Il volume è da considerarsi quale fase iniziale del percorso di ricerca intrapreso dai do-centi e ricercatori del Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne e del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino intorno al tema Intersezioni
identitarie nelle letterature d’area francese-francofona ed inglese-anglofona tra il XX ed il XXI secolo. I cinque contributi qui raccolti sono l’espressione di un’indagine
compara-tistica e critico-letteraria volta allo studio dei possibili intrecci identitari che si delineano sullo sfondo del Mediterraneo, e del contesto asiatico, e che di lì si ramificano negli altri continenti, evolvendosi nello scambio interculturale all’interno delle aree francofone ed anglofone tra il XX ed il XXI secolo. In particolare, oggetto di analisi sono alcune fasi ed alcuni momenti problematici della Storia (il periodo fascista, la Seconda Guerra Mondiale, la Guerra d’Algeria, l’esilio e le migrazioni dai paesi post-coloniali) che si riflettono nelle opere letterarie, luoghi di confronto e di elaborazione delle differenti identità culturali e multietniche. I saggi sono suddivisi in due sezioni: “Il contesto europeo ed extra-europeo” ed “Il versante franco-italiano”.
13,00
E ISBN 978 88 99312763
Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne
dell’Università degli Studi di Torino
Metamorfosi culturali
nell’età presente
e contemporanea
a cura di Pierangela Adinolfi
Università degli Studi di Torino
Nuova Trauben
Metamor
fosi culturali nell’età pr
esente e contemporanea
Nuo
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rauben
Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne
dell’Università degli Studi di Torino
Strumenti letterari
10
Comitato scientifico
Paolo Bertinetti, Nadia Caprioglio, Giancarlo Depretis,
Mariagrazia Margarito, Riccardo Morello, Mariangela Mosca Bonsignore, Francesco Panero
Metamorfosi culturali
nell’età presente e contemporanea
Volume pubblicato con il contributo
del Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Torino
In copertina:
“Persone in cammino nel deserto del Sahara” [Merzouga, Marocco, 2009] (foto Pier Paolo Piciucco)
© 2020 Nuova Trauben editrice via della Rocca, 33 – 10123 Torino www.nuovatrauben.it
I
NDICEPrefazione di PIERANGELA ADINOLFI 7
Il contesto europeo ed extra-europeo
PIERANGELA ADINOLFI
“Absurde” e “Bonheur”: sul cammino della libertà
da Albert Camus a Kamel Daoud 15
MIRIAM BEGLIUOMINI
“Ici et là-bas, ce n’était pas possible”. Deterritorializzazione e resilienza
in Tu n’habiteras jamais Paris di Omar Benlaâla 36
PIER PAOLO PICIUCCO
When Fundamentalists Return to the Orient: an Analysis of Michael Ondaatje’s
The English Patient and Mohsin Hamid’s The Reluctant Fundamentalist 49
Versante franco-italiano
CRISTINA TRINCHERO
Jean Luchaire e Leo Ferrero: un sodalizio franco-italiano
per un’identità culturale europea nell’età dei nazionalismi 71
ROBERTA SAPINO
“Toute votre science n’y pourra rien”. Regards sur l’histoire italienne
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UN SODALIZIO FRANCO
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IDENTITÀ CULTURALE EUROPEA
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ETÀ DEI NAZIONALISMI
Cristina Trinchero
Je il y aura forcément autant de je que de lui dans ce qui va suivre je puis
revivre, avec une précision surprenante, l’instant auquel je pris, pour la première fois, contact personnel avec Leo Ferrero. Cela se passait à Florence, en juin 1916. Deux mois auparavant, j’avais fondé, avec quelques amis français et italiens, une association de jeunesse (la première! depuis…) destinée, en pleine guerre, à organiser la collaboration morale, intellectuelle et politique des nouvelles générations des deux pays. Pour présider la “branche” italienne, on m’avait désigné, comme étant le plus qualifié, Leo Ferrero, que je ne
con-naissais pas. Après une brève correspondance Ferrero habitait à Turin ,
l’accord s’était fait. Et Ferrero venait s’installer à Florence.
Le jour où j’avais pris rendez-vous avec Leo Ferrero à son nouveau domicile florentin, je m’amenai plein de curiosité […].
Je restai pétrifié. Certes, je savais que Leo Ferrero n’avait pas encore fêté ses treize ans et qu’il n’avait point hérité de la grande taille de son père. Mais de là à supposer que Leo Ferrero, dont les lettres m’avaient charmé par leur style élégant, par leur pensée ferme, par leur intelligence aiguë et par leur écriture originale et mûre était une sorte de gamin, il y avait loin. En une seconde j’imaginai la surprise inévitable des “collègues” de Leo Ferrero, tous étudiants d’université fiers de leur importance en découvrant “leur Président” dans la
personne de cet enfant1.
Questo è quanto scrive Jean Luchaire nel rievocare i primi contatti e il primo incontro con Leo Ferrero2, quando uno dinamico rampollo di una
1 JEAN LUCHAIRE, Leo Ferrero est mort, in “Notre Temps”, 10 septembre 1933.
2 Sul profilo di Leo Ferrero, ci permettiamo di rinviare alla nostra recente monografia Leo
Ferrero, “torinese di Parigi”. Un intellettuale tra Italia e Francia in età fascista, Fano (PS), Aras
Edizioni, 2020, e alla sua bibliografia finale, dove si intende fare il punto sugli studi dedicati all’autore e al suo tempo, oltre a offrire il regesto degli articoli per la stampa periodica pubblicati da Ferrero in Italia e all’estero (se ne esclude il corpus di contributi per la stampa proposti postumi dai genitori a mano a mano che emergevano dal riordino
Cristina Trinchero
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colta famiglia francese nato a Siena viveva a Firenze e l’altro, più giovane di due anni, abitava ancora a Torino ma si accingeva a trasferirsi con geni-tori e sorella nella città toscana. A un’età dove anche due anni fanno la differenza nel fisico, nella maturità e nelle frequentazioni, quando fa co-noscenza con Leo Jean trabocca di iniziative, fra cui la confezione quasi artigianale, a diffusione inevitabilmente circoscritta, di un esperimento giornalistico binazionale3: sta aggregando un gruppo di studenti
promet-tenti nell’Association franco-italienne de la jeunesse e vi coinvolge il gio-vane Ferrero, segnalatogli da suo padre, il quale con il padre di Leo andava gestendo ben due riviste internazionali.
Sembrano aver avuto inizio così, un poco per caso e quale riflesso della collaborazione tra i genitori, un’amicizia e un sodalizio professionale intrec-ciati nella quotidianità e destinati a durare nel tempo, snodandosi tra Italia e Francia, tra Parigi e Firenze, con sviluppi ramificati nei due paesi, tra progetti temerari, giornali a tiratura limitata, periodici solidamente collocati nel pa-norama internazionale, entusiasmi giovanili e disincanti dell’età adulta.
delle carte di Leo, insieme a saggi e appunti inediti). Su Jean Luchaire esistono due tesi. Quella di GERALDINE LILLIAN ALDEN, The road to collaboration: the life and times of Jean Luchaire, Ph. D. dissertation in History, University of California, Los Angeles, 1998, e
quella di JEAN-RENÉ MAILLOT, Jean Luchaire et la revue Notre Temps (1927-1940), Thèse de
l’Université de Lorraine, site de Metz en histoire contemporaine, École doctorale Perspectives interculturelles: Écrits, médias, espaces, sociétés, sous la direction de O. Dard, Professeur en Histoire contemporaine, Centre Régional Universitaire Lorrain d’Histoire (CRULH), année universitaire 2012-2013. Quest’ultima è alla base della mo-nografia dello stesso Maillot, Jean Luchaire et La Revue Notre Temps, 1927-1940, Bern, Peter Lang, 2013. Interessante, per alcuni scorci sulle vicende di Jean e Leo, è la tesi di laurea magistrale di CLAUDIA TERILLI, Giovani e politica tra Grande guerra e dopoguerra: la Lega latina della gioventù, relatore Roberto Bianchi, Università di Firenze, a. a. 2016-2017.
Importanti, per comprendere il retroterra culturale su cui si muovono i giovani Luchaire e Ferrero, sono gli studi che si addentrano nel sodalizio tra i rispetti padri Julien e Guglielmo: il contributo di SALVO MASTELLONE, La rivista “France-Italie” (1913-1924) e la corrispondenza
Ferrero-Luchaire, in “Il Pensiero Politico”, 1° gennaio 1978, pp. 58-69, e, più di recente,
l’indagine di MONICA PACINI, La diplomazia culturale di Luchaire nella Firenze di primo Novecento, in “Storicamente. Laboratorio di Storia”, n. 14, 2018 (dossier: Le relazioni culturali e intellettuali
tra Italia e Francia dalla Grande Guerra al Fascismo, a cura di CATERINA ZANFI), pp. 1-28.
