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Ruolo della chirurgia di risparmio d'organo per lesioni epatiche con dimensioni maggiori di 10 centimetri

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie

in Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

Ruolo della chirurgia di risparmio d’organo per lesioni

epatiche con dimensioni maggiori di 10 centimetri

Relatore:

Dott. Puccini Marco

Correlatore:

Dott. Urbani Lucio

Candidato:

Niccolò Capecchi

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INDICE

1. ABSTRACT pag.4

2. INTRODUZIONE pag.5

2.1. Cenni di anatomia del fegato pag.5 2.1.1. Anatomia descrittiva di superficie pag.5 2.1.2. Mezzi di fissità del fegato pag.7 2.1.3. Anatomia segmentaria pag.8 2.2. Evoluzione delle tecniche chirurgiche pag.11

2.2.1. Definizione in base all’anatomia pag.11 2.2.2. Definizione in base alla tecnica chirurgica pag.11 2.2.3. Tecniche chirurgiche two-stage pag.13 2.3. Tecniche di chirurgia di risparmio d’organo pag.16 2.4. Ruolo del planning pre-operatorio nella chirurgia epatica pag.22 2.4.1. Valutazione della funzionalità epatica pag.22 2.4.2. Valutazione del volume residuo pag.24 2.4.3. Fattori predittivi di insufficienza epatica postoperatoria pag.25 2.5. Schemi di trattamento delle principali malattie oncologiche del

fegato pag.26

2.5.1. Trattamento del carcinoma epatocellulare (HCC) pag.26 2.5.2. Trattamento del colangiocarcinoma (CCA) pag.27 2.5.2.1. Colangiocarcinoma intra-epatico pag.27 2.5.2.2. Colangiocarcinoma extra-epatico pag.28 2.5.3. Trattamento delle metastasi epatiche da adenocarcinoma

colorettale pag.28

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4. MATERIALI E METODI pag.32

4.1. Composizione del campione di studio pag.32 4.2. Valutazione preoperatoria pag.32

4.3. Terminologia pag.32

4.4. Tecnica chirurgica pag.33

5. RISULTATI pag.34

6. DISCUSSIONE pag.40

7. CONCLUSIONI pag.42

8. BIBLIOGRAFIA pag.43

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1. ABSTRACT

La chirurgia epatica con risparmio di parenchima (PSH) è stata ideata con lo scopo massimizzare la quantità di fegato residuo dopo resezione. È peculiare di questo tipo di tecnica il frequente ricorso all’esposizione di peduncoli glissoniani e vene sovraepatiche alla confluenza epatocavale. La progressiva esperienza nella metodica ha permesso di applicarla con successo anche a lesioni di grandi dimensioni aumentando il pool di pazienti candidabili ad intervento chirurgico permettendo un efficace trattamento single step. Lo studio si propone di descrivere la applicabilità della tecnica di resezione con risparmio di parenchima a masse epatiche maggiori di 10 cm attraverso una serie di 23 casi consecutivi.

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2. INTRODUZIONE

2.1 Cenni di anatomia chirurgica del fegato

2.1.1 Anatomia descrittiva di superficie

Il fegato è l’organo addominale più voluminoso, ha la forma di un cuneo con apice posto in ipocondrio sinistro. È costituito da un parenchima friabile circondato da una capsula fibrosa, la capsula di Glisson, grazie alla quale appare liscio.

Il fegato presenta tre facce rispettivamente superiore, inferiore e posteriore. Il margine acuto, ben definito, divide anteriormente la faccia inferiore dalla superiore mentre gli altri due margini sono arrotondati. La faccia superiore è ancorata al diaframma e alla parete addominale anteriore dal ligamento falciforme, una piega di peritoneo nel cui margine libero decorre il ligamento rotondo residuo della vena ombelicale. Il ligamento falciforme divide il fegato nei lobi destro e sinistro. Le superfici inferiore e posteriore sono divise in quattro lobi da tre scissure disposte a forma di lettera “H”. La scissura sagittale sinistra divide sulla faccia inferiore il lobo destro dal sinistro ed è occupata anteriormente dalla vena ombelicale e posteriormente dal dotto venoso di Aranzio. La scissura sagittale destra in una porzione laterale e in una mediale ed è occupata anteriormente dalla cistifellea e posteriormente dalla vena cava inferiore; tra le due scissure è presente un ponte di parenchima più o meno rappresentato che prende il nome di processo caudato. La scissura trasversale collega le due scissure sagittali e contiene l’ilo epatico con le diramazioni principali destra e sinistra; decorrendo in senso trasversale suddivide la porzione mediale del lobo destro nel lobo quadrato anteriormente e lobo caudato posteriormente.

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2.1.2 Mezzi di fissità del fegato

Diversi fattori contribuiscono al mantenimento del fegato nella sua sede, ma quello più determinante è costituito dai rapporti con i grossi vasi, tanto è vero che nella procedura del trapianto di fegato non è prevista nessuna stabilizzazione ulteriore rispetto alle anastomosi vasculobiliari previste.

Contribuiscono, tuttavia, al mantenimento della posizione fisiologica i rapporti stretti con il diaframma e gli organi circostanti, oltre ai ligamenti; i ligamenti falciforme, coronario, triangolare destro e sinistro sono delle riflessioni del peritoneo viscerale che riveste il fegato, mentre il ligamento rotondo è un cordone fibroso residuo della vena ombelicale, che può anche essere ricanalizzata in caso di ipertensione portale. Il ligamento coronario è l’unico vero legamento sospensore del fegato ed è formato dalla riflessione del peritoneo viscerale, che riveste la faccia posteriore del lobo destro, sulla faccia inferiore del diaframma. É costituito da un foglietto posteriore ed uno anteriore, che non essendo accollati fra di loro per la maggior parte del tragitto, delimitano sulla faccia posteriore del fegato un’area priva di rivestimento peritoneale, l’area nuda, che è rivestita quindi solo dal connettivo che aderisce da una parte alla capsula di Glisson e dall’altra alla fascia diaframmatica.

Il piccolo epiploon non può essere considerato un mezzo di sospensione del fegato ma è comunque un doppio foglietto peritoneale che connette il fegato alla prima porzione duodenale e alla piccola curvatura gastrica; è costituito da una pars flaccida, costituita semplicemente dal peritoneo, e da una pars condensa, contenente il peduncolo epatico costituito dalla triade arteria epatica, vena porta e via biliare oltre ai vasi linfatici. Oltre quelli già elencati esistono anche dei ligamenti minori ovvero il ligamento epatorenale, teso fra la faccia viscerale del lobo destro e il polo superiore del rene destro, e il ligamento epatocolico, che connette la faccia viscerale del lobo destro alla flessura colica destra.

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Figura 2: “Anatomia del fegato e delle vie biliari” D Castaing, D Borie, H Bismuth

2.1.3 Anatomia segmentaria

La visione dell’anatomia del fegato è drammaticamente cambiata nel corso del tempo. Accanto all’anatomia morfologica descrittiva ha preso piede una prospettiva basata sul principio che il fegato possa essere suddiviso in aree funzionalmente indipendenti ognuna con un una propria vascolarizzazione e drenaggio biliare. Cantle1 nel 1898 e

McIndoe e Counseller nel 1927, Tung nel 19392, Hjorstjӧ nel 19313, Goldsmith e

Woodburne nel 19574, sono i principali studiosi che hanno contribuito in maniera

fondamentale all’evoluzione dell’approccio funzionale; esso è stato formalizzato in maniera riassuntiva da Couinaud nel 19575 arrivando alla sistematizzazione che ancora

oggi è il riferimento in ambito clinico.

L’intersezione dei piani longitudinali delle vene sovraepatiche e trasversale dei peduncoli glissoniani principali porta alla suddivisione del parenchima epatico in 4 settori (posterolaterale destro, anteriore destro e sinistro, posteriore sinistro) e 8 segmenti.

