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Fotocromismo nelle proteine fluorescenti: uno studio Raman

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione 4

1 Le proteine intrinsecamente fluorescenti 7

1.1 La wild-type GFP e il suo cromoforo . . . 11

1.1.1 Struttura primaria, secondaria, terziaria . . . 11

1.2 Propriet`a chimico-fisiche del cromoforo libero . . . 13

1.2.1 Spettri del cromoforo libero . . . 14

1.3 Propriet`a ottiche della wt -GFP . . . 16

1.3.1 Spettri di assorbimento e di emissione . . . 16

1.3.2 Sensibilit`a al pH e a piccoli ioni . . . 20

1.4 Mutanti . . . 22

1.4.1 Mutanti di diversi colori . . . 24

1.4.2 La famiglia delle “E”GFP . . . 25

1.5 Fotocromismo . . . 26

1.5.1 Fotocromismo nelle IFP . . . 27

1.6 Applicazioni delle IFP . . . 29

1.6.1 Utilizzo delle IFP in vivo . . . 29

1.6.2 Alcune tecniche avanzate di fluorescenza . . . 31

1.6.3 Applicazioni non biologiche: memorie ottiche . . . 34

(2)

2 La spettroscopia Raman 41

2.1 Teoria dell’effetto Raman . . . 42

2.2 L’effetto Raman vibrazionale . . . 45

2.2.1 Modi vibrazionali di una molecola . . . 45

2.2.2 Teoria di Placzek . . . 50

2.3 Utilizzo della spettroscopia Raman . . . 51

2.3.1 Strumentazione . . . 51

2.3.2 Particolarit`a della spettroscopia Raman . . . 54

2.3.3 Applicazioni biologiche . . . 56

2.4 Spettri Raman dei cromofori delle IFP . . . 57

2.4.1 Il cromoforo blu . . . 59

2.4.2 Il cromoforo verde . . . 61

2.4.3 Conclusioni . . . 64

3 Materiali e metodi 66 3.1 Trattamento dei campioni . . . 66

3.1.1 Scelta della soluzione tampone . . . 67

3.1.2 Soluzione tampone a pH acido . . . 70

3.1.3 Misura della concentrazione . . . 71

3.2 Misure Raman sui cromofori in proteina . . . 74

3.2.1 Strumentazione . . . 75

3.2.2 Preparazione dell’apparato . . . 78

3.2.3 Acquisizione dei dati . . . 80

3.2.4 Fotoconversione della proteina . . . 82

3.2.5 Spettro della forma fotoconvertita . . . 83

3.3 Dalla misura allo spettro . . . 84

3.3.1 Rimozione dei background . . . 85

(3)

4 Risultati 89

4.1 Gli stati della BFPF . . . 89

4.1.1 Confronto cromoforo – proteina . . . 89

4.1.2 Forma nativa e forma fotoconvertita . . . 92

4.2 Gli stati della E222Q . . . 94

4.2.1 Confronto cromoforo – proteina . . . 94

4.2.2 Forma anionica . . . 95

4.2.3 Le due forme neutre . . . 97

5 Conclusioni 100

Ringraziamenti 102

Elenco delle figure 103

Elenco delle tabelle 106

(4)

Introduzione

Questa tesi `e il risultato di un lavoro sperimentale condotto presso il laboratorio di biofisica della Scuola Normale Superiore di Pisa, affiliato al

gruppo NEST-CNR e al reparto nanobiotecnologie dell’IIT. La nostra atti-vit`a si colloca all’interno di una linea di ricerca molto attiva sulla famiglia

delle proteine intrinsecamente fluorescenti (IFP — Intrinsically Fluore-scent Proteins), una classe di molecole la cui importanza aumenta di giorno in

giorno grazie alle numerose applicazioni in neurobiologia e in biologia mole-colare, sia per esperimenti di imaging, sia per studi di diffusione intracellulare

e interazione tra proteine.

In questa tesi mi sono occupato della fotofisica di alcune proteine

fluo-rescenti derivate dalla proteina verde fluorescente (GFP), indagando in par-ticolare i processi di fotoconversione a cui esse possono andare incontro in

seguito ad assorbimento di luce visibile o ultravioletta. Una molecola che si trovi in uno stato elettronico eccitato pu`o infatti dissipare energia per diverse

vie, quali il rilassamento termico, l’emissione di radiazione (fluorescenza o fo-sforescenza) e una serie di altri fenomeni spesso descritti come “fotocromici”,

ovvero che comportano una variazione delle propriet`a ottiche della sostanza. Esempi di meccanismi alla base di queste variazioni sono le isomerizzazioni

cis-trans o i cambiamenti nello stato di protonazione del cromoforo. Il lavoro si `e concentrato su due mutanti (F64L/Y66F GFP ed F64L/T203Y/E222Q

(5)

GFP) progettati ad hoc come versioni “modello” di proteine molto usate in biofisica e biologia. Grazie a questa scelta `e stato possibile analizzare

detta-gliatamente i risultati e fornire modelli precisi per la fotochimica di queste proteine e delle classi di proteine ad esse simili.

Come tecnica sperimentale `e stata adottata la spettroscopia Raman pre-risonante. Questo approccio ha permesso di selezionare i modi

vibra-zionali del cromoforo (ovvero della parte della molecola responsabile del-l’assorbimento e dell’emissione di luce visibile) e poter cos`ı indagare le sue

modificazioni strutturali, in stretto collegamento con le previsioni derivate da simulazioni al calcolatore.

Il nostro lavoro sar`a utile per la comprensione delle complicate relazioni tra strutture e funzioni e sar`a di guida nella progettazione di nuovi

mutan-ti dotamutan-ti di propriet`a fotofisiche adatte alle diverse applicazioni di queste molecole.

Il presente lavoro `e strutturato nel seguente modo:

ˆ Nel primo capitolo viene presentata una panoramica sulle propriet`a chimico-fisiche ed ottiche delle proteine fluorescenti, con particolare attenzione ai fenomeni fotocromici.

ˆ Segue (Capitolo 2) una trattazione della spettroscopia Raman sotto il profilo teorico e sperimentale, con un occhio di riguardo al suo

utiliz-zo in ambito biologico ed in particolare alla sua utilit`a per il nostro progetto.

ˆ Il terzo capitolo `e un resoconto dell’attivit`a di laboratorio svolta, dal trattamento dei campioni all’acquisizione dei dati ed alla loro

elabora-zione.

(6)

con i risultati gi`a ottenuti sui cromofori in soluzione e viene suggerita un’interpretazione dei fenomeni fotofisici osservati.

(7)

Capitolo 1

Le proteine intrinsecamente

fluorescenti

Figura 1.1: Rap-presentazione simbolica della GFP, che assorbe a 398 nm e 475 nm ed emette a 508 nm (adatt. da http://www. chem.leidenuniv.nl/ metprot/armand). Le proteine intrinsecamente fluorescenti [1] (IFP —

In-trinsically Fluoresent Proteins) sono, come dice il nome stesso, molecole proteiche in grado di assorbire luce

vi-sibile o nel vicino ultravioletto e di riemetterla in tempi brevi (∼ns). Tale capacit`a `e dovuta alla presenza di una

parte di molecola (il cromoforo) con numerosi doppi lega-mi coniugati che si combinano a formare degli orbitali π

e π∗ molto vicini in energia. Il cromoforo `e dunque parte integrante dello scheletro peptidico, a differenza di altre

proteine fluorescenti in cui la luminescenza `e dovuta ad un cofattore che si lega dopo la maturazione del peptide.

Al giorno d’oggi si conoscono pi`u di 200 proteine

in-trinsecamente fluorescenti. Alcune si trovano in natura come pigmenti in

animali marini appartenenti al phylum Cnidarii (meduse, coralli), con varie funzioni (dalla ricerca di prede alla fotoprotezione), altre sono state ottenute

(8)

mediante mutazioni nella sequenza codificante.

In questo capitolo esaminiamo alcune caratteristiche delle IFP, comin-ciando dalla capostipite della famiglia: la wild-type GFP. Vengono descritti

separatamente il comportamento ottico di cromofori modello in soluzione e dell’intera proteina, elencando i fattori che le condizionano (pH, solvente).

Dopo una digressione sui mutanti della GFP, viene introdotto il concetto di fotocromismo e vengono elencate le sue manifestazioni nelle molecole di

no-stro interesse. In chiusura vengono riportati alcuni studi preliminari sui due mutanti utilizzati per questa ricerca.

Ricordiamo brevemente le quantit`a che caratterizzano il comportamento

ottico di una sostanza [3]:

Assorbanza o densit`a ottica (A): descrive la capacit`a di un campione di assorbire radiazione di data lunghezza d’onda λ e viene espressa come il

logaritmo decimale del rapporto tra l’intensit`a (spettrale) della luce uscente e quella della luce entrante: A(λ) = Log Iin(λ)

Iout(λ)

. L’assorbanza `e una grandezza

additiva.

Coefficiente di estinzione (): corrisponde all’assorbanza normalizzata per la concentrazione molare dei cromofori [Cro] e lo spessore l del campione:

A(λ) = (λ)[Cro]l. Solitamente si misura in (mol/l)−1cm−1.

Vita media (τ ): il tempo di decadimento della fluorescenza, ovvero

del-lo stato eccitato. Numericamente `e il reciproco della somma su tutti i processi (radiativi e non) delle velocit`a di decadimento spontaneo κi: τ−1 = κf luo+

X i6=f luo

κi.

Resa quantica (Φ o QY — Quantum Yield): genericamente, indica la frazione di molecole che decadono secondo un determinato “canale”. In

(9)

que-st’ambito di ricerca sono importanti la resa quantica di fluorescenza e quella di fotoconversione.

