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Valutazione endocrinologica dei pazienti obesi candidati alla chirurgia bariatrica

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Academic year: 2021

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INDICE

RIASSUNTO ... 2

INTRODUZIONE ... 7

EPIDEMIOLOGIA... 7

INQUADRAMENTO CLINICO E APPROCCIO TERAPEUTICO... 8

EZIOPATOGENESI DELL’OBESITA’... 13

CAUSE ENDOCRINE DI OBESITÀ... 15

SCOPO DELLA TESI ... 20

CASISTICA ... 21 METODI... 22 RISULTATI: ... 23 DISCUSSIONE... 30 CONCLUSIONE ... 37 BIBLIOGRAFIA... 38

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RIASSUNTO

L’obesità è una condizione ad elevata incidenza e ad eziologia multifattoriale, accompagnata da un aumento del rischio di morbilità e mortalità e con una prevalenza in costante aumento in tutte le fasce d’età.

Dal punto di vista eziopatogenetico l’obesità è classificabile in una forma essenziale, che raggruppa la maggior parte dei casi (circa il 95%), e in una forma secondaria ad altre patologie, che rappresenta una quota esigua, intorno al 5% di tutti i casi. Le forme di obesità secondaria riconoscono nella patogenesi alterazioni genetiche, malattie neurologiche o psichiatriche, l’uso abituale di alcuni farmaci o malattie endocrine.

L’approccio clinico al paziente obeso si basa su un’attenta anamnesi, mirata a stabilire l’età di insorgenza dell’obesità, le eventuali patologie associate, la familiarità e lo stile di vita e su una valutazione antropometrica atta a definire le caratteristiche fenotipiche del soggetto. Una volta stabilito il grado e il tipo di obesità occorre valutare le eventuali patologie associate. L’internista e l’endocrinologo hanno il ruolo di inquadrare dal punto di vista

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metabolico il paziente e di escludere eventuali cause di obesità secondaria.

Dal punto di vista terapeutico, nei pazienti in cui non è stato possibile ottenere una significativa e permanente perdita del peso corporeo con la terapia dietetico-comportamentale e farmacologia, o nei casi in cui il grado di obesità o le complicanze associate siano tali da minacciare seriamente lo stato di salute, trova indicazione la chirurgia bariatrica.

Si tratta di una procedura gravata dal rischio di complicanze, sia nel periodo perioperatorio sia a distanza dall’intervento. Affinché la chirurgia sia seguita da risultati ottimali e non determini conseguenze inaccettabili nel lungo termine, è necessario selezionare adeguatamente il paziente ed escludere la presenza di patologie, anche endocrine, che possano interferire con la procedura chirurgica di per se, o aumentarne i rischi.

Lo scopo di questa tesi è stato quello di valutare la prevalenza delle patologie endocrine in pazienti obesi candidati alla chirurgia bariatrica.

Sono stati presi in considerazione 422 pazienti obesi (91 maschi e 331 femmine), di età media 44 anni, valutati in previsione di intervento di chirurgia bariatrica.

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Ciascun paziente veniva sottoposto a: anamnesi, esame obiettivo, valutazione psicologica, valutazione dietistica, prelievo ematico per: studio del metabolismo glucidico, lipidico, della funzione renale ed epatica, della funzione tiroidea, del metabolismo fosfo-calcico, della funzione gonadica, dosaggio di GH, IGF-1, cortisolo e ACTH basali e dopo soppressione con 1 mg di desametasone. Veniva inoltre eseguita una ecografia tiroidea seguita, nel caso fossero presenti noduli, da una tireoscintigrafia e da un agoaspirato con esame citologico.

I risultati dello studio rivelano una prevalenza di patologia endocrina pari al 46% (193/422): il 43% (181/422) era rappresentato da tireopatie e il 3% (12/422) da altre endocrinopatie.

Nell’ambito delle tireopatie erano presenti 97 casi di patologia nodulare, di cui 31 di nuova diagnosi; 70 pazienti erano affetti da tiroidite cronica autoimmune: in 20 di questi la diagnosi non era nota prima della valutazione e in 5 di essi era presente un ipotiroidismo non trattato. Dei 50 pazienti con tiroidite cronica autoimmune diagnosticata in precedenza, 42 erano ipotiroidei in terapia sostitutiva con levotiroxina.

In una paziente veniva diagnosticato un ipotiroidismo conseguente ad un pregresso trattamento cronico con amiodarone.

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17 pazienti erano in terapia con levotiroxina a dosi sostitutive per un ipotiroidismo acquisito in seguito a tiroidectomia (13 pazienti) o a terapia con radioiodio come trattamento definitivo dell’ipertiroidismo (4 pazienti). 1 paziente presentava un adenoma tossico con ipertiroidismo in trattamento con metimazolo. 1 paziente era stato trattato con terapia radioisotopica per un adenoma tossico ed era eutiroideo al momento della valutazione.

