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In viaggio con Erodoto: ieri e oggi

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Academic year: 2021

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ANNALI DEL GINNASIO LICEO

“GIOVANNI PRATI”

DI TRENTO

2016/17

con le foto di tutti gli alunni

a cura di Maria Pezzo

con la collaborazione di Marcello Bonazza e Emanuele Pulvirenti

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IN VIAGGIO CON ERODOTO. IERI E OGGI

Giorgia Proietti

A mio nonno Mario, uomo libero.

Il titolo di questo contributo, proposto oralmente nell’Aula Magna del Liceo in occasione della premiazione dell'edizione 2016/17 del Certamen

Athesi-num, cita nella sua prima parte il titolo del libro di Riszard Kapuściński, In viaggio con Erodoto (Milano 2005; ed. or. 2004). Lì il noto scrittore,

gior-nalista e reporter polacco ripercorre le vicende della sua vita, dalla sua in-fanzia povera ai suoi viaggi di lavoro, iniziati quando, appena laureato e as-sunto come reporter presso una testata giornalistica nel suo paese, viene in-viato allo sbaraglio in giro per il mondo, con il compito di produrre dei

re-portages (o -potremmo dire alla maniera erodotea- delle historiai), sull'India

e la Cina, l'Egitto, l'Iran e il Congo. Alternando la descrizione della realtà di volta in volta sotto la sua osservazione a quella del mondo privato delle sue sensazioni, Kapuściński racconta da un lato le molteplici difficoltà incontra-te, dall'altro il suo punto di riferimento, le Storie di Erodoto, un caposaldo della letteratura greca antica che egli nei suoi spostamenti e nei suoi sog-giorni legge e rilegge, riconoscendosi nel suo autore. La ragione per la quale ho attinto a questo libro per introdurre il mio contributo, rivolto agli studenti di un liceo classico in un'epoca storica in cui l'utilità e l'attualità degli studi umanistici sono sempre più frequentemente revocate in dubbio, risiede nel fatto che Kapuściński sembra aver colto, quasi paradossalmente più di alcu-ni storici antichisti, l'attualità di Erodoto. Padre della storia ma anche di molto altro.

Erodoto padre della storia?

Sulla scorta della nota definizione di Cicerone (De legibus I 1, 5), la tradi-zione scolastica e accademica ha trasmesso, non a torto, l'immagine di Ero-doto (ca. 484 - post 424/3 a.C.) come 'pater historiae', come cioè fondatore della storiografia greca e poi occidentale.1 Che le Storie di Erodoto

1 Utili sintesi della biografia, dell'opera e del metodo erodoteo sono fornite da D. Asheri

nell'ampia introduzione a Erodoto, Le Storie. Libro I, La Lidia e la Persia, Milano 1989, ix-lxixe da T. F. Scanlon nel secondo capitolo del suo Greek Historiography (Oxford 2015). Approfondimenti relativi a una pluralità di problematiche erodotee sono reperibili

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scano la prima opera storiografica scritta da un 'soggetto scrivente autono-mo', secondo la celebre definizione di F. Hartog,1 è senz'altro vero. Già nell'età del Bronzo si erano registrati i primi tentativi di fare storia nelle grandi civiltà orientali, ma si trattava dell'opera di scribi che mettevano nero su bianco elenchi di avvenimenti e genealogie per conto di un potere centra-le, per esempio le imprese dei monarchi, in cui il sovrano parlava in prima persona. Erodoto invece è il primo storico che decide autonomamente, mos-so da libera volontà intellettuale, di condurre una historie: una 'ricerca', se-condo la traduzione corrente del termine o, sese-condo una resa a mio avviso migliore, 'inchiesta' o 'indagine' (analogamente all'inglese inquiry). Ma sul significato e la forma della historie erodotea torneremo poco più avanti.

Figura 1. L'impero persiano

Si tratta in ogni caso di una inchiesta che muove dalla descrizione geografi-ca ed etnografigeografi-ca delle regioni principali dell'impero persiano (la Persia, il moderno Iran, e le regioni dell'Asia e dell'Africa settentrionale: vd. fig. 1), fino alla narrazione delle Guerre Persiane, lo scontro epocale tra Greci e

da ultimo in N. Luraghi (ed.), The Historian's Craft in the age of Herodotus, Oxford 2001; E.J. Bakker - I. J. F. de Jong - H. van Wees (eds.), Brill's Companion to Herodotus, Leiden - Boston - Koln 2002; M. Giangiulio (a cura di), Erodoto e il 'modello erodoteo'.

Forma-zione e trasmissione delle tradizioni storiche in Grecia, Trento 2005; J. A. Evans, The Be-ginnings of History: Herodotus and the Persian Wars, Campbellville, Ontario 2006; C.

Dewald - J. Marincola (eds.), The Cambridge Companion to Herodotus, Cambridge 2006; R. V. Munson, Herodotus. Vol. 1: Herodotus and the Narrative of the Past; vol. 2:

Herodo-tus and the World, Oxford 2015.

1 F. Hartog, Lo specchio di Erodoto, Milano 1992 (ed. or. Le miroir d'Hérodote. Essai sur

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Persiani che si consuma tra il 490 (battaglia di Maratona) e il 480/79 a.C. (la guerra contro l'armata di Serse), con un preludio nella rivolta ionica negli anni '90 del V secolo, e una coda significativa di eventi militari in acque egee che arriva fino alla metà del V secolo. Oggetto di queste pagine non sono tanto i contenuti delle Storie, ma l'approccio metodologico, intellettua-le e culturaintellettua-le di Erodoto: è lì infatti che risiede, soprattutto, l'attualità di Erodoto.

