione della crescita e la suscettibilità a determinate infezioni possono accompagnare l'iperglicemia cronica. Le conseguenze acute e potenzialmente letali del diabete non controllato sono iperglicemia con chetoacidosi o sindrome iperosmolare non-ectotica (12).

2.2 Complicanze

Le complicanze a lungo termine del diabete mellito possono essere a livello micro e macrovascolare. Le complicanze microvascolari includono nefropatia diabetica che porta ad insufficienza renale, neuropatia periferica con rischio di ulcere del piede, amputazioni e articolazioni di Charcot, neuropatia autonomica che causa sintomi gastrointestinali, genito-urinari e cardiovascolari e disfunzioni sessuali, retinopatia con potenziale perdita della vista che sono indotte dall'iperglicemia cronica attraverso diversi meccanismi come la produzione di prodotti finali di glicazione avanzata (AGE), la creazione di un microambiente proinfiammatorio e l'induzione di stress ossidativo (13) (14). Mentre tra le complicanze macrovascolari troviamo l’aterosclerosi (cardiovascolare, arteriosa periferica e

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cerebrovascolare) che è più comune in persone con diabete mellito rispetto a quelle senza e troviamo un aumento di incidenza nel rischio di sviluppare ictus nelle persone di età compresa tra 20 e 65 anni di oltre 5 volte. Infine possiamo trovare ipertensione e anomalie del metabolismo delle lipoproteine (12) (15).

Il diabete mellito è una malattia cronica che richiede cure continue, supporto e una continua autogestione ed educazione del paziente per prevenire complicazioni acute e ridurre il rischio di complicanze a lungo termine. Un modico investimento nell’assistenza diabetologica può consentire un notevole miglioramento della sopravvivenza e della qualità della vita dei pazienti affetti da tale patologia. Le conseguenze negative della malattia diabetica e per contro gli eventuali successi terapeutici sono distinguibili solo nel lungo periodo, nell’arco di almeno 10-20 anni, sulla base del numero di pazienti che vanno incontro ad infarto, ictus, insufficienza renale, amputazioni, cecità, e da ultimo al decesso (16).

2.3 Classificazione

Attualmente, secondo l’attuale classificazione redatta dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e dall’ADA (American Diabetes Association) nel 1997, esistono 3 tipi di diabete:

- Diabete mellito di tipo 1 (o insulino-dipendente); - Diabete mellito di tipo 2 (o non insulino-dipendente); - Diabete gestazionale.

Diabete di tipo 1

Il Diabete Mellito di Tipo 1, chiamato anche diabete insulino-dipendente o diabete giovanile, riguarda il 10% dei casi di diabete e si sviluppa prevalentemente a partire dall’infanzia o dall’adolescenza.

Nel diabete di tipo 1, la produzione di insulina da parte del pancreas viene soppressa o fortemente ridotta a causa della distruzione delle cellule beta pancreatiche da parte del sistema immunitario che non le riconosce come appartenenti all’organismo, ma come estranee e quindi nocive. Le cellule beta sono deputate alla produzione di insulina, ormone fondamentale per l’organismo perché regola l’ingresso e l’utilizzo del glucosio nelle cellule,

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Questa situazione è irreversibile, pertanto il paziente a cui è stato diagnosticato il diabete di tipo 1 dovrà necessariamente assumere ogni giorno e per tutta la vita dosi di insulina (di qui la definizione di diabete insulino-dipendente).

Il diabete di tipo 1 viene, quindi, classificato tra le malattie autoimmuni, cioè legate a una reazione del sistema immunitario contro l’organismo stesso. Il diabete di tipo 1 è definito dalla presenza di uno o più marker autoimmuni che includono autoanticorpi anti-insula pancreatica (ICA) e autoanticorpi anti-GAD (anti-acido glutammico decarbossilasi) in particolare GAD65, insulina (IAA), proteina tirosina fosfatasi IA-2 e IA-2b e anti-proteina trasportatore 8 dello zinco (ZnT8).

Il tasso di distruzione delle cellule beta è piuttosto variabile, essendo rapido in alcuni individui (principalmente neonati e bambini) e lento in altri (principalmente adulti).

Le cause di questa malattia sono ancora sconosciute ma, in quanto autoimmune, si ritiene sia scatenata da una concomitanza di fattori genetici e ambientali. Alla base del diabete di tipo 1, infatti, vi è indubbiamente una predisposizione genetica anche se non necessariamente ereditaria come nel caso del diabete di tipo 2.

Tra i sintomi più frequenti ci sono le urine abbondanti e frequenti, sete e fame eccessiva, dimagrimento improvviso e immotivato (17). Inoltre le persone affette da diabete di tipo 1 sono inclini ad altri disordini autoimmuni come la malattia di Graves, tiroidite di Hashimoto, morbo di Addison, vitiligine, sprue celiaca, epatite autoimmune, miastenia grave e anemia perniciosa (18).

Diabete di tipo 2

Rappresenta la forma di diabete più comune e interessa il 90% dei casi. Si sviluppa prevalentemente a partire dai 40 anni di età e colpisce principalmente i soggetti obesi o sovrappeso.

Il diabete mellito di tipo 2 è caratterizzato da un duplice difetto: non viene prodotta una quantità sufficiente di insulina a soddisfare le necessità dell’organismo (deficit di secrezione di insulina), oppure l’insulina prodotta non agisce in maniera soddisfacente (insulino resistenza). Il risultato, in entrambi i casi, è il conseguente incremento dei livelli di glucosio nel sangue e quindi iperglicemia. Questi due difetti possono coesistere oppure presentarsi

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separatamente e/o successivamente. L’insulino resistenza, tipica dei pazienti obesi, consiste in una incapacità di alcuni organi a rispondere all’azione dell’insulina per cui il glucosio non riesce ad entrare dentro le cellule, rimanendo quindi nel sangue dove determina l’aumento della glicemia. Normalmente il pancreas cerca di superare questa resistenza producendo più insulina, ma nel tempo questa iperfunzione porta ad un suo progressivo esaurimento funzionale, per cui il pancreas produce sempre meno insulina.

In genere, la presenza di diabete di tipo 2 può non essere rilevata per molti anni in quanto l’iperglicemia si sviluppa gradualmente e non comporta sintomi particolarmente evidenti come quelli del diabete di tipo 1. Le cause alla base dell’insorgenza della malattia vanno generalmente ricercate in fattori ereditari ed ambientali. Attraverso studi approfonditi si è evidenziato che esiste un fattore di trasmissione ereditario, non ancora ben chiarito, che espone alcune popolazioni o addirittura alcune famiglie a tale patologia. Alla ereditarietà si affiancano aspetti caratteristici della persona quali l’obesità e fattori ambientali scatenati come vita sedentaria, lo stress e alcune malattie: le cellule hanno bisogno di zucchero per vivere, tanto maggiore è il numero di cellule da alimentare tanto maggiore sarà il fabbisogno di insulina. Nelle persone obese, quindi, l’insulina viene prodotta ma non in quantità sufficiente.

Alcuni dei sintomi tipi del diabete di tipo 2 sono: sensazione di stanchezza, frequente bisogno di urinare anche nelle ore notturne, sete inusuale, perdita di peso, visione offuscata e lenta guarigione delle ferite (17).

Diabete gestazionale

Per diabete gestazionale si intende un aumento dei livelli di glucosio che si manifesta o viene rilevato per la prima volta nel periodo della gravidanza. Questa condizione si verifica nel 8% nelle donne incinte. Generalmente, il diabete gestazionale tende a scomparire al termine della gravidanza, tuttavia, le donne che ne hanno sofferto presentano un rischio più elevato di sviluppare diabete di tipo 2 in età avanzata.

Pur essendo una condizione transitoria, se non viene diagnosticato ed adeguatamente curato, può portare a delle conseguenze, anche gravi, sia per la madre che per il bambino (17).