Nell’ilo del fegato, il peduncolo epatico, composto da arteria epatica, vena porta e dotto biliare, si divide in due peduncoli principali, destro e sinistro, che separano il fegato in due porzioni indipendenti: fegato destro e fegato sinistro. Tra il fegato destro e sinistro decorre la vena sovraepatica mediana, corrispondente in superficie alla linea di Cantlie

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9 che decorre dal profilo sinistro della vena cava all’incisura della colecisti. Il peduncolo glissoniano destro è breve e si divide in due rami di secondo ordine diretti rispettivamente in senso anteriore e posterolaterale tra i quali decorre la vena sovraepatica destra che corrisponde in superficie alla scissura omonima; il fegato destro viene così ad essere suddiviso in settore posterolaterale e settore anteriore. Ciascun ramo di secondo ordine si divide superiormente e inferiormente in rami segmentari di terzo ordine; dal peduncolo posteriore originano inferiormente i rami per s6 e superiormente per s7, mentre dal peduncolo anteriore originano inferiormente i rami per s5 e superiormente i rami per s8. A sinistra, il peduncolo glissoniano è più lungo e curva in avanti, più o meno ricoperto da un ponte parenchimale e termina a fondo cieco a livello del recesso di Rex, prolungandosi nel ligamento rotondo. Dalla convessità del peduncolo sinistro originano rami segmentari per s2 posteriormente, e per s3 anteriormente, mentre dalla concavità originano i rami per s4. Tra i rami per s2 e s3 decorre la vena sovraepatica sinistra che separa il settore anteriore e posteriore sinistro e che corrisponde sulla superficie del fegato alla scissura laterale sinistra. La scissura ombelicale, infine, non corrisponde ad alcuna vena sovraepatica, bensì alla direzione che avevano, nella circolazione fetale, vena ombelicale e dotto venoso di Aranzio; sulla superficie del fegato si trova il ligamento falciforme che divide il lobo destro dal sinistro e che corrisponde al confine tra s4 ed s3.

Il primo segmento, suddiviso in porzione paracavale, lobo caudato e processo caudato, per la sua particolare posizione ha una vascolarizzazione autonoma complessa ed estremamente variabile.

In un 20% dei casi è presente una vena sovraepatica accessoria che drena autonomamente la regione inferolaterale del fegato destro e che deve essere tenuta in considerazione durante la pianificazione dell’intervento chirurgico.

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Figura 3: “Anatomia del fegato e delle vie biliari” D. Castaing, D. Borie, H. Bismuth

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2.2 Evoluzione delle tecniche chirurgiche

2.2.1 Definizione in base alla anatomia

Le epatectomie si dividono in tre grandi gruppi: resezione anatomiche, non anatomiche e tumorectomie.

Le resezioni anatomiche (o tipiche), definite in base all’exeresi di una parte del parenchima epatico limitata ad un piano di scissura anatomica, differenziandole in emiepatectomia destra e sinistra, settoriectomia e segmentectomia (nominate a seconda del settore o del segmento rimosso), in base alla quantità di parenchima asportato. Le resezioni non anatomiche (o atipiche) consistono nell’exeresi di una parte di parenchima epatico non corrispondente ad una parte anatomica e il cui piano di sezione, di conseguenza, non passa attraverso una scissura anatomica.

Le tumorectomie asportano soltanto il tumore senza resecare il parenchima epatico, e non sono propriamente delle epatectomie: sono delle exeresi che asportano il tessuto tumorale senza coinvolgere il tessuto non neoplastico funzionale.

Le epatectomie anatomiche possono essere ulteriormente denominate in funzione del numero di segmenti epatici contigui che vengono asportati5; con epatectomia destra si

intende l’asportazione dei segmenti 5, 6, 7 e 8, e con epatectomia sinistra la resezione dei segmenti 2, 3 e 4. Epatectomia sinistra e destra non sono da confondere con lobectomia sinistra e destra, dal momento che le due entità non coincidono anatomicamente.

Per convenzione si definisce epatectomia maggiore quando siano asportati più di 3 segmenti contigui, ed allargate se ne asportano di più rispetto ad una maggiore classica. Se asportano 6 segmenti vengono definite superallargate.

2.2.2 Definizione secondo la tecnica chirurgica

Possiamo distinguere due tipologie principali di questa categoria: l’epatectomia con sezione parenchimale primaria e l’epatectomia con sezione vascolare primaria. Queste due tecniche si differenziano a seconda che si inizi la sezione parenchimale prima o dopo la legatura e la sezione vascolare.

Nel primo tipo, si inizia l’epatectomia incidendo il parenchima lungo una proiezione scissurale. Gli elementi glissoniani sono scoperti e legati con un accesso

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12 intraparenchimale. La sezione della vena sovraepatica è eseguita al termine dell’epatectomia nella superficie di sezione parenchimale.

Questa tecnica ha due vantaggi: permette un’asportazione secondo necessità del parenchima epatico adattata alla sede della lesione e pone al riparo da possibili varianti anatomiche vascolari. Ha però degli svantaggi: ha un carattere estremamente emorragico a causa dell’assenza del controllo vascolare, che può essere limitato solo con una procedura molto rapida e/o attraverso il ricorso ad un clampaggio del peduncolo epatico in modo continuo od intermittente.

La seconda tecnica, invece, prevede la legatura e sezione degli elementi vascolari portali e sovraepatici. L’epatectomia inizia quindi con questo accorgimento (legatura di un peduncolo glissoniano) a livello dell’ilo, prosegue con la legatura e la sezione della vena epatica che drena il territorio reso ischemico e termina con la sezione parenchimale. La dissezione della vena epatica è una manovra che può risultare complicata, con la possibilità di lacerazione della stessa, e rischio conseguente di embolia o emorragia. Per evitare ciò, Lortat-Jacob et al.6, suggerirono di far precedere la

dissezione della vena epatica da un controllo della vena cava inferiore sovra e sottoepatica. Questo tipo di resezione comporta quindi dei vantaggi: il controllo vascolare primario permette di vedere comparire il limite di sezione tra territorio sano e ischemico e di ridurre il sanguinamento al momento della sezione parenchimale. Essa presenta tuttavia anche degli svantaggi: da una parte il rischio della lesione vena epatica e, dall’altra, la possibilità di devascolarizzare una parte di fegato da conservare in caso di variante anatomica.

Per cercare di avere una tecnica che fosse efficiente e sicura sotto entrambi punti di vista, Bismuth7 ne sviluppò una terza, che univa i vantaggi delle due sopra descritte

senza averne gli inconvenienti. Il suo principio è quello di iniziare con la dissezione ilare per il controllo degli elementi arteriosi e portali, che sono clampati ma non legati, senza coinvolgere il dotto biliare. Quindi, il parenchima epatico è sezionato secondo il piano scissurale e gli elementi del peduncolo portale sono legati per via transparenchimale, al di sopra del clamp. Solo al termine della resezione parenchimale, la vena epatica è legata, sempre per via transparenchimale. Questa tecnica assicura quindi di far precedere la sezione parenchimale da un controllo vascolare arterio-portale e di legare i vasi nel parenchima, mettondoci al riparo da varianti anatomiche.

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2.2.3 Tecniche chirurgiche two-stage

Il grande problema di questo tipo di resezioni, che sono, come abbiamo già detto, delle resezioni maggiori, è la quantità di parenchima sano che viene lasciato al paziente. Questa è rappresentata dalla Future Liver Remnant (FLR), ed è uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di comorbidità post-operatorie, in quanto non esiste attualmente un metodo sicuro per prevedere lo sviluppo di ciò, ma solo per stimarlo. Infatti, sulla FLR inficiano fattori come ad esempio la presenza di cirrosi o di altre condizioni patologiche epatiche, che quindi determineranno la necessità di lasciare in loco una quantità maggiore di organo rispetto ad un fegato non patologico, e impedendoci di sapere con certezza se il paziente svilupperà complicanze come l’insufficienza epatica post-operatoria (PHLF).

Per far fronte ai casi in cui la FLR risulti insufficiente, e che quindi si renda impraticabile la resezione, sono state sviluppate negli anni tecniche chirurgiche diverse dalla resezione classica, che permettono la rigenerazione o l’ipertrofia del parenchima epatico. In questo modo, avendo una quantità di parenchima maggiore rispetto alla norma, sarà possibile effettuare una resezione con un'adeguata FLR.