ˆ La resa quantica di fluorescenza `e uguale al rapporto tra il numero di fotoni emessi in un certo intervallo di tempo e il numero di fotoni

assorbiti; essa `e collegata alla vita media dalla relazione

Φf luo= τ κf luo =

κf luo

κf luo+Pi6=f luoκi

.

Poich´e la potenza assorbita Pass si pu`o misurare come differenza tra la potenza incidente sul campione Pinc e quella trasmessa Ptr ed il flusso di fotoni `e dato dalla potenza divisa per un quanto di energia ~ωinc, la potenza totale emessa `e quindi data da

Pf luo = PassΦf luo~ω

f luo ~ωinc = (Pinc− Ptr)Φf luo λinc λf luo .1

ˆ La resa quantica di fotoconversione `e uguale alla probabilit`a che ha una molecola eccitata di decadere in modo non radiativo su uno stato diverso da quello di partenza:

Φf c= τ κf c = κf c κf c+ κf luo+ P iκi .

1Poich´e la radiazione viene emessa in tutte le direzioni, la potenza effettivemente

mi-surata dipender`a dall’area del rivelatore (Æ), dalla sua distanza angolare rispetto al fascio incidente (θ) e dall’eventuale presenza di filtri polarizzatori in ingresso od in uscita: in assenza di filtri si avr`a ovviamente Pmis= If luo(θ)Æ.

(10)

Figura 1.2: Albero filogenetico delle IFP oggi conosciute (da [2]). I simboli indicano note dell’articolo.

(11)

1.1

La wild-type GFP e il suo cromoforo

Figura 1.3: La comune medusa Aequorea victoria, che vive principalmente lungo le coste pacifiche del Nordamerica (da http://srv2.lycoming.edu/). La proteina fluorescente verde (GFP

= Green Fluorescent Protein) [4, 5, 6] si tro-va in natura nella medusa Aequorea victoria

(Fig. 1.3). Questo organismo utilizza la lumi-nescenza per attirare il plancton: l’energia

ne-cessaria per l’eccitazione viene fornita da un’al-tra molecola detta aequorina, atun’al-traverso un

trasferimento risonante di energia. La GFP fu scoperta nel 1962 da Shimomura et al. [7], ma

solo negli anni ‘90 si riusc`ı a sequenziarne il

gene [8] e a ricostruire la struttura della proteina e del cromoforo.

1.1.1

Struttura primaria, secondaria, terziaria

Una proteina `e una molecola biologica dalla struttura complessa, che si

organizza a pi`u “livelli”:

Struttura primaria: sequenza degli amminoacidi che la compongono, or-dinati dall’N-terminale al C-terminale; il primo amminoacido di una proteina

nativa `e sempre una metionina. I nomi degli amminoacidi vengono abbreviati usando un codice triletterale o, pi`u spesso, monoletterale.

Struttura secondaria: disposizione spaziale locale degli atomi della

ca-tena principale. La maggior parte delle catene peptidiche si conforma a dei modelli noti (elica α, piano β, ansa).

(12)

Struttura terziaria: modalit`a di ripiegamento della catena polipeptidica, con la formazione di uno o pi`u domini strutturali.

Struttura quaternaria: struttura derivante dall’unione di pi`u catene

pro-teiche.

Figura 1.4: Struttura primaria e secondaria della wild-type GFP (adatt. da [4]).

La GFP `e costituita da 238 amminoacidi, organizzati per lo pi`u in 11 filamenti β: la struttura primaria e secondaria sono rappresentate in Fig. 1.4.

La maturazione della proteina `e spontanea e porta alla formazione di una struttura molto rigida [9] detta barilotto β avente diametro 24 ˚A ed altezza

42 ˚A, come si vede in Fig. 1.5. Il peso molecolare della proteina matura `e di 27 kDa.

Il cromoforo si trova al centro del barilotto β ed `e formato da due anelli aromatici uniti da un ponte insaturo: il suo nome IUPAC `e

4-(para-idrossibenzilidene)5-imidazolinone e la sua struttura `e mostrata in Fig. 1.6. Si forma durante la maturazione della proteina a partire da tre residui

am-minoacidici (Ser65, Tyr66 and Gly67) attraverso una reazione autocatalitica ed `e stabilizzato da una fitta rete di legami ad idrogeno che coinvolge

(13)

quat-Figura 1.5: Il barilotto β visto da due differenti angolazioni (da [4]). Il cromoforo `e rappresentato mediante “sfere e bastoncini”.

tro molecole d’acqua e diversi altri residui (Gln69, Arg96, His148, Thr203, Ser205, Glu222).

1.2

Propriet`

a chimico-fisiche del cromoforo libero

Per comprendere appieno le propriet`a ottiche della GFP, sono stati

sinte-tizzati diversi cromofori modello, in cui i legami con il resto dello scheletro peptidico sono sostituiti da atomi di idrogeno o gruppi metilici (–CH3). Nel nostro laboratorio `e stato sintetizzato chimicamente e studiato [10] l’HBDI (HydroxyBenzilideneDimethylImidazolinone), la cui formula di struttura `e

raffigurata in Fig. 1.6.

In soluzione acquosa l’HBDI si pu`o trovare in due stati di protonazione: neutro (A) ed anionico (B), con una costante di dissociazione acida pKa ≡ − Log Ka = 8.2; questo significa che in una soluzione tampone, per esempio a pH=9, le molecole si distribuiscono tra le due forme con un rapporto tra

(14)

Figura 1.6: Le due forme del cromoforo della GFP coesistenti all’equilibrio: protonata (A) ed anionica (B). le popolazioni dato da [A] [B] = [H+] Ka = 10pKa−pH = 6.31; (1.1)

il protone dissociabile `e quello legato all’ossigeno fenolico.

Figura 1.7: Struttura del cromoforo neutro della GFP nelle configurazioni cis e trans.

La molecola `e essenzialmente planare, grazie alla presenza di numerosi

doppi legami coniugati, e pu`o esistere in due configurazioni, indicate con i ter-mini cis e trans (vd. Fig. 1.7). Tutti i cromofori delle proteine derivate dalla

GFP sono cis nello stato fondamentale. Per comodit`a, nel seguito indicher`o con le lettere T ed U le forme trans neutra ed anionica, rispettivamente.

1.2.1

Spettri del cromoforo libero

Lo spettro di assorbimento del cromoforo modello presenta una o due bande principali la cui posizione esatta dipende fortemente dal solvente

(15)

uti-2 8 0 3 0 0 3 2 0 3 4 0 3 6 0 3 8 0 4 0 0 4 2 0 4 4 0 4 6 0 4 8 0 5 0 0 0 5 0 0 0 1 0 0 0 0 1 5 0 0 0 2 0 0 0 0 2 5 0 0 0 3 0 0 0 0 3 5 0 0 0 C o ef fi ci en te d i es ti n zi o n e (M -1 cm -1 ) L u n g h e z z a d ’ o n d a ( n m ) p H = 5 . 9 0 p H = 6 . 6 4 p H = 7 . 2 2 p H = 7 . 5 9 p H = 7 . 7 8 p H = 7 . 9 3 p H = 8 . 1 4 p H = 8 . 2 7 p H = 8 . 4 1 p H = 8 . 5 3 p H = 8 . 6 5 p H = 9 . 0 2 p H = 9 . 3 5 p H = 9 . 5 9 p H = 9 . 7 7 p H = 1 0 . 8 4 p H = 1 1 . 5 0 p H = 1 2 . 0 0 A B

Figura 1.8: Spettri di assorbimento del cromoforo modello (HBDI) in soluzione acquosa, a diversi pH (comunicazione personale). Sono chiaramente visibili le due bande a 369 nm e a 425 nm ed un punto isosbestico a 388 nm.

lizzato. In Fig. 1.8 sono riportati gli spettri di assorbimento (normalizzati)

dell’HBDI in soluzione acquosa, per valori di pH compresi tra 4 e 12. Le graduali variazioni di altezza delle due bande permettono di assegnare

ˆ la banda ad alta energia (λ = 369 nm) al cromoforo in forma neutra (A);

ˆ la banda a pi`u bassa energia (λ = 425 nm) al cromoforo in forma anionica (B).

In solventi aprotici il cromoforo pu`o esistere solamente in forma neutra. Per confronto, in Fig. 1.11 riportiamo uno spettro del cromoforo neutro in

acetonitrile (CH3CN), solvente in cui `e stato possibile isolare la forma trans. Si pu`o notare che entrambe le forme hanno il massimo dell’assorbimento a

368 nm, ma l’assorbanza massima della forma trans `e circa 2

3 di quella della forma cis; inoltre lo spettro della forma trans presenta una seconda banda

(16)

2 8 0 3 0 0 3 2 0 3 4 0 3 6 0 3 8 0 4 0 0 4 2 0 4 4 0 4 6 0 4 8 0 5 0 0 0 5 0 0 0 1 0 0 0 0 1 5 0 0 0 2 0 0 0 0 2 5 0 0 0 3 0 0 0 0 3 5 0 0 0 C o e ff ic ie n te d i e st in z io n e ( M -1 c m -1 ) L u n g h e z z a d ’ o n d a ( n m ) c G F P i n C H 3C N , f o r m a c i s c G F P i n C H 3C N , f o r m a t r a n s

Figura 1.9: Spettri di assorbimento dell’HBDI in acetonitrile (comunicazione personale). Si notino la comparsa della seconda banda di assorbimento nello spettro della forma trans e la maggiore assorbanza a 420 nm.

con due massimi a 305 nm e 318 nm ed una coda pi`u alta a lunghezze d’onda maggiori.

Il cromoforo libero `e molto poco fluorescente: Φf luo ∼ 10−4, in quanto la molecola possiede diversi canali di diseccitazione non radiativa, tra cui le

collisioni con le altre molecole presenti in soluzione e la torsione attorno al doppio legame.

