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Studi sulla lingua e sulla poetica nel peri physeos di Empedocle

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione p. 3

1. Il giudizio di Aristotele p. 8

2. Empedocle e la tradizione p. 10 2.1 Il limite della parola

2.2 Γλαυκῶπις: tradizione ed innovazione 2.3 L'epica come medium filosofico

3. La perenne lotta di Φιλότης e Νεῖκος: p. 25 3.1 Il lessico di Amore

4. I colori di Afrodite p. 38 4.1 Le nuove divinità, tra teogonia e razionalità

5. L'armoniosa concordia p. 50 5.1 L'epiteto

5.2 Le metafore 5.3 θεωρέιν τὸ ὅμοιον 5.4 I germogli notturni

6. La similitudine come metodo conoscitivo p. 72 6.1 L'analogia nell'empirismo presocratico

6.2 La similitudine nel Περὶ φύσεως 6.3 La clessidra

6.4 Altre similitudini

7. La ripetizione nel Περὶ φύσεως p. 100 7.1 Imitazione del ciclo cosmico

7.2 Il frammento 17

8. Il poema e Amore p. 118 8.1 Le παλάμαι

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Appendice I p. 132 La Musa, la memoria e Pitagora

Appendice II p. 140 Empedocle e Parmenide

Bibliografia p. 148

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Introduzione

Oggetto del presente lavoro è un tentativo di analisi delle innovazioni apportate al sistema lessicale e semantico nella lingua e nelle strutture poetiche del Περὶ φύσεως1 di

Empedocle.

Il lavoro nasce dal considerare il poema opera di un filosofo fisico ma, soprattutto, opera di un poeta che dialoga con la tradizione poetica precedente e si propone, attraverso confronti extra-testuali, di illustrare il processo di metamorfosi linguistica operato da Empedocle su un patrimonio letterario sentito come proprio.

In una elaborazione complessa del verso, Empedocle richiama la tradizione epica, ma anche i poemi filosofici, soprattutto i versi di Parmenide; è innegabile che lo spirito di Empedocle abbia assimilato la cultura del suo tempo e che questa abbia lasciato una traccia nel suo pensiero e soprattutto nel suo linguaggio. Da questo substrato fioriscono con nuovo vigore le immagini che danno corpo al suo pensiero, la materia interiore modella la visione e la comprensione della natura.

Il poema è un'indagine sul mondo fisico: Empedocle cerca di dare spiegazioni del mondo materiale abbandonando la forma mitologica e teologica tradizionale. L'opera nasce dall'osservazione della natura, da questa contemplazione si svolge un'indagine accurata e minuziosa rivolta alla biologia, alla fisiologia, alla fisica ed alla cosmologia.

La fisica sarà argomento centrale del Περὶ φύσεως:

Se mai per qualcuno degli effimeri tu, musa immortale, fr. 131 hai voluto visitare le umane prove del pensiero,

allorché ti pregarono, anche ora sii presente, o Calliopea, mentre espongo il mio probo ragionamento sopra gli dei felici;

e in mezzo porterò questo tema degli elementi non generati, fr. 7 il fuoco e l'acqua e la terra e l'immenso culmine dell'aria,

che mai non hanno inizio né hanno termine alcuno,

e l'astio rovinoso, da parte e la concordia conciliatrice. fr. 19

1 In merito alla questione se sia da conservarsi la tradizionale distinzione tra Περὶ φύσεως e Καθαρμοί la critica è divisa. Il rapporto tra di due poemi è, infatti, al centro dell'interesse fin dalle prime ricerche sul filosofo. Per molto tempo le opere sono state ritenute antitetiche e incompatibili, testimonianza di un'evoluzione o, addirittura, di una conversione di Empedocle dato il carattere eterogeneo delle tematiche in esse affrontate: una “scientifica” e naturalistica che espone un discorso conoscitivo, l'altra etica-sociale, che espone un messaggio morale . Qui si segue l'opinione di quella parte della critica ( Gallavotti e Casertano fra tutti) che ammette tra i due scritti, contrariamente all'orientamento di alcuni studiosi moderni ( Osborne e Inwood) che giungono- seppure con due opposte interpretazioni- alla ricostruzione di un unico poema, un margine di diversità pur riscontrandovi lo stesso contenuto dottrinario. Le due opere non debbono, dunque, considerarsi contraddittorie o antitetiche ma, anzi, complementari alla luce del fatto che punti rilevanti della dottrina fisica sono rintracciabili nei Καθαρμοί,

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Di qui tutte le cose che furono e saranno, e le cose che sono”2

Empedocle, nel proemio, introduce le nuove divinità: le quattro radici, acqua, aria, terra e fuoco e le due forze motrici alla base della sua dottrina, l'astio rovinoso e la concordia conciliatrice.

Tutti i fenomeni che rappresentano la realtà del mondo sono il risultato dell'aggregarsi e disgregarsi dei quattro elementi ingenerati, imperituri ed omogenei, ad opera di una ciclica e perenne lotta tra le forze di Amore ed Odio.

Ogni ente, ogni essere del mondo fisico, è caratterizzato dalle stesse quattro radici, mescolate da Amore in proporzioni diverse. Questi elementi corrono gli uni attraverso gli altri, diventando corpi di ogni genere.

Per illustrare l'infinito mescolarsi degli elementi Empedocle nel fr. 23 utilizza la metafora dei pittori che tra le mani mescolano i quattro colori producendo le loro creazioni:

Sono soltanto quelli, infatti, gli elementi che esistono, e correndo gli uni attraverso gli altri diventano corpi di ogni genere; questo, appunto, che esiste, la mescolanza tramuta,

come quando i pittori illustrano le variopinte pareti, essendo esperti nel mestiere per la loro intelligenza: quando con le mani hanno afferrato le svariate tinture,

che mischiano in armonia, quali in maggior misura e quali in minore, con questi colori essi foggiano figure somiglianti a tutto,

e costruiscono gli alberi, e gli uomini e le donne, e le fiere e gli uccelli, ed i pesci che vivono nell'acqua, ed anche i numi longevi di rango eccelso

Gli occhi di Empedocle non sono, però, rivolti solo verso i principi elementari sempre identici e fedeli a loro stessi. Nel poema la solenne celebrazione per la divina Afrodite, che il poeta arricchisce con i nomi più diversi e per la quale scrive versi finemente elaborati, e la descrizione della divina perfezione dello Sfero convivono con la vera e viva partecipazione di Empedocle allo splendore del reale.

Il poeta, dopo aver presentato la teoria delle radici e dei principi cosmici Amore ed Odio al suo discepolo Pausania, lo invita a ricercare la prova di quanto fino a quel momento aveva esposto in tutto ciò che si vede alla luce del sole:

2 Per i frammenti di Empedocle mi avvarrò sempre della traduzione di Carlo Gallavotti, Empedocle,

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(..) mira questo testimone:

il sole smagliante a vedersi, e dappertutto caldo,

e i corpi eterei che si immergono nel tepore e nella candida luce; e poi la pioggia tenebrosa e rigida, che si stende su ogni cosa, ma si effondono su dalla terra virgulti e tronchi3

L'ardente e lucido sole, la pioggia che unisce ogni cosa su cui si stende, il rigoglio della terra; la visione di un attimo di vita della natura è colto e descritto in questi versi in cui la poesia è l'espressione dell' entusiasmo e della meraviglia di Empedocle davanti l'aspetto mutevole del mondo. La verità degli enti eterni non brilla più del mondo della vita.

Anche nei momenti in cui più forte è l'aspetto scientifico, nella descrizione delle parti del corpo umano o della vita delle piante, Empedocle non abbandona la sua vena poetica. Nella prima parte della tesi l'indagine si sofferma su alcuni vocaboli fortemente legati al linguaggio dell'epica: attraverso il confronto con il modello si evidenziano la tensione tra innovazione e tradizione nella dizione empedoclea e la modalità con cui il poeta filosofo ha utilizzato le risorse linguistiche tradizionali e il modo espressivo dell'epos per veicolare un nuovo messaggio e nuovi contenuti.

Si cerca, inoltre, mediante la lettura di alcuni frammenti del poema di dare spiegazione delle scelte lessicali operate da Empedocle alla luce della sua particolare concezione della lingua, del suo potere e del suo limite.

Successivamente vengono analizzate le caratteristiche principali del suo stile poetico: epiteti, metafore e similitudini, in modo da evidenziarne non solo il valore retorico ma quello gnoseologico. La concezione del mondo di Empedocle è alla base delle sue scelte linguistiche, da ciò la coalescenza tra filosofia e poesia.

Empedocle, infatti, attraverso un uso originale ed estremamente creativo della parola imita retoricamente e poeticamente la realtà.

Gli accostamenti insoliti di termini distanti tra loro e le metafore ardite veicolate attraverso l'immediatezza di un'immagine di grande impatto ( come ad esempio gli alberi che producono uova) sono il mezzo con cui Empedocle ri-crea nel suo poema i legami e le corrispondenze che esistono tra i vari enti che abitano il mondo.

