Capitolo 1
Introduzione
1.1 Importanza della micropropagazione
-La cellula vegetale contiene tutte le informazioni necessarie alla crescita e alla riproduzione della pianta-
Dalla teoria di totipotenza elaborata da Scheleiden e Schwann nel 1938 prendono il via la micropropagazione e le tecniche ad essa connesse delle colture in vitro.
Negli anni ’60 si arriva ad un utilizzo e applicazione di questa tecnica su larga scala per colture erbacee ed arbustive di interesse economico mentre solo verso la metà degli anni ’70 la ricerca ha rivolto la propria attenzione alle piante legnose da frutto in contemporanea alla nascita delle prime aziende specifiche per la produzione in vitro a dimensione industriale.
Attualmente la micropropagazione viene attuata per portinnesti e varietà, piante forestali, orticole, ornamentali e piante da fiore reciso. La micropropagazione, la quale consente la produzione di una grande quantità di piante in tempi relativamente brevi e in spazi limitati, viene intesa come la produzione di piante a partire da piccole porzioni di materiale vegetale coltivato in ambiente asettico in condizioni nutrizionali e ambientali controllate.
La micropropagazione offre un’altra serie di vantaggi sia economici che fitosanitari:
• l’accrescimento e la produzione risultano svincolate dall’andamento stagionale, in quanto si opera in un ambiente con condizioni di
temperatura e luminosità controllate. Risulta perciò possibile programmare cicli di lavoro e i quantitativi prodotti in funzione delle richieste di mercato.
• il materiale di partenza è costituito da piccole parti di pianta e questo consente un notevole risparmio nel mantenimento delle piante madri. • l’isolamento rende inoltre possibile la massima resa delle colture, in
quanto il materiale in vitro è esente da attacchi parassitari o patogeni e permane nelle condizioni sanitarie in cui era al momento dell’inizio della coltura. L’impossibilità che attraverso queste colture si diffondano parassiti dannosi apre le barriere doganali o sanitarie che molti paesi hanno eretto per impedire la penetrazione di materiale vegetale contaminato.
• consente l’ottenimento di varietà di specie arboree da frutto franche di piede, evitando il ricorso agli innesti e il conseguente rischio di disaffinità tra i due bionti.
• permette la lunga conservazione del germoplasma di varietà altamente produttive o resistenti ai patogeni, consentendo di avere a disposizione un corredo genetico da utilizzare secondo le necessità. Una tecnica per ottenere la conservazione a lungo termine è fornita tramite la crioconservazione ovvero la conservazione in azoto liquido a -196°C delle cellule per rallentare la maggior parte delle attività metaboliche delle stesse.
1.2 Fattori fondamentali della micropropagazione
Ci sono vari fattori che influiscono sull’efficacia della tecnica di micropropagazione e i principali possono essere rappresentati dalla componente minerale del substrato di coltura, dal bilancio ormonale e dalle condizioni ambientali della camera di crescita.
1.2.1 Effetto della componente minerale del substrato di coltura
I substrati di coltura sono composti dai seguenti elementi:
1. Macroelementi: sono gli elementi minerali indispensabili per
la crescita delle piante e sono 6 – azoto (N), fosforo (P), potassio (K), calcio (Ca), magnesio (Mg) e zolfo (S). Essi sono necessari anche nella coltura in vitro e vengono aggiunti al substrato di coltura sotto forma di sali variandone sia la qualità che la quantità in relazione al tipo di substrato da preparare.
2. Microelementi: sono elementi nutritivi necessari in piccole
quantità per la crescita delle piante. La loro mancanza causa delle specifiche sintomatologie da carenza. Sono importanti anche nella coltura in vitro e vengono aggiunti a concentrazioni molto basse. Sono tutti elementi che intervengono in processi metabolici ed entrano a far parte di enzimi. Si dividono in cationi (ferro, rame, zinco, manganese, cobalto, nichel, alluminio e sodio) e anioni (boro, molibdeno, iodio e cloro); e’ utile considerare che un apporto non quantificabile di microelementi può provenire da altri composti che vengono aggiunti al substrato di coltura trovandosi presenti in quantità minima sottoforma di impurità.
3. Carboidrati: normalmente le colture di cellule, tessuti od
organi non fotosintetizzano sufficientemente per cui è necessario aggiungere al terreno di coltura una fonte di carbonio. I fattori limitanti sono costituiti da una bassa intensità luminosa e dallo scarso ricambio gassoso all’interno dei vasi a causa del film di polietilene che viene utilizzano per mantenere stabile la copertura degli stessi. Per ovviare a questa carenza si utilizza uno zucchero e in genere il saccarosio; il saccarosio purissimo, di elevato costo, viene
generalmente utilizzato solo nei laboratori di ricerca. I laboratori commerciali utilizzano saccarosio ad uso domestico che si aggiunge ai terreni in genere alla dose del 2-3%. Altri zuccheri che possono essere utilizzati, molto meno diffusi e di uso particolare sono: glucosio, fruttosio e maltosio. E’ importante ricordare che la presenza dello zucchero nel substrato influenza il potenziale osmotico dello stesso e di riflesso anche le condizioni di crescita dei tessuti vegetali.
4. Vitamine: le piante al contrario degli animali sono in grado di
sintetizzarle. Ciò non è del tutto vero per i tessuti coltivati in vitro. Varie esperienze hanno dimostrato l’utilità di questi componenti anche se aggiunti in piccole dosi. Le vitamine che generalmente vengono utilizzate sono: tiamina, piridossina, mioinositolo, acido nicotinico e biotina. Alcuni di questi composti sono termolabili alla temperatura di sterilizzazione ma il loro effetto sul terreno di coltura è positivo anche se presenti in quantità residua o solo grazie alla presenza di prodotti di degradazione ugualmente utili.
5. Agenti solidificanti: per rendere il substrato solido o
semisolido, si ricorre all’utilizzo dell’agar, prodotto ottenuto dall’essiccazione di una specie di alga e contraddistinto dalle seguenti caratteristiche:
• non viene digerito dalle piante;
• non reagisce con i costituenti del substrato di coltura; • con l’acqua forma dei gel che si sciolgono a 100°C e
solidificano a 45°C per cui sono stabili alle normali condizioni di coltura.
6. Ormoni: sono composti organici che stimolano, inibiscono o
comunque controllano i processi fisiologici delle piante. Vengono definiti endogeni i fitoregolatori elaborati dalle piante stesse ed esogeni o fitoregolatori di sintesi, quelli non prodotti dalle piante ma
capaci di esercitare su di esse effetti analoghi a quelli dei fitoregolatori endogeni all’azione o sulla traslocazione di questi ultimi. Tra i fitoregolatori vanno ricordate:
• Auxine, favoriscono la rizogenesi a basse concentrazioni e la callogenesi ad alte. In particolar modo l’acido 3 – indolacetico (IAA) di origine endogena e l’acido 3-indolbutirrico (IBA) e l’acido naftalenacetico (NAA) di natura esogena.
• Citochinine, stimolano la divisione cellulare, la formazione di germogli avventizi direttamente sui tessuti e lo sviluppo di germogli ascellari mentre inibiscono la rizogenesi. La più usate sono la BAP (6-benzilamminopurina), la kinetina e la zeatina, tutte prodotti di sintesi.
• Gibberelline, sono composti che esercitano un effetto fitoregolatore sull’intera pianta per aumentare la lunghezza degli internodi, stimolare la fioritura e la fruttificazione. La più utilizzata è l’acido gibberellico (GA3), molto usato durante le fasi di allungamento
dei germogli in preparazione della fase di radicazione.
