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Boccaccio, Virgilio e la Madonna di Piedigrotta

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Destini Incrociati

n° 7

e Alessandra Perriccioli Saggese (a cura di)

Boccaccio angioino

Materiali per la storia culturale

(3)

6

Toute représentation ou reproduction intégrale ou partielle faite par quelque procédé que ce soit, sans le consentement de l’éditeur ou de ses ayants droit, est illicite. Tous droits réservés.

© P.I.E. PETER LANG S.A.

Éditions scientifiques internationales Bruxelles, 2012

1 avenue Maurice, B-1050 Bruxelles, Belgique www.peterlang.com ; info@peterlang.com Imprimé en Allemagne

ISSN 2031-1311

ISBN 978-90-5201-825-6 D/2012/5678/29

Information bibliographique publiée par « Die Deutsche Nationalbibliothek » « Die Deutsche Nationalbibliothek » répertorie cette publication dans la « Deutsche Nationalbibliografie » ; les données bibliographiques détaillées sont disponibles sur le site http://dnb.d-nb.de.

Seconda Università di Napoli e col contributo del Dipartimento di Studio delle componenti culturali del territorio e della Facoltà di Lettere e Filosofia.

Si ringraziano Antonello Frongia ed Eliseo Saggese per il prezioso aiuto offerto.

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Premessa ... 11

In forma di libro: Boccaccio e la politica degli autori ... 15

Giancarlo Alfano

Note sulla sintassi del periodo nel Filocolo di Boccaccio ... 31

Simona Valente

Appunti di poetica boccacciana: l’autore e le sue verità ... 47

Elisabetta Menetti

La “bona sonoritas” di Calliopo: Boccaccio a Napoli,

la polifonia di Partenope e i silenzi dell’Acciaiuoli ... 69

Roberta Morosini

«Dal fuoco dipinto a quello che veramente arde»: una poetica in forma di quaestio nel capitolo VIII

dell’Elegia di Madonna Fiammetta ... 89

Concetta Di Franza

Boccaccio e Sannazaro (angioini) ... 103

Carlo Vecce

Boccaccio in Cina ... 119

Jun Wang

Fonti francesi di Boccaccio napoletano? ... 127

Marcello Barbato e Giovanni Palumbo

«je qui li livre escrive de letre en vulgal»:

scrivere il francese a Napoli in età angioina ... 149

Fabio Zinelli

La scrittura della storia a Napoli

negli anni del Boccaccio angioino ... 175

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della Commedia in età angioina ... 203

Andrea Mazzucchi

L’“Inferno” e Napoli. Spazi personaggi e miti della catabasi

negli antichi commenti danteschi ... 219

Gennaro Ferrante

Cultura medica a Napoli nel XIV secolo ... 251

Iolanda Ventura

Boccaccio e l’arte. La novella di Andreuccio da Perugia

(Decameron, II, 5) e il sepolcro di Filippo Minutolo ... 289

Francesco Aceto

L’incontro di Boccaccio e Fiammetta in San Lorenzo Maggiore a Napoli: un’ipotesi di ricostruzione

del coro dei frati nel XIV secolo ... 303

Alessandra Rullo

Per la miniatura a Napoli al tempo di Boccaccio:

il ms. Lat. Z 10 della Biblioteca Marciana ... 317

Andrea Improta

Boccaccio, Virgilio e la Madonna di Piedigrotta ... 329

Stefano D’Ovidio

Romanzi cavallereschi miniati a Napoli al tempo del Boccaccio ... 347

Alessandra Perriccioli Saggese

Le illustrazioni del Teseida dei Girolamini di Napoli ... 357

Linda Gabriele

«Occhi piangete»: note sull’Ars nova a Napoli ... 369

Pedro Memelsdorff

Indice dei manoscritti ... 387 Indice dei nomi ... 393

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e la Madonna di Piedigrotta

Stefano

D’O

VIDIO

Università di Napoli “Federico II”

Nell’Epistola napoletana di Giovanni Boccaccio il fittizio mittente Iannetto de Parise, alter ego dell’autore, scrivendo in dialetto napoletano all’amico Franceschino de’ Bardi, si lamenta con lui che il comune amico, «l’abbate Ja’ Boccaccio», sprechi il suo tempo a scrivere, prendendolo persino in giro ogni volta che provava a richiamarlo ai suoi doveri. Il rammarico di Iannetto era sincero e poteva giurarlo in nome della Madonna di Piedigrotta: «Non saccio pecchéne lo fa chesso, ma pella Donna de Pederotto pesamménde (Non so perché faccia così, ma per la Madonna di Piedigrotta me ne dispiace)».1 Si tratta della più

anti-ca menzione della Madonna di Piedigrotta (tav. XX) che, almeno dal XVI secolo, si venera a Napoli in una scultura lignea realizzata, negli stessi anni in cui Boccaccio frequentava la capitale angioina, nella botte-ga del maggiore scultore attivo in città, il senese Tino di Camaino.2 Ma è

proprio questa immagine che Iannetto aveva in mente quando esclamava in nome della Madonna di Piedigrotta? Anche a voler escludere il riferimento a un’immagine, è comunque lecito riscontrare nella colorita invocazione dialettale registrata da Boccaccio una prova della popolarità di Piedigrotta, evidentemente già così radicata nella devozione dei na-poletani da essere entrata nel gergo comune?3

1 Sull’Epistola napoletana di Boccaccio cfr. Sabatini F., «Prospettive sul parlato nella

storia linguistica italiana (con una lettura dell’«Epistola napoletana» del Boccaccio)», in Italia linguistica: idee, storia, strutture, a cura di Albano Leoni F., Bologna, il Mulino, 1983, p. 167-222: 178-191.

2 D’Ovidio S., «La Madonna di Piedigrotta tra storia e leggenda», in Rendiconti

dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli, LXXIV (2006-2007),

p. 47-91: 57-60.

3

È questa l’opinione di Scherillo G., «La reale chiesa di Santa Maria di Piedigrotta», in Annali Civili del Regno delle Due Sicilie, XLII (1853), p. 1-36: 9-10 e di Nicolini F., «La Madonna di Piedigrotta e Giovanni Boccaccio», in Bollettino dell’Archivio

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Per rispondere a questi interrogativi bisogna chiedersi cosa rappresentasse Piedigrotta per un napoletano di primo Trecento. Oltre al santuario mariano, meta di pellegrinaggio già al tempo di Boccaccio come attesta Petrarca nel suo Itinerarium Syriacum, la zona esercitava un forte richiamo per la presenza d’importanti vestigia d’età romana: la presunta tomba di Virgilio (tav. XXIa) che, com’è noto, riveste un significato speciale nella poetica di Boccaccio, e la Crypta Neapolitana (tav. XXII), il lungo tunnel scavato nella collina di Posillipo per agevolare le comunicazioni tra Napoli e i Campi Flegrei e che, ricorda la contemporanea Cronaca di Partenope, era attribuito allo stesso poeta latino che l’avrebbe fatto costruire come accesso ai frequentati Bagni di Pozzuoli, altra opera mirabile compiuta in città da Virgilio “mago”. In questo intervento mi propongo di ricostruire la fisionomia originaria di Piedigrotta e la percezione che se ne aveva al tempo del soggiorno napoletano di Boccaccio, con l’obiettivo di restituire alle parole del poeta la giusta prospettiva storica e comprendere il ruolo svolto da questo luogo nel suo percorso biografico e artistico.