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3. Meccanismi di regolazione glicemica

L’insorgenza del diabete mellito è legata all’insulina. L’insulina è un ormone fondamentale perché regola la quantità di glucosio nel sangue e il suo utilizzo da parte delle cellule, evitando così il verificarsi del fenomeno della glicemia alta caratteristico del diabete mellito.

3.1 Glicemia

Con il termine glicemia si intende la concentrazione di glucosio nel sangue, elemento fondamentale per l’organismo poiché è il nutriente essenziale per tutte le cellule che lo prelevano direttamente dal circolo sanguigno. La principale fonte di glucosio sono gli alimenti, ma, in misura minore, esso può anche essere sintetizzato ex novo a partire da protidi e lipidi all’interno dell’organismo stesso.

Valori della glicemia:

In soggetti sani, che hanno una vita regolare e un’alimentazione corretta, generalmente nell’arco della giornata i valori della glicemia si mantengono tra i 60 e i 130 mg/dl.

A digiuno, i valori glicemici possono variare dai 70 ai 110 mg/dl; tra 110 e 125 mg/dl si tratta di condizione di alterata glicemia a digiuno (IFG), una condizione che dovrebbe invitare il paziente a porre maggior attenzione al suo stile di vita.

Valori di glicemia uguali o superiori a 126 mg/dl sono, secondo l’American Diabetes Association, da considerarsi probabili sintomi.

Il corpo umano possiede un sistema di regolazione intrinseco che consente di mantenere relativamente costante la glicemia durante l’arco della giornata.

La regolazione della glicemia avviene ad opera di specifici ormoni: - Gli ipoglicemizzanti, che abbassano la glicemia

- Gli iperglicemizzanti, che la innalzano la glicemia

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3.2 Insulina

L’insulina è un ormone secreto dalle cellule beta all’interno delle isole di Langherhans del pancreas indispensabile per il metabolismo degli zuccheri. L’insulina, infatti, consente all’organismo di utilizzare il glucosio per i processi energetici all’interno delle cellule regolandone ingresso ed utilizzo.

L’insulina è secreta quando il livello di glucosio nel sangue è troppo alto con la funzione di abbassare la glicemia mediante l’attivazione di diversi processi metabolici e cellulari. Quando l’insulina è prodotta in quantità non sufficiente dal pancreas oppure le cellule dell’organismo non rispondono alla sua presenza, nel sangue si avranno livelli di glucosio più alti del normale (iperglicemia) favorendo, così, la comparsa del diabete, nello specifico diabete di tipo 1 da deficit di secrezione di insulina, oppure diabete di tipo 2 da insulino resistenza. Il risultato, in entrambi i casi, è il conseguente incremento dei livelli di glucosio nel sangue (iperglicemia) (19).

3.3 Glucagone

Il glucagone è un ormone di natura polipeptidica che viene sintetizzato e secreto dal pancreas, precisamente dalle cellule alfa delle isole di Langerhans, che ha come bersaglio certe cellule del fegato. La secrezione di questo ormone è stimolata dal calo di glicemia infatti è un iperglicemizzante, cioè permette il controllo del livello di glucosio a livello ematico, in modo che rimanga entro i limiti opportuni. Il glucagone è la sostanza antagonista dell’insulina e la sua azione agisce promuovendo la glicogenolisi, cioè la produzione di glucosio, a livello epatico, inibisce la glicogenosintesi e stimola la produzione di glucosio partendo da alcuni amminoacidi, dal glicerolo e dall’acido lattico, quindi stimola in pratica la cosiddetta gluconeogenesi (20).

3.4 Incretine

Il pancreas però non è il solo organo deputato alla regolazione della glicemia, infatti esiste un ruolo per i fattori intestinali nel controllo della glicemia post-prandiale, tramite la secrezione di ormoni chiamati incretine.

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Il concetto di “incretine” nasce dall’osservazione che una determinata quantità di glucosio ingerita per via orale provoca un incremento di secrezione insulinica maggiore rispetto a quella indotta dalla stessa quantità di glucosio somministrata per via endovenosa (effetto incretinico (21)) suggerendo così la partecipazione di un “fattore intestinale” potenziante la secrezione insulinica (22).

Le incretine sono ormoni prodotti a livello gastrointestinale e secrete dopo i pasti. Sono principalmente:

- GLP-1 (Glucagon-like peptide 1);

- GIP (Glucose-dependent insulinotropic peptide).

Il GLP-1 è un ormone polipeptidico sintetizzato prevalentemente dalle cellule entero-endocrine L localizzate nel tratto distale dell’ileo e nel colon, mentre il GIP è sintetizzato dalle cellule K localizzate nel duodeno e nelle anse prossimali del digiuno (Fig.5 (23)).

La secrezione del GLP-1 è regolata attraverso una combinazione di fattori stimolatori di origine neurale ed endocrina a cui si aggiunge uno stimolo per contatto diretto dei nutrienti con le cellule entero-endocrine L. Il rilascio del GIP è prevalentemente stimolato dai grassi contenuti negli alimenti (24). In un individuo sano, GLP-1 e GIP insieme sono responsabili fino al 70% del rilascio di insulina postprandiale dopo un test di tolleranza al glucosio orale (OGTT), dipendente dal carico di glucosio stesso (25). Mentre le concentrazioni plasmatiche di GLP-1 dopo la somministrazione orale di glucosio sono spesso inferiori rispetto a GIP che circola in concentrazioni 10 volte superiori (26), la potenza insulinotropica del primo (su base molare) è marcatamente maggiore (27). Di

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conseguenza, GLP-1 e GIP sembrano contribuire in modo approssimativamente uguale all'effetto incretinico nell’uomo (28).

GLP-1 (Glucagon-like peptide 1)

Il GLP-1 (Glucagon-like peptide 1) è un ormone peptidico di 30 amminoacidi prodotto nelle cellule entero-endocrine L intestinali.

La cellula L è una cellula epiteliale intestinale endocrina di tipo aperto che contatta direttamente i nutrienti nel lume attraverso la sua superficie apicale ed è in contatto con il tessuto neurale e vascolare attraverso la sua superficie basolaterale. Di conseguenza, la secrezione di GLP-1 dalle cellule L intestinali è stimolata da una varietà di fattori nutrienti, neurali e endocrini (29). L'ingestione di farina, in particolare quella ricca di grassi e carboidrati, è lo stimolo fisiologico primario per la secrezione di GLP-1 (30). Il rilascio di GLP-1 può essere stimolato da pasti misti o nutrienti individuali incluso il glucosio e altri zuccheri, acidi grassi, amminoacidi essenziali e fibre alimentari. La somministrazione di glucosio orale, ma non per via endovenosa, stimola la secrezione di GLP-1 nell'uomo (31) (32). Il GLP-1 viene rilasciato rapidamente in circolazione dopo l'ingestione di nutrienti orali e la sua secrezione avviene in un modello bifasico a partire da una fase precoce (entro 10-15 minuti) che è seguita da una seconda fase più lunga (30-60 minuti) (32). Il GLP-1 viene prodotto mediante l'elaborazione differenziale del proglucagone, il gene che è espresso nelle cellule L (Fig.6 (29)) (33). Il proglucagone contiene due sequenze glucagon-like, denominate peptidi glucagon-like 1 e 2 (rispettivamente GLP-1 e GLP-2) (33). Gli enzimi coinvolti in questo processo di elaborazione del proglucagone sono gli enzimi pro-ormone convertasi (PC), in particolare PC1 / 3 e PC2 (34). La trascrizione del gene proglucagone dei mammiferi genera una trascrizione di un singolo messaggero RNA (mRNA) che è strutturalmente identica in tutti e tre i tipi di cellule (Fig.6B (29)) (35) (36). L'mRNA viene tradotto in una singola proteina precursore di 180 aminoacidi (Fig.6C (29)) che subisce un'elaborazione post-traduzionale specifica del tessuto per produrre specifici profili di peptide nel pancreas, nell'intestino e nel cervello (Fig.6D (29)) (35). Nel pancreas i due peptidi glucagon-like sono contenuti in un'unica grande molecola chiamata major proglucagon fragment (MPGF), secreto in parallelo con il glucagone. Nella mucosa

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intestinale, invece, i due peptidi glucagon-like, sono formati e secreti separatamente e mostrano una sequenza simile al glucagone per il 50% (33).