1 paziente risultava affetto da carcinoma papillare della tiroide dopo esame citologico su agoaspirato di un nodulo tiroideo rilevato occasionalmente durante la valutazione; veniva sottoposto a tiroidectomia totale e l’esame istologico confermava la diagnosi. In un paziente con nodulo tiroideo, per il riscontro di valori elevati di calcitoninemia veniva eseguita la tiroidectomia che confermava la diagnosi di carcinoma midollare. Due pazienti erano affetti da carcinoma papillare della tiroide, in remissione dopo tiroidectomia e terapia radio-metabolica.

Le altre endocrinopatie risultavano rappresentate da: 2 casi di iperparatiroidismo primitivo, 5 casi di sindrome di Cushing, di cui 3 ipofisari e 2 surrenalici, 2 adenomi ipofisari non secernenti e 3 casi di sella vuota, di cui 2 di nuova diagnosi.

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Nel complesso, nei 422 pazienti esaminati sono stati evidenziati 193 casi di endocrinopatia di cui 74 (17,5% del totale dei pazienti esaminati) richiedevano un trattamento specifico prima dell’intervento o in alternativa allo stesso. In particolare, in 15 casi si trattava di nuove diagnosi che, ove la malattia non fosse stata riconosciuta, avrebbero reso l’intervento di chirurgia bariatrica inadeguato o gravato da un eccessivo rischio operatorio.

In conclusione, i risultati di questa tesi indicano che la valutazione della funzione tiroidea, surrenalica, paratiroidea e ipofisaria basale del paziente candidato a chirurgia bariatrica debba aggiungersi all’inquadramento metabolico, cardio-circolatorio e polmonare. La scoperta di disfunzioni endocrine quali l’ipercortisolismo, l’ipotiroidismo, l’iperparatiroidismo e la correzione, o comunque la verifica dell’adeguatezza della terapia ormonale in soggetti con endocrinopatia nota, sono pertanto indispensabili nell’iter diagnostico che precede l’avvio del paziente alla chirurgia bariatrica.

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INTRODUZIONE

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito l’obesità come una condizione cronica caratterizzata da un eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo, in misura tale da influire negativamente sullo stato di salute.

Si tratta di una condizione ad elevata incidenza e ad eziologia multifattoriale, accompagnata da un aumento del rischio di morbilità e mortalità e con una prevalenza in costante aumento in tutte le fasce d’età, tanto da giustificare il termine di “epidemia”.

Epidemiologia

Si calcola che circa un sesto della popolazione mondiale sia affetta da sovrappeso o obesità.

La prevalenza di questa patologia è aumentata negli ultimi decenni nel mondo occidentale ma anche nei paesi in via di sviluppo; questo fenomeno è stato messo in relazione con vari fattori correlati al cambiamento delle abitudini di vita, con conseguente squilibrio in senso positivo del bilancio energetico, e tendenza all’accumulo di tessuto adiposo 1.

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Particolarmente preoccupante è l’aumento dell’incidenza dell’obesità tra i bambini e gli adolescenti in quanto prelude ad un’ulteriore espansione della pandemia nei prossimi decenni.

In Italia la diffusione del sovrappeso e dell’obesità è aumentata del 25% negli ultimi 5 anni e, secondo indagini epidemiologiche, sembra seguire un gradiente Nord-Sud, con una prevalenza maggiore al Sud e nelle isole.

Inquadramento clinico e approccio terapeutico

L’approccio clinico iniziale al paziente obeso si basa su un’attenta anamnesi, mirata a stabilire l’età di insorgenza dell’obesità, le eventuali patologie associate, la familiarità e lo stile di vita e su una valutazione antropometrica atta a definire le caratteristiche fenotipiche del soggetto.

Lo scopo dell’inquadramento clinico iniziale è anche quello di valutare le eventuali patologie associate e di escludere possibili cause di obesità che richiedano un indirizzo terapeutico specifico. La valutazione antropometrica si basa su vari parametri, il più importante dei quali è l’ “Indice di Massa Corporea” (IMC),

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calcolato come il rapporto tra il peso espresso in chilogrammi e il quadrato dell’altezza espressa in metri.

Per valori di IMC compresi tra 25 e 29,9 si parla di sovrappeso; tra 30 e 34,9 di obesità di grado I; tra 35 e 39,9 di grado II; con IMC superiore a 40 si parla di obesità di grado III. Il limite di 25 per differenziare il normopeso dal sovrappeso deriva dall’osservazione che per valori di IMC superiori a 25 aumenta significativamente il rischio di morbilità e mortalità per malattie cardiovascolari e respiratorie. (tabella 1)

Un altro parametro antropometrico largamente utilizzato è la valutazione del rapporto tra circonferenza della vita e circonferenza dei fianchi (waist to hip ratio - WHR) che dà un’indicazione sulla distribuzione del grasso corporeo. Un WHR maggiore di 1,0 nell’uomo e di 0,85 nella donna identifica un accumulo di adipe a livello addominale, che si associa ad un maggiore rischio di comorbidità. A questo scopo può essere sufficiente considerare il solo parametro della circonferenza vita, che è risultato correlare positivamente con l’accumulo di adipe addominale. La soglia che deve essere considerata come indicatore dell’aumento del rischio,

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dell’ipercolesterolemia negli adulti (Adult Treatment Panel III - ATP III), è di 102 cm nell’uomo e di 88 cm nella donna2.

