• Non ci sono risultati.

Albrecht Dürer

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Albrecht Dürer"

Copied!
37
0
0

Testo completo

(1)

ALBRECHT DÜRER

MATERIALE CLIL STORIA DELL’ARTE/TEDESCO

A.S. 2019/2020

prof. Claudio Pucceti (Storia dell’Arte)

in collaborazione con prof.ssa Anete Müller (conversazione tedesco) Classe 4EL

(2)

Per buona parte del XVI sec. l’arte dei Paesi tedeschi è dominata dall'influenza del gotico

internazionale e stenta

a sviluppare un linguaggio artistico proprio. Solo verso la fine del ‘400, influenzata dalla pittura

fiamminga e dal classicismo italiano, rompe definitivamente con la tradizione gotica ed elabora

un proprio linguaggio figurativo abbracciando in pieno

le tematiche rinascimentali in un percorso di piena autonomia, sempre pervasa da un’intensa

spiritualità che anticipa le inquietudini manieristiche, e da singole disgressioni verso un drammatico espressionismo.

Agli inizi del ‘500 la corte di Massimiliano I diventa un centro rinascimentale che feconda di nuova linfa l'arte europea e

vede primeggiare la pittura della Scuola danubiana austriaca, caratterizzata da un nuovo

sentimento nei confronti della natura con la scoperta del paesaggio come elemento predominante, e da un diverso modo di percepire il reale che ha forti echi internazionali.

Il Rinascimento tedesco riesce così a elaborare un linguaggio proprio e ben distinguibile, con un’interpretazione

del classicismo italiano estremamente autonoma. Dürer stesso conia la traduzione di ‘Rinascimento’ in ‘Wiedererwachung’,

a conferma di quanto sia pienamente cosciente dell'importanza di tale processo storico.

Va ricordato che il XVI sec. è un periodo di grandi cambiamenti politici, sociali e spirituali per tutta l’Europa.

In particolare, in Germania è l'epoca della Riforma luterana (1517) che darà vita a un’insanabile frattura nella cristianità

(Scisma della Chiesa cattolica) e alla grande onda spiritualista, e della Guerra dei contadini (1525) che produrrà profondi effetti, tanto sullo sviluppo economico-sociale quanto su quello politico,

portando i principi territoriali ad un maggior potere nell'Impero. Un'epoca che sconvolge il paese e che ha una profonda influenza anche sulla vita dei pittori tedeschi molti dei quali, influenzati

dall’Umanesimo, si avvicinano a Martin Lutero (monaco agostiniano contro la corruzione della Chiesa

e contro il commercio delle Indulgenze) sposandone in pieno le idee.

Da questo sodalizio nasce un’arte che riflette fedelmente la nuova religiosità del Protestantesimo e che diventa veicolo

di propaganda religiosa, grazie anche all’invenzione della stampa tipografica e allo sviluppo

dell’incisione che permettono, l’una una maggiore divulgazione delle nuove idee, l’altra una grande forza persuasiva.

(3)

Dopo il 1530 la Riforma tedesca, diversamente da quella svizzera che provocherà una vera e propria iconoclastia, darà vita

ad un ‘ri-orientamento’ di un’arte che da ‘sacra’ si fa ‘devota’, contenendo così i danni della

distruzione dell’arte cristiana attraverso l’abolizione del culto di Santi e reliquie. Se infatti il rigorismo morale di Calvino rifiuta le rappresentazioni figurative giudicate una cattiva consuetudine

dell’ostentazione cattolico-romana, Lutero, seppur subordinando l’immagine alla Parola, non solo ne sostiene la funzione pedagogica ma ne promuove l’uso, favorendo la nascita di un’iconografia capace di alimentare

la diffusione della sua concezione teologica anche se sempre antiromana.

Tuttavia questo ‘nuovo sentire’ anche in Germania creerà una sensibile diminuzione della richiesta di soggetti religiosi e un aumento di quella di ritratti di principi e mercanti, determinando un graduale distacco dell’arte dalla Chiesa.

 

In questo contesto spiccano cinque figure decisive che rappresentano l’ultimo capitolo della

‘Altdeutsche Malerei’ (antica

pittura tedesca) e cioè di quella produzione pittorica dei Paesi di lingua e cultura tedesca che va dal 1300 al 1500):

Matthias Grünewald (espressione del puro germanesimo, drammatico, profondo e irrazionale), Albrecht Dürer (emblema dell’Umanesimo tedesco e artista rinascimentale per eccellenza, aperto alla pittura italiana ma in modo molto personale),

Lucas Cranach il Vecchio (principale interprete della Riforma luterana dall'intellettualismo raffinato

ed estetizzante e ponte

tra Gotico internazionale e Manierismo), Albrecht Altdorfer (primo paesaggista della storia e principale rappresentante

della Scuola danubiana che valorizza il paesaggio come soggetto indipendente), Hans Holbein il Giovane (fine ritrattista dal

penetrante realismo e perfetta fusione fra spirito analitico del Nord Europa e sintesi razionale del Sud Europa, nonché ultimo rappresentante del Rinascimento tedesco).

Con Holbein si chiude così un’epoca e un breve ma intenso periodo del Rinascimento tedesco e come in tutta Europa anche

la Germania aderirà al Manierismo ma, a differenza dell’Italia, con pochi pittori di scarso rilievo che non avranno spalle

(4)

Aperto al nuovo corso della storia e assetato di conoscenza, dopo essersi sposato riparte per l’Italia per conoscere la

‘nuova arte’ nella terra d'origine: a Venezia scopre l'alta considerazione di cui godono gli artisti, approfondisce i rapporti tra figura e spazio e completa la sua formazione. Il viaggio in Italia ha un forte impatto sul Dürer che verrà notevolmente influenzato dalla pittura rinascimentale italiana. Stabilitosi a Norimberga nel 1495 apre una fiorente bottega di xilografia e calcografia (più

economiche e facili da smerciare rispetto alla pittura) e inizia a pensare a progetti più ambiziosi e innovativi: illustrazioni, stampe e pubblicazioni dello stesso artista, che con sorprendente velocità si diffondono in tutta Europa procurandogli uno straordinario successo.

Un anno dopo inizia il lungo sodalizio con l’elettore di Sassonia Federico il Saggio, che gli spiana la strada alla carriera pittorica grazie ai molteplici ritratti per l'aristocrazia norimberghese.

Nel 1505 è di nuovo in Italia per scoprire ‘l’arte segreta della prospettiva’ e mentre dipinge ritratti di mercanti accumula materiali di studio. Ormai celebre, soprattutto per le sue incisioni, è al centro della raffinata società di nobili, artisti e umanisti della Serenissima.

Tornato a Norimberga si mette sotto la protezione di Massimiliano I, concentrandosi sull’incisione, in particolare

sulla xilografia, e grazie alla completa padronanza del bulino crea i suoi maggiori capolavori. Ammalatosi gravemente, dopo un viaggio nei Paesi Bassi che consolida la sua fama in tutta Europa, diminuisce la sua intensa attività artistica spostando l’attenzione alla pubblicazione di scritti sulla teoria dell'arte, la geometria e le proporzioni del corpo umano arricchiti

da disegni scientifici, seguendo la tradizione della trattatistica italiana.

figura del Rinascimento tedesco.

Dürer si forma come incisore nella bottega del padre orafo che gli trasmette l’amore per i maestri fiamminghi, e successivamente presso Wolgemut, il maggior pittore e xilografo di Norimberga. Nel 1490 inizia un lungo viaggio nelle terre tedesche arrivando nelle Fiandre per approfondire le sue

conoscenze della pittura fiamminga e comincia a farsi conoscere siglando le sue incisioni

(5)

All’inizio del ‘500, dopo la grande stagione quattrocentesca dell’umanesimo

fiorentino, alla scoperta dell’individualità umana si aggiunge un nuovo sguardo sul mondo, le cui dimensioni si vanno ‘dilatando’ grazie anche alle scoperte

geografiche. Mentre un modello aristotelico-scolastico del sapere inizia a declinare a favore della conoscenza sperimentale, s’intensifica il confronto e la condivisione di idee tra intellettuali e artisti a livello internazionale.

Tutti questi cambiamenti si riassumono emblematicamente nella figura di Albrecht Dürer: erede ideale di un umanesimo antropocentrico e proteso al recupero dell’antico, si misura allo stesso tempo con culture diverse e si fa interprete di una nuova sensibilità religiosa cercando di mantenere equilibrio e moderazione, suoi principi ispiratori, quasi una filosofia di vita che l’artista trasmetterà attraverso le opere di tutta una vita, nonostante il difficile clima di eccessi e tensioni della Riforma Luterana.