3 Lo ricorda Jean Luchaire stesso nel saggio (anonimo, ma a lui attribuito), che ha scritto per l’Hommage à Léo Ferrero, rendu par G. Barrelle, G. Bauër, J.-J. Bernard, A. Clarté, L. Gillet, J. Guéritat, J. Luchaire, L. Pitoëff, S. Ratel; suivi de Un inédit de Léo Ferrero: Adieu à
Rome; un portrait de Léo Ferrero par Giovanni Costetti; et du compte rendu des cérémonies
d’avril 1938 à Montargis, au Théâtre des Mathurins, au Pen Club de Paris, à Montélimar et à l’abbaye de Pontigny, Paris, R. Debresse (“Collection Psyché-Soma. Extrait du 4e cahier de Psyché-Soma”), 1938, pp. 41-42.
Jean Luchaire e Leo Ferrero: un sodalizio franco-italiano per un’identità culturale europea
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Nato nel 1901 a Siena, Jean Luchaire è figlio di Julien (1876-1962), uomo di lettere e docente universitario, specialista di letteratura e civiltà italiana, autore di studi di storia delle idee e dei costumi, attivo mediatore della cul-tura del suo paese in Italia al punto di ideare e fondare nel 1918 l’Institut Français di Firenze, il primo istituto culturale francese nel mondo, che dirige fino al 1920; in precedenza, ha lavorato come mentor alla École française di Roma (1898-1899), come maître de conférences alla Faculté des Lettres di Lione (1900-1905) e come professore di lingua e letteratura italiana all’Università de Grenoble. Inspecteur général de l’Instruction Publique incaricato di mo-nitorare il lavoro degli insegnanti francesi all’estero, esperto per conto della Commission internationale de coopération intellectuelle presso la Società delle Nazioni in stretta relazione con il presidente Henri Bergson, nel 1925 Julien assume persino la direzione dell’Institut international de coopération intellectuelle, organismo da cui sarebbe derivata l’UNESCO4. Un profilo
poliedrico, il suo, in cui gli interessi nelle discipline umanistiche si saldano con una sensibilità socio-politica che gli consente di prestare servizio in or-ganismi sovranazionali, incidendo, con il suo esempio, sulla formazione e sugli orientamenti del figlio.
Nato nel 1903 a Torino, Leo Ferrero è figlio di Guglielmo (1871-1942), storico positivista operativo nelle frange del radicalismo repubblicano, brillante giornalista (fra le sue iniziative si conta la direzione della “Rivista delle Nazioni Latine”, 1916-1919, e dell’effimero periodico “France-Ita-lie”, 1913-1914). Allievo e assistente di Cesare Lombroso, è ricordato per pubblicazioni che incontrano un apprezzamento in Europa e negli Stati Uniti che lo porta nei maggiori atenei esteri come conferenziere ospite, fino a quanto l’Università e l’Institut universitaire de Hautes Études Inter-nationales di Ginevra, durante gli anni del suo esilio volontario in Sviz-zera5, gli affida una cattedra di Storia contemporanea. La madre di Leo è
Gina Lombroso (1872-1944), donna eclettica, laureata in Lettere e Filoso-fia e in Medicina e Chirurgia, che fonde un’anima di umanista con quella di scienziata positivista; che studia, pubblica, si impegna per la causa fem-minile, ma che è soprattutto il braccio destro del padre Cesare nelle sue ricerche in antropologia e criminologia. Da Torino, nel 1916 i
Ferrero-4 Tra il 1932 e il 1937 insegna inoltre alla École pratique des Hautes Études, continuando anche la carriera di scrittore, soprattutto di opere teatrali.
5 NELLY VALSANGIACOMO, Nel tempo svizzero di Guglielmo Ferrero, in “Aspetti del realismo politico italiano”, settembre 2013, pp. 373-405.
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Lombroso decidono di traslocare a Firenze, dapprima in un quartiere cen-trale, inquilini della casa di viale Machiavelli del musicista Alberto Fran-chetti, aprendo la loro abitazione a scrittori, pensatori, studiosi italiani e stranieri di passaggio nella città. Nella seconda metà degli anni Venti, quando le maglie del Regime si fanno più strette, si spostano nell’appartata campagna di Contrada di Chianti, nell’agreste tenuta de L’Ulivello che nel frattempo hanno acquistato per il tempo della villeggiatura. Lì è possibile muoversi con maggior agio, senza temere troppa sorveglianza: un buen
re-tiro che favorisce le giornate studiose di tutta la famiglia e una certa
prote-zione, perché l’antifascismo di Guglielmo lo va rendendo progressiva-mente inviso a censura, istituzioni, ambienti intellettuali, persino alle reda-zioni dei numerosi giornali su cui scrive da lunghi anni.
Cresciuto in un entourage domestico oltremodo dotto, concluso il per-corso universitario con una tesi di Storia dell’estetica su Leonardo destinata a venire pubblicata in Francia più tardi (poi tradotta in Italia) con il placet e la prefazione nientemeno che di Paul Valéry6, a Firenze, Leo che annovera
tra le sue frequentazioni i fratelli Carlo e Nello Rosselli e le migliori intelli-genze del tempo figura tra i fondatori della rivista “Solaria”, nel 1926, insieme ad Alberto Carocci, Giansiro Ferrata, Arturo Loria e Nino Frank. Per tutta la vita sarà di quella rigogliosa rivista una delle anime più attive, anche quando lascerà l’Italia e quando avrà quasi da scontrarsi con il diret-tore Carocci, rimproverandogli eccessivo riservo nell’accogliere articoli su autori che potrebbero suscitare insofferenza da parte della censura e mal sopportandone i tentennamenti deferenti alle ingerenze di un sistema cre-scentemente impermeabile a tutto quanto “straniero”.
L’incontro tra Jean e Leo, che in prima battuta avviene dunque a distanza e in forma epistolare, è reso possibile grazie ai rispettivi genitori, che al tempo lavoravano fianco a fianco nella gestione della “Revue des Nations Latines”, fondata nel maggio 1916, stampata a Firenze e a Parigi, orientata a un richiamo alla comune latinità nell’ottica di un’azione politico-culturale cui Italia e Francia avrebbero dovuto concorrere insieme, in nome e in di-fesa di una condivisa tradizione di culture. Si tratta di due profili diversi ep-pure complementari, quelli di Jean e di Leo: sodali e solidali, mai perdono i
6 Léonard de Vinci ou l’œuvre d’art, précédé d’une étude: Léonard et les Philosophes de P. Valéry, Paris, Kra, 1929; Leonardo o dell’arte, con prefazione di P. Valéry, Torino, Buratti, 1929;
Leonardo o dell’arte, con prefazione di P. Valéry, Lugano-Genève, Nuove Edizioni Capolago,
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contatti, nemmeno quando contingenze politiche, scelte ideologiche e prio-rità personali li portano giocoforza a diradare la loro frequentazione, a in-traprendere esperienze differenti, a tentare strade nuove.
Jean dimostra un temperamento da leader, è più maturo pur se dav-vero di poco ed esperto, ha un’indole riflessiva e metodica, è più intel-lettuale che artista, più saggista che poeta, più razionale che creativo, grande lavoratore ambizioso molto legato alla famiglia. Instancabile e ipe-rattivo, mai pago dei propri risultati, gli manca il tempo per fare tutto: “Insomma, non avrei luogo di essere scontento. Ho una posizione sociale e politica unica per la mia età. Guadagno molto per la mia età come uomo che vive da solo con la propria penna ma poco relativamente alle innumerevoli spese domestiche… E non sono contento, perché non ho più il tempo di leggere e di studiare. Scrivo scrivo e scrivo. E non ne posso più!”, confida a Leo a inizio 1924, ponendosi sempre come “il vecchio Jean”, quasi a ricordare il proprio ruolo di “fratello maggiore”7.
Leo è diverso: più creativo che riflessivo, sebbene parte della sua pro-duzione annoveri una poderosa – a maggior ragione considerando la gio-vane età in cui se ne è occupato – trattazione saggistica che intreccia, in libri e articoli, competenze in storiografia, antropologia, economia, oltre che nelle belle lettere, non senza un approccio da uomo di scienze di im-postazione positivista. È un giovane di belle speranze, smanioso ed entu-siasta, sagace e intuitivo, gioioso e ombroso, studioso e viveur, epicureo e smaliziato, poeta sensibile e lettore criticamente perspicace, che sa ben adoperare la penna per argomentare e affascinare pubblico, critica e me-cenati. L’amalgama della formazione e delle attività del padre, della madre e del nonno materno istruisce e ispira un uomo di cultura davvero a tutto-tondo.
Jean coordina e propone, chiede e si confronta, dispone e organizza. Leo è l’amico fidato, l’interlocutore sempre disponibile, la voce con cui dialogare, un crogiolo di idee, un dinamico cercatore di contatti, libri, pro-fili letterari e intellettuali da scoprire e far scoprire.
