Caratterizzazione e ottimizzazione del progetto di risonatori micromeccanici per applicazioni di biosensing
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(2) Ringraziamenti . Il traguardo che mi sono prefisso anni fa è finalmente alle porte. Uno dei momenti di cui difficilmente si perde memoria, alla fine uno dei momenti più significativi della vita. Dalla fine del liceo questo è stato l’obiettivo: diventare ingegnere. Arrivato a questo punto non posso non ringraziare chi mi ha accompagnato e sostenuto durante questi sei anni di università. Ci sono stati momenti difficili, momenti in cui mi sembrava di non riuscire a continuare, di non arrivare mai alla fine. Non è mai stata una passeggiata, piuttosto una corsa. Paradossalmente proprio gli ultimi tempi sono stati per me i più difficili: in fondo, la fine di una corsa è il momento in cui ci si sente più stanchi. Voglio perciò ringraziare per prima Gessica, per avermi sostenuto proprio quando ne avevo più bisogno. Per avermi costantemente incoraggiato e spronato, per avermi accompagnato passo dopo passo, per avermi aiutato a vincere la mia pigrizia, per avermi spinto quando mi sentivo più stanco. Anche nei momenti peggiori, mi è bastato l’amore nei tuoi occhi per cacciare la paura. Grazie. Voglio ringraziare la mia famiglia, perché non sarei mai potuto arrivare qui se i miei genitori non me l’avessero permesso con il loro appoggio, non solo economico. Ai miei genitori, a mia nonna, a mia sorella: grazie per il vostro affetto e per tutti gli “in bocca al lupo” prima di un esame. Un ringraziamento più specifico, riguardo questo lavoro di tesi, va ai miei relatori ed ai compagni di laboratorio: tesisti, dottorandi e dottorati. Grazie per tutte le volte che mi avete aiutato e consigliato. Infine un grazie va anche alla mamma di Gessica, per la revisione finale di questo testo. .
(3) . Indice . Indice . Introduzione 1 Capitolo 1 – Descrizione e principio di funzionamento del sensore 4 1.1 Biosensori 4 1.2 Struttura del dispositivo 10 1.2.1 Caratteristiche meccaniche 13 1.2.2 Attuazione e rivelazione magnetica 17 1.3 Funzionalizzazione e sensibilità 23 1.4 Dispositivi di prima generazione 26 . Capitolo 2 – Realizzazione dei dispositivi 29 2.1 Processo BCD6s 29 2.2 Post‐processing 31 2.2.1 Procedura con resist sottile 31 2.2.2 Procedura con resist spesso 33 2.3 Resa di post‐processing 50 . Capitolo 3 – Misure 55 3.1 Misure ottiche 58 3.2 Misure elettriche 62 . Capitolo 4 – Progetto della seconda generazione 72 4.1 Linee guida di progetto 72 4.1.1 Sensibilità 73 . I .
(4) . Indice . 4.1.2 Parametri elettrici e meccanici 76 4.1.3 Questioni tecnologiche 82 4.2 Dispositivi di seconda generazione 84 4.2.1 Simulazioni FEM 95 4.2.2 Raffronto con la prima generazione 103 . Conclusioni 105 Appendici 107 . A B C D . Note alla fabbricazione Tabella riassuntiva dei dispositivi progettati Schema amplificatore operazionale integrato Programma Matlab® per l’estrapolazione dei parametri . . . 108 111 113 114 . . Bibliografia 116 . II .
(5) . Introduzione . Introduzione . Nel vasto panorama dei sensori una classe di dispositivi su cui la ricerca ha dedicato ampio interesse negli ultimi anni è rappresentata dai cosiddetti “biosensori”. In generale tali sensori hanno la finalità di effettuare analisi qualitative o quantitative di specifiche molecole biologiche. I campi di applicazione sono vari: dalla diagnosi di malattie genetiche all’analisi del contenuto di una certa biomolecola (proteine, zuccheri etc) nel sangue. L’obiettivo principale che si prefigge la ricerca in questo campo è quello di creare chip pronti per analisi rapide ed automatizzate. Per tale motivo si cerca di realizzare dispositivi il cui processo di fabbricazione sia compatibile con i processi elettronici standard. Tra i biosensori una categoria su cui la ricerca si sta focalizzando è quella che prevede dispositivi MEMS (Micro‐Electro‐Mechanical Systems) come sensori di massa. I sensori di massa infatti, tramite opportuni trattamenti biochimici, possono risultare sensibili ad un certo tipo di molecola. Il dispositivo di cui tratterà questo lavoro di tesi è un MEMS in grado di rivelare la presenza di massa (per questo lo si può definire una microbilancia) grazie alla variazione della massa del dispositivo stesso a seguito dell’appesantimento causato dal legame con le molecole da analizzare. Il sistema che si andrà a studiare è un microrisonatore meccanico la cui frequenza di risonanza varia appunto in funzione della massa ad esso legata. Il MEMS viene attuato magneticamente e il segnale utile viene prelevato direttamente sotto forma di tensione, senza l’interposizione di nessun sistema esterno (talvolta necessario in altri esempi di dispositivi analoghi). Il processo di fabbricazione è CMOS compatibile: i dispositivi vengono prelavorati in tecnologia BCD6s (tecnologia ibrida, comprendente Bipolari, CMOS e DMOS) messa a disposizione da STMicroelectronics® e ultimati con una fase di post‐ processing in laboratorio comprendente gli attacchi chimici necessari alla . 1 .