1.3

Propriet`

a ottiche della wt -GFP

1.3.1

Spettri di assorbimento e di emissione

La figura 1.10 mostra lo spettro di assorbimento (linea continua) e di fluorescenza (linea tratteggiata) della GFP. Nello spettro di assorbimento

sono presenti:

(17)

presen-Figura 1.10: Spettri di assorbimento nel visibile e vicino UV (linea continua) e di emissione (linea tratteggiata) della wild-type GFP.

za di amminoacidi aromatici — fenilalanina, tirosina e triptofano — nonch´e della cistina (amminoacido derivato dalla cisteina mediante la

formazione di ponti disolfuro);

ˆ una banda a 398 nm, dovuta al cromoforo in forma neutra protonata; ˆ una banda a 475 nm, alta circa 1

3 della precedente, dovuta al cromoforo in forma anionica.

Lo spostamento verso il rosso delle ultime due bande rispetto a quelle nel

cromoforo in soluzione si pu`o spiegare con una stabilizzazione dello stato eccitato da parte dei residui circostanti, tra cui Arg96 che forma un legame

a idrogeno con il gruppo carbonilico del cromoforo.

I coefficienti di estinzione delle forme A e B sono A = 3 · 104 M−1cm−1 e B = 7·103M−1cm−1, il che ci dice che nella proteina, in condizioni fisiologiche (pH ' 7), il rapporto tra le due popolazioni `e 6:1.

(18)

Figura 1.11: Modello semplificato dei livelli energetici della GFP (da [11]). `E indicata l’altezza relativa (in energia) delle forme A, I e B e delle rispettive forme eccitate A*, I* e B* e le possibili vie di decadimento radiativo e non. La sigla NAC (NonAdiabatic Crossing) indica il decadimento non radiativo vicino ad un’intersezione, reale o evitata, delle superfici di energia potenziale (cfr. Sez. 2.2) che descrivono lo stato elettronico eccitato e il fondamentale; il suo indice mostra le coordinate maggiormente coinvolte nel decadimento: uno degli angoli di torsione attorno al ponte insaturo (indicati dall’autore con τ e ϕ) o entrambi (HT = movimento Hula-Twist).

Lo spettro di fluorescenza presenta una sola banda molto intensa, centrata a 508 nm. Contrariamente al caso in soluzione, all’interno della

proteina il cromoforo `e molto fluorescente: il barilotto β da un lato ne impe-disce la deformazione e dall’altro lo protegge dall’interazione con l’ambiente

esterno. Di conseguenza l’emissione luminosa prevale sui vari meccanismi di decadimento non radiativo. Nel dettaglio:

ˆ La forma B emette direttamente a 503 nm, con una resa quantica del 60%.

ˆ La forma A subisce pi`u passaggi: dopo l’eccitazione il cromoforo tende a perdere il protone legato all’ossigeno fenolico (come tutti i derivati del fenolo, diventa pi`u acido nello stato eccitato: la Ka aumenta di

(19)

Figura 1.12: Schema della configurazione del cromoforo e dell’ambiente circostante nelle forme A, I e B. In colore blu sono mostrati gli spostamenti di doppietti elettronici che avvengono dopo l’eccitazione della forma A, cos`ı che i legami a idrogeno vengono sostituiti da legami covalenti e viceversa ed il cromoforo viene deprotonato. In rosso sono mostrate le differenze principali tra le forme I e B: pur essendovi apparentemente meno cambiamenti, la conversione I−→B possiede una barriera energetica pi`u alta. Si noti la diversa posizione della Thr203.

circa due ordini di grandezza), portandosi in un altro stato I, cio`e uno

stato anionico con un contesto pi`u simile a quello di A, ed emettendo successivamente a 508 nm; il ritorno da I ad A avviene nello stato

(20)

1.3.2

Sensibilit`

a al pH e a piccoli ioni

Le propriet`a ottiche di una IFP variano col pH nella misura in cui cambia lo stato di protonazione del cromoforo e del residuo Glu222, che con esso

interagisce [12]. La proteina pu`o quindi teoricamente esistere in quattro stati, come mostrato in Fig. 1.13:

Forma A’: Cro66 e Glu222 entrambi neutri;

Forma A: Cro66 neutro, Glu222 anionico;

Forma B: Cro66 anionico, Glu222 neutro;

Forma B’: Cro66 e Glu222 entrambi anionici.

Figura 1.13: Modello della GFP con due siti di protonazione (da [12]).

Ciascuno di questi stati sar`a pi`u o meno favorito a seconda del pH. Trascu-rando la presenza della forma B’ (la quale, possedendo due cariche negative

(21)

vicine, pu`o esistere sono a pH talmente elevati da causare la denaturazione della proteina), si pu`o esprimere lo spettro di assorbimento di un campione

come combinazione lineare di quelli delle altre tre forme, pesati con le frazioni molari all’equilibrio (Xi) [12]: A(λ) = XA0AA0(λ) + XAAA(λ) + XBAB(λ) = = [Cro]lA0(λ) + 10 pH − pKA0A A(λ) + 10pH − pKA0BB(λ) 1 + 10pH − pKA0A + 10pH − pKA0B . (1.2)

La situazione `e quindi formalmente identica ad un equilibrio a singolo sito di protonazione tra lo stato A’ ed uno stato M di carattere misto tra A e B:

per rendere pi`u evidente questo fatto basta definire      KA0M= KA0A(1 + KAB) M = A+ KABB 1 + KAB : (1.3)

in questo modo si ottiene

A(λ) = [Cro]lA0(λ) + 10

pH − pKA0M

M(λ)

1 + 10pH − pKA0M . (1.4)

Sperimentalmente si ricava pKA0M ≈ 5 (per la wild-type). Si pu`o quindi dire che lo spettro della proteina a pH bassi (2 ÷ 3 unit`a sotto pKA0M) `e essenzialmente quello della forma A’, mentre a pH alti si ottiene quello di M, che `e una combinazione lineare di quelli di entrambe le forme del cromoforo.

In alcuni mutanti descritti in seguito (E1GFP, E2GFP) l’emissione `e risul-tata sensibile alla presenza di ioni (alogenuri) [13] che, grazie alle loro piccole

dimensioni, possono penetrare all’interno del barilotto β e fissarsi stabilmen-te nelle vicinanze del cromoforo: indicando con X il generico alogenuro, si

pu`o scrivere la reazione come GFP + X) GFPX. Il complesso che ne risul-* ta non `e fluorescente, per cui l’emissione del campione viene diminuita di un

fattore 1

1 + Kd[X]

(22)

Infine, `e stato mostrato [14] che un piccolo aumento della temperatu-ra favorisce leggermente il popolamento dello stato con cromoforo anionico

(finch´e la proteina non denatura, il che avviene per temperature attorno a 78°C), mentre aumentando la concentrazione la proteina assume la tendenza a dimerizzare, il che rende sfavorita la forma B.

1.4

Mutanti

Le propriet`a della GFP (maturazione spontanea, elevata brillantezza) e la disponibilit`a di tecniche adeguate di ingegneria genetica hanno portato alla

progettazione ed alla creazione di numerose (oltre 100) proteine mutanti. Le mutazioni possono interessare il cromoforo o gli amminoacidi circostanti e

possono portare a variazioni nel colore o nelle “prestazioni” quali efficienza nel folding, resa quantica, tempo di vita. Una classificazione ancora valida

(pur con qualche aggiornamento) `e quella di Roger Tsien [14], che le divide in sette classi (cfr. Tab. 1.1).

Le mutazioni vengono indicate mediante la notazione XnY, dove

ˆ X indica l’amminoacido originario secondo il codice standard unilette-rale;

ˆ n indica la posizione dell’amminoacido rispetto all’N-termine della pro-teina originaria;

ˆ Y indica l’amminoacido nuovo. Le mutazioni possono interessare:

ˆ direttamente il cromoforo (residui 65, 66, 67);

ˆ i residui ad esso collegati (direttamente o indirettamente) tramite le-gami a idrogeno, tra cui Thr203 e Glu222;

(23)

Tabella 1.1: Lista dei mutanti della GFP e delle loro propriet`a ottiche (adattata da [14]). Le referenze dell’ultima colonna sono quelle riportate nell’articolo. Qualora ad un mutante corrispondano pi`u righe, nella prima riga sono elencati i parametri relativi alla forma A, nella seconda quelli relativi alla forma B.

ˆ altri residui; rientra in questo gruppo la mutazione F64L, che ha come effetto quello di aumentare l’efficienza nella maturazione della proteina

(24)

Figura 1.14: Alcune proteine rappresentative delle diverse classi: spettri di assorbimento e di fluorescenza (normalizzati al picco principale) e immagini al microscopio di cellule con esse transfettate (da [15]).

1.4.1

Mutanti di diversi colori

Possiamo osservare che la sostituzione del fenolo con un altro anello aro-matico (indolo, imidazolo o fenile) produce mutanti la cui emissione `e

spo-stata verso il blu, ovvero a lunghezze d’onda pi`u corte. Questo perch´e nella wild-type la presenza dell’atomo di ossigeno — molto elettronegativo —

au-menta la delocalizzazione degli orbitali molecolari π ed in particolare riduce la distanza in energia tra l’ultimo occupato (HOMO = Highest Occupied

Mole-cular Orbital) ed il primo dei non occupati, a carattere π∗ (LUMO = Lowest Unoccupied Molecular Orbital) e quindi sposta l’assorbimento e l’emissione

(25)

verso lunghezze d’onda pi`u grandi.