Artista rinascimentale per eccellenza, personalità complessa dai molteplici interessi disciplinari e dalla vasta cultura è affiancabile a Leonardo per l'esigenza di impostazione teorica dell'operare artistico, per la ricerca di misura e proporzione delle forme, per

la volontà di indagine scientifica del reale.

Supportato dal grande umanista e amico Pirckheimer, Dürer è il maggiore sostenitore del primato dell'arte italiana nei Paesi tedeschi tanto da coniare la traduzione di ‘Rinascimento’ in

‘Wiedererwachung’, a conferma di quanto sia pienamente cosciente dell'importanza di questo processo storico. Nelle sue opere combina la prospettiva e le proporzioni rinascimentali con il gusto tipicamente nordico per il realismo dei dettagli nel solco della grande pittura fiamminga, e con le sue incisioni rivoluziona completamente le tecniche delle arti grafiche che alimenteranno il primo manierismo fiorentino e molti pittori ‘eccentrici’ del primo Cinquecento, svolgendo un ruolo centrale nel

superamento della tradizione tardogotica. Le sue prime prove riflettono l’influenza della ritrattistica tedesca e fiamminga, ben presto temperata dall’influsso italiano riscontrabile nella moltitudine dei ritratti realizzati dopo i due viaggi in Italia, nei quali dimostra un notevole approfondimento psicologico. L’esperienza italiana infatti ricopre un ruolo decisivo nell’opera del Dürer fin dal primo viaggio, dove è impegnato ad assorbire temi e motivi rinascimentali delle corti italiane del nord, che lo portano ad una sua personalissima re-interpretazione di incisioni anticheggianti che richiamano i concetti della filosofia neoplatonica di Ficino e che superano per precisione e accuratezza quelle di Schongauer. Tuttavia

raggiungerà il massimo livello con le xilografie della sua maturità, che gli procureranno popolarità e fama.

(6)

simmetria

delle composizioni come nelle proporzioni dei corpi, arricchendosi del plastico monumentalismo

di Mantegna e delle armonie classiche del Pollaiolo e di Giovanni Bellini.

Tuttavia raggiungerà il massimo livello con le xilografie della sua maturità, che gli procureranno popolarità e fama. Così come negli acquerelli di ariose aperture paesistiche e di studi naturalistici di raffinata esecuzione dove, stimolato dal contatto con Giorgione e Tiziano, indaga problemi più specificamente coloristici che rivelano un nuovo interesse al colore e alla luce, un cambiamento della gamma cromatica che si accende di toni più vivaci, e perciò un’ulteriore

avvicinamento alle soluzioni messe a punto dalla pittura veneta e leonardesca. Acquerelli in cui coniuga precisione orafa e visionarietà, e rivela l’attenzione che dedica tanto al singolo filo d’erba che al paesaggio nel suo insieme: l’osservazione del mondo e di tutta la natura, come prima di lui Leonardo. Scriverà infatti “Quanto più esattamente imiterete la natura, tanto più

bello e artistico sarà considerato il vostro dipinto”.

Ma è nel secondo viaggio in Italia che Dürer matura ulteriormente e allarga l’attenzione al nudo classico vitruviano,

sciogliendosi dalle rigidezze canoniche per un ideale di bellezza tutta umana e, spinto sempre dal profondo influsso che Leonardo esercita su di lui, elabora una mirabile sintesi tra motivi classici e tradizione tardogotica che culminerà con le sue tre incisioni

più celebri e più riuscite sia sul piano tecnico che compositivo, le famose ‘Meisterstiche’. E sarà ancora tutto italiano lo stimolo che spinge Dürer a cimentarsi con i trattati d’arte e a pubblicarne tre prima di morire,

primo esempio di trattatistica d’arte nei paesi nordici, coi quali si propone di trasmettere le conclusioni cui è giunto in merito alla creazione artistica e cioè che in un vero artista all'abilità tecnica (la Brauch) deve accompagnarsi la capacità intellettuale

di teorizzare e realizzare i principi generali dell'arte (la Kunst), concetto strettamente connesso alla figura dell'artista umanista.

E sarà sempre un’eredità umanistica quella crescente stima che il pittore ha di sé e della sua professione: una nuova consapevolezza di appartenere a un’aristocrazia del pensiero pari a quella degli artisti incontrati a Venezia, che lo porta a realizzare i suoi famosi autoritratti nei quali studia su se stesso le tracce del tempo che scorre e, forse, scruta i segni dell'ombra della morte che gli galoppa al fianco, proprio come nelle sue raffinatissime incisioni.

(7)

Definito dal Vasari il “veramente grande pittore e creatore delle più belle incisioni

su rame“, Dürer considera l’arte incisoria più affine alla sua personalità, più

partecipe della natura del suo pensiero: il mezzo ideale per trasmettere una nuova iconografia, sacra o profana, un modo più moderno per dialogare con il proprio tempo. Attraverso la sua sterminata opera (100 incisioni a bulino, 6 acqueforti, 250 xilografie, 3 puntesecche, che spaziano da temi religioso-cristiani a leggende della tradizione nordica) innalza l’incisione a espressione artistica autonoma non più secondaria alla pittura, e ne rivoluziona tecnica (soprattutto quella xilografica) e flusso occupandosi in prima persona del processo completo:

dal disegno all’incisione, fino alla stampa vera e propria.

Definito dal Vasari il “veramente grande pittore e creatore delle più belle incisioni

su rame“, Dürer considera l’arte incisoria più affine alla sua personalità, più

partecipe della natura del suo pensiero:

Il mezzo ideale per trasmettere una nuova iconografia, sacra o profana, un modo più moderno per dialogare con il proprio tempo.

Attraverso la sua sterminata opera (100 incisioni a bulino, 6 acqueforti, 250 xilografie, 3 puntesecche, che spaziano da temi religioso-cristiani a leggende della tradizione nordica) innalza l’incisione a espressione artistica autonoma non più secondaria alla pittura,

e ne rivoluziona tecnica (soprattutto quella xilografica) e flusso occupandosi in prima persona del

processo completo: dal disegno all’incisione, fino alla stampa vera e propria. Erasmo, già ritratto in una sua incisione dirà del Dürer: “... egli ritrae tutto ciò che non può essere ritratto. Il fuoco, i raggi di luce, il

tuono, i lampi, le folgori, o, come si dice, le ombre sul muro; e poi tutte le emozioni e le sensazioni; e per finire tutto lo spirito dell'uomo come si riflette negli atteggiamenti del corpo, e quasi la stessa voce. Dürer sa offrire

ai nostri occhi tutte queste cose impiegando le linee adeguate, quelle nere, di modo che se si volesse aggiungervi il colore si guasterebbe l'opera...” Nelle sue incisioni la ricchezza di particolari, di simboli, di

elementi insoliti, uniti spesso alla complessità dei temi trattati ha dato adito alle più diverse interpretazioni. Tuttavia nei più recenti studi prevale la tendenza a riconsiderarne l'enigmaticità

ipotizzando che quell’ambiguità sia proprio voluta, essendo la fruizione destinata ad ambiti colti in cui le opere sono discusse collettivamente e non osservate individualmente. Si parla in tal senso di

‘conversation pieces’, opere aperte alla libera lettura fra intellettuali che amano dialogare tentando

d’interpretarne la complessità, proprio in ragione di un'intenzione originaria: quella di produrre opere che siano autentiche foreste di simboli spinti a un tale grado di ambiguità da generare pubbliche dissertazioni. Non a caso il dibattito è ancora aperto.

(8)

‘Apocalisse’ (1496-98) Quindici xilografie per il primo libro progettato, illustrato e pubblicato dallo stesso artista:

il suo primo risultato di rilievo. Dürer, per illustrare l’Apocalisse di Giovanni, sceglie un grandioso formato verticale con poche ma grandi figure, staccandosi dal modello biblico di formato

orizzontale con molte figure piccole, testo sul verso della pagina e illustrazione sul recto: un sorta di doppia versione in parole e in immagini del medesimo racconto.In questo lavoro Dürer riassume e supera le influenze della grafica tedesca

di stampo tardogotico conferendo alla tecnica xilografica un grafismo vibrante e una mobilità prima impensabili e che in seguito non potranno più essere ignorati, aprendo la

tradizione grafica nordica alla rappresentazione spaziale e alle proporzioni tipiche del Rinascimento italiano.

