2.2 ‐ GIANCARLO PUECHER.
Il 13 settembre ’43, come riferisce la “Relazione storica del parroco Don Giovanni Strada”10, fu costituita, alla presenza di Giancarlo Puecher Passavalli, il primo gruppo autonomo partigiano, formato a Ponte Lambro11. Il modello era quello dell’ordinamento militare, una specie di plotone. I fascisti li considerarono “Badogliani” (cioè seguaci di Badoglio).
Il più giovane fra questi primi volontari per la difesa della libertà era G. Puecher, il quale assumendo l’incarico di vice comandante e rendendosi conto del rischio personale e della responsabilità verso gli altri, scrisse una dichiarazione‐testamento, nella quale espresse le sue ultime volontà con lucida determinazione ed espressione di ideali e di sentimenti.
Il giovane capì subito che lo schieramento da seguire non era quello nazi‐ fascista; la sua educazione religiosa e l’amor patrio lo portarono a scegliere di non essere spettatore, ma un attore presente ed attivo nella Resistenza. Scrisse Pietro Calamandrei12: “Era giunta l’ora di resistere, era giunta l’ora di essere uomini; di morire da uomini per vivere da uomini”13. 10 Cfr. Bianchi Gianfranco, Giancarlo Puecher, Ed. Arnaldo Mondadori Editore, Milano 1965, p.16; 11
Gli appartenenti al gruppo di Ponte Lambro erano: Sacerdote Giovanni Strada, cappellano militare e amministratore generale del gruppo; Fucci Dott. Franco, comandante; Puecher Giancarlo, vice comandante; Rizzi Giovanni, vice comandante; Casanova Gaetano, Furiere; Alaimo Bartolomeo; Ballabio Felice; Ballabio Andrea; Bianchi Enrico. Cfr. Bianchi Gianfranco, op. cit., p.16;
12 PIETRO CALAMANDREI, nato a Firenze il 21 aprile 1889, dopo essersi laureato in Giurisprudenza
all'Università di Pisa nel 1912 partecipò a vari concorsi e nel 1915 fu nominato professore di procedura civile all'Università di Messina. Successivamente (1918) fu chiamato all'Università di Modena e Reggio Emilia per poi passare due anni dopo a quella di Siena ed infine, nel 1924, scelse di passare alla nuova facoltà giuridica di Firenze, dove ha tenuto fino alla morte la cattedra di diritto processuale civile. Prese parte alla Prima guerra mondiale come ufficiale volontario combattente nel 218° reggimento di fanteria; ne uscì col grado di capitano e fu successivamente promosso tenente colonnello, ma preferì uscire subito dall'esercito per continuare la sua carriera accademica. Politicamente schierato a sinistra, subito dopo la marcia su Roma e la vittoria del fascismo fece parte del consiglio direttivo dell'Unione Nazionale fondata da Giovanni Amendola. Partecipò, insieme con Dino Vannucci, Ernesto Rossi, Carlo Rosselli e Nello Rosselli alla direzione di "Italia Libera", un gruppo landestino di ispirazione azionista. Manifestò sempre la sua avversione alla dittatura mussoliniana, aderendo nel 1925 al Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Durante il ventennio fascista fu uno dei pochissimi professori e avvocati che non ebbe né chiese la tessera del Partito Nazionale Fascista continuando sempre a far parte del movimento antagonista, collaborando ad esempio con la testata “Non Mollare”. Nonostante ciò, nel 1931 giurò come professore
Verso il 17 settembre per le continue sollecitazioni del padre, Giancarlo, con il conte Sormani, tentò di passare in Svizzera, ma non riuscì e nel ritorno si imbatté in una pattuglia di tedeschi che lo portarono in caserma a Como con altri giovani che non erano riusciti ad espatriare. Il giovane, con coraggio e risoluzione, consapevole della imminente deportazione, prese l’iniziativa di convincere l’interprete ad allontanare, con la scusa di reperire i moduli per trascrivere le generalità dei prigionieri, l’ufficiale tedesco e, inquadrati i compagni, uscì dal portone della caserma, salutando militarmente le sentinelle come se si trattasse di un regolare trasferimento. Quando i tedeschi si accorsero dell’equivoco era troppo tardi14.