1.2.2 Effetto delle condizioni ambientali della camera di crescita.
Come detto precedentemente, oltre alla composizione del substrato di
crescita, esistono altre variabili che possono influenzare lo sviluppo e la crescita delle colture in vitro. In particolare sono di grande importanza le condizioni ambientali della camera di crescita e più precisamente gli effetti esercitati dall’umidità relativa, dalla temperatura e dalla luce utilizzata. L’umidità relativa all’interno dei vasi raggiunge valori elevati, vicini alla saturazione alterando la fisiologia delle colture e l’anatomia fogliare, la funzionalità stomatica e la formazione di cere sulla cuticola che rende le piante
micropropagate molto sensibili alle condizioni ambientali esterne. Per ovviare a questo limite si attuano di solito dei periodi di acclimatazione e indurimento delle piantine, passaggio dispendioso in termini di tempo e costi ma indispensabile avendo rilevato che tenori di umidità inferiori inibivano lo sviluppo dei germogli.
La temperatura ottimale per le colture in vitro varia in funzione delle diverse specie impiegate anche se generalmente si utilizzano temperature costanti di circa 23-25°C mentre sono sconsigliate temperature maggiori che causano un maggior accrescimento delle piante ma favoriscono l’insorgenza di problemi connessi alla vitrescenza del materiale.
1.3 Importanza della luce sulla crescita di colture in micropropagazione
L’importanza della luce utilizzata per la crescita delle colture in
micropropagazione merita un approfondimento particolare se consideriamo la doppia funzionalità svolta dalla luce stessa che influenza sia l’attività fotosintetica che i diversi processi di fotomorfogenesi. Come sopra riferito, le alterazioni morfologiche e fisiologiche indotte dalle particolari condizioni microambientali presenti nei vasi di coltura non appaiono favorevoli ad una regolare attività fotosintetica (bassa intensità di luce e carenza di CO2), per cui
la crescita è determinata principalmente dall’utilizzazione della fonte organica di carbonio aggiunta al substrato di coltura; la luce acquisisce quindi una notevole rilevanza per i suoi effetti sui processi morfogenetici.
Sono 3 le caratteristiche della luce che possono influire sulla crescita delle colture in micropropagazione e nel dettaglio sono:
• il fotoperiodo, che rappresenta il numero di ore di luce fornita alla pianta in 24 ore;
• l’intensità luminosa, che viene indicata come la quantità di energia luminosa ricevuta dalle colture;
•
la qualità della luce, intesa come l’azione di determinate lunghezze d’onda dello spettro luminoso sulle colture.
1.3.1 Fotoperiodo
Gli effetti del fotoperiodo sulle piante sono generalmente associati al sistema fitocromo. La forma Pfr del pigmento si accumula
gradualmente durante le ore di luce mentre si trasforma gradualmente a Pr durante le ore di buio; il giorno lungo avrebbe quindi lo stesso
effetto di una esposizione alla luce rossa mentre il giorno corto promoverebbe risposte di tipo far-red del fitocromo. Il numero di ore di luce, agendo sul fitocromo, potrebbe influenzare il livello di ormoni endogeni; molti ricercatori hanno riscontrato che le piante cresciute con un lungo fotoperiodo mostravano un più alto contenuto di auxine endogene rispetto a quelle allevate con giorno corto.
Dal momento che le colture in vitro si sviluppano in condizioni di illuminazione artificiale, esse possono essere sottoposte ad un numero variabile di ore di luce che può andare da una totale oscurità all’illuminazione continua. Di solito nei laboratori commerciali viene scelta la combinazione 16 ore di luce/8 ore di buio anche se su alcune specie sono apparsi efficaci anche altri fotoperiodi.
La durata del periodo di luce influisce sulla crescita di ogni singola pianta in funzione della specie, del tipo di espianto e della intensità luminosa fornita anche se l’effetto del bilancio luce-buio è variabile in relazione ai genotipi utilizzati e sono numerosi gli studi a riguardo: nel
1989 Chèe e Pool [1] dimostrarono che la moltiplicazione dei germogli di vite era migliore con un fotoperiodo di 10 ore se confrontata all’applicazione di luce continua.
In seguito Economou e Read [2] [3](1986) lavorando con germogli di rododendro rilevarono che con 16 ore di illuminazione artificiale era possibile ottenere colture di maggiore qualità e quantità, così come osservato da Wang [4] nel 1992 studiando il portinnesto di pero BP 10030.
Wang rilevò che le colture trattate con luce continua per 24 ore avevano un valore di peso secco e fresco maggiore rispetto a quelle con 8 ore di buio e spiegava questi risultati affermando che l’esposizione a luce continua favoriva un maggior assorbimento da parte dei germogli delle sostanze nutritive presenti nel substrato di crescita, a scapito, però, dell’azione che il buio poteva esercitare sull’induzione a emettere nuovi germogli da parte delle colture. La variabilità degli effetti del fotoperiodo è stata valutata anche da Morini et al. [5] (1990) [6] (2001) esaminando colture in vitro di due portinnesti di specie arboree da frutto: l’Mr.S. 2/5 e il GF677. Senza alterare la qualità e la quantità della radiazione totale si è notato un incremento del peso fresco, secco e del numero dei germogli ad espianto con cicli di 4 ore di luce e 2 di buio rispetto all’impostazione classica di 16 ore di luce e 8 ore di buio.
Nei molteplici esperimenti svolti sugli effetti del fotoperiodo sulla propagazione in vitro delle specie legnose una particolare attenzione è stata rivolta al risparmio energetico, cercando di valutare per quali specie l’illuminazione continua poteva essere considerata uno spreco di energia, visto che analoghi risultati si potevano ottenere con periodi di illuminazione più brevi e per quali altre specie una fase di buio
risultava necessaria mentre una illuminazione prolungata era inibitoria.
Il fotoperiodo influenza anche la radicazione delle piantine micropropagate anche se l’influenza della luce non è sempre positiva; talvolta un miglior risultato è stato ottenuto con trattamenti auxinici combinati a periodi di buio più o meno lunghi. Sono state formulate diverse ipotesi che tentano di spiegare l’azione inibitoria della luce sulla rizogenesi e la più accreditata apparirebbe quella di Lovell [7] (1972), che presupponeva l’esistenza di una concentrazione ottimale di carboidrati al di sopra o al di sotto della quale la rizogenesi poteva essere ostacolata. Poiché nella micropropagazione la presenza di carboidrati (a causa della presenza di zuccheri da noi forniti al substrato che si vanno ad aggiungere a quelli prodotti dall’attività fotosintetica) è molto elevata, risulta plausibile che la rizogenesi sia inibita. Lovell sosteneva che diminuendo la quantità di luce fornita si potesse diminuire la quantità di zuccheri prodotti dalla fotosintesi e di conseguenza avere dei benefici a livello radicale. In base alle attuali conoscenze, tuttavia tale teoria non è totalmente accettabile, dato lo scarso contributo della fotosintesi alla sintesi di carboidrati in vitro. Un altro fattore di inibizione della radicazione può essere individuato nell’ossidazione, causata dalla luce, di molecole come l’acido indol-acetico e altri componenti, prevalentemente fenolici, essenziali per il processo di rizogenesi ( Eliasson,[8] 1980; Mosella et al., [9] 1980).
1.3.2 Intensità della luce
Per intensità luminosa si intende la quantità di energia luminosa che viene fornita alle colture il cui effetto varia in funzione del tipo di
espianto, della specie trattata e dello stadio del processo di micropropagazione.
Le radiazioni fotomorfogenicamente attive sono comprese in uno spettro più ampio della radiazione elettromagnetica visibile all’uomo (400-700 nm), va dai 200 agli 800 nm quindi alcune radiazioni utili per lo sviluppo delle piante sono invisibili all’occhio umano (Lercari, [10], 1990). Nostro interesse è calcolare il valore della energia radiante ricevuta dalle colture, definito come irradianza e corrispondente alla quantità di energia per unità di superficie che intercetta la pianta. Questo valore è direttamente proporzionale allo sviluppo delle colture ma esiste un limite oltre il quale i tessuti mostrano segni di sofferenza come l’ingiallimento delle foglie, crescita più stentata e un invecchiamento precoce. Negli esperimenti effettuati si è concluso che il valore dell’intensità luminosa varia molto tra una specie e l’altra anche se è stato possibile dedurre che per tutte le specie è preferibile un’intensità minore negli stadi di impianto e proliferazione mentre necessitano in genere di maggiore intensità nelle fasi di radicazione e ambientamento.