Le figure incise, mai come qui, mostrano una dilagante drammaticità accentuata dall’introduzione di un tratto scuro e di forti contrasti di nero

e bianco.

L’effetto tendenzialmente statico dell’arte tedesca con Dürer lascia il posto

a una grande dinamicità dove le figure sembrano quasi animarsi, come

nella scena de ‘I quatro cavalieri’ che caricano sulle ali del vento abbattendosi sull’umanità: un cavaliere sulla destra con l’arco in mano

(la pestilenza), un secondo con la spada sguainata (la guerra), un terzo con la bilancia vuota (la carestia), poi un'ultima figura (la morte) e sotto di lui un re nelle fauci dell'Ade insieme ad altri cadaveri.

Figure scarne col volto segnato da violenza e orrore, tutte con sembianze quasi mostruose. La macabra scena, che non lascia intravedere l’ambientazione di fondo, è satura di

(9)

‘Le Passioni’ All’Apocalisse fanno seguito due cicli di xilografie: la ‘Grande Passione’ (1497-1510) e la ‘Piccola Passione’ (1511) che illustrano le vicende della fine della vita terrena di Cristo, con immagini estremamente espressive dallo spiccato sapore narrativo, copiate innumerevoli volte,

e che conosce una larga diffusione e una grande fortuna. Una serie di incisioni in cui i corpi risultano debitori delle conoscenze anatomiche rinascimentali e la fisicità plastico-monumentale è sempre tutta italiana, mentre invece la presenza di panneggi contorti gotici sono tipici

dell’espressività del mondo nordico. Lo stile di Dürer unisce qui due mondi in modo perfetto e armonico creando uno stile personalissimo che prende il meglio da due interpretazioni artistiche diametralmente opposte.

Mai prima d'ora la Passione di Cristo è stata rappresentata in modo così drammatico: Dürer dà corporeità alle figure,

singolarmente concepite con un forte contrasto di bianco e nero, con un sistema graduale di tratteggi paralleli già da tempo usato nell'incisione su rame. In modo particolare nella xilografia più celebre e suggestiva, il ‘Trasporto della

Croce’ dove l’aspetto nefasto e angoscioso della narrazione

viene accentuato dall’incisivo tratto: un’opera che affascina così tanto il pubblico, i critici e gli artisti che lo stesso modello iconografico verrà ripreso da Raffaello per ‘Spasimo di Sicilia’.

(10)

‘Sant’Eustachio’ (1501) È l’incisione a bulino di maggior

formato realizzata dal Dürer ed è il culmine della

precisione miniaturista.

Con questa rappresentazione, inusuale per l’arte tedesca che probabilmente la vede come artificiosa e innaturale, prende il via il

Rinascimento nordico che collega

la tradizione tedesca alla “maniera moderna” italiana.

La scena rappresenta la leggenda di Sant'Eustachio,

un soldato romano che durante una battuta di caccia ha

la visione di un crocifisso tra le corna di un cervo.

Dürer lo raffigura come un cavaliere che, colpito dall'improvvisa visione del cervo, s’inginocchia stupefatto lasciando cavallo e cani liberi, e crea una composizione

al tempo stesso monumentale e fiabesca. Lo spostamento dell'azione principale in secondo piano conduce l'occhio dello spettatore in profondità,

attraverso la complessa, ricca ed armonica descrizione del paesaggio che avvolge la scena, dagli alberi fino

(11)

‘Il grande cavallo’ (1505) È un’incisione a bulino

che dimostra gli studi teorici del Dürer nella ricerca

della perfetta proporzione del cavallo su Donatello, Verrocchio e soprattutto Leonardo.

La passione per le proporzioni dei cavalli lo portano

a incidere molte tavole dedicate all’animale e questa

è appunto una delle più simboliche e innovative.

Il cavallo ripreso da dietro mette in risalto la potenza

dei muscoli e la forza dell’ossatura, ma il punto di

vista non ne sminuisce l’eleganza.

La presenza d’un alabardiere in secondo piano,

che indossa ginocchiere molto elaborate e un grande elmo dall’aspetto zoomorfo, sembra accessoria

a mostrare la monumentalità statuaria dell’animale.

Il 1505 è l’anno che consacra il Maestro tedesco

come l’incisore più abile di tutti i tempi e ‘Il Grande Cavallo’, così intitolato per la grandezza dell’animale rispetto allo spazio della tavola,

è una magnifica prova che la sua maturità tecnica,

(12)

‘Trittico Meisterstiche’ (incisioni maestre o meglio

‘espressione massima della creazione d’un artista’): Il cavaliere, San Girolamo, Melanconia. Tre incisioni a bulino complementari e dello stesso formato, apice della produzione grafica del Dürer. Tre opere allegoriche con un significato misterioso che ha dato adito a varie interpretazioni, tra cui quella umanistico-cristiana che identifica nelle tre figure (tre professioni) il modo di vivere una vita ricca di fede e di significato: l’uomo d’armi, l’erudito, l’artista. Tre esempi di vita legati rispettivamente alle diverse virtù: morali, teologiche, intellettuali.

É il suo più alto risultato nel campo dell’incisione, perfetta sintesi tra i diversi elementi della cultura figurativa e umanistica düreriana che gli procurerà grande fama, evidenziando l’abilità nello studio delle proporzioni e della misura, la precisione dei dettagli naturalistici, la maestria nella ritrattistica.

‘Il cavaliere, la morte e il diavolo’ (1513) Un cavaliere che avanza incurante grazie alla sua corazza (la fede) riesce

a sconfiggere il diavolo e a ignorare la Morte che gli ricorda quanta vita gli rimane da vivere (clessidra).

Tra le infinite interpretazioni una su tutte: la crisi del Cattolicesimo (il cavaliere) insidiato dalle lusinghe del potere e della ricchezza (il diavolo).

L’abilità dell’incisore si mostra nei dettagli naturalistici che denotano studi come quelli leonardeschi soprattutto

nel cavallo: ricchezza di particolari, resa atmosferica della città sul picco avvolta da un velo di nebbia (prospettiva aerea)

e capacità di rendere tattilmente le diverse superfici (pelo lucido del cavallo e pelo liscio del cane, criniera sporca del ronzino e ricca coda della volpe sulla lancia, armatura luccicante e arbusti secchi e rocce crepate sulla strada).

(13)

‘San Girolamo nello studio’ (1513) ll Santo, prototipo dello studioso umanista, è seduto in fondo alla sua cella illuminata dalle vetrate, circondato dagli oggetti che lo rappresentano. In primo piano un mansueto leone veglia su di lui

accanto a un cagnolino profondamente addormentato.

Tra i numerosi riferimenti simbolici spicca il teschio a sinistra (Memento mori). In questa perfetta sintesi tra prospettiva e pittoricismo, la solitudine del

monaco è interpretata come l’abbandono delle cose mondane per dedicarsi alla maggiore gloria di Dio.

‘Melancolia I’ (1514) Una maestosa e pensierosa donna alata seduta, il volto poggiato su una mano e i grandi occhi fissi, intorno a lei animali, strumenti e simboli in parte legati all’alchimia, nel cielo illuminato da una cometa un pipistrello regge un cartiglio con scritto: Melancolia I. Quest’opera, densa di riferimenti esoterici tra cui il quadrato magico (due numeri nelle caselle

centrali dell'ultima riga formano 1514, anno dell’opera) è l’incisione più famosa del Dürer, la più enigmatica e la più interpretata nella storia dell’arte.

Va ricordato che se nel Medioevo la figura del malinconico è considerata negativamente dal ‘400 assurge allo stato di genio (teoria umanistica che accredita alla malinconia la fonte della genialità)

e Dürer ne crea l’iconografia (ripresa da molti pittori italiani dal ‘500 in poi). Basandosi sul ‘De triplici vita’ di Ficino, secondo il quale molti malinconici hanno un’intelligenza talmente superiore da sembrare ‘più divini che umani’, Dürer con questa illustrazione sembra rafforzare la spiccata consapevolezza del proprio valore d’artista. Questo “genio infelice”, affetto da malinconia per uno stato di meditazione impotente, potrebbe essere così la raffigurazione colta, neoplatonica, della stessa condizione dell'artista: una sorta di

autoritratto spirituale del Dürer giunto alla presa di coscienza che un approccio razionale all’arte e al mondo non può che dare risposte insufficienti. Da notare l’avanzatissima ricerca su chiaroscuro e ombreggiatura, e la raffinata

esecuzione di rara abilità. Non a caso Vasari ne segnerà la fortuna classificandola tra le opere che

(14)

‘Rinoceronte’ (1515) Un animale simile ad un rinoceronte indiano, di profilo, coperto da una robusta corazza di metallo e con le zampe ricoperte da scaglie. Sul muso il caratteristico corno appuntito.