La teoria della quattro radici, dalla cui mixis si forma ogni cosa, ha, come conseguenza, che gli esseri della terra, viventi ed inanimati, siano costituiti dalla stessa composizione elementare; un essere corrisponde, in quanto omogeneo per la sua costituzione, ad un altro e da questa corrispondenza ne nasce un'altra e così all'infinito, in un sistema di armoniosa

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concordia cosmica.

La similitudine, l'analogia e l'importante funzione della ripetizione diventano all'interno dell'intera opera del filosofo uno strumento metodologico: mostrano come il mondo umano e la natura nel suo complesso, gli animali ed i vegetali, ma anche il visibile e l'invisibile, siano governate da leggi identiche.

Nelle appendici si affrontano, invece, alcuni passi empedoclei in cui si notano riecheggiamenti di Parmenide e un aspetto particolare della terminologia relativa alla conoscenza, in cui si potrebbe ravvisare una rilevanza della funzione della memoria e delle tecniche di concentrazione4.

Empedocle non emette una luce che illumina chiaramente la verità, la imita. Le parole e i versi di Empedocle, come i raggi di una ruota, girano e riproponendosi seguono, imitandone il movimento, il procedere dell'azione eterna di unione e dissoluzione, μῖξις e διάλλαξις.

La poesia è un tramite comunicativo il cui messaggio non è del tutto esplicito ma allusivo. Empedocle, però, non è chiuso in un assoluto riserbo; trasmette il suo messaggio spesso per impulsi sotterranei, le parole si illuminano a distanza tra loro, attraverso i fili che le legano e segnano il cammino da seguire, il cammino del divenire.

La sua è una poesia di impressioni e sfumature, si potrebbe dire visionaria, frutto del suo spirito sintetico ed allusivo.

Il filosofo richiede, dunque, al suo ascoltatore e diretto destinatario dell'opera, Pausania,

4 Un' ultima questione necessita poi dei chiarimenti e cioè che fra i frammenti analizzati ai fini della mia ricerca non si menziona il Papiro di Strasburgo. L'identificazione ad opera dello studioso Alain Martin di alcuni frammenti papiracei con i versi del poema Περὶ φύσεως di Empedocle, conservati anonimi in due

cadres della biblioteca di Strasburgo, ha portato alla pubblicazione nel 1999 del volume contenente l'edizione

ed il commento di questi nuovi frammenti.

I cinquantadue frammenti papiracei sono stati ricostituiti e raggruppati in ensembles numerati con le lettere dell'alfabeto, per un totale di settantaquattro versi di cui pochi sono ricostruibili interamente.

Le prime cinque righe dell' ensemble a (i) coincidono con gli ultimi cinque versi del frammento 17 ( il più lungo frammento a noi pervenuto per tradizione indiretta) e questo ha permesso agli editori di stabilire che il manoscritto del papiro riportasse i φυσικά di Empedocle. Sulla base di questo ritrovamento si è tentato di fare finalmente chiarezza su alcuni punti rilevanti per l'interpretazione del pensiero di Empedocle, come il ciclo cosmico ed il rapporto demonologia-dottrina fisica. Gli editori del Papiro di Strasburgo hanno ritenuto che nei frammenti si possa riconoscere, infatti, la descrizione di una fase del ciclo cosmico ad opera di Contesa crescente. L'azione di Contesa non sarebbe solo caratterizzata da una forza distruttrice ma anche creatrice, che si esplicherebbe in una cosmogonia e in una zoogonia. Nell' ensemble d, inoltre, è possibile leggere due versi già noti attraverso una testimonianza di Porfirio ( fr. 139), in cui Empedocle esclama parole di pentimento per aver compiuto azioni crudeli. Questi due versi erano stati, dunque, collocati senza esitazione all'interno dell'opera Καθαρμοί. Alla luce del ritrovamento i versi sono da collocare in maniera inequivocabile nel Περὶ Φύσεως. Il contesto originale, restituito dalla tradizione diretta, richiede la riconsiderazione dei confini e dei rapporti tra le tematiche dei due poemi.

L'analisi dei frammenti papiracei pone, quindi, delle questioni più ampie che esulano dalla ricerca generale che ci si era riproposti e richiedono un'analisi dettagliata ed un discorso più approfondito che in questa sede, in cui si analizza la dimensione letteraria e poetica dei frammenti, non era possibile fare.

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un ascolto attento e un ragionamento che segua le complesse argomentazioni e spesso, infatti, gli si rivolge direttamente per richiamarlo nei momenti più importanti del discorso. Saranno però il fascino della poesia e delle vivide immagini, più vicine al mito che alla scienza, a colpire e sedurre, con valenza inalterata l'ascoltatore, così come, allora, Pausania.

In Empedocle avviene il matrimonio tra l'esperienza e l'immaginazione, tra lo scienziato e l'artista, i fatti reali sono solidamente fusi con la capacità del filosofo poeta di rielaborarli attraverso il piacere creativo della poesia.

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Il giudizio di Aristotele

Stando alle parole di Aristotele5 l'epica e la poesia tragica, la commedia e la produzione di

ditirambi, insieme alla massima parte dell' auletica e della citaristica, sono, nel complesso, imitazioni, “mimèseis”.

Queste differiscono tra di loro per il fatto di imitare con mezzi diversi, oggetti diversi o in modi diversi. I mezzi sopra menzionati sono il ritmo, il linguaggio e l'armonia, e possono essere utilizzati in combinazione tra loro o singolarmente.

Dopo aver rapidamente accennato alle arti imitative della citaristica e dell' auletica, che utilizzano combinate insieme ritmo ed armonia, Aristotele si sofferma sull'imitazione ἐν λόγῳ e distingue le imitazioni in prosa, le imitazioni in versi e le imitazioni che utilizzano insieme diversi tipi di versi.

Aristotele continua la sua trattazione minimizzando l'importanza dell'elemento metrico nella definizione delle forme imitative della letteratura, mentre è usuale che la gran parte degli uomini suoi contemporanei sia solita chiamare poeti coloro che scrivono in versi, non per la natura imitativa della loro opera ma proprio per l'utilizzo del verso.

Per questo Empedocle viene definito comunemente poeta ma, scrive, lo Stagirita, “ (..) non c'è nulla in comune a Omero e a Empedocle, eccettuato il verso; perciò sarebbe giusto chiamare poeta l'uno, ma l'altro fisiologo, piuttosto che poeta”6.

Diogene Laerzio7 riportando un passo tratto dal frammentario dialogo aristotelico “Sui

poeti”, cita le parole dello Stagirita:

Aristotele(...) dice che Empedocle fu omerico e solenne nell'espressione, in quanto amava le metafore e usava gli altri espedienti della poesia

Traglia 8 nota che i due giudizi potrebbero sembrare in contrasto tra loro, ma in verità il

giudizio di Aristotele è chiaro, Empedocle imita il metro e gli artifici retorici ma non è un poeta, nella sua opera non c'è mimesis.

Tuttavia ciò che traspare è una certa attenzione di Aristotele verso la lingua di Empedocle. Empedocle è il presocratico più citato dallo Stagirita, Bonitz, nell'Index Aristotelicus, conta 130 righe a proposito di Empedocle, contro le 112 su Pitagora ed i Pitagorici, le 29 su Eraclito, 18 su Esiodo e 19 su Parmenide.

5 Aristotele, Poetica, Introduzione, traduzione e note di D. Lanza, Milano 1987, 1447 a 15 6 Arist. Poet. I 1447 b 17

7 Diog. Laer. Vit. Philos. VIII 57; W.D. Ross, Aristotelis fragmenta selecta, Oxford, 1955, fr.1 p. 67 8 A. Traglia, Studi sulla lingua di Empedocle, Bari 1952

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Nella Poetica, infatti, oltre al fatto che Empedocle sia l'unico filosofo ad essere esplicitamente posto in relazione con Omero, vengono citati alcuni estratti dell'opera del filosofo siciliano.

(..) Chiamo poi relazione analogica quella in cui il secondo termine sta al primo nella stessa relazione in cui il quarto sta al terzo, giacché allora si potrà dire il quarto termine invece del secondo o il secondo invece del quarto. E a volte i poeti pongono in luogo di quel che si vuol dire ciò con cui si trova in relazione. Voglio dire ad esempio che come la coppa sta a Dioniso così lo scudo sta a Ares, e si potrà dunque chiamare la coppa scudo di Dioniso e lo scudo coppa di Ares.

Oppure quel che è la vecchiaia rispetto alla vita lo è la sera rispetto al giorno e dunque si potrà chiamare la sera vecchiaia del giorno o anche, come fa Empedocle, chiamare la vecchiaia sera della vita o tramonto della vita” 9.

Aristotele, nonostante il suo giudizio negativo, avrebbe riconosciuto un procedimento essenzialmente poetico ad Empedocle.

