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Ricusabilità del responsabile del procedimento per conflitto di interessi tra dimensione organizzativa e pretese dei privati

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Academic year: 2021

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Sandro Staiano, Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza

Comitato scientifico

Angelo Abignente, Raffaele Ajello, Andrea Amatucci, Fabrizio Amatucci, Fer-ruccio Auletta, Raffaele Caprioli, Cosimo Cascione, Antonio Cavaliere, Aurelio Cernigliaro, Fabio Ciaramelli, Vincenzo Cocozza, Pasquale Commendatore, Chiara Corbo, Lucio De Giovanni, Raffaele De Luca Tamajo, Settimio Di Salvo, Car-mine Donisi, Giuseppe Ferraro, Carlo Fiore, Vincenzo Giuffrè, Biagio Grasso, Dario Grosso, Giuseppe Guizzi, Bruno Jossa, Massimo Iovane, Luigi Labruna, Giovanni Leone, Fiorenzo Liguori, Carlo Longobardo, Alberto Lucarelli, Vin-cenzo Maiello, Carla Masi Doria, Giulio Massimilla, Roberto Mastroianni, Mas-simo Miola, Sergio Moccia, Renato Oriani, Antonio Palma, Giuseppe Palma, Fulvio Maria Palombino, Gabriello Piazza, Lucia Picardi, Ferdinando Pinto, Ma-rio Porzio, Salvatore Prisco, Antonino Procida Mirabelli di Lauro, Enrico Qua-dri, Nicola Rascio, Francesca Reduzzi Merola, Giuseppe Riccio, Francesco Ric-cobono, Marilena Rispoli, Mario Rusciano, Francesco Santoni, Michele Scudiero, Vincenzo Spagnuolo Vigorita, Sandro Staiano, Giuliana Stella, Lucia Venditti, Massimo Villone, Antonello Zoppoli, Lorenzo Zoppoli

Comit ato editoriale

Gabriella De Maio, Stefania Parisi, Francesco Purificato, Barbara Salvatore, Fa-biana Tuccillo

Segreteria del Comitato editoriale

Lucia Mauro

Referee

Prima della pubblicazione, tutti i saggi sono sottoposti a peer review obbligatoria da parte di due referee. Il referaggio è a doppio anonimato. Il giudizio del referee potrà essere: a) positivo, b) positivo con indicazioni di modifiche, c) negativo. In caso di due referaggi nettamente contrastanti, il testo verrà inviato a un terzo referee.

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Dipartimento di Giurisprudenza Pubblicazioni XI

SCRITTI IN MEMORIA

DI GIUSEPPE ABBAMONTE

a cura di Giovanni Leone Tomo II Napoli 2019

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Università degli Studi di Napoli Federico II Dipartimento di Giurisprudenza

Pubblicazioni, XI

Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 2019 pp. IV+564; 24 cm

ISBN 978-88-495-4025-3

© 2019 by Edizioni Scientifiche Italiane s.p.a. 80121 Napoli, via Chiatamone 7

Internet: www.edizioniesi.it E-mail: info@edizioniesi.it

I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo (com-presi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla siae del compenso previsto dall’art. 68, comma 4 della legge 22 aprile 1941, n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra siae, aie, sns e cna, con-fartigianato, casa, claai, confcommercio, confesercenti il 18 dicembre 2000.

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PROGRAMMAZIONE ECONOMICA E PIANIFICAZIONE TERRITORIALE.

BREVI RIFLESSIONI SULLA RIGENERAZIONE URBANA A PARTIRE DAGLI SCRITTI DI G. ABBAMONTE

Sommario: 1. Premessa. Programmazione e settori organici. – 2. Programma-zione economica e pianificaProgramma-zione territoriale. – 3. PianificaProgramma-zione territoriale e rigenerazione urbana. – 4. Programmazione, sussidiarietà e arti del fare: la verità della funzione.

1. Premessa. Programmazione e settori organici

I temi della programmazione economica e della pianificazione territoriale sono stati spesso oggetto della riflessione dell’illustre stu-dioso che in questa pubblicazione si ricorda.

Questi brevi spunti di riflessione muovono, in particolare, da tre lavori del Professor Abbamonte, che in decenni diversi gli hanno consentito di svolgere una riflessione profonda sulla pianificazione territoriale, declinata come species del genus della programmazione economica e, nei termini che si cercherà di evidenziare, ancora profondamente attuale e preziosa, in relazione agli sforzi che, ne-gli anni più recenti, la dottrina italiana sta cercando di rivolgere al-l’approfondimento di un nuovo istituto della pianificazione territo-riale, la rigenerazione urbana1.

Nel volume del 1982 su programmazione e amministrazione per settori organici, l’obiettivo della ricerca si ritrova nell’individuazione della programmazione (nei suoi fondamenti costituzionali, principi direttivi e discipline procedurali) quale strumento per la configura-zione dei «settori organici», oggetto di trasferimento dallo Stato alle

1Nel presente contributo le opere oggetto di riflessione sono: G. Abbamonte, Programmazione e amministrazione per settori organici, Napoli, 1982; Id., Program-mazione economica e pianificazione territoriale, in Enc. dir., II Agg., Milano, 1998,

802; ed infine Id., Diritto, arti del fare e funzioni amministrative e tributarie, in Riv.

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Regioni e alle autonomie locali ai sensi della legge delega 22 luglio 1975, n. 382, e del d.P.R. 24 giugno 1977, n. 616.

Riprendendo alcune riflessioni già oggetto del volume su Li-bertà e convivenza2 in tema di comunità, autorità e consenso, egli

declina innanzitutto il metodo settoriale, che considera corollario del tramonto dell’autorità della legge, da comando» a «norma-guida» (p. 14). Così, un nuovo assetto democratico dell’ammini-strazione pubblica viene auspicato in una riorganizzazione degli ap-parati regionali e locali per settori organici, che improntino, insieme ad una ridimensionata amministrazione nazionale, la propria atti-vità di governo al metodo programmatorio, in grado di assicurare la partecipazione dei corpi intermedi ai processi decisionali delle politiche pubbliche.

Le premesse della riflessione sono svolte a partire da un «esame delle norme costituzionali in chiave partecipativa ed egalitaria», per individuare l’esistenza di un «fondamento costituzionale del me-todo del consenso» e, quindi, la «funzione attuale delle fonti tra-dizionali, che vanno sempre più recependo contenuti normativi e provvedimentali consensualmente stabiliti» (p. 22).

Congiuntamente, quindi, la programmazione come metodo di governo e la riorganizzazione amministrativa per settori organici sono considerati i «temi più aderenti», ad una società, all’inizio de-gli anni ’80 del secolo scorso, alla ricerca di una prospettiva di «in-tegrazione tra individuo, comunità ed apparati» (p. 42).

La connessione tra programmazione e riorganizzazione per set-tori organici viene fondata su una lettura dell’art. 41, comma 3, Cost. che sottolinea il necessario pluralismo degli indirizzi pro-grammatori: «i programmi e non il programma indirizzano e coor-dinano a fini sociali l’attività economica pubblica e privata». Quindi, non sussiste un «indirizzo costituzionale verso un programma unico» (che, come si vedrà, pure era stato ipotizzato dalla dottrina degli anni ’60 del secolo scorso), ma «verso il coordinamento di attività economiche», oggetto di discipline settoriali. Si tratta, quindi, per

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l’autore, di «modellare e aggregare competenze e procedimenti di intervento e di controllo secondo le aggregazioni delle realtà socio-economiche che possano formare oggetto di indirizzo e coordina-mento attraverso programmi», in modo da «far corrispondere le strutture e i procedimenti agli interessi» (p. 49). La riorganizzazione amministrativa per settori organici viene quindi coniugata con «uno svolgimento del principio del decentramento per dimensionare il potere alla portata degli interessi» (p. 128): così, l’autore ricostrui-sce, da un lato, «settori a dimensione nazionale»; dall’altro «a di-mensione nazionale per alcuni profili e locale per altri», in cui ar-ticolare sistemi di programmazioni per legge nazionali o regionali.

La dimensione della programmazione settoriale organica rimane sì ancorata allo strumento legislativo (si affermeranno solo più tardi, come si vedrà, nella dottrina italiana i fondamenti dogmatici di una programmazione pluristrutturata e pluriregime, allorché sarà più ma-tura la riflessione sulla funzione di indirizzo politico-amministra-tivo e sul regime degli atti amministrativi generali), ma si analizza nei singoli settori la possibilità di introdurre o innovare «procedure di collegamento tra istituzioni pubbliche e organizzazioni econo-miche» (p. 134), affinché la programmazione organica settoriale di-venti forma di riorganizzazione della funzione amministrativa nella democrazia pluralista.