La Crypta Neapolitana

Il visitatore odierno avrà certo difficoltà a riconoscere nel fitto tessuto edilizio di Piedigrotta i tratti distintivi di un paesaggio che agli occhi di Boccaccio appariva ancora privo di significative emergenze architettoniche. Allontanata dal mare per effetto della bonifica del 1883, la chiesa un tempo accessibile dalla spiaggia appare oggi quasi defilata all’angolo di un trafficato incrocio stradale. Il ponte ferroviario della vicina stazione di Mergellina ha interrotto la secolare continuità visiva tra l’edificio e la Crypta alle sue spalle, rimasta in uso fino al 1885 e oggi non più praticabile. Una ricca documentazione letteraria e icono-grafica, incrociata ai dati di natura archeologica e topoicono-grafica, consente tuttavia di ricostruire abbastanza fedelmente l’aspetto del sito nelle sue differenti fasi storiche.

Prima della costruzione della Crypta nel tardo I secolo a. C., la collina di Posillipo con la sua impervia mole rocciosa rappresentava un ostacolo alle comunicazioni tra Napoli e i Campi Flgrei, raggiungibili solo per mare o attraverso la via per colles, che dalle mura dell’antica Neapolis s’inerpicava sulla collina del Vomero, scavalcandola a occi-dente per poi riscendere verso Agnano e Pozzuoli.4 L’apertura della

Storico del Banco di Napoli, III (1956-1957), p. 320-323.

4 Johannowsky W., «Contributi alla topografia della Campania antica», in Rendiconti

dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli, XXVII (1952), p.

83-146: 114-118, 133-135. Sulla Crypta Neapolitana cfr. anche: Napoli M., «Topografia e archeologia», in Storia di Napoli, I, Napoli, Società editrice Storia di Napoli, 1967, p. 375-507: 455-458, 482-483; Capasso M., Il sepolcro di Virgilio, Napoli, Giannini,

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Crypta determinò lo sviluppo di una nuova direttrice stradale lungo la linea di costa, servendo un’area d’importanza strategica in età tardo-repubblicana e imperiale per la presenza del porto militare dell’Averno, poi abbandonato in favore di Miseno, e del grande scalo commerciale di Pozzuoli. La Crypta s’inseriva così in un articolato sistema d’infra-strutture che, sfruttando le caratteristiche naturali del suolo, prevedeva la creazione di altre gallerie scavate nella morbida roccia tufacea tra Cuma, l’Averno e Lucrino, cui si aggiunsero anche la galleria che conduceva alla villa imperiale di Posillipo e l’acquedotto del Serino, che attraver-sava la collina in un cunicolo parallelo alla Crypta.5 La configurazione

attuale del traforo è il risultato di successive trasformazioni che a partire dal XV secolo ne hanno alterato la struttura originaria. Le modifiche riguardarono soprattutto l’ingresso orientale, ampliato in età aragonese e vicereale per consentire un migliore accesso dal lato di Napoli e garan-tire una maggiore illuminazione.6 Fu così creato l’ampio fornice che

1983, p. 23-26, nota 6, con bibliografia; Frederiksen M., Campania, with additions by Purcell N., London, British School at Rome, 1984, p. 334; Trapp J. B., «The grave of Vergil», in The Journal of The Warburg and Courtald Institutes, XLVII (1984), p. 1-31: 6-7; I Campi Flegrei: un itinerario archeologico, Venezia, Marsilio, 1990, p. 36-44; Bodon G., «Dalla “grotta” alla “via sotterranea”. Le gallerie romane fra mito e cultura antiquaria», in Via per montes excisa. Strade in galleria e passaggi

sotterranei nell’Italia romana, a cura di Busana M. S., Roma, «L’Erma» di

Bretschneider, 1997, p. 1-55; Zanovello P., «Vie di montagna e passaggi in galleria nelle fonti letterarie ed epigrafiche», ivi, p. 57-79; Busana M. S. e Basso P., «Le strade in galleria nell’Italia romana», ivi, p. 83-277; Viggiani C., Storie di

Geotecnica, Benevento, Hevelius, 2011, p. 36-47; D’Ovidio S., «The Crypta

Neapolitana: perceptions of a Roman tunnel throughout history», in The legacy of

antiquity: perceptions of the classics throughout history, Confrence Proceedings

(University of St. Andrews, 30th March-1st April 2006) edited by Kouneni L., Cambridge Scholars Press, in corso di stampa.

5 Johannowsky W. «Contributi…», cit., p. 134. Sulle gallerie romane in area flegrea

cfr. Busana M. S., Le strade in galleria…, cit.

6

Johannowsky W. «Contributi…», cit., p. 114. I lavori d’età aragonese sono attestati da tre cedole di pagamento del 1456 citate da Minieri Riccio C., «Alcuni fatti di Alfonso I di Aragona», in Archivio Storico per le Province Napoletane, VI (1881), p. 447, 449, da cui risulta che l’ingresso orientale della Crypta fu ampliato e il suo piano di calpestio portato a quota inferiore. Furono inoltre allargati i pozzi di luce collocati in prossimità degli ingressi. Lavori di ampliamento sono inoltre documentati al tempo del viceré don Pedro de Toledo, come ricordava anche l’i-scrizione sulla tomba dell’architetto Ferdinando Manlio, responsabile dell’intervento (cfr. de Stefano P., Descrittione dei luoghi sacri della città di Napoli, con li fondatori

di essi, reliquie, sepolture et epitaphii scelti che in quelle si ritrovano. Opera non meno dilettevole che utile, Napoli, appresso Raymondo Amato, 1560, f. 51r, edizione a cura di D’Ovidio S. e Rullo A., url: <http://www.memofonte.it/home/ files/pdf/guide_destefano.pdf>, dicembre 2007, p. 64. Un ulteriore restauro fu promosso da Carlo I di Borbone. L’attuale sistemazione dell’ingresso orientale della

Crypta si deve a Gino Chierici, cfr. Chierici G. «Il consolidamento della tomba di

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tuttora caratterizza l’ingresso di Piedigrotta, di altezza pressoché tripla rispetto a quello antico che non superava i quattro metri. Meglio con-servato l’accesso dal lato di Pozzuoli, in seguito denominato Fuori-grotta, che, alto poco più di diciotto metri, costituiva l’ingresso prcipale della galleria. A eccezione dei due brevi tratti adiacenti agli in-gressi, il tunnel, lungo in totale settecentoundici metri, aveva un’altezza media inferiore ai cinque metri e una larghezza di poco superiore ai quattro metri, giusto lo spazio necessario al passaggio di due carri nelle opposte direzioni.7

La conoscenza della Crypta in età antica si avvale di importanti fonti letterarie e visive. Strabone, che la attraversò a distanza di pochi anni dalla sua apertura, ne attribuisce la costruzione allo stesso architetto della Crypta romana di Cuma, quel Cocceio il cui nome sarebbe stato riscoperto solo nel XV secolo.8 Le opere appena realizzate da Agrippa

nei Campi Flegrei apparivano al geografo greco come una spettacolare alterazione dell’ambiente circostante, segno – osserva Martin Frede-riksen –, della grandiosa «magnitudo animi of its creators».9 Ben diversa

l’opinione di Seneca, che in una celebre lettera a Lucilio descrive la Crypta come un carcere tetro dall’aria irrespirabile.10 Due soli lucernari

la costruzione dell’arco in muratura della Crypta, necessario a garantire l’accesso alla tomba di Virgilio, e un sensibile innalzamento del piano di calpestio dell’ingresso.