Non è facile stabilire, anche con attente ricerche d’archivio, i particolari delle operazioni compiute da Giancarlo Puecher, nelle settimane fra la sua decisione di aderire al gruppo autonomo di Ponte Lambro (13 settembre 1943) e la sua cattura avvenuta la notte del 12 novembre 1943. Nella denuncia che fu inviata dal questore Pozzoli al Tribunale Speciale militare di Como, era citato l’episodio dell’assalto all’albergo “Crotto Rosa” di Erba, da
universitario fedeltà al regime fascista. Contrario all'ingresso dell'Italia nella Seconda guerra mondiale a fianco della Germania, nel 1941 aderì al movimento “Giustizia e Libertà” ed un anno dopo fu tra i fondatori del Partito d'Azione insieme a Ferruccio Parri, Ugo La Malfa ed altri. In questo periodo (1939‐1945) tenne un diario, pubblicato nel 1982. Nominato Rettore dell'Università di Firenze il 26 luglio 1943, dopo l'8 settembre fu colpito da mandato di cattura, cosicché esercitò effettivamente il suo mandato dal settembre 1944, cioè dalla liberazione di Firenze, fino all'ottobre 1947. Nel 1945 fu nominato membro della Consulta Nazionale e dell'Assemblea Costituente in rappresentanza del Partito d'Azione. Partecipò attivamente ai lavori parlamentari come componente della Giunta delle elezioni della commissione d'inchiesta e della Commissione per la Costituzione italiana. I suoi interventi nei dibattiti dell'assemblea ebbero larga risonanza: specialmente i suoi discorsi sul piano generale della Costituzione, sui Patti lateranensi, sulla indissolubilità del matrimonio, sul potere giudiziario. Quando il Partito d'Azione si sciolse, entrò a far parte del Partito Socialdemocratico Italiano, con cui fu eletto deputato nel 1948. Contrario alla «legge truffa» votata anche con l'appoggio del suo partito, fondò dapprima il movimento politico Autonomia Socialista, e nel 1953 prese parte alla fondazione del movimento di “Unità popolare” con il vecchio amico Ferruccio Parri, che, nonostante l'esiguo risultato ottenuto, fu decisivo affinché la Democrazia Cristiana e i partiti suoi alleati non raggiungessero la percentuale di voti richiesta dalla nuova legge per far scattare il premio di maggioranza. Morirà a Firenze il 27 settembre 1956. Cfr. AA.VV., Nuova Storia Universale‐Dizionario di Storia, Vol. 1, Ed. Garzanti, Torino 2004;
13
Cfr. De Antonellis Giacomo, Il Caso Puecher. Morire a vent’anni partigiano e cristiano, Ed. Rizzoli 1984, p.26;
dove furono asportati dei bidoni di benzina, lì a disposizione dei nazifascisti e borsaneristi, essendo i proprietari dell’albergo famosi fascisti15. L’azione fu fatta passare come avente carattere di comune rapina, mentre si trattava di un’azione politica a scopo intimidatorio contro i proprietari e di un’azione militare per la requisizione del carburante che ormai scarseggiava. Visto che si sapeva che al “Crotto Rosa”, covo di borsaneristi, erano imboscate buone quantità di benzina. Numerose testimonianze smentiscono il fatto che Puecher agisse, in questa azione, come in altre, mascherato. Gianfranco Bianchi, autore dell’opera “Giancarlo Puecher”, scrisse:
“anche il podestà di Erba, poi commissario prefettizio durante la RSI, Alberto Airoldi, detto Nanni, radunando i suoi ricordi, per rispondere al questionario formulatogli, ai fini dell’accertamento dei fatti da esporre in questa rievocazione, non si è pronunciato sul particolare della maschera”16.
Le azioni avevano il carattere di colpi di mano, piuttosto sporadici, tesi a procurare armi, materiale, viveri, benzina, macchine da inviare ai gruppi che operavano sui monti e in questa fase anche Puecher, come gli altri, era convinto che gli Anglo‐Americani, sarebbero giunti presto.
