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IMAGING RADIOLOGICO IN PAZIENTI CON INSUFFICIENZA RENALE CRONICA: CONSIDERAZIONI DOSIMETRICHE

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Academic year: 2021

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Indice

1 Introduzione...5

2 L'Insufficienza Renale Cronica...8

2.1 Definizione di Insufficienza Renale Cronica...8

2.2 Epidemiologia...11

2.3 Fattori di rischio...11

2.4 Cause di CKD...12

2.5 Cenni di fisiopatologia...13

2.6 Alterazioni cliniche nell'Insufficienza Renale Cronica...16

2.7 La valutazione della funzionalità renale...20

2.8 Approccio terapeutico dell'Insufficienza Renale Cronica...23

2.8.1 Il trattamento dialitico...25

2.8.2 Il trapianto d'organo...26

3 Imaging Radiologico nella IRC...27

3.1 Cenni di anatomia e fisiologia dell'apparato urinario...27

3.1.1 I reni...27

3.1.2 Le vie urinarie...28

3.2 Ruolo della diagnostica per immagini nello studio dell'apparato urinario nel paziente nefropatico cronico……….….30

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3.2.2 L'esame radiologico convenzionale...32

3.2.3 La tomografia computerizzata...33

3.2.4 Le tecniche invasive...37

3.3 La nefropatia da mezzo di contrasto...38

4 Indicatori di dose...40

4.1 Introduzione...40

4.2 Le Radiazioni Ionizzanti...41

4.2.1 Gli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti...41

4.3 Principali indicatori di dose fisici utilizzati nella radioprotezione...43

4.3.1 L'esposizione X...43

4.3.2 La dose assorbita...43

4.3.3 La dose equivalente...44

4.3.4 La dose efficace...44

4.4 Descrittore di dose in radiologia convenzionale...45

4.4.1 Dose incidente...46

4.4.2 Dose di ingresso...46

4.4.3 Dose alla cute...47

4.4.4 Prodotto dose aria...47

4.5 Descrittori di dose in tomografia computerizzata...47

4.5.1 CTDI...48

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3 4.5.3 CTDIw...49 4.5.4 CTDIvol...49 4.6 DLP...50 4.6.1 Dose efficace...50 5 Materiali e Metodi...51

5.1 Studio MIRA ESRD...51

5.2 Obiettivi...51

5.3 Originalità del progetto...51

5.4 I pazienti...52

5.4.1 Dimensioni del campione...53

5.4.2 Criteri di inclusione ed esclusione dei pazienti...53

5.5 Personale coinvolto e corrispettivi compiti...54

5.6 Imaging...55

5.7 Raccolta dati tramite TQM...55

6 Risultati...57

7 Discussione...58

8 Abbreviazioni...60

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Capitolo 1

Introduzione

La Commissione Internazionale di Radioprotezione (ICRP) nelle sue raccomandazioni ICRP60/1990 ha stabilito quelli che devono essere i principi fondamentali di radioprotezione ai quali attenersi allo scopo di predisporre un sistema di protezione radiologica efficace dal danno indotto dalle Radiazioni Ionizzanti:

 Giustificazione della pratica

 Ottimizzazione della protezione

 Limitazioni delle dosi individuali

In Italia gli aspetti normativi che trattano del sistema di radioprotezione del paziente sono previsti dal D.Lgs. 187/2000 che attua la normativa 97/43 EURATOM in materia di protezione sanitaria delle persone contro i pericoli da radiazioni ionizzanti connesse ad esposizioni mediche.

Il principio di giustificazione della pratica indica come nessuna attività umana, comportante esposizione alle radiazioni ionizzanti, deve essere accolta a meno che la sua introduzione produca un beneficio netto e dimostrabile agli individui esposti o alla società. Nel campo della Diagnostica per Immagini l'obiettivo è quello di raggiungere una massima qualità di immagine con minima dose di radiazione ionizzante per il paziente.

Il principio di giustificazione per le esposizioni mediche indica che:

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 tutte le esposizioni mediche devono essere giustificate preliminarmente tenendo conto degli obiettivi specifici dell'esposizione e delle caratteristiche del paziente

 l'individuo esposto è lo stesso che riceve un beneficio dall'esposizione stessa

 tenere di conto di tutte le alternative possibili

In Diagnostica per Immagini l'IRCP raccomanda l'uso dei Livelli Diagnostici di Riferimento -LDR- rappresentati da grandezze dosimetriche misurabili e tipiche per ogni procedura diagnostica che forniscono l'informazione di buon funzionamento degli apparecchi radiologici e quantificano l'ottimizzazione del protocollo clinico nel rapporto rischio/beneficio.

Il principio di giustificazione indica come tutte le dosi dovute ad esposizioni mediche per scopi radiologici, ad eccezione delle procedure radioterapeutiche, debbano essere mantenute al livello più basso ragionevolmente ottenibile e compatibile con il raggiungimento delle informazioni richieste (art.4D.Lgs.187/2000) secondo il principio ALARA (As Low As Reasonably Achievable).

"L'uso di radiazioni in esami medici è la maggior fonte artificiale di esposizioni a radiazioni e confrontabile con le esposizioni naturali". Due riconosciuti esperti in materia di radioprotezione, Andreassi e Picano, tramite i loro studi e pubblicazioni focalizzano una questione scottante: per ridurre i rischi connessi all'esposizione è "il tempo di cambiare" l'approccio alla "cultura della sicurezza" [1].

Essenzialmente si rilevano due problematiche che rendono ancora difficile la gestione del rischio. La mancanza di educazione ad un approccio di tipo multidisciplinare che promuova un lavoro in team fra medico radiologo, tecnici di radiologia, clinico richiedente l'esame diagnostico, per attuare una strategia mirata e giustificata in termini di beneficio nei confronti del paziente. Inoltre il superare

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l'obsoleto concetto, che ancora vige in molte strutture ospedaliere, non sempre all'avanguardia, che non è dimostrabile la correlazione tra esposizioni a radiazioni ionizzanti ed effetti biologici di tipo stocastico.

Scopo del mio lavoro di tesi è quello di introdurre il protocollo MIRA ESRD che ha fra le finalità quella di superare le più importanti limitazioni degli studi già presenti in letteratura in quanto a carattere multicentrico e nell'utilizzare come indicatori dosimetrici le dosi effettive al posto della dose organo specifica per quantificare il rischio legato all'esposizione di radiazioni ionizzanti nei pazienti con Insufficienza Renale Cronica in trattamento sostitutivo della funzione renale. Il protocollo MIRA ESRD prevede il coinvolgimento di venti presidi ospedalieri su tutto il territorio nazionale e nel singolo centro periferico promuove uno studio multidisciplinare fra medico radiologo, tecnico di radiologia, fisico associato a struttura sanitaria e nefrologo e permette a questo nuovo team di avvalersi delle più recenti innovazioni tecnologiche per lo studio dei dati dosimetrici.

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Capitolo 2

Insufficienza Renale Cronica

2.1 Definizione di Insufficienza Renale Cronica

Nell'anno 2004 una cooperazione internazionale promossa dalla American Kidney Fondation ha presentato l'iniziativa KDIGO (KIDNEY DISEASE IMPROVING GLOBAL OUTCOMES) con la finalità di risolvere i problemi attinenti alla definizione di Insufficienza Renale Cronica. Gli esperti hanno proposto una classificazione delle malattie renali unica e applicabile su scala mondiale, basata su esami specifici e poco costosi che è stata accettata dalle maggiori realtà scientifiche nazionali che si occupano di malattie renali. Il pregio della classificazione è quello di consentire uno studio epidemiologico su larga scala sia del fenomeno che delle dinamiche di gestione clinica. La categorizzazione della malattia renale cronica in cinque stadi è ormai stata accettata e adottata su scala mondiale e rifinita in vari documenti di cui l'ultimo risale al 2011. In accordo con le linee guida per la gestione della malattia renale del 2002 (KIDNEY DISEASE OUTCOMES QUALITY INITIATIVE -K/DOQI-) la malattia renale cronica (CHRONIC KIDNEY DISEASE -CKD-) è quindi definita come presenza di danno renale per più di tre mesi, con o senza riduzione del filtrato glomerulare, indicato da anomalie all'esame delle urine o del sangue, ovvero tramite la riduzione del livello di funzionalità renale (GFR < 60 ml/min/1,73m2) [2]. In aggiunta la KDIGO inserisce il riferimento alla eventuale terapia sostitutiva in corso nel paziente nefropatico cronico definita con la lettera T per trapianto o D per dialisi. Il quinto stadio della classificazione indica che i reni hanno perso quasi del tutto le loro funzioni fisiologiche e come tali danno luogo alla sindrome uremica ad oggi indicata come END STAGE KIDNEY DISEASE –ESKD- a cui