(6) . Introduzione . separazione delle strutture mobili dal substrato di silicio. Tali dispositivi sono stati progettati e caratterizzati durante due lavori di tesi precedenti a questo [1, 2]. Durante il presente lavoro di tesi, oltre a continuare la realizzazione e la caratterizzazione dei sensori, si è passati a progettarne di nuovi sfruttando i dati raccolti in modo da migliorare le caratteristiche di tali sensori e risolvere le problematiche che hanno presentato. La presente tesi si compone di quattro capitoli. Nel primo capitolo, dopo una rapida esposizione di altri esempi di biosensori, con particolare attenzione ai sensori di massa realizzati con microstrutture, si andrà a descrivere il microrisonatore oggetto di studio. Si vedrà quindi come si possa effettuare una rivelazione delle molecole di interesse (molecole target) tramite vari tipi di dispositivi ed in seguito si procederà a modellizzare nel modo più completo il sistema in analisi. Si ricaveranno tutte le relazioni utili per la descrizione meccanica ed elettrica, nonché le caratteristiche aspettate dal punto di vista sensorale. Infine, si riassumeranno le caratteristiche dei dispositivi precedentemente progettati (che saranno detti dispositivi di prima generazione per consentire una distinzione con i sensori progettati durante questo lavoro di tesi). Il secondo capitolo tratterà l’aspetto tecnologico relativo alla fabbricazione di queste strutture. Dopo il processo industriale occorrono infatti alcune fasi di lavorazione necessarie al rilascio delle strutture sospese. Rispetto a quanto effettuato in [2] il processo ha subito delle variazioni mirate ad aumentare la resa finale di fabbricazione e diminuire il tempo necessario per la fabbricazione medesima. Verranno trattate le questioni relative alla resa e a come si dovrà effettuare il post‐processing con i nuovi dispositivi. Nel terzo capitolo si mostreranno i risultati della caratterizzazione dei dispositivi fabbricati. Tramite misure ottiche ed elettriche si ricaveranno i parametri di interesse dei dispositivi. Verranno analizzati i risultati ottenuti e discusse le caratteristiche misurate. Infine il quarto ed ultimo capitolo descriverà in dettaglio quali siano state le linee guida progettuali seguite nel design dei nuovi dispositivi. Si tratteranno in dettaglio i metodi per aumentare la sensibilità dei sensori e per migliorare le caratteristiche meccaniche ed elettriche. Si passerà . 2 .
(7) . Introduzione . quindi a descrivere in dettaglio i nuovi dispositivi progettati e si forniranno i risultati delle simulazioni meccaniche effettuate, prima di un rapido raffronto conclusivo con i dispositivi di prima generazione. . 3 .
(8) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . Il sensore oggetto di questo lavoro di tesi è un sensore di massa, che tramite opportuni trattamenti biochimici può diventare un biosensore in grado di rivelare elettronicamente la presenza di molecole di natura organica. Si tratta essenzialmente di un dispositivo micro‐elettro‐ meccanico (MEMS, Micro‐Electro‐Mechanical System) basato su una struttura sospesa libera di muoversi a torsione, sollecitata per via magnetica. Tramite una opportuna procedura di funzionalizzazione, il sensore sarà in grado di effettuare un’analisi qualitativa e quantitativa della molecola in esame. Il segnale utile è contenuto nello scostamento di frequenza di risonanza meccanica della struttura sospesa, proporzionale al peso delle molecole che vi si legano. Inizialmente questa cosiddetta “microbilancia” era stata pensata per analisi di sequenze genetiche, tuttavia si può pensare un suo utilizzo in altri ambiti: rivelazione di proteine, anticorpi, enzimi, zuccheri etc. In questo capitolo, dopo aver brevemente riportato alcuni esempi presenti in letteratura relativi a dispositivi per il biosensing, si descriverà in dettaglio il sensore, a livello di struttura nonché a livello di funzionamento. . 1.1 Biosensori In letteratura sono presenti numerosi esempi di sistemi adatti a rilevare molecole di natura organica. Un’applicazione molto comune è quella della rivelazione di sequenze genetiche [3], ad esempio per la diagnosi di malattie genetiche. In questo caso il principio di funzionamento si basa sul legame tra sequenze di DNA complementari. Com’è noto il DNA è formato . 4 .