Il mutamento di prospettiva, se si analizzano le ricostruzioni precedenti, è sensibile3. Nell’analisi delle diverse tipologie di misure

oggetto degli atti di programmazione, sia che si propendesse per cd. condizionamenti di fatto, sia che si ritenessero applicabili cd. in-terventi di carattere giuridico4, si affermava che le «mire

istituzio-3Per uno sguardo alle prime riflessioni di ampio portato sul nuovo dettato

co-stituzionale ai rapporti economici, cfr. G. Miele, Problemi costituzionali e

ammini-strativi della pianificazione economica, in Riv. trim. dir. pubbl., 1954, 782; F. Di

Fe-nizio, La programmazione economica, Torino, 1965; S. Leonardi, Democrazia di

piano, Torino, 1966; G. Guarino, Programmazione economica e imprese pubbliche

(1963), La strumentazione democratica della programmazione ed i rapporti delle

im-prese pubbliche e private con l’organo di programmazione (1962), Programmazione e imprese: qualche ulteriore sviluppo (1963), tutti in G. Guarino, Scritti di diritto pubblico dell’economia, II serie, Milano, 1970.

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pub-nali» delle imprese private non potessero essere oggetto degli in-terventi; che, quindi, le regole proprie dell’impresa privata non po-tessero essere oggetto di programmazione pubblica5. Effetto

del-l’attività di piano, così, era ritenuto la riduzione o l’ampliamento della sfera giuridica dell’operatore privato attraverso limitazioni di-rette o l’intervento diretto, secondo le stesse logiche imprendito-riali, dell’operatore pubblico6.

In ogni caso, queste «riduzioni» ed «ampliamenti», intervenendo nelle diverse «fasi del processo economico», in quanto condizionate dalla «particolare situazione economica» del «momento storico», ri-sultavano «insuscettibili di sistemazione scientifica» (da parte della scienza giuridica)7. In assenza di un fondamento comune nella prima

parte della Costituzione della programmazione come portato della democrazia pluralista, che consentisse di ammettere profili di fun-zionalizzazione per le diverse tipologie di attività ed imprese pri-vate, non adeguatamente precisato nella sua estensione rimaneva, nonostante i pregevoli sforzi, quindi, l’oggetto dei regimi di piani-ficazione, le «attività economiche» di cui al terzo comma dell’art. 418.

Sul tema, occorre rilevare che si ritrova in questo studio degli anni ’80 del secolo scorso un’accezione della democrazia pluralista, frequente nella dottrina di quegli anni, che tende a rileggere il pro-getto costituzionale sulla partecipazione democratica ancora nella dialettica tra potere pubblico, individuo e formazioni sociali/corpi intermedi, declinando la conformazione della funzione

amministra-bliche, cit., 291-293. Preferisce distinguere interventi di fatto e interventi autoritativi,

diretti o indiretti, V. Spagnuolo Vigorita, Economia, (Intervento della Pubblica Amministrazione nell’), in Noviss. dig. it., VI, 1960, 372-373.

5Cfr. Guarino, Programmazione economica e imprese pubbliche, cit., 292.

Que-ste impostazioni hanno consentito all’autore di affermare, in tempi recenti, la piena conciliabilità delle previsioni costituzionali in tema di rapporti economici con le di-sposizioni comunitarie: cfr. G. Guarino, Pubblico e privato nell’economia, in Quad.

cost., 1992, 5.

6 In tal senso, cfr. V. Spagnuolo Vigorita, Economia, cit., 373. 7 V. Spagnuolo Vigorita, Economia, cit., 374.

8 Si cfr. le distinzioni di A. Predieri, Pianificazione e Costituzione, Milano,

1963, 148 ss., in ordine a attività economiche, attività imprenditoriali e non impren-ditoriali, iniziative economiche.

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tiva nel senso che divenisse in grado di essere realmente permea-bile agli interessi collettivi, o più frequentemente di gruppo (fre-quenti, in tal senso, sono i rinvii al ruolo dei sindacati).

Altri approcci, già nei decenni precedenti, si muovevano nel se-gno di una marcata affermazione del principio personalista nella ri-flessione sulla programmazione, ed enucleavano più esplicitamente, quale prius rispetto alla partecipazione nelle formazioni sociali, i do-veri personali solidaristici di svolgimento di attività o funzioni, ai sensi dell’art. 4, secondo comma II, Cost.9, che consentirono alla

dottrina italiana di esplorare prospettive nuove rispetto ai lavori della fine degli anni ’50 sull’iniziativa economica privata10.

Così, per questa dottrina, viene in primo luogo in rilievo che la nozione di lavoro che si ricava dal II comma è di ben più am-pio portato, tanto che si venne alla formula «attività o funzione», in quanto il Costituente vedeva ricollegati proprio all’idea di lavoro un «generoso disegno di elevazione delle masse». Anzi, la portata delle «attività» ai sensi del secondo comma dell’art. 4 sarebbe an-che più ampia di quelle cui è garantita la libera iniziativa econo-mica ai sensi dell’art. 41 Cost. Rispetto al conflitto tra la libertà di scelta di occupazione o di impresa economica (artt. 41 e 4, primo comma), e poteri statali di pianificazione e «dirigismo economico» a fini di «distribuzione di benessere economico per la collettività», gli artt. 3, secondo comma, e 4, secondo comma, Cost. «facoltiz-zano lo Stato ad una politica di riforme strutturali e di pieno im-piego dei fattori produttivi», configurando il nostro sistema come misto, «in rapporto all’esigenza […] di contemperare le ragioni del

9 Cfr., in tal senso, V. Spagnuolo Vigorita, G. Palma, Professione e lavoro

(Libertà di), in Noviss. dig. it., XIV, 14-21, 1967; G. Palma, Economia pubblica e

programmazione, Napoli, 1980. Su questi temi, sia consentito di rinviare a L.

Fer-rara, Programmazione e attività di governo tra neutralizzazione e normalizzazione

dell’ordine del mercato, in Aa.Vv., Tratti di una parabola concettuale. Il diritto am-ministrativo nel lavoro scientifico di Giuseppe Palma, 117-146, Napoli, 2006.

10 Si ricordano, in particolare, V. Spagnuolo Vigorita, L’iniziativa economica privata nel diritto pubblico, Napoli, 1959; Id., Economia, cit.; Id., Figure di pro-grammazione economica imperativa e Costituzione, in Diritto ed economia, 1961,

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dirigismo sociale con quelle della libertà individuale». Proprio sulla base dell’art. 4, secondo comma, Cost., secondo questo orienta-mento si doveva considerare legittima, prima che ai sensi dell’art. 43 Cost., «la pubblicizzazione di certi settori imprenditoriali»11.

Se-condo questo approccio, il fondamento costituzionale della pro-grammazione non viene ricondotto principalmente al combinato di-sposto degli artt. 41, terzo comma, e 43 (come la dottrina della fine degli anni ’50 ed inizio degli anni ’60 riteneva12); né si limita a

ri-chiamare il principio di uguaglianza sostanziale ai sensi dell’art. 3, secondo comma Cost., come pure alcuna dottrina coeva proponeva, segnando indubbiamente un ulteriore momento di sviluppo del tema, soprattutto per l’uso del tramite della programmazione al fine del collegamento tra le problematiche dell’iniziativa pubblica con la teo-ria del servizio pubblico13. Piuttosto, l’opzione prescelta è per il

combinato disposto degli artt. 4, secondo comma e 41, terzo comma, individuando nel principio di partecipazione il fondamento della pia-nificazione pubblica dell’impresa pubblica e privata. Ne diviene co-rollario, per questa dottrina, l’intervento dello Stato nell’economia, per una visione della programmazione delle attività pubbliche e pri-vate in ragione del contenuto intrinsecamente funzionalizzato delle attività economiche poste in essere.

Un dato che sembra comune a questi diversi approcci, come si vedrà meglio in seguito: sia che si muovesse, come l’autore che in questi scritti si ricorda, da una prospettiva di democrazia pluralista di «integrazione tra individuo, comunità ed apparati», sia che si muovesse, come altra dottrina, da un più connotato principio

per-11 V. Spagnuolo Vigorita, G. Palma, Professione e lavoro, cit., 18.

12Per questi originari approcci, nella dottrina italiana, al tema, cfr. V. Spagnuolo

Vigorita, Economia, cit., ora in V. Spagnuolo Vigorita, Opere giuridiche, II, Na-poli, 1999, in part. 369 e A. Predieri, Pianificazione e Costituzione, cit., 91 ss. Sui differenti approcci negli anni ’60 della dottrina italiana al tema della programmazione, cfr. E. Picozza, Vicende e procedure della programmazione economica, in F. Gal-gano (a cura di), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, I, Padova, 1977, 268 ss.

13 Per questa differente ricostruzione del fondamento costituzionale della

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sonalistico di funzionalizzazione dell’iniziativa privata, l’ordine che deve regolare l’iniziativa economica privata, il mercato, l’attività eco-nomica pubblica o privata, era un ordine intrinsecamente giuridico, che aveva a suo presupposto, nelle diverse letture, la prescrizione costituzionale di integrazione (o funzionalizzazione) delle attività economiche; quindi, non «esterno», nel senso di regolatore, in fun-zione di benessere, del libero dispiegamento delle forze del mer-cato in virtù di presunte regole che gli sarebbero «proprie» ed aliene al giuridico14.