Secondo una più recente definizione dell’International Diabetes

Federation (IDF) si parla di obesità centrale quando la

circonferenza della vita è maggiore di 94 centimetri nell’uomo o maggiore di 80 centimetri nella donna. 3

Tabella 1: classificazione di sovrappeso e obesità

La composizione corporea può essere studiata in modo più accurato attraverso metodiche strumentali come la bioimpedenzometria, la densitometria a raggi X a doppio raggio fotonico (DXA), la Tomografia Computerizzata e la Risonanza Magnetica.

IMC (kg/m2) Sovrappeso 25 - 29.9 Obesità di classe I 30.0 - 34.9 Obesità di classe II 35.0 - 39.9 Obesità di classe III > 40.0

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La distribuzione dell’adipe permette di distinguere diversi tipi di obesità: ginoide o gluteo-femorale, androide o centrale e mista. Una volta stabilito il grado e il tipo di obesità occorre valutare le eventuali patologie associate. L’internista e l’endocrinologo hanno il ruolo di inquadrare dal punto di vista metabolico il paziente e di escludere eventuali rare cause endocrine di obesità. Risulta utile inoltre la valutazione comportamentale eseguita dal dietista e dallo psicologo.

La terapia dell’obesità ha come obiettivo il conseguimento di un

calo ponderale del 5-10% e il suo mantenimento a lungo termine. 4

Il trattamento ha lo scopo di ottenere un bilancio energetico negativo durante la perdita di peso che si mantenga stabilmente nel tempo una volta raggiunto il peso che ci si era prefissati. Bisogna infatti tenere conto del fatto che, essendo l’obesità una patologia cronica, tende naturalmente a recidivare qualora il bilancio energetico non venga corretto stabilmente.

Il primo approccio che si mette in atto di fronte ad un paziente obeso è di tipo comportamentale con l’obiettivo di ottenere un cambiamento dello stile di vita. L’integrazione di dieta e attività fisica si è dimostrata efficace nel breve periodo, ma poco valida nel mantenimento a lungo termine del calo ponderale ottenuto.

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In aggiunta alla terapia comportamentale è possibile ricorrere all’ausilio di farmaci che facilitino il calo ponderale.

Nei pazienti in cui non è stato possibile ottenere una significativa e permanente perdita del peso corporeo con la terapia dietetico-comportamentale e farmacologia, o nei casi in cui il grado di obesità o le complicanze associate siano tali da minacciare seriamente lo stato di salute, trova indicazione la chirurgia bariatrica.

La selezione del paziente obeso candidato alla chirurgia necessita di un lavoro di gruppo integrato che coinvolga oltre all’endocrinologo e all’internista, anche il chirurgo, l’anestesista e lo psichiatra.

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EZIOPATOGENESI DELL’OBESITA’

Dal punto di vista eziopatogenetico l’obesità può essere distinta in una forma essenziale, che ricopre la larga parte dei casi (circa il 95%), e in una forma secondaria ad altre patologie che rappresenta una quota esigua, intorno al 5% di tutti i casi. (Figura 1)

Il riconoscimento di queste forme secondarie è comunque estremamente importante, soprattutto dal punto di vista terapeutico.

Figura 1: cause di obesità

OBESITA’ Essenziale > 95% Secondaria < 5% forme genetiche malattie endocrine obesità da farmaci disturbi mentali malattie neurologiche ambiente assetto genetico

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L’eziologia dell’obesità essenziale è multifattoriale, risulta infatti dall’interazione tra componenti genetiche, comportamentali ed ambientali.

Il mutamento che si è osservato negli ultimi decenni per quanto riguarda le abitudini alimentari e lo stile di vita è il fattore più fortemente chiamato in causa per spiegare l’aumento dell’incidenza. L’ipotesi più accreditata è che l’obesità essenziale risulti da un’interazione tra l’ambiente e l’assetto genico. Nel corso dell’evoluzione si sarebbe selezionato un assetto genico di tipo “risparmiatore”, con la capacità di facilitare l’accumulo piuttosto che il dispendio energetico. Questa condizione, chiaramente protettiva in condizioni di scarso apporto energetico, rappresenta oggi un fattore di rischio per lo sviluppo dell’obesità.

L’accumulo di tessuto adiposo sarebbe quindi dovuto alla incapacità del metabolismo di adeguarsi a modificazioni ambientali troppo rapide.