I luoghi della vita di Erodoto: una dimensione mediterranea

Qualche accenno biografico è necessario per capire l'approccio di Erodoto alla sua indagine. Erodoto nasce in Asia Minore verosimilmente alla fine degli anni '80 del V secolo a.C., alla vigilia delle Guerre Persiane, da una famiglia dotata di buoni mezzi economici, da madre greca e padre cario, forse un mercante. Nasce più precisamente ad Alicarnasso, colonia greca nella regione della Caria corrispondente all'odierna città turca di Bodrum, allora come ora città portuale, scalo commerciale nodale tra l'Asia, il Medio Oriente e la Grecia. Come tutte le città d'Asia Minore - la porzione costiera, affacciata sull'Egeo, della moderna Turchia - Alicarnasso era una colonia greca in territorio asiatico e al tempo di Erodoto soggetta ai Persiani: una città dunque caratterizzata da una condizione strutturale di metissage, costi-tuita da elementi culturali locali, greci e persiani (vd. fig. 2).

Figura 2. L’Asia Minore con Alicarnasso

Un primo dato cruciale della biografia di Erodoto è proprio il suo essere un greco d'Asia Minore, il suo provenire cioè da un luogo che per la sua

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collo-cazione geografica era inevitabilmente un punto di osservazione privilegiato del rapporto tra Greci e Persiani. Alla vigilia delle Guerre Persiane, quando Erodoto nasce, infatti, se un Persiano dell'Iran forse poteva non curarsi delle vicende della Grecia e dell'Occidente, così come un Greco di Grecia conti-nentale poteva forse non curarsi delle vicende in corso nel cuore d'Asia, bi-sogna ammettere che un Greco d'Asia Minore, volente o nolente, aveva a che fare con un orizzonte duplice: in altri termini, un Greco d'Asia minore, come Erodoto, non poteva non guardare contemporaneamente sia a est che a ovest, sia all'impero persiano che alla Grecia continentale. Tanto più che, secondo la concezione del mondo di allora, per cui la terra era una sorta di ovale costituito solo dall'Asia e dall'Europa e circondato dall'oceano, l'Asia minore era proprio il centro del mondo (vd. fig. 3).

Figura 3. La concezione del mondo al tempo di Erodoto

Il secondo dato cruciale della biografia di Erodoto è il suo viaggiare in lun-go e il larlun-go per il Mediterraneo: oltre alla natia Alicarnasso, tre sono i luo-ghi cruciali della sua vita. Il primo è Samo, la grande isola ionica prospi-ciente la costa microasiatica, distante un paio di giorni di navigazione da Alicarnasso, dove il giovane Erodoto e la sua famiglia vengono esiliate a seguito della loro partecipazione a una congiura contro il tiranno filopersia-no di Alicarnasso; Samo, allora, all'arrivo di Erodoto, solo da pochi anni si era liberata del dominio persiano ed era entrata nella lega delio-attica. Il se-condo luogo della vita di Erodoto è Turi, la colonia magnogreca voluta da Pericle sul sito della antica Sibari, sulla costa ionica della Calabria, e alla cui fondazione nel 444/3 Erodoto partecipa. Il terzo è Atene, dove Erodoto trascorre molto tempo, probabilmente anche in fasi della vita diverse, sia prima sia dopo l'esperienza di Turi. Atene, la cui centralità nell'opera

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erodo-tea è stata da più parti riconosciuta, anche se spesso erroneamente letta in termini di political partisanship o, viceversa, di ostilità, rappresenta per Erodoto l'osservatorio principale delle cose di Grecia. Se dobbiamo imma-ginarci una fase almeno in parte stanziale nella vita di Erodoto, la dobbiamo infatti immaginare ad Atene; altrimenti Erodoto è in viaggio. Per Erodoto il viaggio non è solo un percorso obbligato verso una meta prestabilita, ma è il percorso stesso, è una modalità di compiere la sua historie, la sua inchiesta: i celebri versi dell' 'Itaca' di Konstantinos Kavafis, per cui la ricchezza di un viaggio non risiede nel raggiungimento della meta, bensì nell'esperienza del viaggio stesso, senz'altro si rifanno a una idea già presente, e assolutamente operativa, in Erodoto.1

Dopo aver trascorso dunque la sua vita a Alicarnasso prima, a Samo, Turi e Atene poi, e dopo aver viaggiato in tutto il Mediterraneo orientale nelle re-gioni dominate dai Persiani, Erodoto muore forse ad Atene (o a Turi, secon-do una tradizione minoritaria), non prima del 424/3, data dell'evento sicuro più recente citato nelle Storie. Nulla impedisce tuttavia di pensare che sia morto anche 10 o 15 anni dopo. In ogni caso, Erodoto con ogni probabilità assiste al primo decennio della guerra del Peloponneso, scoppiata nel 431 e conclusasi temporaneamente nel 421 con la pace di Nicia, e non è escluso, come alcuni studi recenti hanno in effetti suggerito, che egli abbia assistito anche alla ri-esplosione delle ostilità seguita alla presa della fortezza di De-celea nel 411, episodio che ha inaugurato la fase più drammatica del conflit-to, conclusosi nel 404 con la sconfitta di Atene. Come che sia, Erodoto è te-stimone dell'esito drammatico della competizione generalizzata per l'ege-monia tra le varie poleis che cinquant'anni prima avevano partecipato, unite, alle Guerre Persiane. La Guerra del Peloponneso segna la fine di un'epoca storica, le cui origini Erodoto andava indagando. Ma che cosa andava inda-gando esattamente Erodoto, e qual era l'obiettivo della sua inchiesta?