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segue un insieme di manifestazioni cliniche di origine elettrolitica, cardiocircolatoria, neurologica, ossea e nervosa. L'inquadramento clinico del paziente nefropatico con insufficienza d'organo utilizza come principali markers di danno renale la presenza di proteinuria, definita come escrezione urinaria di proteine >150mg/die, di microematuria, di macroematuria, di piuria e rilievo di reperti compatibili con patologia renale alle tecniche di imaging (ecografia, TC, RMN). Resta tuttavia il livello di funzionalità renale, valutata sulla stima della velocità di filtrazione glomerulare (GLOMERULAR FILTRATION RATE -GFR-) il principale parametro su cui si basa la classificazione della CKD in cinque stadi. Esso ha la finalità di descrivere la riduzione graduale, progressiva e irreversibile della funzione renale per la perdita di nefroni funzionanti. Inoltre distingue la malattia renale cronica, intesa come condizione patologica caratterizzata da processi infiammatori o sclerotici a carico del parenchima renale che nel tempo determinano una riduzione della funzione renale con tendenza progressiva all' IRC, dal quadro di insufficienza renale cronica (END STAGE KIDNEY DESEASE -ESKD-) intesa come condizione patologica caratterizzata dalla perdita irreversibile della funzione renale e che in quanto tale richiede trattamento sostitutivo rappresentato dalla dialisi peritoneale, emodialisi o dal trapianto di rene.

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10 Figura 1. Nuova stadiazione dell’IRC.

Ad oggi diversi studi pongono l'accento sul ruolo della proteinuria come fattore di rischio di morte correlata ad una diminuzione del GFR. Una recente metanalisi evidenzia come per un valore di proteinuria 8 volte maggiore rispetto al valore normale, si associa ad un rischio di morte del 40% e un aumento di circa tre volte l'ingresso in dialisi dopo aggiustamento del GFR e altri fattori di rischio. Pertanto la KDIGO ha esaminato la relazione tra il GFR e l'albuminuria con la mortalità e gli outcomes renali in una coorte comprensiva di pazienti della popolazione generale, quelli ad alto rischio cardiovascolare e quelli con malattie renali riportando come l'incidenza della mortalità cardiovascolare e della progressione della CKD e dell' ESRD aumenti in tutti i pazienti con elevati livelli di albuminuria e diminuzione del GFR.

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L'IRC è una sindrome complessa che coinvolge diversi organi e in quanto tale il trattamento richiede un approccio multidisciplinare. Istituiti Internazionali come il Center for Disease of Control and Prevention inquadrano la CKD come un problema di salute pubblica di prima grandezza su scala mondiale e che dal punto di vista epidemiologico ha la stessa rilevanza in Europa come negli Stati Uniti. Rappresenta oggi una condizione sempre più rilevante, sia dal punto di vista sanitario che economico per l'invecchiamento della popolazione, per gli stili di vita non coerenti alle regole del wellness (fumo, dieta scorretta, sedentarietà, alcool) per l'aumento delle malattie degenerative (ipertensione, diabete mellito, aterosclerosi) che ne sono cause determinanti in associazione a uso di farmaci nefrotossici e all'auto-medicazione. In Italia la prevalenza standardizzata di nefropatia si stima intorno al 9.33% di cui l'11.93% sono donne e 6.49% uomini e ciò corrisponde a circa 4.4 milioni di soggetti nefropatici presenti su tutto il territorio italiano. In Italia l'andamento dell'incidenza dell' END STAGE RENAL DISEASE (ESRD, Insufficienza Renale Cronica Terminale) ha mostrato un trend in crescita e tale fenomenologia riconosce sia motivazioni epidemiologiche, demografiche e sanitarie (invecchiamento della popolazione, aumento della prevalenza delle malattie degenerative croniche), ma anche una gestione clinica della CKD non ottimale. Se negli Stati Uniti la frequenza di pazienti con CKD si stima intorno al 20% (studi NHANES National Health and Nutrition Examination Survey), in Italia, nella popolazione adulta, è possibile sostenere che un italiano su sette soffra di insufficienza renale moderata, quindi circa il 13%, con un valore, in termini di filtrato glomerulare, dimezzato o più che dimezzato rispetto alla norma [3].

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Le linee guida della KDOQI indicano come fattori di rischio per lo sviluppo di malattia renale cronica: il diabete, l'ipertensione, le malattie autoimmuni, le infezioni sistemiche, le esposizione a farmaci o a procedure associate con una riduzione acuta della funzionalità renale, un pregresso episodio di insufficienza renale acuta, l' età > 65 anni, una storia familiare di malattie renali croniche, la ridotta massa renale [4]. La presenza di importanti comorbilità come Ipertensione Arteriosa e Diabete Mellito accelerano l'evoluzione del quadro di Insufficienza Renale Cronica ed è causa di incremento del rischio cardiovascolare. La malattia cardiovascolare è la principale causa di exitus nei pazienti nefrotossici cronici già in trattamento dialisi.

Figura 2. Fattori di rischio associati all’IRC.

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La CKD può essere provocata da qualsiasi importante causa di disfunzione renale. Se fino a qualche anno fa la causa più comune di Insufficienza Renale Cronica era sostenuta da quadri di glomerulopatie, primarie e secondarie, oggi si sostiene senza dubbio che, in Italia la causa principale è la nefropatia diabetica nel 34% dei casi a cui segue l'ipertensione arteriosa nel 30%. Importante ruolo quello delle nefropatie ereditarie e congenite del rene come il rene policistico e la sindrome di Alport.

Figura 3. Cause di IRC.

2.5 Cenni di fisiopatologia

L'Insufficienza Renale Cronica è caratterizzata da una graduale, progressiva e irreversibile riduzione della funzione renale sia in senso emuntorio sia in senso omeostatico. Dal punto di vista anatomopatologico ciò si spiega con la naturale tendenza della progressione del danno che determina sclerosi glomerulare e

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fibrosi tubulo interstiziale, entrambe tipiche caratteristiche della flogosi cronica che, col tempo, portano alla distruzione del parenchima funzionante [5]. Caratteristica dell'Insufficienza Renale Cronica è la progressione del danno indipendentemente dalla causa che lo ha provocato e raggiunto meno del 50% del totale dei nefroni funzionanti, la malattia procede nella fase terminale. Come si arriva all'insufficienza d'organo? Tramite due meccanismi: da un lato è presente un'alterazione emodinamica che comporta iperfiltrazione e ipertensione glomerulare, dall'altro un'alterazione non emodinamica che vede l'attivazione dei fattori di crescita come citochine pro-infiammatorie che provocano la sclerosi glomerulare e la fibrosi tubulo interstiziale. Alle alterazioni anatomopatologiche corrispondono le manifestazioni cliniche che consistono in importanti alterazioni delle funzioni emuntorie ed endocrino metaboliche proprie del rene. Inizialmente, come prima risposta al progredire del danno, si è dimostrato che la riduzione della massa renale determina una ipertrofia anatomica e funzionale dei nefroni superstiti dovuta allo stato di iperfiltrazione che si instaura attraverso l'aumento della pressione e del flusso nei capillari glomerulari. Col passare del tempo questi fenomeni compensatori finiscono tuttavia per rivelarsi svantaggiosi in quanto predispongono alla glomerulosclerosi per l'aumento del carico funzionale sui glomeruli meno danneggiati con il risultato di un loro rapido deterioramento. Quando un capillare è sottoposto a stress ciò provoca un danno endoteliale. L'endotelio risponde ipertrofizzandosi e diminuendo il calibro del proprio lume, i podociti così stirati soffrono, si staccano dalla membrana ed essendo privi di capacità riproduttive, si depositano sulla matrice mesangiale. Il coinvolgimento dell'interstizio da parte delle cellule tubulari che attivano citochine si risolve nella produzione di matrice extracellulare, fibrosi e infine cicatrice quindi perdita di parenchima renale funzionante non recuperabile.

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Figura 5. Cofattori coinvolti nella progressione della MRC.