In sintesi, la dottrina italiana della fine degli anni ’70 del secolo scorso, palesava le ragioni della ricerca sulle programmazioni eco-nomiche nella determinazione dei «connotati essenziali» giuridici dell’istituto (viene senza indugio definito tale) della programma-zione, in una prospettiva di sua «fondazione» quale «principio d’or-dine della funzione politica»15.

Questi contributi riconducevano pienamente nell’ambito del giu-ridico, di un ordine giugiu-ridico, un complesso di nozioni tradizional-mente della scienza economica (iniziativa economica pubblica e pri-vata, dei singoli e delle formazioni sociali, partecipazione all’attività economica, sue forme pianificate) e ne esprimevano la piena e fon-dante intelligibilità, intrinsecamente, come nozioni giuridiche.

Non sfuggiva il giurista al suo compito di normalizzazione nel-l’ordine giuridico di contenuti delnel-l’ordine economico16, non riteneva

14In ordine alla nozione di «ordine giuridico» del mercato ed al dibattito su di

essa, su cui si tornerà appresso, il riferimento è, ovviamente, a N. Irti, L’ordine

giu-ridico del mercato, Bari, 2003, 70 ss., 114 ss., 121 ss. Sugli stessi temi, cfr. anche F.

Merusi, Le leggi del mercato, Bologna, 2002, 7 ss. e 45 ss.; C. Franchini, L. Pa-ganetto (a cura di), Stato ed economia all’inizio del XXI secolo, Bologna, 2002; L. Franzese, Ordine economico ed ordinamento giuridico, Padova, 2006; S. Cassese, La

nuova Costituzione economica, Bari, 2004.

15 Cfr. ancora, amplius, G. Palma, Economia pubblica e programmazione, cit.,

77 e 78.

16 Sui significati dell’espressione, cfr. innanzitutto Irti, L’ordine giuridico del mercato, cit., 70 ss.; Franzese, Ordine economico ed ordinamento giuridico, 143 ss.;

per il rilievo della normalizzazione giuridica nell’ambito dell’attività giurisdizionale di dinamiche tradizionalmente elaborate dalle scienze economiche, cfr. A. Travi, Il

processo amministrativo, relazione al Convegno Scienza e diritto. Il giudice di fronte alle controversie tecnico-scientifiche, Firenze, 7 maggio 2004.

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ineluttabile, secondo un orientamento che confermerà anche l’au-tore che qui si onora nella sua riflessione successiva (vedi paragrafo 3), la neutralizzazione delle decisioni di iniziativa economica, di programmazione, di regolazione di mercati, limitandosi a ritenere che il giuridico le potesse solo contemplare dall’esterno17.

Quali sono i contenuti di questa normalizzazione? Innanzitutto, la ricostruzione della sua deontologia costituzionale.

Come si è visto, questi approcci affermano che il metodo pro-grammatorio dell’intervento pubblico nel campo dell’economia debba aspirare a realizzare un regime di integrazione tra individuo, co-munità ed apparati, ovvero, nelle interpretazioni maggiormente ispi-rate al principio personalista, di funzionalizzazione delle imprese economiche pubbliche e private.

Così, questa dottrina censurava la distinzione tra «programma-zione indicativa» e «programma«programma-zione normativa», e ritrovava solo sul piano storico (rinviando ai dibattiti in Assemblea Costituente), quella tra «pianificazione» e «programmazione».

In senso diverso dai primi studi in ambito giuridico degli anni ’60 e dagli studi delle scienze organizzative, la programmazione eco-nomica aveva abbandonato il ristretto significato di tecnica razio-nalizzata della politica economica, per diventare disegno riforma-tore di progettazione sociale, in funzione di superamento delle di-suguaglianze, di sviluppo equilibrato.

Perciò gli ambiti giuridici della programmazione non venivano più ricondotti solo allo studio degli elementi essenziali e del regime giuridico degli atti programmatori come atti amministrativi gene-rali, per coprire la «disciplina procedurale» della determinazione de-gli indirizzi generali e dei criteri prioritari di governo, discutendo i limiti del procedimento legislativo, in sede regionale o nazionale, al fine di consentire la partecipazione e declinarsi propriamente se-condo un principio di giusto procedimento.

Solo in questo modo, si osservava, la programmazione

rispon-17Sulla neutralizzazione delle decisioni di indirizzo dell’attività economica come

portato delle riforme degli ultimi anni, cfr., innanzitutto, M. Manetti, Poteri

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deva al suo statuto costituzionale, che era dato, dal combinato de-gli artt. 2, 3, II comma, 4, e 41, III comma.

A questo punto, a sommesso avviso di chi scrive, la riflessione tra le più gravide di conseguenze per gli sviluppi futuri del discorso: la riserva di legge prevista dal III comma dell’art. 41 Cost. non ne-cessita più di una lettura come mero congegno posto a garanzia dei privati, ma piuttosto di una ricostruzione come attribuzione di com-petenza all’organo legislativo «di determinazione della funzione di indirizzo», con caratteri di funzione istituzionalmente partecipata-collaborata da parte delle formazioni politico sociali18.

Così, l’atto di programmazione in funzione di indirizzo, in ra-gione del suo regime giuridico, esplica immediatamente i suoi ef-fetti non solo nei confronti del Governo (nazionale o regionale), ma anche di tutta l’amministrazione apparato. Quindi, nella rico-struzione del suo fondamento costituzionale, in termini nuovi, viene riscritto il principio di legalità come paradigma dell’attività di pro-grammazione, declinando in una diversa prospettiva il portato del III comma dell’art. 41 Cost.

In termini simili, negli stessi anni anche altra dottrina declinerà la legalità fondante l’attività di governo come legalità-indirizzo (su-perando l’accezione di legalità-garanzia), in quanto tale trasmessa ed operante, sulla scorta stavolta dell’art. 97, I comma, prima parte, nei confronti degli apparati amministrativi, e portata a compimento nel metodo procedurale della programmazione19.

In ordine ai profili organizzativi, come si è visto, il Professor Abbamonte ricorda in questo lavoro come il metodo programma-torio realizzi anche il portato del principio di efficienza per l’am-ministrazione pubblica, tema in quegli anni, alle prime riflessioni della dottrina20. Così, il metodo di riorganizzazione per settori

or-18 Cfr., in tal senso, A. Predieri, Pianificazione e Costituzione, cit., 148 ss.; V.

Spagnuolo Vigorita, G. Palma, Professione e lavoro, cit., 19; e, soprattutto, G. Palma, Economia pubblica e programmazione, cit., passim.

19 C. Marzuoli, Principio di legalità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione, Milano, 1982, 16, 19, 21, 31 e, soprattutto con riguardo alla

pro-grammazione, 43 e 45.

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ganici impone contrazione e riorganizzazione delle strutture e de-gli uffici collegati alle sedi di governo responsabili, superamento delle relazioni gerarchiche, riorganizzazione del sistema dei controlli amministrativi.

Soprattutto nelle opere successive sui rapporti tra programma-zioni (in senso marcatamente plurale) socio-economiche e pianifi-cazioni territoriali, si paleserà che il metodo programmatorio im-pone di declinare la distinzione tra programmazione-indirizzo e programmazione-attuazione, emergendo con caratteri suoi propri un’attività amministrativa programmatoria, nella quale siano impie-gati principi ordinatori, discipline procedimentali, e regimi degli atti propri dell’azione amministrativa.

Questi approcci, secondo un’opinione condivisa da chi scrive, si ritroveranno negli sviluppi futuri della programmazione moderna come tecnica di governo condivisa e partecipata tra centri decisio-nali di governo eterogenei: assemblee, esecutivi, livelli dirigenziali superiori, espressa insieme dalla combinazione di una congerie plu-riforme e pluriregime di atti di indirizzo politico e di indirizzo po-litico-amministrativo, autoritativi e concertati, partecipati e nego-ziati, nonché di pianificazione attuativa21.

Se si può rimarcare un limite in questo studio degli anni ’80 (emerso solo alla luce degli sviluppi successivi delle riforme legisla-tive, delle esperienze e dell’elaborazione dottrinaria) questo si può sommessamente rintracciare nel non aver approfondito l’esigenza che la partecipazione delle formazioni sociali non assumesse forme «neocorporative», avendo chiaro il rischio che sia presso l’ammini-strazione-governo che presso l’amministrazione-apparato, nei pro-cedimenti di programmazione, la partecipazione finisse per

decli-funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, 1966; A. Andreani, Il principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione,

Pa-dova, 1979.