Queste tecniche sono l’embolizzazione portale (PVE), la two-stage hepatectomy (TSH) e la “associating liver partition and portal vein ligation for staged hepatectomy” (ALPPS).

L’embolizzazione portale è una procedura eseguita con guida imaging che causa ipertrofia del FLR dirottando il sangue portale nel parenchima sano. È stato dimostrato come la PVE riduca la morbilità post-operatoria e aumenti il numero dei pazienti eleggibili per resezione con intento curativo.

Essa si basa sul principio per il quale, dopo un insulto (in questo caso ischemico), il parenchima epatico sano risponde con meccanismi di rigenerazione, dove fino al 95% del parenchima risponde ad un danno che ne interessa solo il 10%8. La diminuita

risposta rigenerativa osservata nei pazienti cirrotici, può essere dovuta alla esigua risposta ai fattori di crescita, intra ed extra-epatici (di cui il principale è HGF9) e al

diminuito flusso portale, in quanto veicolo dei fattori di crescita extra-epatici (come IL-6 e TNF-alfa).

Questo tipo di intervento è indicato in tutti i pazienti con fegato normale (senza steatosi/cirrosi) e sFLR <20%10, mentre per i pazienti con un fegato patologico, è

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14 soddisfacente entro 2-4 settimane, mentre nel secondo più di 412. Vi sono comunque

delle controindicazioni alla tecnica, di cui due assolute: la trombosi estesa ipsilaterale al tumore e un’ipertensione portale clinicamente evidente. La prima13 rappresenta una

controindicazione in quanto la maggior parte del flusso portale è già stato deviato ed un rilascio sicuro dell’agente embolico risulta difficoltoso, mentre per la seconda14 vengono

tenuti in considerazioni fattori come il rischio di sanguinamento di varici (comuni nei pazienti con cirrosi) e la possibilità che, date le alterazioni del circolo epatico nei pazienti cirrotici, l’embolizzazione possa risultare imprecisa. Altre controindicazioni possono essere una coagulopatia non correggibile e un’insufficienza renale.

È importante nella PVE effettuare un’embolizzazione completa dell’albero portale, compresi i rami distali, per evitare la formazione di shunt porto-portali che dirottino il sangue in zone che devono rimanere non perfuse. Inoltre, si deve cercare di colpire tutti i segmenti che verranno asportati per permettere un’ipertrofia ottimale del FLR e non dei segmenti destinati a resezione. Le complicanze della PVE sono simili a quelle di altre procedure transepatiche, avendo anche però dei rischi specifici che sono:

embolizzazione non target, ricanalizzazione del segmento embolizzato e

trombosi venosa portale completa15.

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15 La two stage hepatectomy venne introdotta da Adam et al.16, i quali proposero di

utilizzare una tecnica curativa a due steps per lesioni epatiche multiple e quindi non resecabili, nella quale la prima parte prevedeva la resezione del numero più alto possibile di metastasi, ma non tutte. Il residuo epatico così si ipertrofizzava e si poteva prendere in considerazione di effettuare una chemioterapia adiuvante, per limitare la crescita e la diffusione del tumore rimasto. La seconda epatectomia veniva effettuata solo se potenzialmente curativa, in assenza di progressione significativa del tumore, e quando si aveva un’ipertrofia parenchimale adeguata che riducesse il rischio di insufficienza epatica. Questa veniva effettuata all’incirca 3 settimane dopo la prima resezione.

Punto fondamentale di questa tecnica è la selezione dei pazienti: la presenza di malattia extra-epatica riduce la probabilità di beneficio della TSH, vista la loro diminuita

tolleranza alla chirurgia, come conseguenza della loro malattia oncologica o dell’effetto deleterio della prolungata chemioterapia sul fegato.

Figura 5: Lorenzo Capussotti (Ed.) “Surgical Treatment of Colorectal Liver Metastases”

La ALPPS infine è un approccio descritto nel 2012 da Schnitzbauer et al.17 Nella sua

forma tradizionale, la ALPPS è un’epatectomia destra estesa o trisezionectomia eseguita in 2 stages: il primo prevede un’esplorazione chirurgica, la legatura del braccio della vena porta affluente al fegato da resecare, ed una resezione in situ del parenchima epatico lungo il lato destro del legamento falciforme. Tutti i rami portali, arteriosi e biliari per il segmento 4 sono identificati lungo il margine destro del legamento rotondo, divisi e chiusi con clips metalliche. Le strutture arteriose, venose e biliari drenanti del

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16 fegato destro sono conservate. Il secondo stage include la rimozione estesa del lobo destro e la legatura dell’arteria epatica destra, del dotto biliare destro e della vena sovraepatica destra. La ALPPS è una tecnica in rapida evoluzione che è andata incontro a varie modificazioni/personalizzazioni nel mondo. Il più grande vantaggio della ALPPS è l’induzione dell’ipertrofia/crescita del FLR in un breve periodo di tempo, con un aumento di questo del 47-93% entro 7-14 giorni. Il motivo di tale ipertrofia risiede probabilmente nella aumentata richiesta di energia per unità di volume e ad un’alterazione dell’emodinamica, per la quale si ha un maggiore shear stress sulle cellule endoteliali18, rispetto alla TSH, che induce quindi una maggiore ipertrofia19;

questa differenza risiede nella differenza della prima resezione delle due tecniche, in quanto nella TSH abbiamo una resezione parziale, mentre nella ALPPS abbiamo una resezione in situ. Questa tecnica ha, però, delle implicazioni: possiede un alto tasso di comorbidità17 e mortalità20, di recidiva post-operazione21 (comunque minore rispetto alla

PVE) e di PHLF (con tendenza di FLR dopo la prima settimana ad essere più piccolo rispetto a quello della TSH alla terza settimana). Inoltre, è una tecnica gravata da complicanze post-operatorie come sepsi e leakage biliare22,23. Al netto di ciò, la ALPPS

è una tecnica che permette di operare tumori precedentemente ritenuti non resecabili, con un alto tasso di resezione R0 e di indurre una rapida ipertrofia del FLR, tenendo comunque a mente delle sue implicazioni e complicanze post-operatorie. Si deve quindi effettuare un’accurata selezione dei pazienti che possono beneficiarne, oppure utilizzarla quando, ad esempio, la PVE fallisce. In futuro, sarà possibile effettuare tale operazione su un numero più esteso di pazienti, data la sempre continua ricerca di perfezionamenti di questa chirurgia, mirati a minimizzarne gli aspetti negativi.

2.3 Tecniche chirurgiche di risparmio di parenchima

La chirurgia di risparmio d’organo (parenchymal-sparing hepatectomy) è più una filosofia di trattamento che un’effettiva tecnica chirurgica, spaziando da piccole resezioni non anatomiche a cuneo, a complesse resezioni atipiche, segmentectomie o subsegmentectomie.

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17 Uno step di assoluta importanza per sostenere questo tipo di chirurgia è la selezione dei pazienti, i quali devono rispettare dei criteri di eleggibilità:

 Prospettiva di rischio: il paziente deve essere in grado di sostenere una chirurgia addominale maggiore sotto anestesia generale.

 Eseguibilità tecnica: attraverso le tecniche di imaging viene valutata la resecabilità e poi pianificato l’intervento, se è possibile intervenire.

 Prospettiva oncologica: il paziente deve, ovviamente, trarre un vantaggio dall’intervento per quanto riguarda l’operazione. Vengono quindi valutate la presenza di malattia extra-epatica e l’eventuale risposta ad un trattamento chemioterapico preoperatorio.

Nell’ambito di una chirurgia resettiva epatica risulta fondamentale conoscere l’anatomia del drenaggio venoso e le sue varianti. Più frequentemente la vena destra (RHV) drena i segmenti 5,6,7 e 8; la mediana (MHV) i segmenti 4, 5 e 8; la sinistra (LHV) i segmenti 2,3 e 4. Il sesto segmento può avere però una via di drenaggio indipendente, direttamente nella vena cava inferiore (IVC), attraverso una vena accessoria chiamata inferior right hepatic vein (IRHV) presente in un 20% dei casi. Un’altra importante variante anatomica è la presenza delle vene comunicanti (CVs) che connettono le HV adiacenti. Quest’ultime possono essere visibile all’imaging preoperatorio oppure visualizzate con l’ecografia intraoperatoria. Essendo scarsamente visualizzabili all’eco, si può clampare la HV che dovrà essere resecata, per permetterne un maggior riempimento.