Maturato dunque nel milieu della fiorentina “Solaria” e nella cerchia go-bettiana torinese riunita attorno a “Il Baretti”, Leo appare un intellettuale e uno scrittore in prosa, in versi, per il palcoscenico capace di fondere le anime di questi due ambienti peraltro tangenti. Jean beneficia di un
7 Si cita dal Fondo Leo Ferrero conservato a Fiesole (Firenze), presso la Fondazione Primo Conti. Centro di Documentazione sulle Avanguardie Storiche [d’ora in poi FPC], FC/LF C. 859-867, CAM A.
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analogo spirito impressogli dal padre e agisce al pari di Leo nella formula-zione del sogno di una costruformula-zione – o forse piuttosto di un riconosci-mento – di un’identità culturale europea, che per esprimersi non può esi-mersi dal passare per le belle lettere e le arti.
Collante del loro sodalizio è giustappunto la cultura letteraria, con dira-mazioni nelle arti figurative e nel teatro, quale veicolo di civiltà e terreno dove anime, origini, retroterra linguistico-culturali differenti possono incon-trarsi, interagire, perfezionarsi in nome di valori universalmente condivisi, con un concorso all’evoluzione della civiltà che deve prima di tutto passare attraverso il pensiero e la sensibilità, le cui corde devono essere toccate dalla creazione in poesia e nelle narrazioni, oltre che dalla logica dei ragionamenti. L’ambiente familiare li ha abituati al confronto con il paese geograficamente e culturalmente vicino, con il pensiero e le espressioni artistiche della na-zione più prossima: la Francia, per i Ferrero-Lombroso, l’Italia, per i Luchaire
due civiltà che, nei secoli, nel loro reciproco apporto, hanno sempre sug-gerito i valori di riferimento, più necessari che mai quando crescono e in-ventano il futuro questi due giovani nati con il secolo nuovo. Sullo sfondo della loro adolescenza e giovinezza si stagliano a ritmo incalzante accadi-menti che rovesciano il mondo e sconvolgono le coscienze, portando in superficie una dopo l’altra questioni pressanti: dagli anni del trauma e della ricostruzione successivi alla Grande Guerra fino al precipitare della Storia, sul declinare degli anni Venti, nell’ossessione degli “-ismi” identitari, si rende urgente il richiamo all’apertura all’“altro”, ai principi di uguaglianza, di ri-spetto alla libertà, prima di tutto.
Che di spirito europeista si possa parlare per l’uno e per l’altro, è quindi cosa vera: purtuttavia le posizioni di ciascuno debbono essere lette nell’effet-tiva loro maniera di intendere l’europeismo, in ispecie quando ne fanno la bandiera delle generazioni nuove cui i loro scritti si rivolgono con insistenza. L’europeismo “solariano” in cui si muove Ferrero come è stato fatto osser-vare si profila, nel contesto non agevole in cui viene dato vita a “Solaria”, ma già anche al momento in cui si mandano in stampa i pochi fascicoli de “Il Baretti”, sullo scenario di un’Italia convertita in un regime che tutt’altro è fuor-ché europeista. Quella di “Solaria” è però innanzitutto una francofilia, da in-terpretarsi in termini di disponibilità auspicata per le menti italiane, in ambito artistico, letterario e teatrale, ad accogliere i modelli di innovazione transal-pini8. Europa significa essenzialmente Francia e Francia significa Parigi,
me-tropoli che si è imposta indiscussamente come il cuore pulsante del vecchio
8 Cfr. GIULIANO MANACORDA, Introduzione a Lettere a Solaria, a cura di ID., Roma, Editori Riuniti, 1979, pp. XXXV-XXXVI. Discute in maniera dettagliata la questione, con ampie
Jean Luchaire e Leo Ferrero: un sodalizio franco-italiano per un’identità culturale europea
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continente, al crocevia di incontri e passaggi che negli anni Venti e Trenta si arricchiscono di esponenti delle lettere, dell’arte e della musica provenienti dagli Stati Uniti e portatori di ondate di ispirazioni inedite. In effetti, recen-sioni e commenti, estratti di libri nuovi e brevi traduzioni proposti da “Sola-ria” concernono in percentuale massima scrittori francesi, mentre minore spa-zio viene dedicato ad autori del resto d’Europa. La Francia rappresenta quindi, dal momento dell’affermazione dei principi di eguaglianza, di libertà e di fraternità, il punto da cui partire per far rinascere l’Italia stessa, riprenderne la più alta tradizione per crearne di nuove, adeguate ai tempi. E la monografia di Leo adulto, Paris, dernier modèle de l’Occident, pubblicata da Rieder nel 1932, riprende le fila, secondo prospettive allargate, di discorsi decennali e più, as-segnando alla cosmopolita Parigi e alla Francia in generale un ruolo fonda-mentale nella congiuntura, quello di modello da assumere per rinascere, in-nanzitutto sul piano civile: nella generale crisi delle élite culturali, agli occhi di Ferrero soltanto quella parigina sarebbe stata capace di salvarsi, avendo sa-puto mantenere il fuoco del senso morale, vera essenza della civiltà, vivo da secoli e perpetuando nel tempo le proprie fattezze di paese paradigma della libertà.
Così, l’europeismo di Leo Ferrero (talora magnificato un poco oltre ma-niera nel processo di celebrazione quasi agiografica, ancorché legittima e preziosa per farne conoscere le interessanti pagine, intrapreso dai familiari nell’editarne inediti e diffonderli) non deve essere interpretato come un ap-pello a una vera e propria, multiforme, “cultura europea” da recuperare nelle effettive comuni radici e matrici mediterranee, greco-latine, giudaico-cri-stiane, rintracciando origini, filiazioni, sviluppi di un profilo identitario ca-pace di accomunare, in tutto un continente molto diversificato al suo in-terno, popoli parecchio dissimili tra loro. Questo è quanto argomenta invece il suo maestro Paul Valéry nelle sue penetranti Variétés, riunite nel 1924,
citazioni dal carteggio Carocci/Ferrero trascritto nel volume LEO FERRERO, Il muro trasparente. Scritti di poesia, di prosa e di teatro [a cura di M. Scotti, con due ricordi di Aldo
Garosci e Nina Ferrero Raditza, e due carteggi con Jean-Jacques Bernard e Alberto Carocci, Milano, Scheiwiller, 1984 (“Quaderni della Fondazione Primo Conti”)], GLORIA
MANGHETTI, nel suo saggio Appunti per l’Europeismo solariano e oltre, pubblicato nel volume
Le riviste dell’Europa letteraria, a cura di MASSIMO RIZZANTE e CARLA GUBERT, Trento, Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche (“Labirinti Collana del Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche”), 2002, pp. 187-200. Si veda anche Antologia di “Solaria”, a cura di ENZO SICILIANO, Milano, C. M. Lerici, 1958.
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1930, 1936, 1938, 19449. L’europeismo di Ferrero significa invece
essenzial-mente opporsi alle pose nazionaliste, contrastando localismi e provinciali-smi, in nome di una disponibilità mentale a leggere, esplorare, confrontarsi con altre realtà per l’arricchimento personale e reciproco; esprime soprat-tutto, all’atto pratico, quando si considera l’effettivo suo concreto intervento per tramite della scrittura, risvegliare il plurisecolare, inevitabile per colloca-zione geografica e vicende storiche, dialogo tra Italia e Francia, impostato da sempre secondo una circolazione dinamica di uomini e di idee, di testi e di esperienze estetiche, di pensieri e di poetiche. La vitalità effervescente riscontrata nella Parigi dei primi anni Venti e vissuta intensamente dal 1929 al 1932 non può che provocare in Ferrero reazioni di insofferenza e ram-marico nel notare la fatica necessaria nel suo Paese quantunque in anni ancora non troppo sospetti a risvegliare gli animi, scuotere dalle polveri del passato, affrancare da stilemi e canoni, infondendo linfa culturale nuova a una nazione che troppo si mostrava ancorata all’eredità ottocentesca e ai particolarismi tutto questo sebbene il “ritardo” italiano, legittimamente deplorato dalle menti più agili di quegli anni, contasse felici casi di corag-gioso vigore a Torino, a Milano, a Firenze, a Roma e nella mitteleuropea Trieste, tra riviste, salotti, cenacoli, teatri e opere di singoli intelletti. Va da sé, allora, che per Carocci e i suoi soci la figura energica e spavalda di Leo, unite alla sua esuberante capacità di tessere relazioni e individuare talenti, rappresentano un canale privilegiato per avvicinare i lettori di “Solaria” alla cultura francese, per tramite della quale dopo sarebbe stato possibile guar-dare al resto dell’Europa e forse ad altri continenti. Una “Solaria” che si voleva “più armata nei problemi europei”, per dirla con Giansiro Ferrata. Vivendo con entusiasmo questo ruolo, Leo si dà a recensire sulla pubblica-zione fiorentina autori francesi e nel contempo, una volta a Parigi, cerca di far convergere l’attenzione dei milieu letterari transalpini verso l’esperienza giornalistica di cui è tra i promotori, convinto che recensire le opere di quegli scrittori che erano nel contempo i principali redattori del periodico, oltre a presentare il gruppo e l’impostazione della rivista stessa, potesse portarla alla ribalta, edificando collaborazioni tra pari e ravvivandone le idee.