7 Viggiani C., «Storie…», cit., p. 11-21.

8 Strabo, Geographica, V, 4, 5-7 (cfr. Biffi N., L’Italia di Strabone. Testo traduzione e

commento dei libri V e VI della Geografia, Genova, Dipartimento di archeologia,

filologia classica e loro tradizioni, 1988, p. 104-109). Il ritrovamento dell’opera di Strabone nel XV secolo determinò la riscoperta del nome dell’architetto Cocceio, immediatamente registrata da Francesco Pucci, bibliotecario di Ferrante d’Aragona, in una lettera del 1484 a Bernardo Michelozzi (cfr. De Marinis T., La Biblioteca

napoletana dei re d’Aragona, Milano, Hoepli, 1947-1952, vol. II, p. 254-255). Fu

così stabilita l’identità del costruttore, che risultava ancora ignota a Biondo Flavio (cfr. D’Ovidio S., «The Crypta Neapolitana…», cit.). In seguito lo stesso Cocceio fu identificato nell’omonimo architetto responsabile del Tempio di Augusto a Pozzuoli, come ricorda un’iscrizione oggi nel Museo Archeologico di Baia. Fondate perplessità su questa identificazione sono state avanzate da Zevi. F., «Il Tempio di Augusto a Pozzuoli: una nota», in Scritti di Storia dell’arte in onore di Raffaello Causa, Napoli, Electa Napoli, 1988, p. 29-36. Su questo problema cfr. anche Valeri C., Marmora

Phlegrea. Sculture del Rione Terra di Pozzuoli, Roma, «L’Erma» di Bretschneider,

2005, p. 40-41.

9 Frederiksen M., Campania…, cit., p. 334. 10

Seneca, Ad Lucilium Epistulae Morales, LVII. Per un’ipotesi sul giudizio di Seneca,

in parte condizionato dalla sua esperienza negativa nei Campi Flegrei, cfr. Gigante M., «Civiltà letteraria nei Campi Flegrei», in Campi Flegrei, a cura di Alisio G., Napoli, Franco Di Mauro Editore, 1995, p. 32-33. Sull’uso del termine “carcer” nell’accezione di “passaggio angusto” cfr. Zanovello P., «Vie di montagna…», cit., p. 63. Le osservazioni di Seneca circa l’oscurità del tunnel contrastano con quelle di Strabone, al quale appariva invece ben illuminato. La circostanza ha indotto alcuni studiosi a ritenere che il geografo si riferisse alla galleria che conduceva alla villa

(10)

aperti in prossimità degli ingressi consentivano, infatti, una scarsa illuminazione e aerazione del tunnel, invaso dalla polvere sollevata di continuo dal passaggio dei carri. Nonostante le difficoltà connesse all’attraversamento della galleria, oscura e male aerata, la Crypta svolgeva una funzione strategica nel sistema viario locale come conferma la Tabula Peutingeriana, che la segnala con una vignetta raffi-gurante un monte stilizzato aperto su due lati (tav. XXIb).11 Non

sus-sitono prove, invece, circa la presunta destinazione sacra della Crypta in età antica. Dubbia è l’identificazione del tunnel con la crypta menziona-ta da Petronio in una famosa scena del Satyricon,12 mentre il solo

ritro-vamento di un rilievo raffigurante Mitra Tauroctono del III sec. d. C. – recuperato durante i lavori di ristrutturazione del tunnel condotti in età aragonese e oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli – non è sufficiente a ritenere che la galleria fosse in qualche modo collegata al culto della divinità orientale.

Fino al XII secolo non si registrano notizie sull’uso della Crypta, che tuttavia dovette essere adoperata senza soluzione di continuità come alternativa alla più sicura ma lunga via per colles. Intorno al 1167, il traforo è percorso dal rabbino Beniamino di Tudela che, dopo aver fatto tappa a Capua, si dirige verso Napoli passando per i Bagni di Pozzuoli, le cui proprietà terapeutiche – racconta nel suo Itinerario – «attraevano tutti gli infermi di Lombardia, che li visitano in estate con questo proposito».13 Il percorso nel buio meandro della collina doveva essergli

apparso più lungo di quanto fosse in realtà se, come annota: «da questo luogo si può viaggiare per quindici miglia lungo una strada costruita sotto le montagne». Una distanza che risulterebbe meno eccessiva considerando l’intero percorso della via per cryptas fino a Cuma. Secon-do Beniamino la costruzione del tunnel si Secon-doveva a Romolo che, infor-mava il Libro di Yosippon, cronaca universale di storia ebraica redatta in

imperiale di Pausylipon, ma è più verosimile pensare a diverse condizioni di luce durante l’attraversamento (cfr. Johannowsky W., «Contributi…», cit., p. 133), di cui resta traccia anche nella Cronaca di Partenope (cfr. infra).

11 Levi A. e M., Itineraria picta. Contributo allo studio della Tabula Peutingeriana,

Roma, «L’Erma» di Bretschneider, 1967, p. 17-23, 131-32; Bosio L., La Tabula

Peutingeriana, una descrizione pittorica del mondo antico, Rimini, Maggioli, ca.

1983, p. 118-119; Mangini M., «In viaggio lungo le strade della Tabula Peutingeriana», in Tabula Peutingeriana. Le antiche vie del mondo, a cura di Prontera F., Firenze, Olschki, 2003, p. 7-15: 14, sebbene l’autore confonda la Crypta

Neapolitana con la crypta romana di Cuma.

12 Petronio, Satyricon, XVII. Cfr. Rose K. F. C., «Time and place in the Satyricon», in

Transactions and Proceedings of the American Philological Association, edited by

Prakken D. W., XCIII (1962), p. 402-409: 405.

13

Binyamin da Tudela, Itinerario, traduzione, introduzione, note e appendice a cura di Busi G., Rimini, Luisé, 1988, p. 21. Cfr. anche Benjamin da Tudela, Libro di Viaggi, a cura di Minervini L., Palermo, Sellerio, 1989, p. 46.

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Italia meridionale intorno alla metà del X secolo, fece costruire possenti fortificazioni per timore di un attacco da parte di re David.14 Per il

rab-bino di Tudela non poteva non essere questa la funzione delle spetta-colari opere dell’antichità da lui viste «sia sopra sia sotto le montagne fino alla città di Napoli».

La Crypta Neapolitana nella leggenda virgiliana

Il caso di Beniamino dimostra come la percezione della Crypta dipenda inevitabilmente dal codice culturale di riferimento di chi ne faceva esperienza diretta. Se per un viaggiatore di cultura ebraica il traforo poteva testimoniare la supremazia di Israele sulla nascente Roma, a un chierico inglese di raffinata cultura classica come Gervasio di Tilbury appariva legato al ricordo di Virgilio. Gervasio era giunto a Napoli nell’estate del 1189 o 1190 per soggiornare in una villa nei pressi di Nola, ricevuta in dono mentre era al servizio del re di Sicilia Guglielmo II d’Altavilla.15 Nel terzo libro dei suoi Otia Imperialia,

composti a distanza di circa vent’anni per l’erudizione e lo svago del suo nuovo protettore, l’imperatore Ottone IV, la Crypta è inclusa tra le mirabilia lasciate in città da Virgilio, dei cui effetti benefici era stato lui stesso testimone. Dieci dei primi venti capitoli del libro, «una sorta di enciclopedia delle meraviglie del mondo e della natura sotto forma di racconti e storiette»,16 illustrano con dovizia di particolari i talismani e le

opere di pubblica utilità che Virgilio aveva realizzato a vantaggio della città. Nel capitolo intitolato De rupe incisa quae nullas admittit insidias, la Crypta è presentata come «una galleria naturale tanto lunga che chi giunge nel centro a stento può vedere le due estremità».17 Nonostante

l’oscurità che vi regnava, nessuno sarebbe stato in grado di commettervi

14 Manca una traduzione italiana del testo ebraico. Per l’edizione latina cfr. Josippon,

sive Josephi Ben-Gorionis Historiae Judaicae Libri Sex. Ex Hebraeo Latine vertit,

Praefatione et Notis illustravit Johannes Gagnier A. M., Oxonii, E Theatro Sheldoniano, 1706, p. 7. Per l’edizione critica del testo ebraico cfr. Flusser D., Sēfer

Yōsipōn, Jerusalem, The Bailik Institute, 1978-80. Sull’autore cfr. Sela S.,

«Yōsipōn», in The Medieval Jewish Civilization. An Encyclopedia, edited by Roth N., New York and London, Routledge, 2003, p. 377-380.