Il rinoceronte, al tempo sconosciuto, viene importato per la prima volta e donato al re portoghese suscitando grande stupore e curiosità. L’anno dopo il re ne fa dono al papa Leone X spedendolo via mare, ma la nave naufraga.

Dürer non vedrà mai il rinoceronte dal vero ma ne conosce la descrizione attraverso una lettera ed esegue la xilografia incappando in varie inesattezze anatomiche. Tuttavia, con questa creatura per metà inventata, l’artista afferma la sua straordinaria curiosità e la sua fervida immaginazione.

L’interpretazione in chiave surrealistica nasce probabilmente come puro divertimento per l’incredibile aspetto della bestia

e della sua poderosa corazza, che tra l’altro ricorda le armature dei soldati che Dürer ha sicuramente visto dagli armaioli

di Norimberga. L’opera diventa così popolare da essere ripresa a modello d'innumerevoli illustrazioni, dipinti e sculture

fino al XVIII secolo. A testimonianza di quanto l'influenza del rinoceronte di Dürer sia ancora viva è la scultura di Salvador Dalí del 1956 per la città di Marbella.

(15)

I disegni di Dürer rappresentano un patrimonio notevole e significativo in considerazione del fatto che le sue opere su carta prefigurano l’autonomia del disegno come forma d’arte. Già i suoi primi scchizzi rivelano come negli anni formativi il giovane artista prenda a modello il proprio corpo per realizzare disegni sempre più precisi, senza narcisismo ma con l'occhio di un Leonardo, come mostrano tutti gli studi delle mani.

‘Mani che pregano’ (1508) Un disegno su carta blu (procedimento scoperto a Venezia)

e inchiostro grigio (in sostituzione del nero). “La carta blu crea un tono medio

tra bianco e scuro.

In particolare, la trama leggermente screziata della carta blu offre una trama più morbida, più varia e più luminosa rispetto al colore solido della carta preparata”.

È uno schizzo preparatorio delle mani di un apostolo per l’altare ‘Heller Altarpiece’ e rivela un sapiente uso dell’inchiostro bianco che crea giochi di luce in contrasto con la china nera.

Infatti, l’uso di luci in bianco opaco che si distinguono dalla carta blu migliorano la tridimensionalità delle forme ed evocano non solo la trama raggrinzita dell'età della pelle ma addirittura il fluire del sangue nelle vene. Osservando la minuziosa precisione tecnica e la resa chiaroscurale, insieme all’espressività del gesto, si capisce quanto Dürer vada oltre lo studio di un dettaglio per un dipinto.

(16)

Nel corso dei suoi viaggi Dürer realizza molti acquerelli (tecnica pittorica ‘da viaggio’) riprendendo il soggetto dal vero

e delineando già l’idea della veduta ‘en plein air’ o perlomeno anticipando la produzione di schizzi negli appunti del Grand Tour:

il moderno approccio d’un giovane artista che viaggia per il desiderio di ‘conoscere’. In pieno spirito umanistico.

Dürer usa l’acquerello non solo per registrare dal vivo i paesaggi ma per riprodurre con fresco realismo anche animali e piante.

Ha un rapporto di osservazione ‘scientifico’ e allo stesso tempo ‘religioso’ nei riguardi di tutta la natura, e la ritrae con meticolosità enciclopedica, cura speciale del dettaglio (eredità dell’arte orafa paterna e della pittura fiamminga),

grande sensibilità e spirito contemplativo, e con un’attenzione particolare rivolta al gioco dei colori e alle variazioni di questi

al mutare della luce.

Obiettivo dichiarato del Dürer è realizzare un'arte “radicata nella natura”, il più possibile fedele alla realtà, mai idealizzata ma esattamente com’è, e per descriverla si affida ai propri occhi. Scrive nel suo diari: “In verità l’arte si nasconde nella natura.

Chi riesce a strapparla la possiede”. E ancora: “Ogni parte deve essere eseguita con la massima diligenza possibile nelle cose più piccole come nelle più grandi. Perciò osserva scrupolosamente la natura, attieniti ad essa e non allontanartene arbitrariamente”.

Va ricordato comunque che molti acquerelli non nascono come opere d'arte indipendenti bensì come materiale di studio

(17)

‘Castello in rovina sulla rupe’ (1494) È uno degli acquerelli eseguiti dal Dürer nel primo soggiorno

in Italia ed è il più noto. Raffigura il Castello di Segonzano sulle Alpi,

inaccessibile nel suo sperone roccioso, severo nelle torri merlate, romantico e misterioso nel suo silenzioso isolamento:

natura e picchi scoscesi del maniero sembrano fare a gara per inerpicarsi e raggiungere, infine, l’equilibrio. Dürer ne è talmente affascinato che fa due versioni da due diversi punti di osservazione.

‘Ala sinistra di un blu Roller’ (1500-12) È uno studio di un'ala di uccello e Dürer si concentra sui colori con risultati straordinari. La parte superiore delle piume è un vero e proprio paesaggio marino di cangianti azzurri e verdi e tocchi di viola, con linee semicircolari che in alto escono come spuma di mare. Le marcature semicircolari, che sembrano incisioni anziché linee colorate, sono dettagli che molto probabilmente sarebbero passati inosservati in una

riproduzione.

È un acquerello etereo e tattile allo stesso tempo, e i suoi pigmenti sconfinano audacemente attraverso linee e forme, con luci e ombre che si muovono sopra le soffici piume.

 

‘Il leproto’ (1502) Diventato un’icona, è da sempre simbolo dell’Albertina Museum di Vienna.

La bestiolina minuziosamente riprodotta in diagonale con una leggera ombra proiettata sulla sua sinistra, è di un’estrema raffinatezza tecnica ed estetica, sorprendente per la dettagliata resa:

la riproduzione fedele della natura del resto è uno dei tratti distintivi del Dürer. Da notare un particolare che difficilmente si riesce a cogliere: il curioso ‘lustro’, il riflesso nell'occhio destro del leprotto in cui si rispecchia l’atelier dell’artista, come spesso accade anche nei suoi famosi ritratti.

(18)

‘La grande zolla d'erba’ (1503) È l’acquerello del

più famoso studio di piante del grande

osservatore: l'acuta precisione del disegno fa assumere dimensioni gigantesche agli esili fili d'erba.

Da vicino i toni della terra fanno intravedere deboli viticci che si srotolano verso il basso, da canne che sembrano state fatte dall'artista immergendo il pennello nell'acqua

e sciogliendo il colore applicato precedentemente.

Il lavoro, minimo nelle sue scelte di colore (gradazioni tonali di ombre e verde menta con tocchi di acquamarina e ambra), guardandolo attentamente da vicino è fitto di sorprese, proprio come la natura.

‘Mulini su un fiume’ (1506) È un acquerello di grosso formato che preannuncia la cosmica visionarietà

della scuola danubiana, in cui è ancora più evidente il modo in cui la luce si trasforma: la superficie del piccolo bacino d’acqua appare nero-violacea e presenta una corrispondenza cromatica con le nuvole scure, tra le quali la luce del sole che tramonta risplende in toni di giallo

e arancio e colora di un verde brillante le piante sul bordo dello stagno. Un gioco cromatico da impressionista

(19)

Dürer esegue numerose pale d'altare (tavole a olio e a tempera) spesso con gli aiuti della sua fiorente e redditizia bottega, creando capolavori in cui lo spazio prospettico, i colori vivi, il senso della quotidianità del divino sono le caratteristiche essenziali, e dimostrano la grande capacità di coniugare la sensibilità nordica con la forza cromatica della pittura italiana. Il grande merito di Dürer dunque, è proprio quello di unire due tradizioni lontane e rinnovarle, voler essere italiano, rimanendo tedesco

‘Altare Paumgartner’ (1500-1504) È la più grande Pala d'altare dell'artista per la chiesa di Santa Caterina a Norimberga

commissionata dalla famiglia Paumgartner: nella parte centrale l'Adorazione del Bambino in scala ridotta, nelle laterali

San Giorgio e Sant'Eustachio al naturale . Questa sproporzione crea un disequilibrio formale quando le ali sono aperte anche se, a

fronte dell’eccellente composizione dell’insieme, le carenze prospettiche (ancora fiamminghe: orizzonte alto e verticalismo) danno meno nell'occhio.