Fig.6 Strutture di (A) gene del proglucagone, (B) mRNA e (C) proteina. (D) L'elaborazione post-trascrizionale specifica del proglucagone nel pancreas porta alla generazione di polipeptide correlato alla glicentina (GRPP), glucagone (GLUC), peptide-1 intermedio (IP-1) e frammento proglucagonale maggiore (MPGF) mentre la glicentina, l'ossintomodulina (OXM), il peptide-2 intermedio (IP-2), il GLP-1 e il GLP-2 che intervengono vengono liberati dopo l'elaborazione del proglucagone nell'intestino e nel cervello.

Dal proglucagone, quindi, per clivaggio si ottengono:

- GLP-2 che agisce come fattore di crescita della mucosa intestinale stimolando la proliferazione cellulare e inibendo l'apoptosi (37) e in più regola anche il trasporto intestinale di glucosio, migliora la funzione di barriera intestinale e inibisce l'assunzione di cibo (38) (39), svuotamento gastrico e secrezione acida.

- GLP-1 che agisce sul metabolismo glucidico. L’azione del GLP-1 si esplica tramite il legame ad uno specifico recettore, il GLP-1R. Il recettore GLP-1 è un recettore accoppiato alla proteina G di classe 2 (40), ed è ampiamente espresso in una vasta gamma di tessuti tra cui le cellule alfa, beta, e delta delle isole pancreatiche, polmone, cuore, rene, stomaco, intestino, ipofisi, pelle, neuroni gangliari nodosi del nervo vago e varie regioni del sistema nervoso centrale, tra cui l'ipotalamo e il tronco cerebrale (29).

Attraverso il legame con recettori specifici, il GLP-1 svolge importanti funzioni di regolazione metabolica (Fig.7 (29)) (41) a livello di vari organi:

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- Pancreas: GLP-1 stimola la secrezione di insulina glucosio-dipendente (42) (27) (43), e agisce anche in sinergia con il glucosio per promuovere la trascrizione del gene dell'insulina, la stabilità dell'mRNA e la biosintesi, e quindi ha il potenziale per ricostituire le riserve di insulina beta-cellulare e prevenire l'esaurimento delle riserve di beta-cellule (44) (45) (46). GLP-1 conferisce la sensibilità al glucosio alle cellule beta-resistenti al glucosio, migliorando così la capacità delle cellule beta di rilevare e rispondere al glucosio (47). GLP-1 regola l'espressione dei trasportatori di glucosio e delle glucochinasi, componenti molecolari dei sensori del glucosio delle beta cellule, e quindi fornisce un possibile meccanismo con cui GLP-1 è in grado di ripristinare la risposta del glucosio alle beta cellule precedentemente resistenti. GLP-1 inibisce anche il glucagone e stimola la secrezione di sostatostatina. L'effetto stimolatorio di GLP-1 sulla secrezione di somatostatina è probabilmente causato dall'interazione diretta con GLP-1R sulle cellule delta-pancreatiche secernenti la somatostatina (48). Il meccanismo/i con il quale GLP-1 inibisce la secrezione di glucagone dalle cellule alfa pancreatiche è poco chiaro, e può implicare un legame diretto con i recettori GLP-1R delle cellule alfa pancreatiche (49). In alternativa, l'effetto inibitorio di GLP-1 sulla secrezione di glucagone può essere mediato indirettamente tramite la stimolazione della secrezione di insulina e/o di somatostatina. Gli agonisti del recettore GLP-1R stimolano la proliferazione e la neogenesi delle cellule beta, ne inibiscono l'apoptosi delle cellule beta e ne aumentando così la massa (29).

- Sistema nervoso: regolano una serie eterogenea di funzioni omeostatiche, tra cui il comportamento alimentare, la motilità gastrica, la glucoregolazione e la funzione cardiovascolare (29).

- Stomaco: Gli agonisti del GLP-1R mostrano potenti effetti inibitori sulla secrezione acida gastrica stimolata dalla pentagastrina e dal pasto ed effetti inibitori sullo svuotamento gastrico (29).

- Cuore: gli agonisti GLP-1 mostrano effetti benefici sulle funzionalità cardiache e incrementano la cardioprotezione (29).

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- Muscolo, tessuto adiposo e fegato: GLP-1 inibisce la produzione di glucosio epatico e stimola l'assorbimento di glucosio nel grasso e nei muscoli (29).

Fig.7 Effetti sul recettore del GLP-1.

L'emivita del GLP-1 bioattivo in circolazione è inferiore a 2 minuti a causa della rapida inattivazione dell'enzima proteolitico ubiquitario dipeptidil peptidasi-4 (DPP-4) (50). Il metabolita viene eliminato rapidamente, principalmente nei reni, con un'emivita di 4-5 minuti (51). Gli inibitori di DPP-4 possono prevenire completamente questa degradazione (52).

GIP (Glucose-dependent insulinotropic peptide)

Il GIP è un peptide di 42 amminoacidi prodotto prevalentemente nelle cellule K dell'intestino tenue prossimale. Lo stimolo predisponente per la secrezione GIP è l'assunzione di nutrienti; i livelli circolanti di GIP sono bassi nello stato di digiuno e aumentano nei minuti di ingestione di cibo (53).

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Il GIP deriva da un largo precursore che è il pro-ormone ProGIP che codifica per un peptide segnale, un peptide N-terminale, il GIP e un peptide C-terminale (Fig.8 (29)) (29).

Fig.8 (A) Gene ProGIP, (B) mRNA e (C) proteina. Il GIP bioattivo è generato dal suo precursore proteico ProGIP mediante scissione post-traduzionale a singoli residui di arginina che fiancheggiano GIP.

La forma bioattiva del GIP maturo da 42 amminoacidi viene rilasciata dal suo precursore ProGIP di 153 amminoacidi tramite scissione post traduzionale PC1 / 3 dipendente a fianco di singoli residui di arginina (54). I peptidi codificati all'interno delle sequenze GIP N-terminale o C-N-terminale non hanno alcuna funzione nota (29).

Il GIP viene sintetizzato all'interno e rilasciato dalle cellule K intestinali, la maggior parte delle quali si trova nel duodeno e nel digiuno prossimale, con numeri più piccoli che si verificano anche in tutto l'intestino tenue (55) (56). Il GIP viene secreto in risposta all'ingestione di nutrienti, in particolare il glucosio o il grasso. Più specificamente, è il tasso di assorbimento dei nutrienti piuttosto che la semplice presenza di nutrienti nell'intestino che stimola il rilascio di GIP. Pertanto, il GIP è ridotto in individui con malassorbimento intestinale o dopo somministrazione di agenti farmacologici che riducono l'assorbimento di nutrienti (57) (58).

GIP, una volta rilasciato dalle cellule K, va a legarsi al suo recettore specifico GIPR e svolge importanti funzioni a livello di vari organi (Fig.9 (29)):

- Pancreas: Il ruolo fisiologico primario di GIP è quello di un ormone incretinico. Questo si lega al suo specifico recettore sulle beta cellule pancreatiche e migliora la secrezione insulinica glucosio dipendente. Inoltre promuove la trascrizione del gene

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dell'insulina nelle beta cellule e la biosintesi, così come l'espressione di componenti dei sensori di glucosio delle beta cellule (59). Infine provoca un’inibizione dell’apoptosi (29).