Il raggio d’azione di Puecher aveva come centro Ponte Lambro, luogo vicino ai monti sui quali si poteva scappare e non troppo lontano da Lambrugo, dov’era la sua famiglia. Raggruppati una ventina di uomini, Puecher e Fucci requisirono ai contadini i materiali dell’esercito di cui si erano appropriati dopo l’8 settembre ’43, seguirono varie azioni di disarmo di militi della R.S.I.. Dal verbale della denuncia inviata dal questore Pozzoli al Tribunale di Como, vi era scritto che Puecher fu autore di furti di automobili a Milano: una 1100 15 Cfr. ASC, Fondo Prefettura, Carte di Gabinetto, II versamento, Carte riservate Scassellati cart.2, relazione del Questore Pozzoli al Capo della Provincia, 10.03.1944, foglio s.n.; 16 Cfr. Bianchi Gianfranco, op. cit., p.80;
nera e un’Augusta. A proposito della 1100 nera 6 posti, da una testimonianza al presidio della Milizia Volontaria della Sicurezza Nazionale, fatta dal signor Airoldi, il giovane Puecher risultava pronto nell’agire e assai audace: “[…] Verso i primi di ottobre non rammento con precisione il giorno alle ore 11 circa mi trovavo alla Pasticceria Bosisio di Erba; osservai davanti al negozio di elettricista Pizzoni una macchina 1100 6 posti nera sulla strada che porta alla Casa del Fascio, volta in direzione di questa. La macchina era pilotata da un giovane da me conosciuto e precisamente dal Puecher che mi risultava sfollato a Lambrugo. Notai che la macchina non si avviava per quanto il Puecher facesse. Accorsi per aiutarlo ma il motore si era avviato; salutai il detto Puecher con il quale entrai in conversazione. Poiché egli sedeva al volante ed io mi trovavo accanto a lui sulla strada appoggiato alla vettura, volsi lo sguardo all’interno della vettura e notai che tanto sul sedile anteriore e vuoto che su quello posteriore giacevano evidentemente armi sebbene coperte da teli. Il Puecher mi confermò che appunto trasportava armi per conto di certa Guardia Nazionale. Soggiunse che anche la vettura era di proprietà di tale Istituzione. Finalmente mi salutò e partì nella direzione surriferita” 17.
Anche il Comandante Fucci rubò a Milano una Topolino, che aveva sul vetro il foglio di requisizione del comando tedesco18. Il 15 e il 17 settembre Puecher e Fucci recuperarono quattro cavalli e sei muli, abbandonati dall’esercito, dandoli in custodia ai contadini di Lambrugo. Armi vengono recuperate a Bindella, a Erba, a Cusano Milanino. Il materiale è portato a San Salvatore e quando il vecchio convento non fu più sicuro a Ponte Lambro19. L’azione del gruppo di Ponte Lambro era finalizzata a rifornire i gruppi partigiani della vicina montagna. Francesco Magni, nel libro di memorie “I Ribelli della
17 Cfr. ASC, Fondo Prefettura, Carte di Gabinetto, II versamento, Carte riservate Scassellati cart.2, verbale di testimonianza di Airoldo Airoldi, 24.11.1943, foglio s.n.; 18 Cfr. Bianchi Gianfranco, op. cit., p.83; 19 Cfr. Arienti Pietro, La Resistenza in Brianza 1943‐1945, Ed. Bellavite Missaglia 2006, p.45;
Resistenza nelle Prealpi Lombarde”, che è in pratica la storia della 55ª Brigata Rosselli, parla di un incontro che egli ebbe con Puecher nel 1943 a Lambrugo, per consolidare i legami fra montagna e pianura20. Nel novembre del ’43 il gruppo di Ponte Lambro attuò alcune azioni dirette: sabotaggio delle linee telefoniche tedesche nella zona Canzo‐Asso. Il 4 novembre la scalinata del monumento ai Caduti di Erba fu ricoperta di volantini che esaltavano la patria e la libertà e una bandiera tricolore fu issata in cima, come fu segnalato il 5 novembre 1943 al Commissario Prefettizio dai militi del distaccamento