Sulle tracce delle Storie: l’espansionismo persiano come fil rouge dell’inchiesta erodotea

Le Storie, che come è noto oggi leggiamo nei 9 libri intitolati alle Muse in cui in età ellenistica i filologi alessandrini organizzarono l'opera erodotea, erano in origine un'opera continua, frutto di un lavoro di ricerca durato di-versi decenni, e infine (o a più riprese) messo per iscritto. L'apparente stac-co tra gli attuali primi 5 libri, dedicati alla descrizione geoetnografica delle varie regioni dell'impero persiano (Lidia, Persia, Egitto, Libia, Scizia), e gli

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ultimi 4 libri, dedicati alle Guerre Persiane, ha indotto alcuni a dubitare dell'unità delle Storie. L'annoso dibattito tra i cd. analitici e i cd. unitari, a dispetto di qualche eco persistente in certa letteratura anche recente, è stato di recente ridimensionato alla luce, da un lato, della evidente consapevolez-za erodotea dell'architettura complessiva dell'opera, dall'altro, dell'indivi-duazione di un filo conduttore che attraversa interamente le Storie, e che conduce naturalmente dai primi libri di carattere geo-etnografico alla narra-zione delle Guerre Persiane degli ultimi libri. Il fil rouge delle Storie è infat-ti cosinfat-tituito non dalle Guerre Persiane (tema che in effetinfat-ti sarebbe difficile riconoscere come presente anche alle spalle della trattazione geoetnografica dei primi libri), ma l'espansionismo persiano.

Occorre chiedersi perché Erodoto si interessi all'espansionismo persiano. E per cercare una risposta occorre allora tornare alla biografia di Erodoto, e ricollocarci nel tempio e nello spazio che hanno fornito il contesto alla sua indagine. Greco d'Asia Minore, nato e cresciuto in una città governata da un tiranno filopersiano, l'opposizione al quale era costata a lui e alla sua fami-glia l'esilio a Samo, che allora a sua volta si era liberata da poco del dominio persiano, Erodoto si mette in viaggio in lungo e in largo per il Mediterraneo orientale quando la scena internazionale è dominata dalla prosecuzione della guerra tra Greci e Persiani, dopo le Guerre Persiane propriamente intese. Siamo negli anni '70-'60 del V secolo. Possiamo immaginarcelo questo gio-vanotto, dotato di curiosità intellettuale, spirito di indagine, e verosimilmen-te anche di buoni mezzi economici, che proviene da una famiglia e da una città che con i Persiani aveva avuto direttamente a che fare, e che tra la gio-vinezza e l'età adulta si trova ad assistere prima alla continuazione della guerra tra Persiani e Greci nelle acque dell'Egeo centro-settentrionale e me-ridionale, e poi al conseguente spostamento del baricentro delle dinamiche politico-militari verso Occidente: dopo la battaglia dell'Eurimedonte, com-battuta (in data discussa) nel corso degli anni '60, all'epoca della quale Ero-doto avrà avuto circa 25 anni, era Atene, a capo della lega delio-attica, e non più l'impero persiano a dominare il Mediterraneo orientale. A Erodoto tale epocale cambiamento deve apparire in tutta la sua portata. È dunque natura-le che, a partire dal contesto storico a lui presente, Erodoto si interroghi su-gli sviluppi storici che lo avevano determinato, e sulla loro origine ultima, identificata appunto con l'espansionismo persiano verso Occidente. Come lui stesso ci racconta, infatti, alla metà del VI secolo i Persiani avevano conquistato il regno di Lidia, nel cuore dell'altopiano d'Anatolia (nel retro-terra dunque della fascia costiera d'Asia Minore), e avevano installato tiran-ni filopersiatiran-ni anche nelle città greche d'Asia Minore, Alicarnasso compre-sa. A un certo punto le città greche d'Asia Minore, appoggiate da alcuni Greci del continente (Ateniesi ed Eretriesi), si erano ribellate ai Persiani (la

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cd. rivolta ionica 498-494), e da ciò, pochi anni dopo, erano scaturite le Guerre Persiane (490 e 480/79), innescate dunque dalla volontà persiana di vendicare l'aiuto fornito dai Greci ai Greci d'Asia ribelli. Dal punto di vista dell'espansionismo persiano verso Occidente, l'Asia Minore e la Grecia con-tinentale non sono che l'ultima porzione del Mediterraneo orientale con cui i Persiani si erano trovati ad avere a che fare. Non dunque le Guerre Persiane, ma l'espansionismo dell'impero persiano, il coinvolgimento della Grecia, fi-no al capovolgimento nei rapporti di potere tra l'ufi-no e l'altra, sofi-no oggetto dell'historie di Erodoto.