Le forme di obesità secondaria, nel complesso meno del 5% delle cause di obesità, riconoscono come patogenesi alterazioni genetiche, malattie neurologiche e psichiatriche, forme secondarie all’uso di farmaci e malattie endocrine.

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Cause endocrine di obesità

Talora l’obesità rappresenta un sintomo o una tra le conseguenze di un’alterazione endocrina primitiva. Solitamente non si tratta di obesità gravissime e in ogni caso il quadro clinico è sempre dominato dalla disfunzione endocrina di base.

L’ipercortisolismo (sindrome di Cushing) è tra le alterazioni endocrine di relativa maggior prevalenza associate allo sviluppo di obesità. L’iperfunzione surrenalica può essere primitiva, per la presenza di adenomi surrenalici secernenti, secondaria ad un’ipersecrezione di ACTH ipofisaria (morbo di Cushing) o di origine iatrogena, imputabile alla prolungata somministrazione esogena di glucocorticoidi.

La prevalenza della sindrome di Cushing nella popolazione generale è stimata intorno a 1 caso per 100.000 abitanti. 5

Nella sindrome di Cushing l’obesità si presenta con una frequenza compresa tra il 79 e il 97% 6 ed è caratterizzata da una deposizione centripeta dell’adipe, con accumuli adiposi a livello addominale, del tronco, del dorso (caratteristico gibbo) e del volto (facies a luna piena).

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Gli altri segni clinici caratteristici della sindrome di Cushing sono il riscontro di elevati valori di pressione arteriosa, la ridotta tolleranza ai carboidrati fino al diabete mellito di tipo 2 conclamato, l’irsutismo, l’amenorrea, i disturbi psichici e la presenza di strie rubrae al tronco.

La diagnosi biochimica di sindrome di Cushing si basa sul riscontro di elevati valori di cortisolo urinario dopo una raccolta di 24 ore e sulla mancata soppressione dei valori di cortisolo plasmatico mattutino dopo la somministrazione di 1 mg di desametasone la sera precedente (overnight suppression test). Nei casi dubbi si ricorre all’esecuzione di un test di soppressione prolungato, che prevede la somministrazione di 0,5 mg di desametasone ogni 6 ore per 2 giorni.

La prevalenza dell’ipotiroidismo franco e dell’ipotiroidismo lieve nella popolazione generale è stimata rispettivamente tra lo 0,5 e il 2% 7,8 e tra l’1 e il 10% 9.

L’ incremento ponderale può essere presente tra le manifestazioni dell’ipotiroidismo con un’incidenza stimata del 59% 10.

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Tale rilievo era più frequente nel passato, quando veniva registrato un aumento di peso in quasi la metà dei pazienti affetti da ipotiroidismo allorché questo veniva diagnosticato in fase

conclamata di mixedema11. Oggi, usualmente, la diagnosi di

ipotiroidismo viene posta in fase relativamente precoce e raramente è documentabile un incremento ponderale rilevante. L’aumento di peso, ove presente, trae origine dall’aumento del contenuto totale di acqua e sodio più che da un ridotto consumo energetico a riposo. Tali modificazioni determinano imbibizione tissutale, favorita anche dall’accumulo di glicosaminoglicani. All’aumento ponderale può contribuire la riduzione dell’attività fisica che è conseguente all’astenia e può essere favorita da un calo del tono dell’umore. Nell’insieme, questo quadro metabolico può giustificare un incremento ponderale di modesta entità, che avviene nonostante un ridotto apporto di nutrienti e che in genere non è dovuto ad un incremento della massa grassa o lo è in misura minima.

Sia l’obesità che l’ipotiroidismo sono condizioni ad elevata prevalenza nella popolazione adulta e non è raro che si ritrovino casualmente associate nello stesso individuo. Nonostante la correzione dell’ipotiroidismo non sia di per sé sufficiente a

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normalizzare il peso corporeo, il trattamento ormonale sostitutivo è da considerarsi una misura indispensabile affinché i provvedimenti terapeutici convenzionali dell’obesità risultino efficaci.

Una causa di obesità endocrina relativamente rara è rappresentata dall’iperinsulinismo. L’insulina è l’ormone anabolizzante per eccellenza: tra le sue funzioni va ricordata quella di indurre la deposizione di trigliceridi nel tessuto adiposo, attraverso la stimolazione della lipoproteinlipasi.

Tra le forme di iperinsulinismo primitivo la più importante è l’insulinoma, tumore benigno del pancreas endocrino, caratterizzato da un’iperproduzione dell’ormone beta-cellulare. L’insulinoma è una patologia rara, la cui incidenza è stimata essere di 4 casi per milione di persone all’anno12.

I segni e i sintomi dell’insulinoma sono principalmente quelli della neuroglicopenia. Una delle conseguenze dell’iperinsulinemia può essere l’aumento di peso; l’obesità è tuttavia presente in meno del 30% dei pazienti con tumore secernente insulina13.