Queste varianti anatomiche appena descritte (IRHV e VCs) sono fondamentali nella PSH, dato che ad esse può essere affidato il drenaggio di ampie aree di fegato, senza dover ricorrere a ricostruzioni vascolari delle vene sovraepatiche.

Anche l'ecografia intraoperatoria (IOUS) svolge un ruolo chiave, in quanto permette di ottimizzare il risparmio di parenchima sano, rendendo possibile identificare precisamente la localizzazione e il numero delle lesioni, e mostrando la relazione tra esse e le principali strutture vascolari, che possono essere seguite in tempo reale. In questo modo viene effettuata una valutazione sulla necessità o meno di sacrificare vasi e/o peduncoli glissoniani in caso di infiltrazione, pianificando così anche l’estensione della resezione. Ad esempio, per metastasi piccole e superficiali, spesso non è necessaria dissezione o la legatura di un peduncolo glissoniano. Vengono quindi

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18 effettuate almeno due IOUS: la prima, come già detto, per valutare l’anatomia del fegato, da eseguire in modo sistematico, partendo dalla confluenza epato-cavale e dalle vene sovra-epatiche, spostandosi poi alla biforcazione portale e ai segmenti destri e sinistri, fino ai peduncoli di terzo ordine; la seconda invece, è rivolta alla stadiazione, andando a cercare eventuali nuove lesioni e localizzando accuratamente quelle già presenti. É inoltre possibile appurare il rapporto che hanno le lesioni con le strutture vascolari, valutando quindi la presenza di contatto o meno fra di esse, e cercando segni di infiltrazione, come la presenza di trombi neoplastici, irregolarità nella parete del vaso, crescita endoluminale, o dilatazione delle vie biliari intorno al peduncolo glissoniano.

Se si ha infiltrazione vascolare, il vaso deve essere legato e sezionato per raggiungere una resezione R0. A riguardo, Torzilli et al.24 ha dimostrato come la profondità dei

margini chirurgici negativi non influenzi la recidiva locale o la sopravvivenza, con un tasso di recidiva in pazienti trattati con margini R0 vascolare sovrapponibili a quelli trattati con dei margini R1. Viene così legittimata la possibilità di fare un detachment vascolare, aumentando così non solo il numero di resezioni possibili, ma anche la loro sicurezza.

In questi casi ci viene ancora in aiuto l’ecografia intra-operatoria, perché è possibile attraverso essa valutare l’outflow del parenchima drenato dalla vena che andremo a resecare, in modo da accertare la presenza di vene accessorie; è infatti possibile verificare un corretto assetto vascolare in base alla presenza di zone ischemiche (problemi di inflow) o congeste (problemi di outflow).

Se invece alla IOUS non si hanno segni d’infiltrazione vascolare, le lesioni possono essere dissecate permettendo il risparmio del vaso.

La difficoltà nell’eseguire questo tipo di interventi sta nella mancanza di punti di riferimento sulla superficie epatica che possano guidare la resezione. Per questo sono stati proposti vari metodi nel corso degli anni: Makuuchi et al.25 utilizzava un’iniezione

nella vena porta di indigo carmine che andava a colorare la zona irrorata dal ramo scelto, che veniva poi demarcata con l’utilizzo dell’elettrobisturi; Torzilli et al.26

proposero invece la compressione del ramo portale afferente del segmento da resecare, in modo da indurre una temporanea ischemia, resa visibile sulla superficie del parenchima epatico come un cambiamento di colore. Come Makuuchi, l’area veniva poi demarcata con l’elettrobisturi; Machado et al.27, infine, attraverso una piccola incisione,

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19 andavano ad isolare e legare i rami portali di secondo o terzo ordine. Seguendo poi la linea ischemica, la resezione continuava.

Il metodo descritto da Sano et al.28, invece, si base sull’osservazione funzionale del

flusso venoso fra vena sovra-epatica e ramo portale, a livello della porzione di parenchima da rimuovere: una volta clampata la HV drenante si osserva la direzione del flusso a livello del ramo portale. Se questo si mantiene epatopeto, abbiamo un corretto outflow verso le vene sovra-epatiche adiacenti attraverso CVs, mentre se si ha un’inversione del flusso, che quindi diventa epatofugo, significa che si ha regurgito di sangue dalla circolazione sovra-epatica in quella portale, mancando una strada alternativa percorribile dal sangue.

Questi sono alcuni degli interventi con risparmio d’organo:

 Accessory-HV-based PSH: di solito è una IRHV-based PSH, consiste nella resezione di una HV (RHV se è una IRHV-based) alla confluenza epato-cavale associata ai segmenti interessati, con mantenimento del drenaggio dei segmenti rimanenti tributari (5 e 6 se IRHV based) della HV rimossa da parte della vena accessoria.

 Communicating-vein-based PSH: è una resezione delle HV a livello della confluenza epato-cavale con la preservazione delle vene comunicanti fra la vena sovra-epatica resecata e quelle adiacenti, in modo da assicurare una deviazione dell’outflow venoso verso quest’ultime.

 Middle-HV-based PSH: è una resezione della RHV alla confluenza epato-cavale con preservazione dei rami V5 e V8 drenanti i segmenti 5, 6 e 8.

 PTFE-based PSH: è una resezione di una o più HV, che sono ricostruite con un graft di politetrafluoroetilene, che serve da ponte per permettere lo sviluppo o la maturazione di CV.

 Systematic Extended Right Posterior Sectionectomy (SERPS)29: è una tecnica che

permette il risparmio del settore anteriore destro in presenza di:

1. Invasione vascolare della RHV alla confluenza epato-cavale, con tumore nel segmento 6 e/o 7

2. Invasione vascolare della RHV alla confluenza epato-cavale, senza tumore nel segmento 6, ma senza vene accessorie e con flusso portale epatofugo in P6 una volta clampata la RHV se non è già occlusa.

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20 3. Invasione vascolare di P6-P7 o in presenza di qualsiasi dilatazione dei dotti biliari che drenano i segmenti 6 e 7, con tumore in contatto con P5-8 ma senza segni di infiltrazione.

 Mini-mesohepatectomy (MMH)30: questa procedura rappresenta un’alternativa alla

mesoepatectomia tradizionale in pazienti con tumore che invade la MHV alla confluenza epato-cavale. Per poter essere effettuata, almeno uno dei seguenti segni deve essere presente alla IOUS:

1. Presenza delle CV tra la MHV e RHV e/o LHV e/o IVC senza, e se negativo con, clampaggio della MHV.

2. Se le CV non sono visibili, si deve notare un flusso inverso nella porzione periferica della MHV clampata, suggerendo la presenza delle CV.

3. Flusso epatopeto nella porzione residua dei segmenti centrali 4,5 e 8, anche questo suggerendo quindi la presenza di CV.

Fondamentale è, di nuovo, il tentativo di individuazione delle CV.

 Upper Transversal Hepatectomy31: viene utilizzata per tumori che invadono due

vene sovraepatiche alla confluenza epato-cavale. Consiste nella resezione parziale o totale dei segmenti epatici superiori 2, 3, 4a, 7 e 8, includendo anche (parzialmente o totalmente) il segmento 1. Inoltre, devono essere resecate anche le due vene sovra-epatiche interessate, preservando le CV con la rimanente HV nella porzione inferiore del fegato, che non viene rimosso.

 Liver Tunnel (LT)32: rappresenta un’estensione della MMH, includendo la totale

rimozione del segmento 1. È indicata per pazienti: 1. Presenza di tumore nei segmenti 8, 4a e 1 2. Invasione vascolare della MHV

3. Presenza di CV tra MHV e RHV e/o LHV.

4. La resezione della MHV è possibile solo se rispetta i criteri necessari descritti per la MMH.

Le tecniche di chirurgia con risparmio di parenchima si sono quindi evolute a tal punto da poter proporre interventi ad elevatissima complessità per il trattamento in single step di lesioni altrimenti giudicate inoperabili o meritevoli di trattamenti in two-stage, gravati da maggiori complicanze; dal momento che il concetto di epatectomia minore sembra di fatto non essere esplicativo di questo tipo di chirurgia, recentemente la comunità scientifica ha messo appunto una proposta di classificazione delle resezioni

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21 basata sulla complessità della resezione stessa e non più sulla quantità di fegato asportato.