Il metodo storico di Erodoto: la raccolta di testimonianze dirette

Torniamo allora al concetto di historie, di cui ho anticipato sopra la necessi-tà di una traduzione connessa all'ambito semantico dell'inchiesta, dell'inda-gine. Historie deriva infatti dalla radice indoeuropea wid-, weid-, che ha a che fare con la sfera semantica della 'vista'. L'inchiesta di Erodoto, come egli stesso afferma in più occasioni nelle Storie, si fonda infatti sulla vista (opsis) e sul sentito dire (akoé): insomma, sulla testimonianza diretta. Ero-doto non consulta documenti d'archivio, e probabilmente non consulta nemmeno opere storiografiche precedenti, posto che ce ne fossero (l'annosa questione sugli eventuali predecessori di Erodoto è ancora lontana dall'esse-re risolta). Gli unici documenti nel senso moderno del termine che egli di-chiara esplicitamente di aver consultato e che cita, letteralmente o parafra-sandole, sono le iscrizioni, sia greche che persiane. Ma ci muoviamo in fon-do sempre nell'ambito della vista – le iscrizioni sono infatti oggetti che si possono vedere e toccare con mano – e nel caso della consultazione di iscri-zioni in lingua non greca ci muoviamo anche nell'ambito del sentito dire, perché per la loro comprensione Erodoto, che non conosceva le lingue ira-niche, si serviva di guide e interpreti locali.

Erodoto dunque viaggia per recuperare testimonianze dirette. Il viaggio è uno strumento fondamentale per Erodoto, è ciò che gli permette l'osserva-zione della realtà culturale e politica. Per Erodoto vale senz'altro ciò che Kapuściński dice di sé, e cioè che solo in viaggio un reporter si sente se stesso e a casa propria. Dalle pagine di Kapuściński si coglie molto bene questo particolare stato esistenziale che caratterizza il viaggiatore in quanto reporter, o il reporter in quanto viaggiatore, e che ci permette per un mo-mento di vestire anche i panni di Erodoto: uno stato esistenziale quasi pato-logico, che rende dipendenti dal viaggio, incapaci di fermarsi, una condizio-ne in cui anche quando si è impossibilitati a viaggiare ci si consola conti-nuando a leggere libri sui luoghi appena visitati o su quelli meta del viaggio

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successivo. Kapuściński parla del "virus del viaggio": "un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta. In realtà comincia molto prima e praticamente non finisce mai, dato che il nastro della memoria continua a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati. É il virus del viaggio, malattia sostanzialmente incurabile" (p. 80). Iniziamo a capire che Erodoto è stato non tanto uno storico nel senso mo-derno del termine, quanto il primo vero reporter della storia: il suo bisogno di viaggiare, di toccare con mano, di raccogliere dati, paragonarli ed esporli, con tutte le necessarie riserve che occorre nutrire riguardo alle storie riferite da altri, fa di Erodoto quasi più un giornalista che uno storico. Il viaggio é anche ciò che gli permette il confronto con l'altro, con i non Greci: è ciò che gli permette di scoprire la pluralità culturale del mondo. Possiamo immagi-narcelo, Erodoto, nelle vesti quasi di un moderno antropologo fornito di re-gistratore, penna e block notes (rotoli di papiro e tavolette d'argilla, eviden-temente, nel suo caso), che si addentra nelle terre più sperdute e anche ino-spitali a osservare usi e costumi e a raccogliere testimonianze orali delle po-polazioni locali.

Erodoto cultore della memoria

Erodoto dunque si presenta come un giornalista d'inchiesta che si occupa di fatti storici, non solo nella prospettiva della catena evenemenziale, spesso e volentieri ridotta a storia politico-militare, ma nella prospettiva di una storia degli uomini. Le Storie sono in questo senso un esempio di storia davvero totale, che anticipa l'esigenza di una storia onnicomprensiva, attenta non so-lo agli eventi ma agli uomini protagonisti degli eventi: un'esigenza cui han-no dato voce per primi gli storici dell'École des Annales, negli anni '20 del '900, ma che in realtà già Erodoto aveva espresso benissimo. Ciò che muove Erodoto è un interesse umanistico nel senso più lato del termine: oggetto della sua attenzione sono i fatti umani. E obiettivo della sua osservazione dei fatti umani è preservarli dall'oblio, garantirne il ricordo.

Questa è l’esposizione della ricerca (ἱστορίης ἀπόδεξις) di Erodoto di Alicarnasso, affinché le vicende degli uomini (τὰ γενόµενα ἐξ ἀνθρώπων) con il tempo non di-vengano sbiadite (τῷ χρόνῳ ἐξίτηλα γένηται), e le imprese importanti e mirabili (ἔργα µεγάλα τε καὶ θωµαστά), sia quelle compiute dai Greci sia (quelle compiute) dai barbari, non rimangano prive di fama (ἀκλεᾶ γένηται), e inoltre anche per qua-le motivo combatterono tra loro. (Hdt. I 1)

Come egli stesso afferma nel proemio delle Storie, il suo obiettivo è dunque preservare il ricordo dei fatti umani, non a caso genericamente indicati con

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l'espressione ta genomena ex anthropon. Erodoto si mostra quasi ossessio-nato dal tema della memoria, che lui sa essere fragile, caduca. Ciò non è scontato: noi moderni non ci preoccupiamo della memoria in sé, non ab-biamo paura dell'oblio, perché viviamo nel mondo della "memoria imma-gazzinata", per usare ancora un'espressione di Kapuściński (p. 77). Se ci oc-corre o ci dimentichiamo un dato, possiamo rioc-correre a una molteplicità di strumenti per recuperarlo: libri, musei, biblioteche, cassette audio e video, file audio e video, il web. Nel mondo di Erodoto, invece, "l'unico (o quasi l'unico) depositario della memoria è l'uomo. Se si vuole conoscere ciò che è stato memorizzato, bisogna consultare l'uomo. Se quest'uomo vive lontano, dobbiamo metterci in cammino, raggiungerlo e, una volta trovato, sederci ad ascoltare ciò che ha da dirci. Ascoltare attentamente, memorizzare, magari annotare. É così che nasce un reportage" (p. 77). Ed è così che nascono le

Storie di Erodoto.