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Anche l’iperinsulinismo relativo alla terapia con insulina esogena nel diabete rappresenta un fattore adipogenico non trascurabile, che rende ancor più difficoltoso il trattamento dei soggetti diabetici.

Esiste poi una quota minima di forme di obesità secondaria dovute a patologie dell’ipotalamo, sede di centri nervosi deputati al mantenimento di una adeguata omeostasi energetica.

L’obesità di origine ipotalamica è spesso secondaria ad un evento traumatico, lesioni occupanti spazio come il craniofaringioma, patologie infiammatorie, complicanze di interventi chirurgici o di

radioterapia. 14 La diagnosi di queste forme di obesità può essere

sospettata dal riscontro di alterazioni della funzione ipofisaria che possono essere spia di una disfunzione ipotalamica.

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SCOPO DELLA TESI

In previsione dell’intervento di chirurgia bariatrica è opportuno, escludere le cause endocrine di obesità che richiedono interventi terapeutici mirati. E’ inoltre importante individuare eventuali endocrinopatie associate che richiedano una terapia specifica, al fine di rendere efficaci i provvedimenti terapeutici adottati per il trattamento dell’obesità.

Scopo di questa tesi è stato quello di valutare la prevalenza delle patologie endocrine in pazienti obesi candidati alla chirurgia bariatrica per verificare il tipo di valutazione endocrina cui è utile sottoporre il paziente al fine di compiere un’adeguata selezione e ottimizzare i risultati dell’intervento.

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CASISTICA

Sono stati presi in considerazione 422 pazienti obesi, di cui 91 maschi e 331 femmine, di età compresa tra 16 e 70 anni, valutati presso il Dipartimento di Endocrinologia e Malattie Metaboliche dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana tra il gennaio del 2004 e il dicembre del 2006 in previsione di intervento di chirurgia bariatrica. Le caratteristiche fenotipiche principali dei pazienti sono riportate nella tabella 3.

Tabella 2: caratteristiche fenotipiche dei pazienti studiati

(media±DS) Range Età (anni) 44 ± 12 16-70 IMC (Kg/m2) 46,1 ± 8,5 30,3-90,9 Peso (Kg) 123,4 ± 25,5 70-230 CV (cm) 128,2± 16,8 50-180 CF (cm) 133,5 ± 15,1 102-190 WHR 0,97 ± 0,10 0,33-1,29

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METODI

Ciascun paziente veniva sottoposto a:

? Anamnesi (particolarmente mirata ad indagare la storia

dell’aumento ponderale, la familiarità per obesità e per altre patologie quali il diabete mellito e la presenza di altre comorbidità associate)

? Esame obiettivo (finalizzato alla valutazione globale del paziente e all’inquadramento antropometrico del grado di obesità)

? Valutazione psicologica

? Valutazione dietetica

? Prelievo ematico per:

? Studio del metabolismo glucidico, lipidico, della

funzione renale ed epatica.

? Studio della funzione tiroidea (dosaggio di FT3,

FT4, TSH, AbTG, AbTPO, Calcitonina)

? Studio del metabolismo fosfo-calcico (dosaggio di

PTH e calcio ionizzato).

? Studio della funzione gonadica (FSH, LH,

estradiolo, progesterone nella donna; FSH, LH, testosterone nell’uomo)

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? Prolattina

? GH e IGF-1

? Cortisolo e ACTH basali e dopo soppressione con

1 mg di Desametasone

? Ecografia tiroidea. Nel caso fossero presenti noduli veniva

eseguita una tireoscintigrafia e un agoaspirato con esame citologico.

Nella presentazione dei risultati verranno esposte sia le endocrinopatie con un possibile ruolo patogenetico sia quelle semplicemente associate all’obesità. Non verranno prese in esame le modificazioni endocrine che sono notoriamente secondarie all’obesità (ad es. insulino-resistenza, ipovitaminosi D etc.).

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RISULTATI:

La prevalenza delle malattie endocrine risultava pari al 46 % (193/422): il 43 % (181/422) era rappresentato da tireopatie e il 3 % (12/422) da altre endocrinopatie (figura 2 e tabella 3).