(9) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . da una doppia elica di sequenze di nucleotidi. Vengono legate alla superficie del sensore singole sequenze di nucleotidi (dette probes), corrispondenti ad esempio ai geni di interesse, ed in seguito viene immerso il sensore stesso in una soluzione contenente le sequenze (dette target) del DNA da analizzare (anche in questo caso singole sequenze, non legate in doppia elica). Se è presente nel DNA da analizzare la sequenza complementare a quella precedentemente immobilizzata al sensore, le due sequenze si legheranno (ibridizzazione). A questo punto la rivelazione può essere effettuata attraverso un metodo gravimetrico (variazione di massa), ottico o magnetico (marcando le molecole target con elementi fluorescenti o magnetici). La rivelazione gravimetrica può essere effettuata per il sensing di numerosi tipi di molecola organica in quanto, in generale, un opportuno trattamento della superficie dei dispositivi permette alla molecola target di legarvisi, appesantendo quindi il dispositivo stesso. In questo campo i dispositivi microelettromeccanici (MEMS) hanno un ruolo di primaria importanza in quanto strutture di dimensioni micrometriche permettono una buona sensibilità nonostante l’entità ridotta delle masse da rivelare, persino singoli virus. Uno studio [4] ha dimostrato la possibilità di rivelare una singola particella di vaccinia virus su una mensola (cantilever) di silicio sospesa (Figura 1.1). . Figura 1.1. Immagine al SEM del cantilever. Sono visibili due particelle di vaccinia virus. . 5 .
(10) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . In questo caso il processo di fabbricazione non è compatibile con la tecnologia CMOS e la rivelazione della massa è stata effettuata grazie allo scostamento di frequenza di risonanza del cantilever (lo stesso principio di funzionamento del risuonatore che sarà oggetto di questa tesi). La variazione di frequenza di risonanza è stata rilevata con un vibrometro laser, ovvero per mezzo di un sistema di lettura esterno al chip. Altri esempi prevedono la realizzazione di dispositivi micromeccanici comprensivi di un meccanismo di attuazione, sia esso piezoelettrico, termico, magnetico o capacitivo. In [5] un cantilever di silicio viene attuato termicamente e rileva variazioni di massa nuovamente in base alla variazione di frequenza di risonanza. . Figura 1.2. Struttura del rivelatore di massa attuato termicamente. . L’ancoraggio del cantilever è collegato a due resistori (Figura 1.2) che si dilatano a causa del riscaldamento per effetto Joule inclinando il cantilever stesso. Pilotando i resistori con una corrente alternata con una frequenza nell’intorno della frequenza di risonanza è possibile determinare quest’ultima. L’attuazione e rivelazione capacitiva è senz’altro la più comune nei dispositivi MEMS utilizzati come sensori inerziali (accelerometri e giroscopi). Tuttavia in un processo CMOS realizzare dispositivi con attuazione capacitiva presenta difficoltà relative alla fabbricazione dei due elettrodi delle capacità, uno dei quali dovrebbe situarsi sulla parte mobile . 6 .
(11) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . del dispositivo ed essere comunque sufficientemente vicino (qualche µm) all’elettrodo corrispondente, situato sulla massa immobile. Inoltre l’utilizzo di un’attuazione e rivelazione capacitiva può essere molto problematico in ambienti umidi, dove si possono avere problemi di “sticking”: le particelle d’acqua possono rimanere intrappolate negli spazi tra gli elettrodi esercitando una forza attrattiva tra i due elettrodi stessi che impedisce il corretto movimento del sensore. Un esempio di attuazione e rivelazione capacitiva è riportato in [6]. Basato su tecnologia SOI (Silicon On Insulator), il dispositivo si compone di un piatto in silicio ancorato a quattro molle (Figura 1.3). Imponendo una tensione alternata tra il piatto e il substrato questo risonatore oscilla lungo l’asse verticale. L’informazione relativa all’ampiezza dell’oscillazione viene ottenuta leggendo l’ampiezza della corrente attraverso il sistema. . Figura 1.3. Microrisonatore ad attuazione e rivelazione capacitiva. Il piatto centrale quadrato forma una capacità con il substrato. Alimentando tale capacità in tensione alternato il piatto centrale oscilla verticalmente. . 7 .