Il rapporto citochinine/auxine all’aumentare dell’intensità luminosa è stato analizzato da Wang [5] nel 1992 il quale rilevò che all’aumento dell’intensità corrispondeva un aumento delle citochinine con diminuzione della dominanza apicale e conseguente schiusura delle gemme laterali.
L’intensità luminosa può svolgere anche altri effetti importanti su diverse fasi della crescita delle colture in vitro:
• l’allungamento delle radici dipende dalle condizioni di luce fornite durante il periodo di radicazione, in Dracena Fragrans il tasso di allungamento delle radici che al buio era molto basso, aumentava all’aumentare dell’intensità luminosa (Vinterhalter et al. [11] 1990);
• l’intensità della luce può giocare un ruolo importante durante l’acclimatazione; infatti, l’arricchimento di CO2 e l’uso di un’alta
intensità luminosa tanto in vitro che in vivo contribuiscono a migliorare la capacità di adattamento delle piante, consentendo una riduzione dei tempi e un aumento dell’attecchimento (Grout e Millian [12] 1985).
1.3.3 Qualità della luce
La qualità della luce, intesa come spettro di emissione della luce stessa, ha una certa importanza sullo sviluppo e crescita delle piante in vitro. Essa può agire modificando l’efficacia dei regolatori di crescita presenti nel substrato, influenzando il bilancio ormonale endogeno dei tessuti stessi.
Da questa affermazione si nota l’importanza di approfondire questa tematica, al fine di riuscire a produrre substrati con minor uso di ormoni, con benefici sia a livello economico che fisiologico; è infatti dimostrato che alte concentrazioni di citochinina nel mezzo di coltura possono avere effetti collaterali quali vitrificazione dei tessuti e mantenimento dell’habitus cespuglioso anche ex vitro.
E’ ormai opinione generale che le radiazioni rosso, far- red, blu/UV-A dello spettro siano quelle più efficaci nel promuovere la crescita in vitro delle piante sia Mono che Dicotiledoni.
Capitolo 2
Influenza della luce sulle piante
2.1 Fotomorfogenesi
La luce non si limita ad essere importante per le piante come vettore di energia per il processo di fissazione del carbonio ma queste reagiscono al fattore luce anche con risposte fisiologiche che escludono il processo fotosintetico. Tali risposte fisiologiche sono raggruppate nella fotomorfogenesi (forma della pianta influenzata dalla luce), nel fotoperiodo (misura della durata della illuminazione nell’arco delle 24 ore), nel fototropismo (accrescimento ineguale di organi della pianta in direzione della luce), e della fototassi (movimento di organismi o di specifici organelli cellulari regolato dalla luce).
La fotomorfogenesi può essere considerata la più importante poiché investe la vita delle piante durante tutto il loro ciclo di sviluppo.
In particolare una pianta può seguire modelli di sviluppo fortemente differenziati a seconda della presenza o meno della luce e della qualità di questa (Figura 2.1).
Infatti mentre la luce bianca consente la formazione della clorofilla e quindi l’attivazione della fotosintesi, la luce rosso-lontana produce solo tracce di clorofilla assolutamente insufficienti per l’attività fotosintetica; proprio questa affermazione ci conferma che la forma della pianta non è quindi conseguenza del processo fotosintetico, ma è un effetto della luce mediato da un processo diverso.
Figura 2.1
Piante di patate geneticamente identiche cresciute al buio (sinistra) o alla luce naturale (destra). I numeri indicano la
posizione delle foglie lungo l’asse principale.
La fotomorfogenesi consiste in una serie di eventi che comincia con la ricezione dello stimolo da parte di un pigmento fotorecettore che assorbe la luce (o meglio le lunghezze d’onda più efficaci); questo stimolo sarà tradotto in un intervento su una specifica funzione metabolica ed infine come conseguenza di questa prima modifica metabolica si otterrà la manifestazione fisiologica finale (Mancinelli et al.[14] 1978).
Nelle piante che ricevono lunghezze d’onda superiori a 500 nm il pigmento recettivo è rappresentato da una famiglia di molecole dette fitocromi.
Il fitocromo è una molecola rappresentata da due forme fotoconvertibili: il Pr con un assorbimento massimo nella zona del rosso a 660 nm ed il Pr con un assorbimento massimo nella zona del rosso-lontano a 730 nm. La forma fisiologicamente attiva (Pfr) si origina sotto l’influenza della luce mentre il fitocromo è sintetizzato come Pr nelle piante tenute al buio (Gaba et al.[15] 1987). La quantità di fitocromo nelle piante allevate alla luce è solo l’1% di quella rinvenibile al buio in quanto il Pfr è degradato da enzimi proteolitici in maniera molto più veloce di quanto lo sia il Pr. Gli spettri di assorbimento di Pr e Pfr si sovrappongono attraverso tutta la zona del visibile ed è per questo motivo che alle condizioni di irradiazione saturante si instaura un fotoequilibrio, cioè uno specifico rapporto tra Pfr e P totale (Figura 2.2).
Figura 2.2
Spettri di assorbimento delle forme di citocromo Pr (blu) e Pfr (rosso)
Per la luce solare questa relazione energetica è costante per tutta la durata del giorno, sia a cielo sereno che a cielo coperto, e produce uno stato fotostazionario di 0,55. Tale rapporto è variabile in teoria da 0,8 a 0,01 e varia molto all’ombra delle piante producendo rapporti di 0,2 capaci di influenzare notevolmente la crescita di quelle specie che si trovino a svilupparsi in quelle condizioni (Alpi et al. [13] 2000).
2.2 Effetti del fotoperiodo sulle piante
L’alternarsi delle stagioni durante l’anno modifica in maniera drastica la crescita e lo sviluppo delle piante. In particolare il fattore che varia in maniera più consistente è il fotoperiodo; esso influenza molti aspetti della vita della pianta quali l’allungamento dei cauli, la crescita delle foglie, la dormienza, la formazione degli organi di riserva e l’abscissione fogliare ma soprattutto la formazione delle strutture riproduttive.
La fioritura infatti è strettamente collegata al fotoperiodo nel senso che prima dell’antesi (e talora molto prima) le piante devono ricevere durante le 24 ore (e per un numero di cicli diverso a seconda dei casi) una precisa durata di illuminazione seguita da un altrettanto precisa durata di oscurità. Nel caso in cui debba prevalere, affinché si abbia la fioritura, la lunghezza della fase luminosa si hanno le piante a giorno lungo o longidiurne (LDP) e nel caso opposto le piante a giorno corto o brevidiurne (SPD). E’ bene chiarire, tuttavia, che gli effetti di questi cicli luce-buio sono induttivi nel senso che le piante, una volta ricevuto lo stimolo per il passaggio di fase del meristema apicale, potranno fiorire anche in periodi in cui le condizioni fotoperiodiche sono diverse, e persino opposte, a quelle che hanno prodotto lo stimolo.
Gli organi di riserva sotterranei si formano sotto condizioni fotoperiodiche molto precise; in genere è la condizione brevidiurna che stimola questo processo con l’eccezione della cipolla dove è il giorno lungo a stimolare la formazione del bulbo.
Anche la dormienza delle gemme appare molto influenzata dal fotoperiodo; con questo termine si intende la condizione della gemma che non manifesterà crescita anche se i parametri ambientali di temperatura ed umidità sono ottimali.
All’ arrivo dell’autunno le specie arboree formano gemme dormienti, cioè cessa in esse l’accrescimento cellulare per distensione, pur continuando per breve tempo l’attività mitotica del meristema. Contemporaneamente alcuni dei primordi fogliari esterni si trasformano in foglie altamente modificate dette perule, con il compito di isolare termicamente e impedire l’essiccamento durante l’inverno del meristema. Condizioni fotoperiodiche a giorno corto percepite dalle foglie causano la produzione da queste ultime di uno stimolo chimico che migrando ai meristemi caulinari, li trasformerebbe in gemme dormienti. La dormienza in fase iniziale può essere interrotta col ripristino delle condizioni favorevoli e viene definita quiescenza; se invece le condizioni induttive proseguono questa reversibilità non sarebbe più possibile e la pianta entra in fase di dormienza vera e propria. L’interruzione della dormienza è una causa dell’aumento del fotoperiodo a primavera e questa condizione pare sia percepita dalle stesse perule che rispondono allo stimolo luminoso generando la risposta alla crescita.