2.6 Alterazioni cliniche nell'Insufficienza Renale Cronica

L'effetto finale della grave riduzione della massa nefronica è l'alterazione del funzionamento di quasi tutti gli organi e apparati corporei [6]. Uremia è il termine che si usa generalmente per indicare la sindrome clinica osservabile nei pazienti con grave deficit della funzione renale. Il termine fu adottato originariamente per spiegare le alterazioni osservabili nei pazienti nefropatici cronici che presentavano all'esame del sangue con ritenzione di urea e altri prodotti terminali del metabolismo come le guanidine e altri, normalmente escreti con le urine. Oggi, nella pratica clinica, l'uremia descrive una lunga serie di compromissioni con corrispondenti manifestazioni cliniche. Inizialmente è presente il quadro compensatorio già descritto, a cui segue, per diminuzione di massa nefronica,

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ipertensione glomerulare, aumento della porosità della barriera glomerulare e quindi della permeabilità delle macromolecole. A seguire negli stadi 2 e 3 dell'Insufficienza Renale Cronica si registra un maggior effetto osmotico per eliminare le scorie azotate accumulatesi e quindi maggiore eliminazione di acqua che si presenta sotto forma di poliuria e nicturia. Negli stadi 3 e 4 per diminuita risposta del tubulo renale all'ADH (Antidiuretic Hormone) è presente una moderata ritenzione idrica che si aggraverà nella fase terminale presentandosi sotto forma di edemi declivi, rantoli alle basi polmonari e respiro paradosso di Kussmaul. Le alterazioni dei liquidi, degli elettroliti e del ph si possono manifestare rispettivamente con la presenza di natriuria per eccessiva perdita di sodio causata da importante diminuzione del numero dei nefroni e da iperattivazione dei superstiti; quadro di acidosi metabolica per un valore di ph < 7,35 dovuto a produzione endogena dei cataboliti delle proteine, ad ossidazione degli amminoacidi sia per maggiore eliminazione di idrogenioni, sia per diminuzione di riassorbimento di bicarbonati. Il paziente riferirà dispnea e iperventilazione compensatoria. Inizialmente l'acidosi è compensata dal quadro di iperpnea per eliminare gli idrogenioni, ma in fase terminale, per mancanza di produzione di bicarbonati da parte del tubulo renale, gli idrogenioni in eccesso sono tamponati dal calcio e dal fosforo mobilizzati dall'osso dando luogo al quadro di osteodistrofia uremica. Recenti studi coinvolgono anche il fattore FGF23 come elemento chiave per spiegare l'ipovitaminosi D da iperfosforemia secondaria a IRC coinvolto nell' inibizione dei processi anabolici dell'osso uremico. Sebbene i sintomi clinici dell'osteodistrofia siano rari, se invece è manifesta, si presenta con prurito associato a miopatia prossimale al muscolo quadricipite del femore. Essendo coinvolti meno del 10% dei pazienti con IRC avanzata non ancora in dialisi, si osservano alterazioni radiologiche in circa il 35% dei pazienti in quadro terminale. Nei pazienti in trattamento dialitico da

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molti anni, i sintomi dell'osteodistrofia sono comuni e gravi e più frequenti nei bambini e comunque nei pazienti con una lenta progressione all'insufficienza d'organo. Si identificano tre principali tipi di alterazioni radiologiche: 1) analoga al rachitismo nutrizionale infantile, con allargamento della linea epifisaria di accrescimento; 2) osteite fibrosa, alterazione ad alto rimodellamento osseo, da aumento del paratormone che attivando il riassorbimento osseo ne aumenta la componente fibrosa; 3) osteosclerosi per aumentata densità ossea dei margini superiore e inferiore delle vertebre, la cosiddetta colonna a strisce (Rugger Jersey Sine). Il quadro di osteomalacia è secondaria o alla diminuita disponibilità del paratormone o alla resistenza verso lo stesso. La mobilizzazione di calcio e fosforo porta ad un quadro di ipocalcemia e iperfosforemia che spiegano l'iperparatiroidismo secondario presente nei pazienti. Per l'attivazione del sistema simpatico il paziente presenterà ipertensione arteriosa accompagnata da quadri di ipertrigliceridemia, iperinsulinemia e iperglucagonemia rispettivamente per aumento delle VLDL e diminuzione delle HDL, per ridotta tolleranza ai carboidrati e resistenza all'insulina periferica per la costante presenza di tossine uremiche in circolo. Importanti alterazioni ematologiche come lo stato di anemia normocromica normocitica caratterizzano il nefropatico cronico terminale con deficit di produzione di eritropoietina ed emolisi cronica per l'anemia da ipofunzione del midollo che induce una minor vita agli eritrociti per azione diretta delle tossine uremiche sugli stessi. Al quadro clinico di alterazione gastrointestinale che si manifesta precocemente con nausea, vomito, singhiozzo, per la presenza di concentrazioni elevate dei cataboliti dell'azoto, si aggiunge nelle fasi avanzate, il tipico alito uremico dovuto alla trasformazione di urea ad ammoniaca nella saliva, insieme alla presenza di ulcere sanguinanti, presenti in ogni tratto della mucosa gastrica. L'ulcera peptica compare in oltre un quarto dei pazienti uremici. Le alterazioni polmonari, descritte in termini di edema

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polmonare, che nel quadro dell'uremia si osserva spesso non è conseguenza di sovraccarico di volume, ma di aumentata permeabilità della membrana alveolocapillare da cui origina la congestione vascolare perilare. Tutto questo si evidenzia col quadro radiologico tipico polmonare ad "ali di farfalla" risponde spesso e prontamente all'ultrafiltrazione. Nello stato uremico terminale, con GFR <15.0 ml/min iniziano a comparire precocemente disturbi della funzione del sistema nervoso centrale come incapacità alla concentrazione, ottundimento, insonnia. La compromissione del rene nella sua totale funzione fisiologica aumenta notoriamente il rischio cardiocircolatorio e ai fattori di rischio "classici" che preludono uno stato di alterazione cardiaca, si associano quelli che si evidenziano in corso di stato uremico.

Figura 6. Distinzione dei fattori di rischio cardiovascolari “classici” e fattori di rischio in corso di ESKD.

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2.7 La valutazione della funzionalità renale

Parametro fondamentale per la valutazione della funzionalità reale è il GFR ovvero la stima della velocità della filtrazione glomerulare, intesa come la somma delle velocità di tutti i nefroni funzionanti presenti nella corticale renale. In un uomo il valore normale varia da 90-140 ml/min, nella donna da 80-125 ml/min. Al valore di GFR pari a < 60 ml/min un adulto è quasi sempre asintomatico, è oramai appurato che una riduzione del GFR precede di anni l'Insufficienza renale Cronica in tutte le forme di patologie renali progressive. Un paziente inquadrato clinicamente come nefropatico si segue nella routine clinica con il dosaggio della creatinina sierica, questo, tuttavia, usato come singolo parametro purtroppo non è indice precoce di perdita di funzionalità renale. La pratica clinica insegna che la metà circa dei pazienti con GFR compreso tra 80 e 40 ml/min presenta una creatininemia "nella norma". Ciò dipende dal fatto che la creatininemia non è un parametro inerte, ma al contrario è strettamente correlata alla massa muscolare, al sesso, all'età, alla razza, all'alimentazione.

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Figura 7. Ruolo del VFG nello screening dei soggetti a rischio per IRC.

La sola misurazione della clearance della creatinina, richiedendo la raccolta delle urine nelle 24 ore, non risponde in modo immediato alla stima del GFR [8]. Per tale motivo, negli ultimi quarantacinque anni circa, sono state elaborate equazioni in grado di ricavare una stima approssimativa del filtrato a partire dal valore di creatinina plasmatica. Nel 1976 Cockroft e Gault elaborarono l'omonima formula combinando il valore di creatinina sierica con dati antropometrici del paziente quali: l'età (in anni), il peso (in kilogrammi) e il sesso. Il risultato dell'equazione deve essere moltiplicato per 72 nel caso di paziente uomo e per 85 nel caso di un paziente donna. I limiti di questa formula, per quanto di facile utilizzo nella pratica, risiedono sia nella sottostima del GFR dell'età dei pazienti, che deriva dai pochi pazienti con età maggiore a sessanta anni arruolati nello studio di Cockroft

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e Gault, sia nella sovrastima di pazienti in sovrappeso o obesi. Per superare questi problemi si sono elaborate altre formule basate su algoritmi più complessi, come la cosiddetta formula MDRD (MODIFICATION Of DIET In RENAL DISEASE) elaborata nel 1999, molto utilizzata nella pratica clinica nella sua forma abbreviata, che si basa sulla combinazione del valore di creatinina sierica con dati quali età, sesso, etnia.