(12) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . 8 . Un altro metodo molto diffuso per la rivelazione di micro dispositivi in movimento è la rivelazione ottica. Un fascio di luce laser colpisce la superficie mobile, il fascio riflesso indica il movimento o l’inclinazione della superficie. L’esempio più banale è quello di un cantilever deflesso. L’entità della deflessione determina l’angolo di riflessione della luce, la quale può essere letta da una matrice di fotodiodi, o da una cosiddetto PSD (Position Sensitive Detector). array di fotodiodi laser . cantilever . Figura 1.4. Sensing ottico della deflessione di un cantilever. Schema di principio. . Il sensing piezoelettrico, invece presenta il vantaggio di fornire direttamente un segnale elettrico ed è comunemente utilizzato quando il segnale utile è contenuto della deformazione di una struttura. Tuttavia i piezoresistori risentono della variazioni di temperatura, per cui è necessario compensare il segnale di disturbo dovuto a tali variazioni. In [7] per l’attuazione e rivelazione della frequenza di risonanza di un cantilever è usato il metodo piezoelettrico. Anche in questo caso il principio di funzionamento è analogo a tutti i casi precedenti: lo frequenza di risonanza del cantilever dipende dalla massa depositata sullo stesso. Come accade spesso quando il segnale utile è contenuto nella variazione di valore di una resistenza viene utilizzata la configurazione a ponte di Wheatstone (Figura 1.5). Infine l’attuazione e rivelazione magnetica presenta lo svantaggio di necessitare di un campo magnetico fisso, generato esternamente ma il vantaggio di essere realizzabile in tecnologia CMOS [8]. Il risuonatore micromeccanico di cui tratterà questo lavoro di tesi ne è un esempio. .
(13) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . Figura 1.5. Schema di funzionamento di un cantilever per la rivelazione di massa ad attuazione e rivelazione piezoelettrica. . Oltre ai dispositivi MEMS, un’importante categoria di sensori di massa, utilizzabili quindi come biosensori, è quella dei sensori al quarzo (QCM ‐ Quartz Crystal Microbalance). Essi sono composti da sottili dischi di quarzo posizionati tra due elettrodi. La risposta in frequenza di tale dispositivo presenta una risonanza la cui frequenza dipende dalla massa del dispositivo stesso. Funzionalizzandolo per far sì che vi si leghi la massa biologica di interesse, la microbilancia al quarzo diventa a tutti gli effetti un biosensore. Infine un’ulteriore di categoria di biosensori è formata dai dispositivi ad effetto di campo. Questi dispositivi, appartenenti alla classe dei chemFET ( chemical Field Effect Transistor) funzionano grazie ad una struttura derivante da quella dei MOSFET in cui la corrente nel canale è modulata dalla presenza di molecole legate all’ossido [9]. Su di esso vi sarà in generale un elemento sensibile opportuno per la molecola target in analisi. Il dispositivo funziona solitamente in una soluzione elettrolitica contenente le molecole target. Essenzialmente l’effetto di modulazione della corrente nel canale è dovuto alla variazione della carica sull’ossido: questi dispositivi, privi di elettrodo di gate, presentano l’ossido di gate scoperto e ad esso vi si possono legare le molecole target, che modificano la corrente di canale per mezzo della loro carica ionica. Quando l’ossido di gate è del tutto scoperto si parla di struttura EIS (Elettrolita Isolante Semiconduttore), mentre talvolta tra elettrolita e isolante vi è una membrana. In tale caso si parla di struttura EMIS (Elettrolita Membrana . 9 .
(14) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . 10 . Isolante Semiconduttore). Poiché si tratta a tutti gli effetti di un rilevatore di ioni, si parla di ISFET (Ion Sensitive FET). La sua struttura di principio è rappresentata in Figura 1.6. . Figura 1.6. Struttura di principio di un ISFET a struttura EIS. . 1.2 Struttura del dispositivo Il biosensore oggetto di questo lavoro di tesi rientra, come già detto, nella categoria dei MEMS. La struttura, in linea di principio, si compone di un piatto centrale di forma quadrata o rettangolare che funge da massa mobile, ancorata al substrato tramite due bracci che hanno il ruolo di molle torsionali. La massa mobile, durante il funzionamento del sensore, oscillerà secondo il primo modo torsionale, come mostrato in Figura 1.7. . b c . a . b c . Figura 1.7. Struttura di principio: piatto centrale mobile (a), molle torsionali (b) ancorate alla massa immobile (c). .
(15) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . L’effettiva forma dei dispositivi progettati nei precedenti lavori di tesi [1] differisce da quella in Figura 1.7 per la presenza di un foro nel piatto centrale, indispensabile per il rilascio delle strutture sospese durante il post‐processing. E’ possibile ricavare un equivalente traslatorio al sistema torsionale in oggetto, formato da una massa mobile collegata a due molle ancorate alle proprie estremità. Quindi le equazioni del moto, essendo i due sistemi meccanici equivalenti, saranno anch’esse analoghe. Considerando quindi gli attriti, l’equazione che regola il comportamento dinamico di questo risonatore meccanico è quindi equivalente a quella del classico sistema massa‐molla‐smorzatore: . (1.1). Dove m è la massa mobile, k la costante elastica della molla, D il fattore di smorzamento, F(t) la risultante delle forze esterne agenti sulla massa e x(t) la posizione della massa stessa relativa al proprio punto di riposo. Riordinando i termini si ottiene la classica forma: . (1.2). Ipotizzando una forza F di natura sinusoidale (in effetti lo sarà, come vedremo in seguito), si ricava la funzione di trasferimento di questo classico sistema del secondo ordine. Nel dominio di Laplace si ha: (1.3) La funzione di trasferimento quindi è: . (1.4). 11 .