Tra le altre risposte da includere nel fotoperiodo possiamo ricordare la crescita dei verticilli fiorali. In alcune specie fotoperiodiche infatti si nota che un solo ciclo induttivo è comunque sufficiente ad indurre il passaggio di fase del meristema apicale, non è però sufficiente ad
assicurare una crescita dei vari organi fiorali; in altre parole i fiori abortirebbero rapidamente se non fossero esposti continuamente a più cicli induttivi.
Anche la fertilità dei pollini, come gli ovuli e persino l’espressione sessuale, sarebbero fortemente influenzate in molte specie dal fotoperiodo [13].
Da quanto espresso finora si intuisce il ruolo fondamentale che la quantità di luce e il modo in cui viene fornita svolgono nella crescita e nello sviluppo delle colture in vitro; nonostante le conoscenze acquisite fino ad oggi in questo settore esse sono da considerarsi ancora insufficienti per permetterci una completa ottimizzazione dei processi produttivi nella micropropagazione, sia a causa di risultati talvolta contrastanti dovuti alla notevole variabilità tra i cloni di specie arboree da frutto utilizzati nei laboratori che per le diverse tecniche di studio impiegate dai ricercatori.
Capitolo 3
Scopo del lavoro svolto
Questo lavoro aveva lo scopo di monitorare gli effetti sulla proliferazione e la radicazione delle colture in vitro sottoposte ad una sorgente di illuminazione dinamica. Analizzando le risposte di quattro specie diverse (melo, susino, pesco e cotogno) si è cercato di verificare se le condizioni di crescita da noi ricreate influivano sulla capacità di accrescimento e di radicazione delle colture rispetto al trattamento standard (16/8), oggi applicato nella totalità dei laboratori di micropropagazione. In questi la luce viene di solito fornita in modo statico con le luci posizionate sopra le colture, comportando un notevole impiego di lampade fluorescenti per illuminare l’intera superficie degli scaffali.
Questo implica che nei costi iniziali per l’allestimento di un laboratorio la parte riguardante l’illuminazione e il condizionamento (necessario a causa del calore provocato dai neon) vadano ad incidere in maniera molto alta e sarebbe quindi auspicabile l’individuazione di un intervento per diminuire i costi da sempre molto elevati della micropropagazione.
L’individuazione di un trattamento luminoso alternativo capace di fornire analoghi risultati sia qualitativi che quantitativi a quello standard potrebbe quindi suscitare un certo interesse nella gestione delle risorse economiche per l’allestimento di un laboratorio di micropropagazione.
Capitolo 4
Materiali e metodi
4.1 Condizioni di coltura
Lo studio è stato effettuato utilizzando una camera di crescita standard ed una caratterizzata dalla presenza di luci dinamiche come descritto nel paragrafo 4.2
La sorgente luminosa era costituita da tubi Philips TLD 18W/33 e l’intensità luminosa del controllo era di 50 µmoli al m²/secondo mentre quella delle luci dinamiche è illustrata nel paragrafo 4.2. L’intensità è stata misurata utilizzando un Quantum Sensor LI-COR 1800.
4.2
Caratteristiche tecniche del sistema di illuminazione
sperimentato
Per lo svolgimento degli esperimenti è stato modificato un normale scaffale della camera di crescita del laboratorio del Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose “G. Scaramuzzi” schermato dalla luce prodotta dai neon presenti sul resto dello scaffale e da quelli degli scaffali vicini.
Al suo interno è stato predisposto un dispositivo mobile collegato elettricamente ad un piccolo motore che consentiva al carrello di scorrere lungo tutta la superficie della camera portando al suo interno 2 neon da 36 watt Philips TLD 18W/33 che si accendevano automaticamente all’avvio del motore ( Figura 4.1).
Figura 4.1 – Camera di crescita utilizzata
Prima dell’inizio del lavoro è stata valutata l’intensità della luce sul punto centrale dello scaffale sia nello scorrimento da sinistra a destra che nel percorso inverso. L’intensità è indicata in µmoli m¯²s¯¹ (Figura 4.2).
Irradiazione sul punto X con andamento delle luci da dx a sx 0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 3 12 21 30 39 48 57 66 75 84 93 102 111 120 129 138 147
Tempo di scorrimento carrello (sec)
P P F D (m ic ro m o li m -2 s -1 ) Figura 4.2
Come espresso sul grafico, è stato calcolato che il tempo di scorrimento dal punto di inizio corsa al punto di fine corsa era in entrambe le direzioni di 2 minuti e 30 secondi, calcolate dall’accensione delle luci allo spegnimento delle stesse. Il carrello con le luci ai punti estremi della camera effettuava una pausa con le luci spente di 30 secondi sia da un lato che dall’altro, distanti tra loro 124 centimetri. Negli esperimenti la velocità del carrello è stata sempre lasciata costante e calcolata in 0,82 centimetri al secondo in tutti i punti della corsa del carrello.
E’ stato infine calcolato che il punto X disposto al centro del bancale (equivalente nella tesi a un vasetto con gli espianti) riceveva il massimo irraggiamento ogni 3 minuti quando il carrello passava sulla sua perpendicolare, mentre ogni punto a lui vicino e spostato sempre più verso gli estremi riceveva il massimo irraggiamento a intervalli diversi con tempi sempre minori tra 2 successive irradiazioni. Negli
esperimenti tutti i vasetti sono stati sempre posizionati nelle immediate vicinanze del punto X.
Da quanto sopra descritto si può quindi dedurre che un ciclo completo di irradiazione richiedeva circa 6 minuti, trascorsi i quali ogni punto sul bancale aveva due irradiazioni massime ciascuno, anche se con intervalli di tempo tra loro diversi mentre il punto X (centrale) riceveva una irradiazione ogni 3 minuti. I punti più vicini agli estremi della camera riceveranno le due irradiazioni tanto più vicine quanto più sono vicini al momento di spegnimento delle luci ma passate le due irradiazioni massime rimarranno più a lungo in zona di penombra, specie quando il carrello è nelle vicinanze dell’estremo opposto. Proprio per ovviare a queste limitazioni le colture della sperimentazione sono state lasciate sempre in prossimità del centro dello scaffale sperimentale.
L’illuminazione dei vasi di coltura inseriti nella camera di crescita con le luci mobili è stata continua per tutte le 24 ore della giornata, anche se sommando i tempi di luce spenta ad ogni cambio di direzione delle luci, si ottenevano 4 ore al giorno di buio totale, con un fotoperiodo di 20 ore di luce e 4 di buio.
La decisione di effettuare una pausa senza luci accese è stata presa per simulare un’ulteriore applicazione del nostro metodo, che prevedeva lo scorrimento delle luci senza interruzione su scaffali molto lunghi. Ciò consentirebbe la riduzione delle spese da sostenere per l’allestimento delle apparecchiature necessarie per illuminazione dei vasi di coltura.
Le piantine di controllo sono state invece mantenute con un fotoperiodo di 16 ore di luce e 8 ore di buio con una intensità luminosa costante nel tempo di 50µmoli m¯²s¯¹, in linea con le altre colture presenti nella cella (Figura 4.3).
Valore di micromoli ricevuto in un bancale normale 0 10 20 30 40 50 60 3 15 27 39 51 63 75 87 99 111 123 135 147 Secondi (M ic ro m o li m -2 s -1 )
Valore fisso di 50 micromoli al secondo in laboratorio standard
Figura 4.3
4.2.1 Valutazioni sul risparmio energetico
Ipotizzando una camera di crescita di normale impiego nei laboratori di micropropagazione commerciali, con bancali lunghi 4 metri, larghi 1 ed una superficie esposta alle luci fisse di 4 m², sarebbe possibile posizionare su questi fino a 320 vasi. Questo comporterebbe l’utilizzo di almeno 8 neon da 36 watt a distanza di 50 cm l’uno dall’altro con un consumo orario di 288 Watt per un bancale.