- Sistema nervoso centrale: Nel SNC, il GIP è espresso nell'ippocampo e l'espressione GIPR è rilevabile in diverse regioni del cervello tra cui la corteccia cerebrale, l'ippocampo e il bulbo olfattivo. L'azione di GIP nel SNC può giocare un ruolo nella proliferazione delle cellule progenitrici neurali e nella modificazione del comportamento (60).

- Tessuto adiposo: Gli effetti anabolici di GIP nei grassi comprendono la stimolazione della sintesi degli acidi grassi e la riesterificazione, l'aumento dell'incorporazione dell'insulina degli acidi grassi in trigliceridi, stimolazione della sintesi lipoproteica della lipasi e riduzione della lipolisi stimolata dal glucagone (29).

- Tessuto osseo: GIP stimola la formazione ossea agendo sugli osteoblasti e risulta avere effetti inibitori sul riassorbimento osseo (29).

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L'emivita del GIP intatto biologicamente attivo è circa 7 e 5 minuti nei soggetti sani e nei pazienti diabetici di tipo 2, rispettivamente. Poiché GIP contiene un residuo di alanina in posizione 2 è un eccellente substrato per una inattivazione mediata da DPP-4, che è il principale enzima responsabile dell’inattivazione del GIP in vivo (61) e lo stesso enzima che regola la degradazione di GLP-1 (53). Il sito principale del metabolismo del GIP è il rene, ma anche il fegato e le estremità contribuiscono all'estrazione GIP (51).

Dipeptidil peptidasi-4

DPP-4 è una serina proteasica onnipresente presente su tutte le superfici cellulari e fluidi corporei con un numero diversificato di substrati che include GIP e GLP-1 (62) (63). L'azione di DPP-4 su GIP e GLP-1 (7-36 ammide) porta alla rimozione di due amminoacidi N-terminali con conseguente formazione di GIP (3-42) e GLP-1 (9-36 ammide), entrambi peptidi deammidati che agiscono come antagonisti nei loro rispettivi recettori (Fig.10) (64).

Fig.10 Struttura amminoacididica del GIP e del GLP-1 (7-37). L'ammidazione di GLP-1 (struttura inferiore) alla glicina c-terminale in posizione 37 porta alla produzione della forma circolante predominante (7-36 ammide). Il sito di scissione di GIP e GLP-1 da DPP-4 è mostrato dalla freccia.

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Incretine e diabete di tipo 2

Appare evidente, quindi, come l’integrità dell’asse entero-insulare sia di fondamentale importanza per il mantenimento di numerose funzioni metaboliche. Alterazioni della secrezione e/o dell’azione delle incretine sono state documentate in condizioni patologiche, quali il diabete mellito tipo 2 e l’obesità (65) (66).

Infatti, nei soggetti diabetici di tipo 2, sono ridotte sia la secrezione insulinica glucosio-indotta (67) (68), sia il potenziamento della secrezione insulinica da parte delle incretine (22).

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4. Metodi per la diagnosi del diabete mellito

Attualmente la diagnosi di diabete mellito di tipo 1 e di tipo 2 si basa esclusivamente sulla presenza di iperglicemia o di emoglobina glicosilata >6.5%.

4.1 Dosaggio della glicemia

Il dosaggio della glicemia deve essere eseguito su sangue ottenuto da un prelievo di sangue venoso a digiuno.

I criteri per la diagnosi di diabete sono:

- Sintomi di diabete (poliuria, polidipsia, perdita di peso inspiegabile) associati a un valore di glicemia casuale, cioè indipendentemente dal momento della giornata, ≥ 200 mg/dl;

- Glicemia a digiuno ≥ 126 mg/dl. Il digiuno è definito come mancata assunzione di cibo da almeno 8 ore;

- Glicemia ≥ 200 mg/dl durante una curva da carico (OGTT). Il test dovrebbe essere effettuato somministrando 75 g di glucosio.

Esistono, inoltre, situazioni cliniche in cui la glicemia non supera i livelli stabiliti per la definizione di diabete, ma che comunque non costituiscono una condizione di normalità. In questi casi si parla di Alterata Glicemia a Digiuno (IFG) quando i valori di glicemia a digiuno sono compresi tra 100 e 125 mg/dl e di Alterata Tolleranza al Glucosio (IGT) quando la glicemia due ore dopo il carico di glucosio è compresa tra 140 e 200 mg/dl. Si tratta di situazioni cosiddette di “prediabete”, che indicano un elevato rischio di sviluppare la malattia diabetica anche se non rappresentano una situazione di malattia. Spesso sono associati a sovrappeso, dislipidemia e/o ipertensione e si accompagnano a un maggior rischio di eventi cardiovascolari (69).

4.2 Emoglobina glicosilata

L'emoglobina glicosilata o glicata A1c (in sigla HbA1c) è un parametro di laboratorio che misura un particolare tipo di emoglobina nel sangue.

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I valori di HbA1c rispecchiano le concentrazioni medie di glucosio nel sangue negli ultimi tre mesi. Pertanto, l'emoglobina glicata permette di sapere se la glicemia ha superato i livelli di “guardia” nelle persone diabetiche o a rischio di diventarlo.

L'emoglobina glicata si misura prelevando un campione di sangue venoso.

Il valore “normale” di emoglobina glicata nella popolazione è compreso tra il 4 e il 5-6% Il risultato dell'esame è sempre sotto forma di percentuale, la quale determina il livello medio di glicemia nel trimestre precedente. Quando il livello di emoglobina glicata è uguale o superiore al 6,5%, si può parlare di diabete.

Se il valore è compreso tra il 6 e il 6,5% ci troviamo, invece, in uno stato prediabetico. Quando otteniamo dei risultati anomali, significa che i livelli di glucosio, in un lasso di tempo che può variare da settimane a mesi, non sono stati ben regolati. Se la HbA1c è superiore al 7%, evidentemente il diabete non è tenuto sotto controllo; di conseguenza, esiste un alto rischio di sviluppare delle complicanze (70).

Valori Normali Valori Alterati Presenza di

Diabete Glicemia 60-110 mg/dl Normalità 110-125 mg/dl Prediabete ≥ 126 mg/dl Diabete Intolleranza al glucosio <140 mg/dl Normalità 140-190 mg/dl Prediabete ≥ 200 mg/dl Diabete Emoglobina glicosilata 4-6 % Normalità 6-6,5 % Prediabete > 7 % Diabete

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5. Terapie farmacologiche in uso

Le attuali terapie farmacologiche per il trattamento del diabete si dividono in base alla tipologia di diabete.

5.1 Farmaci diabete tipo 1

Nel diabete di tipo 1, la terapia con insulina iniettabile è indispensabile sin dall’esordio e dalla diagnosi della malattia (71), in quanto il pancreas non è più in grado di produrre questo ormone, fisiologicamente secreto dalle sue cellule beta, per il mantenimento dei normali valori glicemici. Quando questo avviene, è possibile somministrarla dall’esterno grazie all’esistenza in commercio di insuline sintetiche.

5.1.1 Insulina

Le insuline attualmente disponibili si distinguono in base al tempo di latenza (intervallo tra somministrazione ed inizio dell'effetto terapeutico ipoglicemizzante), al tempo di picco (intervallo tra somministrazione e massimo effetto ipoglicemizzante) e alla durata d'azione (intervallo tra somministrazione e scomparsa dell'effetto ipoglicemizzante) (Fig.11 (72)).

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Possiamo trovare:

Insulina ad azione ultrarapida

Insulina lispro e insulina aspart. L'azione del farmaco si manifesta dopo 10-15 minuti dall'iniezione; per questo tali insuline sono utilizzate poco prima del pasto per il controllo della glicemia postprandiale, raggiungono il picco in 30-60 minuti e durano circa quattro ore.