(16) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . che si può scrivere come: . 1. . (1.5). mediante le seguenti sostituzioni: 1. ;. ;. √. . (1.6). A questo punto si utilizza i risultati ottenuti nel caso torsionale mediante le opportune sostituzioni: il momento di inerzia J al posto della massa m, l’angolo θ al posto della posizione x, la costante elastica torsionale kt al posto della costante elastica k. L’equazione (1.5) rimane quindi valida anche nel caso torsionale, mentre si ha: 1. ;. ;. . (1.7). La funzione di trasferimento, nel caso torsionale, non rappresenta più il rapporto tra la velocità v(t) e la risultante delle forze esterne F(t), ma piuttosto (come si può evincere anche da un’analisi dimensionale1) il rapporto tra la velocità angolare Ω(t) e il momento torcente esterno risultante M(t). Per avere una linea guida di progetto non rimane quindi che trovare espressioni approssimate per kθ, J e D, prima di modellizzare la parte elettrica. 1. Nel caso torsionale H(s) è in [Kg‐1∙m‐2∙s] ossia il rapporto tra una velocità angolare [s‐1] e un momento [Kg∙m2∙s‐2]. . 12 .
(17) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . 1.2.1. Parametri meccanici . In Figura 1.8 si riporta la struttura oggetto di studio con le relative dimensioni. L l . w . a . W t . y x . z . Figura 1.8. Dimensioni geometriche della struttura, asse di rotazione (a) e sistema di riferimento per il calcolo di J. . La costante elastica torsionale dei bracci kθ è ricavabile analiticamente a partire dalla equazione della linea elastica per il momento torcente [10]: ·. . (1.8). in cui θ è l’angolo massimo di torsione della trave, l la sua lunghezza, Mx il momento torcente applicato ad essa, Jt il suo momento di inerzia polare equivalente, G il suo modulo di rigidità. Analogamente al caso traslazionale è possibile definire e calcolare kθ nel modo seguente, tenendo presente che vi sono due bracci, ossia due molle torsionali in parallelo: · (1.9) 2 2 2 Il momento di inerzia polare equivalente è un fattore che corrisponde al momento di inerzia polare nel caso di una trave a sezione circolare, mentre nel caso di trave a sezione rettangolare si ha [11]: . 13 .
(18) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . 1 3. 0.21. 1. 12. . (1.10). dove t è lo spessore e w la larghezza della trave. Essendo nel nostro caso lo spessore t un ordine di grandezza inferiore rispetto a w è possibile trascurare il secondo termine in parentesi quadre e ridursi a: 3. . (1.11). La definizione del modulo di rigidità è: 2 1. . (1.12). dove E è il modulo di Young e ν è il rapporto di Poisson. Sostituendo la (1.12) e la (1.11) nella (1.9) si ottiene infine una espressione piuttosto semplice per il kθ della nostra struttura: . 3 1. . (1.13). Il momento di inerzia J di un piatto di forma rettangolare (il cui spessore risulti molto minore rispetto alle altre dimensioni) ruotante intorno all’asse mostrato in Figura 1.8, è calcolabile direttamente dalla sua definizione e risulta: 1 12. 12. . (1.14). in cui L, W, t e ρ sono rispettivamente lunghezza, larghezza, spessore del piatto e densità del materiale di cui è formato. Ancora una volta è possibile trascurare il termine dovuto allo spessore. La variazione di J dovuta alla presenza di molecole legate al piatto centrale e lo scostamento di frequenza che ne deriva è il principio su cui si basa il sensore. L’entità di . 14 .
(19) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . 15 . tale scostamento sarà discusso, nel presente capitolo, nel paragrafo relativo alla funzionalizzazione dei dispositivi. Si cerca infine un’espressione per il fattore di smorzamento D. Il fattore di smorzamento dipende complessivamente da tre fattori: attrito con l’aria, perdite nel materiale e smorzamento elettrico. Quest’ultimo termine è legato alla natura magnetica dell’attuazione, di cui si parlerà in seguito. Le perdite nel materiale sono di difficile modellizzazione, ragion per cui si cerca un’espressione per il solo attrito con l’aria. Dato che è stato verificato [2] che sotto vuoto il fattore di smorzamento decresce drasticamente, già la diminuzione di questo fattore porta senz’altro ad un incremento del fattore di merito Q. Numerosi studi in letteratura, riassunti in [12], hanno interessato il fenomeno di smorzamento dovuto all’attrito con l’aria, detto comunemente “squeeze damping”. L’effetto frenante è causato principalmente dall’interazione tra la massa mobile e lo strato di aria contenuto tra la massa mobile stessa (nel caso oggetto di questo studio il piatto centrale del dispositivo) e il substrato (Figura 1.9). . Figura 1.9. Struttura schematica di un piatto in torsione, per il calcolo del fattore di smorzamento. . .