delle CC. NN.21. Questo primo nucleo partigiano finì per destare l’interesse dei comandi milanesi, che stavano allora organizzandosi. A metà ottobre, a Ponte Lambro, presso la canonica di Don Strada avvenne l’incontro tra Poldo Gasparotto, il colonnello Alonzi, incaricato dal comitato militare del C.L.N. milanese di tenere i collegamenti con il comasco, il colonnello Morandi, il tenente Fucci e Giancarlo Puecher al fine di organizzare nuclei partigiani stabili nella zona del Triangolo Lariano e canali di espatrio più sicuri di quelli che erano stati creati spontaneamente nella zona, dalle popolazioni, dagli antifascisti e dal clero22. Il comandante Fucci23 e il vice comandante Puecher agirono sempre, fino alla cattura, in stretto contatto, essendo i più audaci; assieme vennero anche catturati nella serata del 12 novembre, in modo casuale e come conseguenza di un episodio avvenuto lo stesso 12 novembre alle ore 18 a Erba: l’uccisione da parte di sconosciuti del centurione della
20
Cfr. Ibidem;
21
Cfr. ASC, Fondo Prefettura, Carte di Gabinetto, II versamento, Carte riservate Scassellati cart.2, segnalazione del distaccamento delle CC. NN. al Prefetto, 5.11.1943, foglio s.n.; 22 Cfr. Roncacci Vittorio, La calma apparente del lago. Como e il comasco tra guerra e guerra civile 1940‐ 1945, Macchione Editore Varese 2003, p. 241; 23 FRANCO FUCCI, ufficiale sbandato del V° Alpini, reduce dalla campagna di Grecia, di stanza a Milano, ma dopo il bombardamento dell’agosto 1943 sfollò a Lecco. Cfr. Arienti Pietro, op. cit., p.43;
milizia e cassiere del Banco Ambrosiano Ugo Pontiggia e dell’amico Angelo Pozzoli24.
Puecher e Fucci erano del tutto estranei all’episodio, poiché il 12 novembre, provenienti da Milano, dove si erano recati per collegamenti e finanziamenti, avevano raggiunto Canzo e in particolare la villa dove era sfollato l’ex Consigliere Nazionale Alessandro Gorini.
Vi sono varie versioni sullo scopo dell’incontro: nella villa di Canzo il Gorini da collezionista, custodiva alcuni Mauser (fucili) ancora servibili, provenienti dalla campagna Etiopica (inizio 1900) e in un capannone, accanto alla villa erano depositate le stufe della ditta Triplex eventualmente da usare per avere proventi, per il movimento partigiano, come è citato in una comunicazione al Ministero dell’Interno inviata dal Prefetto Scassellati il 3 febbraio 194425. Comunque è certo che Puecher e Fucci, provenienti da Milano, senza essere scesi a Erba nulla sapevano dell’uccisione del Pontiggia e del Pozzoli. Avrebbero potuto dormire a Canzo, ma verso le 22:30 ripartirono in bicicletta verso Ponte Lambro, nonostante il coprifuoco, con l’intento di fare un’azione intimidatoria al Questore Lorenzo Pozzoli e al Comandante del Presidio di Erba Alberto Airoldi; portavano con sé in una borsa un tubo di gelatina di circa 30 centimetri e due manifestini di minaccia per i due sopracitati. Avrebbero dovuto essere affissi al portone della villa dell’Airoldi in via San Bernardino. La carica non tale da produrre danni alle persone e alle cose, ma il bagaglio era di certo compromettente. Puecher e Fucci arrivati a Lezza incontrarono una pattuglia di militi della 16ª Legione,
24 Cfr. “La Provincia di Como”, 16 novembre 1943, foglio s.n.; Cfr. “La Provincia di Como”, 21 novembre
1943, foglio s.n.; Cfr. “La Provincia di Como”, 23 novembre 1943, foglio s.n.; Cfr. “La Provincia di Como”, 7 dicembre 1943, foglio s.n.;
25 Cfr. ASC, Fondo Prefettura, Carte di Gabinetto, II versamento, Carte riservate Scassellati cart.1,
B.N., la famosa G.N.R., arrivati da Como dopo l’uccisione di Pontiggia e Pozzoli.