21 Sulla programmazione multistrutturata in regime di operatività del principio

di distinzione tra politica ed amministrazione, cfr. P. Forte, Il principio di

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narsi solo nelle forme più deteriori di rappresentanza di interessi, piuttosto che di rappresentanza politica22.

Sulla scorta della riflessione sulle riforme degli anni ’75 e ’76, in ordine al ruolo di indirizzo e coordinamento delle Regioni nella programmazione nazionale egli parte dell’assunto che, coincidendo molti dei contenuti della programmazione statale e regionale (sulla scorta della giurisprudenza costituzionale di quegli anni sugli og-getti e le materie di potestà legislativa concorrente), occorresse in-dividuare con il metodo della riorganizzazione settoriale gli op-portuni raccordi tra i due momenti programmatori.

Insieme ai più attenti contributi della dottrina coeva, che criti-cava gli approcci precedenti che ricostruivano le problematiche della programmazione nell’ambito delle riserve di legge e della teoria delle fonti, egli afferma inadeguata la ricostruzione del problema in ter-mini di raccordi normativi (legge di piano come legge cornice), pa-lesandosi necessaria la predisposizione di un sistema stabile e ge-neralizzato di raccordi istituzionali, sia per il governo delle relazioni Stato Regioni, sia per le relazioni infraregionali con le autonomie.

La dottrina successiva dimostrerà l’attualità di queste osserva-zioni, rispetto all’assetto istituzionale di molte Regioni in ordine alle sedi stabili di partecipazione e raccordo delle autonomie locali nei procedimenti di pianificazione regionali23.

In questa prospettiva, vanno rilette anche le critiche che furono rivolte, dalla dottrina italiana degli anni ’80, agli esiti del processo di conferimento di funzioni a livello regionale e locale per settori

22 Sulle due nozioni di rappresentanza, cfr. G. Leibholtz, La rappresentazione nella democrazia, Berlino, 1973 (tr. it., Milano, 1989, con Introduzione di P.

Resci-gno); D. Nocilla, G. Ciaurro, Rappresentanza politica, in Enc. dir., XXXVIII, 1298 ss.

23Sul tema, cfr. le riflessioni di P. Caretti, Il sistema delle Conferenze e i suoi riflessi sulla forma di governo nazionale e regionale, in Le Regioni, 2000, 547; G.

Carpani, Strumenti di collaborazione tra Regione ed autonomie locali nella

legisla-zione regionale, in Quad. reg., 1997, 1181. Per queste problematiche dopo la riforma

del titolo V della Costituzione, ex multis, cfr. M. Cammelli, I raccordi tra livelli

isti-tuzionali, in Le istituzioni del federalismo, 2001, 1083; F. Pizzetti, Le nuove esigenze di governance in un sistema policentrico «esploso», in Le Regioni, 2002, 221.

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organici, che pure, come si è visto, era stato salutato positivamente dal Professor Abbamonte. Veniva rilevato come fosse mancato un disegno organico di programmazione dell’azione regionale e come questo si dovesse ritenere doveroso in quanto «modulo politico» dell’azione di governo, sancito dalla natura programmatoria degli Statuti regionali. Così, si ritrovava negli approcci della dottrina la formulazione di un corollario ricorrente del fondamento della pro-grammazione nella partecipazione: la critica della riduzione della programmazione a «mero strumento tecnico» di attuazione del buon andamento, declinato come efficienza, ai sensi dell’art. 97 Cost., in quanto incapace, in questa accezione, di recuperare gli «interessi so-ciali generali, nella loro esatta valutazione politica, e quindi nella loro vera identità»24.

In termini simili, nel volume del 1982 su programmazione e amministrazione per settori organici, in sintonia con la coeva rifles-sione della più attenta dottrina25, ampio spazio viene dato alla

com-petenza legislativa regionale in tema di indirizzo e coordinamento mediante la programmazione, in virtù della previsione delle com-petenze legislative regionali in tema di urbanistica, intesa come go-verno del territorio.

Sembra, tuttavia, ancora molto avvertita come urgente la ne-cessità di ritrovare la previsione di legge, coprire la riserva di legge

24 Cfr. G. Palma, La prima legislatura delle Regioni ordinarie. La Campania,

in Le regioni, 1976, 623 ss.; Id., Relazione sul conferimento di deleghe e di funzioni

amministrative agli enti locali della Regione Campania in materia di urbanistica, in La delega delle funzioni nella Regione Campania, in Q.R. Formez, 12, 1976, 229 ss.

Ora entrambi in Id., Autonomia locale in trasformazione, Padova, 1989. La citazione richiamata è in Id., Autonomia locale in trasformazione, cit., 105.

25 Cfr., tra gli altri, L. Paladin, Programmazione economica statale ed ordimento regionale, in Riv. trim. dir. pub., 1967, 5; G. Amato, Programmazione na-zionale e regionale, in A. Barbera, F. Bassanini (a cura di), I nuovi poteri delle Re-gioni degli EE.LL., Bologna, 1979, 147; S. Cassese, Le pianificazioni amministrative di settore e le Regioni, in Riv. trim. dir. pub., 1971, 429; V. Bachelet, Problematica introduttiva sul tema «ruolo della Regione nella programmazione economica», in Foro amm., II, 1973, 467; F. Trimarchi Banfi, I rapporti tra Stato e Regioni, G. Berti, I rapporti tra Regioni ed enti locali, a livello di legislazione, F. Roversi Monaco, I rapporti tra Regioni ed enti locali, a livello di amministrazione, tutti in Stato, Regioni ed Enti Locali nella programmazione economica, Milano, 1973.

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prevista ai sensi del III comma dell’art. 41, ricondurre nell’alveo del sistema delle fonti nazionali, ed ora regionali, le previsioni pro-grammatiche, secondo gli orientamenti condivisi dalla prevalente dottrina di quegli anni26.

Successivamente, un discorso più articolato sul nesso tra pro-grammazione socio-economica e pianificazione territoriale sarà svolto compiutamente nella voce enciclopedica su Programmazione eco-nomica e pianificazione territoriale del ’98, in cui l’autore troverà ulteriori argomenti per declinare le «indefinite implicazioni» dell’una nell’altra, in nome del nuovo modello autonomistico di sussidia-rietà e leale collaborazione che le riforme di quegli anni stavano realizzando.

2. Programmazione economica e pianificazione territoriale

Venti anni dopo, il Professor Abbamonte tornò su questi temi nella estesa voce di enciclopedia su Programmazione economica e pianificazione territoriale, rinnovando la sua riflessione sulla di-mensione territoriale e sul ruolo delle istituzioni regionali e locali nella programmazione, alla luce del processo di riforma del cd. «fe-deralismo a Costituzione invariata», inaugurato dalle leggi n. 59 e 127 del 2007, che avrebbe poi portato alla riforma costituzionale nel 2001.

Queste ricostruzioni, soprattutto in ordine a quanto oggi si col-locherebbe nell’ambito della riflessione sulla sussidiarietà orizzon-tale, si pongono in termini estremamente peculiari nell’ambito della dottrina degli anni ’9027.

26Si cfr., in tal senso, A. Barbera, Leggi di piano e sistema delle fonti, Milano,

1968, 88 ss.; cfr. altresì G. Pini, Procedure di programmazione e ordinamento

regio-nale, Padova, 1979, 36 ss. e 107 ss.

27 Tra i diversi contributi coevi (tutti anteriori, nei contenuti, alle riforme del

’90), cfr. B. Cavallo, G. Di plinio, Manuale di diritto pubblico dell’economia, lano, 1983, 176 ss.; G. Sciullo, Pianificazione amministrativa e partecipazione, Mi-lano, 1984; C. Gessa, Programmazione, in Noviss. dig. it., App. IV, 1986, 38; M. Ca-rabba, Programmazione economica, in Enc. dir., XXXVI, 1987, 1113; P. Bianchi,

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Dopo aver espresso un giudizio sostanzialmente negativo sul-l’esito delle riforme degli anni 1975-1977, egli individua l’oggetto del lavoro nell’approfondimento «del binomio territorio-corpo so-ciale» nel ripensamento della pianificazione territoriale, nel segno, ancora un volta, di una «amministrazione che avvicini le funzioni agli interessi».

In questa prospettiva, il limite maggiore della pianificazione ter-ritoriale viene rinvenuto nella persistente centralità del piano rego-latore comunale, alle cui delimitazioni territoriali si contrappongono ormai «per la complicazione dei rapporti socio-economici, le «co-nurbazioni», non di rado di enormi dimensioni». Il richiamo alla trama costituzionale e, ancora una volta, la necessaria conforma-zione della funconforma-zione amministrativa agli interessi sociali, consentono all’autore di ribadire ancora che «le motivazioni socio-economiche delle scelte in cui si esprime la pianificazione territoriale sono so-stanzialmente intese alla programmazione della vita socio-econo-mica delle comunità».