Sta di fatto, comunque, che “Solaria” ospita un articolo di Ferrero che è diventato a tutti gli effetti un manifesto, non solo un’esortazione e un’ar-gomentazione: Perché l’Italia abbia una letteratura europea è forse uno degli
9 Si veda, in merito, il breve ma denso contributo di CLAUDIA FELEPPA L’europeismo di
Leo Ferrero. Centenario di Leo Ferrero 1903-1933, in “Caffè Michelangiolo, rivista di
Jean Luchaire e Leo Ferrero: un sodalizio franco-italiano per un’identità culturale europea
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scritti più intensi e importanti nella sua carriera, dove l’essere europeo si-gnifica saper superare ogni limite che chiude e reprime, darsi principi mo-rali, contribuire al progresso della civiltà, attribuendo a chi scrive, pubblica e si fa leggere un ruolo etico, il compito di educare gli spiriti. Queste righe, pubblicate nel gennaio 1928, ispirate a ripetute polemiche tra Strapaese e Stracittà in una deplorazione dell’arretratezza e della lentezza italiana nello stare al passo con l’avanzamento inesorabile delle espressioni della cultura, danno in realtà voce a un monito contro le derive di chiusura cultural-mente autarchica e contro la retorica nazionalista del Fascismo in fase di affermazione, dalle quali derivano pose ostili, atteggiamenti bellicisti e un’implosione di un paese su di sé10. L’appello solariano a uno “stile
euro-peo” riecheggia i richiami a un senso morale e civile che deve pervadere la cultura, esposti da “Il Baretti”, sulle cui colonne Ferrero ha pubblicato quattro articoli, di cui due davvero esemplari, ergendosi peraltro anche in quella sede quale alfiere della letteratura e del teatro francesi11.
Europei-smo, dunque, da intendersi come atteggiamento opposto al fascismo: un antifascismo che è prima di tutto culturale, civile, etico, che politico. Eu-ropeismo come libertà e apertura che rendono possibile lo sviluppo del senso morale e della capacità di provare “sentimento”. Così si legge in
Désespoirs, raccolta di prose poetiche, preghiere e pensieri, in un breve,
tri-ste commento che dice tutto:
Les nazis, les fascistes, les communistes, les nationalistes sont également inhumains: ils s’efforcent de supprimer en eux-mêmes tout sentiment humain. Il n’est pas étonnant que le choc entre ces partis soit en train de détruire
l’Occident car ils nous promettent tous un régime idéal pour l’avenir, mais
10 Sempre di Gloria Manghetti è l’articolo che approfondisce la sua già citata indagine critica su “Solaria”, dedicato a Di “Solaria”, di Leo Ferrero e del progetto di una letteratura
europea, in “Antologia Vieusseux”, nuova serie, a. XVI, nn. 46-47, gennaio-agosto 2020,
pp. 113-126. Molto interessanti i rimandi alle testimonianze dei contemporanei di Leo. 11 Piero Gobetti pubblica di Leo Ferrero, su “Il Baretti”, Il muro trasparente (Studio su J.-J.
Bernard e Paul Géraldy), II, n. 2, 1° febbraio 1925, p. 10; Elogio delle formule (Studio su Tilgher e F. M. Martini), II, n. 12, 1 agosto 1925, pp. 51-52; Il Teatro, II, nn. 6-7, aprile 1925, p. 30; Dialogo sul progresso, IV, nn. 11-12, novembre-dicembre 1927, p. 60. Il primo e il terzo
contributo si vogliono panorami critici sulla letteratura francese coeva, in ispecie il teatro e il romanzo, con acute comparazioni con autori italiani, e con l’individuazione di tendenze e poetiche coltivate da un nugolo di minores sconosciuti o quasi in Italia, particolarmente per quanto attiene all’arte drammatica, eppure capaci di imprimere svolte nei percorsi del teatro transalpino tra le due guerre.
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ils nous offrent l’enfer pour aujourd’hui. Je ne crois pas au succès final d’un
mouvement délibérément inhumain. L’inhumanité reste12.
Le corrispondenze e le affinità elettive tra l’ambiente di “Solaria” (che Elio Vittorini avrebbe etichettato con la formula “antifascista, europeista, universalista, antitradizionalista”13) da una parte e, dall’altra, le imprese
edi-toriali e giornalistiche di Piero Gobetti, si ritrovano in un fortunato intrec-cio di coinvolgimenti personali diretti nella figura di Leo Ferrero, che ha modo di frequentare entrambi gli ambienti e di scrivere su entrambi i fogli. Quale migliore definizione si potrebbe dare allora a Ferrero, se non quella pronunciata da Eugenio Montale nel commentare la pubblicazione, po-stuma, nel 1946, per i tipi del torinese Chiantore, del suo Diario di un
fuo-riuscito sotto il Fascismo?: “Antifascista di lusso, europeista per istinto e per
tradizione, eppure italiano di buon ceppo, ideologo e concreto, sospeso tra la vita e il sogno ma attaccatissimo alle balze e alle crete che circondano la sua bella casa paterna”14. Elogiativo ma realistico, questo ritratto
con-densa in poche righe uno spirito originale cui molto si deve, ma anche un soggetto che riesce tutto sommato ad agire in un’epoca così ardua in con-dizioni quasi “privilegiate”, che gli consentono di non patire troppo un contesto dove molti altri pagano caro un impegno concreto ed esplicito, con maggior venature politiche e con prese di posizione manifeste.
Un analogo europeismo che passa per una francofila sinonimo di indivi-duazione nella cultura francese del riferimento primo cui rifarsi anima il gio-vane Jean Luchaire sin dal suo primo esperimento giornalistico, il citato gior-naletto “Les Jeunes Auteurs. Revue mensuelle franco-italienne”, una piccola pubblicazione periodica dilettantesca agli inizi, nondimeno dalle vedute già lunghe e capace di preannunciare evoluzioni della società ragguardevoli che sarebbero venute di lì a breve tempo. Il foglio elaborato in ambiente studen-tesco, semplice dattiloscritto fino al 1915, poi anche stampato e illustrato (ma da subito suddiviso in una “parte italiana” e in una “parte francese” auto-nome, non una la semplice traduzione dell’altra), si converte dall’agosto 1918 nella più strutturata e ambiziosa “Vita Latina. Organe de ‘La Ligue Latine de la Jeunesse’ Organo della ‘Lega Latina della Gioventù’”, che conservando tra tonde la dicitura “Les Jeunes Auteurs” per ricordarne le origini definisce
12 LEO FERRERO, Désespoirs, Paris, Rieder, 1937, pp. 225-226.
13 ELIO VITTORINI, Diario in pubblico, Milano, Bompiani, 1976, pp. 192-193.
14 EUGENIO MONTALE, Diario di un privilegiato sospeso tra la vita e il sogno, in “Nuovo Corriere della Sera”, 30 luglio 1946, p. 3. Ricorda questo medaglione la già citata Manghetti nell’articolo per l’“Antologia Vieusseux”.
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meglio perimetro d’azione e obiettivi sin dal titolo, spostandosi dalle sole re-lazioni franco-italiane / italo-francesi de “Les Jeunes Auteurs”, frutto spon-taneo della coscienza “binazionale” di Jean, nell’orbita di quella più ampia la-tinità in cui già agiscono i riferimenti genitoriali, Guglielmo Ferrero e Julien Luchaire, e sottolineando la determinazione a rivolgersi ai giovani in uno slan-cio costruttivo verso il futuro. Direttore è Jean Luchaire, affiancato, nel ruolo di caporedattori, da Leo Ferrero e Gabriel E. Monod-Herzen. Il foglio cambia ancora, quando Jean è ormai a Parigi, in “Vita. Nouvelle série”, esperienza effimera avviata con forti entusiasmi eppure circoscritta al solo anno 1924. Una nuova prova, che pur tuttavia risulta importante perché forma la testa di ponte tra le iniziative entusiaste, ben coordinate ciònonostante ancora ama-toriali, della primissima gioventù fiorentina, e la matura, articolata diffusione di un periodico autorevole come “Notre Temps” nella seconda metà degli anni Venti. Intanto, per gli studi universitari Jean vive diviso tra Firenze e Parigi, dove viene assunto al Ministero “de l’Instruction Publique et des Beaux-Arts”, senza abbandonare un istante il giornalismo, proseguendo la sua piccola impresa editoriale (“Lavoro come un cane tra Ministero e giornali-smo”, racconta in una lettera del 10 agosto 1920) e coltivando un fitto scam-bio epistolare con Leo, il quale funge da “antenna” italiana a Firenze come attesta la loro corrispondenza, dove aneddoti e facezie della vita quotidiana si alternano a programmazioni serrate, sollecitazioni da parte di Jean, aggiorna-menti e intenzioni:
Caro Leo,
sono stato malato a lungo e quindi non potevo scrivere. Spero che oggi questa mia ti raggiungerà sui lidi ignoti ove fai la conquista di tutte le signorine del luogo (v. Jole!). Quando tornerò, verso il 20 ottobre avrò mille cose da dirti. Il n. 3 di “Vita”, con la tua novella, esce ora. Il n. 4, con l’articolone di Pavolini, lo sto preparando qui. Ma mancano quattrini e articoli italiani, ho sempre il Verga che vorrei far passare nel n. 5. Intanto mandami qualche articolo o preparami un’altra novella tipo “Cosa fatta…!”, ma più corta! Scrivimi un po’, ti risponderò, gli esami scritti gli [sic!] ho passati. Ho gli orali a ottobre. Ma è una storia buffa che ti racconterò come pure le mie avventure parigine!