Insulina ad azione rapida

L'azione del farmaco viene esplicitata in circa 30 minuti, raggiunge il picco in 2-4 ore e scompare dopo 4-8 ore. Va assunta mezz'ora prima del pasto oppure quando la glicemia si alza eccessivamente.

Insulina ad azione intermedia

Questa tipologia di insulina entra in azione dopo un paio d'ore, raggiunge il picco d'azione entro due-cinque ore e la durata d'azione è garantita per 8-12 ore.

Insulina lenta

Entra in azione dopo un paio d'ore, raggiunge il picco di 6-12 ore e copre quasi l'intero arco della giornata (18-24 ore): il rallentamento dell'azione terapeutica è reso possibile dalla presenza dello zinco. In genere, sono necessarie solamente due iniezioni di insulina lenta al giorno per garantire un livello costante della glicemia. È possibile assumere questa insulina insieme a insulina rapida in concomitanza dei pasti.

Insulina ultralenta

Contiene una maggiore quantità di zinco, che ritarda ulteriormente la sua azione. Così, la latenza sale a 4-6 ore ed il picco ad 8-15 ore, mentre la scomparsa dell'effetto avviene dopo 18-24 ore. Per questo motivo ne basta una sola iniezione al giorno, associandola all'occorrenza a piccole dosi di insulina rapida (ad es. prima dei pasti).

Insulina glargina

Proprio come l'insulina precedente, l'attività d'azione di questo farmaco è ultralenta, che ha una latenza di 4-6 ore, dura più di 24 ore e si caratterizza per l'assenza del picco (in altre

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parole, la sua attività si mantiene costante per tutta la durata d'azione) pertanto è sufficiente una sola iniezione al giorno. È possibile associare altre tipologie di insuline (rapide) poco prima del pasto. Il farmaco è reperibile in cartucce da 3 ml, penne monouso da 3 ml e flaconi da 10 ml (tutte le formulazioni contengono 100UI/ml di insulina glargine). Si raccomanda di somministrare il farmaco sempre alla stessa ora.

Insulina e protamina

Detta insulina “NpH” (Neutral protamine Hagedorn), questo farmaco agisce in modo simile all'insulina lenta per la presenza della protamina che ne rallenta l'azione; in questo modo la latenza raggiunge le 2-4 ore, il picco si produce dopo 6-8 ore dall'iniezione e la durata complessiva raggiunge le 12-15 ore. Di solito due iniezioni al giorno permettono un sufficiente controllo glicemico per trattare il diabete mellito di tipo 1.

Miscele di insulina precostituite

Le più comuni sono NpH: normale in rapporto 70:30 o 50:50. Hanno in media una latenza di mezz'ora, un tempo di picco variabile secondo la formulazione e una durata d'azione fino a 18-24 ore. Il loro impiego consente di personalizzare al massimo la terapia insulinica.

Microinfusori

Siringhe monouso e penne precaricate (con le quali è possibile effettuare più iniezioni sostituendo solo l'ago) sono oggi affiancate dai cosiddetti microinfusori. Questi apparecchi consento un’infusione sottocutanea del farmaco 24 ore su 24, attraverso un catetere collegato ad un serbatoio di insulina controllato da un computer (per la secrezione basale) e dal paziente stesso per l'infusione di "boli" (quantità maggiori di insulina in occasione di pasti ricchi di carboidrati o episodi di iperglicemia inattesa) (73) (74).

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5.2 Farmaci diabete tipo 2

Fig.12 Classi di farmaci negli ultimi 50 anni: confronto tra antiipertensivi e ipoglicemizzanti.

Da circa 15 anni assistiamo a un’esplosione di nuovi farmaci per la terapia del diabete (Fig.12 (75)). La terapia del diabete tipo 2 è in continua evoluzione e l’arsenale terapeutico si è arricchito di molteplici nuove terapie che da sole o in combinazione tra loro sono in grado di tenere testa alla progressione tipica della malattia. Tra i nuovi farmaci, quelli incentrati sul sistema degli ormoni intestinali hanno costituito un’importante novità per il loro favorevole profilo di efficacia e di sicurezza. Infatti, gli inibitori della dipeptidil peptidasi-4 (DPP-4), l’enzima responsabile della degradazione del GLP-1 endogeno prodotto dalle cellule intestinali, sono in grado di combinare la riduzione della glicemia con effetto neutro su peso corporeo e basso rischio di ipoglicemia. Gli analoghi del GLP-1, che a differenza degli inibitori di DPP-4 sono somministrati per via iniettiva sottocutanea, sono in grado di migliorare il controllo glicemico e il profilo lipidico, di ridurre il peso corporeo e la pressione arteriosa senza rischio di ipoglicemia. I risultati degli studi clinici volti a valutare la sicurezza cardiovascolare degli inibitori di DPP-4 e degli analoghi del GLP-1 sono stati finora rassicuranti in quanto non è stato riscontrato alcun effetto negativo sul rischio cardiovascolare. Nuovi analoghi di GLP-1 con durata d’azione settimanale o maggiore sono in fase di sviluppo insieme a nuovi inibitori di DPP-4.

L’ultima classe di farmaci introdotti nella terapia del diabete tipo 2 è quella degli inibitori del trasportatore sodio-glucosio-2 (SGLT-2), molecole in grado di bloccare il riassorbimento renale del glucosio e quindi aumentare la sua eliminazione attraverso le urine, determinando

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un miglioramento del controllo glicemico. L’efficacia di questi farmaci nel controllo della glicemia unitamente alla riduzione del peso corporeo e all’effetto sulla pressione arteriosa, permette al clinico di avere un’ulteriore opportunità nella gestione del paziente con diabete tipo 2 (75).

L'introduzione di agonisti selettivi del recettore GLP-1 (GLP-1R) per il trattamento del diabete di tipo 2 e dell'obesità ha aumentato l'interesse scientifico e clinico sulle incretine. La combinazione degli effetti di riduzione del peso corporeo e di riduzione del glucosio di GLP-1 con un miglioramento più potente della funzione delle cellule beta attraverso le ulteriori azioni del GIP potrebbe potenzialmente offrire un trattamento più efficace del diabete e dell'obesità, con meno effetti avversi rispetto agli agonisti selettivi di GLP-1R. Infatti attualmente è in studio una nuova classe di ipoglicemizzanti che ha dato ottimi risultati in fase I e II ed è appena entrata in fase III. Questa classe è stata soprannominata “twincretine” e il composto in esame, tirzepatide, agisce come co-agonista verso i recettori del GLP-1 e i recettori del GIP.

Nel diabete di tipo 2, la terapia è più scalare. In genere, si parte con modifiche sostanziali allo stile di vita (alimentazione e attività fisica) e se queste non sono sufficienti si associa una terapia con farmaci per bocca (farmaci orali) e/o per via sottocutanea (iniettivi non insulinici) (71), chiamati ipoglicemizzanti.

5.2.1 Ipoglicemizzanti

Biguanidi

Attualmente l’unica molecola che fa parte di questa classe in Italia è la metformina. È stato introdotto per la prima volta negli Stati Uniti nel 1995 (76). È il farmaco orale di prima scelta nella gestione del diabete mellito di tipo 2 in tutte le fasce d'età. La metformina riduce tipicamente l'HbA1c dell'1-2%. L'effetto ipoglicemizzante della metformina nel diabete mellito di tipo 2 è una diminuzione della produzione di glucosio epatico, in particolare attraverso la soppressione della gluconeogenesi e della glicogenolisi nel fegato

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(76). È altamente tollerata e ha solo effetti collaterali lievi, basso rischio di ipoglicemia e basse probabilità di aumento di peso. La metformina è in grado di ritardare la progressione del diabete mellito tipo 2, ridurre il rischio di complicanze e ridurre i tassi di mortalità nei pazienti diminuendo la sintesi glicemica (gluconeogenesi) e sensibilizzando i tessuti periferici all'insulina (77). Inoltre, migliora la sensibilità all'insulina attivando l'espressione del recettore dell'insulina e migliorando l'attività della tirosina chinasi. Recenti evidenze suggeriscono anche che la metformina abbassa i livelli plasmatici di lipidi attraverso un percorso del recettore alfa attivato da proliferatori perossisomiali (PPAR-a), che previene le malattie cardiovascolari (77). La metformina può quindi indurre una modesta perdita di peso negli individui sovrappeso e obesi a rischio di diabete.