Diverso è infatti il giudizio degli antichi su un altro poema filosofico scritto in versi, il poema di Parmenide.

Benché obbligato dalla forma stessa poetica a far uso di metafore e tropi, tuttavia amò la forma disadorna, secca e semplice(..) cosicché sembra che l'andamento del discorso sia piuttosto prosaico che non poetico10.

9 Arist. Poet. 1457 b24

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Empedocle e la tradizione

Certo è imprescindibile, soprattutto tra quanti, poeti e scrittori successivi, adottarono il metro del poema epico, l'influsso dei poemi omerici ed il confronto con essi.

In Empedocle, infatti, troviamo un evidente riutilizzo di termini ed epiteti omerici; un'analisi di tipo statistico-quantitativo rileva che il settanta per cento del lessico empedocleo è derivante da materiale omerico11.

I poemi omerici venivano mandati a memoria: per un poeta che utilizzava l'esametro entravano in azione meccanismi compositivi tipici della trasmissione orale. Strutture fonoritmiche analoghe a quelle dei poemi omerici erano il frutto, anche involontario, della memorizzazione del testo omerico.

Empedocle è sicuramente il più omerico tra i filosofi presocratici, ma nell'opera del filosofo agrigentino il rapporto con Omero va oltre la semplice imitazione formale e il condizionamento che, inconscio, avveniva a causa di automatismi dovuti alla pratica mnemonica.

Empedocle ha consapevolmente rielaborato il linguaggio omerico, ha mantenuto il legame con la tradizione, trasformandolo in qualcosa di diverso: i versi epici diventano il materiale con cui Empedocle dà vita alla sua intima visione delle cose e del cosmo.

Il linguaggio di Empedocle non è imitativo ma creativo, nel senso che, con analoghe strutture fonoritimiche, nessi formulari smembrati o modificati, riattivazioni in contesti inusuali di epiteti omerici, il filosofo trova un'originale modalità espositiva a sostegno della sua dottrina.

Il linguaggio omerico si riattiva, prende nuova vita e nuove sfumature posto in contesti nuovi, che segnano uno sviluppo e una espansione del campo semantico delle singole parole.

Questa tensione tra tradizione ed innovazione, questo sistema aperto e di contatto con l'archetipo, caratterizzato dalla rievocazione di un contesto espressivo ben noto e dalla trasformazione del linguaggio epico, stimola la memoria del pubblico che, proprio da ciò che gli era più noto, è posto davanti a qualcosa che gli era completamente nuovo, lontano da qualsiasi aspettativa: quello di Empedocle è un linguaggio di forte impatto.

11 C. Bordigoni, Empedocle e la dizione omerica, in L.Rossetti e C. Santaniello ( a cura di ), Studi sul

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La parola di Empedocle ha una forza essenzialmente visiva, è nell'immagine che nasce il pensiero del filosofo e questo viene espresso a livello linguistico nello stesso modo in cui si è creato dentro di lui, come una visione immediata fatta di immagini, associazioni e analogie. Empedocle è poeta e per questo comunica con l'intera tradizione letteraria precedente, Omero ed Esiodo, i tragici e i lirici ed i poemi filosofici precedenti. Opera, quindi, le sue scelte linguistiche in rapporto con il passato ed ha una consapevole visione della sua opera d'arte.

Il contatto con le opere precedenti rende più evidente il loro superamento, fa risaltare il suo diverso punto di vista; nello spazio che Empedocle crea tra il vecchio ed il nuovo, si apre il varco da cui la sua visione ha modo di emergere.

2.1 Il limite della parola

Nel frammento 9 del Περὶ φύσεως Empedocle riflette sugli usi linguistici degli uomini. Il linguaggio degli uomini, che risponde ad un' usanza stabilita e consolidata, è inappropriato; gli uomini danno un nome alle cose, ma questo non corrisponde alla realtà delle cose. Da questo linguaggio sbagliato, derivano una scorretta conoscenza della realtà e le paure degli uomini. Gli uomini infatti fanno uso di termini come φύσις e θάνατος, credono che qualcosa possa nascere da ciò che prima non esiste e che qualcosa, dunque, possa poi morire.

Nonostante Empedocle ritenga falso il linguaggio della consuetudine, ne farà comunque uso.

ᾗ δε θέμις καλέουσι νόμῳ δ ̓ ἐπίφημι καὶ αὐτός12

così danno i nomi come è stato sancito, e a questa norma io pure acconsento

Empedocle quindi si esprimerà seguendo la consuetudine linguistica “ con una licenza che, anch'essa indicava il suo distacco da Parmenide, perché quest'ultimo non gli avrebbe permesso di pensare-parlare in modo diverso da quello in cui si fosse dimostrato giusto pensare-parlare”13.

Θέμις esprime ciò che è stabilito dalla legge o è stato stabilito dal costume, quindi ciò che è giusto. Questo verso è una dichiarazione di accettazione da parte di Empedocle di una consuetudine linguistica e, quindi, del patrimonio letterario che lui ha alle spalle. Ed è,

12 Emped. fr.9

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inoltre, una presa di posizione contro la possibilità che esista una sola parola, un solo linguaggio per esprimere ciò che è vero.

Calogero, affrontando la struttura del pensiero greco arcaico, scrive che agli occhi del pensatore primitivo il necessario modo di essere della realtà non si distingue dal modo in cui essa nel pensiero si rappresenta, e nel modo in cui questo si manifesta nella parola. La parola, il nome, equivale necessariamente alla cosa designata.

Questa coalescenza tra nome e cosa designata è legato al carattere di determinatezza di ogni cosa rispetto alle altre.

Non c'è al mondo cosa che non sia «qualcosa», che non presenti nell'esperienza un certo volto e contorno, onde si distingue dalle altre realtà. Legge suprema dell'esistente e del conosciuto è perciò, da questo punto di vista, quella del «limite», del πέρας, onde tutto sussiste in sé e per la mente in quanto si manifesta definito nei suoi confini.(..)

Al motivo della realtà- verità contemplata, obbediente all'ideale della determinazione, si accompagna così il motivo della realtà- verità parlata14.

Empedocle parla di realtà resistenti ed immutabili, sempre identiche a loro stesse, le radici. Le radici si amano e si mescolano tra loro, dando forma alle mutevoli forme del reale, che, in quanto caratterizzate dagli stessi quattro elementi, sono manifestazione dell'armonia cosmica, presieduta da Afrodite. Ogni cosa del mondo reale ha, dunque, una serie di legami ed è corrispondente con il resto degli esseri viventi ed inanimati; ogni definizione e distinzione tra questi è così annullata. Come Empedocle amplia fino a farli scomparire, i confini tra le varie specie del cosmo, così espande i confini del linguaggio, di ogni singolo termine, con un rapporto con la tradizione consapevole ma estremamente personale. Questo è il tratto fondamentale della concezione del linguaggio di Empedocle, che caratterizza di conseguenza l'intera struttura dell'opera.

Non esiste una parola che da sola possa cogliere il fondo dell'essenza delle cose, che da sola illumini e guidi. E non potrebbe esistere un linguaggio unico per svelare e fare luce sulla verità o, comunque, non potrebbe usarlo Empedocle. Come emerge dalla lettura del proemio del Περὶ φύσεως, la preoccupazione di Empedocle è quella di non dire più di quanto sia lecito sapere a mente mortale. Se ci fosse una parola, quindi, che sola risplendesse di luce divina e profetica e che stabilisse un rapporto diretto con la Verità, il poeta non potrebbe comunque usarla.

Il frammento 3 presenta le parole che il poeta rivolge alla Musa: troviamo di nuovo lo stesso termine, θέμις, per indicare ciò che è giusto che gli uomini mortali ascoltino.

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fr.3

καί σε πολυμνήστη, λευκώλενε παρθένε Μοῠσα ἂντομαι ὧν θέμις εστὶν ἐφημερίοισιν ἀκούειν πέμπε παρ' εὐσεβίης ἐλάους εὐήνιον ἂρμα

e a te musa agognata, o vergine dalle candide braccia, io mi rivolgo: ciò che spetta agli effimeri di ascoltare,

tu porta, guidando avanti il carro ben governato dall'amore devoto.

Empedocle, seguendo la tradizione della poesia didascalica, come in Esiodo e come lo stesso Parmenide, prima di affrontare la trattazione del suo poema intorno la natura, invoca la Musa, Calliopea, descritta da Esiodo15 come la prima fra tutte.

Καλλιόπη θ ἡ δὲ προφερεστάτη ἐστὶν ἁπασέων

L'invocazione alla Musa e agli dei si caratterizza per un atteggiamento di timore e di santo rispetto da parte del filosofo.

Il proemio di Empedocle è pervaso da religiosa umiltà, il poeta invoca gli dei affinché possano allontanarlo dalla follia di argomenti e prega la Musa Calliope di raggiungere la gloria con un discorso che sia puro, ma anche ardimentoso.