Quindi, la programmazione socio-economica e la pianificazione territoriale «non sono scindibili nei loro contenuti, anche se la for-mazione dell’una e, rispettivamente, dell’altra possono richiedere di-stinzione di competenze e di procedure», con la conseguenza di «indefinite implicazioni tra programmazione economica e pianifica-zione territoriale che impegnano i vari settori dell’amministrapianifica-zione pubblica, esigendo una gestione coordinata degli interessi del corpo sociale nonché, ed in particolare, degli interessi comunitari riferibili al territorio». La vera funzione del piano territoriale, quindi, oltre la disciplina edilizia, va rintracciata nel portato costituzionale dei «condizionamenti strutturali e congiunturali all’affermazione ed allo sviluppo della persona umana e delle comunità».

In un momento storico (la voce dell’Enciclopedia del Diritto è del 1998) caratterizzato dalle attese per l’attuazione delle leggi

de-Ripensare la programmazione, in Il Mulino, 1990, 607; I. Marino, Aspetti giuridici della programmazione: programmazione e mete sociali, in Diritto e società, 1990, 21;

M. Stipo, Programmazione statale e programmazione regionale, in Enc. giur.

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lega sul «federalismo a Costituzione invariata», per la riforma della disciplina dell’edilizia e dell’espropriazione (che sarebbe stata rea-lizzata l’anno dopo con i due testi unici), per la progressiva ri-scrittura della disciplina procedurale della pianificazione territoriale nel segno del giusto procedimento e della partecipazione, egli indi-vidua il futuro della pianificazione territoriale nei piani sovraco-munali, che consentano di coniugare la funzione di programma-zione socio-economica e la dimensione delle conurbazioni.

La voce di enciclopedia degli anni ’90 si confronta con un qua-dro mutato da importanti riforme, su cui si soffermano le rifles-sioni dell’autore: innanzitutto, le riforme del ’94 e ’95 dei sistemi di contabilità pubblica nazionale e locale, con la dichiarata affer-mazione del principio programmatorio; la riforma dell’amministra-zione locale, con la l. 142/90, che ridisegnava i compiti di pro-grammazione in capo ai Consigli (anche con la previsione dello strumento statutario) e generalizzava l’uso degli strumenti di pro-grammazione consensuale (accordi di programma, convenzioni)28; la

riforma della legge sul procedimento, che introduceva, da un lato, moduli consensuali ed acceleratori di ampio successo nella pianifi-cazione attuativa degli anni successivi29, e, dall’altro, consacrava,

al-l’art. 13, la specialità di regime procedimentale degli atti di pro-grammazione30; da ultimo, e forse di maggiore rilievo, i principi

in-trodotti dal d.lgs. 29/9331.

28 Su cui, ex multis, cfr. R. Lenzetti, La programmazione economico-finanzia-ria nella legge di riforma delle autonomie locali, in TAR, 1991, 282.

29 Per questi temi, cfr. F. Cocozza, La programmazione negoziata e il nuovo impulso al regionalismo economico, in Le istituzioni del federalismo, 1999, 259; G.M.

Esposito, Amministrazione per accordi e programmazione negoziata, Napoli, 1999 e Id., La nuova organizzazione amministrativa dell’intervento pubblico. Procedura della

programmazione economica, Torino, 2001; A. Contieri, La programmazione nego-ziata, Napoli, 2000.

30 Sul portato dell’art. 13 della 241/90, cfr. P. Forte, Il principio di distinzione tra politica e amministrazione, cit., 150 ss.; E. Castorina, Considerazioni sui profili costituzionali dei limiti di partecipazione al procedimento amministrativo, in Dir. proc. amm., 1994, 70.

31 Su cui si rinvia a P. Forte, Il principio di distinzione tra politica e ammini-strazione, cit., 99 ss., M. Dorsogna, Programmazione strategica e attività decisionale

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Riprendendo gli studi sui settori organici, da un lato viene de-precato che l’assetto organizzativo degli enti di governo deputati a compiti di programmazione (e la critica è rivolta soprattutto alla dimensione regionale) non abbia recepito i principi di efficienza e di distinzione tra indirizzo e gestione, ma che, al contrario, le pro-cedure della programmazione-indirizzo e della programmazione-at-tuazione continuino a rimanere parcellizate nel moltiplicarsi degli uffici e delle competenze, mantenuti al livello statale e regionale; dall’altro, si osserva che la frammentazione e la concentrazione presso le amministrazioni centrali e regionali occasionino l’aumento di pressioni neocorporative e lo snaturamento degli strumenti di partecipazione democratica32.

Secondo le sue coordinate costituzionali, l’intervento pubblico nel campo dell’economia deve essere improntato ad un principio di sussidiarietà dell’azione pubblica, in cui la programmazione non sia strumento di mera razionalizzazione, ma processo storico di indi-rizzo politico partecipato, espressione di sovranità collettiva, assun-zione di responsabilità da parte di formazioni sociali. Come si ve-drà in seguito, si deve evidenziare ancora la fecondità di questi ap-procci per la riflessione più recente in tema di rigenerazione urbana e disciplina giuridica dei commons33.

Sul versante procedurale, l’autore osservava che il disposto del-l’art. 13 della 241/90 ed i principi del d.lgs. 29/93 non dovessero

della Pubblica Amministrazione, Torino, 2001 e Id., Pianificazione e programmazione,

in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, V, Milano, 2006, 4298.

32 In tal senso, si segnala come la riflessione sul portato della parcellizazione

della programmazione di settore, e la mancata assunzione della programmazione come metodo complessivo dell’azione di governo, si caratterizzi con tratti peculiari rispetto alle riflessioni della dottrina coeva: si cfr., M.S. Giannini, Diritto pubblico

dell’eco-nomia, Bologna, 1995, 302 ss.

33La letteratura giuridica italiana sui commons ormai ha assunto una dimensione

significativa. Ex multis, per l’introduzione delle questioni più rilevanti nel dibattito giuridico cfr., di recente, G. Arena, Amministrazione e società. Il nuovo cittadino, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2017, 1, 43; A. Lucarelli, Alcune

conside-razioni in merito ai beni comuni tra sotto categorie giuridica e declinazione di va-riabile, in Nomos, 2017, 2, 9.

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consentire letture, paventate anche in altra dottrina34, riduttive

de-gli istituti di partecipazione nei procedimenti di programmazione-indirizzo e, soprattutto, di pianificazione territoriale.

Nel segno di una lettura del disposto dell’art. 13 della 241/90 in senso non riduttivo della sfera di applicazione dei principi e de-gli istituti della L. 241/90 ai procedimenti di programmazione, si muoveranno anche la giurisprudenza e la dottrina degli anni suc-cessivi.

Così, dapprima la giurisprudenza amministrativa, anche in or-dine ai procedimenti di pianificazione e programmazione, provvede all’individuazione di un «nucleo minimo» di istituti di partecipa-zione da ritenersi operanti, in nome di un principio del «giusto pro-cedimento», richiamando gli artt. 7 e 9; successivamente, la stessa Corte costituzionale, proprio in ragione del portato dell’art. 41 Cost., ritiene attinente i «livelli essenziali delle prestazioni» l’estensione delle garanzie degli artt. 2 e 3 ai procedimenti di pianificazione35.

Per altro verso, si può concordare con quella dottrina36 che

ri-tiene che le forme di partecipazione ai procedimenti di program-mazione-determinazione di indirizzo (nonché i regimi di conclu-sione del procedimento e della motivazione) ontologicamente siano meglio assimilabili a fattispecie di partecipazione e rappresentanza politica, riportando le affermazioni di carattere generale della giuri-sprudenza alle discipline procedimentali ed ai regimi degli atti di specifiche tipologie di pianificazione attuativa.

Queste coordinate di lettura sono affermate con forza anche

34 Cfr. Castorina, Considerazioni sui profili costituzionali dei limiti di parteci-pazione al procedimento amministrativo, cit., 82 ss.

35 Ex multis, cfr. L. Gili, Partecipazione al procedimento espropriativi: ovvero delle garanzie e della celerità, nota a Cons. Stato, ad. plen., 15 settembre 1999, n.

14, in Dir. proc. amm., 2000, 781, specie 787; S. Rodriquez, Il rapporto tra la l.

241/1990 come legge di principi generali e le forme di partecipazione previste da di-sposizioni speciali, nota a Cons. Stato, VI, 1 ottobre 2002, n. 5105, in Giur. it., 2003,

1266; G. Fares, Programmazione urbanistica ed insediamenti commerciali in una

re-cente pronuncia della Corte Costituzionale, nota a Corte cost., 22 giugno 2004, n.

176, in Riv. giur. edil., 2005, 21.

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nella prospettiva di mutamento del metodo programmatorio in ra-gione dell’integrazione comunitaria. In tal senso, si sottolineano due linee evolutive, comuni nella dottrina di quegli anni: da un lato, il progressivo spostamento delle funzioni di programmazione-indi-rizzo dalle sedi di governo assembleari a favore degli esecutivi; dal-l’altro, la progressiva perdita di «politicità», corollario del principio di efficienza, nelle attività di programmazione-attuazione.