Sulfoniluree

Le sulfoniluree (SUs) sono state introdotte negli anni '50 dopo le segnalazioni di ipoglicemia tra le persone che assumevano farmaci sulfonamidici per il tifo e la polmonite. Si dividono in molecole di prima generazione (es: carbutamide, tolbutamide) e molecole di seconda generazione (es: glibenclamide). La maggior parte dei primi membri della classe (SUs di prima generazione) sono stati sostituiti da versioni più potenti (SUs di seconda generazione), che sono ampiamente usati come terapia di prima linea alternativa alla metformina o in associazione alla metformina stessa (78). Provocano una diminuzione della concentrazione di glucosio nel sangue, con un'azione diretta sulle cellule beta pancreatiche per aumentare la secrezione di insulina (79). Con il loro meccanismo d’azione le sulfoniluree iniziano la secrezione di insulina indipendentemente dalla concentrazione di glucosio e questo tiene conto dell'aumentato rischio di ipoglicemia dovuto alla continua stimolazione della secrezione di insulina quando le concentrazioni di glucosio sono basse. Le sulfoniluree sono solitamente titolate per ridurre l'HbA1c dell'1-2% (76). La perdita di efficacia, l'ipoglicemia e l'aumento di peso rappresentano i principali problemi legati all'uso di questi farmaci (80). Sulfoniluree

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Glinidi

Chiamate anche meglitinidi, furono introdotte alla fine degli anni '90. Il capostipite di questa classe è la repaglinide. Questa classe di farmaci antidiabetici stimola la secrezione di insulina con un meccansimo simile a quello delle sulfoniluree, ma offre una durata d'azione rapida e più breve, adatta alla somministrazione durante i pasti; preferiti per un individuo con uno stile di vita irregolare in cui i tempi dei pasti sono imprevedibili. In confronto alla terapia con SU, generalmente si ritiene che le glinidi presentino episodi di ipoglicemia meno frequenti e meno gravi e un minore aumento di peso; danno anche una minore diminuzione di HbA1c rispetto alle sulfoniluree (76).

Tiazolidindioni

Chiamati anche Glitazoni, di questa classe fanno parte rosiglitazone (non più in commercio in Italia) e pioglitazone. La classe dei tiazolidindioni è stata introdotta con troglitazone nel 1997, quest’ultimo però è stato ritirato subito dopo a causa di epatotossicità idiosincrasica, ma i successivi composti (pioglitazone e rosiglitazone) non hanno riportato questo rischio. Questi farmaci attivano il recettore gamma attivato da proliferatori perossisomiali (PPAR-gamma), andando a migliorare l'azione dell'insulina, il metabolismo dei lipidi e la differenziazione degli adipociti; si ha anche un aumento nell'assorbimento di glucosio attraverso l'aumento della produzione di trasportatori di glucosio GLUT-4 insulino-sensibili. L'effetto di riduzione del glucosio dei tiazolidindioni viene lentamente generato nell'arco di 2-4 mesi. Le diminuzioni dell'HbA1c sono dell'1-1,5%. I tiazolidindioni non causano ipoglicemia, poiché non stimolano la secrezione di insulina, ma possono migliorare la funzione delle cellule beta aumentando l'elaborazione di proinsulina in insulina. Sebbene riducano le concentrazioni di acidi grassi, i loro effetti su altri lipidi sono variabili: il pioglitazone tipicamente riduce i Repaglinide

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adipogenico è associato ad un aumento di peso per lo più sottocutaneo. Il peso extra deriva dalla ritenzione di liquidi a causa di un aumento del riassorbimento renale del sodio. A seguito di evidenze di aumento dell'insufficienza cardiaca e infarto miocardico, rosiglitazone è stato sospeso in Europa (2010). La funzionalità epatica deve essere controllata; devono essere sospesi in gravidanza (76). Vengono segnalate inoltre ridotte densità minerale ossea e aumentato rischio di fratture, specialmente nelle donne postmenopausali (81) (82).

Inibitori dell’enzima DPP-4

Gli inibitori della DPP-4, definiti anche gliptine, sono diventati disponibili nel 2007. Questa classe comprende numerose molecole (sitagliptin, vildagliptin, saxagliptin, linagliptin, alogliptin). Migliorano l'effetto incretinico per potenziare la secrezione di insulina stimolata dal glucosio ed esercitare altri effetti per aiutare il controllo glicemico (83). Il cibo suscita il rilascio di due principali ormoni incretinici: il GLP-1 dalle cellule L, principalmente nell'intestino tenue inferiore e il GIP dalle cellule K, principalmente nell'intestino tenue superiore. Questi ormoni sono rapidamente degradati dall'enzima DPP-4, quindi i loro effetti sono accentuati dagli inibitori di questo enzima (29). L'effetto incretinico è ridotto nel diabete mellito di tipo 2, e questo è attribuito principalmente alla ridotta efficacia di 1. Quindi prevenendo il rapido degrado di GLP-1 e GIP con un inibitore della DPP-4, aumenta l'effetto incretinico e dovrebbe aiutare alcuni degli altri effetti di questi ormoni. Gli inibitori della DPP-4 producono più del 90% di inibizione dell'attività di DPP-4 circolante per più di 24 ore e aumentano le concentrazioni plasmatiche di GLP-1 e GIP attivi di 2-3 volte (83) (84). Utilizzati in studi clinici come monoterapia o combinati con il farmaco, gli inibitori della DPP-4 abbassano l'HbA1c di circa 0,7-1%, riducendo spesso le escursioni glicemiche postprandiali di circa 3 mmol/L e la glicemia basale di circa 1-1,5 mmol/L. Pertanto, la natura glucosio-dipendente del rilascio di insulina extra riduce principalmente l'aumento prandiale della glicemia, con un basso rischio di ipoglicemia interprandiale. Le dosi terapeutiche degli inibitori della DPP-4 non sembrano ostacolare lo svuotamento gastrico o produrre un effetto misurabile della sazietà. Sitagliptin

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Non causano aumento ponderale, ma al contrario possono causare una leggera perdita di peso (76).

Agonisti del recettore GLP-1

Gli agonisti del recettore GLP-1 attualmente disponibili sono exenatide, liraglutide, lixisenatide e dulaglutide. La rapida inattivazione di GLP-1 da parte delle DPP-4 ha precluso l'uso di questo ormone nativo per scopi terapeutici di routine, ma successivamente sono state sviluppate diverse molecole GLP-1 modificate con elevata affinità per il recettore GLP-1, la prima ad essere introdotta è stata exenatide nel 2007. Questi evitano o limitano l'inattivazione da parte delle DPP-4 e vengono somministrati mediante iniezione sottocutanea per creare una versione esagerata degli effetti fisiologici del GLP-1 nativo (85) (86). Gli agonisti del recettore GLP-1 aumentano la secrezione insulinica postprandiale indotta dal glucosio, con altri effetti glucoregolatori, in particolare una diminuzione dell'iperglucagonemia postprandiale, uno svuotamento gastrico ritardato e una riduzione dell'assunzione di cibo, quest'ultimo effetto contribuisce alla perdita di peso (29) (85). Gli effetti di riduzione del glucosio degli agonisti del recettore del GLP-1 sono generalmente più pronunciati rispetto agli inibitori del DPP-4 poiché le concentrazioni circolanti di agenti attivi sono generalmente più di 10 volte superiori all'ormone nativo equivalente. Pertanto, gli agonisti del recettore GLP-1 riducono l'HbA1c di circa 1-1,5%, con riduzioni di circa 4 mmol/L nell'iperglicemia postprandiale. La natura glucosio-dipendente dell'azione degli agonisti dei recettori del GLP-1 sulle cellule beta (e alfa) conferisce un basso rischio di ipoglicemia interprandiale e le riduzioni del peso corporeo di 3 kg o più sono comunemente osservate entro 6-12 mesi (84) (86). Gli agonisti del recettore del GLP-1 sono inclini a causare nausea iniziale (e solitamente transitoria), attribuita allo svuotamento gastrico ritardato (76).