Tuttavia indicano che intorno al ‘500 il Dürer della prospettiva conosce solo la regola di base. Basta vedere le aperture ad arco di scorcio ai due lati che creano una strada cittadina ma lo portano ad altri errori prospettici nel tentativo di avvicinarsi alla visione

italiana. Da notare la macchia di colore e volume di sapore italiano dell'ampia veste blu di Maria su cui è adagiato il Bambino, San Giuseppe inginocchiato in primo piano di tralice sulla diagonale che porta il nostro sguardo in profondità, e le linee oblique parallele che scandiscono i piani: dal bastone di Giuseppe e le tre piccole figure, al capo di Giuseppe e quello di Maria, fino alla tettoia in legno.

Secondo la tradizione Dürer inserisce in primo piano le sette piccole figure dei committenti/donatori e sugli sportelli laterali i due fratelli Paumgartner riconoscibili nei volti dei due Santi sproporzionati forse in virtù di una migliore riconoscibilità.

(20)

Wittenberg ma dell’opera si conoscono solo i due sportelli laterali e tuttora non si sa se la parte centrale sia andata perduta o sia conosciuta con un altro nome.

‘Giobbe e la moglie’ Lo sportello sinistro (ridotto di

dimensioni) mostra il profeta Giobbe accasciato sulla paglia, nudo, rassegnato per le avversità nella sfida che Dio gli impone con le difficili prove:

la sua casa va a fuoco e la sua famiglia perisce nell’incendio

(sullo sfondo), il suo gregge va disperso (sportello destro), la sua pelle si copre di bubboni e piaghe. Tuttavia la moglie lo rinfresca per alleviare il suo tormento e non infierisce su di lui come nel racconto biblico, piuttosto lo accudisce con amore. Giobbe rappresenta il ‘giusto’ la cui fede è messa a dura prova: il simbolo di una ‘pazienza’ che va oltre ogni sopportazione umana, esempio di ‘filosofica dignità’ che Dürer non avrebbe potuto concepire senza la lezione di Leonardo. La delicatezza della tavolozza ricorda la luminosità dei colori ad acquerello in cui l'artista eccelle.

‘Pifferaio e suonatore di tamburo’ È lo sportello

destro, continuazione del sinistro (evidente nella veste rosa della moglie, nel mucchio

di letame e nei monti che proseguono da uno all’altro) e mostra un pifferaio e un tamburino (autoritratto del Dürer) giovani e spensierati

vestiti da saltimbanchi, che si stagliano su un paesaggio bucolico. Due musici che non deridono e non sbeffeggiano il profeta malato come nel racconto biblico, bensì cercano di rincuorarlo, di rasserenarlo con la loro musica come se tutto non fosse perduto.

Così questa non è più l’ultima prova che Giobbe dovrà sopportare ma invece l’atto consolatorio di chi capisce il dolore. Dio può averci abbandonati ma non siamo del tutto perduti se anche un solo essere umano ci resta vicino.

(21)

‘Adorazione dei Magi’ (1504) È una tavola a olio commissionata da Federico il Saggio sempre per la cappella del suo castello di Wittenberg,

considerata il primo esempio di ‘chiarezza

compositiva’ nell'arte tedesca grazie agli stimoli dei maestri italiani.

La scena ha uno schema collaudato: la Madonna di profilo

con la veste blu che offre il Bambino

all'adorazione dei Magi (uno è il Dürer stesso), a lato dietro di lei il bue e l’asino.

Sul fondo le rovine romane (simbolo del sorgere del Cristianesimo), in lontananza alcuni soldati armati a cavallo e oltre di loro una collina con un centro abitato. La grande originalità dell’opera risiede nella commistione tra elementi italiani (centralità delle figure principali, orizzonte basso, edificio classicheggiante in rovina, nubi leggere nel cielo) ed elementi nordici (attenzione al dettaglio, ricchezza dell'ornato nelle vesti, nei gioielli e nei doni dei Magi veri capolavori d'oreficeria), che interessa il Dürer dopo il suo primo viaggio in Italia. Tipica del Dürer è poi la cromia che ricorda i toni luminosi e translucidi dell'acquerello, aggiornata alla ricchezza

coloristica veneziana (dominante azzurrina nel cielo e nel

paesaggio accostata ai colori più caldi delle figure in primo piano) dal sapiente dosaggio della saturazione dei colori (capanna scura, cielo terso, rocca velata dalla foschia sul picco di sfondo secondo la prospettiva aerea. Perfette le proporzioni tra figure e ambiente (personaggi su più piani paralleli creano sfondi

diversificati accentuando le figure principali). Sul fondo i colori che diventano più diafani ricordano da vicino il gruppo di sfondo dell'Adorazione di Leonardo, sia nei cavalieri che nel cavallo che s’impenna.

Da notare in primissimo piano tra frammenti di pietra alcune pianticelle e insetti (farfalla bianca, cervo volante, grillo) con precisi significati simbolici (salvezza dell'uomo tramite il sacrificio di Cristo), raffigurati con meticolosità a fronte di veri e propri studi dal vero. Una curiosità e un enigma: l’asino mordace che pone qualche problema dottrinario, e l’assenza della figura di San Giuseppe che, secondo la descrizione di alcuni documenti, si dovrebbe trovare accanto all’asinello.

(22)

‘Festa del Rosario’ (1506) Questa Pala d’altare per la chiesa di San Bartolomeo e

commissionata dalla comunità tedesca

veneziana durante il secondo viaggio in Italia, rappresenta molto bene il momento in cui due delle maggiori scuole europee si fondono nell’opera di un solo artista.

Nella scena il soggetto principale è la Madonna in trono che tiene in braccio il piccolo Gesù, ai piedi del trono il Papa e l'imperatore che ricevono coroncine di rose. Intorno una quarantina di personaggi tra cui la figura sullo sfondo sotto l’albero a destra: il ritratto dello stesso Dürer con una pergamena in mano in cui si legge firma e tempo

di esecuzione dell’opera (5 mesi). Sul fondo una città tedesca.

Dürer in questa rosseggiante Pala dalla festosa serenità assorbe le suggestioni

dell’arte veneta (composizione monumentale e piramidale col trono della Vergine al centro) e rielabora i modelli di Giovanni Bellini

fondendoli con il luminoso cromatismo nordico, una luce quasi abbagliante che permette di indagare l’accurata resa dei dettagli e delle fisionomie, veri e propri ritratti.

A proposito della Pala scrive “Lavorai per mettere a tacere coloro che dicevano che ero un buon incisore

ma che non sapevo trattare

il colore in pittura”. Dürer si ripromette di superare l'alto livello della pittura veneziana e ci riesce,

ricevendo lodi unanimi fra cui

quelle dello stesso Bellini che considera il migliore dei pittori veneziani. Purtroppo la ‘Pala del Rosario’ ha avuto un’esistenza molto travagliata tra danni bellici, vaste ridipinture anche in stile barocco e restauri poco rispettosi.

(23)

‘Adamo ed Eva’ (1507) È un doppio dipinto ad olio che esegue dopo

il secondo viaggio in Italia e raffigura il Peccato originale. Mosso

dagli esempi dell’Alberti e di Leonardo, Dürer si dedica allo studio delle ‘perfette’ proporzioni del corpo umano.

"Che cosa sia la bellezza io non lo so... Non ne esiste una che sia tale da non essere suscettibile di ulteriore

perfezionamento. Solo Dio ha questa sapienza e quegli cui lui lo rivelasse, questi ancora lo saprebbe".

Gli studi culminano con queste tavole in cui la bellezza ideale dei soggetti non scaturisce dalla regola classica delle proporzioni di Vitruvio ma da

un approccio più empirico che, non approdando a un modello definitivo

e ideale, lo porta a creare figure più slanciate, aggraziate e dinamiche, superando quelle precedenti dell’incisone omonima in cui i soggetti sono irrigiditi da un geometrica solidità. Inoltre la disposizione dei due personaggi

rinnova sensibilmente la tradizionale iconografia che li vuole simmetricamente disposti ai lati dell’albero centrale.

Entrambe le figure nude si stagliano su un fondo scuro da cui spunta

la stessa fronda di melo che in parte copre i loro grembi: due figure divise eppure inseparabili. Sembra quasi che tra Adamo ed Eva ci sia un’invisibile attrazione proprio in virtù di quella netta divisione delle tavole che ne

rafforzata il desiderio.