L’apertura intellettuale e il relativismo etico e culturale di Erodoto

Abbiamo dunque affermato che l'obiettivo di Erodoto, nella sua inchiesta sull'espansionismo persiano e le cause del conflitto greco-persiano, è dare memoria ai fatti umani, piccoli e grandi. La cifra saliente dell’atteggiamento di Erodoto verso i fatti umani è l'assenza di giudizio. Erodoto riferisce, con il solo obiettivo di preservare il ricordo; racconta, al massimo confronta, ma non giudica, né classifica. E, soprattutto, tenta di capire.

Basti pensare al famoso tripolitikos logos (III 80-82), il dibattito sulle tre forme di governo (isonomia, oligarchia e monarchia), oggetto delle perora-zioni rispettivamente di Otane, Megabizo e Dario, impegnati a discutere cir-ca il nuovo assetto da dare alla Persia dopo una crisi di potere. Al di là delle molteplici interpretazioni che di tale passo sono state proposte, e le diverse fonti che sono state individuate alle sue spalle, il fatto saliente in relazione al discorso che stiamo svolgendo è che Erodoto cerca di leggere e interpre-tare le questioni di potere e le tensioni politiche persiane attraverso le cate-gorie e il linguaggio della polis. Non sappiamo se Erodoto abbia tradotto correttamente il dibattito persiano: forse no – anzi è probabile che, alla pari di un moderno antropologo sia incorso in quelli che si definiscono come 'fraintendimenti creativi' – ma ad ogni modo egli compie un'operazione ine-dita, per nulla scontata, quella di cercare di comprendere, traducendola in un linguaggio famigliare, una situazione altra, diversa. Ci sono pagine erodotee su città lontane, esotiche nella concezione di un greco d'Asia minore o del continente (Babilonia su tutte), da cui trapela anche una certa simpatia per aspetti della vita politica, sociale e culturale di un popolo straniero. Di

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fron-te alla cultura dei non Greci Erodoto manifesta un atfron-teggiamento di estrema apertura culturale e intellettuale: egli descrive con curiosità e passione gli usi, i costumi e le pratiche sociali delle genti del Nilo, delle terre africane, degli Sciti che abitavano sopra il mar Nero, dei Babilonesi, dai riti religiosi ai culti e ai sacrifici, dai banchetti al rapporto con gli animali. Di fronte agli usi più curiosi, Erodoto commenta, ma non giudica: persino di fronte alla pratica babilonese dell'asta pubblica delle vergini, una pratica apparente-mente aberrante per la sensibilità greca, Erodoto fa un riflessione che gli permette di cogliere un aspetto invece positivo, e cioè che grazie alla vendi-ta delle ragazze belle si potevano marivendi-tare anche quelle brutte, perché i soldi ricavati con la vendita delle ragazze più belle andavano in dote a coloro che sposavano quelle brutte, destinate altrimenti a rimanere senza marito.

E queste le leggi che vigono presso i Babilonesi. [...] Tutti gli anni, una volta all'anno nei singoli villaggi, si faceva questa cerimonia : tutte le fanciulle che era-no quell'anera-no in età da marito eraera-no radunate insieme e venivaera-no fatte entrare tutte in un sol luogo : intorno ad esse stavano in piedi gli uomini in gran numero. L'a-raldo pubblico, facendole alzare a una a una, le metteva in vendita a cominciare dalla più bella di tutte. Quando questa, trovato un ricco compratore, veniva vendu-ta, il banditore ne metteva all'asta un'altra, la più bella dopo la prima. Naturalmen-te venivano venduNaturalmen-te perché poi fossero sposaNaturalmen-te. Tutti i facoltosi di Babilonia in età da prendere moglie, cercando di superarsi con le offerte, si assicuravano le donne più graziose; invece quelli del popolo che aspiravano al matrimonio del bell’aspetto non sapevano che farsene e prendevano in moglie le ragazze più brutte insieme con una ricompensa in denaro. Infatti il banditore, quando aveva finito di vendere all'incanto le fanciulle più avvenenti, presentava la più brutta o, se c'era, una storpia, e cercava di aggiudicarla a chi volesse convivere con lei, ricevendo il minor compenso, fino a che veniva assegnata a chi s'impegnava di sposarla a mi-nor prezzo. Il denaro che veniva dato proveniva dalla vendita delle fanciulle belle, e cosi le belle ragazze facevano sposare le brutte e le disgraziate. A nessun padre, infatti, era concesso di maritare la propria figlia a chi voleva né uno poteva portar-si via la fanciulla che aveva comperato, senza pagare il prezzo o senza dare una garanzia [...] (Hdt. I 196)