Emissione di luce gialla si pu`o ottenere sostituendo Thr203 con un residuo

aromatico; per effetto dell’accoppiamento tra gli orbitali π che si fronteggiano (“π-stacking”) aumenta l’estensione del sistema coniugato di orbitali π e

quindi la lunghezza d’onda assorbita. Infine, luminescenza rossa si osserva in proteine estratte da altri celenterati (per es. DsRed dai coralli del genere

Discosoma), nei quali il sistema π si estende ulteriormente lungo lo scheletro peptidico con due doppi legami in pi`u. In Fig. 1.14 sono mostrati alcuni

esempi di spettri di proteine di diversi colori.

1.4.2

La famiglia delle “E”GFP

Altre mutazioni hanno l’effetto di stabilizzare o destabilizzare una delle due forme (A e B) del cromoforo, agendo sul medesimo o sui residui

circo-stanti. `E il caso della mutazione S65T, in cui il maggiore ingombro sterico della treonina in posizione 65 rende la forma A termodinamicamente

svan-taggiata, spostando tutta la popolazione verso lo stato B. Dal momento che B ∼ 2A e ΦB∼ ΦA, la proteina risulta complessivamente pi`u brillante; per questo il mutante F64L S65T prende il nome di EGFP (E = enhanced). In generale, i mutanti con solo la forma B si possono eccitare usando lunghezze

d’onda pi`u lunghe, riducendo cos`ı lo scattering Rayleigh ed evitando — per campioni biologici — il danneggiamento dei tessuti.

Dopo la EGFP sono state realizzate numerose varianti accomunate dalla mutazione F64L, le cui propriet`a sono riassunte in Tab. 1.2. Le pi`u

inte-ressanti sono la E1GFP e la E2GFP, due mutanti gialle caratterizzate da un’elevata resa quantica di fluorescenza (> 80 %), dalla sensibilit`a alla

pre-senza di ioni (cfr. Sez. 1.3.2) e dalla prepre-senza di fotocromismo reversibile (cfr. Sez. 1.5.1).

(26)

Mutazione Nome λexc/nm (/104M−1cm−1) λem/nm (Φ) F64L E0GFP 400 508 (59%) 478 508 F64L, S65T EGFP 489 (5.95) 509 (73%) F64L, T203Y E1GFP 400 (2.93) 500 (15%) 509 (5.04) 516 (88%) F64L, S65T, T203Y E2GFP 401 (2.28) 510 (4%) 515 (2.22) 523 (88%) F64L, S65T, T203Y, E3GFP 400 527 Q69M, R73H 490 527

Tabella 1.2: I mutanti della famiglia delle “E”GFP. Le propriet`a ottiche sono indicate con le stesse convenzioni di Tab. 1.1.

1.5

Fotocromismo

Il termine fotocromismo indica una qualsiasi “trasformazione reversibile di una specie chimica tra due forme aventi differenti spettri di assorbimento,

indotta — in una o entrambe le direzioni — dall’assorbimento di radiazione elettromagnetica” [16]. Ovvero, la sostanza pu`o cambiare colore

(azoben-zene, diarileteni), l’indice di rifrazione o il valore della trasmittivit`a (sali di argento). Ovviamente il fotocromismo `e il risultato di una trasformazione

fotochimica della molecola, e pertanto pu`o essere associato a variazioni in al-tre propriet`a chimiche e fisiche della sostanza (punto di fusione, conducibilit`a

elettrica e termica, ecc.).

Se la sostanza `e fluorescente, come conseguenza del fotocromismo essa

pu`o accrescere (switching on) o perdere (switching off ) la capacit`a di emis-sione luminosa. Queste trasformazioni possono avvenire anche in maniera

irreversibile, e in tal caso vengono indicate con i termini fotoattivazione e bleaching (sbiancamento); non essendoci grosse differenze concettuali, nel

(27)

corso della presente trattazione noi tratteremo insieme i fenomeni reversibili e irreversibili.

1.5.1

Fotocromismo nelle IFP

Figura 1.15: Meccani-smo di fotoattivazione della GFP: decarbos-silazione del Glu222.

Le IFP presentano una fenomenologia molto ricca anche da questo punto di vista. Nella wild-type, un

irraggiamento prolungato a 395 nm induce fotoatti-vazione: si osserva una diminuzione della fluorescenza

eccitata a 395 nm e un aumento di quella eccitata a 476 nm, in modo irreversibile. Chiaramente una parte

della popolazione dello stato A `e stata “convertita” allo stato B. Questo si spiega a livello molecolare con la

de-carbossilazione del Glu222 nello stato eccitato, ovvero la reazione

CroH + RCH2CH2COO− → Cro−+ RCH2CH3 + CO2 ,

come indicato in figura 1.15.

La figura 1.16 mostra la fotoattivazione nella GFP ed nel mutante T203H (o PA-GFP = PhotoActivatable GFP), in cui il

rapporto tra le popolazioni delle forme A e B `e ancora pi`u sbilanciato [17]. Effettuando esperimenti su singole molecole [18, 11] (per lo pi`u in mutanti

gialli) si `e osservato un segnale di fluorescenza intermittente (blinking), su tempi dell’ordine dei secondi, seguito da un lungo intervallo di tempo in

cui il segnale `e assente. Questo suggerisce che la molecola possa decadere su diversi stati dark (non fluorescenti): in certi casi essa ritorna spontaneamente

su uno dei due stati di partenza (A o B), altrimenti il recupero deve essere fotoindotto (usando luce di lunghezza d’onda opportuna) oppure non avviene

(28)

Figura 1.16: Fotoattivazione nella wild-type GFP e nel mutante T203H (da [17]). (A) Le molecole sono state immobilizzate in un gel di poliacrilammide ed osservate irraggiando a 488 nm. In seguito ad irraggiamento intensivo nel quadratino centrale, si osserva un aumento della luminosit`a, pi`u pronunciato nel mutante T203H, che per questo si merita il nome di PA-GFP. Sono inoltre riportati gli spettri di assorbimento della wild-type (B) e della PA-GFP (C) prima (•) e dopo (2) la fotoattivazione.

Figura 1.17: Esempio di blinking in molecole di T203F GFP (gialla) immobilizzate in gel di poliacrilamide (da [18]). I cicli on/off si susseguono con un tempo scala di ca. 1 s.

affatto. La presenza di stati dark di lunga durata si manifesta anche in

campioni macroscopici come una diminuzione della fluorescenza e come una variazione nello spettro di assorbimento: si tratta quindi di un tipico esempio

di photoswitching (PSW).

La natura di questi stati dark — come pure il loro numero — non `e ancora

chiara: nel corso degli anni sono state suggerite diverse forme di protonazione (catione, zwitterione) o diverse configurazioni del doppio legame a ponte (cis

e trans). In figura 1.18 riportiamo un modello sintetico degli stati di una generica IFP e delle possibili interconnessioni.

(29)

Figura 1.18: Modello schematico degli stati di una IFP. Dopo la sintesi, la molecola pu`o gi`a trovarsi nello stato di massima luminosit`a (ON) oppure in uno stato meno luminoso (IN) da cui si converte allo stato ON mediante fotoattivazione. In seguito ad irraggiamen-to pu`o portarsi in uno stato non fluorescente instabile (D) o metastabile (OFF) oppure degradarsi in modo irreversibile (*).

1.6

Applicazioni delle IFP

1.6.1

Utilizzo delle IFP in vivo

L’espressione di una proteina fluorescente richiede opportuni protocolli di biologia molecolare che permettono il clonaggio della sequenza codificante in

appositi vettori di espressione. Per la GFP e le sue mutanti la maturazione `e spontanea, nel senso che la proteina nativa non richiede la presenza di enzimi

o cofattori di alcun tipo per ripiegarsi nella forma corretta e funzionale. Inoltre nella maggior parte dei casi la presenza della proteina fluorescente

o del gene corrispondente non altera le funzioni metaboliche dell’ospite in modo significativo.

(30)

(A) (B)

Figura 1.19: (A) Cellule CHO-K1 in cui `e stato inserito un vettore di espressione euca-riotica contenente la sequenza codificante la EGFP. L’espressione della proteina avviene in tutto il volume cellulare. (B) Cellule trasfettate con un vettore contenente la sequenza codificante la coppia EBFP-EGFP, abbinata ad una NLS (Nuclear Localisation Sequence) che comporta la localizzazione del fluoroforo all’interno del nucleo. Entrambe le imma-gini sono state acquisite mediante microscopio confocale LEICA ed eccitazione a 488 nm (comunicazione personale).

dalla GFP all’interno di cellule provenienti da altri esseri viventi. Si possono

cos`ı ottenere cellule che presentano luminescenza

ˆ diffusa, come in Fig. 1.19 (A);

ˆ solo in determinati compartimenti (nucleo, mitocondri, membrana cel-lulare, nucleoli, ecc.), come in Fig. 1.19 (B), aggiungendo dei tag che

determinano la localizzazione della proteina.

In alternativa si possono trasfettare2 le cellule direttamente con molecole di IFP oppure con molecole chimeriche, comprendenti cio`e una IFP fusa ad

una proteina funzionale della cellula (proteina citosolica, recettore di mem-brana, ecc.): usando tecniche di microscopia ad alta risoluzione si pu`o

map-2Per trasfezione si intende l’inserimento di una molecola estranea all’interno di una

(31)

pare la distribuzione delle molecole marcate e studiare la sua variazione in seguito ad un evento metabolico.