La dottrina che ha ricercato i fondamenti della legislazione della metà degli anni ’90 sulla programmazione consensuale e negoziata, ha sottolineato come proprio l’emergere, nell’ambito del processo di integrazione amministrativa europea, del principio di «parità di trattamento» degli operatori economici (declinazione del principio comunitario di economia di mercato aperto in regime di libera con-correnza) abbia imposto di declinare le nuove tipologie della pro-grammazione in istituti consensualistici e negoziati37.

Come si può facilmente osservare, la declinazione della sussi-diarietà orizzontale nel metodo programmatorio porta ad esiti in parte contrastanti: rimane una sfida ancora aperta l’indagine su come si contemperino nella disciplina dell’iniziativa economica pubblica e privata con strumenti di pianificazione consensuale, da una lato, regimi di integrazione delle attività economiche; dall’altro, il prin-cipio di libera concorrenza, spesso declinato in una prospettiva di neutralizzazione della disciplina giuridica38, allorché si verifichi

l’«in-tersecarsi di piani costituzionali diversi»39.

Allo stesso tempo, il metodo programmatorio deve improntare

37 Si cfr. A. Barone, Urbanistica consensuale, programmazione negoziata e in-tegrazione comunitaria, in Riv. int. dir. pubbl. com., 2001, 377.

38 Sul portato di neutralizzazione dell’indirizzo politico nella disciplina

dell’e-conomia del principio di libera concorrenza, cfr. S. Cassese, I rapporti tra Stato ed

economia all’inizio del XXI secolo, in Giorn. dir. amm., 2001, 96-98; Id., La nuova Costituzione economica, cit., 176 ss. e 290 ss.; F. Merusi, Le leggi del mercato, cit.,

74-75; G. Ferrara, Commissione europea e indirizzo politico, in Atti del Convegno

«Il ruolo della Commissione Europea tra derivazione partitica e funzioni neutrali nel progetto di Costituzione Europea», Varese, 7 maggio 2004, in Riv. it. dir. pub. com.,

2005, 1068 ss.

39 L’espressione è di L. Arnaudo, Costituzione e concorrenza: note a margine della recente giurisprudenza costituzionale, in Riv. it. dir. pub. com., 2005, 376 e 389 ss.

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la potestà statutaria locale, espressiva di una funzione di indirizzo politico-amministrativo garantita dall’art. 5 della Costituzione, nella disciplina di funzioni e compiti propri dell’autonomia locale.

Così, la leale collaborazione istituzionale e la sussidiarietà ver-ticale impongono la contrazione, a livello regionale, delle strutture deputate ai procedimenti di programmazione attuativa, a favore del conferimento di funzioni alle sedi di governo locale.

3. Pianificazione territoriale e rigenerazione urbana

Le aporie della pianificazione territoriale che si ritrovano nel corpus tradizionale del nostro diritto urbanistico sono state, nei due lavori analizzati, efficacemente stigmatizzate dal Professor Abbamonte. L’attualità della sua riflessione sulla inscindibilità tra pianifica-zione territoriale e programmapianifica-zione socio-economica è, ad avviso di chi scrive, particolarmente evidente se si considerano i diversi isti-tuti giuridici introdotti nell’ordinamento nazionale regionale ricon-ducibili a politiche di rigenerazione urbana.

Innanzitutto, occorre ricordare che la disciplina della rigenera-zione urbana è stata tradizionalmente collocata nel nostro ordina-mento prevalentemente in più discipline settoriali, oltre l’alveo del diritto urbanistico40.

Come è noto, a fronte dell’assenza di istituti specifici nel qua-dro della legge urbanistica del 1942, la prima disciplina che con-templò il concetto di recupero urbano fu la legge n. 457 del 1978,

40Sulle evoluzioni degli istituti di riqualificazione e rigenenerazione urbana, cfr., ex multis, R. Damonte, Programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sosteni-bile del territorio (PRUSST) di cui al d.m. 8 ottobre 1998, n. 1169, in Riv. giur. edil.,

2/2, 2001, 33; R. Dipace, La rigenerazione urbana tra programmazione e

pianifica-zione, in Riv. giur. edil., 5/2, 2014, 237; L. De Lucia, Il contenimento del consumo di suolo e il futuro della pianificazione urbanistica e territoriale, in L. Ferrara (a

cura di), A 150 anni dall’unificazione amministrativa italiana, II. La coesione

poli-tico-territoriale, Firenze, 2017, 299; F. Follieri, Dal recupero alla rigenerazione: l’e-voluzione della disciplina urbanistica delle aree degradate, in GiustAmm.it, 4, 2015.

Più di recente, cfr. il volume di F. Di Lascio, F. Giglioni, La rigenerazione di beni

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che introdusse i piani di recupero, intesi alla programmazione de-gli interventi di trasformazione di aree già urbanizzate. Durante il decennio successivo, il quadro giuridico fu integrato dalle nuove norme sulla protezione dell’ambiente, del paesaggio e sul consumo di suolo (le leggi n. 431 del 1985, n. 349 del 1986 e n. 183 del 1989, introducendo la previsione di misure di recupero urbano nei nuovi piani paesaggistici. Negli anni ’90, le leggi n. 179 del 1992 e n. 493 del 1993 introdussero gli istituti dei programmi integrati di inter-vento, i programmi di recupero urbano (art. 3) i programmi di ri-qualificazione urbana (art. 2) (PRU)41. Questo fu il primo tentativo

di superare un modello di zonizzazione basato solo sui classici stru-menti di command-and-control, attraverso nuovi modelli di piani-ficazione urbanistica consensuale basata sul partenariato e la pere-quazione.

I passaggi successivi sono noti: la legge n. 127 del 1997 intro-dusse le società di trasformazione urbana (STU, ora previste nel-l’art. 120 del TUEL), quali modelli di società in house locali, con poteri di intervento nella rigenerazione urbana (tra cui, il conferi-mento nel patrimonio di suoli, l’acquisto di suoli, le procedure espropriative, esclusi i poteri di variazione degli strumenti urbani-stici42), il cui capitale era aperto agli investimenti privati. Più di

re-cente, la giurisprudenza ha chiarito che le STU possono essere as-soggettate alle ordinarie procedure fallimentari, come è successo pro-prio nel caso della società Bagnolifutura43.

Nel 1998, il d.m. n. 1169 rinnova ancora la disciplina introdu-cendo i programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo

sosteni-41Come è stato sottolineato, «Nel corso degli anni si sono succedute le nozioni

di recupero, restauro, riqualificazione, riabilitazione che hanno testimoniato una evo-luzione nel modo di intendere il risanamento urbanistico delle città e di pari passo si sono sviluppati innovativi strumenti giuridici per realizzare tale generale obiettivo». Così R. Dipace, op. cit., 240.

42 Per una disamina dell’istituto, cfr. ex multis, cfr. M. Passalacqua, La società di trasformazione urbana quale strumento di valorizzazione territoriale, in Urb. ap-palti, 2, 2010, 133.

43 Sul fallimento della STU Bagnolifutura, cfr. L. Macchiarulo, Il fallimento di una società pubblica di trasformazione urbana: il caso «Bagnolifutura, in Dir. fall. soc. comm., 2/2, 2015, 328.

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bile del territorio (PRUSST), uno strumento di riqualificazione ur-bana sovracomunale che promuove la cooperazione interistituzio-nale e il raccordo con le Regioni e le province attraverso la stipula di accordi e convenzioni. La Regia degli accordi è ancora collocata al livello statale, con l’approvazione governativa dei finanziamenti.

In ogni caso, la dottrina sottolinea che i PRU e i PRUSST con-tinuano a non scalfire la centralità dei PRG comunali, rispetto ai quali continuano a collocarsi in posizione subalterna44.

A questi principali interventi normativi, negli anni, ne sono se-guiti ed affiancati altri: i contratti di quartiere, previsti dai decreti n. 1071 e 1072 del 1994, e i programmi di riabilitazione urbana (PRIA), previsti dalla legge n. 166/2002.

È stato osservato che, progressivamente, la normativa testimo-nia il passaggio dal concetto di recupero dei singoli edifici al con-cetto di riabilitazione, che progressivamente si differenzia dalla ri-qualificazione, la quale appariva ancora legata «al contesto delle preesistenze, mirando al solo miglioramento della qualità delle fun-zioni, senza pretendere di entrare nella varietà d’uso della struttura e delle infrastrutture urbane». Così, la riabilitazione edilizia e ur-bana non ha più al centro la «modificazione dello spazio fisico», ma il «diritto della cittadinanza a usufruire di spazi funzionali e adeguati». La riabilitazione, quindi, consente di contemplare una nozione di degrado economico e sociale più ampia, e le nozioni di rigenerazione e riabilitazione urbana si emancipano da quelle di re-cupero e riqualificazione: «il concetto di rere-cupero/riabilitazione si amplia, acquisendo sempre più contenuti complessi, fino a divenire un modo per pianificare il territorio e sfocia nel concetto di rige-nerazione intesa non solo come ricostruzione di una efficienza e una funzionalità perdute ma anche come ripristino dell’integrità strutturale e fisiologica della città e del territorio»45.