Come ha evidenziato di recente Eva Cantarella (nel suo ultimo libro,

Ippo-potami e sirene. I viaggi di Omero e di Erodoto, Novara 2014), lo stacco

ri-spetto al mondo precedente a Erodoto è netto e epocale. Mentre i non Greci conosciuti in viaggio dagli eroi omerici sono tratteggiati in maniera schema-tica e negativa, in quanto rappresentanti di una forma di vita associata pre-politica, o anti-politica (si pensi a Polifemo), o di modelli comportamentali, individuali e sociali, negativi (Circe e Calipso rappresentano l'inganno, i Lo-tofagi l'oblio della patria), Erodoto cerca invece di comprendere a fondo come funzionano la società, la famiglia, la religione, le leggi degli altri po-poli. Accade talvolta che egli giudichi come incredibile ciò che vede o sente

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dire, ma il fatto di giudicare ciò che vede o sente dire come incredibile non gli impedisce comunque di raccontarlo. A un certo punto del II libro, dopo aver raccontato una novella curiosa attorno a Rampsinito novello re d'Egit-to, Erodoto infatti avanza una dichiarazione metodologica che a ragione va ritenuta valida per tutta la sua opera:

A queste cose raccontate dagli Egizi prestino pure fede coloro per i quali faccende del genere risultano credibili; ma per me in tutta la narrazione è dato per sottinteso che scrivo, per averle sentite narrare (akoé) le cose che mi vengono dette (ta

lego-mena) da ciascuno. (Hdt. II 23)

Erodoto cerca dunque di capire la cultura dei popoli non Greci: li osserva da vicino, ne sente parlare e li racconta senza pregiudizi, arrivando anche ad affermare che alcuni usi greci, perfino la religione, derivino in realtà dagli Egizi (Hdt. II 50.1). Al di là di ciò che sta a monte di questa considerazione (il ruolo del retaggio orientale nel bagaglio culturale dei Greci, e in partico-lare dei Greci d'Asia come Erodoto) e al di là di ciò che ne è scaturito (la pubblicazione dell'Atena Nera di Martin Bernal e l'acceso dibattito sulle presunte origini afro-asiatiche della civiltà greca che essa ha innescato), l'af-fermazione erodotea sulla derivazione di diversi aspetti della cultura greca da quella egizia è ancora una volta indice dell'autonomia intellettuale di Erodoto, del suo essere libero da pregiudizi e preconcetti, del suo non curar-si di quello che doveva essere il politically correct del suo tempo: Erodoto certo non si faceva condizionare dal fatto che gli Ateniesi dell'età di Pericle si vantavano con grande enfasi del loro essere stati i primi (protoi) e/o i soli (monoi) a introdurre una molteplicità di elementi e pratiche culturali e socia-li. Per Erodoto viceversa il sincretismo religioso e culturale è il paradigma-guida nell'interpretazione della realtà.1 Egli è anzi consapevole che per ogni popolo i costumi migliori sono i propri: nel terzo libro, il re persiano Cam-bise, dopo aver aggredito Creso, ucciso il proprio fratello Smerdi e la mo-glie, è impazzito. Prova della sua follia è l’aver deriso la statua di Efesto a Menfi e l’avere dato fuoco alle statue degli dei. Solo un pazzo, secondo Erodoto, potrebbe offendere le cose sacre e i costumi tradizionali, dei quali ogni popolo è orgoglioso e geloso. Così gli Indiani non si lascerebbero mai indurre a bruciare i cadaveri dei loro morti, come fanno i Greci, mentre i Greci non accetterebbero mai di mangiarli, come invece fanno gli Indiani.

1 Su questa prospettiva cfr. da ultimo le belle pagine di K. Vlassopoulos, "The stories of the

Others: storytelling and intercultural communication in the Herodotean Mediterranean", in E. Almagor - J. Skinner (eds.), Ancient Ethnography: New Approaches, London (2013), 49-75.

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Per me dunque è assolutamente chiaro che Cambise era in preda a una grande fol-lia: altrimenti non avrebbe cominciato a deridere la religione e le usanze. Se infatti si facesse una proposta invitando tutti gli uomini a scegliere, tra tutte le usanze, quelle più belle, dopo aver meditato ciascuno sceglierebbe le proprie: a tal punto tutti sono convinti che le proprie usanze siano di gran lunga le più belle. Non è dunque verosimile che un uomo, a meno che non sia pazzo, le faccia oggetto di derisione. Che tutti gli uomini, a proposito delle usanze, siano di questo parere, può essere valutato in base a molte prove, anche diverse; più in particolare, dalla prova seguente. Durante il suo regno, Dario convocò i Greci presenti al suo segui-to e chiese loro in cambio di quali ricchezze avrebbero accettasegui-to di mangiare i pa-dri morti: i Greci risposero che non l’avrebbero fatto a nessun prezzo. Dario quin-di, convocati gli Indiani chiamati Callati – quelli che mangiano i genitori – , alla presenza dei Greci che comprendevano quanto veniva detto attraverso un interpre-te, chiese loro in cambio di quali ricchezze avrebbero accettato di bruciare con il fuoco i padri morti. I Callati, gridando forte, esortarono Dario a non pronunciare parole empie. (Hdt III 38)