1.6.2

Alcune tecniche avanzate di fluorescenza

Ulteriori informazioni su un campione cellulare si possono ottenere

me-diante alcune tecniche sperimentali che si possono indicare con il nome ge-nerico di “tecniche F”:

FLIM (Fluorescence Lifetime Imaging Microscopy = microscopia mediante mappatura del tempo di vita della fluorescenza). Consiste in una misura del

tempo di decadimento della fluorescenza, effettuata “nel dominio del tempo” (applicando un impulso ultrabreve) o “nel dominio delle frequenze”

(modu-lando l’onda incidente in modo periodico). La misura pu`o essere spazialmente risolta, permettendo la creazione di mappe di tempi di vita, di cui `e riportato

un esempio in Fig. 1.20. Questa tecnica non dipende dalla concentrazione del fluoroforo e pu`o essere usata per stimare l’entit`a dei fenomeni di

disec-citazione non radiativa ed in particolare la presenza e la concentrazione di molecole che possono dare luogo a quenching dinamico.

FRAP (Fluorescence Recovery After Photobleaching = recupero della fluo-rescenza in seguito a spegnimento irreversibile). Una cellula viene

preven-tivamente transfettata con la IFP, che pu`o essere localmente fotoconvertita ad opera di un fascio laser molto intenso e collimato. Lo studio del recupero

della fluorescenza nella zona irraggiata pu`o dare informazioni sulla mobilit`a delle molecole all’interno della cellula, come in Fig. 1.21.

Una variante di questa tecnica `e la FRAP inversa (iFRAP, o FRAP−1), in cui si usa una proteina inizialmente non brillante che viene localmente

(32)

Figura 1.20: Esempio di mappa FLIM. Una coltura cellulare `e stata transfettata con un costrutto peptidico di origine virale su cui `e stato fatto tagging con due IFP. In questo caso le variazioni locali del tempo di vita sono dovute alla presenza o meno di interazioni (FRET, vedi pag. 32) tra i due fluorofori e sono rappresentate con una scala cromatica (verde = 2.2 ns, blu = 3.2 ns).

fotoconvertita ad uno stato fluorescente. Chiaramente per effettuare misure

di FRAP occorre scegliere un mutante che non presenti ritorno spontaneo dallo stato dark.

FRET (Fluorescence Resonant Energy Transfer). `E una tecnica che si basa sul trasferimento risonante di energia che pu`o avvenire tra due fluorofori con

una buona sovrapposizione tra lo spettro di emissione del primo (donore) e quello di eccitazione del secondo (accettore). La figura 1.22 chiarisce il

significato di “sovrapposizione” nel caso della coppia CFP-YFP.

Se le due molecole sono sufficientemente vicine, il donore ha la possibilit`a di diseccitarsi mediante un trasferimento di energia all’accettore, per cui

si osserva solo la fluorescenza dello stesso. L’efficienza del processo si pu`o ricavare confrontando l’intensit`a della fluorescenza o il tempo di vita del

(33)

Figura 1.21: Un tipico esperimento di FRAP (da [19]). Per questo sono state utilizzate cellule CHO-K1 contenenti la sequenza codificante un dimero EBFP-EGFP. Come si vede dal primo riquadro, la proteina viene espressa in modo uniforme in tutta la cellula. La EGFP presente nel nucleo viene spenta mediante irraggiamento intenso a 488 nm. Il recupero successivo della luminosit`a `e dovuto alla diffusione delle molecole attraverso la membrana nucleare.

donore in vicinanza o meno dell’accettore:

E = 1 − FD F0,D = 1 − τ τ0 = R 6 0 R6 0 + r6 (1.5)

dove FD `e una misura dell’emissione del donore, F0,D `e la stessa in assenza di FRET, τ e τ0 sono i tempi di decadimento della fluorescenza del donore (con e senza FRET), r `e la distanza intermolecolare e R0 `e una lunghezza di scala detta “raggio di F¨orster”, che dipende dal tipo di interazione considerata (di

solito dipolo-dipolo): i valori tipici sono dell’ordine dei nanometri.

L’efficienza di FRET ha quindi una variazione molto rapida per distanze

dell’ordine del raggio di F¨orster: per questa propriet`a la tecnica FRET `e adatta per misurare distanze tra molecole o parti di esse. Un’applicazione

tipica consiste nel legare due mutanti di GFP (per esempio una CFP ed una YFP) a due subunit`a diverse di un enzima, e metterlo in un ambiente in cui `e

presente un suo substrato: se le due subunit`a sono portate ad avvicinarsi per effetto dell’interazione, avviene FRET, per cui eccitando con la lunghezza

d’onda assorbita dal donore si osserva fluorescenza da parte dell’accettore. Da osservare che per poter apprezzare la FRET bisogna usare due mutanti

aventi spettri di eccitazione e di emissione ben distinti e con una buona sovrapposizione tra l’emissione del donore e l’assorbimento dell’accettore.

(34)

Figura 1.22: Spettri di assorbimento e di emissione dei fluorofori CFP e YFP (da http://www.laser2000.co.uk/). La coppia considerata possiede una buona sovrapposizione tra l’emissione del donore e l’assorbimento dell’accettore, ma anche un’eccessiva sovrap-posizione tra i due spettri di emissione, il che non `e desiderabile perch´e pu`o falsare le misure.

1.6.3

Applicazioni non biologiche: memorie ottiche

Infine, la disponibilit`a di mutanti dotati di uno o pi`u stati “dark”

meta-stabili e la possibilit`a — con i mutanti pi`u brillanti — di stimolare e rivelare singole molecole apre nuovi scenari al mondo delle comunicazioni e delle

me-morie digitali [20, 21, 22]. Scegliendo un’opportuna proteina fotocromica, teoricamente ciascuna molecola potrebbe immagazzinare un bit di

informa-zione (ON=1, OFF=0) e sarebbe possibile compiere le ordinarie operazioni di lettura, scrittura e cancellazione irraggiando la molecola con un

pennel-lo laser collimato di lunghezza d’onda ed intensit`a opportune. I potenziali vantaggi di una memoria ottica a base di proteine fluorescenti sarebbero:

ˆ una maggiore potenziale densit`a di informazione, limitata soltanto dalla diffrazione della luce;

ˆ la capacit`a che hanno le molecole biologiche di auto-assemblarsi in maniera ordinata se poste su substrati di materiale opportuno;

(35)

ˆ la possibilit`a di realizzare memorie tridimensionali.

Requisiti Candidate Avversario

YFP E2GFP Dronpa asFP595 CD-RW

brillantezza (Φf luo) 70% 88% 85% 7%

stabilit`a forma ON X qualche giorno ∼ 5 anni

stabilit`a forma OFF 2 ÷ 3 ore qualche giorno 14 ore? 50 s / 5 min 5 anni

resistenza > 100 cicli > 100 cicli ∼1000 cicli

sensib. diodo laser σ2ph≈ 40 GM ? X

resa quantica PSW Φon∼ 10−6 Φon∼ 2 · 10−6 –

Φoff∼ 2 · 10−7

risposta rapida < 10 ms < 10 ms ∼ 100 ns

lettura non distruttiva X X X

stato oligomerico monomero monomero monomero tetramero

Tabella 1.3: Parametri che caratterizzano le prestazioni di una proteina come possibile elemento di una memoria ottica. Le possibili candidate sono la E2GFP, le mutanti gialle

(T203F, T203Y) e le proteine native Dronpa ed asFP595. La tecnologia con cui esse devono misurarsi `e quella dei CD-ROM riscrivibili.

Per essere adatta a questo utilizzo, una proteina deve possedere uno stato

ON ed uno OFF stabili nel tempo, che assorbano a lunghezze d’onda distinte, con una buona resa quantica di fotoconversione (in entrambi i versi) e

resi-stenti all’“affaticamento” (ovvero in grado di effettuare diversi cicli ON-OFF senza andare incontro a bleaching irreversibile). Le proteine pi`u promettenti

per questo tipo di applicazioni sembrano essere la E2GFP e la Dronpa, anche se al momento le loro prestazioni non sono ancora competitive rispetto alla

tecnologia attuale: un confronto `e offerto in Tab. 1.3.

1.7

Scelta dei mutanti

Per progettare nuovi mutanti `e importante stabilire un collegamento

di-retto tra la struttura e la funzione di una proteina, ovvero tra la sua sequenza amminoacidica e le sue prestazioni in termini di resa quantica, tempo di vita,

popolazioni relative dei diversi stati, quantit`a e natura degli stati dark, ecc. Una maggiore comprensione di queste relazioni permetterebbe di progettare

(36)

nuove proteine in modo pi`u mirato per ciascuna applicazione. Per arrivare a ci`o `e opportuno studiare separatamente i diversi fenomeni che possono avere

luogo, e solo in un secondo momento affrontare il problema nella sua inte-rezza, forti delle scoperte e del metodo conseguiti. Questo `e stato il metodo

seguito dal nostro gruppo di ricerca nello studio dello “switching”.

Abbiamo svolto la nostra indagine su due mutanti che per costruzione

non potessero andare incontro a fotoattivazione:

ˆ la BFPF (F64L/Y66F GFP), un mutante blu il cui cromoforo, essendo privo del gruppo –OH, pu`o esistere solo in uno stato neutro;

ˆ una variante della E1GFP con la mutazione aggiuntiva E222Q, una proteina giallo-verde che non pu`o andare incontro a fotoattivazione in

quanto il residuo 222 non possiede pi`u un gruppo carbossilico.

Figura 1.23: Fotoconversione della BFPF (comunicazione personale): spettri della pro-teina nativa, dopo 6 min e 12 min di irraggiamento a 360 nm (linee nere); dopo ulteriore irraggiamento a 406 nm (rosso) o a 458 nm (blu e celeste).

(37)

La BFPF presenta una banda di assorbimento con massimo attorno a 360 nm ed emette a 442 nm, con una resa quantica del 7%. In seguito

ad irraggiamento prolungato la proteina si fotoconverte ad uno stato non fluorescente. Non `e stato osservato ritorno spontaneo, il che ci ha facilitati

enormemente nell’acquisizione degli spettri Raman. Si pu`o invece avere re-cupero fotoindotto irraggiando a lunghezze d’onda leggermente pi`u lunghe,

dato che lo spettro della forma fotoconvertita presenta una coda di assorbi-mento pi`u alta, ad esempio con i laser a 406 nm e 458 nm. La trasformazione

`

e quindi reversibile.