15 Gervase of Tilbury, Otia Imperialia. Recreation for an Emperor, edited and

translated by Banks S. E. and Binns J. W., Oxford, Clarendon Press, 2002, p. XXVIII.

16

Le Goff J., «Préface», in Gervais de Tilbury, Le Livre des Merveilles. Divertissement

pour un Empereur (Troisième partie), traduit et commenté par Duchesne A., Paris,

Les Belles Lettres, 1992, p. XI. Cfr. anche Id. L’imaginaire médiévale, Paris, Gallimard, 1985, p. 27 (trad. it. L’immaginario medievale, a cura di Salmon Vivanti A., Roma, Laterza, 1990).

17 Gervasio di Tilbury, Il libro delle meraviglie, a cura di Bartoli E., Pisa, Pacini, 2009,

(12)

alcun delitto e ciò, osserva Gervasio, «operatus est Virgilius» per la sua perizia in «arte mathematica».

È dunque con Gervasio di Tilbury che la Crypta Neapolitana entra nel novero delle leggende virgiliane. Si tratta, come è noto, di una serie di racconti che presentavano il poeta latino alla stregua di un mago, artefice di prodigi nei luoghi legati alla sua biografia: Napoli, dove attestava la diffusissima Vita Vergilii il poeta aveva vissuto ed era stato sepolto, ma anche Roma, dove si annoveravano altre mirabilia attribuite a Virgilio. Non è possibile affrontare in questa sede l’intricata questione circa le origini di una delle più fortunate leggende medievali, ancora oggetto di dibattito tra gli studiosi.18 Mi limiterò quindi a riassumere

al-cuni aspetti del problema per meglio comprendere la posizione di Ger-vasio e le sue conseguenze sulla fortuna della Crypta nel medioevo. I racconti sulle arti magiche di Virgilio compaiono quasi all’improvviso sullo scorcio del XII secolo con una diffusione limitata alle regioni dell’Europa settentrionale, in particolare Francia, Inghilterra e Germa-nia, per poi essere recepiti con molto ritardo anche in Italia, non prima del XIV secolo. I racconti più antichi, che ricorrono in testi filosofici quali il Polycraticus di Giovanni di Salisbury e il De naturis rerum di Alessandro Neckam, hanno valore di exempla, servono cioè a illustrare e comprovare un principio morale, e presuppongono un’interpretazione di Virgilio basata su una concezione sapienziale della poesia, per cui il poeta è depositario di una sapienza recondita, capace di districarsi nei misteri della natura. Illuminante in tal senso la definizione di mirabilia offerta da Gervasio: «meravigliose chiamiamo quelle cose che sfuggono al nostro intendimento, quantunque siano naturali. Le rende mirabili l’ignoranza del perché così siano».19 Sembra quindi ormai superata la

tesi di Domenico Comparetti, che individuava l’origine delle leggende virgiliane in racconti popolari appresi direttamente a Napoli da viaggia-tori stranieri. Al contrario, il mito di Virgilio “mago” nasce come mito colto, originatosi nel contesto della cosiddetta Rinascenza del XII secolo e alimentato dall’esperienza diretta dei luoghi legati alla biografia del

18

Sulla leggenda virgiliana, oltre al classico Comparetti D., Virgilio nel medioevo, Firenze 1895, edizione a cura di Pasquali G., Firenze, La Nuova Italia, 1941, vol. II, cfr. Spargo J., Virgil the necromancer, Cambridge, Harvard University Press, 1934 e più di recente Bronzini G. B., «Tradizione culturale e contesto sociale delle leggende virgiliane nell’Italia meridionale», in Lares, XLIX (1983), p. 511-548; Vitolo G., «Nel laboratorio della storia. I medici di Salerno, le terme di Baia-Pozzuoli e la leggenda virgiliana di Napoli», in Rassegna Storica Salernitana, XLVI (2006), p. 43-73: 49-53; The virgilian tradition. The first fifteen hundred years, edited by Ziolkowsky J. M. and Putnam M. C. J., New Haven and London, Yale University Press, 2009: 825-1024 (ringrazio Francesco Montuori per avermi segnalato quest’ultimo testo).

(13)

poeta da parte di raffinati intellettuali di provenienza nord-europea. È questo il caso del vescovo e diplomatico tedesco Corrado di Querfurt, che in una lettera al priore dell’abbazia di Hildesheim descrive le mira-bilia compiute a Napoli da Virgilio, che tuttavia non avevano impedito la conquista della città da parte di Enrico VI,20 e dello stesso Gervasio di

Tilbury al quale si deve la più antica raccolta sistematica di leggende virgiliane.

Fino alla Cronaca di Partenope, che tra le sue fonti annovera gli Otia Imperialia esplicitamente citati, Gervasio è l’unico autore a presentare la Crypta come un’opera di Virgilio. Al poeta latino, come si è visto, non è attribuita la costruzione del traforo bensì la sua invio-labilità, una caratteristica che trova riscontro in tempi più vicini a Boc-caccio sia nella citata Cronaca di Partenope sia nell’Itinerarium Syricaum di Francesco Petrarca, che aggiunge con una punta di scetticismo «si vera populi vox est».21 Petrarca descrive il tragitto

all’in-terno della galleria come un «iter mirum et quasi religioni proximum». Come ha osservato Giovan Battista Bronzini in un articolo a carattere storico-antropologico sulle leggende virgiliane,22 l’inviolabilità della

Crypta rappresentava la condizione sine qua non della sacralità del luo-go ed era necessaria alla sua funzionalità. La principale funzione del traforo, assicura il cronista napoletano della Cronaca di Partenope, era quella di consentire l’accesso ai Bagni di Pozzuoli, altra mirabile opera di pubblica utilità attribuita a Virgilio:

Avendo ancora lo ditto poeta advertenza alle fatiche e tedii de li cittadini di Napoli, che voleano gire spisso a Pizzuolo et a li bagni sovrascritte di Baia per li arbustri di un monte durissimo, lo quale era principio di affanno a quelli che volevano passare lo sovraditto monte, tanto da capo quanto da piede fe’ aperire innansi che ce comenenzasse la grotta. E considerando per geometria con una mesura per poter cavare sotto di questo monte, ordinò che fosse forato e cavato il monte preditto, fe’ fare una cava overo grotta di longezza e di largezza con tanta subtilità ordinata che la mità de la ditta grotta per lo nascimento del sole lucie da parte di levante da la matina perfi’ a mezzodì e da mezzodì perfi’ a la posta del sole lucie l’altra mità de la parte di ponente. Et imperoché il luogo era tenebroso et obscuro, e per questo a quelli che passavano pareva male siguro, in tal disposizione di pianeti e cursi di stelle fo la detta grotta cavata e di tale grazia dotata, che in niuno tempo non di guerra e non di pace fo fatto mai atto disonesto, né per omicidio, né per robaria, né per sforzamento di femene, senza timore né

20

The virgilian tradition…, cit., p. 848-851.

