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“Hamburger e dintorni”, In: Il Nostro Giornale, 25 dicembre 2020, p. 35

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Il nostro Giornale

25 DICEMBRE 2020

M

i ero occupato qual-che tempo fa di di-verse voci salentine legate alla denominazione di carni e insaccati (sardizze, sèrvule, purpette, salami, mboti...)1.

Erano rimaste in disparte le ‘schiacciatine’ che definiscono un (sotto-)campo semantico altrettanto interessante. Ecco però che la cro-naca e le politiche commerciali, anche in tempi di più gravi preoccupazioni, me ne dànno lo spunto2.

Il salentino amburghe è un buon adatta-mento della voce che è entrata in italiano per tramite dell’inglese americano, creando un doppione coll’etnico che designa gli abitanti della città europea di Amburgo (Hamburg in tedesco). Le varie grafie con cui s’incontra questa voce oggi in italiano per indicare il prodotto culinario hamburger rendono conto delle difficoltà delle comunità linguistiche più chiuse a trattare con le lingue straniere. Si hanno quindi, graficamente, anche “ham-burgher” e “am“ham-burgher”, almeno. Nel parlato invece s’impone esclusivamente una pronuncia del tipo “ambùrgherre”, di fronte alla quale la forma salentina più conservativa dimostra una maggiore, autentica, onestà.

Gli apprezzati insaccati e le carni prodotte alla moda di quanto si faceva nella città tedesca hanno riscosso una certa fortuna in Europa e poi oltreoceano (dal XIX sec. secondo OED > LEXICO), al punto che anche

noi, dal dopoguerra in qua (dal 1963), alle nostrane schiacciatine di carne macinata (i “medaglioni” di alcune regioni), abbiamo

preferito questi preparati e queste denomina-zioni innovative. Uno dei principali contributi americani è stato poi quello d’incoraggiare un traslato, per cui dalla schiacciatina contenuta in un panino, in molti casi gli americani hanno cominciato a credere che fosse que-st’ultimo a chiamarsi così. Lo stesso hanno fatto alcuni italiani (il fenomeno è sfuggito anche al più completo dizionario italiano del-l’uso, il GRADIT, ma non al SABATINI-COLETTI).

Tuttavia un’etimologia popolare dei nostri amici statunitensi ha portato alla discrezione di un primo elemento di una parola ritenuta

composta: i precoci consumatori del fast food (e dello smart and light thinking) di qualche generazione fa hanno sentito un componente

ham in questa parola che rievocava elementi

gastronomici affini (ingl. ham = prosciutto) e hanno accorciato in burger il nome del panino (ham-burger = panino al prosciutto!?). Dagli anni ’80 hanno cominciato a nascere, quindi, le celebri “macedonie linguistiche” che portano a cheese-burger e simili.

La polemica di queste settimane sulla con-correnza sleale che i produttori di carni hanno rivolto alle aziende alimentari di prodotti vegani e il mancato accogli-mento nelle sedi istituzionali europee delle richieste di as-sociazioni e gruppi politici di orientamento ambientalista e

green hanno fatto emergere

al-cuni pasticci linguistici che si sono determinati in questo cam-po. Superati i vari passaggi dell’iter di approvazione, po-trebbe essere quindi autorizzata nei Paesi membri la possibilità di continuare a usare espressioni come veggie-burger (=

ham-burger veg(etari)ano), anche

per preparati che non conten-gono tracce di proteine animali, mentre forse l’equivalente in ambito caseario non sarà pos-sibile. Le associazioni dei pro-duttori di latte dovrebbero essere riuscite a fare in modo che la parola “latte” non possa più essere impiegata nel caso di ‘latte di soia’ etc. Nella denominazione com-merciale di questi prodotti, “latte” dovrà essere sostituito da una parola meno ingannevole sul piano dell’origine degli ingredienti. Si tratta in questi casi di discussioni che fanno sorridere il linguista che si attarda su questioni di dia-lettologia e storia della lingua (e sa ad es. come mai si è passati a chiamare “mucca” la ‘vacca’), ma creano un discreto grattacapo per i militanti nel campo delle politiche lin-guistiche che devono offrire consulenze riso-lutorie a molti sprovveduti politici tirati per la giacca da lobby economiche linguisticamente e culturalmente trasversali. Cosa accadrà al tanto apprezzato “burro di arachidi” dei fan europei dell’alimentazione Made in USA? Cosa ne sarà delle “cagliette piemontesi”? O delle nostre “polpette di melanzana”?

Antonio romano

Università degli Studi - Torino

35

Hamburger e dintorni

1 Tra gli altri, cfr. A. ROMANO (2019), Vocabolario italo-salentino, “Presenza Taurisanese”: schede XI 48-52 (a. XXXVII, n. 312 – giu. 2019), p.

10; schede XIII 60-66 (a. XXXVII, n. 314 – ago.-set. 2019), p. 10.

2 Il 22 ottobre 2020 era stata inserita ne “La Stampa” di Torino una pagina dedicata a un appunto linguistico che le associazioni di produttori di

carni italiane rivolgevano al mercato veggie, chiedendo alle aziende di prodotti vegetariani di non chiamare hamburger le loro schiacciatine vegane e di non usare la parola latte per riferirsi a prodotti a base di soia e simili (ponendo in questo modo un veto anche a comuni designazioni di lunga data, come il nostro “latte di mandorla”?). La faccenda era in discussione al Parlamento Europeo che il giorno seguente avrebbe poi rigettato alcuni emendamenti alla legge in approvazione sulle denominazioni dei prodotti agro-alimentari, facendo lievitare le discussioni sulle più importanti te-state giornalistiche internazionali (e facendo affiorare le solite mezze verità narrative anti-informative nelle notizie dei nostri media nazionali).

Illustrazione di Isabella Bleve

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