In figura 1.23 sono messi a confronto gli spettri di assorbimento della pro-teina prima e dopo la fotoconversione in entrambi i versi, mentre in Tab. 1.4

sono riportati i valori del coefficiente di estinzione molare sul massimo della banda degli amminoacidi aromatici e al centro della banda del cromoforo.

La E222Q E1GFP non possiede il secondo sito di protonazione, per cui il suo comportamento chimico-fisico si pu`o spiegare con un modello a due soli

stati di equilibrio, A e B. Sperimentalmente si ricava pKa = 6.86: a pH pi`u bassi prevale la forma A, che assorbe a 410 nm, mentre a pH pi`u alti prevale

la forma B, con picco di assorbimento a 510 nm. Tali forme possono essere eccitate selettivamente e fotoconvertite a stati dark differenti, come mostrato

nello schema di Fig. 1.24. Qui i cinque stati osservati sperimentalmente vengono identificati mediante lo stato di protonazione e (quando nota) la

Parte di molecola λass/nm /M−1cm−1

amminoacidi aromatici 280 33220

cromoforo 360 19480

Tabella 1.4: Le due bande di assorbimento della BFPF nella forma ON. Sono riportate le lunghezze d’onda di picco ed i coefficienti di estinzione calcolati.

(38)

Figura 1.24: Modello degli stati per la E222Q. All’interno del rettangolo in basso sono raffigurate le due forme (A e B) coesistenti all’equilibrio. In seguito ad irraggiamento esse si portano su stati dark differenti, Z ed X, entrambi con cromoforo neutro. X `e in equilibrio acido-base con Y, che decade verso B a temperatura ambiente con κ = 0.02 s−1.

configurazione geometrica del cromoforo.

In seguito ad irraggiamento prolungato a 514.5 nm a pH ' 8 compare una banda di assorbimento a 416 nm che segnala la fotoconversione ad una

forma X avente cromoforo protonato. Questo stato dark `e a sua volta in equilibrio acido-base con una forma Y avente cromoforo anionico che assorbe

a 503 nm, con un pKa = 9.76. Irraggiando a 416 nm un campione a pH ' 5 si ottiene invece uno stato differente (indicato con Z nel seguito) che assorbe

a 350 nm. Le propriet`a ottiche dei cinque stati osservati sono raccolte in Tab. 1.5.

A pH alti `e stato inoltre osservato un recupero spontaneo e totale della fluorescenza, come mostrato dagli spettri in Fig. 1.25. La cinetica osservata

(39)

Forma Condizioni del cromoforo λass/nm /M−1cm−1 (tutte) 278 31350 A neutro, cis 410 27860 B anionico, cis 510 69060 X neutro 416 20360 Y anionico 503 44130 Z neutro 350

Tabella 1.5: Tabella riassuntiva dei cinque stati osservati sperimentalmente nella E222Q: sono riportate per ciascuno la lunghezza d’onda di assorbimento e il coefficiente di estinzione.

varia in funzione del pH:

κ = κX+ 10

pH − pKκ

Y

1 + 10pH − pK . (1.6)

dove κ = 1/τOF F `e la costante cinetica di ritorno spontaneo. I dati speri-mentali in funzione del pH si possono interpolare con una curva sigmoidale:

κ = 0.02 s −1

1 + 109.76−pH , (1.7)

da cui ricaviamo che κX  κY e κY ' 0.02 s−1, ovvero il recupero avviene come decadimento dello stato Y sullo stato B. A pH = 7.9 la vita media dello stato dark (τ = κ−1) `e pari a circa un’ora (pari alla durata massima di una nostra acquisizione).

I due mutanti scelti presentano quindi una fenomenologia semplificata

rispetto alle proteine di partenza e in particolare vanno incontro a fenomeni di fotoconversione “totalmente” reversibili. Scopo della presente ricerca `e

determinare l’effettiva configurazione del cromoforo nelle proteine espresse. A questo scopo ci siamo serviti della spettroscopia Raman prerisonante,

(40)

Figura 1.25: Fotoconversione della E222Q (comunicazione personale): spettri della pro-teina nativa (nero), dopo alcuni cicli di irraggiamento a 514 nm (rosso e blu) a dopo il recupero spontaneo (magenta, verde, celeste). Si pu`o apprezzare la quasi perfetta sovrapponibilit`a degli spettri dopo il recupero con quello iniziale.

(41)

Capitolo 2

La spettroscopia Raman

(I) (II)

Figura 2.1: (I) L’effetto Raman come diffusione inelastica di luce da parte di una mole-cola. (II) Esempio stilizzato di spettro Raman (da [23]). La diffusione elastica (Rayleigh) genera righe spettrali alla stessa lunghezza d’onda di quella incidente, mentre la diffusione Raman di tipo Stokes genera righe spettrali a lunghezze d’onda maggiori e quella di tipo anti-Stokes genera righe (meno intense) a lunghezze d’onda pi`u corte.

Con il termine effetto Raman si indica la diffusione anelastica di luce, ovvero un’interazione tra luce e materia in cui viene distrutto un fotone (di

frequenza ωL) e ne viene creato uno di frequenza diversa ωS, portando quindi il sistema materiale — nel nostro caso la molecola — da uno stato di energia

Ei ad uno stato avente energia Ef = Ei+~(ωL−ωS). Nel caso in cui ωS < ωL si parla di effetto Raman “di tipo Stokes”, altrimenti “di tipo anti-Stokes”.

(42)

Poich´e a temperature ordinarie la maggior parte delle molecole si trova nello stato vibronico fondamentale, il segnale Stokes `e mediamente pi`u intenso.

All’inizio di questo capitolo vengono esposti i concetti base sulla teoria dell’effetto Raman, in generale ed in sistemi molecolari. Vengono poi fornite

alcune nozioni pratiche sull’acquisizione di spettri Raman in soluzione ed alcuni esempi di interesse biologico. In chiusura sono riportati i risultati di

un recente studio Raman su cromofori modello in soluzione, condotto presso il nostro laboratorio.

Nel seguito useremo spesso lo “shift di Raman”, sia in unit`a di frequenza angolare (s−1): ∆ω ≡ ωL− ωS, sia in numeri d’onda (cm−1):

∆¯ν = 107 1 λL − 1 λS  = η ∆ω

200πc, dove le lunghezze d’onda sono espresse in nanometri, η `e l’indice di rifrazione del mezzo e c = 299792458 m/s `e la

velocit`a della luce.

2.1

Teoria dell’effetto Raman

In questa sezione dar`o una descrizione quantitativa del fenomeno; una trattazione pi`u completa si pu`o trovare in [23, 24].

Schematizziamo il fenomeno come una transizione elettromagnetica del secondo ordine. Sia H(0) l’hamiltoniana che descrive il sistema materiale a riposo, e sia V il potenziale che lo perturba: considerando solo l’interazione di dipolo elettrico si ha

V (t) = −µ · (E0Lcos ωLt + E0Scos ωSt)

≡ −µ · < E0Le−iωLt+ E0Se−i(ωL−∆ω)t , (2.1) dove µ `e l’operatore momento di dipolo ed E0L, E0S sono le ampiezze delle componenti monocromatiche del campo.

(43)

In seguito all’interazione il sistema materiale – che inizialmente si trova in un proprio autostato energetico |ii – si porta in uno stato |f i, che si pu`o

scomporre secondo una base di autostati {|ki} con energie Ek:

|f i(t) = |iie−iEit~ + X

k

ci→k(t)|kie− iEkt

~ (2.2)

dove le ampiezze di transizione soddisfano il sistema di equazioni differenziali

˙ci→k(t) = 1 i~e iEit ~ X j Vkj(t)e− iEkt ~ ci→j(t) (2.3)

Applichiamo ora il calcolo delle perturbazioni dipendenti dal tempo,

cal-colando le “ampiezze di transizione” in (2.2) al secondo ordine: ci→k(t) ' c(2)i→k(t). Un calcolo completo ci porterebbe ad una somma di 16 termini, corrispondenti a diversi effetti ottici non lineari (assorbimento di due fotoni, diffusione elastica, etc.), dei quali quello che descrive il Raman `e quello di

frequenza ωL− ωS che corrisponde all’annichilazione di un fotone del laser seguita dalla creazione di un fotone a frequenza ωS, ovvero il primo processo raffigurato in Fig. 2.2.

Figura 2.2: I due processi che descrivono l’effetto Raman di tipo Stokes. Se l’esperimento `

e condotto in luce visibile il processo indicato con (I) `e molto pi`u probabile, in quanto non esistono livelli energetici sufficientemente “bassi” in energia.

(44)

nostro interesse, si ottiene c(2)i→k(t) 'X j (µkj· E∗ 0S)(µji· E0L) 4~(Ωji− ωL)  ei(Ωki−∆ω)t− 1 ~(Ωki− ∆ω) − e i(Ωkj+ωS)t− 1 ~(Ωkj + ωS)  . (2.4) Dei due termini in parentesi quadra solo il primo `e responsabile della

dif-fusione Raman, per cui sar`a l’unico considerato nel seguito (l’altro descri-ve propriamente una successione di due interazioni al primo ordine, ovdescri-vero

assorbimento + luminescenza).