Nell’ipotesi che l’applicazione di trattamenti luminosi come quelli sperimentati dal presente lavoro risultassero efficaci sull’accrescimento delle colture, sarebbe possibile utilizzare soltanto 2 o 3 neon ottenendo un risparmio di 216 watt (75%) nel primo caso e di 180 watt nel secondo (62,5%) rispetto all’illuminazione standard. Se venisse considerato un eventuale scorrimento circolare del carrello su
due bancali sovrapposti (senza soste agli estremi come utilizzato negli esperimenti) il risparmio energetico raddoppierebbe, permettendo di recuperare il tempo necessario per il ritorno al punto di partenza delle luci facendole passare sopra un altro bancale.
Di non minore importanza sarebbero i risparmi indiretti sui costi per l’impianto di condizionamento necessario soprattutto nel periodo estivo, derivati dell’inferiore riscaldamento apportato all’ambiente grazie al minor numero di neon presenti.
Un’altra valutazione importante sul risparmio energetico di questa tecnica è stata ottenuta dalla differenza di µmoli/h calcolate sul punto X posizionato al centro del bancale. Confrontando gli integrali delle aree sottese dalle curve dei grafici delle figure 4.2 e 4.3, è stata calcolata la diversa quantità di luce che investiva il punto X. Con 50 µmoli al secondo, l’apporto orario di luce (50x3600) era uguale a 180000 µmoli all’ora. L’integrale del grafico relativo alla tecnica di illuminazione con luci dinamiche era uguale a 5700 µmoli per 150 secondi, ai quali andavano sommati i 30 secondi di pausa del carrello. Pertanto, questa era la quantità di luce che il punto X riceveva ogni 3 minuti: per calcolare la quantità oraria bastava moltiplicare per 20 e si ottenevano 114000 µmoli all’ora. E’ stata rilevata una differenza di 66000 µmoli all’ora che equivalgono al 36,7% in meno rispetto alle normali condizioni di laboratorio.
Quest’ultimo dato è molto significativo dal punto di vista biologico perché se la sperimentazione risultasse positiva sarebbe possibile ottenere un uguale accrescimento delle colture con un fabbisogno di quantità di luce molto inferiore ai trattamenti standard.
4.3 Materiale vegetale
Le specie utilizzate nella sperimentazione sono state quattro:
• Il BA29, un portinnesto di cotogno molto usato per la coltivazione del pero, al quale conferisce una buona resistenza ai terreni calcarei e una media vigoria alla pianta; spingendo le radici molto in profondità rende più agevole la lavorazione del terreno.
• l’MM 106 (Malling Merton 106), portinnesto clonale del melo, in grado di ridurre la taglia delle piante di circa il 30% rispetto al franco; è mediamente vigoroso, con un apparato radicale sviluppato che garantisce un ottimo ancoraggio degli alberi e una precoce messa a frutto.
• l’Mr.S. 2/5, un portinnesto clonale ottenuto da un semenzale di Prunus Cerasifera derivante da libera impollinazione; induce
una buona produttività, un anticipo della maturazione e una migliore colorazione del frutto, quando utilizzato per pesco e susino.
• il GF 677, (Prunus Persica x Prunus Dulcis), usato come portinnesto per il pesco, è propagabile solo attraverso la micropropagazione. Conferisce alla pianta una elevata vigoria e produttività e può essere utilizzato per più cicli produttivi se reimpiantato con nuovi peschi.
L’impianto delle colture è stato realizzato prelevando apici di germoglio con tre nodi della lunghezza circa di 1,0 cm da colture già adattate da tempo alle condizioni in vitro e quindi perfettamente abituate al microclima e al substrato di crescita.
4.4 Substrati di crescita (proliferazione)
Per gli esperimenti di proliferazione sono stati utilizzati 4 tipi di substrati diversi in base alle 4 specie analizzate e sono di seguito illustrati:
1. BA 29, sono stati utilizzati i macro e i microelementi di Driver e
Kinniyuki (1984) addizionati dei seguenti composti:
Prodotto Quantitativo Utilizzato
Tiamina Hcl 0,4 mg/l Mioinositolo 100 mg/l Ferro EDTA 60 mg/l GA3 0,2 mg/l IBA 0,06 mg/l Saccarosio 30 grammi/l
Il pH è stato aggiustato a 5,20 ed è stato aggiunto l’agar in quantità di 6,0 grammi/litro. L’ormone BAP è stato immesso successivamente in quantità diverse nelle varie tesi che abbiamo analizzato e le concentrazioni di citochinine comparate erano:
Tesi 3,0 mg/l Tesi 4,5 mg/l Tesi 6,0 mg/l
In seguito il substrato è stato frazionato, alla dose di 60 ml, in vasi di 250 ml di volume che, una volta fasciati con un film di polietilene, sono stati sterilizzati in autoclave ad una temperatura di 120°C per 20 minuti.
2. MM106, sono stati utilizzati i macro e i microelementi di Driver
e Kinniyuki (1984) addizionati dei seguenti composti:
Prodotto Quantitativo Utilizzato
Tiamina 0,4 mg/l Mioinositolo 100mg/l Ferro EDTA 60 mg/l GA3 0,2 mg/l IBA 0,06 mg/l Saccarosio 30 grammi/l Fluoroglicerolo 150mg/l Sorbitolo 10 mg/l
Al substrato sono state aggiunte dosi variabili di citochinina:
BA 2,5 mg/litro BA 3,75 mg/litro BA 5,0 mg/litro
Successivamente il pH è stato aggiustato a 5,50 ed è stato aggiunto l’agar in quantità di 6 grammi/litro e infine il substrato è stato frazionato, alla dose di 60 ml, in vasi di 250 ml di volume che, una volta fasciati con un film di polietilene, sono stati sterilizzati in autoclave ad una temperatura di 120°C per 20 minuti.
3. Mr.S. 2/5, sono stati utilizzati i macro e i microelementi e i
ferro-chelati di Murashighe & Skoog (1969) addizionati dei seguenti composti:
Prodotto Quantitativo Utilizzato
Tiamina 0,4 mg/l
Mioinositolo 100 mg/l
GA3 0,2 mg/l
IBA 0,06 mg/l
Saccarosio 30 grammi/l
Il pH è stato aggiustato a 5,20 ed è stato aggiunto l’agar in quantità di 6 grammi/litro.
Al substrato sono state aggiunte 2 dosi variabili di citochinina.
0,4 mg/litro 0,8 mg/litro
In seguito il substrato è stato frazionato, alla dose di 60 ml, in vasi di 250 ml di volume che, una volta fasciati con un film di polietilene, sono stati sterilizzati in autoclave ad una temperatura di 120°C per 20 minuti.
4. GF677, sono stati utilizzati i macro e i microelementi di Driver e
Kinniyuki (1984) addizionati dei seguenti composti:
Prodotto Quantitativo Utilizzato
Tiamina 0,4 mg/l
Mioinositolo 100 mg/l
FeEDTA DKW 60 mg/l
IBA 0,06 mg/l
Al substrato sono state aggiunte 2 dosi variabili di citochinina.
2,0 mg/litro 2,5 mg/litro
Successivamente il pH è stato aggiustato a 5,30 e sono stati aggiunti 6 grammi/l di agar e 2 grammi/l di pectina; infine il substrato è stato frazionato, alla dose di 60 ml, in vasi di 250 ml di volume che, una volta fasciati con un film di polietilene, sono stati sterilizzati in autoclave ad una temperatura di 120°C per 20 minuti.
4.5 Substrati di crescita (radicazione)
Per quanto riguarda gli esperimenti sulla radicazione sono stati utilizzati i 2 seguenti substrati:
1. GF677, il substrato utilizzato era lo stesso dell’esperimento sulla
proliferazione con la differenza che conteneva in sostituzione dell’ormone BA un prodotto per indurre la rizogenesi infatti abbiamo aggiunto al substrato di base della Spermidina – Spermina (5,0 mg/l) e una elevata concentrazione di acido indol-butirrico (IBA) in quantità diversa tra le due tesi: 0,5 mg/l e 1,0 mg/l.