21

Petrarchae F., Itinerarium ad sepulcrum Domini nostri Iesu Cristi ad Iohannem de Mandello, a cura di Lo Monaco F., Bergamo, Lubrina, 1990, p. 60.

(14)

suspizione a quelli che ce passano e non se nce po’ ordinare imboscamento; e questo è provato et indutto perfi’ ’a nostri tempi.23

È questa la più antica descrizione finora nota della Crypta da parte di un osservatore napoletano. Le considerazioni circa l’utilità del traforo, necessario a valicare il «durissimo monte» che separava la città da Pozzuoli, la sua diversa illuminazione durante le ore del giorno e la possibilità di attraversarlo in sicurezza, ottenute grazie alla sapienza fuori dal comune del suo leggendario architetto versato nelle arti della geometria e dell’astronomia, denotano lo sforzo interpretativo del cronista che mette a frutto la consuetudine col monumento e le notizie tratte dagli Otia Imperialia e dalle altre fonti a lui disponibili. L’imma-gine della Crypta che se ne ricava è quella di un’opera eccezionale finalizzata al beneficio dei cittadini, la cui costruzione insieme alle altre mirabilia napoletane attribuite a Virgilio appariva come una testimonianza tangibile dell’illustre passato della città. La leggenda di Virgilio “mago”, mutuata dalla trattatistica medievale, diveniva così per l’autore della Cronaca, primo esempio di storiografia cittadina, uno strumento per illustrare la storia antica della Napoli pagana, allo stesso modo in cui il racconto sulla venuta in città di san Pietro, tratto dal cosiddetto Chronicon di Santa Maria del Principio, un testo liturgico composto intorno al 1313 sulla base di più antiche fonti agiografiche,24

consentiva di presentare entro la cornice narrativa della Cronaca le più antiche vicende della Napoli cristiana. Due miti, quello di Virgilio “mago” e della fondazione apostolica della chiesa napoletana, che tra-discono un intento di emulazione, se non di competizione, con Roma, che rimarrà un tratto distintivo della storiografia napoletana nei secoli successivi. A testimonianza della fortuna goduta a Napoli dalla leggenda virgiliana resta nella Crypta un affresco di primo XV secolo raffigurante Virgilio “mago” (tav. XXIIIa), presentato come un vegliardo dallo sguardo ispirato nell’atto d’intingere lo stilo in un abbaciro, strumento riferibile sia alla sua attività di scrittore sia a quella di “mago” e alchi-mista.25

23

Cronaca di Partenope, a cura di Altamura A., Napoli, Società Editrice Napoletana, 1974, p. 80. Per una più recente edizione critica della Cronaca, non priva di ambiguità, cfr. Caracciolo B., The Cronaca di Partenope, cit., p. 11-21.

24 Cfr. Lucherini V., «Il Chronicon di Santa Maria del Principio (1313 ca) e la messa in

scena della liturgia nel cuore della Cattedrale di Napoli», in Dalla immagine alla

storia. Studi per ricordare Stefania Adamo Muscettola, a cura di Gasparri C., Greco

G. e Pierobon Benoit R., Pozzuoli, Naus Editoria, 2010, p. 521-549.

(15)

La tomba di Virgilio

Il passo della Cronaca di Partenope consente di stabilire quale fosse la percezione della Crypta durante il soggiorno napoletano di Boccaccio. Il tunnel fu certamente percorso più volte dal giovane scrittore, che nel Filocolo ricorda le «tenebrose oscurità della forata montagna» attraver-sata dal protagonista del romanzo nel suo tragitto verso Partenope.26 Non

è difficile immaginare il suo scetticismo nei confronti della leggenda virgiliana, più volte ridicolizzata da Francesco Petrarca e registrata da Boccaccio solo nella tarda Esposizione sopra la Commedia di Dante senza alcun riferimento alla Crypta.27 Un altro monumento antico di

Piedigrotta era però oggetto di costante attenzione da parte di Boccac-cio: la tomba di Virgilio. Qui è ambientata la scena del Filocolo con l’incontro tra Florio e Caleone, trasposizione dell’autore.28 Quattro

lette-re in latino del 1339 sono composte «Sub monte Falerni, apud busta Maronis Virgilii» e in una di esse, la Mavortis miles extrenue idealmen-te indirizzata a Francesco Petrarca, è descritta l’apparizione della donna amata avvenuta nei pressi della tomba del poeta.29 Ancora nel 1374 in

una lettera inviata a Francesco da Brossano un ormai anziano Boccaccio ricorda l’onore dovuto alle alture di Posillipo «eo quod eorum in radicibus locata sint ossa Virgilii».30 Sebbene nei suoi scritti non si

forniscano indicazioni sull’esatta ubicazione della tomba, Boccaccio è tra i primi a registrare l’ormai avvenuta identificazione del luogo di se-poltura del poeta latino nel colombario d’età romana adiacente alla Crypta, attestata anche nella Cronaca di Partenope e nell’Itinerarium Syriacum di Petrarca che lo localizzano con maggior precisione. Nella prima si afferma che il poeta latino «fo sepellito a lo capo dela grocta napoletana, perforata per ipso Virgilio […] in una sepoltura ad piczolo templo quatrato frabecata de tecole ala antiqua manera».31 Fino al 1326,

26

Boccaccio G., Filocolo, V, 13.

27

Boccaccio G., Esposizioni sopra la Commedia di Dante, a cura di Padoan G., Milano, Mondadori, 1994, p. 32-33. Solo tre le mirabilia ricordate da Boccaccio: la mosca di rame che aveva proprietà di scacciare gli insetti da Napoli (leggenda narrata già da Giovanni di Salisbury e più volte ripresa nei testi successivi); il cavallo di bronzo in grado di curare cavalli infermi (leggenda ricavata dalla Cronaca di

Partenope e da riferire verosimilmente all’esistenza di un monumento equestre nei

pressi della cattedrale di Napoli sul modello del Laterano, poi fuso nel 1322 per farne campane); le teste di marmo della Porta Nolana, in grado di determinare l’esito della visita in città di chiunque vi giungesse (leggenda già presente in Gervasio di Tilbury).

28 Boccaccio G., Filocolo, IV, 14-16.

29 Boccaccio G., Opere latine minori, IX, Buccolicum Carmen, Carminum et

Epistolarum quae supersunt, Scripta breviora, a cura di Massèra A. F., Bari, Laterza,

1928, p. 109-124: 110, 114, 124.

30 Ivi, p. 224.

(16)

segnala il cronista, si sarebbe conservato anche il famoso epitaffio ricordato nella Vita Vergilii: «Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope». La tomba di Virgilio, «pervetusti operis», appariva a Petrarca «in aggere edita» non appena s’intravedeva il cielo all’uscita dell’oscura Crypta, «ubi forsan ab illo perforati montis fluxit opinio».32