(20) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . Per un piatto in movimento torsionale è dunque possibile ricavare [12] la seguente espressione per D: . (1.15). dove Krot è un fattore dipendente dalla geometria del piatto, che vale circa 0,018 nel caso in cui W=L, h0 è la distanza tra il piatto e il substrato e µ è la viscosità dell’aria (1.8∙10‐5 Kg∙m‐1∙s‐1 a una temperatura di 20°C). Tuttavia la relazione vale nel caso in cui h0 sia molto minore rispetto alle altre dimensioni (L e W). Per le microbilance ciò non è verificato in quanto h0 vale tipicamente 300 µm, che è dello stesso ordine di grandezza di W e L (200 o 400 µm per i dispositivi di prima generazione). Quando h0 ha dimensione paragonabile a L e W ci sono effetti di bordo (dovuti al flusso d’aria al perimetro del piatto) non trascurabili, che aumentano considerevolmente il fattore di smorzamento. In tale caso l’espressione precedente può essere considerata valida a patto di sostituire a L e W delle “dimensioni equivalenti” Leq e Weq. Tramite simulazioni, effettuate in [13] si è raggiunto un risultato estremamente semplice, valido nel caso in cui il numero di Knudsen2 sia piccolo: (1.16) 1.3 ; 1.3 Per cui l’espressione del fattore di smorzamento risulta: 1.3 1.3 . (1.17). Purtroppo alla verifica pratica il fattore di smorzamento effettivo è risultato essere circa dieci volte superiore a quello teorico. Questo porta alla conclusione che concorrono altri meccanismi dissipativi non trascurabili. Tuttavia l’espressione precedente può essere utile per 2. Il numero di Knudsen esprime il rapporto tra il cammino libero medio delle molecole di aria λ e una dimensione caratteristica del corpo L. Si tenga presente che a pressione e temperatura standard (300 K, 1 atm) λ vale 8∙10‐8 m, molto minore di qualunque dimensione dei dispositivi. . 16 .
(21) . 17 . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . comprendere la dipendenza di D dalle dimensioni geometriche dei dispositivi. . 1.2.2. Attuazione e rivelazione magnetica . Il dispositivo viene messo in oscillazione torsionale grazie alla forza di Lorentz agente su una spira di alluminio (spira di drive) presente lungo il perimetro del piatto centrale (Figura 1.10, si supponga per semplicità che le dimensioni della spira coincidano con quelle del piatto centrale). . F . B L . W. F . . Figura 1.10. Rappresentazione schematica dell’attuazione magnetica. . Questo meccanismo di attuazione è stato usato in numerosi dispositivi presenti in letteratura (ad esempio in [14]). Affinché la forza di Lorentz agisca sulla spira è necessario un campo magnetico esterno fisso, generato da magneti permanenti. La spira di drive viene alimentata con tensione alternata, in modo da innescare l’oscillazione. La corrente di pilotaggio, che attraversa la spira di drive, segue quindi l’andamento: sin. sin. . (1.18). dove Vd è il valore di picco della tensione applicata, Rd è la resistenza della spira di drive e ω la pulsazione della tensione applicata. .
(22) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . La forza di Lorentz agente sulla spira, e quindi sul dispositivo, è: . 18 . (1.19). in cui B è il campo di induzione magnetica esterno. La forza di Lorentz agisce solo sulle due porzioni di spira perpendicolari alle linee di forza del campo magnetico, ragion per cui W non compare nell’espressione precedente. Questa forza genera il momento torcente che provoca le oscillazioni. Il momento torcente risultante, causato dalla coppia di forze aventi W/2 come lunghezza del braccio (Figura 1.11), è quindi: 2. (1.20). . 2. Tale momento risultante avrà quindi lo stesso andamento sinusoidale della corrente di pilotaggio. Non essendo ovviamente la spira un componente puramente resistivo la corrente che la percorre non è in fase con la tensione applicata. Tuttavia questo aspetto, per il momento, non è di nessuna importanza, sebbene contribuisca allo sfasamento totale tra tensione applicata al dispositivo e tensione letta in uscita dal dispositivo. F B N . S θ . B F . Figura 1.11. Momento torcente agente sul piatto centrale. . La tensione di uscita è misurata ai capi di altre spire presenti nel piatto centrale, detti spire di sensing. Questi avvolgimenti subiscono una variazione del flusso magnetico ed essi concatenato, causata dal .