Il tutto portato a pH 5,3 con l’aggiunta di 0,37 g di agar e 0,12 g di pectina a bormiolo, per ottenere 20 bormioli da mettere in autoclave, dei quali 10 (5 a concentrazione 0,5 e altri 5 a concentrazione 1,0) sono stati usati come controlli mentre gli altri 10 come tesi sotto le luci dinamiche.
2. Mr.S. 2/5, nella prova per la radicazione dell’Mr.S. 2/5, sono
stati utilizzati i macro e i microelementi e i ferro-chelati di Murashighe & Skoog (1969) addizionati dei seguenti composti:
Prodotto Quantitativo Utilizzato
Tiamina 0,4 mg/l
Mioinositolo 100 mg/l
FeEDTA 60 mg/l
Saccarosio 30 grammi/l
Successivamente sono state aggiunte dosi variabili di auxina (IBA), è stato aggiunto l’agar in quantità di 6 grammi/litro e regolato il pH a 5,2.
Tesi 0,6 mg/l Tesi 1,2 mg/l
4.6 Disegno sperimentale e durata degli esperimenti
Per gli esperimenti di proliferazione sono stati utilizzati dieci vasi con cinque apici/vaso per ogni concentrazione ormonale, di cui cinque usati come controlli e cinque messi nella camera di crescita con le luci dinamiche; gli apici sono stati trasferiti su un substrato nuovo, rinnovando il taglio senza suddividere il cluster per favorire l’assorbimento delle sostanze nutritive, dopo 2 settimane. Dopo altre 2 settimane i clusters sono stati analizzati e sono stati campionati i dati relativi ad ogni esperimento che consistevano
nella misurazione del peso fresco, del peso secco, la % di sostanza secca, il numero e la lunghezza dei germogli.
Per gli esperimenti di radicazione non sono invece stati effettuati rinnovi del substrato e gli apici/vaso erano 10; i germogli sono stati lasciati nei vasi per 4 settimane prima di essere analizzati rilevando il numero di germogli radicati, il numero di radici medio per germoglio, la loro lunghezza e l’altezza finale dei germogli, sia radicati che non radicati.
4.6.1 Esperimenti su Ba 29
4.6.1.1 Esperimento 1
Obiettivo : valutare l’effetto del trattamento luminoso dinamico sulla proliferazione di BA 29 dopo 40 giorni di esposizione.
L’esperimento è stato basato sul confronto tra il controllo, contenente 3 mg a vaso di citochinina (1,5 mg da BA + 1,5 mg di BAR), e le tesi sotto le luci dinamiche, suddivise in tre gruppi:
• Tesi A (1,5 mg BA + 1,5 mg BAR) = 3 mg/litro • Tesi B (2,25 mg BA + 2,25mg di BAR) = 4,5 mg/litro • Tesi C (3 mg Ba + 3 mg di BAR) = 6 mg/litro
In questo esperimento sono stati inseriti 8 clusters a vaso.
4.6.1.2 Esperimento 2
Obiettivo : confermare l’effetto del trattamento luminoso dinamico sulla proliferazione di BA 29 dopo 40 giorni di esposizione con tre concentrazioni diverse nei vasi di controllo.
Questo esperimento era simile a quello precedente, sebbene siano stati utilizzati 5 clusters a vaso e invece di avere solo una concentrazione nei vasi di controllo ne sono state preparate tre uguali a quelle sotto le luci dinamiche:
• Tesi A (1,5 mg BA + 1,5 mg BAR) = 3 mg/litro • Tesi B (2,25 mg BA + 2,25mg di BAR) = 4,5 mg/litro • Tesi C (3 mg Ba + 3 mg di BAR) = 6 mg/litro
4.6.1.3 Esperimento 3
Obiettivo: valutare l’effetto del trattamento luminoso dinamico sul contenuto di clorofilla nelle foglie dei clusters di BA 29
Sono stati effettuati 2 rilievi presi a caso tra i clusters dell’esperimento precedente alla concentrazione di ormone di 3,0 mg/litro tra gli espianti di controllo e 2 rilievi per gli espianti sotto luci mobili.
Il metodo scelto per l’estrazione è stato quello di Moran e Porath (1980). La caratteristica principale di questo metodo consisteva nel fatto che i tessuti prelevati dovevano essere immersi integri in 2 ml di dimetilformamide e qui mantenuti per 24 ore a 4°C in assenza di luce; questo rendeva l’analisi più semplice e pratica rispetto ad altri metodi che prevedono la macerazione e la centrifugazione del
surnatante per varie volte con l’utilizzo di estrattori molto costosi e rischiosi per l’operatore.
Una volta estratto il liquido, è stata misurata allo spettrofotometro l’assorbanza della soluzione alle lunghezze d’onda di 664 nm (chl A), 647 nm (chl B) e di 625 nm (protoclorofilla).
Dai valori dell’assorbanza, utilizzando l’equazione di Moran, è stato possibile calcolare le concentrazioni di clorofilla nelle soluzioni dei vari estratti.
Determinazione del contenuto di clorofilla (microgrammi per 2 ml di dimetilformamide).
Chl A : (12,6 X Abs 664) – (2,99 X Abs647) – (0,04 X Abs 625) Chl B : (23,44 X Abs 647) – (5,48 X Abs 664) – (0,97 X Abs625) Protoclorofilla: (28,3 X Abs 625) – (3,49 X Abs664) – (5,25 X
Abs647)
4.6.2 Esperimenti su MM106
4.6.2.1 Esperimento 4
Obiettivo : valutare l’effetto del trattamento luminoso dinamico sulla proliferazione di MM106 dopo 50 giorni di esposizione.
L’esperimento è stato basato sul confronto tra le tre concentrazioni dei vasi di controllo e le tesi sotto le luci dinamiche, suddivise in tre gruppi:
• Tesi A = BA 2,5 mg/litro • Tesi B = BA 3,75 mg/litro • Tesi C = BA 5,0 mg/litro
4.6.3 Esperimenti su Mr.S. 2/5
4.6.3.1 Esperimento 5
Obiettivo : valutare l’effetto del trattamento luminoso dinamico sulla proliferazione di Mr.S. 2/5 dopo 30 giorni di esposizione.
L’esperimento è stato basato sul confronto tra le tre concentrazioni dei vasi di controllo e le tesi sotto le luci dinamiche, suddivise in tre gruppi:
• Tesi A = BAP 0,5 mg/litro • Tesi B = BAP 1,0 mg/litro • Tesi C = BAP 1,5 mg/litro
In questo esperimento sono stati inseriti 5 clusters a vaso.
4.6.3.2 Esperimento 6
Obiettivo : valutare l’effetto del trattamento luminoso dinamico sulla proliferazione di Mr.S. 2/5 dopo 30 giorni di esposizione.
L’esperimento è stato basato sul confronto tra le due concentrazioni dei vasi di controllo e le tesi sotto le luci dinamiche, suddivise in due gruppi:
• Tesi A = BAP 0,4 mg/litro • Tesi B = BAP 0,8 mg/litro
In questo esperimento sono stati inseriti 5 clusters a vaso.
4.6.4 Esperimenti su GF677
4.6.4.1 Esperimento 7
Obiettivo : valutare l’effetto del trattamento luminoso dinamico sulla proliferazione del GF677 dopo 30 giorni di esposizione.
L’esperimento è stato basato sul confronto tra le due concentrazioni dei vasi di controllo e le tesi sotto le luci dinamiche, suddivise in due gruppi:
• Tesi A = BA 2,0 mg/litro • Tesi B = BA 2,5 mg/litro
In questo esperimento sono stati inseriti 5 clusters a vaso.