Ma, o dei, stornate dalla mia lingua follia di argomenti, e da sante labbra fate sgorgare una limpida sorgente E a te, musa agognata, o vergine dalle candide braccia, io mi rivolgo; ciò che spetta agli effimeri di ascoltare, tu porta, guidando il carro ben governato dell'amore devoto. Ma non ti turbi il cogliere fiori di nobile gloria

fra i mortali con un discorso, ricolmo di santità

che sia ardimentoso; e allora tu giunga leggera alla vetta della saggezza16

In questo passo ricorre il termine ὁσία che indica ciò che è permesso dagli dei, ciò che è giusto e sacro al tempo stesso, ciò che è “religiosamente lecito” 17.

Troviamo anche il il termine εὐσεβία, profondo rispetto e venerazione nei confronti della divinità, e di nuovo θέμις. Una serie di termini che, oltre ad essere solenni e degni di un'invocazione agli dei, esprimono la condizione necessaria ad Empedocle per procedere; la purezza ed il rimanere entro i limiti di ciò che per un uomo mortale è degno ascoltare. Quanto c'è di più vero, questo è sfiorato, quanto più ci sarebbe bisogno, da parte di

15 Hes. Theog. 79 16 Emped. fr. 3

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Empedocle, di chiarezza, lì più si esprime in maniera oscura.

Il carro ben guidato dalla Musa è il carro dell'amore devoto, molto diverso dal carro sui cui Parmenide era stato trasportato guidato dalle fanciulle Eliadi, dalle case della notte verso la luce, verso la porta che separa la Notte dal Giorno. Empedocle evocava rispetto ed umiltà, Parmenide è portato in alto dal carro, illuminato dalla luce della verità.

Il proemio di Parmenide, ricco di descrizioni minuziose sulla corsa a cavallo, dei battenti della porta, è grandioso e solenne. La porta che separa il Giorno dalla Notte è limitata da un'architrave e da una soglia di pietra, occupata interamente da due enormi battenti. Le chiavi sono possedute da Dike, che viene persuasa dalle fanciulle a togliere dalla porta il paletto :

(…) questa, aprendosi,

produsse una vasta apertura dei battenti, facendo ruotare

nei cardini, in senso inverso, i bronzei assi fissati con chiodi e con borchie 18 (fr.1)

La dea prende la mano di Parmenide, e lui ne riporta il discorso diretto. La distanza fra i due poemi è palese, Parmenide (fr. 2) deve scegliere tra due vie:

Orbene, io ti dirò – e tu ascolta e ricevi la mia parola –

quali sono le vie di ricerca che sole si possono pensare: l’una che “è” e che non è possibile che non sia è il sentiero della Persuasione, perché tien dietro alla Verità – l’altra che “non è” e che è necessario che non sia. E io ti dico che questo è un sentiero su cui nulla si apprende. Infatti, non potresti conoscere ciò che non è, perché non è cosa fattibile, né potresti esprimerlo

Il discorso diretto della Musa svela la “ben rotonda verità”, i misteri del vero si schiudono, con sorprendente facilità.

Ben diverso è il modo di argomentare di Empedocle che può essere difficile da capire, anche a causa di un linguaggio a tratti enigmatico ed ambiguo.

Il filosofo descrive i tratti principali della sua poetica:

ed ecco infine, in aggiunta ai precedenti conversari, se è

rimasta qualche mancanza per l'oscurità nelle mie precedenti parole, mira questo testimone (...) 19.

18 Qui, come in altri versi del poema di Parmenide citati in questo studio, a meno di indicazioni diverse, utilizzo la traduzione italiana di Giovanni Reale ( G. Reale, L. Ruggiu, Parmenide, Poema sulla natura, Milano 1998).

(15)

Le parole non sono sempre chiare e non si uniscono a formare un pensiero limpido e scorrevole. La costruzione, infatti, non scorre lineare, il discorso si allarga e si nutre di se stesso, in una constante crescita, in divenire: una serie di tessere, che, avverte il poeta, non sono lontane tra loro, ma costituiscono frammenti di un'unica strada lastricata. Nel frammento 24 il filosofo mette in guardia l'ascoltatore dal ritenere la sua opera non organica ed unitaria:

ma perché non sembri che, annodando una cima con altrettanto diverse, come ne ho l'aria, io non riesca a percorrere un'unica via del racconto, <senti ora quali saranno i temi del mio ragionamento>

L'opera di Empedocle è caratterizzata da interruzioni, riprese, versi che ricorrono simili.

Ma è bene anche due volte proclamare ciò che merita e la nostra Musa ha in uggia insopportabili costrizioni20

Dietro la parola esplicita ciò che viene detto è limitato da contorni definiti, invece il fenomeno che Empedocle vuole descrivere ha un carattere grandioso, cosmico, molto più ricco del nome che non può avvolgerlo e coglierne, senza limitarlo, l'essenza.

In questa concezione della parola che trova il suo potere solo insieme alle altre e nel contesto dell'intero poema, in questa limitazione al potere svelatore della parola isolata, sta la possibilità che dalle labbra del filosofo possa sgorgare “limpida sorgente” e non una “follia di argomenti”.

Un linguaggio semplice e diretto, lucido e definito limiterebbe la verità, l'immensa concezione di Empedocle.

La complessità dell' universale non può seguire una linea diretta; c'è una trama che Empedocle tesse, facendo un costante uso di ripetizioni, di arresti e riprese.

I termini che utilizza Empedocle, quindi, non sono definiti in maniera isolata dal contesto, in grado da soli di illuminare, ma acquistano un significato tramite la serie di richiami che segue il procedere del suo pensiero.

Il poema di Empedocle, di cui abbiamo qui brevemente delineato alcuni tratti, non è caratterizzato da lessico filosofico e tecnicismi, non si può parlare neanche di un sistema in cui ogni cosa è incasellata: la sua dottrina non viene esposta punto per punto.

Empedocle annuncia prima i punti fondamentali della sua dottrina (fr. 17) per poi

(16)

riprenderli in seguito, con versi uguali o con minime variazioni; il poeta fa procedere il discorso, ampliandolo, ogni volta riprendendo quanto detto in precedenza.

2.2 Γλαυκῶπις: tradizione ed innovazione

Il linguaggio di Empedocle è libero e creativo, frequentissimo è l' uso di epiteti e della polinomia, a partire dai nomi dei sei elementi alla base del pensiero empedocleo.

Questo utilizzo di epiteti non è solo un retaggio della letteratura precedente o un fatto puramente estetico. Empedocle coglie la complessità dell' universale e lo esprime con il conferire a fenomeni naturali e forze fisiche un'aggettivazione poetica, che dona loro una luminosità quasi divina.

La riflessione di Empedocle, pur partendo da un'analisi empirica, non ha uno sguardo scientifico, non rifiuta la seduzione dell'evidenza prima ed immediata dell'oggetto.

Spesso il filosofo utilizza epiteti omerici fortemente noti, scardinandoli dal loro proprio referente; creando un'evidente deviazione rispetto al modello il filosofo dona loro nuovi significati e nuovi colori.

Un esempio eclatante è certamente l'uso di γλαυκῶπις, epiteto che nei poemi omerici è caratteristico della dea Atena, con il significato di “sguardo lucente” e, più letteralmente, “dagli occhi azzurri”

Od. I 156

αὐτὰρ Τηλέμαχος προσέφη γλαυκῶπιν Ἀθήνην

In Empedocle lo troviamo nel frammento B42 riferito alla luna; un epiteto riferito ad una dea viene così riferito ad entità impersonali;

Τόσσον ὃσον τ ̓ εὗρος γλαυκώπιδος ἒπλετο μήνης

L'epiteto non è un vezzo stilistico, è parte della cosa designata. Non è solo una reminiscenza letteraria, una unione linguistica poeticamente elaborata, questa unione nasce dalla visione antropomorfica del cosmo nella mente di Empedocle, filosofo presocratico; l'indagine del nascente pensiero filosofico si colloca ancora nel contesto del

(17)

linguaggio mitico.

La scelta di un linguaggio antropomorfico capace di definire una cosa con termini designanti solitamente entità divine è legata alla concezione che entità fisiche non siano solo realtà concrete, ma delle potenze attive naturali e divine allo stesso tempo. Empedocle è un uomo che coglie gli aspetti più appariscenti e grandiosi della natura che vibrano in lui con forza pulsante e viva e lui li restituisce attraverso un filtro poetico che non ne limita la seduzione.

Il richiamo ad Omero con il termine γλαυκῶπις è cosi forte che l'unione dei due termini risulta spiazzante; il piano della tradizione è completamente rinnovato. Solo quando il testo suggerisce alla memoria una struttura tradizionale, e senza dubbio il richiamo al testo di Omero era avvertito dal destinatario, l'innovazione è tale.

L' espressione usata da Empedocle, che racchiude nell'aggettivo la tradizione omerica, deve essersi presentata alla memoria del filosofo soprattutto come un elemento fortemente visivo e immaginifico dovuta all'analogia luna-occhio.