Nella classificazione sono incluse resezioni periferiche, mono o bisegmentectomie anatomiche e resezioni complesse in cui si ha contatto tumore e strutture vascolari. Per alcune di esse abbiamo potuto utilizzare la nomenclatura di Brisbane, come per le resezioni limitate (LR), le segmentectomie (Segm), settoriectomia laterale sinistra (LLS), settoriectomia destra anteriore (RightAnteriorSect), settoriectomia destra posteriore (RighPosteriorSect) e altre bisegmentectomie (Bisegm).

In aggiunta sono state definite 3 tipi di procedure aggiuntive che non rientrano perfettamente sotto la nomenclatura di Brisbane100, ma che si basano sulla complessità

della resezione, definendo complessa una resezione con esposizione dei peduncoli portali di primo/secondo ordine o delle vene sovraepatiche alla confluenza epato-cavale, che sono le resezioni limitate complesse (Complex LR); Complex Resections, definite come monosegmentectomie e segmentectomie di più di 1 segmento; e Complex Core Hepatectomies, definite come segmentectomia Sg1 associata a resezione di Sg8+Sg4a, o Sg7+Sg8+Sg4a, o ancora Sg4a+Sg8+Sg1 (come, ad esempio, MMH, Upper Transversal Hepatectomy e Liver Tunnel31,98,99).

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22

2.4 Planning preoperatorio nella chirurgia epatica

È peculiare della chirurgia epatica il dover soppesare attentamente la funzionalità del fegato e il volume residuo dopo trattamento resettivo per predire i rischi di complicanze post-operatorie tra cui l’insufficienza d’organo. I test funzionali e l’imaging preoperatorio rappresentano quindi la chiave per una corretta strategia terapeutica che garantisca il massimo beneficio al paziente in termini di sopravvivenza e qualità della vita.

2.4.1 Valutazione della funzione epatica

Per andare ad osservare la capacità funzionale del fegato ci avvaliamo di esami di laboratorio di routine, ovvero: Tempo di protrombina (PT), fibrinogeno, fattori della coagulazione II/V/VII/X e albuminemia. Per quanto riguarda la fostasi alcalina, la gamma-glutaminiltranspeptidasi (gamma-GT) e le transaminasi (alanina aminotransferasi: ALT; aspartato aminotransferasi: AST), questi vengono utilizzati come indicatori, rispettivamente, di colestasi (gamma-GT e fosfatasi alcalina) e di danno epatico (transaminasi). Nei pazienti cirrotici, per valutare la funzionalità epatica, viene utilizzato lo score Child-Pugh. Questo è uno score che va da 5 a 15, andando a distinguere 3 gruppi: gruppo A (con score 5-6), gruppo B (con score 7-9) e gruppo C (score 10-15). In base al gruppo in cui il paziente ricade, si avrà una sopravvivenza a 2 anni diversa. Per poter assegnare un paziente ad un gruppo, vengono presi in considerazione 3 parametri laboratoristici, cioè bilirubinemia/albuminemia/tempo di protrombina, e 2 parametri clinici, ovvero encefalopatia ed ascite. Ognuno di questi parametri avrà un punteggio da 1 a 3, in base ai valori che si riscontrano. Questo score è particolarmente utile nei pazienti affetti da HCC e cirrosi che possono andare incontro o ad una resezione, o ad un trapianto. Nei paesi occidentali vengono ritenuti resecabili i pazienti del gruppo A, mentre i pazienti dei gruppi B e C solitamente vengono mandati a trapianto, in quanto avendo una cirrosi importante, l’FLR non avrebbe una qualità sufficiente per poter assicurare un buon decorso post-operatorio, mentre sostituendo l’intero organo, possiamo trattare sia l’aspetto oncologico (se non abbiamo malattia metastatica diffusa), sia l’aspetto funzionale del fegato.

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23 Un altro score utilizzato è il MELD score (Model for End-Stage Liver Disease), che prende in considerazione 3 valori laboratoristici: bilirubinemia, creatinemia e INR, delineando 5 classi di punteggio (<9, 10-19, 20-29, 30-39, >40). Inizialmente utilizzato per stimare la sopravvivenza a breve termine nei pazienti sottoposti a shunt porto-sistemico intra-epatico percutaneo (TIPS), successivamente è stato adottato come accurato predittore di sopravvivenza nei pazienti in lista d’attesa per trapianto33.

Per stimare la funzionalità epatica possiamo avvalerci, inoltre, di test quantitativi, tra i quali il più diffuso è la misurazione della capacità di eliminazione del verde di indocianina. Il test viene svolto iniettando per via intravenosa il verde indocianina (ICG), che si lega quasi totalmente alle proteine plasmatiche, ed è captata dai polipeptidi trasportatori di ioni organici (OATPs) e dai polipeptidi co-trasportatori del sodio-taurocolato (NTCPs). Successivamente la ICG è secreta nella bile grazie alla pompa ATP-dipendente MRP234-36, senza andare incontro ad un processo di

coniugazione intra-epatica. Per evitare l’interferenza del cibo sulla produzione di bile, il test viene effettuato a digiuno da almeno 12 ore. Si effettuano quindi rilevazioni della quantità di ICG a livello plasmatico attraverso prelievi ematici, oppure attraverso l’uso di un sensore ottico in grado di captare la tintura per via transcutanea.

I risultati così ottenuti possono essere espressi come percentuale della ritenzione a 15 minuti rispetto alla concentrazione iniziale. Si usa questo valore di tempo perché è all’incirca metà del tempo necessario all’ICG per essere secreta nella bile37. Non esiste

però al momento un valore cut-off per il quale è possibile predire la sicurezza di una resezione epatica, anche se valori tra il 14 e il 20% vengono solitamente ritenuti accettabili. Come è possibile immaginare, nei pazienti cirrotici la ICG-R15 risulta essere maggiore, avendo una clearance minore. Questo dato è da ricercare nelle alterazioni del microcircolo che si hanno in questi casi, che comporta una minor ridistribuzione di ICG agli epatociti e da un ridotto uptake della stessa (dovuto alla presenza di shunt porto-sistemici e al fenomeno della capillarizzazione dei sinusoidi epatici38). È da tenere in considerazione che ci sono anche altri fattori che possono

andare ad inficiare sui valori del test, come condizioni di iperbilirubinemia ed un alterato afflusso ematico al fegato.

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24

2.4.2 Valutazione del volume residuo

Il gold standard per la valutazione del volume residuo si basa su ricostruzioni di immagini TC in fase porto-venosa ottenibili attraverso software avanzati oppure manualmente moltiplicando la somma delle roi comprendenti il fegato sulle singole slice per lo spessore delle slices39. Il valore ottenuto viene quindi valutato attraverso

varie metodiche di cui riporteremo le due più utilizzate ovvero il “Body weight ratio” e il “Future Liver Remnant-to-Total Liver Volume Ratio”.

Il Body Weight Ratio è una metodica molto utilizzata per valutare l’entità dell’FLR e consiste nel rapporto tra il volume del FLR calcolato e il peso del paziente.

BWR=FLR/BW

L’introduzione di questo parametro si deve ad uno studio di Truant et al.40 che nel 2007

ripresero i concetti utilizzati nella valutazione dei potenziali donatori per il trapianto di fegato da vivente. Dallo studio emerge come i casi con BWR ≤ 0.5% avevano un tasso più alto di complicanze (66.5% vs 22.5%; p= 0.038) e di mortalità (33% vs 0%; p= 0.019) rispetto a quelli con un BWR ≥ 0.5%.

Il Future Liver Remnant-to-total Liver Volume Ratio è un ulteriore parametro che si calcola facendo il rapporto tra FLR e volume epatico totale (TLV)Viene proposto un valore cut-off del 25%, dagli studi di Shoup45 et al.