Eva, l’incarnato chiaro e la testa timidamente rivolta verso Adamo, offre cautamente quella mela (tenuta dal serpente attorcigliato al ramo)

che un vibrante Adamo ha già nelle sue mani: si

percepisce il movimento, il gesto da una tavola all’altra, l’atto d’amore.

Per secoli la storia di Adamo ed Eva è la storia del peccato originale, della caduta in disgrazia per la quale gli antenati dell’umanità sono cacciati dal paradiso e condannati a vita. Dürer ne fa un altro racconto che parla di bellezza, corrispondenza, amore, con pennellate delicate e toni tenui che sprigionano armonia e calore.

(24)

‘Cristo fra i dotori’ (1506) Questa tavola a olio risale

al secondo viaggio dell’artista a Venezia e viene eseguita a tempo di record mentre lavora alla Pala della ‘Festa del Rosario’ (come dimostra l’iscrizione ‘Opus Quinque Dierum / Fatto in cinque giorni’ sul foglietto che esce dal tomo).

La tecnica usata è coerente infatti alla

rapidissima esecuzione: Dürer dipinge di getto su un sottile strato di pittura.

Sei dottori (rabbini) attorno a Gesù disputano sulle verità religiose. Il soggetto, già trattato precedentemente, rivela una composizione nuova rielaborata da Mantegna e Bellini:

personaggi che occupano l’intera scena, taglio stretto, figure addossate. Una concentrazione di teste barbe bocche, di grossi libri e mani, attorno a un Gesù dodicenne che sembra

indicare le ‘vere’ verità sulle dita, senza esibire tomi e norme. I vecchi dottori sono una vera e propria galleria di volti ‘individualizzati’ tanto da sembrare quasi delle caricature, come il personaggio mostruoso a destra di Gesù, ripreso dagli studi fisiognomici di Leonardo che caratterizzano “quello straordinario modo di far pittura” (contrasto tra bruttezza estrema ed estrema bellezza).

Dürer rappresenta qui due mondi a confronto: i vecchi dottori del tempio (la tradizione) che discutono con Gesù (il nuovo inizio) ma ne escono sconfitti come vediamo dalle espressioni di contrarietà, stupore,

malanimo, perplessità dei loro volti. E il gioco delle mani

al centro è l’immagine plastica di questa discussione: quelle artritiche e insistenti del vecchio con la cuffia bianca che vogliono fermare le argomentazioni del giovane Gesù, e quelle degli altri saggi ferme sui sacri testi, a dimostrare che solo ciò che sta scritto è legge. Di fronte a quelle mani che esprimono arroganza rigidità e durezza, le mani armoniche e accoglienti di Gesù rimandano al suo fare salvifico verso

(25)

‘I quatro apostoli’ (1526) è un dittico che, nonostante il titolo, rappresenta due coppie di santi e non solo apostoli, ed è l'ultimo lavoro pittorico di Dürer, vero e proprio testamento spirituale maturato con la riforma luterana e apice della sua ricerca pittorica tesa alla ricerca della bellezza espressiva e della precisione della rappresentazione del corpo umano e della

rappresentazione prospettica dello spazio.

Rimasto impressionato dalle cruente rivolte contadine scoppiate

nel 1525 e fomentate da alcuni riformatori religiosi, con quest’opera,

tra i suoi risultati più potenti, Dürer ci mette in guardia contro i falsi profeti: nelle iscrizioni del libro tenuto in mano da Giovanni Evangelista sono riportati infatti brani biblici dalla traduzione di Lutero tra cui un rimprovero ai poteri secolari, rei di aver nascosto la parola divina.

Inoltre, vi si legge che tutti dovrebbero prendere d'esempio questi ‘quattro uomini eccellenti’ che rappresentano i quattro temperamenti umani della teoria umorale e le relative virtù religiose a cui sottostanno: sanguigno (purezza di fede di San

Giovanni, figura intera a sinistra col mantello rosso e il Vangelo in mano) e flemmatico

(fede vissuta e meditata di San Pietro, figura a fianco con le chiavi del Paradiso) nella prima tavola;

melanconico (fede ascetica di San Paolo, figura intera a destra vestita di bianco con spada e tomo di cuoio) e collerico (forza e intensità di fede di San Marco, figura a fianco con

(26)

aspirazioni della committenza: borghesi, banchieri e mercanti. Con il ritratto si riscopre l’individuo, e poiché non è più soltanto il suddito dell’Imperatore o della Chiesa ma soprattutto in Germania è un cittadino con diritti e doveri, nell’arte al realismo si accompagnano i primi approfondimenti psicologici e i dettagli che ne indicano la classe sociale. Così nasce la ritrattistica come costruzione della propria immagine in solidale accordo fra artista e soggetto, che lascia inevitabilmente dei ‘segni’ destinati a parlare nel tempo: una sorta di ‘documento’.

Nel nord Europa assume connotazioni proprie grazie al Dürer che vi dedica un’attenzione

particolare e realizza ritratti d’impressionante realismo, confermando doti d’impeccabile precisione nella resa dei dettagli e grande capacità d’indagine psicologica. Sulla scia degli studi leonardeschi si muove anche nella ricerca delle varie fisionomie spaziando dalla bellezza

alla bruttezza, dall’angelico al grottesco, come si vede perfino nei suoi quadri di scene collettive dove ogni personaggio

ha una sua precisa personalità e manifesta un sentimento, uno stato d’animo, un pensiero. Da notare che spesso Dürer inserisce negli occhi dei personaggi come degli animali un piccolo dettaglio di maestria:

il ‘lustro’, cioè il riflesso di una finestra, che racchiude un significato simbolico. Secondo un’idea diffusa nel ‘500, gli occhi sono la finestra dell’anima e dunque attraverso questi è possibile percepire il mondo interiore di ogni uomo.

Ma è anche traccia visibile d’un elemento presente nell’atelier dell’artista stesso che si rivela nella sua veste d’artefice, attestandone l’autenticità. Inoltre tutti i ritratti di Dürer riportano spesso, oltre al suo monogramma, identità del personaggio, data d’esecuzione, e sul retro gli stemmi di

famiglia.  

(27)

Ritrato di Barbara Holper (1490) È la tavola sinistra del dittico dei genitori

e fa pendant con ‘Ritratto del padre dell’artista’. I ritratti

probabilmente vengono eseguiti dall’artista alla vigilia della partenza da Norimberga per le terre tedesche,

e sono una delle sue prime prove pittoriche conosciute, tuttavia dimostrano

già la sua maturità artistica.

Entrambi i ritratti sono una sorta di dono del Dürer ai genitori per dimostrargli

la sua riconoscenza avendogli permesso di diventare artista. La madre del Dürer è ritratta a busto intero di tre quarti con lo sguardo verso il marito, su sfondo scuro grigiastro. Le mani, che reggono un rosario a grani rossi, sono ben evidenti,

in linea coi modelli della pittura fiamminga. L'abbigliamento è tipico della regione: vestito rosso e castigato dal quale s’intravede una camicia bianca, in testa una grossa cuffia che avvolge totalmente i capelli e poi ricade incorniciando il viso. Incarnato chiaro, sguardo mite, aspetto sobrio e tranquillo di una donna che sembra immersa nei suoi cari pensieri e che emana gentilezza e pazienza.

Ritrato del padre dell’artista (1490) È la tavola destra del dittico dei genitori

e rappresenta il padre. Dürer scriverà nel suo diario: “…Condusse

una vita cristiana onesta e decente, fu paziente e gentile, benevolo con tutti e pieno di gratitudine per Dio”. Il padre del Dürer è ritratto

a busto intero di tre quarti con lo sguardo verso

la moglie, su sfondo scuro verdastro. L’uomo indossa un ampio copricapo nero che scende quasi interamente sui capelli grigi, e un avvolgente cappotto marrone foderato di pelliccia. Le mani grandi e laboriose sgranano il rosario: volto stanco, sguardo pensieroso, occhi intelligenti. Ha l’aria calma d’un uomo silenzioso, sorretto da principi e da buon senso. È un ritratto realistico in cui niente è idealizzato, e in cui ogni dettaglio contribuisce a comporre la psicologia del

personaggio.