Questa assimilazione non è rintracciabile solo a partire da Empedocle in poi ma anche prima di lui, in Pindaro ed in Eschilo:

παραίθυξε μέγαν: ἐν δ᾽ ἕσπερον

ἔφλεξεν εὐώπιδος σελάνας ἐρατὸν φάος. 21

λαμπρὰ δὲ πανσέληνος ἐν μέσῳ σάκει,

πρέσβιστον ἄστρων, νυκτὸς ὀφθαλμός, πρέπει.22

Anche Parmenide nel frammento 10.4 attribuisce alla luna l'attributo κύκλωψ, con cui era ovviamente designato il Ciclope.

Ἔργα τε κύκλωπος πεύσηι περίφοιτα σελὴνης

apprenderai l'errabondo agire della luna dall'occhio tondo

In questa nuova unione Empedocle conferisce all' immagine una potenza maggiore, l'epiteto più che noto di Atena diventa cornice nobile della luna che può risplendere con una nuova e vigorosa forza.

Un altro epiteto che deve essere ricondotto all'analogia occhio luna è κυκλοτερὴσ:

21 Pind. Ol. 10.90 22 Aesch. Sept. 389.390

(18)

κυκλοτερὴς περὶ γαῖαν ἑλίσσεται ἀλλότριον φῶς23

Troviamo, infatti, questo termine riferito all'occhio del Ciclope in Esiodo.

Κύκλωπες δ ὄνομ' ἧσαν ἐπώνυμον οὔνεκ ἄρά σφεων κυκλοτερής ὀφθαλμὸς ἕεις ἐνέκειτο μετώπῳ24

Il verso di Empedocle, però, più che avere reminiscenze esiodee, richiama molto da vicino Parmenide, che così scriveva:

νυκτιφαής περὶ γαῖαν αλώμενον ἀλλότριον φῶς25

Entrambi pongono ad inizio verso l'epiteto della luna, Parmenide sottolineando lo splendore della luna che rischiara la notte, Empedocle, invece, sottolineando la forma circolare della luna, ovviamente piena, isolata nello scuro cielo, come è isolato l'unico occhio in mezzo la fronte del Ciclope.

La luminosità della luna- occhio splendente, è posta in relazione, a distanza, con la notte, la quale è ἀλαῶπις , dall'occhio cieco. La vicinanza di questo epiteto con γλαυκῶπις è dovuta al fatto che entrambi sono formati dal suffisso epico di divinità femminili: ῶπις. ἀλαῶπις non ricorre altrove, era perciò intento di Empedocle non utilizzare i tanti altri epiteti che erano attribuiti alla notte ( μέλαινα , κελαινή .) ma creare un contrasto tra la luna e la notte. Nella notte deserta e nera, la luna splende, ancor di più con l'attributo γλαυκῶπις.

Altri termini usualmente riferiti agli esseri viventi ed in Empedocle invece riferiti alla luna, sono il verbo ἀθρέω del fr. 47 e l'aggettivo ἱλάειρα (fr. 40). Quest' ultimo in particolare è molto suggestivo e lascia trasparire l'attrazione e il fascino che la luna genera in Empedocle, il quale la designa con un termine tipico delle giovani ragazze: “gentile”.

Ἥλιος ὀξυμελὴς ἠδ <ἡ> ἱλάειρα σελήνη

Se la luna è gentile, il sole dalle membra pungenti è designato con il termine ἄναξ (fr. 47) attributo in Omero ovviamente di divinità26 e spesso anche riferito a uomini, signori e capi

23 Emped. fr. 45 24 Hes. Theog. 144 25 Parm. fr. 14

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di eserciti, come Agamennone27.

2.3 L'epica come medium filosofico

L'utilizzo della forma esametrica ha certo come prima conseguenza un rapporto più o meno consapevole e volontario con i due poemi epici.

É evidente come anche nei passaggi in cui Empedocle è intenzionato a dar prova dei suoi ragionamenti quasi con piglio scientifico, il filtro poetico sia sempre in opera.

La studiosa Bordigoni afferma che “ l'alternativa fra prosa e poesia non rappresentava una reale possibilità di scelta per i primi filosofi”28 . La poesia era ancora la forma espressiva ordinaria,

il mezzo di comunicazione e diffusione del sapere.

Affiancare, ovvero soppiantare l'epos omerico arcaico con un epos nuovo, che pur non divulgando la verità filosofica nuda e cruda, cibo pericoloso per le bocche non pronte a riceverlo, proponesse in forma narrativa miti ad essa ispirati e con essa coerenti; fu questo, forse, il programma di Empedocle29.

Non si tratta, forse, però, di un vero e proprio programmatico sovvertimento del vecchio epos per un nuovo epos, Empedocle utilizza forme e strutture tradizionali per esporre contenuti filosofici in maniera naturale e spontanea, oscillando tra innovazione e tradizione, tra myhtos e logos.

Il coesistere di più radici ispiratrici non assume tuttavia un significato di sincretismo esteriore, ma rappresenta un punto a partire dal quale costruire quel discorso della conoscenza che, pur suggestionato e provocato dal mito, non trova più soltanto nel mito il nodo centrale30.

Le due dimensioni non potevano essere scisse; molte intuizioni di Empedocle nascono da un' attenta analisi razionale del mondo unita ad una forte capacità immaginifica. I due caratteri sono fusi in un sistema linguistico plastico, che alterna momenti di cripticità ad altri di maggiore trasparenza. Empedocle utilizza vari registri, le innovazioni ed i neologismi si incastrano in un sistema di richiami alla tradizione precedente dando origine ad un linguaggio molto creativo che trae dalla tradizione segnandone al tempo stesso la distanza.

27 Il. I 442

28 Bordigoni op.cit. p.274 29 Cerri, op. cit. p. 11

30 F. Montevecchi, “Empedocle tra mythos e logos”, in G. Casertano ( a cura di ) “ Empedocle tra poesia,

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Interessante è osservare come, in alcuni frammenti del poema, Empedocle ravvivi le tinte epiche del passato rievocando colori e atmosfere traslate in un contesto diverso, con floridezza e creatività linguistica. Osserviamo il fr. 96:

ἡ δὲ χθὼν ἐπίηρος ἐν εὐστέρνοις χοάνοισι τῶν δύο τῶν ὀκτὼ μοιρέων λάχε Νήστιδος αἴγλης τέσσερα δ ̓ Ήφαίστοιο τὰ δ'οστεα λευκὰ γένοντο ἁρμονίης κόλλῃσιν ἀρηρότα θεσπεσίηθεν

ed essa la generosa terra, nei suoi capaci seni,

di otto porzioni ne accolse due di loro, di nestide e luce ma quattro di Efesto; e si formarono così le ossa bianche divinamente compatte dal vincolo di amicizia

L'espressione ὀστέα λευκά γένοντο, che occupa la fine del verso 3, richiama decisamente l'inizio del seguente verso dell' Iliade:

ὀστέα λευκὰ λέγοντο κασίγνητοί θ᾽ ἕταροί τε 31

La scena descritta da Omero è quella della sepoltura di Ettore.

I Troiani per nove giorni raccolsero legna per il grande rogo in onore dell'eroe, poi portarono fuori, piangendo, il corpo di Ettore, lo misero in cima al rogo e accesero il fuoco.

Quando al mattino riapparve l'Aurora dalle dita di rosa, il popolo si raccolse attorno al rogo del nobile Ettore; quando si furono tutti riuniti insieme,

dapprima spensero il rogo col vino lucente,

dove prima c'era la furia del fuoco, poi i fratelli e i compagni raccolsero le ossa bianche

piangendo: copiose lacrime scorrevano per le guance. Dopo averle raccolte, le misero in una cassa dorata, avvolte da morbidi drappi di porpora,

e le deposero in una buca profonda,

ammassandovi sopra pietre grandi e fittissime. In fretta costruivano il tumulo...”32

Le due scene sono diametralmente opposte: nell'Iliade le ossa vengono sepolte sottoterra mentre nel poema di Empedocle le ossa vengono create da Cipride.

Tra le due scene, oltre il nesso citato, in cui c'è un cambiamento di verbo che riassume

31 Il. XXIV 793

32 In questo, come per gli altri versi dell' Iliade citati nello studio, ho utilizzato l'edizione tradotta da Guido Paduano ( Iliade, a cura di G.Paduano, Milano, 2007). Per i versi dell'Odissea mi avvarrò della traduzione di G. Aurelio Privitera ( Odissea, a cura di G.A. Privitera, Milano 2008).

(21)

proprio l'opposizione sepoltura-creazione (λέγοντο-γένοντο) possiamo vedere altre corrispondenze: il fuoco del rogo, la terra del tumulo e l'acqua delle lacrime, sono anche gli elementi con cui Cipride forma le ossa. Non a caso in questo frammento Empedocle utilizza, per indicare l'acqua, Nestide che è legata all'immagine delle lacrime (fr. 6), ed il termine aἴγλης, che indica la luce, per rappresentare l'aria (di solito indicata con ἀιθέρ) perché in Omero la presenza di Aurora rappresenta proprio la luce del nuovo giorno. Empedocle ha ripreso l'impianto omerico e, ponendolo sullo sfondo, lascia che sulla scena agiscano altri attori ed altre azioni.