Mille affettuosi saluti, Jean15
Instancabile al pari dell’amico, Jean si impone negli ambienti colti di Parigi, come racconta in una lunga lettera redatta su carta intestata di “Le Matin”, cui collaborava allora, oltre che a “L’Ère nouvelle”; annuncia a
15 FPC, Corrispondenza a Leo Ferrero, Cartolina di Jean Luchaire inviata a Leo Ferrero da Parigi, s. d. [ma con timbro postale “31-8”].
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Leo la ripresa di “Vita”16: “Sì, proprio, “Vita” rivede la luce tra quattro o
cinque giorni. Te la manderò subito”17. Il primo quaderno della nuova
“Vita”, di formato in-8°, con base ormai francese, viene infatti messo in circolazione nel gennaio 1924 e conta alla guida Jean Luchaire, “directeur politique” e Claude Aveline, “directeur littéraire”, attorno ai quali agisce Jacques Nels nel ruolo di redattore-capo, a coordinare i redattori della prima “Vita”, divenuti ormai studiosi e scrittori affermati: lo storico Ber-trand de Jouvenel, fondatore del movimento dei “Futuribles”, il giornalista pacifista Pierre Paraf, il romanziere Paul Vialar e l’amico di vecchia data Gabriel Monod-Herzen. La nuova veste editoriale di questo rilancio in-triso di illusioni prevede un maggiore equilibrio tra contributi di argo-mento politico e articoli di soggetto letterario; quest’ultima unità è curata da Aveline, editore d’arte e scrittore. Ferrero figura tra i collaboratori e Jean da subito auspica una sua partecipazione attiva:
E ti prego di esserne assiduo collaboratore, mandandomi quanto prima qualche tua strepitosa produzione, sia pur direttamente scritta in francese. […] Beninteso, ho mille progetti grandiosi in mente. Spero attuarne almeno uno.
Eppure, Leo riesce a preparare un saggio soltanto, nel quaderno del marzo 1924, firmandosi ancora “Leo Ferrero Lombroso”, come accade per i primi interventi nella pubblicistica, quando l’associazione dei due co-gnomi illustri non gli pesa ancora, né per la “scomodità” intellettuale del padre né per l’antisemitismo che investirà la parte materna della sua ascen-denza, quei Lombroso-Olivetti di sangue ebreo. Ad ogni buon conto, il
Rapport sur le théâtre italien18 che redige per “Vita” è già un bel contributo
che si ispira ai bilanci sui percorsi e sulle ricezioni presenti e futuri della letteratura e del teatro che in quegli anni si leggevano su periodici specia-listici e, in forma più succinta, sulle pagine culturali di alcuni quotidiani. Alla luce delle formulazioni sulle poetiche per un teatro riformato che esplicita su “Il Baretti” un anno dopo e in scritti sparsi riuniti più tardi nel
16 Il periodico, a tiratura limitata sia per quanto riguarda i fascicoli di avvio, negli anni della guerra, sia per quanto riguarda quelli della serie più evoluta, è oggi reperibile in poche biblioteche e in forma scompleta. Copia del contributo menzionato è conservata fra i ritagli di Ferrero nel suo archivio depositato a Fiesole e, per la nuova serie inaugurata nel 1924, alla Bibliothèque Nationale de France, dove mancano comunque alcuni fascicoli.
17 FPC, Corrispondenza a Leo Ferrero, Lettera di Jean Luchaire a Leo Ferrero inviata da Parigi “sabato 5 notte”, con timbro quasi illeggibile ma ipotizzabile come 5 gennaio 1924, giacché pochi giorni dopo sarebbe uscito il primo numero della nuova serie di “Vita”. 18 LEO FERRERO, Rapport sur le théâtre italien, in “Vita”, marzo 1924, pp. 78-81.
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volume Appunti sull’arte drammatica, questo articolo, coerente con i quadri d’insieme sulle arti che si leggono su “Vita”, è di indubbio rilievo, se si considera la precocità delle riflessioni di un Leo a malapena ventenne che legge e conosce così tanti autori, che si aggiorna sui saggi di critica, che sa individuare le evoluzioni delle poetiche del teatro in una comparazione costante tra la produzione italiana e quella transalpina19.
La fase matura della convergenza intellettuale e della collaborazione tra Jean e Leo pubblicistica si colloca però nei primi eclettici anni di vita di “Notre Temps”, che corrispondono grosso modo agli anni parigini di Leo. Insediatosi nella capitale francese dal 1929, coltivando parallelamente la scrittura di testi teatrali, di poesie e di saggi, Ferrero si immerge sulle orme paterne nei circoli del giornalismo, accumulando incarichi di collaborazione per testate diverse tra loro per impostazione e periodicità. Come critico let-terario, guarda alla contemporaneità più che alla tradizione, impegnandosi a far conoscere la letteratura recente del suo paese, senza però rinunciare a qualche incursione nella narrativa francese, inglese e americana; come per la stampa italiana, elabora riflessioni sull’arte del “cinematografo” e sui co-stumi, sempre in un’ottica di comparazione tra mentalità, abitudini, inclina-zioni, ovvero quelle che chiama le attitudes. Per tramite del padre, accede a fogli autorevoli come “Le Figaro”, “L’Écho de Paris”, “L’Européen” e “L’Europe Nouvelle”: partecipazioni estemporanee, le sue, che comunque, oltre a fornirgli proventi immediati, gli permettono di farsi conoscere. Un corpus più cospicuo e di materia puramente letteraria trova posto su “Les Nouvelles Littéraires”, tuttavia la presenza sulle colonne e dietro le quinte di “Notre Temps” si attesta come la più consistente e rilevante, paragona-bile, in zona italiana, alla sua collaborazione a “Solaria”.
“Notre Temps”, di cui Jean è il fondatore e l’anima, il direttore, coordi-natore efficiente e abile tessitore di una rete di corrispondenti sia in Parigi sia da altre sedi, sarà un periodico longevo, pur se con alcune modifiche nel
19 Lamentando il disinteresse dei suoi connazionali verso il teatro, a meno che si tratti delle tradizionali pièce destinate all’intrattenimento leggero o alle trame didascaliche di forma ottocentesca, Leo auspica una sua educazione e trasformazione che li porti ad apprezzare drammi di analisi psicologica, come quelli di Pirandello, non solo quelli d’in-trigo. L’annuncio del progetto di fondazione a Milano di un teatro d’arte, Il Convegno, diretto da Enzo Ferrieri e ispirato al modello del Théâtre du Vieux-Colombier di Jacques Copeau, lo induce a guardare con ottimismo a un futuro in cui anche nel teatro l’Italia potrà contare autori di alta caratura e un pubblico capace di apprezzare forme dell’arte moderna, adeguata ai nuovi tempi, come già avveniva oltre confine.
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tempo quanto a impostazione, collaborazioni, periodicità, perché la sua at-tività si dispiega tra il 1927 e il 1940, grazie a un’équipe in cui Jean concentra fior di intellettuali. Vi propone, a ogni uscita, articoli di argomento vario che spaziano dalla letteratura al teatro, dai panorami di insieme su poetiche e correnti artistiche a recensioni a pubblicazioni o traduzioni recenti (Lettres et
Arts e Chroniques), accompagnati da rubriche dedicate a Idées politiques, Les Livres politiques, La Politique internationale, Chroniques des jeunes équipes, Biblio-graphie, Les Nôtres, dopo qualche tempo completati dalle Recherches.