I due ritratti sono complementari e insieme creano un notevole equilibrio pittorico: dall’incarnato chiaro della madre e quello più scuro del padre, dal cappello nero

(28)

‘Ritrato di Federico il Saggio’ (1496) Il ritratto probabilmente viene eseguito quando Federico il Saggio, elettore imperiale di Sassonia, si ferma a Norimberga. La brevità del soggiorno giustifica la tecnica inconsueta (tempera) col ricorso a una tela sottile (tüchlein), senza imprimitura, e con colori ad acqua fissati tramite un additivo che essicca rapidamente. Il soggetto è ritratto a busto intero di tre quarti e con lo sguardo dritto allo spettatore,

gli occhi seri che fissano impavidi incutendo rispetto e soggezione. Lo sfondo è anonimo e verdastro. La tipologia del ritratto rimanda

all'arte fiamminga, come lo stratagemma del parapetto su cui appoggia le braccia e come pure il motivo della lettera arrotolata in mano. La postura eretta e il ricco abbigliamento con il grosso berretto a falde larghe ribaltate sottolineano il carattere volitivo di Federico e il suo status.

Dürer lo rappresenta in tutta la sua schietta e severa autorità. ‘Ritrato di Oswolt Krel’ (1499) È la parte centrale di un trittico con due sportelli laterali che mostrano due ‘Uomini selvatici’, forse per la personalità irruente del soggetto.

Sullo sfondo di uno sgargiante drappo rosso si staglia la mezza figura di Oswolt Krel, un commerciante di Ravensburg inquieto e temerario: tratti marcati e sguardo aggressivo rivolto lateralmente, abito

aristocraticamente nero con profondo scollo dal quale s’intravede una camicia bianca, e sopra un manto con bordo di pelliccia. La mano destra appoggiata forse a un parapetto secondo l'iconografia

fiamminga, al dito un grosso anello. Il drappo di fondo si interrompe rivelando un paesaggio lontano, sempre più raro

nei ritratti successivi. I rami degli alberi non hanno ancora la ricchezza e l'accuratezza

degli acquerelli realizzati al suo ritorno dall'Italia, ma lo sguardo e la postura, da

cui traspare la tracotanza del soggetto, dimostrano la capacità del Dürer di rendere con immediatezza la torva e tesa psicologia di un giovane nevrotico, violento, ossessionato rampollo di una ricca famiglia tedesca.

(29)

‘Ritrato di Hans Tucher’ (1499) È la tavola sinistra del dittico ed è il ritratto del marito. Sullo sfondo di un drappo rosso damascato,

che lascia intravedere un luminoso paesaggio, si vede l'uomo ritratto di tre quarti all'altezza delle spalle con lo sguardo rivolto verso

la tavola dove si trova la moglie, con un triplo anello d'oro mostrato nella mano che affiora dal bordo inferiore.

L'uomo (quarantaduenne, come si legge nella scritta sul drappo) ha una posa altera e aristocratica (forse per una certa freddezza attribuita all'indifferenza del pittore nei confronti della committenza), un cappello scuro dalle falde rigirate, la folta bionda e lunga capigliatura e una casacca foderata di pelliccia che ne certifica il suo status sociale.

‘Ritrato di Felicitas Tucher’ (1499) È la tavola destra di un dittico di marito e moglie, il ritratto di Felicitas Tucher. Sullo sfondo dello stesso drappo rosso damascato che lascia intravedere un altro paesaggio, si vede la donna ritratta di tre quarti

all'altezza

delle spalle, lo sguardo rivolto allo

spettatore, e un garofano nella mano che affiora dal bordo inferiore. La donna (trentatreenne, come si legge sempre nella scritta), indossa un'elegante cuffia ricamata che racchiude la chioma di trecce arrotolate attorno alla nuca (moda

dell'epoca per le donne sposate), una veste scollata con una catena

seminascosta, e un fermaglio con le iniziali del marito ‘HT’ a fermare un manto scuro. Il volto espressivo e dai colori freddi

è lumeggiato da pennellate luminose che non risparmiano i segni dell'età.

(30)

‘Ritrato di Eilsabeth Tucher’ (1499) È un altro dittico raffigurante sempre una coppia di cui è andata perduta la tavola del marito. Sempre sullo sfondo di uno drappo rosso damascato che lascia intravedere un luminoso paesaggio, si vede la donna ritratta

di tre quarti all'altezza delle spalle con lo sguardo rivolto al marito, che mostra un anello di rubino nella mano che affiora dal bordo inferiore.

La donna (ventiseienne, come si legge nella scritta) indossa

un'elegante cuffia ricamata che racchiude la folta chioma di trecce arrotolate attorno alla nuca, una veste scollata

e un fermaglio con le iniziali del marito ‘NT’ a fermare un manto scuro. Volto magro

e appuntito, occhi espressivi e chiari, bocca carnosa, collo lungo, curva dolce

delle spalle. Il motivo del paesaggio e del drappo, inventato dai fiamminghi, mostra poche varianti rispetto ai modelli, tuttavia nei ritratti successivi Dürer lo abbandonerà

in favore di uno sfondo uniforme.

‘Ritrato di giovane veneziana’ (1505) È il primo di una serie di ritratti eseguiti da

Dürer durante il secondo viaggio in Italia. La ragazza è ritratta a mezzo busto

di tre quarti su sfondo scuro uniforme. L'incarnato chiaro e i capelli biondi dai finissimi riflessi luminosi tipici del Dürer, raccolti in una preziosa reticella sulla nuca, alcune ciocche a incorniciare il viso, al collo una collana nell'ampia scollatura dell'abito rosso-dorato con ricami e nastri.

La figura si staglia elegante e sensuale e mostra un'attenuazione della severità rispetto ai ritratti precedenti. L'opera è incompiuta, come dimostra il fiocco sulla spalla dove emerge ancora il colore della tavola con la sola imprimitura.

In questo ritratto Dürer guarda a Bellini, del quale scrive in una lettera: “È molto vecchio e tuttora il migliore nella pittura”. Posa e colori riconducono infatti alla ritrattistica veneziana. Non si conosce l’identità della giovane ma se ne ricava la provenienza per

(31)

‘Ritrato di Hieronymus Holzschuher’ (1526) Holzschuher è un senatore di Norimberga ed

è una figura di spicco dell’amministrazione cittadina come Muffel, nonché suo amico.

L’uomo è ritratto a mezzo busto di tre quarti voltato a sinistra con gli occhi che guardano verso lo spettatore, su uno sfondo grigio. Indossa un ampio collo di pelliccia su una giubba scura, ha uno sguardo acuto e penetrante e, a differenza di Muffel, infonde sicurezza e vigore: il contrasto è sicuramente voluto poiché Dürer conosce bene entrambi. Anche qui si nota l’acutezza dei dettagli che l’artista cura

minuziosamente, come la barba bianca ritratta pelo per pelo o i riccioli appoggiati sulla fronte a stemprare un inizio di calvizie. Dall’insieme, che risulta vigoroso, trapela l’energia psicologica della figura che risulta decisamente più risoluta e salda, più determinata e autorevole della precedente.

.

‘Ritrato di Jakob Muffel’ (1526) Il ritratto di Muffel fa pendant con ‘Ritratto di Hieronymus Holzschuher’, entrambi figure di rilievo dell’amministrazione cittadina, perciò i due ritratti vengono commissionati insieme e il

carattere ufficiale delle due tavole è sottolineato dal taglio statuario e dai bordi che lasciano poco spazio attorno a entrambe le figure.

Muffel, un borgomastro di Norimberga, è ritratto a mezzo busto di tre quarti e voltato a sinistra, su sfondo azzurro scuro. Indossa un copricapo scuro, una pelliccia maculata su una giubba sempre scura e una camicia bianca col colletto ornato di pieghette. Lo sguardo è distaccato, perso nel vuoto. L'accuratezza dei dettagli, come nella pelliccia resa quasi ciuffo per ciuffo, non compromette il vigore dell'insieme.

Tuttavia, se confrontato col ‘Ritratto di Hieronymus Holzschuher’, emerge il carattere freddo e disincantato del soggetto, sottolineato dalla bocca sottile e dalle pupille piccole e fisse.

(32)

‘Ritrato di un giovane uomo’ (1521) Probabilmente è il ritratto di Bernhard von Riesen, un

collezionista

di opere d’arte di Danzica che muore di peste solo pochi mesi dopo, o forse il pittore di Bruxelles Bernard

van Orley. Il dipinto è stato comunque realizzato durante

il viaggio dell’artista nei Paesi Bassi ed è uno dei suoi migliori ritratti.

L’uomo è ritratto a busto intero di tre quarti con lo sguardo laterale, su sfondo grigio scuro, una mano appoggiata

al bordo inferiore come da tradizione fiamminga, l’altra stretta a un cartiglio arrotolato.