La probabilit`a di transizione per unit`a di tempo `e data da

wi→f = 1 t Z |c(2)i→k(t)|2g(Ek) dEk  (2.5)

dove le parentesi uncinate indicano una media su tutte le possibili orientazioni

della molecola e g `e la densit`a di stati del sistema materiale. L’espressione 2.5 pu`o essere sviluppata introducendo l’operatore polarizzabilit`a, di componenti

↔ αki (ωL) = hk| X j µ|jihj|µ Ωji− ωL |ii : (2.6)

l’elemento di matrice diventa quindi

wi→k = 1 t * E∗0S·↔αki ·E0L 4 2 t2 Z sinc2 (Ek− Ei− ~∆ω)t 2~ g(Ek)dEk + (2.7)

Per tempi sufficientemente grandi, la larghezza della funzione di diffrazione (2~/t) `e trascurabile rispetto a quella della densit`a di stati e pertanto si pu`o approssimare sinc2 (Ek− Ei− ~∆ω)t 2~ ' π 2~ t δ(Ek− Ei− ~∆ω), ottenendo wi→f = 2π ~ * E∗0S·↔αki ·E0L 4 2+ g(Ei+ ~∆ω) (2.8)

La (2.8) esplicita il fatto che la diffusione Raman avviene solo per frequen-ze ωSper le quali lo shift di Raman uguaglia un salto energetico ammesso per

(45)

la molecola, ovvero esiste uno stato |ki tale che Ωki = ∆ω. Inoltre, dalla 2.6 si nota che l’elemento di matrice cresce molto quando esiste uno stato

interme-dio |ji tale che la frequenza di emissione del laser risuoni con la transizione |ii → |ji. `E possibile scegliere opportunamente la frequenza della sorgente luminosa in modo da sfruttare l’amplificazione dovuta alla risonanza sen-za incorrere nella luminescensen-za, che potrebbe essere anche amplificata dalle

conseguenze del secondo membro in parentesi quadre nella (2.4): in tal caso si parla di Raman prerisonante (vedi Fig. 2.4). Nel seguito supporremo

sempre di lavorare in queste condizioni.

2.2

L’effetto Raman vibrazionale

Prima di esaminare in dettaglio l’effetto Raman vibrazionale, si rende

necessaria una piccola digressione sui livelli energetici di una molecola e sulla (parziale) separazione dei gradi di libert`a elettronici da quelli nucleari [3].

2.2.1

Modi vibrazionali di una molecola

Per semplicit`a studiamo il caso di una molecola isolata con N atomi.

L’hamiltoniana comprende un termine cinetico per ogni elettrone e per ogni nucleo ed un termine di interazione coulombiana per ogni coppia: indicando

con ra, rb le posizioni degli elettroni e con Ru, Rv quelle dei nuclei, si pu`o scrivere

H(0) = K(elec)+ K(nuc)+ V(e−e)+ V(e−n)+ V(n−n) =

=X a −~22 a 2me +X u −~22 u 2Mu +1 2 X a6=b KC e2 |ra− rb| + −X a,u KC Zue2 |ra− Ru| + 1 2 X u6=v KC ZuZve2 |Ru− Rv| (2.9)

(46)

con KC = 8.988 · 109 m/F = 332 ˚A kcal/mol e2 costante di Coulomb. Il fatto che le masse nucleari ed elettroniche differiscano di oltre tre ordini di

grandezza suggerisce che le dinamiche (semiclassiche) si svolgano su tempi scala differenti, il che si traduce quantisticamente in una fattorizzazione della

funzione d’onda del tipo

|ψ(ra, Ru)i = |φ(ra; Ru)i|χ(Ru)i : (2.10)

ˆ Il primo fattore descrive la dinamica degli elettroni a nuclei fissati nel-le posizioni {Ru}, ovvero `e un autostato di H(elec) = K(elec)+ V(e−e)+

V(e−n)+ V(n−n);1 per ogni configurazione elettronica |φ

si l’autovalore corrispondente Us(Ru) dipende parametricamente dalle coordinate nu-cleari ed il suo grafico descrive un’ipersuperficie detta PES (Potential

Energy Surface), come quelle raffigurate in Fig. 2.3.

ˆ Il secondo fattore descrive la dinamica dei nuclei dotati di un’hamil-toniana H(nuc)s = K(nuc) + Us(Ru), ovvero sottoposti ad un potenziale dovuto sia ad interazioni dirette sia alla presenza degli elettroni.

Questa separazione (approssimazione di Born-Oppenheimer) `e ra-gionevole quando le funzioni d’onda elettroniche dipendono molto lentamente

dalle coordinate nucleari, permettendo cos`ı di trascurare tutti i termini della forma − ~ 2 2mu χ∇2uφ e −~ 2 mu

∇uχ · ∇uφ, che compaiono in uno sviluppo com-pleto dell’equazione di Schr¨odinger con l’hamiltoniana (2.9) e la funzione d’onda (2.10); in particolare essa `e valida per conformazioni vicine alla

geo-metria di equilibrio dei nuclei, mentre non lo `e vicino alle intersezioni delle PES.

1Il termine di interazione internucleare si comporta come una costante e viene incluso

(47)

Figura 2.3: Curve di energia potenziale ottenute sezionando le PES del cromoforo mo-dello HBI in forma neutra (A) ed anionica (B) corrispondenti allo stato elettronico fonda-mentale ed al primo eccitato (adatt. da [11]). In ascissa sono riportati gli angoli – in gradi – che esprimono la torsione attorno al doppio legame del ponte (τ ) o al legame singolo (ϕ) o una coordinata che descrive una rotazione simultanea dei due (HT = Hula-Twist): questi concetti verranno rirpresi in seguito. In ordinata sono riportate le variazioni di energia, in kcal/mol. Si noti che τ = ϕ = 0◦ corrisponde all’isomero cis, mentre τ = 0◦, ϕ = 180◦ corrisponde al trans.

Le funzioni d’onda nucleari si calcolano solitamente mediante un’ulteriore approssimazione. Conoscendo la configurazione di equilibrio della molecola

e la forma della PES `e possibile, per piccole deformazioni, sviluppare l’ha-miltoniana nucleare fino al secondo ordine negli spostamenti; introducendo

il vettore a 3N componenti R = (R1, . . . RN)†, la matrice (diagonale) del-le masse M e la matrice hessiana del potenziadel-le Ks, si ottiene la notazione

(48)

compatta H(nuc) s = − ~2 2 ∂ ∂R†M −1 ∂ ∂R + E (elec) s + 1 2(R − R (eq) s ) † Ks(R − R(eq)s ) (2.11) avendo indicato con Eelec il valore dell’energia potenziale nella configura-zione di equilibrio. Diagonalizzando ques’espressione si individuano i modi

normali di vibrazione della molecola, ciascuno descritto da una coordinata generalizzata Qi e caratterizzato da una massa ridotta µi e da una frequenza ωi (dipendente dalle costanti di forza dei legami coinvolti e da µi), oltre a 6 (5 nel caso di una molecola lineare) gradi di libert`a che non influenzano il

potenziale, corrispondenti a traslazioni e rotazioni della molecola.

Una molecola non lineare possiede quindi 3N − 6 modi normali: di

que-sti, per una molecola planare (qual `e il cromoforo libero di una IFP) ce ne sono 2N − 3 che rispettano la planarit`a e N − 3 che comportano oscillazioni

degli atomi ortogonalmente al piano molecolare. Quando viene sollecitato un singolo modo vibrazionale tutti gli atomi coinvolti (visti classicamente)

oscil-lano armonicamente in fase (o in controfase), con ampiezza e direzione date dal corrispondente autovettore di vibrazione. Quantisticamente, la funzione

d’onda nucleare `e individuata dal numero di quanti energetici posseduti da ciascun modo normale:

|χi = |χtrasli|χroti Y

i

|vi(Qi)i (2.12)

Quanto detto finora si pu`o ripetere nell’intorno di ogni minimo locale

della PES — corrispondente ad una diversa configurazione geometrica della molecola: variando Ks, i diastereomeri di una specie chimica possiedono in generale modi vibrazionali diversi.

In generale la separazione in energia tra le PES dello stato fondamentale e del primo eccitato (vicino alla configurazione di equilibrio) `e dell’ordine

(49)

Figura 2.4: Schema dei livelli energetici di una molecola. Sono raffigurati lo stato fonda-mentale elettronico ed il primo eccitato con la loro struttura vibrazionale ed alcuni possibili processi di interazione al secondo ordine: diffusione Rayleigh, Raman di tipo Stokes, Ra-man di tipo anti-Stokes. `E inoltre mostrata la differenza tra il Raman generico e quello pre-risonante e risonante.

del centinaio di kcal/mol, mentre i livelli vibrazionali sono spaziati di

ener-gie ∆Evib ∼ ~ω ∼ 10 kcal/mol, corrispondenti a frequenze nella regione dell’infrarosso. Perch´e il modo vibrazionale descritto dalla coordinata Qi sia effettivamente attivo per l’assorbimento infrarosso occorre che il dipolo di transizione associato sia non nullo, il che equivale alla regola di selezione

∂µ

∂Q 6= 0. Un altro modo di eccitare i modi vibrazionali `e sfruttare l’effet-to Raman, come sar`a mostrato nella prossima sezione. In Fig. 2.4 sono

schematizzati i livelli energetici elettronici e vibrazionali di una molecola generica.