Inizial-mente concepito come mensile (dapprima esce il 20 di ogni mese, da feb-braio 1928 reca l’indicazione del mese senza un giorno specifico, quindi, un anno dopo, viene segnalato in stampa il 1° del mese), dopo poco più due anni, il 1° dicembre 1929, prende il via il numero 1 della nuova serie: Luchaire ne cambia leggermente il titolo in “Notre Temps. La revue des
nou-velles générations”20 e la periodicità, assumendo un impegno quindicinale che
implica una pubblicazione i giorni 1° e 15. Negli interventi di apertura, ano-nimi, Présentation (pp. 1-2) e Bilan de trois ans (pp. 3-4), si dà illustrazione delle ragioni della trasformazione. Jean dedica un editoriale a Les jeunes équipes et la
politique actuelle nel fascicolo successivo (pp. 41-45). Quelle “nouvelles
géné-rations” introdotte nella denominazione a fine 1929 quali destinatari primi della pubblicazione, ma pure quali redattori e collaboratori del periodico, sono precisate come “européennes” dal fascicolo n. 16, del 6 luglio 1930, secondo una piega briandista che andava prendendo il periodico e soprat-tutto il suo direttore Luchaire. In una simmetria di corrispondenze, due anni dopo in leggero ritardo anche “Solaria” si orienta verso una fisionomia che a chiare lettere insiste sull’europeismo. In primo luogo, Carocci decide di ampliare l’orizzonte e di porre la rivista come fonte per aggiornamenti in materia non solamente letteraria, bensì ora anche artistica, architettonica, cinematografica, persino economica, scientifica e financo sportiva, se-guendo le variazioni dei maggiori ebdomadari europei, via via meno specia-listici e sempre più pluridisciplinari, e dando conto così dell’avanzamento delle diverse scienze, arti e consuetudini sociali nel mondo. Ma non basta: egli giunge a concludere dell’ineludibilità di una modifica da apporre al titolo del periodico, che dovrà, se non cambiare, almeno munirsi di un sottotitolo tale da indicare con chiarezza intenzioni e prospettive. Così, balenano nella sua mente “La Rassegna Europea”, “Lo Spettatore Europeo”, “L’Euro-peo”, rammentando appunto l’epiteto di “europeisti” impiegato per identi-ficare i solariani.
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La periodicità di “Notre Temps”, intanto, muta ancora, con un carico ancor più gravoso per il suo coordinatore e i collaboratori: da fine giugno del 1930 ci si impone una cadenza settimanale. Gli argomenti affrontati mostrano un cambiamento di interessi che, appunto, dalla dimensione ar-tistico-letteraria si spostano sulle relazioni internazionali e sulla politica. Emblematico è il n. 21, uscito il 10 agosto 1930, dove ci si diffonde sulla cronaca di Une expérience de contact franco-allemand: Le Congrès du Sohlberg 27
juillet – 3 août 1930, compte rendu et exposés, uno speciale che dà conto di sei
giornate in cui intellettuali francesi e tedeschi si riuniscono per discutere del principio che sta loro maggiormente a cuore: la pace ma i toni dell’estensore del pezzo non lasciano trapelare ottimismo tale da indivi-duare nelle conclusioni della “sei giorni” un motivo di vittoria per le idee che avrebbero dovuto esserne l’ispirazione e l’obiettivo21. Il consesso di
Sohlberg ha riunito, sullo sfondo della Foresta Nera, giovani di destra estrema come di sinistra avanzata, sotto l’egida di un Otto Abetz che pensa a una federazione pacifista. Due anni dopo, l’attenzione di “Notre Temps” si concentra sul congresso annunciato per il mese di agosto a Francoforte sull’Oder, sul tema di un’Europa vagheggiata come federazione di stati in condizioni di eguaglianza.
Dall’inizio del 1932, Luchaire, insieme al redattore-capo Jacques Cha-bannes e al segretario generale Fernand Schmidt, rinnova l’organizzazione interna di “Notre Temps”, prevedendo sempre un editoriale, uno o due articoli di attualità, una rubrica su Lettres et Arts, una su L’État nouveau e una significativamente intitolata La Jeune Europe. Ma, al di là dell’apparente equilibrio tra le parti, il periodico si è fatto e si farà sempre meno letterario e sempre più politico, attento all’attualità e alle questioni internazionali. In ogni caso, nella prima uscita del 1932 si informa che dal 20 giugno 1927 al 4 gennaio 1932 la rivista ha contato sul concorso di 278 giornalisti e cor-rispondenti, francesi e stranieri, per articoli, recensioni, racconti, cronache, illustrazioni, agglutinando in pochi anni una compagine internazionale e varia di tutto rispetto, capace di riunire competenze diverse. Anche nel 1933 il periodico reca il titolo “Notre Temps. La revue des nouvelles gé-nérations européennes”, è pubblicato ogni domenica ed è ripartito in edi-toriale, tre o quattro articoli di attualità o cultura, la rubrica Lettres et Arts, dedicata a sole recensioni, L’État nouveau, con resoconti di pubblicazioni
21 Cfr., sul tema, almeno il panorama di EMMANUEL NAQUET, Éléments pour l’étude d’une
génération pacifiste dans l’entre-deux-guerres: la LAURS et le rapprochement franco-allemand (1924-1933), in “Matériaux pour l’histoire de notre temps”, n. 18, 1990. La mésentente cordiale: les relations franco-britanniques, 1945-1957, pp. 50-58.
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di argomento politico, e La Jeune Europe, con aggiornamenti sull’attualità da ogni parte d’Europa.
Leo Ferrero è presente sin dal primo numero di “Notre Temps”, uscito il 20 giugno 1927, nel ruolo di membro del Comité de direction insieme a Marcel Achard, Jean-Jacques Bernard, Guy Crouzet, Ph. Fauré-Fremiet, Steve Passeur. Dal fascicolo n. 23, datato 1° maggio 1929, il suo nome
ap-pare nel Comité littéraire, che diversifica e stabilisce i ruoli nella redazione: ne fanno sempre parte, con lui, Marcel Achard, Jean-Jacques Bernard, Guy Crouzet, Ph. Fauré-Fremiet e Steve Passeur, cui si sono aggiunti André Berge e Louis Martin-Chauffier.
Nelle annate 1927 e 1928 si notano soltanto due articoli a firma Leo Fer-rero (ancora) Lombroso, però il suo nome figura da subito nella lista dei collaboratori per restarvi fino alla morte, avvenuta nel settembre 1933. Il primo intervento, Dialogue sur la Raison d’État, nel fascicolo del 20 settembre, concerne la storia del pensiero politico italiano e analizza Macchiavelli (n. 4, pp. 125-128), immaginandolo in un dialogo con Juste Lpse strutturato come una sorta di intervista al filosofo. Il secondo, collocato nel n. 18 della se-conda annata, cioè nel dicembre 1928, è dedicato a La faillite des femmes
an-glaises (pp. 76-78) e rientra nel ventaglio dei suoi studi di costume dove mette
a confronto le realtà italiana, francese e inglese a partire da osservazioni per-sonali in questo caso risalenti al periodo trascorso a Londra, fra le quali spicca la comparazione tra i diversi ruoli assunti dalle donne in Inghilterra e in Francia. Nonostante l’Inghilterra si dimostri molto progredita sul piano dell’avanzamento civile e politico, la superiorità delle donne francesi appare indubbia perché esse detengono, silenziosamente ma incisivamente, da se-coli, un potere maggiore di quello delle donne d’Oltremanica: “Les femmes anglaises ont obtenu une puissance officielle et sociale. Les femmes fran-çaises ont la seule puissance dont une femme puisse se servir: la puissance secrète et individuelle […]. On peut même dire que la civilisation française est une civilisation féminine. Ces sont les femmes qui ont décidé des succès littéraires et des succès politiques” (p. 77).
Dalla primavera del 1929 a quella del 1930 la partecipazione di Ferrero alle vicende di “Notre Temps” si fa più intensa, con molti interventi: a Parigi si applica con fervore all’attività giornalistica soprattutto nelle vesti di critico letterario, prediligendo il ruolo di “italianista in Francia” e di promotore presso i lettori francesi di quelle opere e di quegli scrittori del suo paese che reputava degni dell’attributo di “europei” per contenuti e spirito. Il 1° mag-gio 1929 si propongono infatti di lui Arturo Loria (pp. 11-12), articolo seguito dalla traduzione in francese del racconto Le faucon del novelliere italiano suo
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collega nella squadra di “Solaria” (pp. 13-16), e due recensioni per la rubrica
Lettres et Arts nella sezione Les Lettres con Martine, roman, par Jean-Jacques Ber-nard (pp. 62-63) e nella sezione Lettres étrangères, con 24 heures de la vie d’une femme, par Stefan Zweig (pp. 67-68). Nel numero 24, datato 1° giugno 1929
(maggio-luglio 1929), dà Paris et la “Chose littéraire” (pp. 89-93) e, nella sezione
Lettres étrangères, la presentazione di “Solaria” (pp. 137-139). Per il numero
successivo, il 25, 1° luglio 1929 (mai-août 1929), prepara per Les Lettres il resoconto di L’art de vivre, par Franc-Nohain (Éd. Spès, Paris) (pp. 205-206), di Meurtre, par François Berge (p. 206), di Bernard Bardeau, par André Berge (pp. 206-207). Non escono altri suoi lavori fino al n. 29, del 1° novembre 1929, quando è riportato il suo commento, sempre per Les Lettres, su Quand Israël
aima par Pierre Paraf (pp. 178-179).