(23) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . movimento del sensore. Ipotizzando che l’unica fonte di campo magnetico sia quella esterna (e trascurando perciò il flusso generato dalla spira di drive, il quale causa un’accoppiamento diretto tra le spire di drive e sensing) il flusso concatenato alle spire di sensing è: ·. sin. . (1.21). dove N è il numero di spire di sensing, è il versore normale alla superficie del piatto centrale, Si la superficie della spira i‐esima, θ(t) è l’angolo di rotazione del piatto centrale rispetto alla posizione di riposo (in posizione di riposo il flusso concatenato è nullo) ed infine AT indica l’area complessiva delle spire di sensing, data dalla sommatoria delle aree di tutte le spire. Questo flusso variabile induce una tensione ai capi delle spire, secondo la legge di Faraday. Ignorandone il segno, tale tensione vale: Ω. cos. Ω . (1.22). in cui Ω(t) è la velocità angolare del piatto centrale. Per piccoli valori di θ(t) è possibile trascurarne il coseno, approssimando ad 1. L’attuazione e rivelazione magnetica provocano una forza di smorzamento al sistema meccanico. Tale effetto smorzante è dovuto alla forza elettromotrice indotta dalla variazione del flusso magnetico che attraversa il piatto centrale durante il movimento del sensore (legge di Faraday‐Lenz). Questa tensione indotta genera quindi una corrente di verso tale da generare a sua volta un campo magnetico che si oppone alla variazione del flusso magnetico. Questo produce quindi un lieve effetto frenante sul movimento del sensore ma l’entità di tale forza frenante è minima in quanto normalmente i terminali degli avvolgimenti magnetici sono collegati in alta impedenza, per cui l’entità della corrente indotta è del tutto trascurabile. . 19 .
(24) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . Mentre la funzione di trasferimento meccanica del sistema, come già accennato, esprime il rapporto tra la velocità angolare Ω(t) e il momento torcente esterno risultante M(t), la funzione di trasferimento elettrica del sistema è data dal rapporto tra la corrente circolante nella spira di drive I(t) e la tensione di uscita dalle spire di sensing Vs(t). In questo caso tale funzione è più propriamente definita transimpedenza, ed è legata alla funzione di trasferimento meccanica come segue: Ω (1.23) Tale espressione può essere riscritta mettendo in evidenza i termini che accoppiano il sistema meccanico al sistema elettrico: Γ. Γ. . (1.24). dove: Γ. ;. Γ. . (1.25). I fattori Гin e Гout sono i coefficienti di accoppiamento elettro‐meccanico alla porta di ingresso e di uscita. Essi esprimono rispettivamente il rapporto tra il momento torcente in ingresso e la corrente di drive e il rapporto tra tensione in uscita e velocità angolare. L’espressione (1.24) presenta tuttavia la grande approssimazione causata dall’aver ignorato, nel calcolo della tensione di uscita, la presenza di un accoppiamento diretto tra la spira di drive e la spira di sensing. Tale accoppiamento può essere espresso tramite una mutua induttanza di valore M. Direttamente nel dominio di Laplace è possibile scrivere la tensione in uscita dalle spire di sensing causata dall’accoppiamento diretto con la spira di drive: (1.26) . 20 .
(25) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . 21 . dove I(s) è la corrente circolante nella spira di drive. La transimpedenza complessiva del sistema risulta quindi essere: Γ Γ Γ Γ Γ. Γ. (1.27). . dove si è messo in evidenza il numeratore Num(s) e il denominatore Den(s) di H(s). Mentre i poli del sistema restano invariati, si osserva come il numeratore risultante è dato da una funzione di 3° grado nella variabile s. Poiché N(s) presenta uno zero nell’origine, è possibile concludere che la mutua induttanza aggiunge 2 zeri alla transimpendenza totale. Alla luce di tutto ciò si ricava il circuito equivalente a paramentri concentrati (Figura 1.12). . Rd . Rs . M. Ld . Ls . τ J. I . kθ‐1. Гin:1 . D‐1. Vo . Vs . Ω 1:Гout. Figura 1.12. Circuito equivalente del sistema. . Il circuito equivalente segue la convenzione per cui il momento torcente τ equivale alla corrente mentre la velocità angolare Ω è una tensione. I due trasformatori schematizzano l’accoppiamento tra il circuito elettrico e il circuito meccanico. Nel circuito meccanico il momento di inerzia J viene rappresentato da una capacità, l’inverso della costante elastica torsionale kθ è un’induttanza, l’inverso del fattore di smorzamento D una resistenza. La parte elettrica comprende le induttanze Ld, Ls e le resistenze Rd, Rs .