ASSENZA DI ENDOCRINOPATIE 54% ALTRE ENDOCRINOPATIE 3% TIREOPATIE 43% TIREOPATIE ALTRE ENDOCRINOPATIE ASSENZA DI ENDOCRINOPATIE

Figura 2: prevalenza delle endocrinopatie nella casistica studiata

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Tabella 3: prevalenza totale delle endocrinopatie nei pazienti obesi sottoposti a valutazione endocrina in previsione della chirurgia bariatrica. ENDOCRINOPATIE diagnosi note nuove diagnosi totale % Patologia nodulare tiroidea 66 31 97 23% Tiroidite autoimmune 50 20 70 16,6% Carcinoma tiroideo 3 2 5 1,2% Morbo di Basedow 5 5 1,2% Adenoma tossico 3 3 0,7% Ipotiroidismo da Amiodarone 1 1 0,2% Sindrome di Cushing 5 5 1,2% Iperparatiroidismo primitivo 2 2 0,5%

Adenoma ipofisario non

secernente 1 1 2 0,5%

Sella vuota 1 2 3 0,7%

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Dei 181 pazienti tireopatici (figura 3), 97 (23% di tutti i pazienti studiati) erano affetti da patologia nodulare tiroidea, rappresentata da noduli singoli di dimensioni superiori a 1 cm di diametro (15 casi) o da gozzi multinodulari (82 casi); in 31 casi si trattava di un nuovo riscontro, negli altri 66 la malattia era già nota. 70 pazienti (16,6%) erano affetti da tiroidite cronica autoimmune; in 20 di questi la diagnosi non era nota e in 5 di essi era presente un ipotiroidismo non trattato. Dei 50 pazienti con tiroidite cronica autoimmune diagnosticata in precedenza, 42 erano ipotiroidei in terapia sostitutiva con levotiroxina. In una paziente veniva diagnosticato un ipotiroidismo conseguente ad un pregresso trattamento con amiodarone. 17 pazienti erano in terapia con levotiroxina a dosi sostitutive per un ipotiroidismo acquisito in seguito a tiroidectomia (8 pazienti per gozzo nodulare, 3 per carcinoma papillare della tiroide, 2 per morbo di Basedow) o a terapia con radioiodio come trattamento definitivo dell’ipertiroidismo (3 pazienti per morbo di Basedow, 1 per adenoma tossico). 1 paziente presentava un adenoma tossico con ipertiroidismo in trattamento con metimazolo. 1 paziente era stato trattato con terapia radioisotopica per un adenoma tossico ed era eutiroideo al momento della valutazione. 1 paziente risultava affetto

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da carcinoma papillare della tiroide dopo esame citologico su agoaspirato di un nodulo tiroideo rilevato occasionalmente durante la valutazione; veniva sottoposto a tiroidectomia totale e l’esame istologico confermava la diagnosi. In un paziente con nodulo tiroideo, per il riscontro di valori elevati di calcitoninemia veniva eseguita la tiroidectomia nel sospetto di un carcinoma midollare della tiroide, confermato dall’esame istologico.

IPOTIROIDISMO DA AMIODARONE 1% MORBO DI BASEDOW 3% CARCINOMA MIDOLLARE 1% CARCINOMA PAPILLARE 2% TIROIDITE AUTOIMMUNE 38% PATOLOGIA NODULARE TIROIDEA 53% ADENOMA TOSSICO 2% PATOLOGIA NODULARE TIROIDEA TIROIDITE AUTOIMMUNE CARCINOMA PAPILLARE CARCINOMA MIDOLLARE MORBO DI BASEDOW ADENOMA TOSSICO IPOTIROIDISMO DA AMIODARONE

Figura 3: prevalenza relativa delle tireopatie, suddivise in base all’eziologia, nei pazienti obesi sottoposti a valutazione endocrina in previsione della chirurgia bariatrica

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I pazienti con segni umorali di autoimmunità tiroidea, anche in assenza di tireopatie clinicamente rilevanti, risultavano 103 su 422 (24,4 %).

In 2 pazienti veniva diagnosticato un iperparatiroidismo primitivo per il quale venivano sottoposti a paratitoidectomia in base ai criteri stabiliti dalla consensus conference del 1999 con successive modifiche del 2002 sulle linee guida del trattamento dell’iperparatiroidismo primitivo asintomatico 15.

5 pazienti con obesità centrale e mancata soppressione del cortisolo al test di soppressione dopo 1 mg di Desametasone venivano sottoposti a ulteriore approfondimento diagnostico nel sospetto di una sindrome di Cushing; in 3 casi veniva posta diagnosi di adenoma ipofisario ACTH secernente e negli altri 2 di adenoma surrenalico cortisolo secernente. In 2 di questi 5 pazienti era presente un diabete mellito di tipo II. I pazienti venivano avviati a trattamento chirurgico specifico.

Il rilievo di iperprolattinemia basale, confermata dallo studio della pulsatilità, e la successiva risonanza magnetica nucleare della regione ipofisaria permettevano di diagnosticare 1 caso di sella vuota e 1 caso di adenoma ipofisario non secernente con

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iperprolattinemia da stiramento del peduncolo. Un’ulteriore diagnosi di sella vuota veniva posta in una paziente in età postmenopausale che presentava un ipogonadismo ipogonadotropo. 2 pazienti giungevano all’osservazione con una precedente diagnosi di sella vuota parziale con iperprolattinemia e di adenoma ipofisario non secernente, rispettivamente.