44 Sui PRUSST, cfr. R. Damonte, op. cit., 34.

45 Cfr. Dipace, op. cit., 241. Più di recente, cfr. E. Chiti, La rigenerazione di spazi e beni pubblici: una nuova funzione amministrativa?, in F. Di Lascio, F.

Gi-glioni, La rigenerazione di beni e spazi urbani. Contributo al diritto delle città, Bo-logna, 2017.

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Quindi, i nuovi strumenti normativi che contemplano la rige-nerazione urbana si propongono un’area di intervento che dall’ur-banistica si allarga allo sviluppo socio-economico, il contrasto del declino produttivo, la coesione territoriale e l’inclusione sociale.

Quindi, gli indirizzi politici che sono alla base di questi inter-venti di riforma sembrano ancora confermare il perdurante genoma, come aveva intuito e argomentato l’Autore che qui si ricorda, de-gli istituti di rigenerazione nella programmazione generale in fun-zione della coesione socio-economica, piuttosto che la mera decli-nazione della pianificazione urbanistica.

In tal senso, è stato osservato che queste nuove istanze di ri-generazione come pianificazione strategica meglio sono compen-diate più di recente nella legislazione regionale in materia46. La

le-gislazione regionale compendia così diverse fattispecie di programmi integrati comunali di recupero urbano, riqualificazione, risanamento socio-economico, et similia. Ai Comuni viene richiesta la defini-zione di strumenti regolamentari locali di disciplina delle forme di partecipazione e di trasparenza, nonché l’utilizzo, come strumento operativo, di accordi di collaborazione, modellati, più sul prototipo generale degli accordi amministrativi ai sensi dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990 che sugli strumenti di urbanistica consensuale, di lottizzazione, di partenariato, di perequazione, ecc. previsti dalla le-gislazione urbanistica.

Per altro verso, deve essere registrata e sottolineata l’autonoma iniziativa dei Comuni in tal senso, che si inquadra nel più generale tema dell’adozione da parte delle autonomie locali di nuovi rego-lamenti per la gestione dei commons e per gli interventi di rigene-razione urbana, che contemplano spesso, a partire del prototipo, il regolamento del Comune di Bologna del 2014, forme specifiche di patti di collaborazione con i cittadini, per l’affidamento di beni del patrimonio urbano e per gli interventi di rigenerazione urbana47, a

46 Ancora Dipace, op. cit., 237, che richiama le leggi regionali Puglia n. 21 del

1 agosto 2008; Piemonte n. 20 del 14 luglio 2009; Umbria n. 12 del 21 giugno 2013.

47 Su questi strumenti, cfr. F. Di Lascio, Spazi urbani e processi di rigenera-zione condivisa; F. Giglioni, La rigenerarigenera-zione dei beni urbani di fonte comunale in particolare confronto con la funzione di gestione del territorio, entrambi in F. Di

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La-cui possono essere ricondotte anche le discipline regolamentari ri-chieste dagli artt. 189 e 190 del codice.

Proprio la necessità di distinguere i regimi giuridici relativi alla rigenerazione di beni e di spazi ha portato ad una certa differen-ziazione delle soluzioni nei singoli Comuni, che suscitano spesso ancora perplessità (soprattutto alla luce di alcune fattispecie oggetto del recente vaglio della giurisprudenza amministrativa e contabile), soprattutto in ordine ai procedimenti di affidamento e ai requisiti di qualificazione degli affidatari, gli oneri di trasparenza e di effet-tiva apertura alla partecipazione, il coordinamento con le discipline di settore, soprattutto in materia ambientale e di tutela del patri-monio storico-artistico48.

Innanzitutto, deve essere osservato che tutti gli strumenti in-trodotti dalle discipline nazionali più consolidate, dai PRU, ai PRUSST ai PRIA, rimangono non coordinati con le discipline na-zionali sul consumo di suolo e sulla bonifica dei siti inquinati, pre-visti dal d.lgs. n. 152 del 2006.

Come è noto, il Codice dell’ambiente, agli artt. 239-253, pre-vede due percorsi per la bonifica di siti inquinati. Il percorso ordi-nario prevede il potere regionale di programmazione e governo delle bonifiche, affermando e salvaguardando i poteri delle autorità lo-cali, che sono coinvolte nelle conferenze di servizi per preparare la

scio, F. Giglioni, La rigenerazione di beni e spazi urbani. Contributo al diritto delle

città, cit., 65 e 209. In generale, sui limiti e le forme attuali dell’amministrazione

con-sensuale alla luce delle recenti riforme e delle evoluzioni della giurisprudenza, cfr. F. Rota, Appunti in tema di efficacia e resistenza giuridica degli accordi tra pubbliche

amministrazioni, in A. Sandulli, G. Piperata (a cura di), La legge sul procedimento amministrativo vent’anni dopo, Napoli, 2011, 208.

48Sui profili di responsabilità per danno erariale connessi all’affidamento di beni

secondo i regolamenti locali per la gestione dei beni comuni, cfr. S. Franca, Cura

dei beni comuni e responsabilità condivisa: spunti ricostruttivi, in Munus, 2018, 1, 47.

Sugli oneri di trasparenza negli affidamenti, cfr. F. Giglioni, Promozione di attività

private di interesse sociale e vincoli di trasparenza, in Labsus, 06, 2017, nel quale

l’au-tore commenta la pronuncia della Corte dei conti, sezione Lombardia, n. 4 del 19 gennaio 2017 e ancora id., Le premesse per una gestione matura del patrimonio a

Roma, in Labsus, 04, 2017, in relazione a Corte dei conti, sezione Lazio, n. 77 del

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pianificazione e, successivamente, nella gestione operativa attraverso accordi. Una disciplina alternativa è stata prevista per la bonifica dei siti inquinati di «interesse strategico» nazionale (articolo 252 del Codice ambientale). Riformato nel 2012 e nel 2013, il percorso pre-visto per i siti di «interesse strategico» è completamente gestito dal-l’autorità nazionale, coinvolgendo marginalmente le autorità locali.

Entrambi questi processi di bonifica non menzionavano in ori-gine misure di rigenerazione urbana. La riforma del Codice del-l’ambiente del 2013 ha introdotto la riqualificazione dei siti indu-striali inquinati di «interesse strategico» (articolo 252-bis, Codice ambientale) ad opera dei nuovi Progetti di ristrutturazione e riqua-lificazione industriale (PRRI), in cui, per la prima volta, nel d.lgs. n. 152 del 2006 la bonifica è legata alla rigenerazione urbana.

Dopo la riforma, la nuova procedura prevede che le autorità nazionali e regionali possano coinvolgere i proprietari di siti inqui-nati e «altri soggetti interessati» nelle riunioni della conferenza di servizi e nell’accordo di programma previsti dai PRRI. Le autorità locali sono coinvolte nei PRRI nelle conferenze di servizi e nel-l’accordo di programma, ma la gestione della bonifica e della rige-nerazione del PRRI sono affidate a una società in house ministeriale. La dottrina ha già avuto modo di sottolineare come i nuovi PRRI possano entrare in conflitto con gli altri strumenti di piani-ficazione della rigenerazione urbana locale e come, in ogni caso, la disciplina speciale delle bonifiche dei siti di interesse nazionale possa ulteriormente contribuire alla frammentazione della pianificazione della rigenerazione urbana49.

Inoltre, si può sottolineare che spesso i procedimenti previsti per gli interventi ambientali nei siti di interesse strategico non siano in grado di fornire tutti gli standard di trasparenza e partecipazione pubblica richiesti dalla Convenzione di Aarhus. Si può ricordare che la CGUE ha sottolineato nella sentenza Deutsche Umwelthilfe eV/Bundesrepublik Deutschland (causa C-515/11, Deutsche Umwelthilfe eV/Bundesrepublik Deutschland, 2013) che la libertà 49 Cfr., in tal senso, M. Pulvirenti, La riconversione dei siti produttivi inqui-nati, in Riv. giur. edil., 5/2, 2015, 251.

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del legislatore nell’adozione di specifiche misure legislative (nel caso in esame, si trattava di una legge-provvedimento) che implemen-tassero procedimenti ambientali per circostanze speciali dovrebbe comunque essere temperata, nel senso di non poter limitare l’am-bito di applicazione della Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione pubblica al processo decisionale e l’accesso alla giustizia in materia ambientale50.