I due, fermati senza essere perquisiti, ma per violazione del coprifuoco, furono accompagnati da tre militi alla caserma dei carabinieri di Erba. Per il Fucci era indispensabile fuggire poiché sarebbe stato identificato come tenente degli Alpini e denunciato per violazione al bando di presentazione alle Autorità e inviato in Germania o fucilato. Perciò estrasse la pistola, ma l’arma si inceppò e venne gravemente ferito al ventre dal milite che l’aveva in custodia, come riferì nella segnalazione del 13 novembre 1943 alla Prefettura di Como il comandante dei carabinieri26. Puecher che era riuscito a gettar via la pistola, mentre il materiale esplosivo era in una borsa sulla bicicletta del Fucci, fu portato in municipio in balia dei repubblichini, come risulta da una relazione del Comandante del Presidio di Erba, Alberto Airoldi al Capo della Provincia il 24 novembre 194327. Alberto Airoldi, Commissario Prefettizio di Erba, compilò subito una lista di antifascisti del paese facendoli prelevare dalle loro case la notte stessa. Venne prelevato a Lambrugo anche il notaio Giorgio Puecher, colpevole di essere il padre di Giancarlo. L’indomani tutti gli arrestati furono portati a Como: i due Puecher, Silvio Gottardi, Rino Grossi, Gulio Testori e Giacinto Veronelli, furono detenuti presso la stazione dei carabinieri di Como Borghi, gli altri nel carcere di San Donnino.
Per alcuni, data l’arbitrarietà dell’arresto, il rilascio avvenne in pochi giorni. I carabinieri esercitavano una blanda sorveglianza verso quei prigionieri politici a cui nulla ancora era stato formalmente contestato. Offrirono anche a Giancarlo Puecher una possibilità di fuga che fu rifiutata per non mettere in pericolo il padre e la famiglia. Giancarlo subiva pesanti e violenti interrogatori
26
Cfr. ASC, Fondo Prefettura, Carte di Gabinetto, II versamento, Carte riservate Scassellati cart.2, segnalazione, 13.11.1943, foglio s.n.; Vedi Appendice: Doc. (10);
27 Cfr. ASC, Fondo Prefettura, Carte di Gabinetto, II versamento, Carte riservate Scassellati cart.2, relazione,
da parte del Commissario della Polizia Politica Saletta, particolarmente sadico e che amava definirsi “Digitus Dei”, cioè il dito di Dio inflessibile con i nemici e intimoriva i prigionieri giocherellando con qualche arma, alla quale aveva tolto la sicura; voleva i nomi, ma Giancarlo non tradiva, allora gli uomini di Saletta lo picchiavano con asciugamani bagnati e arrotolati e con cinture di cuoio, senza riuscire a piegarlo28. Il 20 dicembre 1943 l’uccisione alle ore 9:30 dello squadrista guardia comunale Germano Frigerio, mentre si dirigeva alla stazione per recarsi a Milano ai funerali del federale Resega, ucciso da tre gappisti, decise la sorte di Giancarlo Puecher. Il Prefetto Scassellati ordinò il coprifuoco da mezzodì e volle, seguendo l’esempio tedesco, dieci esecuzioni capitali per ogni ucciso, contando anche le due precedenti uccisioni di Pozzoli e Pontiggia. Il numero andò poi diminuendo, dieci, sei, poi per ordine di Pozzoli all’Airoldi: “fa là cinq cass de mort”29. Alla fine si scese a quattro, uno solo dovette poi morire. Per disposizioni del Prefetto Scassellati il Questore di Erba Pozzoli improvvisa un Tribunale Speciale30 e “tenendo in mano il foglio degli imputati, indicava con una crocetta rossa quelli che dovevano essere condannati a morte”31. A Erba nell’ufficio del Podestà fu insediata la Corte e in una stanza della segreteria comunale vennero portati da Como gli accusati32.