Non a torto, dunque, Erodoto è considerato un precursore del relativismo culturale. Bisogna osservare a questo proposito che il relativismo etico e culturale di cui è portavoce Erodoto doveva rappresentare una corrente di pensiero già in una certa misura avviata al suo tempo: già Pindaro, ad esem-pio, aveva affermato che 'Chi ha certe usanze (nómima) e chi ne ha altre, e ognuno loda il costume che gli appartiene' (fr. 215 Maehler), e anche che 'la consuetudine è regina di tutte le cose' (nomon panton basilea) (fr. 169a Ma-heler); quest'ultima, non a caso, è una massima famosa che Erodoto stesso cita a III 38, 1, proprio dopo l'episodio della follia di Cambise. Ma al di là delle specifiche e programmatiche dichiarazioni, il relativismo culturale si dipana in profondità nel tessuto delle Storie, i cui contenuti plasma in ma-niera strutturale e intrinseca. Il grande messaggio che Erodoto ci dà è che tutte le culture del mondo si possono avvicinare e conoscere. E che per co-noscere gli uomini bisogna coco-noscere le culture, perché per l'uomo la cultu-ra non è un accessorio: l'uomo è cultucultu-ra. Il messaggio di Erodoto non è ne-cessariamente quello della mescolanza (che è tuttavia connaturata alla sua stessa biografia e formazione intellettuale e culturale), ma quello della con-vivenza. E di una convivenza che passi per la conoscenza.

Erodoto ‘pensatore’

La conoscenza è un altro tema chiave per comprendere Erodoto. L'immagi-ne dello storico di Alicarnasso come un unicum del panorama culturale del V secolo ha infatti negli ultimi due decenni lasciato il posto alla consapevo-lezza della sua profonda integrazione nell'ambiente sociale, intellettuale e

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scientifico in cui opera. Lungi dal rappresentare un'esperienza isolata tra i grandi pensatori della filosofia ionica nell'Asia Minore della seconda metà del VI secolo e il primo storico autore di una storia contemporanea, Tucidi-de, Erodoto si mostra invece profondamente radicato nel contesto culturale in cui è inserito, e in particolare nel circuito intellettuale ateniese nell'età della Sofistica: assieme a sofisti e filosofi, medici e fisiologi, poeti e cre-smologi egli gravita attorno al circolo di Pericle, e intrattiene rapporti con Sofocle e con Protagora.1 Erodoto opera in un contesto di grande fermento intellettuale, in cui, sulla scia della filosofia ionica d'Asia Minore, protago-nista è l'uomo con la sua capacità di sapere e di conoscere, di conservare e di trasmettere la sua conoscenza, cui viene ascritta una matrice umana, non più divina. L'enfasi erodotea sul tema della memoria risulta perfettamente allineata con l'attenzione che già al suo tempo si rivolgeva al problema della caducità della memoria e alla necessità di reperire delle tecniche di memo-ria: secondo la tradizione solo qualche decennio prima Simonide aveva in-ventato la mnemotecnica, un insieme di regole e metodi finalizzato alla memorizzazione di informazioni. La risposta di Erodoto a questo clima di sensibilità diffusa rispetto al tema della memoria consiste dunque nel recu-perare di persona le informazioni sulle persone e sui luoghi coinvolti nelle dinamiche persiane, prima, e greco-persiane, poi, e nel metterle nero su bianco, in modo che non rimanessero aklea, senza fama, senza ricordo. Si può e si deve ricordare ciò che si conosce. Il potenziale conoscitivo degli uomini è al centro del fermento intellettuale e culturale che caratterizza l'ambiente in cui opera Erodoto: alla luce di ciò vanno considerate le sezioni più sapienziali e le espressioni gnomiche che punteggiano qua e là le Storie, come quelle che trovano spazio nel celebre dialogo tra Creso e Solone sul tema della felicità e della morte (I 29-33), o quelle relative all'instabilità del-la sorte e aldel-la caducità deldel-la prosperità. Queste ultime, presenti anche nel dialogo tra Creso e Solone, sono espresse già in sede proemiale, quando Erodoto afferma che proseguirà il discorso occupandosi

indistintamente di città grandi e piccole: infatti quelle che un tempo erano grandi sono per lo più diventate piccole e quelle che erano grandi ai miei tempi, prima erano piccole; ben consapevole che la prosperità umana non rimane mai a lungo nello stesso luogo, farò ugualmente menzione sia delle une che delle altre. (Hdt. I 5, 3-4)

Insomma, Erodoto non solo osserva i fatti umani, ma li osserva contempo-raneamente da una molteplicità di punti di vista: politico, culturale,

1 Su questi aspetti cf. in particolare R. Thomas, Herodotus in Context: Ethnography,

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logico, filosofico. Le Storie non sono facilmente collocabili tra gli scaffali di una moderna biblioteca o libreria: la sezione 'storia', concepita secondo la moderna concezione della storia e della storiografia, non è adatta in toto, perché non esaurisce le storie che le Storie raccontano, non corrisponde a come esse sono raccontate e non si confà al modo in cui i dati su cui esse sono fondate sono recuperati e messi assieme. La nostra concezione della storiografia non deriva infatti da Erodoto, bensì dalla storiografia successi-va, di impronta prima tucididea e poi polibiana: non tanto per una questione di fonti (la storiografia di Tucidide, ad esempio, è infatti ancora prevalente-mente fondata sulla testimonianza orale e non sulla consultazione di docu-menti scritti), bensì per una questione di atteggiamento verso le fonti. Tuci-dide compie infatti un'operazione che Erodoto non compie, che è quella di valutare e selezionare le testimonianze, e, sulla scorta di quelle ritenute più fededegne, costruire la sua narrazione storica. Questa operazione è analoga a quella dello storico moderno, il quale in nome della ricerca di una presun-ta verità (l'aletheia, su cui non a caso insiste Tucidide), raccoglie le fonti, le giudica, le confronta e decide quali accogliere nella sua narrazione storio-grafica e quali scartare: in altri termini, di quali favorire il ricordo e di quali favorire l'oblio. Erodoto non fa niente di tutto ciò: egli lascia parlare gli uo-mini, siano essi gli Ateniesi dell'impero di Pericle o le genti del Nilo. Al massimo, come abbiamo già osservato, giudica inverosimile, anche ridicolo, ciò che gli viene riferito, ma in ogni caso lo riferisce, gli dà voce nel palco-scenico della storia. Non si arroga il diritto di decidere cosa ha facoltà di es-sere ricordato, e cosa no.