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Figura 9. Calcolo della formula semplificata MDRD.

Attualmente è in uso anche la formula CKD - EPI (CHRONIC KIDNEY DISEASE EPIDEMIOLOGY COLLABORATION) sviluppata mettendo in relazione il GFR, valutato tramite la clearance dell'iotalamato, con la combinazione della creatinina sierica, età, sesso, razza, normalizzati per una superficie corporea standard [9]. Il vantaggio di quest'ultima formula risiede in una maggiore accuratezza, rispetto alle altre sopra citate, nella stima del GFR > 60 ml/min.

2.8 Approccio terapeutico nell'Insufficienza Renale

Cronica

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Figura 10. LG per l’inquadramento del paziente nefropatico.

Il paziente nefropatico cronico richiede un approccio multidisciplinare. Nel corso della sua storia andrà incontro a esigenze cliniche diverse che richiedono l'impegno di figure distinte che, tuttavia, sono parte di un unico processo di cura e che si muovono a partire dalla gestione quotidiana con il Medico di Medicina Generale a quella in acuta tramite interventi specialistici in regime principalmente di ricovero. E' bene specificare che sono sempre più numerose in letteratura le segnalazioni riguardanti benefici clinici ottenuti dalla presa in carico del paziente affetto da Insufficienza Renale Cronica tramite trattamento guidato e combinato di farmaci e dieta, ma resta che la caratteristica della CKD è la progressione alla perdita della funzione fisiologica del rene indipendente dalla causa scatenata pertanto il paziente andrà accompagnato verso la fase terminale della malattia

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dove sarà sottoposto a procedure sempre più invasive come somministrazione di farmaci sottocute, trattamento dialitico e in alcuni casi trapianto d'organo.

Figura 11. Indicazioni alla Terapia Sostitutiva nel paziente con funzionalità renale compromessa.

2.8.1 Il trattamento dialitico

Le Linee Guida Internazionali suggeriscono che il paziente con GFR < 15 ml/min venga inserito nel trattamento dialitico. Le due modalità dialitiche per la sostituzione della funzionalità renale, dialisi peritoneale e dialisi extracorporea, emodialisi, sono scelte in base al performance status del paziente e alle sue variabili cliniche e sociali. E' ben nota l'importanza di disporre della fistola artero-venosa o del catetere peritoneale con anticipo rispetto all'inizio del trattamento,

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alcuni nefrologi provvedono personalmente, altri si avvalgono del supporto chirurgico e successivamente è entrata nella routine clinica lo screening degli accessi vascolari.

2.8.2 Il trapianto d'organo

Il trapianto di rene, sia trapianto da cadavere sia da vivente, è considerato la migliore opzione nel trattamento della Insufficienza Renale Cronica; infatti, malgrado i notevoli progressi nel campo dei due trattamenti dialitici, la qualità della vita del paziente trapiantato è certamente migliore del dializzato cronico [10]. Grazie al miglioramento delle metodiche di trattamento preoperatorio e soprattutto alla disponibilità di farmaci "anti rigetto" affidabili e maneggevoli, oggi sono considerati candidabili al trapianto, soggetti che un tempo venivano esclusi sia per presenza di malattie sistemiche (LES, cistinosi, amiloidosi, etc.) sia per età avanzata, sia per importanti patologie a carico del sistema cardiocircolatorio. Oggi si ritiene che il trapianto non implichi rischi superiori a quelli previsti per la stessa dialisi cronica e globalmente consente una migliore qualità di vita. Si ritengono tuttavia controindicazioni assolute al trapianto la reversibilità dell'insufficienza renale, la possibilità di mantenere una buona qualità di vita con trattamenti conservativi, la presenza di patologie extrarenali (tumori, insufficienza cerebrovascolare), presenza di processi infettivi in corso, glomerulonefriti in fase di attività, precedente sensibilizzazione ai tessuti del donatore. I risultati migliori a lungo termine sono per i trapianti da vivente per la maggiore istocompatibilità.

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Capitolo 3

Imaging Radiologico dell'Insufficienza

Renale Cronica

3.1 Cenni di Anatomia e Fisiologia dell'Apparato

Urinario

L'apparato urinario è costituito dai reni, situati nella regione posteriore dell'addome a cui fanno seguito le vie urinarie. I reni sono due voluminosi organi presenti nella parte posterosuperiore della cavità addominale. Le vie urinarie iniziano in corrispondenza dei reni con i calici o bacinetti renali e proseguono con gli ureteri che, portandosi verso il basso, terminano nella vescica urinaria, organo cavo e impari che rappresenta un vero e proprio serbatoio dell'urina, posta nella cosiddetta cavità pelvica che comunica con l'esterno tramite l'uretra. Nel maschio l'uretra è molto lunga, poco dopo la sua origine dalla vescica riceve sia lo sbocco delle vie spermatiche, sia delle ghiandole prostatiche per poi aprirsi all'esterno in corrispondenza del glande. Nella femmina il percorso dell'uretra è breve, presentando il suo sbocco nella porzione anteriore del vestibolo della vagina.

3.1.1 I Reni

I reni, destro e sinistro, sono posti ai lati della colonna vertebrale, nelle fosse lombari, dietro al peritoneo che tappezza la parete posteriore della cavità addominale e in quanto tali sono detti organi retroperitoneali. Rispetto al rachide si estendono dal margine inferiore della 11 vertebra toracica al margine superiore della 3 vertebra lombare; il rene destro è posto più in basso rispetto al sinistro di circa due centimetri per il rapporto che contrae col fegato. Il parenchima renale si

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distingue in una zona periferica, la corticale, riccamente vascolarizzata e una zona più interna, la midollare in cui sono maggiormente rappresentate le strutture tubulari. La zona midollare, di colorito rossastro e di aspetto finemente striato, risulta organizzata in 8-18 formazioni coniche, le piramidi renali del Malpighi, che con la loro base periferica continuano nella corticale, con il loro apice arrotondato sporgono nel seno renale come papille renali. La zona corticale appare di colorito tendenzialmente giallastro, è situata tra la base delle piramidi renali e la superficie dell'organo. La zona corticale a sua volta è organizzata in una parte cosiddetta radiata, costituita dai raggi midollari di Ferrein che originano dalla base delle piramidi renali e in una parte cosiddetta convoluta che occupa gli spazi fra i raggi midollari e forma le colonne renali. La disposizione della zona midollare e corticale e l'organizzazione di quest'ultima consente di distinguere lobi e lobuli in ciascun rene. Un lobo renale è costituito da una piramide renale e il corrispondente strato di zona corticale; il lobulo renale è costituito da un raggio midollare e dalla parte della convoluta che lo circonda. Il parenchima renale è rappresentato dalle unità elementari del rene, i nefroni e dallo stroma renale, di natura connettivale che contiene i vasi sanguigni, i linfatici, le terminazioni nervose del plesso renale. I nefroni consistono in una parte filtrante, il corpuscolo renale, e una parte riassorbente e secernente, il tubulo renale, che si diparte dalla capsula glomerulare di Bowman, rappresenta caratteristiche strutturali e funzionali differenti nelle sue tre porzioni: il tubulo prossimale, l'ansa di Henle, il tubulo distale. Al livello dei corpuscoli renali per un fenomeno di ultrafiltrazione del plasma sanguigno si forma l'ultrafiltrato glomerulare - urina primaria - nella quantità media di 180 litri nelle 24 ore. A livello del tubulo renale, l'ultrafiltrato viene modificato in urina definitiva [11].