L’avvocato Beltramini fu nominato difensore e così raccontò in una sua relazione scritta dopo il processo:
“la lettura di quei capi di imputazione provocò in me quasi un senso di ilarità, compatibilmente col pensiero che mi dava la mia responsabilità di difensore 28 Cfr. ASC, Fondo Prefettura, Carte di Gabinetto, II versamento, Carte riservate Scassellati cart.2, relazione, s.d., foglio s.n.; 29 Cfr. Gianfranco Bianchi, op. cit., p.103; 30 Cfr. “La Provincia di Como”, 21 dicembre 1943, foglio s.n.; 31 Cfr. De Antonellis Giacomo, op. cit., p.105; 32 Cfr. Bianchi Gianfranco, op. cit., p.102;
davanti a giudici ammaestrati e incompetenti, e che sapevo non avrebbero avuto il coraggio di essere di parere contrario a quello del deus ex machina della montatura di un simile tragicomico processo, Francesco Scassellati, Capo della Provincia di Como. Non riuscivo a capire per quale ragione e in base a quali fatti quattro di quelle persone dovevano rimetterci la vita! Fatti generici, non accuse specifiche; non menzionati titoli di reato; i fatti più recenti risultavano al 12 novembre 1943, e si notava lo sforzo dei Compilatori di stabilire un certo nesso di causa tra questi fatti, come ripeto, generici, e l’uccisione di Pozzoli e Pontiggia. I fatti più vecchi risalivano addirittura al 1919! E, per questo, si convocava, ora, un Tribunale Straordinario. Notai subito la illegalità della costituzione di un Tribunale Straordinario, non sussistendo, in ogni caso, la fragranza di reato; e tale mia opinione resi subito nota al Presidente del Tribunale che sembrò allora dello stesso parere. […]”33.
Verso le 21:00 iniziò quello che si pretendeva chiamare processo, che si concluse con tre condanne a morte: Puecher, Giudici, Testori Giulio. Dai cinque ai venticinque anni di reclusione per gli altri. L’avvocato Beltramini convinse il Questore Pozzoli, la cui durezza si era ammorbidita, a fare un estremo tentativo presso Scassellati per una modifica del verdetto. Scassellati decise la commutazione della pena di morte in trent’anni di reclusione per i due condannati, conferma della pena capitale per il Puecher34. Il Tribunale Straordinario comunicò agli imputati l’ultima versione della sentenza.
“Puecher: a) per avere in territorio di Erba dopo l’8 settembre del ’43 promosso, organizzato e comandato una banda armata di sbandati dell’ex‐ esercito allo scopo di sovvertire le istituzioni dello Stato e per commettere furti, rapine e atti terroristici (art. 241 C.P.); b) del reato di cui all’art. 628 C.P. 33 Cfr. Bianchi Gianfranco, op. cit., pp.104‐105; 34 Cfr. ASC, Fondo Prefettura, Carte di Gabinetto, II versamento, Carte riservate Scassellati cart.2, sentenza del Tribunale Straordinario di Erba, del 21.12.1943, foglio N.154/Ris.sp.; Vedi Appendice: Doc. (11);
per essersi impossessato mediante violenza ed uso di armi, insieme ad altri partigiani rimasti sconosciuti in una sera imprecisata del settembre 1943 in Erba, di alcuni bidoni di benzina depositati presso l’Albergo Crotto Rosa. Tutti gli altri: di associazione a delinquere previsto dall’art. 416 C.P. 34 cpv. per essersi riuniti allo scopo di sollevare in armi un forte numero di sbandati contro in poteri dello Stato ‐ con l’aggravante della continuazione art. 81 C.P. e del tempo di guerra ‐ reati accertati in Erba dall’8 settembre al 20 dicembre 1943”35.
Giancarlo Puecher veniva fucilato per alcuni bidoni di benzina e contro gli altri le accuse furono generiche e false, poiché venivano considerati colpevoli anche per fatti avvenuti mentre erano detenuti. Il processo fu una tragica farsa, “tutti i condannati erano stati fermati a scopo intimidatorio dopo l’uccisione di un fascista e il ferimento di un altro, quaranta giorni prima che fosse ucciso il Frigerio; la condanna era avvenuta per addebiti generici estranei a tale delitto; niente di concreto in ordine ad attività antifascista, stava a carico dei condannati”. L’atteggiamento persecutorio restava quindi soltanto nei confronti di Giancarlo, dovendo giustificare (senza spiegare) la massima pena36.