I frammenti in cui sono descritti i primi stadi della formazione degli uomini, quello delle membra disperse e quello in cui le membra si uniscono casualmente tra di loro, sono tra le scene che più stimolano l'immaginazione del poeta e la sua creatività linguistica.

Troviamo infatti alcuni neologismi come ἀναύχην creazione di Empedocle; in precedenza sono presenti solo composti con – αύχην, come in Omero, per esempio, il nesso formulare ἐριαύχενες ἵπποι33 (cavalli superbi) e μουνομελή ( membra solitarie).

Anche in questo caso la tradizione dei poemi omerici è la base su cui si innalzano altre forme e concetti.

Fr. 57

ecco che molte teste sono germinate senza collo e si formavano braccia nude, sprovviste di collo e gli occhi singoli vagavano deserti della fronte. E ancora membra solitarie....

In questo stadio Neikòs, la forza disgregante, è ancora in azione, tiene separate e distinte le varie membra. Il passo è caratterizzato da vari termini che suggeriscono privazione; ἀναύχενες, εὔνιδες, πενητεύοντα, μουνομελή in contrapposizione con i termini dei frammenti seguenti che descrivono la combinazione casuale delle membra tra di loro: i verbi ἐμίσγετο e συμπίπτω che caratterizzano l'azione unificatrice e armonizzatrice di Afrodite ed una serie di composti formati con ἀμφί che indicano appunto l'unione tra due diverse forme.

Come nel frammento precedente della formazione delle ossa da parte di Afrodite, Empedocle si esprime attraverso immagini che evocano atmosfere dei poemi epici.

Ricordiamo, infatti, come diversi scenari di guerra nei poemi omerici vengano descritti , anche crudamente, con visioni di corpi smembrati dei guerrieri e di parti del corpo isolate e

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recise.

Il. XI 146

Ippoloco saltò giù e Agamennone lo colpì a terra,

tagliandoli con la spada le braccia, e troncandogli il collo, lo fece rotolare come un tronco in mezzo alla ressa

In Iliade XIII 615 troviamo l'immagine abbastanza cruenta degli occhi divelti dalle orbite:

e gli occhi insanguinati gli caddero davanti ai piedi

Evidenti corrispondenze troviamo leggendo Il. XIV 465 e seguenti:

Lo colpì all'unione tra la testa ed il collo, all'ultima vertebra, e recise ambedue i tendini; cadde, e la testa, la bocca ed il naso toccarono terra assai prima che le ginocchia e le gambe

Le braccia nude, poiché non attaccate alle spalle o alle mani, del frammento di Empedocle, ricordano le braccia recise dalla spada. L'immagine del collo senza testa è una delle più ricorrenti nell'epica, perché è quello il punto su cui si pianta la lancia, essendo la parte del corpo più vulnerabile, quella non protetta dall'elmo.

Il. XIII 177:

Il figlio di Telamone lo colpì con una lunga lancia

sotto l'orecchio, e ritrasse la spada; cadde come un frassino

E neanche è protetto dallo scudo che riesce a rimbalzare i colpi, rendendoli vani , Il. XIII :

Lo prese di mira Merione con la sua lancia splendente, e non mancò di coglierlo sullo scudo di pelle

rotondo, ma non lo trapassò perché molto prima si spezzò la lunga lancia all'estremità

E poco più avanti:

Ettore si slanciò a sua volta per strappare dal capo del magnanimo Anfimaco l'elmo; ma Aiace

(23)

ma in nessun punto la pelle era esposta;

era tutta coperta dal terribile bronzo; colpì al centro lo scudo e lo respinse con forza

Dunque nel frammento esaminato il filosofo sta affrontando un importante punto della sua teoria ed un importante momento del ciclo cosmico; la nascita dei primi esseri, la zoogonia.

Le parti che compongono gli esseri viventi germogliano dalla terra, si nota qui come Empedocle rimanga legato alla tradizione, considerando la frequenza nella mitologia greca di uomini nati dalla terra, basti pensare ai miti di Cadmo e di Deucalione.

Dopo che queste membra disperse vagano l'una separata dall'altra, continua la lotta di Contesa e Amicizia ed inizia il secondo stadio della zoogonia; le prime unioni di membra mortali, che danno vita a esseri mostruosi, strane figure caratterizzate, come nei modelli iconografici e letterari, da corpi frammisti di due diverse nature ( Minotauro, Echidna, Centauri) e membra moltiplicate ( Cerbero, Idra, Gerione), descritte nei particolari delle loro figure esagerate.

Queste membra si combinavano come a ciascuna capitava,

ed altre in aggiunta a quelle si producevano in grande numero continuamente così da generarsi molte forme con duplice volto e con duplice torace

bovine razze di torsi umani; ed altre all'incontrario insorgere umani stirpi di cervici bovine, qua di maschio frammiste e qua di femminea natura, così scolpite nelle parti ombrose.. . . .

Bovine zampe distorte con zoccolo indiviso 34

La spettacolarità della scena alimenta, ed a sua volta viene alimentata dalla creatività linguistica di Empedocle, che crea liberamente neologismi e gioca con la tradizione. Troviamo al verso 1 del fr. 61 gli aggettivi ἀμφιπρόσωπα e αμφίστερνα, neologismi empedoclei. Πρόσωπος si trova spesso isolato, sia nell'epica che nella lirica, sempre con epitheta ornantia35, mentre in Empedocle è usato per veicolare l'idea di mostruosità.

Se a livello zoogonico, a razze bovine con testa umana segue, al contrario, una razza umana con testa bovina, la lingua di Empedocle, come vedremo dal carattere imitativo, rovescia i composti, in una struttura a chiasmo studiata con cura:

βουγενῆ ἀνδρόπρῳρα τὰ δ ̓ ἒμπαλιν ἐξανατέλλειν

34 Emp. fr. 61; 60

35 καλὰ πρόσωπα in Il. XIX 285, Od. XV.332, Od.VIII 85. ἀργύριον πρόσωπον in Alcm.1.55

(24)

ἀνδροφυῆ βούκρανα μεμειγμένα τῇ μέν απ ̓ ανδρῶν

Le coppie compaiono ad inizio verso, i primi membri dei quattro composti sono uguali βου - ἀνδρο ma le coppie, scambiandosi parallelamente, assumono valore diverso; la prima indica un essere con natura bovina, mentre la seconda coppia indica esseri con natura umana.

I secondi membri, indicano una parte del corpo di questi mostri che ha una natura differente, umana e bovina.

Il nesso βουγενῆ ἀνδρόπρῳρα indica un essere bovino con volto umano. Il secondo termine contiene una metafora, che avvicina la prua al volto. In Omero il termine πρῷρα mantiene il significato non metaforico, cioè prua. In Eschilo36 troviamo un uso traslato di

questo termine, che indica metaforicamente il volto.

Il termine ἀνδρόπρῳρα del frammento di Empedocle indica il volto umano di un essere dalla duplice natura. Il processo che porta πρῷρα dal significato di prua a quello metaforico di volto si completa in Empedocle, il neologismo empedocleo è creato sulla base delle sue diverse occorrenze nella tradizione poetica precedente.

Nel composto ἀνδρόπρῳρα di Empedocle il termine non è più metaforico; πρῷρα non è che il volto umano di un essere di doppia natura, umana e taurina.

Un termine come ἀνδρόπρῳρα è un esempio della stratificazione alla base del sistema linguistico empedocleo e di come la tradizione letteraria precedente si modifichi in contesti nuovi o inusuali.

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La perenne lotta di Φιλότης e Νεῖκος

Nel fr. 17 sono presentate le basi della teoria fisica di Empedocle e le linee guida del suo discorso. La complessità del frammento è rilevante. Viene descritto il ciclo cosmico in termini generali: l'alternarsi di uno e molteplice legato alla lotta tra Amore ed Odio, la natura delle quattro radici e delle due forze alla base del ciclo di unione e separazione. La vicenda cosmica ha un carattere ciclico dominata dalla dialettica uno-molti ed è caratterizzata dall'alternanza di una fase statica, quella dello Sfero e di una fase dinamica. Nello Sfero gli elementi, completamente fusi tra loro, non sono distinguibili: Amore domina in maniera assoluta. In altri frammenti così Empedocle descrive lo Sfero, la divinità che gode della sua completa solitudine e che abbraccia ogni cosa, l'unità di tutti gli elementi fusi in maniera indistinguibile ed in perfetta armonia da Amore:

Fr. 27

Li (nello Sfero) non c'è la smagliante specie del sole che atterrisce né c'è neppure la villosa genia della terra né mare

Fr. 28

ma da ogni parte è uguale, e senza confini per ogni dove, lo sfero circolare che gode della ricurva unicità

Quando Amore posizionatosi al centro dello Sfero domina, Odio è relegato ai margini estremi: “At this stage the Sphere is permeated through and through by Love, and Strife has been driven to its furthest limits37.