4.6.5 Esperimenti di radicazione su Mr.S.2/5
4.6.5.1 Esperimento 8
Obiettivo : valutare l’effetto del trattamento luminoso dinamico sulla radicazione dei germogli di Mr.S. 2/5 dopo 30 giorni di esposizione.
L’esperimento è stato basato sul confronto tra le due concentrazioni dei vasi di controllo e le tesi sotto le luci dinamiche, suddivise in due gruppi:
• Tesi A = IBA 0,6 mg/litro • Tesi B = IBA 1,2 mg/litro
4.6.5.2 Esperimento 9
Obiettivo : valutare l’effetto del trattamento luminoso dinamico sulla radicazione dei germogli di Mr.S. 2/5 dopo 30 giorni di esposizione.
L’esperimento è stato basato sul confronto tra le due concentrazioni dei vasi di controllo e le tesi sotto le luci dinamiche, suddivise in due gruppi:
• Tesi A = IBA 0,6 mg/litro • Tesi B = IBA 1,2 mg/litro
In questo esperimento sono stati inseriti 10 germogli a vaso.
4.6.6 Esperimenti di radicazione su GF677
4.6.6.1 Esperimento 10
Obiettivo : valutare l’effetto del trattamento luminoso dinamico sulla radicazione dei germogli di GF677 dopo 30 giorni di esposizione.
L’esperimento è stato basato sul confronto tra le due concentrazioni dei vasi di controllo e le tesi sotto le luci dinamiche, suddivise in due gruppi:
• Tesi A = IBA 0,5 mg/litro • Tesi B = IBA 1,0 mg/litro
4.6.6.2 Esperimento 11
Obiettivo : valutare l’effetto del trattamento luminoso dinamico sulla radicazione dei germogli di GF677 dopo 30 giorni di esposizione a luci con velocità di scorrimento del carrello diversa dai precedenti.
In questo esperimento sono stati inseriti 10 germogli a vaso con una sola concentrazione di auxina a 2,0 mg/l, suddivisi in 5 vasi di controllo e 5 vasi sottoposti ad una illuminazione dinamica con velocità (2,4 centimetri/secondo) tripla rispetto ai precedenti esperimenti.
4.7 Analisi statistica
I dati raccolti sono stati analizzati utilizzando un modello di analisi della varianza (ANOVA), in cui si poneva la variabile di interesse (variabile risposta) in funzione del trattamento “Luci dinamiche” e, qualora opportuno, della covariata “Concentrazione”.
In presenza di trattamento multi-livello, la separazione delle medie è stata valutata con il test di Tukey ( Camussi et al. [16] 1986).
Capitolo 5
Risultati e discussione
5.1 Esperimenti su BA29
5.1.1 Esperimento 1
Obiettivo : valutare l’effetto del trattamento luminoso dinamico sulla proliferazione di BA 29 dopo 40 giorni di esposizione.
Peso fresco
I dati raccolti sono stati analizzati a livello statistico (Tabella 1) per valutare se le differenze dei valori fossero state significative.
I valori del peso fresco dei controlli e delle colture cresciute sotto le luci dinamiche hanno evidenziato che a livello del 5% le medie non erano statisticamente diverse (Figura 5.1).
Analisi della varianza
Source SS df MS F Prob > F --- Between groups .008550951 3 .002850317 0.17 0.9135 Within groups .264625986 16 .016539124 --- Total .273176938 19 .014377734
Peso Fresco BA 29
a a a a 0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 3,0 mg/l 4,5 mg/l 6,0 mg/l Controllo G ra m m i/ C lu s te rFigura 5.1- Effetto della illuminazione dinamica sul peso fresco di clusters di colture in vitro del portinnesto BA 29 in presenza di una diversa concentrazione di BA
Peso secco
La sostanza secca delle colture dei trattamenti e dei controlli non ha evidenziato a livello statistico delle differenze significative, fornendo dei valori variabili tra il 10,9 e il 12,7 (Tabella 2 e Figura 5.2).
L’andamento dei valori della sostanza secca è stato quindi del tutto simile a quello del peso fresco con risultati leggermente inferiori per i trattamenti sotto luce dinamica rispetto a quelli delle colture di controllo.
Analisi della varianza
Source | Partial SS df MS F Prob > F ---+--- Model | .0006204 3 .0002068 1.32 0.3016 | trattamento | .0006204 3 .0002068 1.32 0.3016 | Residual | .0025008 16 .0001563 ---+--- Total | .0031212 19 .000164274
Tabella 2. Analisi statistica del peso secco
a a a a 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 % Ba 3,0 mg/l Ba 4,5 mg/l Ba 6,0 mg/l Controllo Ba 3,0 mg/l
Sostanza secca nei clusters
Figura 5.2 - Effetto della illuminazione dinamica sulla sostanza secca di colture in vitro del portinnesto BA 29 in presenza di una diversa concentrazione di BA
Numero di germogli e lunghezza dei clusters
L’analisi statistica (Tabella 3) effettuata sul numero di germogli per ogni cluster evidenziava l’esistenza di una differenza significativa tra le medie riscontrate nelle colture. Dall’analisi dei valori della figura 5.3 è risultato evidente che questa differenza è significativamente superiore nelle colture cresciute sotto luci dinamiche, anche se tende a diminuire all’aumentare della concentrazione di citochinina aggiunta al substrato.
In particolare, dall’analisi dei valori ottenuti con il Tukey test è stato rilevato che i trattamenti a 3,0 e a 4,5 mg/l erano significativamente più elevati rispetto al controllo mentre il trattamento con 6,0 mg/l non era significativamente diverso né dai trattamenti precedenti nè dal controllo stesso (Figura 5.3).
Analisi della varianza
Source SS df MS F Prob > F --- Between groups 84.31875 3 28.10625 4.71 0.0035 Within groups 929.925 156 5.96105769 --- Total 1014.24375 159 6.37889151
Tabella 3 Analisi statistica del numero dei germogli
Anche la lunghezza dei germogli è stata positivamente influenzata dal trattamento dinamico; tale risposta era comunque prevedibile considerato che in genere una minore intensità luminosa favorisce un maggiore sviluppo in altezza dei cluster. Analizzando i dati delle tesi con le tre concentrazioni di BA è stato osservato che queste hanno prodotto germogli mediamente più lunghi rispetto al controllo (Figura 5.4).
Numero di germogli per ogni cluster a ab b b 0 1 2 3 4 5 6 7 8 3,0 mg/l BA 4,5 mg/l BA 6,0 mg/l BA Controllo 3,0 mg/l BA
Figura 5.3 - Effetto della illuminazione dinamica sul numero dei germogli di colture in vitro del portinnesto BA 29 in presenza di una diversa concentrazione di BA
BA 3,0 mg/l BA 4,5 mg/l BA 6,0 mg/l Controllo 3,0 mg/l a ab b b 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 Cm
Lunghezza media dei germogli di Ba 29
Figura 5.4 - Effetto della illuminazione dinamica sulla lunghezza di germogli del portinnesto BA 29 in presenza di una diversa concentrazione di BA
Aspetto morfologico delle colture
I clusters della tesi con BA a 3,0 mg/l erano visivamente più lunghi e con più germogli rispetto a quelli delle tesi con 4,5 mg/l e 6,0 mg/l, mentre i germogli del controllo erano meno numerosi, più corti e di un colore verde intenso (Figura 5.5).
Figura 5.5 - Effetto della illuminazione dinamica sull’aspetto morfologico di colture in vitro del portinnesto BA 29
5.1.2 Esperimento 2
Obiettivo : confermare l’effetto del trattamento luminoso dinamico sulla proliferazione di BA 29 dopo 40 giorni di esposizione a tre concentrazioni di BA.
Peso fresco
L’analisi statistica della varianza normalizzata a due vie non ha evidenziato alcuna differenza significativa tra le diverse concentrazioni di BA nel substrato e tra i diversi trattamenti luminosi a cui sono state sottoposte le colture. Non risultava neppure
un’interazione significativa tra i due parametri sopra indicati: la Figura 5.6 riassume i valori forniti dall’analisi statistica per il peso fresco del BA 29.