Nell’estate del 1944 a Brescia, l’avvocato Piero Pisenti, guardasigilli della R.S.I. riconosciuta la nullità del processo di Erba e l’arbitrarietà delle condanne inflitte dal quel “tribunale”, dopo un’indagine affidata in loco al Procuratore generale dello Stato di Milano Laviani, faceva scarcerare tutti gli imputati37. Appresa la condanna a morte Giancarlo Puecher scrisse una lettera di addio poco prima della fucilazione, nella quale emerge: l’orgoglio per le proprie imprese sportive; il richiamo al sacrificio evangelico; il dettaglio 35 Cfr. De Antonellis Giacomo, op. cit., p.117; 36 Cfr. De Antonellis Giacomo, op. cit., p.118; 37 Cfr. ASC, Fondo Prefettura, Carte di Gabinetto, II versamento, Carte riservate Celio cart.1, provvedimento di grazia, 1.07.1944, foglio s.n.;
degli oggetti che materializzano ed esprimono il legame affettivo coi destinatari; l’esortazione ai giovani di lottare per la libertà della Patria.
Questa semplice testimonianza spirituale dimostra come Puecher a soli vent’anni andò incontro alla morte con fierezza, coraggio e piena consapevolezza. La testimonianza dell’avvocato difensore Beltramini conferma tutto ciò:
“aspettai che Puecher avesse finito di scrivere e si fosse comunicato e lo attesi all’uscita della stanza. Aveva lo sguardo fisso ma era calmo. Lo salutai, mi strinse fortemente la mano e mi disse di salutare suo padre. […]. Verso le ore 3 il cappellano (Padre Fiorentino Bastaroli) tornò e mi raccontò che Giancarlo Puecher era morto da eroe. […]. Si era mantenuto calmissimo, aveva pregato fino all’ultimo. Aveva abbracciato uno per uno i militi e il comandante del Plotone di esecuzione, dicendo che stessero tranquilli essendo già da lui perdonati. Aveva chiesto che gli fossero slegate le mani e fu accontentato: si pose davanti al Plotone con la massima calma e morì al grido di: Viva l’Italia, senza la benché minima parola di odio contro chiunque”38.
L’8 gennaio 1944 “La Provincia di Como”, unico quotidiano di Como e Provincia, direttamente controllato dal Capo della Provincia Francesco Scassellati, pubblicò un articolo in cui erano state ricostruite le imprese di Giancarlo Puecher, in una versione costruita appositamente post‐mortem e che mirava a fare passare Puecher come un delinquente39. L’articolo era seguito da un corsivo anonimo di chiara ispirazione del Capo della Provincia che ribadiva il giudizio sul Puecher pericoloso bandito: 38 Cfr. Bianchi Gianfranco, op. cit., pp.123‐124; 39 Cfr. “La Provincia di Como”, 8 gennaio 1944, foglio s.n.; Vedi Appendice: Doc. (12);
“Il giovane Puecher, alla chiara, inequivocabile luce dei fatti compendiati nei capi di imputazione a suo carico, era un delinquente pericoloso che agiva per cosciente spirito anti italiano, traviato e ridotto a uno stato di aberrante bassezza morale anche per colpa della pessima educazione ricevuta”40.
A Giancarlo Puecher Passavalli il 26 ottobre 1945 fu data da Umberto di Savoia Principe di Piemonte, Luogotenente Generale del Regno, la Medaglia d’oro al V.M., prima medaglia d’oro della Resistenza. Terribile destino fu quello del padre di Giancarlo, Giorgio Puecher; dopo la morte del figlio, ritornò in libertà, non cercò di nascondersi o di fuggire; pensava che il sacrificio del figlio avesse placato Scassellati. Il 15 febbraio 1944 il notaio fu di nuovo arrestato senza nessun capo di imputazione e rinchiuso a San Vittore alla mercé del sadico maresciallo Klem. Giorgio fu poi trasferito al campo di concentramento di Fossoli presso Carpi (Modena), anticamera della deportazione in Germania. Morì a Mauthausen il 7 aprile 1945, la sua salma non ebbe sepoltura poiché fu bruciata in un forno crematorio del campo. La figura eroica di Puecher fu un esempio da cui trassero guida due formazioni di volontari della libertà: la “Brigata Giancarlo Puecher” e il “Battaglione Puecher”.