Empedocle sottolinea la diversa posizione delle due forze in relazione allo Sfero, la forza di Amore è “coagulante” e perciò si instaura tra gli elementi:

νεῖκός τ ̓οὐλόμενον δίχα, τῶν ἀτάλαντον ἃπαντι καὶ φιλίη μετὰ τοῖσιν ἴσον μῆκός τε πλάτος τε38

Contesa, invece, è separata dalle cose al di fuori dello Sfero. Amicizia sta nelle cose riducendole all'unità, in un momento successivo l'Odio comincia a riaffermarsi, “ striscia

37 Guthrie, History of Greek philosophy, Cambridge, vol II, 1965 p.169 38 Emped. fr. 17

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nelle membra dello Sfero, riprende i suoi onori e comincia ad avere a sua volta il predominio”39 e porta gli elementi completamente mescolati nello Sfero a separarsi e a

ricostituirsi.

Αὐτὰρ ἐπει μέγα νεῖκος ἐνὶ μελέεσσιν ἐρέφθη ἐς τιμάς τ ̓ ἀνόρουσε τελειομένοιο χρόνοιο ὅς φιν ἀμοιβαῖος πλατέος παρελήλαται ὄρκου40

Ma quando dentro le membra il forte astio si è messo al coperto ed è salito agli onori, in quel termine di tempo

che per essi a turno è definito da dettagliato giuramento

Gallavotti sottolinea che il verbo ἐρέφθη, da ἐρέφω coprire (con un tetto), indica che l'azione di Astio inizia non dal centro, come quella di Concordia, ma all'estremo, “ sotto il tetto (metaforicamente) di quella costruzione che è lo Sfero”41 .

Le due forze di Amore e Odio sono sempre state e sempre saranno, ed il loro processo oppositivo è ciclico e inarrestabile, per questo motivo nel frammento 17 Empedocle può scrivere che gli elementi, le quattro radici, in qualche modo sono instabili per la loro continua unione e separazione e che il loro carattere è duplice. La loro vita nel corso del tempo non è eterna quando danno vita ai corpi mortali, ma, al tempo stesso, tramutandosi di continuo e in eterno nel corso dei cicli cosmici, questi elementi sono inamovibili.

Nei versi 7 e 8 del fr. 17 compaiono i due termini che definiscono le due forze alla base della fisica Empedoclea: φιλότης e νεῖκος. Questi due elementi operano in maniera continua ed opposta, per cui gli elementi non possono trovarsi mai in uno stato permanente di unione o separazione:

ἂλλοτε μὲν φιλότητι συνερχόμεν εἰς ἓν ἃπαντα ἂλλοτε δ'αὖ δίχ ̓ ἓκαστα φορεύμενα νείκεος ἔχθει a volte concorrendo tutti quanti nell'uno per la concordia,

a volte poi dalla disfidia dell'astio ciascuno per vie distinte separato.

Φιλότης e νεῖκος sono termini che testimoniano, ancora di più, la componente poetica dell'ispirazione del filosofo; ricorrono spesso nei poemi omerici e, nel caso di Afrodite e di φιλότης, all'interno del poema del fisico i termini ricorrono anche in precise sedi esametriche, proprio secondo l'uso formulare epico. Afrodite al nominativo si trova in fine di verso nei frammenti 22.5 e 71:

39 R. Laurenti, Empedocle, Napoli 1999, p. 175 40 Emped. fr 30

(27)

ἀλλήλοις ἔστερκται ὁμοιωθέντ ̓ Ἀφροδίτ

τοῖ ̓ ὅσα νυν γεγάασι συναρμοσθέντ Ἀφροδίτ

Si nota come occupi la stessa posizione in Il. II 820 e III 374:

Αἰνείας, τὸν ὑπ᾽ Ἀγχίσῃ τέκε δῖ᾽ Ἀφροδίτη

εἰ μὴ ἄρ᾽ ὀξὺ νόησε Διὸς θυγάτηρ Ἀφροδίτη

Mentre φιλότης al genitivo o al dativo si trova tra la cesura trimemimere e quella femminile.

Fr. 17.7

ἂλλοτε μέν φιλότητι συνερχόμεν εἰς ἃπαντα

Fr. 20.2

ἂλλοτε μέν φιλότητι συνερχόμεν εἰς ἓν ἃπαντα

Per quanto riguarda i termini che definiscono le due forze, in un passo in particolare dell'Odissea 42 sono già contrapposti a breve distanza tra loro; Atena cerca di convincere

Zeus a far riconciliare, a mettere la pace ( φιλότητα ) tra, Odisseo ed i parenti dei Proci, la dea, poi, simile a Mentore per l'aspetto e per la voce, incita Odisseo a smettere la mischia di guerra che tutti livella: “νεῖκος ὁμοίου πτολέμοιο”.

Emile Benveniste43 nel suo studio concernente il lessico delle civiltà indo-europee

analizza una serie di termini, tra cui φιλίη e φιλότης. Dai contesti in cui i termini compaiono, lo studioso postula che il significato principale sia relazionale e sociale e abbia valore di un patto che non presuppone l'amicizia, un patto non tra φίλοι. Non sarebbe, perciò, principalmente un termine della sfera affettiva, ma indicherebbe una tregua, un patto, in un contesto di conflitto non esclusivamente armato.

42 Od. XXIV 476- 543

43 E.Benveniste Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, edizione italiana a cura di M. Liborio, vol.I, Torino 1976.

(28)

Il. VII 299-302

su scambiamoci ora magnifici doni tra noi, sì che possa dire chiunque fra i teucri e gli achei: è vero che i due si sono scontrati in duello mortale,

ma poi in amicizia congiunti si sono divisi( ἠδ' αὖτ' ἐν φιλότητι διέτμαγεν ἀρθμήσαντε)

In Iliade IV 15- 16 φιλότης compare in opposizione con πόλεμος

(..) se solleveremo tra loro di nuovo la guerra funesta

e la battaglia (κακόν) o stabiliremo tra loro amicizia (φιλότητα)

Molti, però, sono i passi omerici in cui emergono anche le connotazioni affettive di φιλότης, che viene usato in riferimento a relazioni tra due individui, a carattere amoroso o amicale.

Il. III 453:

οὐ μὲν γὰρ φιλότητί γ᾽ ἐκεύθανον εἴ τις ἴδοιτο

se lo vedevano non gliel'avrebbero certo nascosto per amicizia

In Il. III 441 Elena, spinta da Afrodite dopo il duello tra Menelao e Paride, ritorna da quest'ultimo che così a lei si rivolge:

ἀλλ ̓ ἂγε δὴ φιλότητι τραπείομεν εὐνηθέντε Ma su, ora mettiamoci a letto, godiamo di noi

Il. XIV 235-237

κοίμησόν μοι Ζηνὸς ὑπ᾽ ὀφρύσιν ὄσσε φαεινὼ αὐτίκ᾽ ἐπεί κεν ἐγὼ παραλέξομαι ἐν φιλότητι.

Addormenta sotto le ciglia gli occhi splendenti di Zeus quando io mi sarò unita a lui nell'amore

Φιλότης non è l'unico termine con cui Empedocle indica la Concordia. Nel fr. 17.24 Empedocle scrive:

ma la concordia , tu mirala con la mente: non rimanere stupefatto con gli occhi.

(29)

Anche in mortali membra si ritiene ch' essa si generi,

ed è così che la gente nutre pensieri affettuosi, e compie azioni amorose, chiamandola con i nomi di Gioia (γηθοσύνη ) e di Afrodite; ma nessuno ha imparato che turbina con tanta massa degli elementi

Afrodite è conosciuta da ogni greco quale divinità dell' Olimpo che soggioga dèi e uomini:

Musa cantami le opere dell'aurea Afrodite

la dea di Cipro, che suscita dolce desiderio negli dèi e soggioga le razze degli uomini mortali44

ma non è individuata da loro come principio cosmico. Afrodite è la potenza che aggrega e mescola insieme le radici, è la forza che le spinge a desiderarsi e ad unirsi. Afrodite porta tra gli uomini pensieri amorevoli e, nel mondo, amore, unione e gioia: per questo il principio cosmico è anche γηθοσύνη, termine che troviamo in Iliade XXI 390 in contrapposizione con ἔρις (appartenente, come vedremo, alla sfera di Νεῖκος):

ἀμφὶ δὲ σάλπιγξεν μέγας οὐρανός. ἄϊε δὲ Ζεὺς ἥμενος Οὐλύμπῳ: ἐγέλασσε δέ οἱ φίλον ἦτορ γηθοσύνῃ, ὅθ᾽ ὁρᾶτο θεοὺς ἔριδι ξυνιόντας. ... e Zeus ascoltava

assiso sull'olimpo e in lui il cuore rideva di gioia, quando vide gli dèi azzuffarsi con ira

Oltre γηθοσύνη, nel poema di Empedocle troviamo altri termini con cui viene definito questo principio cosmico: φιλίη, Κύπρις e στοργή, sebbene dai frammenti si noti una preferenza del poeta per φιλότης e per Ἀφροδίτη, rispetto ai sinonimi, rispettivamente στοργή e Κύπρις.