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Inibitori delle alfa-glucosidasi intestinali

L’unica molecola attualmente disponibile in Italia è l’acarbosio, che rappresenta anche la prima molecola scoperta di questa classe e fu introdotto all’inizio degli anni ’90. Gli inibitori delle alfa-glucosidasi inibiscono competitivamente la scissione dei disaccaridi e oligosaccaridi nei monosaccaridi da parte delle glucosidasi di superficie delle cellule intestinali. Questo rallenta le fasi finali della digestione dei carboidrati e quindi ritarda l'entrata del glucosio nella circolazione dopo un pasto ricco di carboidrati. Anche se questi farmaci variano nelle loro affinità per le diverse glucosidasi, tutti riducono l'iperglicemia postprandiale e tipicamente abbassano l'HbA1c di circa lo 0,5%, o più se la dieta è formata in gran parte da carboidrati complessi (87). Queste molecole non provocano aumento di peso o ipoglicemia e possono ridurre il rischio di ipoglicemia intravascolare prolungando la durata della digestione dei pasti; inoltre potrebbero aumentare la secrezione di GLP-1. La titolazione della dose degli inibitori delle alfa-glucosidasi con pasti ricchi di carboidrati richiede attenzione, poiché l'eccesso di questi farmaci può causare sintomi addominali, con carboidrati non digeriti fermentati nell'intestino crasso (76).

Inibitori del trasportatore renale del glucosio SGLT-2

Circa il 90% del glucosio filtrato per via renale viene riassorbito tramite il trasportatore sodio-glucosio-2 (SGLT-2) situato nel primo segmento dei tubuli prossimali. Gli inibitori di SGLT-2, introdotti nel 2013, riducono l'iperglicemia aumentando l'eliminazione del glucosio attraverso l'urina (88). Appartengono a questa classe canagliflozin, dapagliflozin, e empagliflozin. Gli inibitori di SGLT-2 abbassano la soglia renale per la glicosuria inibendo competitivamente il riassorbimento del glucosio SGLT-2-mediato. SGLT-2 è un trasportatore di glucosio a bassa affinità e alta capacità, e gli inibitori possono eliminare il 20-30% del glucosio filtrato (circa

Acarbosio

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50-100 g di glucosio / giorno) dai pazienti con diabete mellito tipo 2. L'effetto è auto-limitante in quanto diminuisce con la diminuzione delle concentrazioni di glucosio nel sangue ed è indipendente dall'insulina, in modo tale da mantenerla indipendentemente dalla secrezione o dall'azione dell'insulina a condizione che la funzione renale dia un’adeguata filtrazione glomerulare. Eliminando il glucosio SGLT-2, gli inibitori facilitano la perdita di peso e una diuresi osmotica lieve associata contribuisce a una piccola riduzione della pressione sanguigna (88). Le riduzioni della glicemia sono rapide e influenzano la glicemia basale e post-prandiale e le diminuzioni di HbA1c sono tipicamente di circa 0,6-1,2% (88). L'efficacia della riduzione del glucosio è duratura e strettamente associata all'entità dell'iperglicemia e alla velocità della filtrazione glomerulare. Il rischio di ipoglicemia grave è basso, poiché l'effetto glicosurico si perde se la concentrazione di glucosio nel sangue scende sotto il range normale. La perdita di peso di 2-4 kg generalmente si estende per 6-12 mesi ed è principalmente attribuibile ad una diminuzione della massa grassa, in particolare dal deposito viscerale adiposo. Associati al loro effetto glicosurico, gli inibitori di SGLT-2 aumentano il rischio di infezioni micotiche genitali, in particolare nelle donne. Questi sono più comuni durante i primi mesi di terapia e di solito rispondono ai trattamenti standard, spesso essendo autogestiti dal paziente se opportunamente consigliati in anticipo. È anche apprezzato un piccolo aumento del rischio di infezioni urinarie, che di solito risponde ai trattamenti standard e più probabilmente durante il periodo iniziale di glicosuria. Data la diuresi osmotica, un'adeguata idratazione è importante (76).

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Tabella riassuntiva delle classi di ipoglicemizzanti usati attualmente nella terapia del diabete mellito tipo 2 (89): Farmaci Rischio ipoglice mia Aumento ponderale Proprietà Applicazioni

Metformina No No gli effetti

indesiderati gastrointestinali sono comuni, in particolare all'inizio del trattamento: iniziare con una dose bassa

farmaco di prima linea per il diabete di tipo 2

Sulfoniluree Si Si le sulfoniluree sono

state ben

consolidate da molti anni come efficaci farmaci anti-iperglicemici partner di combinazione economico per metformina; alternativa economica alla metformina se quest'ultima è controindicata o scarsamente tollerata

Glinidi Si Si più flessibile delle

solfoniluree a causa della loro più rapida insorgenza e della minore durata d'azione

superiore alle sulfoniluree se i pasti sono assunti in modo irregolare o non affidabile, nonché per i pazienti con insufficienza renale

Tiazolidindioni No Si rischio di ritenzione

di liquidi e insufficienza cardiaca; maggiore propensione alle fratture ossee; possibile aumento del rischio di cancro alla vescica partner di associazione per pazienti ad alto rischio di ipoglicemia e quelli con grave insufficienza renale

Inibitori DPP-4 No No vantaggio rispetto

agli agonisti del recettore GLP-1: somministrazione orale insufficiente controllo glicemico con metformina da sola, elevato rischio di ipoglicemia, sovrappeso

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Agonisti GLP-1 No No dato per via sottocutanea; più efficace degli inibitori DPP-4, con l'ulteriore vantaggio della perdita di peso insufficiente controllo glicemico con metformina da sola, elevato rischio di ipoglicemia, sovrappeso

Acarbosio No No effetti collaterali

gastrointestinali sono comuni (flatulenza) diabete di tipo 2 precoce, oppure come partner di combinazione

Inibitore SGLT-2 No No perdita di peso;

rischio elevato di infezioni genitali

insufficiente

controllo glicemico con metformina da sola, elevato rischio di ipoglicemia, sovrappeso

Insulina Si Si necessario negli stadi

avanzati della malattia; può essere ragionevolmente combinato con metformina

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6. Tirzepatide

6.1 Struttura tirzepatide (LY3298176)

Tirzepatide, LY3289176 nelle prime fasi sperimentali, è una molecola di proprietà di Eli Lilly and Company, che agisce da co-agonista del recettore GLP-1R e GIPR. Questa molecola è stata sviluppata per determinare se l'azione metabolica del GIP si aggiunge ai benefici clinici stabiliti degli agonisti selettivi del recettore GLP-1 nel diabete mellito di tipo 2. Tirzepatide è un peptide sintetico lineare, con peso molecolare di 4,8 kDa, costituito da 39 amminoacidi coniugato ad un gruppo di due catene di acido grasso C20 tramite un linker collegato al residuo di lisina in posizione 20 che ne prolunga la durata d’azione. La sequenza peptidica di tirzepatide contiene anche due residui di amminoacidi non codificati nelle posizioni 2 e 13 (Aib, a-aminoacido isobutirrico), e il C-terminale è ammidato (Fig.13). La tecnologia di acilazione consente il legame all'albumina, che fornisce un regime di dosaggio settimanale nell'uomo tramite iniezione sottocutanea (90).