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I calici e la pelvi rappresentano la prima parte delle vie urinarie extrarenali e trasportano l'urina dalle papille renali all'uretere. I calici sono contenuti nel seno renale, circondati da tessuto adiposo e dai rami di divisione dei vasi e dei nervi renali. Si differenziano in calici minori e maggiori per poi sboccare nella pelvi renale o bacinetto che ha forma ad imbuto schiacciato in senso anteroposteriore. La pelvi è contenuta nel seno renale, ma con la sua parte ristretta, rivolta in basso e medialmente, si continua nell'uretere, sporgendo dall'ilo renale. Gli ureteri sono condotti pari e simmetrici che hanno la funzione di collegare la pelvi renale, da cui originano senza un limite netto, con la vescica urinaria e, nella piccola pelvi, terminano tramite l'orifizio o meato ureterale nella parete posteriore della vescica con direzione antero mediale. La vescica urinaria è un organo cavo muscolomembranoso, con funzione di serbatoio dell'urina, che viene qui trattenuta fino a quando si raggiunge la capacità vescicale di circa 300 ml. La vescica è posta nella cavità pelvica presenta un fondo vescicale, un corpo e un collo con l'orifizio vescicale posto inferiormente. L'uretra che ha presentazione anatomica maschile e femminile completamente differente, origina in entrambi i casi tramite il meato uretrale interno in corrispondenza dell'apice anteriore del trigono vescicale, per poi avere lo sbocco tramite il meato uretrale esterno, rispettivamente in corrispondenza dell'apice del glande e a livello del tetto del vestibolo della vagina [12].

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Figura 12. Illustrazione anatomica del corpuscolo renale e del tubulo renale.

3.2 Ruolo della Diagnostica per Immagini nello studio dell'apparato urinario nel paziente nefropatico cronico.

La diagnostica per immagini dell'apparato urinario si avvale di diverse tecniche grazie alle quali è possibile lo studio dei reni, ureteri, vescica. Scolasticamente si distingue un'indagine di prima istanza approcciata tramite gli ultrasuoni, quindi Tecnica Ecografica, sia per lo studio della morfologia del rene, sia con l'ausilio del Doppler, per la sua ricca vascolarizzazione e indagini cosiddette di secondo livello tramite la Radiologia Convenzionale e la Tomografia Computerizzata.

3.2.1 L'Ecografia

Il ruolo dell'Ecografia nelle malattie renali è quello di differenziare una patologia di origine nefrologica da una urologica; differenziare tra quadri clinici di Insufficienza Renale Acuta e Cronica tramite la valutazione del volume d'organo; permettere il follow-up della malattia e guidare alcune procedure come l'agobiopsia renale. Con l'impiego di ultrasuoni è infatti possibile individuare eventuali formazioni cistiche, la presenza di lesioni solide, postumi di traumi e

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calcoli, localizzati nei calici o nel bacinetto rilevabili come formazioni iperecogene e con cono d'ombra posteriore. Agli ultrasuoni è quindi possibile caratterizzare la pelvi, valutare le dimensioni renali e l'ecogenicità parenchimale. Nel quadro dell'Insufficienza Renale Cronica il volume renale è diminuito per perdita di massa nefrosica; le dimensioni renali normali sono valutate tramite il diametro interpolare massimo con una scansione obliqua posteriore e corrispondono ad un valore normale di 10,74 ±1,35 centimetri per il rene destro e di 11,0 ±1,15 centimetri per il rene sinistro con un limite inferiore della norma comunemente indicato a 9 centimetri. Se le dimensioni renali sono inferiori agli 8 centimetri, si considerano ridotte e da ascrivere ai quadri di Insufficienza Renale Cronica. Tra 8 e 9 centimetri si correla con l'altezza del paziente e per differenziare al meglio i reni normalmente funzionanti con quelli soggetti a nefropatia terminale è stata introdotta una valutazione del volume con la formula dell'ellissoide eventualmente normalizzata con l'indice di massa corporea BMI del paziente in esame. La riduzione del volume renale è da considerare un indice prognostico negativo e correla istopatologicamente con il grado di atrofia (da reflusso, post-flogistica), necrosi, fibrosi, ipoplasia congenita e ipoperfusione. Tra i limiti dello studio diagnostico dell'apparato urinario tramite ultrasuoni da segnalare il fatto che gli ureteri non sono esplorabili, se non nel tratto prossimale e iuxtavescicale, quando sono dilatati. Nello studio ecografico del rene patologico esistono , tuttavia quadri clinici importanti, che si caratterizzano per rilevare un aumento del volume d'organo. Nel caso del paziente nefropatico diabetico, agli ultrasuoni il rene diabetico si mostrerà in modo diverso in base alla fase clinica della malattia. Nella nefropatia diabetica iniziale, quindi con rilievo di microalbuminuria agli esami di laboratorio, il rene appare aumentato di volume (diametro bipolare > 12 cm), ipoecogeno e con aumentato spessore parenchimale. Nella fase clinica di diabete conclamato (presenza di proteinuria, ipertensione e

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retinopatia) la progressione dell'insufficienza d'organo causata dal danno al microcircolo coesiste con un'evidente discrepanza tra aumento di volume all'ecografia (rene megalico e ipoecogeno) e caduta del GFR. Questo rilievo di imaging e di laboratorio segna il passaggio verso il quadro di uremia terminale. Il rene del paziente affetto da rene policistico, malattia autosomica dominante, appare nettamente aumentato di volume in tutti i diametri (diametro longitudinale > 12 cm) e destrutturato a causa di una massiva degenerazione della corticale e della midollare. Nelle nefropatie infiammatorie secondarie si registra un aumento del volume del rene colpito.

Una volta inquadrato il paziente nefropatico cronico tramite la combinazione di anamnesi, esame obiettivo, esami laboratoristici e Diagnostica per Immagini di prima istanza, lo step successivo è quello di ricorrere allo studio tramite l'esame radiologico convenzionale - RX - e soprattutto all'esame Tomografico Computerizzato -TC-. E' possibile anche avvalersi della Medicina Nucleare, nello specifico della scintigrafia renale, a seconda del quadro del paziente [13].

3.2.2 L'esame radiologico convenzionale

L'esame radiologico tradizionale (esame diretto dell'apparato urinario) ha il ruolo di evidenziare la presenza di formazioni radiopache calcifiche, formazioni litiasiche o calcificazioni vascolari a livello del decorso degli ureteri, della vescica. Consente una determinazione approssimativa di forma e dimensione dei reni, della loro posizione e dei rapporti con i muscoli ileo-psoas. L'esame richiede una preparazione del paziente, mediante accurata pulizia intestinale, per evitare difficoltà all'interpretazione per presenza di residui fecali o gas. Nel caso di un paziente nefropatico terminale si richiede, tuttavia, uno quadro diagnostico più dettagliato che combini lo studio morfologico dell' apparato con la valutazione dell'integrità e della funzionalità del parenchima renale e quindi si è soliti ricorrere

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al gold standard degli esami di secondo livello, l'esame TC. Restano tuttavia a disposizione l'urografia endovenosa, metodica contrastografica che offre una panoramica dell'apparato urinario sulla valutazione morfologica del parenchima renale e delle via escretrici che indirettamente determina anche una valutazione qualitativa della funzionalità renale, tramite somministrazione di Mezzo di Contrasto -MdC - organoiodato idrosolubile sia a bolo, sia per infusione continua, mediante flebocisti, che è stata, ampiamente sostituita dall'esame TC. L'esame urografico prevede inizialmente, a vescica vuota, un radiogramma diretto dell'addome, viene poi somministrato per via endovenosa il MdC, si distinguono così tre fasi successive:

nella prima - fase nefrografica - si evidenzia il parenchima renale;

nella seconda - fase calico-pielografica - si evidenziano le strutture calicopieliche e uretrali;

nella terza - fase cistografica - è presente l'opacizzazione della vescica. Esistono delle controindicazioni a questo esame che vanno comunicate al medico e che sono da ascrive all'uso dello stesso mezzo di contrasto: lo stato di Insufficienza Renale (GFR <30 ml/min) e lo stato di gravidanza. Per lo studio delle basse vie urinarie, vescica e uretra, è invece a disposizione la cistografia retrograda. Essa prevede la somministrazione di MdC radiopaco iodato idrosolubile, previo cateterismo trans uretrale, con cui viene riempita la vescica che appare così visibile nei radiogrammi. Successivamente, sotto controllo radioscopico, è possibile controllare la funzione minzionale e individuare la eventuale presenza di alterazioni del calibro uretrale [14].