TLVR=FLR/TLV

Per determinare se i pazienti avranno un adeguato FLR si utilizzano dei valori cut-off, che variano in base alla condizione del fegato del paziente: pazienti con fegato sano (>20%)41,42, pazienti precedentemente sottoposti a chemioterapia (>30%)43 e pazienti

cirrotici (>40%)44. Questi valori possono variare in base all’autore preso in

considerazione.

Capussotti et al.46 dimostrano come la FLR sia fattore predittivo indipendente per la

PHLF, evidenziando che tutti i pazienti che hanno sviluppato un’insufficienza epatica avevano un FLR <35%. Nello stesso studio è evidenziata una correlazione significativa tra calo della funzionalità epatica nel post-operatorio e volume residuo.

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2.4.3 Fattori predittivi di insufficienza epatica postoperatoria

Parlando infine della PHLF, non esiste in letteratura una definizione universalmente accettata. Tra quelle più utilizzate c’è la definizione di Balzan et al.47, il cosiddetto

“50-50 criteria”: in uno studio prospettico condotto su 775 epatectomie, i livelli di bilirubinemia >50mmol/L (2.9 mg/dL) e PT <50% (16.17 secondi o INR >1.7) in 5° giornata postoperatoria si risultavano essere un forte fattore predittivo di mortalità. Questa è la definizione utilizzata nel nostro centro, in quanto le altre due principali definizioni (Mullen et al.48 e International Study Group of Liver Surgery49) sono

applicabili in casistiche più ristrette.

Attualmente l’incidenza di PHLF si attesta in un range che varia dallo 0.7% al 9.1%50.

Oltre all’FLR (che rimane comunque il principale), possono essere individuati anche altri fattori di rischio per l’insufficienza epatica post-operatoria. Van den Broek et al.50 li

hanno individuati e classificati in due categorie: i rischi surgery-related ed i rischi patient-related.

Nei rischi surgery related rientrano la FLR, tempi operatori lunghi, importanti perdite ematiche intra-operatorie e/o la necessità di emotrasfusioni (quest’ultime sono state individuate come fattore prognostico negativo anche da Kluger et al.51; da ricordare

anche l’importante effetto immunodepressivo che segue tale procedura54). In particolare,

in caso di abbondanti perdite ematiche, abbiamo il massivo spostamento di fluidi dai vari distretti che possono accompagnarsi ad una traslocazione batterica con conseguente infiammazione sistemica52. Anche il rischio di coagulopatia non è da sottovalutare53.

Nei rischi patient-related rientrano invece: malattie epatiche preesistenti (epatotossicità correlata a trattamenti chemioterapici55, steatosi, cirrosi), sesso maschile (con un rischio

quasi raddoppiato, dovuto al presunto effetto immunodepressivo del testosterone59), età

avanzata (≥65 anni), comorbidità e malnutrizione. In particolare, nei pazienti con cirrosi, l’incidenza di PHLF si attesta fra il 5 e il 10%, trovando una possibile spiegazione nelle numerose comorbidità che questi spesso presentano: ipertensione portale56, ittero57, ipersplenismo, malnutrizione, coagulopatie, alterazioni della

(26)

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2.5 Schemi di trattamento delle principali patologie oncologiche del fegato70

Il fegato ha il discutibile primato di essere, insieme ai polmoni, la più frequente sede di secondarismi; i tumori primitivi del fegato sono tutto sommato rari e insorgono prevalentemente dove sussistano fattori predisponenti come malattie croniche ad eziologia virale, esotossica o metabolica, esposizione ad agenti cancerogeni, o predisposizioni genetiche.

Avendo il fegato un’ampia capacità rigenerativa e una notevole riserva funzionale, è ancora oggi frequente il riscontro di malattie in fase avanzata; tuttavia grazie al progresso nelle tecniche di imaging e alla scoperta di farmaci chemioterapici sempre più efficaci la prognosi del paziente si è significativamente modificata.

Le opzioni terapeutiche per i tumori epatici vanno dall’intervento chirurgico a trattamenti locoregionali, chemioterapia e terapie mediche di supporto; in un ventaglio di scelta così ampio è evidente come il trattamento specialistico multidisciplinare sia assolutamente indispensabile per una corretta gestione del paziente.

2.5.1 Trattamento del carcinoma epatocellulare (HCC)

Il trattamento del carcinoma epatocellulare indica la chirurgia come miglior metodo per poter avere una potenziale cura. Per poter andare incontro a questo i pazienti devono, prima di tutto, essere fit per una chirurgia maggiore. La chirurgia è considerata potenzialmente curativa se abbiamo una adeguata funzionalità epatica, se la massa è solitaria e non sono presenti segni di invasione vascolare, e se viene assicurata un adeguato FLR (sempre in base alla classe Child-Pugh). Per quei pazienti in cui l’FLR risultasse non adeguato, possono essere prese in considerazione la PVE.

La chirurgia è invece controversa, ma può essere comunque valutata, se la malattia è multifocale, ma di dimensione ridotte e se si ha invasione macroscopica.

Se, tuttavia, il paziente non è fit per un intervento di chirurgia maggiore, si può intraprendere un trattamento loco-regionale.

Se il paziente, invece, non ha i requisiti richiesti, o non ha un performance status che gli permetta di trarre un vantaggio dal trattamento, si può pensare al trapianto di fegato.

(27)

27 Per questi casi devono essere presi in considerazione i criteri di Milano:

 Tumore singolo con diametro <5 cm fino a 3 lesioni ciascuna con diametro <3 cm  Assenza di invasione vascolare macroscopica

 Assenza di metastasi extraepatiche

Se il paziente, però, non risulta eleggibile per il trapianto, si può valutare l’utilizzo di trattamenti ponte (come la CT e i trattamenti loco-regionali) per provare a renderlo tale. Per valutarne invece la priorità, si utilizza il MELD score (Model for End-Stage Liver Disease).

La chirurgia quindi rappresenta la prima scelta nella terapia dell’HCC, per pazienti ben selezionati. Per quelli che presentano evidenze di malattia metastatica diffusa, di invasione vascolare macroscopica o di tumore localmente avanzato si possono utilizzare trattamenti alternativi, nel tentativo di renderli candidabili alla chirurgia, o come trattamento palliativo. Possiamo, in questi casi, utilizzare trattamenti chemioterapici di prima linea, come Sorafenib/Levantinib, e di seconda linea, come Regorafenib/Ramucirumab/Nivolumab.

2.5.2 Trattamento del colangiocarcinoma

Il colangiocarcinoma viene distinto in due tipi: intra-epatico ed extra-epatico. A seconda quindi della posizione del tumore, si possono intraprendere strade terapeutiche diverse.

2.5.2.1 Colangiocarcinoma intra-epatico

Per il colangiocarcinoma intra-epatico (iCCA) viene inizialmente valutato se la lesione è resecabile o no. Se risulta essere resecabile, considerare una laparoscopia stadiativa (con linfoadenectomia, sempre stadiativa) per valutare il grado di malattia, o puntare subito alla resezione. Questa è controindicata se si ha presenza di malattia metastatica a distanza o se si ha diffusione linfonodale oltre i linfonodi portali (la presenza di linfonodi portali positivi si associa di per sé a sopravvivenza scarsa, motivo per il quale spesso non si operano). Anche la presenza di malattia multifocale intra-epatica controindica alla resezione, in quanto spesso predittiva di metastasi a distanza.

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28 Per ottenere margini di resezione negativi, spesso sono necessarie chirurgie maggiori, ma anche l’uso di segmentectomie o altre resezioni minori è accettata se assicurano l’R0. Se si riesce ad ottenere un margine R0, possiamo valutare l’inizio di una CT adiuvante, altrimenti, se otteniamo dei margini R1, alla CT possiamo aggiungere un trattamento radioterapico. Le resezioni non soddisfacenti (R2) vengono trattate come tumori metastatici/non resecabili, ovvero con chemioterapia, trattamenti loco-regionali o cure palliative.

2.5.2.2 Colangiocarcinoma extra-epatico

Viene a sua volta distinto in peri-ilare (pCCA) e distale (dCCA).