Da dicembre 1929, quando prende avvio la nuova serie, Ferrero è pre-sente soprattutto per le Lettres étrangères, con diversi articoli sulle letterature inglese e italiana, sin dal n. 1 (1° dicembre), con la presentazione di Ernst
Glaeser, Classe 22 (pp. 35-36); prosegue nel n. 2 (15 dicembre 1929), con La Bête dans la Jungle par H. James (p. 75); nel n. 3 (1° gennaio 1930), con la
sug-gestiva Promenade avec M. Borgese (p. 115); nel n. 5 (1° febbraio 1930), con la sintetica presentazione di opere di due prosatori amici e colleghi di “Sola-ria”, Alberto Carocci, Il Paradiso Perduto; Alessandro Bonsanti, La serva amorosa (p. 198); nel n. 6 (15 febbraio 1930), con Le Garden-Party par Katherine Mansfield (pp. 236-237); nel n. 9 (1° aprile 1930), con Lionello Venturi (pp. 356-357), un breve saggio non di argomento letterario, però collocato sempre nella stessa sezione della rubrica Lettres et arts, dedicato al profilo del critico e sto-rico dell’arte torinese che gli aveva chiesto di segnalare i suoi saggi in quella Francia dove di lì a non molto si sarebbe trasferito, in esilio. Nel n. 10 (15 aprile 1930) è di nuovo la volta dell’amico Loria con Arturo Loria, Fannias
Ventosca (p. 395). Per il n. 12 del 15 maggio 1930 Leo è tra le voci chiamate
in causa nello speciale su Deux générations d’après-guerre: 1830 et 1930 vues par
André Berge, Jean-Jacques Bernard, André Boll, Pierre Brossolette, Claude Bussard, Jacques Chabannes, René Dalsème, Philippe Fauré-Frémiet, Leo Ferrero, Francis Fo-rest, Gil, Robert Honnert, Jean Luchaire, Louis Maryin-Chauffier, Suzanne Normand, Pierre Paraf, Ivan Tournier, con il suo Attitudes (pp. 457-458), poco letterario e
concentrato invece su costumi e mentalità. Procede con la recensione
New-Year’s Eve nel n. 13, del 1° giugno 1930 (pp. 37-38).
La sua penna è presente nell’assestamento che enfatizza la prospettiva “eu-ropea” del giornale, intervenendo nella sezione da allora denominata La Jeune
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Europe. Lettres étrangères con un contributo conciso ma acuto su quella che
de-finisce Poésie maigre: Montale et Quasimodo, uscito nel n. 18 del 20 luglio (p. 239). Si tratta nondimeno dell’ultimo articolo importante che Ferrero scrive per “Notre Temps”. Dopo di esso, quando il periodico ha assunto un orienta-mento filotedesco (abbiamo già citato lo “speciale” del 10 agosto 1930 sull’evento di Sohlberg), Leo esce di scena come critico, ancorché il suo nome continui a figurare nel Comité littéraire. Sarà così anche per il 1931. Il n. 73 del 18 gennaio contiene un ampio “manifesto per l’Europa” e, curiosamente, la firma di Ferrero non figura. Il periodico sta facendo via via più politico e per questa ragione egli sembra volerne cautamente prendere le distanze; lo spazio riservato alla promozione dei rapporti franco-tedeschi potrebbe averlo convinto a sfilacciare la propria collaborazione. Tuttavia, nello stesso periodo egli stesso diventa oggetto del commento, apprezzabile per la valorizzazione della sua riflessione estetica, steso da Aldo Capasso, L’esthétique en Italie. Croce,
Leo Ferrero et Valéry nel n. 81 del 15 marzo 1931 (pp. 418-420), che continua
nel numero successivo, l’82, del 22 marzo (pp. 457-462), e si chiude nel n. 83 del 29 marzo (pp. 496-503), segno della considerazione di “Notre Temps” verso le sue riflessioni. Nella versione riveduta del periodico, elaborata da ini-zio 1932, Ferrero continua a comparire nel Comité littéraire con i soliti André Berge, Jean-Jacques Bernard, Pierre Bost, Philippe Fauré-Fremiet, Robert Honnert, Louis Martin-Chauffier, Steve Passeur, Jean Sarment. Inaspettata-mente, torna la sua firma a inizio 1932: ma non si tratta più di pezzi di critica letteraria inediti né di analisi di costume, bensì di cronache e osservazioni riu-nite durante e dopo il suo viaggio nel Mediterraneo occidentale. Si hanno così
La Grèce vivante, choses vues (n. 124, 10 gennaio 1932, pp. 46-47), Venizelos (n.
125, 17 gennaio, pp. 83-84), Venizelos et les Grecs (n. 126, 24 gennaio, pp. 131-132): apporti poco originali, perché Leo tratta dei medesimi argomenti in altre sedi con cui ha impostato collaborazioni di contenuto meno letterario e più orientati a indagini sulla storia delle civiltà e delle mentalità. Certamente le attività e gli interessi di Ferrero chiariscono e giustificano in parte il suo di-stacco da “Notre Temps”: dapprima si allontana da Parigi alla volta della Gre-cia, poi si concentra alacremente sull’impegnativa stesura di Paris, dernier modèle
de l’Occident, di cui infatti viene offerta da “Notre Temps” qualche
anticipa-zione nei nn. 146, del 12 giugno, e 147, del 19 giugno, con giustappunto il titolo Paris, dernier modèle de l’Occident I e II (rispettivamente pp. 61-63, pp. 112-116), a conferma del perdurare dei rapporti tra lui e Jean, testimoniati in ul-timo dalle commemorazioni che vengono dedicate a Leo, all’indomani della tragica scomparsa in un incidente d’auto mentre si trovava a Santa Fe come borsista della Fondazione Rockefeller, nel numero 211 del 10 settembre 1933: vi figurano, di Jean Luchaire, l’Éditorial. Leo Ferrero est mort (pp. 976-981) e, di
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Léon-Marie Brest, un bel cammeo dal titolo significativo, Leo Ferrero, écrivain
français (pp. 979-981) doverosi quanto sinceri spazi in ricordo dei momenti in cui i due sodali franco-italiani potevano sperare, sognare e progettare.
Che il duetto Jean-Leo non abbia mai perso i contatti, e che, quanto pos-sibile, Leo abbia provato a condividere tutti gli sviluppi di “Notre Temps”, affiancando l’amico in tutte le avventure giornalistiche che riescono a rac-cordare in ideali cenacoli “a distanza” una polifonia di esperienze d’arte e di pensiero attorno agli snodi artistico-letterari e di importanti questioni di or-dine civile, viene confermato dallo scambio epistolare tra i due. Lettere e cartoline raccontano di un Jean che interpreta l’amico come un “consu-lente” e un fine procacciatore di collaborazioni, utile altresì per rinsaldare la diffusione del foglio negli ambienti più agili che Leo sa scorgere e far fruttare con prontezza e astuzia. Coltivando da Parigi il dialogo con i critici e gli scrittori italiani lasciati a Firenze, Leo si prodiga per procurarsi appoggi di riguardo fra studiosi e uomini di lettere prestigiosi. Osa allora prendere con-tatto con Giacomo “Giacomino” Debenedetti:
Caro Giacomino, Conosci Notre Temps?
È la quinta rivista di Jean; ma è la buona. Tutti i giovani scrittori ci collaborano
– [Beauder], Thérive, Zimmer, Achard, Sarment, Fabre-Luce, Lefèvre…
Jean e io vorremmo farci collaborare i migliori scrittori italiani contemporanei. Saremmo molto contenti di pubblicare una cosa tua. Potresti mandarmela? Notre Temps è letto da tutte le persone importanti a Parigi.
Come va il romanzo? Ti ho mandato un Leonardo che è così poco crociano che mi fulminerai [...].
La rivista è tendenzialmente di sinistra; ma il comitato lettura è formato di
[più] letterati che si curano soltanto, come è noto, della bontà dei testi22.
“Squadra vincente non si cambia”: la collaborazione tra Jean e Leo dura nel tempo, sopravvivendo perfino nelle fasi in cui esigenze individuali ed esperienze professionali prendono direzioni tali da non poter più proce-dere con uno scambio intenso come negli anni migliori.
Leo Ferrero nel 1932 lascia appunto Parigi per l’Università di Yale, in-caricato di compiere ricerche sul campo che lo portano fino nel New Me-xico a studiare le tradizioni degli Indiani d’America. L’evoluzione negli in-teressi di studio e nelle forme di scrittura via via praticate (prima poesia e teatro, insieme al giornalismo, quindi la saggistica e infine il romanzo, in
22 Firenze, Gabinetto Vieusseux, Carte G. Debenedetti: F-ACGV, GD, Leo Ferrero a Giacomo Debenedetti, GDeb.I.359.1 – 359.5 (1928-1929), Gdeb.I.359.4, Lettera del 10 maggio, s. a., spedita da 35, rue Lhomond Ve, dunque risalente almeno a inizio 1929.