(50)

2.2.2

Teoria di Placzek

Per studiare l’effetto Raman vibrazionale, assumiamo che la molecola si trovi inizialmente nello stato elettronico fondamentale2. Scrivendo gli autostati come prodotti di Born-Oppenheimer: |ii = |0i|vi, |ji = |ni|ui, |ki = |0i|wi l’espressione 2.6 per la polarizzabilit`a diventa

↔ αki= h0|hw| X n,u µ|ni|uihn|hu|µ ~(Ωnu,0v − ωL) |0i|vi (2.13)

e pu`o essere ulteriormente semplificata separando nella sommatoria i termini

con n = 0 e tenendo conto che ∆Evibr  ∆Eelec:

↔ αki ' hw| X u µ00(Q)|uihu|µ00(Q) ~(Ωuv− ωL) |vi + hw|X n6=0 µ0n(Q)µn0(Q) ~(Ωn0− ωL) |vi = ≡ hw|α↔ion(Q)|vi + hw| ↔ αelec(Q)|vi. (2.14)

Si possono quindi separare il contributo ionico alla polarizzabilit`a (trascura-bile se si lavora con luce visi(trascura-bile o ultravioletta) e quello elettronico. La parte

elettronica contiene degli integrali sugli orbitali molecolari che sono funzioni lentamente variabili delle coordinate nucleari: perci`o si pu`o scrivere

↔ αelec(Q) = ↔ α0 + X i ∂↔α ∂Qi · (Qi− Q (eq) i ) (2.15)

(approssimazione di Placzek). Il termine↔α0 d`a luogo allo scattering ela-stico (di Rayleigh), mentre il secondo termine `e responsabile della diffusione Raman. La (2.15), insieme alle precedenti, comporta le seguenti regole di

selezione:

ˆ il modo normale descritto da Qi `e attivo nel Raman se ∂α↔ ∂Qi

6= 0;

2Questo `e sicuramente vero a temperatura ambiente, in quanto nelle molecole da noi

(51)

ˆ lo stato iniziale e quello finale devono differire per un quanto di eccita-zione (wi = vi± 1). 3

Ogni sostanza `e quindi caratterizzata da un suo spettro Raman vi-brazionale, in cui la frequenza associata ad una riga indica la variazione

di energia associata ad una transizione permessa tra stati vibrazionali.4 E` possibile allora utilizzare l’effetto Raman per indagare le propriet`a

moleco-lari di una specie chimica: anzi, la spettroscopia Raman si `e dimostrata uno strumento molto potente per l’analisi di campioni in ambito industriale,

ambientale e biologico.

2.3

Utilizzo della spettroscopia Raman

Vengono ora esposte alcune nozioni di base sull’utilizzo pratico

dell’ef-fetto Raman in spettroscopia. Dopo una panoramica sulla strumentazione necessaria, descriver`o i principali vantaggi (e svantaggi) della spettroscopia

Raman e mostrer`o alcune sue applicazioni in ambito biologico.

2.3.1

Strumentazione

Per effettuare un esperimento di spettroscopia Raman occorrono i seguenti strumenti:

3C’`e da osservare che, a causa dell’anarmonicit`a della molecola, i livelli vibronici non

sono equispaziati; inoltre per alcuni modi a frequenza relativamente bassa (~ω . 5kBT ,

quindi Raman shift inferiori a 1000 cm−1) si ha una popolazione non trascurabile an-che dei primi eccitati e quindi transizioni a ∆¯ν leggermente pi`u bassi, il che provoca un allargamento dei picchi verso sinistra.

4La posizione esatta, la larghezza e l’altezza (rispetto al background) delle righe

dipen-dono tuttavia dalle condizioni sperimentali: concentrazione, solvente utilizzato, sorgente luminosa ecc.

(52)

Figura 2.5: Lunghezze d’onda di emissione dei principali tipi di laser nel visibile oggi in commercio (da Wikipedia).

Sorgente. Deve avere intensit`a abbastanza elevata e produrre uno spettro

a righe: in genere si usano lampade a scarica (per es. a vapori di mercurio) o pi`u spesso laser. Nel visibile sono disponibili numerosi laser a gas (He-Ne,

argon, krypton), a stato solido (a rubino, a Nd:YAG) e a semiconduttore. `E opportuno usare un filtro di eccitazione a banda stretta, in modo da eliminare

eventuale luminescenza spuria o residui di altre righe. In Fig. 2.5 `e mostrato un campionario dei laser nel visibile oggi in commercio.

Spettrometro. Serve a fare l’analisi spettrale del segnale in uscita. La se-parazione viene operata dal monocromatore: un prisma o, pi`u spesso, un

re-ticolo di diffrazione che permette un’interferenza costruttiva dei raggi uscenti ad un angolo diverso per ciascuna lunghezza d’onda. In Fig. 2.6 (I) `e

schema-tizzato il funzionamento di un reticolo in riflessione (con α e β sono indicati gli angoli di incidenza e di riflessione di un generico raggio).

(53)

(I) (II)

Figura 2.6: (I) Funzionamento di un reticolo di diffrazione con linee incavate al-l’angolo di blaze θ; per semplicit`a sono mostrati solo tre “solchi”. (da http://www. williams.edu/astronomy/). (II) Schema di montaggio alla Czerny-Turner (da Wikipedia).

sin α + sin β = Mλ

d, con d = passo del reticolo ed M = ordine di diffrazione. L’efficienza di un monocromatore (intesa come rapporto tra l’intensit`a della

luce diffusa e quella della luce incidente) varia con la lunghezza d’onda: per un reticolo “a dente di sega” come quello descritto in Fig. 2.6 (I), in cui le

faccette sono inclinate di un angolo θ (detto angolo di blaze), l’efficienza `e massima quando la lunghezza d’onda `e prossima al valore λB = 2d sin θ e si dimezza per λ = 0.6λB e λ = 1.8λB.

Il monocromatore `e solitamente montato su un perno girevole comandato da un motorino; due specchi parabolici rendono paralleli i raggi in ingresso

e fanno convergere quelli in uscita. In figura 2.6 (II) `e mostrato un tipico schema di montaggio degli elementi di uno spettrometro, dovuto a Czerny e

Turner.

Rivelatore. Pu`o essere a singolo canale o multicanale: nel primo caso il

monocromatore deve ruotare per selezionare una lunghezza d’onda alla volta, nel secondo caso `e possibile registrare l’intero spettro contemporaneamente.

L’elemento sensibile pu`o essere di vario tipo: da una comune lastra fotografica ad una CCD, ovvero una matrice di microcondensatori fotosensibili.

(54)

Porta-campioni. Per studi in soluzione si usano contenitori di un ma-teriale che non dia esso stesso un segnale Raman intenso nella regione di

interesse.

2.3.2

Particolarit`

a della spettroscopia Raman

Negli ultimi anni la spettroscopia vibrazionale Raman `e diventata uno

strumento insostituibile per lo studio della struttura molecolare di singoli composti o di miscele. I principali vantaggi sono:

ˆ Possibilit`a di effettuare le misure con luce visibile, per la quale `e tra-sparente la maggior parte dei solventi e dei materiali di cui sono fatti

gli strumenti ottici: questo semplifica notevolmente la preparazione del campione.

ˆ Range di indagine molto ampio, mediante l’utilizzo di una sola sorgente. ˆ Alta risoluzione (fino a 5 cm−1 nel nostro caso).

ˆ Presenza di modi vibrazionali caratteristici per le diverse configurazioni (fingerprints).

ˆ Possibilit`a di interrogare selettivamente solo i modi di una parte di mo-lecola, grazie alla prerisonanza: nel nostro caso quelli del cromoforo,

come mostrato nella prossima sezione.

La principale difficolt`a connessa con l’utilizzo di questa tecnica deriva dal fatto che il Raman `e un processo al secondo ordine e pertanto d`a un segnale

relativamente debole, che pu`o facilmente essere mascherato dalla presenza di segnali spuri a frequenze vicine a quelle di osservazione: tra questi

ˆ la luce non diffusa o diffusa elasticamente dal campione (effetto Ray-leigh);

(55)

ˆ la luce diffusa o riflessa dai vetri (lenti, specchi);

ˆ nel caso siano presenti fluorofori, la luminescenza o la sua “coda”; ˆ il rumore (termico, elettronico, vicinanza di altre sorgenti luminose); ˆ eventuali modi Raman eccitati nel solvente o in altri elementi del

per-corso ottico.

Questi fenomeni si manifestano negli spettri acquisiti con un aumento del background e/o la comparsa di picchi estranei. Per ovviare parzialmente a

questi fenomeni di disturbo, normalmente il segnale Raman viene rivelato a 90° rispetto alla sorgente e tra il campione ed il rivelatore viene interpo-sto un filtro “passa alto” con taglio appena sopra la lunghezza d’onda del laser. Il rivelatore viene mantenuto a temperature criogeniche per

minimiz-zare il rumore termico. In presenza di molecole con elevata resa quantica di fluorescenza, gli esperimenti vengono condotti in prerisonanza per evitare la

luminescenza. Infine, per eliminare il contributo delle altre specie chimiche presenti in soluzione, `e opportuno acquisire separatamente lo spettro

del-la luce diffusa dal solvente e sottrarlo successivamente. Ulteriori correzioni vengono apportate in sede di elaborazione dei dati.

Un ulteriore fenomeno di disturbo, di natura prettamente stocastica, `e

dato dall’assorbimento di raggi cosmici da parte di singoli elementi del rivelatore. Come vedremo meglio in seguito, questo fatto si manifesta con

la comparsa di picchi alti e stretti negli spettri rivelati. Alcuni program-mi di acquisizione (tra cui quello da noi utilizzato) contengono algoritprogram-mi

che permettono di individuare i raggi cosmici per confronto tra acquisizioni successive.

Figura

Figura 1.2: Albero filogenetico delle IFP oggi conosciute (da [2]). I simboli indicano note dell’articolo.
Figura 1.5: Il barilotto β visto da due differenti angolazioni (da [4]). Il cromoforo ` e rappresentato mediante “sfere e bastoncini”.
Figura 1.6: Le due forme del cromoforo della GFP coesistenti all’equilibrio: protonata (A) ed anionica (B)
Figura 1.8: Spettri di assorbimento del cromoforo modello (HBDI) in soluzione acquosa, a diversi pH (comunicazione personale)
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Riferimenti

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