Il trattamento chirurgico quindi varierà anche in base a questa ulteriore distinzione. Per i dCCA il trattamento prevede una duodenocefalopancreasectomia, per quelli peri-ilari, invece, viene effettuata una laparoscopia stadiativa (sia per valutare l’estensione del tumore, sia per effettuare una linfoadenectomia, sempre stadiativa), per escludere metastasi extra-epatiche addominali.

Per quei tumori non resecabili/metastatici può essere considerato inizialmente un drenaggio biliare per permettere lo scarico di bile, per ridurre gli indici di colestasi e l’eventuale ittero. Altrimenti si potranno utilizzare le stesse opzioni terapeutiche radio/chemioterapiche già viste per gli iCCA (anche come setting adiuvante).

2.5.3 Trattamento delle metastasi epatiche da adenocarcinoma colorettale

Anche per le metastasi da carcinoma del colon retto (CLM), bisogna distinguere i tumori resecabili dai tumori non resecabili. Vengono definite resecabili le lesioni il cui primitivo al colon retto è stato rimosso con margine della resezione R0, che vengono resecate con intento R0 e per le quali è possibile stimare un FLR soddisfacente.

Per le lesioni resecabili dobbiamo sapere se sono stati già stati fatti trattamenti chemioterapici, in quanto cambia l’iter terapeutico. Se non sono mai stati intrapresi, possiamo avvalerci della chirurgia o trattamenti loco-regionali, e successivamente utilizzare una CT adiuvante. In alternativa, la possiamo utilizzare in un setting neoadiuvante, che può anche rimandare la chirurgia se ottiene buoni risultati.

Se invece è già stata utilizzata la chemioterapia, possiamo valutare l’utilizzo di farmaci biologici al posto, o in aggiunta, ai farmaci chemioterapici usati la prima volta.

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3. BACKGROUND

In letteratura non esistono dati specifici riguardanti l’applicazione di PSH a lesioni epatiche maggiori di 10 cm definite come Huge (Huge Tumors = HT); i riferimenti principali che possiamo ottenere sugli HT riguardano in particolare i tumori primitivi del fegato.

Dalla lettura delle linee guida internazionali sulle patologie oncologiche primitive e secondarie del fegato è sostanziale la distinzione di malattie resectable e non resectable; tale valutazione della lesione si colloca in un punto chiave dell’algoritmo diagnostico e influenza in maniera sostanziale tutto il management del paziente. Nel caso della chirurgia epatica la valutazione della resecabilità passa inevitabilmente attraverso la valutazione della funzione d’organo e del coinvolgimento delle strutture vascolari che determinano il volume del fegato residuo; la PSH ha permesso un tale avanzamento nella tecnica di risparmio di parenchima da rendere secondario il parametro dimensionale, in termini di outcome, rispetto alla valutazione biologica della malattia e al coinvolgimento di strutture vitali.

La complessità della PSH è stata inquadrata in una nuova forma di classificazione delle resezioni chirurgiche che si sta definendo in ambito internazionale; si distinguono Limited Resections, Complex Resections e Core Resections sulla base dei vasi esposti e della sede della resezione95.

Le alternative chirurgiche alla PSH in caso di inadeguato FLR sono costituite da tecniche in two-stage, embolizzazione portale e ALLPS, gravate da un significativo tasso di complicanze e di drop-out.93,94

L’incidenza di HT nei paesi orientali è maggiore rispetto alle controparti occidentali e le infezioni virali ne rappresentano la causa più frequente, mentre in Europa e nel Nord America, la principale eziologia è rappresentata dall’abuso di alcolici e obesità90. Alle

nostre latitudini l’incidenza di HCC è di 3/100.000, mentre nei paesi orientali, come ad esempio la Mongolia, si toccano incidenze di 78,1/100.00059. Per il CCA invece, nei

paesi occidentali si ha un’incidenza di 0,3-3,5/100.000, quando in paesi come la Thailandia si arriva ad incidenze di 90/100.00060.

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30 Gli HCC di grandi dimensioni insorgono più di frequente su un fegato non patologico, probabilmente grazie ad un programma di follow-up che permette diagnosi e trattamento di eventuali neoplasie in uno stadio precoce89.

Per quanto riguarda gli Huge HCC esiste consenso61 sul fatto che la presenza di noduli

satellite, invasione vascolare macroscopica e scarsa differenziazione del tumore siano fattori oncologici predittivi di un peggiore otucome61,62. La terapia di scelta per HCC

rimane comunque chirurgica, e la resezione anatomica è l’approccio più indicato da studi retrospettivi63-68e metanalisi69a fronte di tassi accettabili di mortalità e complicanze

legate all’intervento71.

Il CCa è la forma di tumore delle vie biliari più frequente e soprattutto nella forma intraepatica può raggiungere notevoli dimensioni prima di dar segno di sé. I rari casi di Huge CCa che rientrino nei criteri di resecabilità hanno come unica opzione potenzialmente curativa la resezione chirurgica. In quest’ottica le linee guida internazionali70 specificano che lo scopo della chirurgia è quello di ottenere la resezione

del tumore con margini negativi indipendentemente dalle dimensioni del tumore stesso. Oltre alla presenza di carcinosi peritoneale o di metastasi a distanza, sono controindicazioni alla chirurgia la presenza di malattia epatica multifocale bilobare, indice di malattia estesa con atteggiamento aggressivo. L’estensione della resezione deve essere in funzione del raggiungimento di margini R0 pertanto, sebbene resezioni maggiori siano spesso necessarie, può essere considerato corretto da un punto di vista oncologico anche l’utilizzo di resezioni più limitate purché si ottengano margini liberi da malattia71,72.

Per quanto riguarda le metastasi da tumore del colon-retto, mentre in passato venivano riportati tassi di sopravvivenza sfavorevoli per pazienti con lesioni >5cm, in tempi più recenti diversi autori hanno dimostrato che le dimensioni del tumore non impattano significativamente con la sopravvivenza73-77. Similmente ad altre forme di

interessamento epatico, la presenza di CRLM di grandi dimensioni non impedisce di poter raggiungere margini di resezione indenni, ed esiste ormai univoco consenso sull’utilizzo di resezioni non anatomiche per poter garantire un adeguato fegato residuo. A questo si aggiunge il fatto che nei pazienti sottoposti a PSH, sarà più possibile

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31 effettuare una successiva resezione in caso di recidiva tumorale, con un miglioramento della sopravvivenza a 5 anni78-81.

I GIST sono i tumori mesenchimali più comuni del tratto gastrointestinale, di cui si stima che il 47% presenti metastasi sincrone82, per le quali il fegato rappresenta l’organo

più colpito83. Dopo resezione epatica, la sopravvivenza a 5 anni oscilla fra il 70 e il

76%84,85, con la rimozione completa che rappresenta un importante fattore prognostico

per la sopravvivenza a lungo termine85. Degno di nota è il ruolo degli inibitori delle

tirosin chinasi, che si pensa possano essere fonte di beneficio in termini di sopravvivenza85-87. Per questo, la resezione epatica dovrebbe essere raccomandata solo

in quei pazienti sotto terapia peri-operatoria che rispondono al trattamento.

Il ruolo dell’intervento chirurgico è stato studiato per essere il miglior approccio per le metastasi da tumori neuroendocrini (NET) resecabili, in termini di prolungamento della sopravvivenza, a prescindere dall’alto numero di recidiva post-operatoria88. Nell’ottica

delle metastasi da NET, lo scopo della chirurgia dovrebbe essere quello di resecare tutte le metastasi all’interno del parenchima con intento curativo96.

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4. MATERIALI E METODI

4.1 Composizione della campione di studio

L’analisi retrospettiva è stata condotta su tutti i pazienti che sono stati sottoposti ad interventi di chirurgia epatica resettiva presso il nostro centro in un arco temporale di 10 anni dal 13/10/2010 al 15/10/2020. Il criterio di inclusione adottato è stato la presenza di almeno una lesione epatica solida di diametro uguale o superiore a 10 cm; le dimensioni sono state verificate sulla base delle immagini TC/RMN preoperatorie.