Erodoto divulgatore

Un ultimo aspetto su cui vale la pena riflettere per ricostituire un'immagine a tutto tondo di un Erodoto che non sia 'solo' padre della storia e iniziatore della storiografia occidentale è quello della divulgazione della conoscenza. Erodoto si impegna infatti attivamente anche nella disseminazione di tutto quello che ha appreso nella sua historie, nei suoi viaggi nelle regioni dell'impero persiano e nella sua permanenza ad Atene. Erodoto può essere ricondotto anche alla sfera del knowledge transfer, di un 'trasferimento di conoscenza' ante-litteram: tutto il sapere storico che Erodoto incamera su base esperienziale lo condivide poi in forma orale, nella forma di pubbliche letture. Come è noto, infatti, noi leggiamo un testo scritto, che Erodoto ha o messo nero su bianco lui stesso, durante i suoi viaggi stessi e/o nell'ultima parte della sua vita, o più probabilmente dettato in una fase avanzata della sua vita, a un copista, analogamente a Marco Polo con Rustichello da Pisa,

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ma in origine le Storie non erano destinate alla lettura individuale di un testo scritto. Esse erano invece destinate alla pubblica lettura da parte dell'autore stesso, una pratica di divulgazione che verrà poi stigmatizzata da Tucidide, che affermerà che la sua opera (in implicito contrasto rispetto a quella ero-dotea), è invece concepita per essere uno ktema es aiei, un possesso per sempre, e non un piacere temporaneo per l'orecchio.

Possiamo dunque figurarci un Erodoto che, alla pari dei sofisti, e probabil-mente anche lui dietro compenso, fa conoscere oralprobabil-mente parti della sua

hi-storie ad Atene e in giro per il mondo greco. Come Kapuściński, come un

moderno reporter, Erodoto svolge la sua inchiesta e ne riferisce a mano a mano i risultati. Erodoto in questo senso può essere assimilato anche a una sorta di storyteller, un narratore di storie, di quelli tuttora attivi nelle società di interesse antropologico e che rivestono una grande importanza identitaria per le comunità cui appartengono, perché le storie che essi raccontano rac-chiudono la memoria storica delle comunità stesse.1 In questo senso Erodo-to, pur non essendo egli stesso membro delle varie comunità presso le quali legge le sue Storie, e pur essendo un professionista, che opera appunto vero-similmente a pagamento, svolge in ogni caso anche un importante servizio culturale per le comunità locali della Grecia classica, dove peraltro la me-moria storica della comunità non era conservata e trasmessa ufficialmente da un potere centrale, politico o religioso, ma da coloro che in antropologia sono chiamati 'portatori forti della tradizione', custodi e narratori orali delle tradizioni locali.2 Erodoto stesso, in fondo, può essere in una certa misura assimilato a un custode-narratore della memoria storica degli uomini.

Erodoto umanista

In virtù di tutto quanto sopra, Erodoto deve essere considerato una figura esemplare non solo dell'antichità nell'antichità, ma dell'antichità nell'oggi. Erodoto non è solo uno storico padre della storia. Erodoto è un cittadino del mondo, è un viaggiatore, un po' turista e un po' giornalista, un po' antropo-logo e un po' storyteller, un po' filosofo e un po' sofista, è un osservatore critico e partecipe delle vicende umane: un vero umanista, che non giudica né classifica, ma osserva e riferisce. Erodoto forse più che padre della storia

1 Illuminante a questo proposito lo sguardo comparativo proposto da P. Stadter, "Herodotus

and the North Carolina Oral Narrative Tradition", Histos 1 (1997), 13-41, dove l'approccio e il metodo erodoteo sono definiti (anche) alla luce delle moderne pratiche di storytelling dei monti Appalachi.

2 Per il concetto di 'strong tradition bearer' vd. J. D. Niles, Homo narrans. The Poetics and

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potrebbe essere meglio definito come un cultore della memoria, della me-moria dei fatti umani: egli racconta i megala erga, le grandi imprese di Gre-ci e Persiani, ma nel raccontare le grandi imprese ne racconta altrettante di piccole, ritenute parimenti degne di essere ricordate, che riguardano tutte le comunità umane incontrate nella sua lunga inchiesta in viaggio. E anch'esse non vengono mai classificate, giudicate, ma osservate, approfondite e rac-contate. Forse la società e la storia contemporanea non avrebbero che da guadagnarci se anche gli uomini d'oggi si ispirassero un poco, a livello sia individuale sia sociale, all'atteggiamento intellettuale e culturale di Erodoto.

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