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L'esame TC eseguito prima e dopo somministrazione endovenosa di MdC organo iodato idrosolubile, permette uno studio morfologico dettagliato dei reni e delle strutture pararenali. Non solo individua presenze intrinseche al parenchima renale, ma anche le eventuali alterazioni vascolari, del peduncolo vascolare e dei vasi, acquisendo le immagini in fase arteriosa, venosa e tardiva ed è possibile utilizzarla nel prelievo bioptico per una tipizzazione di lesione. Oltre ad una notevole migliore risoluzione spaziale consentita dall'esame TC rispetto all'esame urografico, ad oggi si è passati all'esame TC in tutti quei pazienti che

 presentano controindicazioni all'uso di MdC per via endovenosa e implicati in quadri di Insufficienza Renale (GFR <30ml/min);

 l'allergia al mezzo di contrasto riscontrata in pregressi eventi allergici o anamnesi positiva per atopia (rinite, orticaria, allergia alimentare, asma allergico);

 l'insufficienza cardiaca (in questo caso per un eventuale sovraccarico idrico che si può ovviare riducendo al minimo la somministrazione della quantità di MdC);

 mieloma multiplo;

 gravidanza.

Le indicazioni elettive sono rivolte allo studio dei traumi renali; rene escluso all'urografia; masse renali palpabili; dolore addominale non chiaro; dislocazione delle vie urinarie e vescica; litiasi delle vie urinarie; stadiazione delle neoplasie genito-urinarie; anomalie renali congenite; valutazione del rene trapiantato. L'esame cosiddetto basale, ovvero senza somministrazione di mezzo di contrasto, trova alcune precise indicazioni quali: lesioni complesse generalmente evidenziate in ecografia; studio della calcolosi, nefrocalcinosi e calcificazioni; traumi renali; Insufficienza Renale; esame preliminare di base. L'esame con mezzo di contrasto, prevede l'iniezione per via endovenosa, generalmente con il supporto di iniettore

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automatico, di una quantità di MdC pari a circa 50 - 150ml, a concentrazione di iodio al 60%. La velocità di infusione è di circa 2 ml al secondo. Le scansioni iniziano circa 10 secondi dopo la somministrazione di MdC permettendo di differenziare tre fasi successive.

A circa 20 secondi dall'iniezione inizia la fase arteriosa in cui si ha buona impregnazione vascolare dell'arteria renale e precoce impregnazione della corticale;

 A 50-60 secondi dall'infusione, in base alla funzionalità renale, si ottiene la fase nefrografica in cui si presenta attenuazione della midollare;

A 60 secondi si registra la fase calico-pielo-ureterografica che permette lo studio delle vie escretrici e della vescica.

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Figura 13. Immagine di TC addome con MdC in fase arteriosa di paziente potenzialmente sano.

Con la TC spirale, dopo la somministrazione di MdC viene acquisita la prima serie di scansioni, sfruttando l'effetto opacizzante del MdC che inizialmente darà luogo alla fase arteriosa, in gergo corticale, che prevede la presenza di MdC nel sangue a livello dei glomeruli, dei tubuli collettori, quando ancora non sarà iniziata la fase escretoria che si distingue per la presenza, invece, di contrasto nella componente piramidale e da qui nei tubuli della piramide e a livello del calice. La componente corticale è sede di patologie importanti e tra le più diffuse e studiate tramite esame TC, si ricordano quadri di pielonefriti, glomerulonefriti e di adenocarcinoma renale che prende proprio origine dalla corticale renale. Dopo una manciata di secondi, i calici risalteranno per la presenza di urina iodata al loro interno, verrà quindi meno la differenziazione tra corticale e midollare renale ed inizieranno ad opacizzarsi tutte le vie escretrici. Quando un paziente presenta una compromissione della funzionalità renale, l' acquisizione della fase urografica, escretoria, dell'esame TC, sarà più tardiva. Nella fase del post processing, inoltre, sarà possibile, ottenere chiare percezioni delle strutture vascolari sfruttando le ricostruzioni delle fasi vascolari arteriosa e venosa. Poiché tra le cause di Insufficienza Renale Cronica il 30% di esse è rappresentata dal quadro di nefropatia ipertensiva, le metodiche di imaging sono rivolte all'identificazione della stenosi dell'arteria renale o di nefropatia vascolare; l'ecografia doppler si presta bene, in prima istanza, ad uno studio della perfusione renale, ma non è sufficientemente accurata per la diagnosi di stenosi dell'arteria renale. Si ha quindi la necessità di approcciare lo studio tramite la cosiddetta Angio TC e in caso di IRC severa, che controindichi l'uso di MdC, l' Angio RM [14].

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3.2.4 Le tecniche invasive

L'approccio alle tecniche cosiddette "invasive" come l'Angiografia Tradizionale nel caso di un paziente con IRC, deve essere ben studiato e inquadrato dal medico radiologo interventista, ma anche dal clinico che richiede l'esame. A conoscenza del fatto che questi pazienti spesso arrivano ad una valutazione di Diagnostica per Immagini per quadri importanti di cardiopatie ischemiche o ipertensione secondaria a ostruzione dell'arteria renale, è richiesta un'indagine mirata, ma giustificata per l'esecuzione. Le linee guida indicano che prima di effettuare esami diagnostici di tipo invasivo il paziente nelle 24 ore precedenti deve essere idratato e successivamente all'esame, sottoposto a forzata diuresi, monitorando costantemente gli indici di funzionalità renale.

L'Angiografia è l'esame radiografico in grado di studiare ed evidenziare i vasi sanguigni dei diversi distretti corporei affinché si possa studiarne la morfologia, il decorso e descrivere eventuali alterazioni quali restringimenti di lume di varia entità come occlusioni o segnalare anomale dilatazioni come ectasie e aneurismi. La tecnica è eseguita dall' angiografista, in sala angiografica ambiente dedicato e sterile. Solitamente l'esame prevede un'anestesia di tipo locale in regione inguinale per un vaso femorale o a livello del braccio per i vasi omerali. Scelto l'accesso vascolare viene creata una piccola incisione cutanea e pungendo il vaso sottostante, viene posizionato un introduttore valvolato in modo da creare una porta di accesso endovascolare, con introduzione di un filo guida metallico attraverso cui, sotto guida fluoroscopica, passano guide e cateteri per raggiungere il distretto da esaminare. Una volta raggiunto il vaso prescelto si somministra il mezzo di contrasto iodato, ed è possibile lo studio selettivo dei vasi e delle loro ramificazioni, scattando le sequenze radiografiche che saranno successivamente acquisite in modalità digitale. L'angiografo è uno apparecchiatura radiologica costituita da un tubo radiogeno posto al di sopra del lettino porta paziente

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trasparente, con cui è possibile ottenere proiezioni multiple in automatico, dotato di particolari software che acquisiscono immagini in sottrazione sfruttando l'opacizzazione dei vasi in tempi molto ridotti rispetto ai tessuti circostanti. L'accesso vascolare in caso di pazienti nefropatici richiede una particolare attenzione da parte del radiologo interventista che in questo caso, opterà per un accesso venoso rispetto a quello arterioso soprattutto per i pazienti dializzati. In base ai distretti sottoposti ad indagine angiografica per i pazienti con quadri importanti di cardiopatie si parla di Coronarografia per lo studio delle Arterie Coronariche, Aortografia per quello dell' Arteria Aorta, Ventricolografia per i Ventricoli. La tecnica è la stessa, ma cambia l'accesso e il distretto in studio. Il supporto della tecnologia ha permesso di affiancare l'indagine angiografica alla tecnica TC raggiungendo un traguardo importante non solo in termini di migliore risoluzione e di tempo, in quanto l'Angio TC non richiede ricovero in day hospital, ma anche in termini di esecuzione in quanto viene meno la puntura arteriosa. Mentre l'angiografia indica tutto ciò che è all'interno del lume del vaso interessato e per questo è indicata in fase terapeutica con l'Angio TC si effettua uno studio mirato e preciso in fase pretrattamento in quanto è possibile verificare anche la parete esterna del vaso con eventuali anomalie morfologiche. Generalmente si effettua come prima istanza un ecocolordoppler che guiderà la ricerca nel distretto di interesse nella metodica TC [15].