4.2 Valutazione preoperatoria

Per effettuare un assessment dei pazienti, è stata eseguita su ognuno di essi un’ecografia addominale, un TC ed una RMN total body. I pazienti sono stati inviati a chirurgia dopo una valutazione multidisciplinare, che ha visto coinvolti anche oncologi, radiologi, medici nucleari, epatologi ed anatomopatologi. La fattibilità tecnica è stata stabilita come presenza di un FLR sufficiente (>40%), con condizioni di inflow ed outflow arterio-venoso conservate. I volumi epatici sono stati calcolati con l’ausilio delle immagini TC.

4.3 Terminologia

Le resezioni epatiche sono considerate maggiori quando vengono asportati più di 3 segmenti adiacenti. Il criterio del “50-50” è stato utilizzato per definire la PHLF, e la gravità clinica usando la classificazione proposta dall’International Group of Liver Surgery. La fistola biliare post-operatoria è definita come una concentrazione di bilirubina nel drenaggio che superiore a 10 mg/dL per almeno 3 giorni partendo dal 5° giorno post-operatorio. L’ascite è stata definita come portata maggiore di 10 mL/kg/die dal drenaggio dopo il 3° giorno post-operatorio.

Le complicanze post-operatorie sono state raggruppate secondo la classificazione di Clavien-Dindo. Le complicanze maggiori (IIIb e IV) e la mortalità operatoria (V) sono state considerate come peri-operatorie se avvenute entro 1 mese dall’operazione o più, se la permanenza in ospedale ha una durata maggiore di 30 giorni.

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33 La recidiva epatica è stata distinta in recidiva al margine chirurgico, recidiva al fegato risparmiato e recidiva intraparenchimale.

4.4 Tecnica chirurgica

Di preferenza è stata eseguita una incisione laparotomica a J eventualmente estesa al torace nei casi in cui l’accesso alla confluenza epato-cavale fosse difficoltoso per via transaddominale. Per quei pazienti invece in cui si avevano lesioni di altri organi, è stata eseguita un’incisione xifo-pubica.

L’ecografia intraoperatoria (IOUS) è stata eseguita utilizzando una BK Medical - ProFocus Ultraview ®.

La strategia chirurgica, accuratamente pianificata in sede preoperatoria, viene confermata mediante IOUS verificando i rapporti con le strutture vascolari; in caso di sospetta infiltrazione della parete di un vaso si procede a resezione ed eventuale ricostruzione di quest’ultimo en-bloc con la lesione. Per ottenere un completo controllo del sanguinamento il paziente viene mantenuto con una bassa PVC, si procede di routine alla manovra di Pringle, all’isolamento delle vene sovraepatiche e alla completa mobilizzazione del fegato anche dalla vena cava retroepatica. Nel caso in cui si debba procedere ad una esclusione vascolare totale, si ha una riduzione del 40-50% della gittata cardiaca ed un aumento di circa l’80% delle resistenze periferiche, per poter mantenere una pressione arteriosa adeguata; si ritiene tale manovra non tollerata se la PA scende del 30% e la gittata cardiaca cala del 50%.

Nell’arco di tempo esaminato le principali modifiche tecniche adottate sono state: utilizzo di legature per peduncoli di diametro superiore ai 2 mm ed il bipolare per peduncoli inferiori ai 2 mm di diametro, utilizzo della kellyclasia per la dissezione parenchimale e l’utilizzo del clampaggio peduncolare intermittente con tempi di declampaggio analoghi a quelli del clampaggio.

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34

5. RISULTATI

I risultati sono espressi come mediana e (range)

Il campione definitivo era di 21 casi, con età al momento dell’intervento di 67 anni (31-87), per 19 lesioni maligne (90.5%), di cui 9 tumori primitivi (7 HCC + 2 CCA) e 10 tumori mestatici (8 CRLM +1 GIST + 1 metastasi da Carcinoma Midollare della tiroide), e per 2 lesioni benigne (9.5%), cioè 1 angioma sintomatico e 1 adenoma. Il tempo di follow-up è risultato di 22 mesi (3-111). Il diametro delle lesioni è risultato essere 103 mm (100-168), mentre il numero delle lesioni 1 (1-18).

Dei 21 pazienti trattati, 10 (47.6%) non presentavano alterazioni del tessuto epatico all’esame istologico, 9 (42.9%) presentavano steatosi, e 2 (9.5%) presentavano fibrosi; nessuno dei pazienti presi (n=0) in considerazione presentavano, al momento della valutazione preoperatoria, ascite o varici esofagee.

I casi di PSH sono ripartiti come segue secondo la classificazione per complessità96: 1

limited resection (4.8%), 2 complex monosegmentarie (9.5%), 11 complex in cui è stato resecato più di un segmento (52.3%) e 7 core (33.3%).

La resezione totale della RHV si è resa necessaria in 8 casi (38%); la resezione totale della MHV è stata effettuata in 2 casi (9.5%), mentre la resezione tangenziale della MHV in 1 caso (4.8%); l’esposizione della MHV è stata richiesta in ulteriori 2 casi (9.5%). La LHV è stata totalmente resecata in 1 caso (4.8%). La ricostruzione della RHV è stata effettuata in 2 casi (9.5%), mentre la ricostruzione della MHV in 3 casi (14.2%).

È stato possibile ottenere delle resezioni R0 in 17 casi (81%), mentre le resezioni R1 sono state limitate a 4 casi (19%), di cui 1 (4.8%) R1 vascolare. 13 pazienti (62%) hanno sviluppato una recidiva, in 7 (33.3%) di essi la malattia si è ripresentata sia a livello epatico che in sede extra-epatica, in 4 (19%) solo in sede epatica, e in 2 (9.5%) solo in sede extraepatica.

Il tempo operatorio è risultato essere 639 min (210-1343), con perdite ematiche di 300

ml (50-5300). 10 pazienti (47.5%) ha necessitato di emotrasfusioni, con un numero di

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35 Il tempo di Pringle è risultato 91 min (0-242), l’area della trancia 171 cm2 (53-334), con

un numero di segmenti resecati di 2,5 (0,2-4,5).

Su una corte di 21 pazienti, 11 pazienti non hanno sviluppato complicanze post-operatorie (52.3%), mentre 2 ne hanno sviluppate di classe I (9.5%), 1 di classe II (4.8%), 5 di classe IIIa (28.6%), I di classe IIIb (4.8%), 0 di classe IVa, 1 di classe IVb (4.8%) e 0 di classe V. Nessuno dei pazienti osservati ha tuttavia sviluppato nel decorso peri-operatorio una condizione di insufficienza epatica.

Una fistola biliare si è formata in 3 (14.2%) pazienti (2 al 5° giorno post-operatorio ed 1 al 6°), che è stata trattata attraverso un drenaggio eco-guidato. 2 (9.5%) pazienti hanno sviluppato emoperitoneo, trattato con intervento chirurgico, mentre altri 2 (9.5%) casi hanno sviluppato versamento pleurico, trattato mediante toracentesi.

Il tempo di degenza in UTI è stato di 2 giorni (0-14), mentre il tempo di degenza totale è stato di 10 giorni (4-33), con una mortalità post-operatoria ad 1 mese dello 0%.

(36)

36 N= % Età <64 6 28.6% >64 15 71.4% Sesso M 16 76.1% F 5 23.9% Background epatico Normale 10 47.6% Steatosi 9 42.9% Fibrosi 2 9.5% Cirrosi 0 0% Ascite SI 0 0% NO 21 100% Ipertensione Portale SI 0 0% NO 21 100% Infezioni Virali HBV 0 0% HCV 0 0% Malignità Benigno 2 9.5% Maligno 19 90.5%

(37)

37 Diagnosi HCC 7 33.3% CRLM 8 38% CCA 2 9.5% GIST 1 4.8%

Ca. Midollare Metastatico Tiroide 1 4.8%

Angioma 1 4.8% Adenoma 1 4.8% Perdite ematiche (mL) 100-500 17 81% 500-1000 1 4.8% >1000 3 14.2% Emotrasfusioni (n° di sacche) da 1 a 2 7 33.3% >2 3 14.2%

Durata intervento (min)

<300 3 14.2%

300-600 8 38%

>600 10 47.6%

Tempo di Pringle (min)

<120 14 66.7% >120 7 33.3% Complicanze Post-operatorie Nessuna 11 52.3% I 2 9.5%

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