Quando l’approccio alla pianificazione della rigenerazione ur-bana si concretizza nella pianificazione specifica del sito, spesso la pianificazione e la gestione delle misure di rigenerazione eludono il limite minimo per l’applicazione delle procedure VAS e EIA e la tutela degli standards europei di trasparenza e partecipazione. In tali casi, può venire in aiuto solo la regolamentazione regionale, al-lorché ai procedimenti di rigenerazione subordinati e connessi a quelli di bonifica o di riconversione possano applicarsi regimi legi-slativi regionali di trasparenza e partecipazione.

Inoltre, per la gran parte questo corpus normativo statale di strumenti di bonifica/riconversione/rigenerazione a regia statale sem-bra presentare ulteriori profili di frammentazione rispetto alle altre discipline di settore coinvolte, laddove abbia trovato ormai cittadi-nanza una accezione della rigenerazione urbana come perseguimento di obiettivi di coesione e inclusione sociale, le discipline delle poli-tiche sociali e dell’integrazione dei migranti (che saranno così rile-vanti nel futuro della pianificazione della rigenerazione urbana).

Insomma, il volto attuale della disciplina della rigenerazione ur-bana (e della sua pianificazione strategica) appare ancora impron-tato, a molti anni dagli auspici del Professor Abbamonte, all’assenza di una coerente governance multilivello di quei processi macro e micro che la compongono, da parte di vari soggetti pubblici, che riconduca a sistema secondo il principio di sussidiarietà le discipline di settore in materia di tutela ambientale, gestione delle crisi e ri-conversione industriale, pianificazione urbana e governance territo-riale, reti infrastrutturali, riorganizzazione dei servizi pubblici

lo-50 Cfr., sul portato della sentenza, V. Tinto, Legge provvedimento e strumenti di tutela derivanti dal diritto del’Unione Europea, in Dir. comm. int., 1, 2013, 287.

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cali, sistemi di assistenza economica e sociale (protezione e inclu-sione sociale, istruzione e formazione). In tutte queste aree di com-petenza, gli attori istituzionali si muovono tra i vincoli della revi-sione della spesa, degli appalti pubblici e le opportunità date da un’ampia varietà di fondi europei (per le politiche di coesione re-gionale, per le politiche urbane, per l’integrazione, per la gestione delle crisi industriali, per la gestione delle migrazioni).

La complessità del coordinamento di queste discipline di set-tore è ben evidente nelle riforme legislative e nella giurisprudenza (giurisprudenza della Corte costituzionale, dei tribunali ordinari pe-nali e fallimentari, dei tribupe-nali amministrativi), che hanno riguar-dato l’avvio della bonifica e dei processi di rigenerazione urbana nel quartiere di Bagnoli, nella città di Napoli.

Vale la pena di ripercorrere, brevemente, i tratti della vicenda. Nel 1992, dopo una centenaria storia industriale di imprenditoria di Stato, le acciaierie dell’ILVA di Bagnoli cessarono tutte le atti-vità. Il Governo italiano avviò i processi di bonifica del sito con una delibera CIPE del 20.12.94 e li finanziò con le leggi n. 582 del 1996 e n. 388 del 2000, che prevedevano la riqualificazione dell’a-rea ILVA per scopi non industriali. La variante del PRG della città di Napoli (Variante di Piano per l’area occidentale di Napoli) fu proposta nel dicembre 1994 e approvata nel gennaio 1996 in Con-siglio comunale. Il piano regolatore rivisto prevedeva la riqualifica-zione dell’area dismessa mediante l’implementariqualifica-zione di attività non industriali (il porto turistico, il centro congressi, il centro culturale «Città della Scienza», la riqualificazione di alcuni edifici siderurgici, come esempio di «archeologia industriale», abitazioni, parchi, ser-vizi turistici, piccole imprese tradizionali). Nell’aprile 1996, il go-verno nazionale istituiva la società statale «Bagnoli SpA» e le tra-sferiva la proprietà dei complessi industriali per avviare la bonifica. Dopo un avvio molto incerto della società «Bagnoli SpA», il Co-mune di Napoli costituiva nel 2002 la società di rigenerazione ur-bana (STU) «Bagnoli Futura SpA», società in house locale, e ini-ziava l’acquisto e il trasferimento dell’area alla STU (il trasferimento della proprietà fu completato in alcuni anni).

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di realizzazione delle nuove strutture programmate, nel 2013 la Pro-cura di Napoli metteva sotto inchiesta il consiglio di amministra-zione della società per cattiva amministraamministra-zione e ordinava il seque-stro dei beni. Quasi parallelamente, il 29 maggio 2014, il Tribunale civile di Napoli emetteva la sentenza che dichiarava il fallimento, contraddicendo l’orientamento giurisprudenziale consolidato sull’e-sclusione dal regime ordinario del fallimento delle società pubbli-che e delle STU in particolare51.

Nel 2014, dopo la sentenza di fallimento, il Governo ha pre-disposto un nuovo strumento di emergenza per la bonifica del sito e la rigenerazione urbana a Bagnoli, progettato sul modello dei PRRI, con l’art. 33 del Decreto Legislativo n. 133 del 2014 (ag-giornato più volte e integrato dal Decreto Ministeriale 15 ottobre 2015), che si può connotare come una vera e propria «legge-prov-vedimento» sul risanamento ambientale e la riqualificazione urbana del sito di Bagnoli. Innanzitutto, l’articolo 33 dichiara «di interesse nazionale» il sito di Bagnoli, superando il procedimento di dichia-razione di interesse nazionale strategico previsto dagli articoli 252 e 252-bis del Codice dell’ambiente. Gli obiettivi primari sono ga-rantire la programmazione, l’implementazione e la gestione della bonifica ambientale e degli interventi di rigenerazione urbana in breve tempo. Citando i principi di sussidiarietà e adeguatezza, la legge attribuisce allo Stato i poteri per completare il percorso, at-traverso la nomina di un commissario straordinario del governo, salvaguardando la partecipazione delle autorità locali, attraverso il loro coinvolgimento con strumenti di raccordo (conferenze di ser-vizi e «tavoli istituzionali»). Le competenze in tema di bonifica e rigenerazione vengono suddivise tra due soggetti, il Commissario e la società pubblica statale Invitalia SpA (denominata «ente attua-tore»). Essi gestiscono l’intera procedura, a partire dalla bonifica e dalla riqualificazione dei terreni industriali fino alla pianificazione della rigenerazione urbana dell’area. I programmi di bonifica e

ri-51 La sentenza ha escluso che la gestione della STU fosse soggetta a controllo

analogo da parte dell’autorità locale, ingenerato dell’accordo con il Comune per le attività di ristrutturazione e rigenerazione. Cfr. L. Macchiarulo, Il fallimento di

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generazione da parte delle due autorità statali sostituiscono le va-riazioni di strumenti urbanistici comunali e legittimano, da parte dei due soggetti statali, l’adozione dei procedimenti espropriativi necessari e dei regimi concessori ed autorizzatori delle future attività. Attraverso una complessa procedura di cartolarizzazione, viene prevista per Decreto la successione nella titolarità degli assets tra Ba-gnoli Futura SpA (ancora coinvolta nella procedura concorsuale, pre-vedendo, quindi, un regime derogatorio della disciplina processuale) e Invitalia SpA. Nell’intento del legislatore, Invitalia SpA avrebbe, quindi, dovuto gestire la fase operativa della rigenerazione urbana, sotto il controllo del Commissario e coinvolgendo, attraverso sistemi di conferenze e altri strumenti di raccordo non precisati dettagliata-mente, la Regione e il Comune. Questa fattispecie straordinaria di bonifica/rigenerazione a regia statale ha suscitato un ampio conten-zioso tra governo nazionale e Comune, che ha portato alle sentenze del TAR Campania n. 1471 del 2016 e del CdS n. 2407/2017. Se il TAR aveva dichiarato l’uso della legge-provvedimento in questo caso legittimo e proporzionato, a causa dell’emergenza ambientale nel sito di Bagnoli, salvando l’impianto complessivo della riforma, il CdS ha osservato che le norme stabilite in merito al conferimento dei beni da Bagnoli Futura SpA a Invitalia SpA dovessero essere intese come un regime eccezionale di espropriazione e potessero essere in viola-zione dei principi costituzionali sulla proprietà e l’espropriaviola-zione. Profili critici di costituzionalità presentavano inoltre, secondo il CdS, gli strumenti previsti per coinvolgere le autorità regionali e locali nella procedura, in violazione dei principi costituzionali di sussidia-rietà e leale cooperazione. Per entrambi questi profili, il CdS pro-poneva il rinvio alla Corte costituzionale.

Nelle more del giudizio della Corte, sotto la regia del nuovo esecutivo nazionale, che ridimensionava i poteri commissariali, il Governo, la Regione e il Comune di Napoli sono pervenuti alla stipula di un accordo interistituzionale nel luglio 2017, che sembra preludere all’avvio di procedure di codecisione (tutte ancora da im-plementare, nonostante il corredo di allegati tecnici dell’accordo) che possano superare, di fatto, le perplessità suscitate dal CdS con il rinvio alla Corte costituzionale.

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