Fig.13 Struttura tirzepatide. Tirzepatide (LY3289174)

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6.2 Co-agonismo del GLP-1R e GIPR

La prevalenza del diabete di tipo 2 e dell'obesità è in aumento e la necessità di modi migliori per regolare l'omeostasi del glucosio e ridurre il sovrappeso nei pazienti con diabete è evidente. Negli ultimi anni, gli ormoni incretinici di derivazione intestinale come il glucose-dependent insulinotropic peptide (GIP) e il glucagon-like peptide-1 (GLP-1) hanno attratto l'interesse scientifico e clinico per le loro qualità di abbassamento del glucosio e, nel caso del GLP-1, anche per la sua qualità di promozione della sazietà. Ad oggi, tuttavia, sono stati sviluppati solo farmaci basati sul GLP-1, mentre il possibile potenziale del GIP per il trattamento del diabete e dell'obesità è stato ostacolato dal suo ridotto effetto insulinotropico osservato nei pazienti con diabete (26), insieme a risultati che suggeriscono effetti di stimolazione del glucagone e effetti di deposizione dei lipidi di GIP (91) (92). Nonostante il fatto che GIP e GLP-1 in condizioni fisiologiche siano secrete e funzionino insieme, la stragrande maggioranza delle indagini precedenti si sono concentrate separatamente sui due ormoni. Recentemente, questa pratica è cambiata. Con i risultati promettenti degli analoghi del GLP-1 come sfondo, i farmaci che modulano entrambi i recettori delle incretine sono attualmente in fase di sviluppo con l'obiettivo di trattare l'obesità e il diabete in modo più efficiente rispetto al mono-agonismo del recettore del GLP-1 (GLP-1R) (93) (94) (95). È interessante notare che dati recenti provenienti da studi su animali suggeriscono effetti additivi o addirittura sinergici quando si combinano GIP e GLP-1 per il trattamento della 'diabesità' (96). Questi benefici sono mediati dal GLP-1R, un membro della famiglia di recettori accoppiati a proteine di classe B, che si esprime nelle cellule beta del pancreas, in vari tipi cellulari del tratto gastrointestinale e nei neuroni del sistema nervoso centrale e periferico (97). L'attivazione della segnalazione GLP-1R da parte degli agonisti del GLP-1R migliora il controllo del glucosio migliorando la secrezione di insulina stimolata dal glucosio (43) (27), ritardando il transito gastrico (98) (99), diminuendo i livelli di glucagone plasmatico (100) e riducendo il peso corporeo attivando vie anoressigeniche nel cervello (101). A causa della dipendenza glucidica dell'attivazione delle cellule beta, gli agonisti del GLP-1R non sono associati ad un aumentato rischio di ipoglicemia (102). Mentre i vasti benefici metabolici di questi agonisti GLP-1R hanno inserito questa classe nel trattamento del diabete mellito di tipo 2, molti pazienti non raggiungono i loro obiettivi glicemici e la perdita di peso ottenuta con questi agenti rimane ben al di sotto di quello che può essere raggiunto con la chirurgia bariatrica, il più potente intervento clinico per l'obesità (103). Per

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medicinali hanno approvato l'agonista GLP-1R liraglutide per il trattamento del sovrappeso e dell'obesità (104). In uno studio a lungo termine sull'uomo è stata osservata una migliore funzione delle cellule beta (105), ma la prevenzione della natura progressiva del diabete di tipo 2 sembra irraggiungibile con gli agonisti del GLP-1R e nella maggior parte dei casi è necessaria un'intensificazione del trattamento per mantenere gli obiettivi terapeutici. La perdita di peso ottenuta con il trattamento con agonisti di GLP-1R in pazienti obesi è significativa, ma sembra stabilizzarsi a 3-7 kg dopo 3-6 mesi (94) (106), che per molti pazienti è insufficiente per raggiungere il trattamento e gli obiettivi personali. L'aumento della dose di agonista GLP-1R per migliorare l'efficacia in pazienti con una riduzione della risposta al trattamento è associato a effetti indesiderati principalmente gastrointestinali come nausea, vomito e diarrea (53).

Pertanto, ci sono opportunità significative per migliorare la classe degli agonisti del GLP-1R esistente. Un approccio emergente è quello di combinare la terapia di base degli agonisti del GLP-1R con strategie farmacologiche mirate a percorsi aggiuntivi implicati nel metabolismo dei nutrienti e dell'energia, come il GIP (107). GIP è un ormone incretinico che viene secreto in risposta al cibo (108). I livelli GIP postprandiali sono circa 4 volte superiori rispetto al GLP-1 in condizioni fisiologiche normali (109). Il GIP è responsabile della maggior parte dell'effetto incretinico insulinotropico nell'uomo (108) (110) e ha importanti funzioni aggiuntive che sono distinte dal GLP-1. A differenza del GLP-1, il GIP può regolare sia la secrezione del glucagone sia dell’insulina a seconda delle condizioni di glicemia. In particolare, il GIP, stimola in modo dose dipendente la secrezione del glucagone durante l’ipoglicemia, mentre stimola la secrezione di insulina in condizioni di iperglicemia (111) (112) (113) (114) (92).

Storicamente, l'utilità terapeutica del GIP è stata limitata dal fatto che la risposta incretinica al GIP è gravemente attenuata nel diabete mellito di tipo 2, probabilmente a causa della downregulation del GIPR da parte del glucosio ad alta circolazione. Una notevole quantità di dati suggerisce, tuttavia, che la resistenza GIP può essere ampiamente superata dagli agenti che abbassano i livelli di glucosio circolante (115) (116), aprendo la strada a considerazioni del GIP come aggiunta a terapie ipoglicemizzanti, come il GLP-1. Mirare contemporaneamente sia al GIPR che al GLP-1R consentirebbe uno sfruttamento degli effetti antidiabetici additivi potenziali segnalati delle due incretine, che assomigliano alla risposta fisiologica nativa delle incretine (117). Le azioni di riduzione del peso del GLP-1

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combinate con un miglioramento più potente della funzione delle cellule beta potrebbero essere ottenute con dosi più piccole somministrate delle singole incretine, forse con meno effetti collaterali rispetto agli alti livelli di agonista GLP-1R necessari per ottenere effetti corrispondenti (117). Co-agonisti unimolecolari con affinità e attività recettoriali bilanciate potrebbero fornire un metodo pratico per pazienti obesi e/o diabetici con una singola iniezione di un doppio agonista invece di iniezioni con diversi monoagonisti. Inoltre, le iniezioni di doppio agonista sembrano più sicure per quanto riguarda i regimi di dosaggio corretti poiché due diverse iniezioni potrebbero potenzialmente essere mescolate. Una prospettiva farmacologica chiave per quanto riguarda i co-agonisti unimolecolari è che un peptide non può occupare simultaneamente più di un recettore, ma esibisce la capacità di stimolare ciascuno dei diversi recettori pur mantenendo le dimensioni e le caratteristiche native o equivalenti degli ormoni naturali (Fig.14 (118)) (119).

Fig.14 Agonisti selettivi del recettore del glucose-dependent insulinotropic peptide (GIPR) e del recettore del glucagon-like peptide-1 (GLP-1R) e co-agonisti del GIPR / GLP-1.

Pertanto, il trattamento con co-agonisti unimolecolari sarà presumibilmente associato a livelli di occupazione dei recettori inferiori rispetto al trattamento con semplici agonisti del GLP-1R e, di conseguenza, a una ridotta esposizione al farmaco. È importante sottolineare che i risultati dell'abbassamento HbA1c del co-agonista GIP/GLP-1 nell'uomo con diabete di tipo 2 sono stati raggiunti senza segnalazioni di nausea persistente (96).

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