3.3 La Nefropatia da mezzo di contrasto

Il danno renale da mezzo di contrasto iodato si definisce come CIN -CONTRAST INDUCED NEPHROPATY-. Essa indica un'alterazione acuta della funzione renale che insorge dopo 48-72 ore la somministrazione intravascolare di MdC organoiodato in assenza di altra patologia. Al danno citotossico tubulare segue

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 alterazione emodinamica renale

 stress ossidativo

 produzione di radicali liberi

La sofferenza della midollare renale a causa di vasocostrizione e quindi di ipossia, porta alla citotossicità dell'endotelio tubulare e al temuto quadro di necrosi tubulare acuta. Il paziente in IRC è già, in quanto tale primo fattore di rischio predominante nella genesi di CIN, tanto che, in questo caso si verifica fra il 7 e il 27% dei casi episodio di CIN a seguito di procedure angiografiche; nel caso di paziente con IRC e diabete mellito la percentuale sale tra il 33 e il 48% dei casi. Il rischio di CIN nei pazienti con IRC si deve temere già dal terzo stadio della malattia ovvero con un GFR < 60 ml/min. Secondo le più recenti linee guida la prevenzione della genesi di CIN è

 marcata idratazione del paziente (sconsigliata però nel paziente con scompenso cardiaco

 interruzione dei farmaci nefrotossici

 somministrazione di N-acetilcisteina dal giorno precedente la procedura

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Capitolo 4

Indicatore di dose

4.1 Introduzione

La radiologia nasce alle ore 17.30 del giorno 8 novembre 1895 con la prima radiografia della mano della moglie del fisico tedesco Wilhelm Conrad Roenteng a cui si deve la scoperta della radiazione elettromagnetica nell'intervallo di frequenza, oggi noto come Raggio X. Seppur raffinata, si è basata sulla scoperta di Roentgen fino agli anni '70, quando con l'introduzione del computer e di nuove fonti energetiche come gli ultrasuoni e i campi magnetici per la risonanza, è cominciata un'inarrestabile evoluzione tecnologica. Questo rinnovamento al centro degli ultimi 40 anni e tutt'oggi in corso, ha portato la radiologia, a distanza di 120 anni, a rivoluzionare le linee guida di tutta la medicina moderna ed ad essere definita Diagnostica per Immagini nell'intento di esaltare il suo scopo predittivo. I diversi mezzi fisici da essa utilizzati si distinguono in due grandi classi:

Le radiazioni ionizzanti caratterizzate da un effetto biologico e rappresentate sia

dai Raggi X sia dagli isotopi radioattivi utilizzati in medicina nucleare.

Le radiazioni non ionizzanti rappresentate dagli ultrasuoni e dalle onde a

radiofrequenza che sono alla base fisica della risonanza magnetica.

Nel campo della medicina le procedure che utilizzano le radiazioni ionizzanti, sono state e, oramai sono, uno strumento di routine sempre più richiesto per l'indubbia importanza diagnostica e terapeutica. Ne fanno parte la Radiologia Convenzionale, la Fluoroscopia, l'Angiografia e la Tomografia Computerizzata. Spesso viene sottostimato un problema che risalta nel momento in cui si eseguono

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esposizioni mediche ovvero la valutazione degli effetti biologici che le radiazioni ionizzanti possono apportare.

4.2 Le Radiazioni Ionizzanti

Si definiscono ionizzanti quelle radiazioni che propagate nel mezzo, sono in grado di attivare nel tessuto da irraggiare il processo attraverso cui molecole e atomi perdono uno o più elettroni e il cui risultato finale è quello di indurre la rottura dei legami molecolari presenti. Infatti, le radiazioni ionizzanti, inducono eccitazioni elettroniche e ionizzazioni che a loro volta si trasformano in deposizioni di energia termica e in mutazioni chimiche che si risolvono in effetti biologici. Gli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti prodotti dall'assorbimento dell'energia radiante si classificano in danni deterministici e danni stocastici. Col termine radiazioni ionizzanti si descrivono sia le particelle atomiche neutre, le cosiddette radiazioni indirettamente ionizzanti, sia le particelle cariche elettricamente, le radiazioni direttamente ionizzanti. In ogni caso perché possano indurre ionizzazione, l'energia minima dei corpuscoli della radiazione deve essere superiore a quella di prima di ionizzazione del mezzo attraversato e generalmente lo è di alcuni elettronvolt. Le radiazioni ionizzanti sono la base della radiologia convenzionale e della metodica TC.

4.2.1 Gli Effetti Biologici delle Radiazioni Ionizzanti

Ricordando che alla fine dell'800 Bizzozero classificò le cellule in base al loro comportamento replicativo in cellule labili, cellule stabili e cellule perenni è quindi più comprensibile intuire i danni arrecati ad esse tramite il processo di ionizzazione.

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Gli effetti deterministici anche definiti graduati, non casuali ed acuti insorgono

subito dopo l'esposizione acuta e massiccia di radiazioni ionizzanti e ne è un esempio Chernobyl dove il loro principale effetto è stato quello di provocare la morte cellulare. Oppure in situazioni come una pan irradiazione eseguita in ambito radioterapeutico in cui tra gli effetti cellulari più rilevanti si elencano l'eritema cutaneo, dermatiti, cataratta, anemia, leucopenia. Si associano anche emorragie delle mucose e in particolare del tratto intestinale, perdita di capelli e peli. Generalmente in questo ultimo caso, nel corso di alcune settimane si risolvono o regrediscono spontaneamente con sopravvivenza o guarigione più o meno completa.

Gli effetti stocastici caratterizzati da tempi di latenza più lunghi si caratterizzano

per il fatto di non rendersi manifesti se sussiste il superamento di un valore soglia (ICRP 105 del 2007) in quanto non esiste un valore soglia al di sotto del quale non si abbia un effetto biologico di questa natura. Si descrivono come probabilistici, aspecifici, distribuiti casualmente tra individui esposti alla stessa dose radiante. La ricca letteratura insegna che la loro frequenza di insorgenza è proporzionale alla dose assorbita, mentre il danno da essa prodotto è indipendente dalla dose irraggiata. Si classificano come danni stocastici somatici, rappresentati dall'insorgenza di tumori solidi o leucemie nel soggetto esposto a fascio radiante ionizzante e per questo le radiazioni ionizzanti sono considerate come cancerogene e danni stocastici genetici caratterizzati da mutazioni geniche, aberrazioni dei cromosomi e malattie ereditarie a carico della prima generazione e delle successive. E' stato quindi fondamentale nel corso degli anni, mentre la tecnologia in ambito della diagnostica per immagini avanzava a ritmi sostenuti, introdurre delle grandezze che derivano dall'energia che si deposita sui tessuti irradiati con lo scopo di valutare e quantificare gli effetti che le radiazioni ionizzanti provocano.

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4.3 Principali Indicatori di Dose fisici utilizzati nella

radioprotezione

4.3.1 L' esposizione X

L'esposizione X è la più antica delle grandezze dosimetriche e descrive la capacità dei Raggi X di produrre ionizzazione in aria; può essere definita come il prodotto tra l'intensità della radiazione per il tempo, dove per intensità di radiazione si intende il numero di fotoni X che colpiscono la pellicola nell'unità di tempo ed è quindi direttamente proporzionale alla corrente anodica che attraversa il tubo radiogeno. Inizialmente espressa in Roentgen poi in C x Kg-1. La sua applicazione è di importanza notevole in quanto descrive la dipendenza dell'esposizione dai parametri tecnologici dell'apparecchiatura a Raggi X.

4.3.2 La dose assorbita

La dose assorbita è stata la prima grandezza introdotta nello studio degli effetti biologici e per questo viene considerata la grandezza di base dalla quale derivano tutte le grandezze radio protezionistiche che si distinguono solo per i tessuti biologici. Essa rappresenta il rapporto tra l'energia media impartita dalla radiazione a un volumetto di materia e la massa dello stesso volumetto e quindi indica la quantità di energia depositata dalla radiazione nel mezzo irradiato per unità di massa, espressa in Gray (Gy). Il pregio della dose assorbita è quello di essere una quantità non direttamente misurabile sul paziente, ma ricavata da grandezze direttamente misurabili usando appropriati coefficienti di conversione (ICRU report 74). Le applicazioni della dose assorbita riguardano principalmente lo studio degli effetti deterministici e la definizione dei valori soglia. Ciò significa che è la grandezza utilizzata nell'ambito della radioterapia per misurare la quantità di radiazioni sul volume prescelto e quindi per determinare i limiti

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dell'esposizione ai tessuti bersaglio. Inoltre è possibile caratterizzarla da un punto di vista temporale tramite il rateo di dose che indica la variazione di dose nell'unità di tempo e si misura in Gray/secondo [11].