Nonostante alcuni studiosi abbiano creduto di poter fornire prove sulla validità di questa identificazione, l’individuazione della tomba di Virgilio nel colombario di Piedigrotta è da ritenersi inattendibile e non sembra sia avvenuta se non in tempi prossimi al soggiorno napoletano di Boccaccio. Se, infatti, l’ante quem per la localizzazione del monumento è offerto dalle fonti appena ricordate, un possibile post quem si ricava proprio nelle prime leggende virgiliane, in cui la ricerca del luogo di sepoltura del poeta rappresenta un topos ricorrente. Già Giovanni di Salisbury raccontava di un tale che dalla Francia si era spinto in Italia meridionale alla ricerca delle ossa di Virgilio, sottoponendosi a innu-merevoli fatiche al punto che, concludeva l’autore del Polycraticus, riportò con sé le ossa ma non il senno di Virgilio,33 monito che suona

quanto mai attuale anche nei confronti di un certo recente feticismo per le ossa dei grandi. L’aneddoto fu sviluppato da Gervasio di Tilbury, che narra la storia di un magister inglese giunto a Napoli per farsi consegnare le ossa di Virgilio col permesso del re di Sicilia Ruggero.34 I

napoletani, che non sapevano dove fosse la tomba, acconsentirono giu-dicando l’impresa impossibile. Quando però costui ritrovò le ossa ben nascoste nel mezzo di una montagna, decisero di trattenerle temendo che la loro perdita potesse arrecare danno alla città. I resti di Virgilio furono quindi deposti in una gabbia custodita in un castello in mezzo al mare, dando così vita al primo nucleo di quella che nella Cronaca di Parte-nope diventerà la leggenda di Castel dell’Ovo. Gervasio afferma che le ossa furono ritrovate «infra tumulum in medio montis cuiusdam», e-spressione che potrebbe benissimo aver ispirato in un lettore napoletano la ricerca del primitivo luogo di sepoltura del poeta sulla collina di Posillipo.

Si direbbe quindi che proprio la leggenda virgiliana abbia potuto ispirare il “mito antiquario” della tomba di Virgilio, se non fosse per il fatto che, a eccezione della Cronaca di Partenope, testo peraltro proble-matico e d’incerta datazione,35 le prime fonti sulla sua esatta ubicazione

32

Petrarchae F., Itinerarium…, cit., p. 60.

33 Polycraticus, II, 23. Cfr. The virgilian tradition…, cit., p. 408.

34 Gervase of Tilbury, Otia Imperialia. Recreation for an emperor…, cit., p. 800-805. 35

La Cronaca di Partenope, titolo coniato in occasione della prima edizione a stampa

nel 1526, è trasmessa da manoscritti non anteriori al XV secolo. Si compone di quattro parti di autori diversi. Secondo Gennaro Maria Monti, la prima parte, dedicata all’illustrazione delle vicende della Napoli antica, dovrebbe risalire al quarto

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siano da rintracciare in autori come Boccaccio e Petrarca, estranei ai racconti sulle arti magiche di Virgilio. L’identificazione sembrerebbe piuttosto il frutto della cultura antiquaria maturata nei circoli legati alla corte di Roberto I d’Angiò. Boccaccio ricorda che era stato Giovanni Barrile, «magni spiritus homo», a riferirgli che Virgilio aveva scelto di vivere vicino al quieto e solitario lido tra il promontorio di Posillipo e Pozzuoli, «ad quem nemo fere, nisi eum quereret, accedabat».36 Qui

compose le Georgiche e l’Eneide, e qui Ottaviano fece deporre il suo corpo in omaggio all’eletta solitudine in cui aveva trascorso i suoi ultimi anni. Lo stesso Govanni Barrile in compagnia di Barbato da Sulmona accompagnò più tardi Petrarca in un’indimenticabile escursione nei Campi Flegrei, culminante nella visione della tomba di Virgilio.37 Lo

scetticismo sulla leggenda medievale di Virgilio “mago” doveva essere condiviso a corte se lo stesso sovrano, discutendo della Crypta Neapo-litana con Petrarca, avrebbe osservato: «non illic magiae, sed ferri vestigia esse».38 D’altronde, alcuni anni prima un volgarizzamento in

francese delle Epistole di Seneca a Lucilio, composto nel 1308 per il conte di Caserta Bartolomeo Siginulfo,39 aveva reso accessibile al

pub-blico di corte le osservazioni assai poco lusinghiere dello scrittore latino sui disagi connessi all’attraversamento del tunnel. Dalla stessa lettera fu ricavata la corretta denominazione latina di Crypta Neapolitana registra-ta per la prima volregistra-ta nell’Itinerarium di Petrarca. L’identificazione della tomba di Virgilio nel colombario adiacente al traforo doveva apparire plausibile anche all’autore della raccolta di fonti classiche e medievali relative a diversi luoghi della Campania e del Mezzogiorno, che recentemente Samantha Kelly ha denominato Commentario V, sebbene, secondo la studiosa, non si tratti propriamente di un commentario virgiliano come ritenuto in passato.40 In questo testo, fonte della

Crona-ca di Partenope, è riportato il passo della Vita Vergilii secondo cui le ossa del poeta «de Brundusio delata sunt tumulo [et] posita intra secundum lapidem via Puteolana», con la significativa aggiunta «extra

decennio del XIV secolo. Più di recente Samantha Kelly (in Bartolomeo Caracciolo,

The Cronaca…, cit.) ha ipotizzato che sia la prima, sia la seconda parte, che copre le

vicende della Napoli medievale fino ai primi anni di regno di Giovanna I d’Angiò, siano state composte intorno al 1350 dallo stesso autore, Bartolomeo Caracciolo, il cui nome figura però nel colofone della sola seconda parte.

36

Boccaccio G., De genealogia deorum gentilium, XIV, 19. Cfr. Boccaccio G.,

Genealogie deorum gentilium, a cura di Romano V., Bari, Laterza, II, p. 738-739.

37 Cfr. Petrarchae F., Epistole Metricae, II, 7 e II, 15; Id., Epistole Familiares V, 4. 38

Petrarchae F., Itinerarium…, cit., p. 60.

39

Sabatini F., Napoeli angioina. Cultura e società, Napoli, Edizione Scientifiche Italiane, 1975, p. 39.

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criptam».41 Che l’individuazione della tomba abbia trovato conferma, se

non addirittura un movente, nella più diffusa biografia del poeta latino, sembrerebbe comprovato dalla citata notizia riferita nella Cronaca di Partenope circa l’esistenza di un’iscrizione con l’epitaffio di Virgilio, che potrebbe esservi stato apposto in conseguenza della presunta sco-perta. Solo più approfondite ricerche sulla Cronaca di Partenope e sulle sue fonti saranno forse in grado di stabilire in futuro se l’identificazione della tomba di Virgilio sia stata determinata dalla diffusione napoletana della leggenda virgiliana o dall’emergere di nuovo approccio nei con-fronti dell’antichità classica. Per il momento si può solo osservare che al principio del Trecento sembrano convivere due opposte tendenze, una legata a un’interpretazione di Virgilio d’impronta ancora medievale, lar-gamente diffusa tra i ceti di cultura media, l’altra, appannaggio delle più avanzate elites culturali, improntata a quella «calorosa riconquista de-ll’antico»,42 che caratterizza gli anni napoletani del giovane Boccaccio.

La Madonna di Piedigrotta

L’importanza assunta dal sito virgiliano tra XII e XIV secolo è uno dei motivi principali della fortuna del santuario di Piedigrotta nella Napoli tardo-medievale. Nulla si conosce sull’originaria fondazione della chiesa, già in piedi nel 1207 come risulta dagli Atti della Traslazione delle reliquie dei santi Massimo e Giuliana, da cui si ap-prende che la chiesa era retta da un abate.43 Nel documento emerge con

chiarezza la posizione strategica della chiesa, posta quasi a guardia del confine occidentale della diocesi di Napoli, delimitato dalla collina di Posillipo, e a controllo della Crypta che, come si è visto, svolgeva la funzione di sacro accesso ai frequentati Bagni di Pozzuoli. La particola-re ubicazione dell’edificio «in pede criptae» spiega la pparticola-resenza a Piedi-grotta di un ospedale che, come di consueto nel medioevo, doveva essere destinato anche al ricovero di viandanti e pellegrini. Documentato per la prima volta nel 1230,44 l’ospizio rivestirà un ruolo non marginale

nel sistema assistenziale napoletano per poi essere soppresso nel XV se-colo con l’affidamento della chiesa ai canonici lateranensi. Il continuo

41 Ivi, p. 239.

42 La definzione è di Pastore Stocchi M., Tradizione medievale e gusto umanistico nel

«De Montibus» del Boccaccio, Firenze, Olschki, 1963, p. 39. Sull’atteggiamento di

Boccaccio nei confronti delle antichità flegree cfr. Tufano I., «Il topos di Baia nella lirica di Boccaccio», in Spazi, geografie, testi, a cura di Sgavicchia S., Roma, Bulzoni, 2003, p. 31-43.