Ha una giubba severa con ampio collo di pelliccia ravvivata dalla camicia bianca col collo finemente pieghettato, un’enorme

cappello scuro a tese larghe che fuoriesce dal quadro e incornicia il volto sottolineandone il pallore: tratti energici, zigomi alti, naso

robusto, labbra carnose, mento sporgente, sguardo volitivo e intenso.

I capelli biondi e ondulati a caschetto coprono le orecchie.

È il ritratto d’un uomo intelligente e volitivo, pieno di forza e di vitalità, un uomo che pensa e agisce in perfetta sintonia col suo tempo.  

(33)

Nel Medioevo il pittore è solo un artigiano e l'opera d'arte un artefatto per la gloria

di Dio e del committente, che quasi sempre impone temi e contenuti. Perciò l'artista solitamente non firma i suoi lavori. Il Rinascimento rompe questa tradizione: l'artista comincia a

riconoscersi come colui che crea opere uniche e irrepetibili, e inizia non solo a firmarsi ma anche a ritrarsi sempre più spesso,

diventando egli stesso oggetto di auto-osservazione e di riflessione introspettiva.

Va ricordato però che già dalla metà del ‘400 i pittori fiamminghi utilizzano specchio convesso all’interno dei quadri per riflettere la parte di stanza a noi invisibile,

e cioè quella col pittore: un espediente di allargamento spaziale e visivo ma anche, seppur celato, un virtuosismo di vanità.

Dürer esce allo scoperto: conia il suo celebre monogramma con le iniziali AD

e sviluppa anche l'arte dell’autoritratto allo specchio, conquistando un ruolo di primo piano. Gli autoritratti (una cinquantina nell’arco di una vita) per Dürer sono più che un mezzo per ‘esorcizzare’ la mortalità consegnando la propria effige all’eternità della tela: sono il mezzo per esplorarsi, per conoscersi meglio, per veicolare

significati simbolici sul proprio stato di uomo e di artista.

Da precisare che la maggior parte degli autoritratti sono col viso di tre quarti, posa obbligata poiché vengono fatti allo specchio.

(34)

per sposarsi e dedica questo autoritratto alla fidanzata. È a busto intero il viso di tre quarti, sguardo serio rivolto allo spettatore, capelli lunghi e sciolti, un copricapo strano, un abito elegante e complicato. Nella mano destra dei fiori di eringio (nella tradizione popolare tedesca simbolo di fedeltà). Lo sfondo completamente buio fa risaltare il volto e serve da piano di contrasto. I colori sono tendenzialmente caldi e la luce colpisce parte del volto e scivolando sul torace arriva alla mano stretta sui fiori: una luce quindi simbolica che mette in evidenza le parti più significative.

È il primo autoritratto dell’arte europea che si presenti come autonomo, cioè come opera a se stante e rappresenta

l’incontro tra lo stile fiammingo e l’equilibrio classico rinascimentale. Inoltre sono già pienamente presenti quei caratteri di acuta penetrazione psicologica e di trasfigurato realismo che saranno costanti nella sua produzione.

‘Autoritrato con guanti’ (1498 a 27 anni)

È un’opera che mostra la crescita di Dürer verso lo spirito del Rinascimento. L’artista è sempre a busto intero col volto di tre quarti, lo sguardo allo spettatore, una cascata di riccioli

dorati, i vestiti curati, i raffinati accessori. Sullo sfondo (non più monocromatico e convenzionale) una finestra aperta su un paesaggio alpino come quelli visti in Italia, un dettaglio che richiama i dipinti dei suoi contemporanei veneziani e

fiorentini.

Dürer in questo autoritratto si raffigura come un

elegantissimo gentiluomo dallo sguardo aristocratico: in

diretto riferimento alla sua nuova immagine rinascimentale si compiace visibilmente del suo aspetto e del prestigio, perciò celebra la sua fama e l’ingresso nella nobiltà norimberghese. Questo autoritratto è una sorta di omaggio a se stesso:

adesso non è più un artigiano bensì un intellettuale. Adesso è un artista.

(35)

‘Autoritrato con pelliccia’ (1500 a 29 anni) È il più famoso dei suoi autoritratti, un’opera dotata di forte valore simbolico che testimonia quanto Dürer sia ben cosciente del proprio ruolo nel processo di evoluzione artistico. Rigidamente frontale secondo lo schema Medioevale dell'immagine

di Cristo: il viso incorniciato dai capelli, lo sguardo dritto e sicuro, l’abito elaborato col bordo di morbida pelliccia, la mano destra a chiuderne lo scollo. Lo sfondo scuro, e a sinistra la scritta ‘Io Albrecht Dürer di Norimberga,

all’età di ventotto anni, con colori eterni ho creato me stesso a mia immagine’.

Sceglie con intenzione il termine ‘creato’ piuttosto che ‘dipinto’ come

ci si sarebbe aspettati da un pittore. Tuttavia questo autoritratto

non nasce come atto di presunzione: Dürer infatti si riferesce all'Antico Testamento, dove nella Creazione si dice che Dio creò l'uomo a propria immagine e

somiglianza, nell’accezione neoplatonica relativa non solo all'apparenza esteriore ma anche alle capacità creative dell'uomo.

In pratica esplicita la vicinanza tra l’artista e Dio, entrambi partecipi di un mistero creativo divino, suggerendo perciò che l’arte avvicina l’uomo a Dio, e anticipando quei sentimenti di contatto diretto e di dialogo divino che sono alla base della Riforma protestante.

Non ultima la considerazione che gli artisti

rinascimentali hanno di sé, e dunque la volontà di celebrare l’uomo come centro dell’universo,

secondo la visione umanista. Tuttavia quel volto dagli occhi leggermente velati da una sofferenza taciuta ma prorompente

ci comunica anche dolore: Dürer in questo autoritratto sembra quasi confessarsi attraverso la maschera del Christus Patiens, ossia del Cristo dolente. Ma l’immagine del Figlio dell’uomo e della sua ‘passione’ è la passione di tutti gli uomini,

e perciò anche quella del Durer. Non a caso, tutti gli elementi di questa rappresentazione, dal gesto alla posizione e perfino

(36)

È il primo autoritratto della storia in cui un pittore si rappresenta nudo ed è l'esatto opposto degli autoritratti precedenti: un disegno a penna e pennello su carta preparata con un verde di fondo.

In mezzo a due pennellate nere dai margini incerti

e irregolari, sta il Dürer, nudo. Il volto scoperto da una reticella che tiene i capelli, gli occhi sgranati, il corpo muscoloso proteso in avanti, quasi sgraziato dalla torsione. Non è il corpo degli eroi mitologici né quello di Adamo che Dürer ha già dipinto: è il corpo svelato dell’artista, privo delle perfette

proporzioni rinascimentali, anatomicamente realistico e perciò imperfetto. Senza

idealizzazioni e senza fingimenti: solo pura evidenza. Dürer è di un realismo spietato e, come se attraverso il suo corpo studiasse quello di ogni uomo, si costringe

a guardare e a valutare le proprie debolezze, scoprendo perfino ciò che di norma è

nascosto: e ogni dettaglio fisico ci viene consegnato nella sua effettiva natura. Con questo ‘audace’ autoritratto dal tratto svelto e senza fronzoli (scoperto solo dopo la sua morte e raramente esposto), Dürer

interroga se stesso e ci restituisce una dimensione atemporale di una

modernità spiazzante, quasi ad anticipare ‘Autoritratto nudo’ di Schiele. Che ancora quattrocento anni dopo continuerà

(37)

Riferimenti

Documenti correlati

L’algoritmo fornisce indicazioni sull’opportunità di un trattamento farmacologico sulla base dei molteplici fattori già considerati dalla nota 79... QUALI SONO I PRINCIPALI FATTORI

[r]

La gran parte dei fenomeni che ricade sotto la nostra esperienza ammette la corrispondenza con vari modelli e, limitatamente alla completa conoscenza di un certo numero di fatti,

Infatti, alla luce delle prospettive di cresci- ta della popolazione mondiale e delle relative migliori condizioni di vita che si estenderanno plausibilmente a strati sempre più

La coscienza critica si esprime nell’elogio della lentezza e nell’elogio dell’eresia come capacità di ponderazione e assunzione di responsabilità; la memoria storica consente

[r]

In questi casi (rari), gli obbiettivi a grande campo producono un vantaggio che l'occhio non può sfruttare. Si tratta di un inutile aggravio di spesa. --- In tutti gli altri

Crocco has co-chaired the IV International Workshop on Advanced Ground Penetrating Radar (Naples, Italy, 2007), and has been Technical Co-Chair of the XIII International Conference