4.3.3 La dose equivalente

Per quanto riguarda gli effetti stocastici che insorgono indipendentemente dal valore soglia, è stata introdotta la dose equivalente. Essa è una grandezza di tipo radio protezionistico espressa in Sievert (Sv), che consiste nel rapporto tra il valore medio della dose assorbita nell'organo tessuto e il fattore di ponderazione per la radiazione. I fattori di ponderazione sono fattori di pericolosità legati al tipo di radiazione incidente rispetto al tipo di radiazione di riferimento (fotoni) cui viene assegnato per riferimento, un fattore di qualità wr=1. Il fattore di ponderazione wr esprime l'efficacia biologica relativa RBE (RELATIVE BIOLOGICAL EFFECTIVENESS) dei diversi tipi di radiazione rispetto alle radiazione X e gamma. Questo può dipendere o dal tipo e dalla qualità del campo di radiazioni esterno, o dal tipo e dalla qualità delle radiazioni emesse depositate all'interno dell'organismo. Quindi l'applicazione della dose equivalente, a parità di dose assorbita, descrive la probabilità di induzione degli effetti stocastici in un tessuto in base al tipo e alla qualità della radiazione. Inoltre rappresenta la base per la valutazione del rapporto rischio/beneficio nelle attività radiologiche [12].

4.3.4 La dose efficace

E' necessario tener di conto che nell'organismo sono presenti diversi tipi di tessuti che quindi presenteranno una radiosensibilità differente l'uno rispetto all'altro e questo significa che l'irradiazione dell'organismo non avviene in modo omogeneo. E' stata, così introdotta, la grandezza radio protezionistica dose efficace in cui si

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descrive il rapporto tra dose efficace e il fattore di ponderazione per il tessuto wt che considera i diversi bersagli irradiati. Le principali applicazioni della dose efficace riguardano sia il definire i limiti di esposizione per i lavoratori e le persone al pubblico, sia comparare esposizioni diverse in esami radiografici differenti, sia completare la descrizione, associata alla dose equivalente, il rapporto rischio/beneficio delle attività.

4.4 Descrittori di dose in Radiografia Convenzionale

Col termine Radiologia Convenzionale si può intendere la prima tecnica di imaging biomedica scoperta, dalla quale si ottiene lo sviluppo di un'immagine descritta come radiografia analogica. L'informazione ottenuta origina dall'attenuazione subita dal fascio di raggi X nell'attraversare i tessuti irradiati. Il detettore che rileva l'informazione in questo caso è costituito da una pellicola fotografica. Il progresso tecnologico ha poi permesso la digitalizzazione della Radiografia Convenzionale apportando notevoli vantaggi, rispetto all'era analogica, quali diminuzione dei tempi d'esame, elaborazioni post-processing dell'immagini ed altri ancora, basandosi su un progresso tecnologico come la sostituzione delle pellicole fotografiche in qualità di detettori analogici, con l'introduzione di detettori digitali come il Flat Panel Detector (FPD) e l' Imaging Plate (IP). Si evince come nel corso degli anni si è resa necessaria l'introduzione di grandezze dosimetriche applicabili alla Rx Convenzionale facilmente determinabili e di rapida valutazione per gli operatori della radiologia, i cosiddetti descrittori o indicatori di dose. Il loro ruolo è quello di fornire un'indicazione sull'entità del rischio radiologico relativo all'esame radiologico da effettuare e mirare nell'immediato a definire la radioprotezione del paziente durante la programmazione o l'esecuzione dell'esame.

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46 Figura 14. Illustrazione di Rx Torace.

4.4.1 Dose Incidente

La dose incidente (sulla cute) viene descritta come la dose assorbita in aria, misurata in corrispondenza del luogo di ingresso del fascio X sul paziente. Insieme ai parametri geometrici di esposizione come la dimensione del campo, la regione anatomica da esaminare e il tipo di protezione è usata come grandezza di partenza per la valutazione della dose equivalente negli organi. La dose incidente viene normalmente misurata in assenza di paziente o del fantoccio tramite un semplice rivelatore a gas come la camera di ionizzazione o dosimetri allo stato solido. Si esprime in mGy.

4.4.2 Dose di Ingresso

La dose di ingresso o dose superficiale in entrata ESD (ENTRANCE SURFACE DOSE) rappresenta la dose cutanea che tiene conto della radiazione retro diffusa dal paziente. Si descrive come la somma della dose incidente e della dose prodotta dalla radiazione retro diffusa dal corpo che può raggiunger un valore pari al 50% di quello della dose incidente medesima. Si determina in camera a ionizzazione,

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dosimetri a termoluminescenza, pellicole radiosensibili, posizionati sulla superficie del corpo o del fantoccio, oppure tramite la misura della dose incidente con l'ausilio di fattori di retrodiffusione f ret. L'applicazione della dose di ingresso riguarda soprattutto la radiologia interventistica per lo studio dei danni deterministici. E' rientrata nei livelli diagnostici di riferimento (LDR) per stabilire che determinati valori di dose di ingresso definiscono una soglia entro la quale la qualità dell'esame è da ritenere soddisfacente.

4.4.3 Dose alla cute

La dose alla cute in entrata (SURFACE ABSORBED DOSE-SAD-) rappresenta la dose assorbita dalla cute nel luogo di ingresso del fascio.

4.4.4 Prodotto dose-aria

Il prodotto dose-aria (DOSE AREA PRODUCT-DAP-) indica il prodotto della dose assorbita in aria, misurata sul percorso del fascio da una camera da ionizzazione trasmissiva, per l'area del fascio in corrispondenza della camera. La dose efficace può essere calcolata moltiplicando il DAP per un coefficiente di conversione specifico della regione anatomica irraggiata.

4.5 Descrittori di dose in Tomografia Computerizzata

Dal 1970 ad oggi la tecnologia della tomografia computerizzata ha visto una rapida evoluzione, pertanto, la frequenza con cui viene richiesta ed eseguita ad oggi, è aumentata per molteplici ragioni tra cui quello di ampliare il ventaglio di applicazione della stessa TC da un piano puramente diagnostico ad un piano interventistico. Di contro gli esami eseguiti con procedura TC prevedono una somministrazione di dose di radiazioni ionizzanti più elevata rispetto alle

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tradizionali metodiche diagnostiche tanto da essere riconosciuti dal DLgs 187/00 come "procedure radiologiche comportanti alte dosi per il paziente". Rispetto ad un'esposizione con Rx convenzionale, quella con metodica TC prevede che l'irraggiamento sul paziente avvenga da tutte le direzioni radiali e quindi in questo, la distribuzione della radiazione è completamente differente rispetto alla metodica convenzionale, di conseguenza sono state introdotte grandezze specifiche per descrive la dosimetria nella TC.

4.5.1 CTDI

Il CTDI (COMPUTED TOMOGRAPHY DOSE INDEX) è una grandezza dosimetrica introdotta nel 1984 dall'FDA (Food and Drugs Administration) e nel corso degli anni la sua definizione ha subito delle modificazioni correlate allo sviluppo della tecnologia TC. La determinazione del CTDI è dovuta alla necessità di misurare la dose in un punto, laddove il fascio di radiazione ha un diametro molto ristretto (aria di collimazione di 40mm) e l'irradiazione avviene in posizioni differenti. Pertanto nasce l'idea di una camera di ionizzazione cilindrica in cui la ionizzazione stessa viene integrata su tutto il volume possibile. L'esposizione irradia in modo non uniforme la camera, la cui lettura fornisce l'integrale del profilo di dose lungo l'asse Z (asse di rotazione). Il CTDI corrisponde all'aria compresa sotto il profilo di dose di una singola scansione divisa per lo spessore nominale di strato, espresso matematicamente tramite l'integrale del profilo di dose lungo l'asse Z; è un indice che calcola la dose necessaria ad acquisire una "fetta" in funzione dello spessore di strato moltiplicandola per il numero di strati nel caso di TC multistrato. L'unità di misura è il mGy. Normalmente viene misurato su fantocci cilindrici in plexiglas in cui in modo approssimativo sono riprodotte le distribuzioni di dose all'interno del corpo. Le dimensioni standard del fantoccio sono 16 cm per la testa, la lunghezza di 16 cm e il diametro di 32 cm.

Figura

Figura 3. Cause di IRC.
Figura 4. Cenni di Fisiopatologia della MRC.
Figura 6. Distinzione dei fattori di rischio cardiovascolari “classici” e fattori  di rischio in corso di ESKD
Figura 11. Indicazioni alla Terapia Sostitutiva nel paziente con funzionalità        renale compromessa
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Riferimenti

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