43 Cfr. D’Ovidio S., «La Madonna di Piedigrotta…», cit., p. 52-53. 44

Vitolo G., «L’Ospedale di S. Eligio e la Piazza del Mercato», in Vitolo G. e Di Meglio R., Napoli Angioino-Aragonese. Confraternite ospedali dinamiche

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afflusso di pellegrini al santuario è descritto nell’Itinerarium Syriacum di Petrarca che, dopo aver illustrato la Crypta e la vicina tomba di Virgilio, aggiunge: «iuxta breve sed devotissimum sacellum supra ipsum criptae exitum et mox ad radicem montis in litore Virginis Matris templum quo magnus populi, magnus assidue pernavigantium fit concursus».45 La limpida descrizione di Petrarca segnala con precisione

topografica due principali poli di devozione: la chiesa, stretta tra la collina e la spiaggia e meta di pellegrini dalla città e dal mare, e una «devotissima cappellina» posta al di sopra dell’uscita dal tunnel. La chiesa non doveva apparire allora molto diversa da quella riprodotta nella Cronaca figurata di Ferraiolo, oggi alla Pierpont Morgan Library di New York (M. 801), che illustra la fuga da Napoli della principessa di Bisignano (tav. XXIc), salpata da Piedigrotta con la scusa di recarsi al santuario per l’annuale festa del Perdono.46 Si tratta di una delle prime

attestazioni della festa di Piedigrotta, che non sembra sia stata istituita prima del XV secolo.47 L’immagine, seppur sommaria, offre la più

antica riproduzione finora nota della baia di Mergellina, dominata dal promontorio di Posillipo e costeggiata da due principali edifici: a sinistra, la villa angioina in seguito divenuta proprietà di un grande ammiratore di Boccaccio, Jacopo Sanazzaro;48 a destra, la chiesa di

Piedigrotta che, prima della ricostruzione nel XVI secolo, era diver-samente orientata con il fianco rivolto verso la città.49 Dalla riproduzione

non si comprende dove si trovasse l’ingresso della chiesa, ma si può ipo-tizzare che la facciata fosse eretta a nord, accanto alla torre campanaria come di prassi nell’architettura medievale napoletana. Qui si scorge an-che un arco di accesso praticato nel muro di protezione an-che separava l’edificio dalla spiaggia. In alto a destra, una didascalia indica la posi-zione della Grotta, termine col quale s’indicava comunemente la Crypta Neapolitana, rimasta fuori dal campo visivo dell’illustrazione. Diretta-mente accessibile dal mare, la chiesa s’imponeva quasi naturalDiretta-mente alla

45 Petrarchae F., Itinerarium…, cit., p. 60.

46 Filangieri R., Una cronaca napoletana figurata del Quattrocento, Napoli, L’arte

tipografica, 1956, tav. XVIII. Per l’edizione critica del testo cfr. Ferraiolo, Cronaca, a cura di Coluccia R., Firenze, Accademia della Crusca, 1987.

47 D’Ovidio S., «La Madonna di Piedigrotta…», cit., p. 76.

48 Divenuto F., «Deos nemorum invocat in extruenda domo. Iacopo Sannazaro e la sua

casa a Mergellina», in Jacopo Sannazaro. La cultura napoletana nell’Europa del

Rinascimento, Convegno internazionale di studi (Napoli, 27-28 marzo 2006), a cura

di Sabbatino P., Firenze, Leo Olschki, 2009, p. 237-260.

49 Cfr. D’Ovidio S., «La Madonna di Piedigrotta…», cit., p. 81-83. È verosimilmente

questo l’edificio che doveva apparire anche a Boccaccio e a Petrarca, non essendo possibile confermare l’ipotesi tradizionale circa una presunta ricostruzione della chiesa nel 1353, anno in cui si fa erroneamente risalire l’apparizione della Vergine, che secondo una più tarda leggenda ne determinò la fondazione.

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venerazione dei naviganti descritta da Petrarca, caratteristica peculiare del culto per la Madonna di Piedigrotta anche nei secoli successivi. Al tempo di Petrarca doveva già trovarsi in chiesa anche la statua lignea della Madonna di Piedigrotta (tav. XX), da attribuire alla bottega di Tino di Camaino e databile intorno al 1335.50 La scultura, che tuttavia non è

documentata prima del XVI secolo,51 doveva servire da immagine

prin-cipale dell’altare maggiore, sia per le ragguardevoli dimensioni, sia per il significato eucaristico della sua arcaica iconografia, ispirata all’antico modello bizantino della Theotokos, Madre di Dio, che l’accomuna a una delle principali immagini di culto mariano venerate a Napoli, il mosaico della Madonna del Principio in Santa Restituta, e alla più tarda Madonna lignea dell’Annunziata.52 Non si hanno notizie circa un particolare culto

rivolto al simulacro di Piedigrotta, la cui fortuna nella devozione popo-lare emerge solo a partire dal XVI secolo.53 Non è però da escludere che

la statua fosse oggetto di speciale devozione in occasione della festa dell’Annunciazione che, come si apprende da un documento del 1316, assumeva un particolare rilievo a Piedigrotta.54

Al principio del Trecento il culto di immagini mariane a Piedigrotta poteva contare anche su un altro importante episodio. In un’edicola ogivale incastonata nella parete settentrionale della Crypta (tav. XXIIIb) è raffigurata in affresco una Madonna col Bambino tra San Giovanni Battista e un altro Santo oggi perduto (tav. XXIIIc).55 La complessa

stratificazione del dipinto, di datazione controversa ma a mio avviso eseguito entro il quarto decennio del XIV secolo, dimostra i molteplici rifacimenti cui fu sottoposta l’immagine nell’edicola che, come appurato nel corso del restauro condotto nel 1999, maschera a sua volta una nicchia scavata nel tufo, in cui sopravvivono tracce di un affresco più antico di soggetto imprecisabile. La rilevanza devozionale dell’affresco mariano è enfatizzata dalla presentazione dell’immagine entro una cor-nice con cinque clipei campiti da altrettanti scudi votivi e dalla presenza in basso di un orante, di cui si distinguono a malapena soltanto le mani giunte in preghiera. L’edicola rappresenta il nucleo principale di una sorta di cappella rupestre scavata nella roccia tufacea della collina, oc-cupando parte del cunicolo dell’antico acquedotto del Serino. Sulla parete opposta all’affresco mariano, entro una nicchia scavata diretta-mente nel tufo, si trova il già citato affresco con Virgilio “mago” (tav. 50 Ivi, p. 57-60. 51 Ivi, p. 86-87. 52 Ivi, p. 60-64. 53 Ivi, p. 57, 84-91. 54 Ivi, p. 64-65. 55 Ivi, p. 65-67.