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parallelo alle ricerche di ordine storico-antropologico) è stata rapida; pari-menti rapida è stata la sua uscita di scena da quell’“impegno” che dai primi interventi su “Vita” a fine anni Dieci fino agli anni d’oro de “Il Baretti”, “Solaria” e “Notre Temps”, egli sembrava aver sposato parlando insisten-temente di disponibilità culturali europee. È una metamorfosi, quella di Ferrero, in cui si fondono interessi di studio che si allargano e si susse-guono nel tempo, una frenesia di conoscere e sperimentare, vivendo “in fretta” ogni esperienza. Nelle sue scelte, al di là dei richiami culturali, oc-corre in realtà riconoscere come, in momenti diversi della sua breve vita, circostanze e climi generali della cornice storico-politica gli suggeriscano sempre di adoperare quella prudenza necessaria a evitare quanto possibile persecuzioni, ritorsioni, oppressioni. Lascia l’Italia in tempo, prima che la situazione degeneri per chi era di sangue ebreo e per chi era sospetto di “sovversione” – nel suo caso più che altro per via dell’ingerenza della re-putazione del padre e ripara a Londra, e da lì a Parigi, nel 1928. Nel 1931-1932 esce sommessamente di scena dai circoli intellettuali e dai sa-lotti di quella città che ha tanto amato, per imbarcarsi per il Nuovo Conti-nente, quando anche fuori dai confini italiani iniziano a soffiare venti di tempesta. Meno stimolato a scendere sul campo di battaglia letterario e teatrale in difesa delle manifestazioni artistiche del suo paese e a lasciarsi coinvolgere in un lavoro di formazione di pubblico, critica e autori in nome della “modernità”, Leo pare aver perso fervore, deluso dall’autarchia culturale incalzante e forse da un certo clima che andava creandosi persino nell’amata Francia decantata quale patria delle libertà di espressione e di confronto, rendendo meno spontaneo e agevole porsi in azione come si faceva solo poco tempo prima. Ogni discorso “europeista” progressiva-mente si sbiadisce, fino al silenzio; ogni atteggiamento culturalprogressiva-mente “im-pegnato” nel costruire ponti che passano attraverso i libri e le persone si attenua fino a dissolversi.
In effetti, Leo sembra sempre lasciare nel vago le sue posizioni ideolo-giche e idee politiche, non palesandosi mai in termini espliciti come anti-fascista e preferendo sempre un misurato accorto silenzio. D’altra parte, i genitori riparano nella neutrale Svizzera e dal loro esilio non si ferma la partecipazione alle iniziative dei nuclei antifascisti emigrati al par loro, con qualche tentativo di intervento in Francia come quando, nella seconda metà degli anni Trenta, tanto insistono per portare in scena il bel “dramma satirico” Angelica che il figlio ha fatto fino ad allora circolare tra amici in forma di dattiloscritto, senza riuscire né a mandarlo in stampa né soprat-tutto a farlo rappresentare. Pièce interpretata come antifascista e in effetti un messaggio antifascista, un inno alla libertà, un lamento contro la “serva
Jean Luchaire e Leo Ferrero: un sodalizio franco-italiano per un’identità culturale europea
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Italia” sono presenti più che in filigrana tra personaggi e situazioni ,
An-gelica sarà fatta conoscere dapprima in Francia, nella magistrale
interpreta-zione di Georges e Ludmilla Pitoëff, e ben più tardi in Italia, quando il clima sarà drasticamente cambiato23.
Quanto a Jean, la sua figura, nel tempo, si staglia su uno sfondo com-plesso con fattezze ancor più sfuggenti, ambigue, doppie. Rimodella più volte il profilo di “Notre Temps”, che si fa sempre meno foglio culturale con sezioni ampie e diversificate, per diventare giornale più snello e pret-tamente politico, sin dalla pubblicazione di quel manifesto contro le derive del nazionalismo, per l’Europa ma nel contempo per un’intesa franco-te-desca, firmato da 186 intellettuali fra i quali appunto Ferrero non si schiera. Il pacifismo e l’europeismo vs il nazionalismo che animano Jean per lunghi anni sono evoluti in un avvicinamento al mondo germanico, mondo di cui invece Leo non si occupa nel suo recensire autori dei paesi più diversi fa eccezione la breve recensione alla traduzione francese 24
heures d’une femme dello scrittore austriaco Stefan Zweig nel n. 23, del 1°
maggio 1929, di “Notre Temps” in una censura o autocensura più con-sapevole che inconscia, come osserva il suo biografo Franck Schoell: “Répugnance instinctive? Conséquence de son attitude politique? Ou de son sang juif?24”.
Perseverante in quella che è stata sempre la sua professione, Luchaire
su cui certo non pesano né la genetica né un impegno scomodo della famiglia attraversa invece indenne “les années noires” tenendo il timone del “suo” “Notre Temps”, e non soltanto, al punto di guadagnarsi l’epiteto non propriamente elogiativo di “Führer della stampa” in Francia25.
Sog-getto multiforme in un momento delicato, da pacifista entusiasta all’ombra di Aristide Briand, scomparso colui che incarnava un riferimento per tanti nel 1932, Luchaire junior si avvicina a Otto Abetz, tedesco briandista al par
23 Sui contenuti, sugli allestimenti e sulla ricezione del dramma in Francia e in Italia, si rimanda alla ricca riedizione critica Angelica, dramma satirico in tre atti, a cura di PAOLO
PUPPA, con contributi di P. MARTINUZZI, N. FUOCHI, P. RANZINI, Pesaro, Metauro (“Non solo Pirandello”), 2004. Importante per la ricezione del dramma all’indomani della prima francese e delle successive repliche è inoltre il volumetto riunito dalla madre “Angelica”
à travers le monde. Jugements sur la pièce avant sa représentation, Paris, Rieder 1934. Di interesse
sono altresì i ritagli riuniti nella cartelletta conservata a Torino, presso il Centro Studi del Teatro Stabile, Archivio documentario dello spettacolo (busta Leo Ferrero), che conserva informazioni su varie messinscene in Italia.
24 FRANCK-LOUIS SCHOELL, Leo Ferrero et la France, Lausanne, Éditions de la Con-corde, 1945, p. 171.
25 Ricerche minuziose, con rilevanti materiali, e considerazioni importanti, sono espo-ste nelle citate tesi dedicate a Luchaire.
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suo, che da francofilo e pacifista animatore delle discussioni di Sohlberg si tramuta nel 1931 in nazista, diventando, fra le altre cose, diplomatico della Germania hitleriana nella Francia di Vichy; tra i due c’è un intreccio di idee, di attività e persino di cupe vicende della vita familiare. Ma il destino ha voluto che di questo nuovo scenario Ferrero non fosse né partecipe né spettatore. Sorge comunque spontaneo chiedersi se e come sarebbe evo-luta l’amicizia con Ferrero e la loro collaborazione negli anni Quaranta, quando Jean, durante l’occupazione tedesca, passa a collaborare con il re-gime nazista. Paga il suo schieramento nel 1946 con la fucilazione, dopo essere stato arrestato l’anno prima mentre tenta di riparare a Merano, in una fase di epurazione delle figure che più hanno dato motivo di ripu-gnanza, in particolare chi, come lui, viene accusato di aver concorso mas-sicciamente alla propaganda filonazista in Francia; sua figlia, l’attrice Co-rinne Luchaire, sarà parimenti condannata per collaborazionismo. Alcune delle tesi di Jean peraltro affiorano sin dai primi anni parigini, quando di-scute di politica con Leo, in forma ancora di conversazione epistolare, prima che l’amico lo raggiunga:
La mia risposta sul bolscevismo è oscura? Eccone il sunto più preciso: non sono bolscevico vero perché esser vero bolscevico vuol dire: 1) esser internazionalista; 2) esser comunista; 3) esser partigiano del metodo violento; 4) accettare il Verbo di Mosca.
Ora
Io sono ferocemente internazionalista, questo sì, e ostile a qualunque guerra. Ma se io sono avversario dell’attuale regime borghese capitalista, non per questo credo il comunismo buon rimedio. Studio la questione e mi ci rompo la testa. Simpatizzo, ma non posso dire di essere comunista.
Sono a priori avversario dei metodi violenti. Sta a vedere se poi non sono necessari. Anche questo sto studiando…
Quindi il Verbo di Mosca non l’accetto. L’esperienza russa è un esempio utile, ed il più importante fenomeno dei giorni nostri. Ma non vuol dire che bisogna applaudirlo senza conoscerlo bene. Ed io bene non lo conosco.
Riassumendo, sto coi socialisti per la loro lotta antibellica e internazionalista, come pure per le seccature che danno all’ordine attuale. Ma per l’eccitamento
delle masse, e la propaganda comunista, sto in disparte26.
Al di là di questi commenti, nell’intermezzo tra le due guerre e dunque negli anni “insieme a Leo”, Jean ha sposato la causa del pacifismo, anzi il suo impegno nel giornalismo sembra volersi adoperare proprio in quella direzione, e con passione, assegnando alla formazione culturale dei lettori
26 FPC, Corrispondenza a Leo Ferrero, Lettera di Jean Luchaire a Leo Ferrero datata 20 agosto [1920].