Peso fresco
a a a a a 0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 3,0 mg/l 4,5 mg/l 6,0 mg/l Controllo Luci dinamiche Grammi/clusterFigura 5.6 – Peso fresco di colture in vitro del portinnesto BA 29 in presenza di una diversa concentrazione di BA e di diversi trattamenti luminosi.
Peso secco
Anche la sostanza secca prodotta non ha mostrato differenze sostanziali tra i trattamenti dinamici e i controlli, con l’eccezione della tesi con 4,5 mg/l di citochinina dove il valore appare leggermente superiore rispetto alle altre due concentrazioni sperimentate (Figura 5.7).
Sostanza secca
0 2 4 6 8 10 12 14 Controllo 3,0 mg/l Controllo 4,5 mg/l Controllo 6,0 mg/l Luci dinamiche 3,0 mg/l Luci dinamiche 4,5 mg/l Luci dinamiche 6,0 mg/l %Figura 5.7 - Effetto della illuminazione dinamica sulla sostanza secca di clusters di colture in vitro del portinnesto BA 29 in presenza di una diversa concentrazione di BA (dati non sottoposti ad analisi statistica)
Numero e lunghezza dei germogli
L’analisi statistica del numero dei germogli per cluster ha indicato che non c’erano differenze significative tra le diverse concentrazioni di BA utilizzate nei substrati mentre si rilevava un effetto significativo tra i metodi di applicazione della luce. Infine non era rilevata un’interazione significativa tra i due trattamenti luminosi e le concentrazioni di BA (Figura 5.8).
Per quanto riguarda la lunghezza dei germogli, quelli trattati con le luci dinamiche erano generalmente più lunghi rispetto ai controlli, in linea con quanto già riscontrato nell’esperimento 1 (dati non mostrati). Questi risultati confermerebbero la buona risposta del BA 29 nella fase di proliferazione dei germogli al trattamento con luci dinamiche, già riscontrata nel precedente esperimento.
Numero medio di germogli per cluster a a a a b 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5 4 3,0 mg/l 4,5 mg/l 6,0 mg/l Controllo Luci dinamiche
Figura 5.8 – Numero di germogli per cluster di colture in vitro del portinnesto BA 29 in presenza di una diversa concentrazione di BA e di diversi trattamenti luminosi.
5.1.3 Esperimento 3
Obiettivo: valutare l’effetto del trattamento luminoso dinamico sul contenuto di clorofilla in foglie di BA 29
Dall’analisi dei dati rilevati allo spettrofotometro sono stati calcolati i valori per i tre parametri principali: Chl A, Chl B e protoclorofilla (Tabella 4).
Campione Clorofilla A Clorofilla B Protoclorofilla Media Controllo 18,13 4,88 0,12
Media Luci Dinamiche
18,53 8,80 5,36
Tabella 4 – Quantità (µgrammi di chl/grammi di tessuto fogliare) di clorofilla presente in foglie di BA 29 cresciute sotto luci standard e sotto luci dinamiche
Da questi valori è stato possibile rilevare una maggiore presenza di clorofilla totale nei clusters sottoposti alle luci dinamiche (Figura 5.9), derivante principalmente da un marcato aumento della clorofilla B e della protoclorofilla.
E’ altrettanto interessante evidenziare che con il trattamento a luce dinamica la quantità di clorofilla A presente nei tessuti rimaneva inalterata. Si notava invece una riduzione del rapporto tra clorofilla A e B proprio in virtù dell’aumento di quest’ultima e del rapporto tra clorofilla A e la somma tra clorofilla B e protoclorofilla, conseguenza dell’inalterata presenza della clorofilla A e dell’aumento delle altre forme del pigmento (Tabella 5).
Campione Chl A/Chl B Chl A/Chl B + Protoclorofilla Chl totale Media Controllo 3,71 2,71 23,01 Media Luci Dinamiche 2,10 1,71 27,33
Tabella 5 – Confronto tra i rapporti delle diverse forme di clorofilla presenti in foglie di BA 29 cresciute sotto luci standard e sotto luci dinamiche.
Controllo Luci dinamiche 0 5 10 15 20 25 30
Chl Totale (Microgrammi/grammo di tessuto fogliare)
Figura 5.9 - Effetto della illuminazione dinamica sulla quantità di Chl Totale presente in foglie del portinnesto BA 29 cresciute in vitro con 3,0 mg/l di BA
5.2 Esperimenti condotti su MM106
5.2.1 Esperimento 4
Obiettivo : valutare l’effetto del trattamento luminoso dinamico sulla proliferazione di MM106 dopo 50 giorni di esposizione.
Peso fresco
Dall’analisi statistica è stato evidenziato che i valori del peso fresco mostravano differenze altamente significative, sia tra le diverse concentrazioni di BA nel substrato che tra i diversi trattamenti luminosi a cui sono state sottoposte le colture. In questo caso era presente anche un’interazione significativa tra le due variabili che
evidenziava una riduzione dell’accrescimento delle colture alla concentrazione di 5,0 mg/l di BA (Figura 5.11).
In generale, i risultati rilevati su MM106 sono da ritenere insoddisfacenti dal momento che il peso fresco delle colture sottoposte a luce dinamica era significativamente inferiore rispetto al controllo (Figura 5.10).
Peso fresco MM106
b a a a b 0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 2,5 mg/l 3,75 mg/l 5,0 mg/l Controllo Luci dinamicheFigura 5.10 – Peso fresco di colture in vitro del portinnesto MM 106 in presenza di una diversa concentrazione di BA e di diversi trattamenti luminosi.
Interazione tra le variabili concentrazione-trattamento luminoso sul peso fresco di MM106
Luci dinamiche Controllo 0 0,2 0,4 0,6 0,8 1 1,2 1,4 1,6 1,8 2 2,5 mg/l 3,75 mg/l 5,0 mg/l G ra m m i
Figura 5.11 - Effetto dell’interazione tra diverse concentrazioni di BA e diversi trattamenti luminosi sul peso fresco di clusters di colture in vitro del portinnesto MM 106.
Peso secco
La % di sostanza secca mostrava un andamento inversamente proporzionale all’aumentare della concentrazione di citochinina, sia nei controlli che nelle tesi a luci dinamiche, anche se nei cluster cresciuti sotto le luci dinamiche la % di sostanza secca appariva inferiore rispetto ai controlli (Figura 5.12).
Sostanza secca
0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 Controllo 2,5 mg/l Controllo 3,75 mg/l Controllo 5,0 mg/l Luci dinamiche 2,5 mg/l Luci dinamiche 3,75 mg/l Luci dinamiche 5,0 mg/l %Figura 5.12 - Effetto della illuminazione dinamica sulla % di sostanza secca di clusters di colture in vitro del portinnesto MM106 in presenza di una diversa concentrazione di BA
Numero e lunghezza dei germogli
L’analisi statistica del numero di germogli formato da ogni cluster ha evidenziato differenze significative alle varie concentrazioni di BA ed una differenza altamente significativa tra i valori dei diversi trattamenti luminosi (Figura 5.13). E’ risultata significativamente alta anche l’interazione tra le due variabili studiate che evidenziava un effetto negativo esercitato dalla BA a 5,0 mg/l anche per il numero di germogli neoformati (Figura 5.14); non sono state invece rilevate
variazioni significative nella lunghezza media dei germogli (dati non mostrati).
Numero medio di germogli per cluster
b a ab a b 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5 4 4,5 5 2,5 mg/l 3,75 mg/l 5,0 mg/l Controllo Luci dinamiche
Figura 5.13 – Numero di germogli per cluster del portinnesto MM106 in presenza di una diversa concentrazione di BA e diversi trattamenti luminosi.
Interazione tra le variabili concentrazione-trattamento luminoso sul numero medio di germoglio per cluster
Controllo Luci dinamiche 0 1 2 3 4 5 6 7 8 2,5 mg/l 3,75 mg/l 5,0 mg/l N ° g e rm o g li
Figura 5.14 - Effetto dell’interazione tra una diversa concentrazione di BA e diversi trattamenti luminosi sul numero