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DISCUSSIONE

La chirurgia bariatrica viene effettuata nei pazienti con obesità grave al fine di ottenere un calo ponderale permanente mediante la riduzione dell’introito calorico. Si tratta di una procedura gravata dal rischio di complicanze, sia nel periodo peri-operatorio sia a distanza dall’intervento, legate al fatto che il paziente obeso è in generale un soggetto con elevato rischio chirurgico. L’iter terapeutico non si esaurisce con l’atto chirurgico ma il paziente deve essere controllato periodicamente e deve attenersi a particolari regole di vita a tempo indeterminato. Affinché la chirurgia bariatrica sia seguita da risultati ottimali e non determini conseguenze inaccettabili nel lungo termine è necessario escludere la presenza di patologie che riducano l’efficacia o aumentino gli effetti collaterali dell’intervento chirurgico, o che rendano i rischi della procedura superiori ai prevedibili benefici. E’ inoltre necessario escludere quelle forme di obesità secondaria in cui la cura della causa prima si accompagna alla soluzione dell’eccesso ponderale, rendendo superfluo l’intervento di chirurgia bariatrica. Tra le malattie concomitanti che rappresentano controindicazioni assolute alla chirurgia bariatrica (alcune malattie psichiatriche, neoplastiche,

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gastroenterologiche, ecc.) rientrano anche malattie endocrine in cui l’obesità è secondaria a disfunzioni ormonali. Esistono inoltre una serie di endocrinopatie relativamente frequenti nella popolazione generale che, se non opportunamente identificate e trattate, possono rappresentare un limite per l’esito favorevole dell’intervento e determinare un aumento del rischio post-operatorio.

Per individuare le malattie più frequenti che si accompagnano all’obesità e rappresentano un ostacolo alla chirurgia bariatrica o necessitano di particolari accorgimenti terapeutici viene di regola condotto un accurato controllo cardiologico, respiratorio e bioumorale. In merito alle endocrinopatie non esistono linee guida che indichino con precisione il tipo di valutazione endocrina cui sottoporre i pazienti obesi in previsione dell’intervento di chirurgia bariatrica.

In linea generale si potrebbe sostenere che l’esame clinico del paziente dovrebbe essere sufficiente ad orientare l’iter diagnostico. In realtà la semeiotica del paziente grande obeso è complicata dall’ingombro che la massa adiposa esercita in tutti i distretti. Inoltre, le complicanze che spesso si associano all’obesità hanno un peso determinante nell’esposizione dei sintomi riportati dal paziente e possono quindi mascherare un’eventuale endocrinopatia

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concomitante. Risulta pertanto indispensabile l’ausilio di accertamenti biochimici e strumentali per una corretta valutazione pre-operatoria. Al fine di accelerare l’iter diagnostico, ottimizzando le risorse pur senza venir meno ad un accurato inquadramento endocrino del paziente, risulta estremamente utile conoscere la prevalenza delle patologie di interesse nella particolare categoria di pazienti in esame.

E’ a tal fine che i pazienti obesi valutati nell’arco di 2 anni presso il nostro centro in previsione dell’intervento di chirurgia bariatrica sono stati estensivamente studiati allo scopo di verificare la presenza di patologie endocrine che rientrassero tra le cause di obesità secondaria o richiedessero una specifica terapia prima di sottoporre il paziente all’intervento.

Non rappresentano oggetto di questa tesi le modificazioni endocrine indotte dall’obesità, sulla cui prevalenza e significato esistono ampie conoscenze.

Le malattie endocrine di più frequente riscontro in questa categoria di soggetti sono risultate le tireopatie. Si tratta di un’osservazione non sorprendente in considerazione della larga diffusione di questa

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patologia nella popolazione generale. La tireopatia più diffusa è risultata quella nodulare, interessando il 23 % del nostro campione. Si tratta di un dato lievemente più alto di quello (17 %) riscontrato nella popolazione generale di uno studio condotto in un’area geografica dell’Italia a carenza iodica lieve-moderata (Studio di

Pescopagano) 16. Anche la prevalenza della tiroidite cronica

autoimmune (16,6 % verso 3,5 %) e dell’autoimmunità tiroidea in generale (24,4 % verso 12,6 %) è risultata sensibilmente più alta nei pazienti obesi rispetto alla popolazione dello studio di Pescopagano. E’ verosimile che le proporzioni nel campione oggetto di questa tesi siano più elevate in quanto il gruppo è rappresentato principalmente da soggetti di sesso femminile in età adulta, che rappresentano una sottopopolazione con un’elevata incidenza di tireopatie rispetto alla popolazione generale. Se si analizza il dato relativamente all’ipotiroidismo, indipendentemente dalla causa che lo ha generato, la prevalenza nel nostro gruppo di studio (15,4 %) è risultata paragonabile a quella di precedenti studi condotti in soggetti

candidati a chirurgia bariatrica (dal 10,3 al 17,8 %)17 18 19. Da

sottolineare che in 6 pazienti del nostro gruppo di studio l’ipotiroidismo non era noto ed è stato necessario intraprendere idonea terapia sostitutiva prima di procedere all’intervento

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chirurgico. In aggiunta, la valutazione tiroidea ha permesso di diagnosticare 2 nuovi casi di carcinoma che sono stati avviati all’intervento di tiroidectomia. Nel complesso la prevalenza del carcinoma tiroideo nell’ambito di tutti i pazienti con patologia nodulare è risultata pari al 5 %, sovrapponibile quindi ai dati della letteratura 20.