(21)

XXIIIa) e su quella ad esso adiacente sopravvivono tracce di affreschi oggi non più leggibili, di fronte ai quali un blocco di tufo sembra essere stato intagliato per servire da altare. In questo sito già Gino Chierici identificava il «devotissimum sacellum» ricordato da Petrarca, intitolato a Santa Maria dell’Itria come informa la Cronaca di Partenope che lo indica come il luogo presso cui si trovava la tomba di Virgilio.56

Collo-cata in origine a una quota superiore rispetto all’ingresso della Crypta, come si ricava da Petrarca, la cappella venne a trovarsi al di sotto della volta del tunnel per effetto delle modifiche condotteinepocasuccessiva, chenesegnaronoildefinitivoabbandono.57

Non si conoscono le ragioni della grande devozione registrata da Petrarca. Il titolo della cappella è stato interpretato in passato come corruzione del termine greco Odigitria che per il significato originario, “colei che indica la via”, è apparso particolarmente adatto alla posizione dell’edicola presso la Crypta. Come discusso in altra sede, non è però possibile attribuire all’immagine della Madonna affrescata nell’edicola le caratteristiche dell’Odigitria di Costantinopoli, icona dipinta secondo la tradizione da san Luca.58 Il termine Itria potrebbe invece fare

riferi-mento alla presenza di una sorgente o di un corso d’acqua, come ipotizzava già Benedetto di Falco.59 La capacità di attrazione del sacello

s’iscrive più verosimilmente nel contesto del richiamo esercitato nella prima metà del Trecento dalla chiesa di Piedigrotta e, soprattutto, dal si-to virgiliano. Il collegamensi-to tra il culsi-to mariano di Piedigrotta e la leg-genda virgiliana, avvalorato dalla raffigurazione del poeta all’interno del sacello, ritorna anche negli Statuti dell’Ordine del nodo che indicano il Castel dell’Ovo, sede dell’ordine cavalleresco, come quell’edificio che si erge sul mare tra la città e la Madonna «al piede dell’oscura grotta degli incantesimi di Virgilio».60 Una prova indiretta dell’importanza

del-la cappeldel-la neldel-la storia di Piedigrotta si ricava daldel-la leggenda suldel-la fon-dazione della chiesa, la cui prima versione si ritrova in un catasto dei

56 Cronaca di Partenope, cit., p. 78; Chierici G. «Il consolidamento…», cit., p. 3. 57 D’Ovidio S., «La Madonna di Piedigrotta…», cit., p. 68.

58 Ivi, p. 70-74. 59

Di Falco B., Descrittione dei luoghi antichi di Napoli e del suo amenissimo distretto, Napoli 1549, coordinamento e introduzione a cura di Toscano T. R., con un saggio di Toscano G., testo critico a cura di Grippo M., Napoli, CUEN, 1992, p. 133.

60 Léonard É., Les Angevins de Naples, Paris, Presses Universitaires de France, 1954,

trad. it. a cura di Liguori R., Gli Angioini di Napoli, Milano, Dall’Oglio, 1967, p. 465. Sul codice degli Statuti, miniato da Cristoforo Orimina, cfr. Perriccioli Saggese A., «Gli Statuti dell’Ordine dello Spirito Santo o del Nodo: immagine e ideologia del potere regio a Napoli alla metà del Trecento», in Medioevo: immagini e

ideologie, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Parma, 23-27 settembre 2002, Centro Studi Medievali, Università degli Studi di Parma), a cura di Quintavalle A.

(22)

beni della chiesa, datato 1423 ma che potrebbe essere stato redatto qualche anno dopo.61 Nel racconto, che non accenna alla statua lignea

della Vergine, inclusa nella leggenda solo nel XVII secolo,62 è

menzionata la cappella di Santa Maria dell’Itria, indicata quale dimora dell’eremita Pietro, uno dei tre personaggi a cui sarebbe apparsa la Vergine la sera della vigilia della Natività di Maria, evento che avrebbe determinato la costruzione della chiesa. Nello stesso catasto si riprodu-cono le sembianze assunte da Maria nell’apparizione, una traduzione sti-lizzata della Madonna affrescata nell’edicola.63 In quest’ultima

imma-gine sarebbe dunque da rintracciare la più antica effigie della Madonna di Piedigrotta, il dipinto che ispirò il mito di fondazione della chiesa e la festa di Piedigrotta che, per secoli, trovò nell’oscura Grotta di Posillipo il suo scenario privilegiato.

Conclusioni

Se Iannetto aveva in mente un’immagine quando esclamava in nome della Madonna di Piedigrotta, si riferiva probabilmente a questo stesso affresco. La citazione non appare casuale ma si giustifica con la presenza a Piedigrotta della tomba di Virgilio, luogo simbolo degli interessi letterari del giovane Boccaccio. Non è un caso se Iannetto invochi proprio la Madonna di Piedigrotta mentre si sta lamentando dell’eccessivo interesse di Boccaccio per l’attività letteraria. A un lettore come Franceschino, ben informato sui luoghi e le abitudini dei perso-naggi menzionati nella lettera, non sarà certo sfuggito il parallelismo tra la Piedigrotta sacra evocata da Iannetto e quella legata al ricordo di Virgilio, da cui era attratto il vero autore della lettera. Più che una prova della fortuna di Piedigrotta, l’invocazione dialettale ha il valore di una scherzosa notazione autobiografica, in perfetta sintonia col tono dell’E-pistola, piena di allusioni domestiche e caricaturali all’ambiente napole-tano, determinante alla sua formazione umana e intellettuale. La Piedi-grotta di cui fece esperienza Boccaccio è certamente ben diversa dalla Piedigrotta a noi più familiare, quella della festa e della venerazione della statua lignea della Madonna, che incomincia a delinearsi solo tra XV e XVI secolo. Il suo atteggiamento sembra però distante anche da quello di un visitatore di primo Trecento che vi si recava per attraversare l’oscuro e sacro antro di accesso ai Bagni di Pozzuoli, stupito dalle me-raviglie compiute in città da Virgilio “mago”, e per venerare la Vergine nelle feste liturgiche a lei dedicate o per invocarla a protezione di un viaggio per terra o per mare. La Piedigrotta di Boccaccio è piuttosto il

61

D’Ovidio S., «La Madonna di Piedigrotta…», cit., p. 76-81.

62 Ivi, p. 83, 87-88. 63 Ivi, p. 83-84.

(23)

luogo solitario e appartato dove sulle orme di Virgilio il giovane scrit-tore muoveva i primi passi della sua straordinaria esperienza artistica. Un luogo ideale più che fisico, stimolo e ragione della creazione let-teraria ed espressione del suo nuovissimo approccio nei confronti del-l’antichità classica, condiviso con Petrarca e una ristretta cerchia di colti amici napoletani.

(24)

XX - Tino di Camaino, Madonna col Bambino. Napoli, chiesa di Santa Maria di Piedigrotta

(25)

a

b c

XXIa - Tomba di Virgilio. Napoli, Parco della tomba di Virgilio. XXIb - Tabula Peutingeriana, particolare con la Crypta Neapolitana. Wien, Österreichische Nationalbibliothek, cod. Vind. 324

XXIc - Fuga della principessa di Bisignano, particolare con la baia di Mergellina. Cronaca Ferraiolo, New York, Pierpont Morgan Library, ms. 801, c. 98

(26)

XXII - Crypta Neapolitana, ingresso orientale. Napoli, Parco della tomba di Virgilio

(27)

a b

c

XXIIIa - Virgilio 'mago'. Napoli, Parco della tomba di Virgilio XXIIIb - Edicola mariana. Napoli, Parco della tomba di Virgilio XXIIIc - Madonna col Bambino e due Santi. Napoli, Parco della tomba di Virgilio

(28)

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