(26) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . rispettivamente della spira di drive e delle spire di sensing, nonché la loro mutua induttanza M. Trascurando il termine dovuto alla mutua induttanza, è interessante ricavare il rapporto tra la corrente di drive e la tensione di uscita alla frequenza di risonanza. Nel dominio della frequenza, la funzione di trasferimento meccanica alla risonanza diventa: 1. . (1.28). 1 Il livello di tensione di uscita alla risonanza sarà quindi dato semplicemente da: Γ Γ (1.29) Γ Γ A titolo esemplificativo si riportano gli andamenti di modulo e fase di una generica funzione di trasferimento della stessa forma della transimpedenza complessiva del sensore. Come si vedrà nel terzo capitolo, questi andamenti sono in perfetto accordo con i risultati sperimentali. I diagrammi in si riferiscono a una generica funzione del tipo: . 1. . Dove si è scelto arbitrariamente ω0=1 rad/s, Q=120, A=15. . (1.30). 22 .
(27) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . 140 120. Modulo. 100 80 60 40 20 0 0.9. 0.95. 1. 1.05. 1.1. Pulsazione ω [rad/s]. Figura 1.13. Modulo della funzione di trasferimento F(jω). 90. Fase [°]. 45. 0 0.9. 0.95. 1. 1.05. 1.1. ‐45. ‐90. Pulsazione ω [rad/s]. Figura 1.14. Fase della funzione di trasferimento F(jω). . . 1.3 Funzionalizzazione e sensibilità Come già accennato, l’informazione utile del sensore è data dallo scostamento di frequenza di risonanza dovuto alla variazione del momento di inerzia J. Indicando con ΔJ tale variazione è possibile scrivere la pulsazione di risonanza come: . 23 .
(28) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . ∆. (1.31). . Ottenendo uno scostamento relativo rispetto a ω0 pari a: ∆ ∆ ∆ (1.32) 2 dove chiaramente f=ω/2π. Un aumento del momento di inerzia provoca perciò una diminuzione della frequenza di risonanza. Questa espressione può essere sviluppata, considerando la microbilancia composta interamente di ossido di silicio (densità ρox) e ipotizzando che sulla superficie si adsorbano molecole di massa ζ distanziate tra loro di un valore medio pari a δ. Si ottiene quindi [1]: ∆ (1.33) 2 2 in cui t è lo spessore della microbilancia e ρox è la densità superficiale di massa adsorbita (pari al rapporto tra la massa ζ e l’area mediamente occupata da una molecola δ2). Tale risultato è immediatamente ottenibile ipotizzando che l’adsorbimento di molecole provochi un aumento della densità del materiale di cui è composta la microbilancia. Ipotesi ragionevole dato che nel computo del momento di inerzia il termine dovuto allo spessore è trascurabile (eq. 1.14). Ricordando che il momento di inerzia è proporzionale alla densità, e che la densità volumetrica si ottiene dal rapporto tra densità superficiale e spessore, si ha: ∆. ∆ 2. 2. 2. . (1.34). Ottenendo nuovamente l’equazione (1.33). E’ possibile quindi identificare l’espressione precedente con un importantissimo parametro di merito per . 24 .
(29) . 1. Descrizione e principio di funzionamento del sensore . le microbilance, ossia la sensibilità. L’indice di interesse infatti è la variazione relativa di frequenza di risonanza dovuta ad una densità di massa adsorbita in quanto la funzionalizzazione, come si vedrà successivamente, permette appunto di appesantire il sensore con una certa densità di massa superficiale. E’ impensabile utilizzare il sensore per ottenere valori di massa assoluti ed è perciò irrilevante la sensibilità espressa in Δf/Δm (Δm variazione di massa assoluta), la quale dipenderà pesantemente dalle dimensioni del sensore stesso, dando un’indicazione fuorviante della sensibilità del sensore. In generale la funzionalizzazione può essere suddivisa nei seguenti passi. ‐ Attivazione della superficie di ossido di silicio. ‐ Immobilizzazione del recettore (probe) al quale si legherà la molecola ricercata (target). In seguito si può passare alla fase di misura vera e propria della molecola target. Tipicamente immergendo il sensore in una soluzione contenente il target e lavando via le eventuali molecole interferenti si ottiene un sensore pronto per la misura elettrica. Per dare un esempio, nel caso di analisi di sequenze genetiche si può ottenere una densità superficiale di recettori adsorbiti pari a 1017 probes/m2. Ciascuna probe può tipicamente contenere 1000 basi di DNA da 300 dalton l’una, per un peso complessivo di 4.98∙10‐22 kg. Considerando tali valori costanti (in effetti non possono essere controllati in fase di progetto), e dato che la densità dell’ossido di silicio è 2200 Kg/m3 ecco che è possibile stimare una “sensibilità tipica” del sensore come segue: ∆ 49.8 · 10 11.32 · 10 · · (1.35) 2 2 · 2200 · Esprimendo lo spessore in µm e la sensibilità in ‰ si ottiene la semplice relazione: (1.36) ‰ · µm 11.32 . 25 .
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