Nella nostra casistica venivano diagnosticati 5 casi (1,18 %) di sindrome di Cushing, che hanno richiesto un trattamento specifico (adenomectomia ipofisaria in 3 casi e adenomectomia surrenalica in 2 casi). In precedenza, quattro studi avevano valutato la prevalenza della sindrome di Cushing nella popolazione obesa o sovrappeso. Un primo studio prendeva in esame un gruppo di 86 soggetti obesi di obesità da grado I a grado III, riportando una prevalenza di sindrome di Cushing pari al 5,7% 21. Altri due studi (Leibowitz 22 e Catargi 23) prendevano in considerazione pazienti in cui l’obesità si associava a diabete mellito di tipo 2, riportando una prevalenza di sindrome di Cushing pari al 3,3 e 1,5 %, rispettivamente. Il quarto studio, condotto in soggetti diabetici sovrappeso, non ha individuato alcun paziente affetto da sindrome di Cushing tra i 171 sottoposti a valutazione24. Un ulteriore studio, condotto in soggetti diabetici di

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tipo 2 al momento della diagnosi indipendentemente dalla presenza di sovrappeso o obesità, evidenziava una prevalenza di sindrome di Cushing pari all’1 % 25. A parte alcune differenze legate ai criteri di selezione, appare evidente che la prevalenza di sindrome di Cushing negli obesi, e in particolare negli obesi diabetici, è decisamente più alta che nella popolazione generale dove risulta pari allo 0,001 % 5. Da qui l’opportunità di indagare la funzione surrenalica, mediante un test rapido e sensibile quale il test di soppressione con 1 mg di desametasone, nei pazienti obesi candidati a chirurgia bariatrica in quanto in tali soggetti la terapia chirurgica dell’obesità risulterebbe dannosa oltre a ritardare la diagnosi della malattia primitiva.

E’ noto dalla letteratura come l’iperparatiroidismo primitivo si associ a valori di IMC superiori a quelli della popolazione generale 26

ma, a nostra conoscenza, non esistono studi di prevalenza della malattia nell’obesità. In questa tesi è stata riscontrata una prevalenza pari allo 0,5 % che, seppur paragonabile a quella della popolazione generale, individua una sicura controindicazione alla chirurgia bariatrica, come tale da riconoscere e trattare specificamente.

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Con argomenti simili riteniamo che debba essere indagata la funzione ipofisaria in quanto, seppur la prevalenza di disfunzioni o neoplasie non sia risultata superiore a quella calcolata nella popolazione generale, la presenza di un ipopituitarismo può risultare estremamente rischiosa sotto il profilo anestesiologico e chirurgico e può rappresentare il corrispettivo funzionale di anomalie della regione ipotalamo-ipofisaria alla base dell’obesità e potenzialmente gravi.

Nel complesso in questo studio sono stati evidenziati 210 casi di endocrinopatia di cui 74 (17,5% del totale dei pazienti esaminati) hanno richiesto un trattamento specifico prima dell’intervento o in alternativa allo stesso. In particolare, in 15 casi si trattava di nuove diagnosi che, ove la malattia non fosse stata riconosciuta, avrebbero reso l’intervento di chirurgia bariatrica un atto terapeutico inadeguato o gravato da un eccessivo rischio operatorio.

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CONCLUSIONI

In conclusione, i risultati di questa tesi indicano che la valutazione della funzione tiroidea, surrenalica, paratiroidea ed ipofisaria basale dovrebbe essere aggiunta all’inquadramento metabolico, cardio-circolatorio e polmonare del paziente obeso candidato a chirurgia bariatrica. La diagnosi di eventuali disfunzioni endocrine quali l’ipercortisolismo, l’ipotiroidismo o l’iperparatiroidismo e la correzione, o comunque la verifica dell’adeguatezza della terapia ormonale in soggetti con endocrinopatia nota, possono infatti modificare l’approccio terapeutico al paziente obeso ed in alcuni casi rendere non necessaria o controindicata la chirurgia bariatrica.

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Figura

Figura 1: cause di obesità
Figura  2: prevalenza delle endocrinopatie nella casistica  studiata
Tabella  3: prevalenza  totale  delle endocrinopatie  nei  pazienti  obesi sottoposti a valutazione endocrina in previsione della  chirurgia bariatrica

Riferimenti

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