Il termine Neikos, al contrario, appartiene al linguaggio tipico della lotta, dell'odio ed anche del disaccordo.

Il. XXIII 483

Αἶαν νεῖκος ἄριστε κακοφραδὲς ἄλλά τε πάντα Aiace tu sei il migliore nella rissa

Il. VII 95

ὀψὲ δὲ δὴ Μενέλαος ἀνίστατο καὶ μετέειπε ‘νείκει ὀνειδίζων, μέγα δὲ στεναχίζετο θυμῷ:

(30)

(..) finché si alzò Menelao rimbrottandoli con aspre parole

Il. IV 444

ἥ σφιν καὶ τότε νεῖκος ὁμοίϊον ἔμβαλε μέσσῳ

Essa (Atena) scagliò in mezzo a loro lo scontro feroce per tutti

Il. II 376

ὅς με μετ᾽ ἀπρήκτους ἔριδας καὶ νείκεα βάλλει. Ma a me Zeus signore dell'Egida ha dato dolori, e mi getta in dispute e vani litigi

Il campo d'azione di Neikos è il conflitto, è quindi questa atmosfera che Empedocle evoca descrivendo le conseguenze del suo agire. Gli altri termini con cui il filosofo indica ciò che genera Neikos sono riconducibili al linguaggio tradizionale e legati alla contesa ed all'odio, come κότον ed ἔρις. Κότος compare in Empedocle al fr. 21.7 ed anche in Omero.

ἐν δὲ κότῳ διάμορφα ἄνδιχα πάντα πέλονται Durante l'odio tutto è distorto e contrastante

κρείσσων γὰρ βασιλεὺς ὅτε χώσεται ἀνδρὶ χέρηϊ: εἴ περ γάρ τε χόλον γε καὶ αὐτῆμαρ καταπέψῃ, ἀλλά τε καὶ μετόπισθεν ἔχει κότον, ὄφρα τελέσσῃ, ἐν στήθεσσιν ἑοῖσι: σὺ δὲ φράσαι εἴ με σαώσεις45.

è troppo più forte un re quando si adira con un uomo qualunque se anche per un giorno inghiotte la collera ,

poi conserva il rancore dentro il suo animo finché può sfogarlo: tu pensa se mi salverai

Il. VIII 449

οὐ μέν θην κάμετόν γε μάχῃ ἔνι κυδιανείρῃ ὀλλῦσαι Τρῶας, τοῖσιν κότον αἰνὸν ἔθεσθε. Non vi siete stancate nella battaglia gloriosa a distruggere i Troiani, per cui nutrite tanto odio

(31)

Νεῖκος si manifesta nelle maligne contese (ἔρις ), nel fr. 20 Empedocle scrive: (..) ciò si palesa chiaramente dentro il volume delle membra umane:

a volte per la concordia concorrendo nell'unità tutte quante le parti, che come corpo costrutto hanno vita fiorente in rigoglio, ed a volte invece spartite da maligne contese (κακῇσι ἐρίδεσσι) si perdono contrastanti ciascuna ai margini della vita

Nel fr. 27 il filosofo così descrive lo Sfero:

non subbuglio, non è ammessa contesa (ἔρις ) nelle sue membra

Le cose sotto il dominio di Neikos, diventano λυγρὰ , luttuose. Termine che in Omero si riferisce alla morte, alla vecchiaia, agli affanni “ἄλγεα λυγρὰ”. Tutto il contrario della sfera semantica di γηθοσύνη. Empedocle definisce, dunque, due distinti campi di azione per φιλότης e per νεῖκος e come abbiamo visto non utilizza una terminologia filosofica o tecnica, ma attinge dal vocabolario poetico della tradizione.

Queste forze, inoltre, non sono esclusivamente fisiche e meccaniche; il microcosmo ed il macrocosmo sono governati da questi principi che sono anche psicologici. Per questo Empedocle utilizza diversi termini per identificare i due principi: la loro azione è universale, non è delimitata ad un solo piano di azione. Guthrie scrive: “It's useless to argue whether the action of these power is physical or psychological, for it's is both”46

Empedocle nel frammento 22 descrive le conseguenze delle loro azioni: E così quindi, quei corpi che sono meglio forniti per la mescolanza si piacciono l'un l'altro, assimilati per opera di Afrodite

ma molti corpi nemici, che fra loro moltissimo distano per la loro generazione e mescolanza e per le forme espresse, sono inadatti a comporsi interamente e sono molto affranti per i voleri dell'astio che sconvolge la loro generazione

Nel frammento notiamo la presenza del verbo στέργω che significa “provare affetto”, “amore” e del sostantivo ἐχθρὰ, “nemici” : sono entrambi termini usati nell'ambito delle relazioni umane, di affetto e odio, qui invece sono utilizzati da Empedocle per descrivere l'attrazione e la repulsione degli elementi tra loro.

Tornando alle occorrenze di φιλότης nei poemi omerici, troviamo spesso il termine legato

(32)

al verbo μίγνυμι, ricorrente anche nel poema Περὶ φύσεως, in relazione ad atti di unione di carattere essenzialmente sessuale.

In Il. 6 161

τῷ δὲ γυνὴ Προίτου ἐπεμήνατο δῖ᾽ Ἄντεια κρυπταδίῃ φιλότητι μιγήμεναι: ἀλλὰ τὸν οὔ τι πεῖθ᾽ ἀγαθὰ φρονέοντα δαΐφρονα Βελλεροφόντην. Con lui bramò follemente la moglie di Preto, la splendida Antea, d'unirsi in amore furtivo, ma non lo persuase il saggio Bellerofonte che aveva onesti pensieri

In questo passo troviamo il nesso φιλότητι μιγήμεναι così come in molti altri luoghi dei poemi omerici47. I due termini insieme, spesso con la struttura formulare ἐν φιλότητι

μιγήμεναι, indicano le unioni sessuali.

Anche nella Teogonia di Esiodo, nella descrizione della costituzione del pantheon, quasi in ciascuna nascita troviamo questo nesso:

Theog. 378-379 Κρείῳ δ ̓ Εὐρυβίη τέκεν ἐν φιλότητι μιγεῖσα Άστραῖόν τε μέγαν Πάλλαντά τε δῖα θεάων Theog. 405 Φοίβη δ ̓ αὖ Κοίου πολυήρατον ἦλθεν ἐσ εὐνήν κυσαμένη δἢπειτα θεά θεοῦ ἐν φιλότητι Λητὼ κυανό πεπλον ἐγείνατο μείλιχον αἰεί Theog. 605 Αλλά σφεας Κρονίδησ τε καὶ ἀθάνατοι θεοὶ αλλοι οὓς τέκεν ἠυκομος Ρείη Κρόνον ἐν φιλότητί Γαίης φραδμοσύνῃσιν ἀνήγαγον ἐς φαος ἇυτις

Il principio Empedocleo, Amore, non agisce solo tra esseri femminili e maschili facendo così scaturire la lunga serie di procreazioni che è al centro della trattazione della Teogonia:

(33)

da questa concezione tradizionale, però, Empedocle ricava sia l'impianto concettuale e, soprattutto, quello linguistico. Afrodite è la forza dell'amore che agisce tra gli uomini, tra gli esseri viventi in generale ed a livello cosmico spingendo alla mescolanza gli elementi. Il termine φιλότης , però, proprio perché peculiare della tradizione poetica precedente non potrebbe da solo significare altro, e cioè la forza di aggregazione dei quattro elementi, base della fisica empedoclea. É con il suo ricorso nelle diverse parti del poema, in vicinanza ad altri termini appartenenti ad una determinata sfera semantica e in opposizione ad altri termini connotati diversamente che il suo valore si completa: il messaggio di Empedocle non si cela dietro una sola parola.

Si spiega così anche l'uso cospicuo della polinomia; utilizzando più termini per designare la forza creatrice che opera sui quattro elementi il filosofo ne connota la potenza universale e cosmica che agisce su diversi livelli: Bollack scrive “ plus les noms sont nombreux plus ils catent de sens”48. Un solo termine avrebbe in qualche modo delimitato il campo di azione di

Afrodite, che invece è universale. Con il ricorrere all'interno del Περὶ φύσεως di espressioni simili e termini con la stessa radice, Empedocle mostra la presenza, in ambiti e livelli differenti , dietro ogni fenomeno, dell'azione di Amore. Solo in relazione all'intero contesto dell'opera il quadro in cui agisce φιλότης si completa.

3.1 Il lessico di Amore

Caratteristiche linguistiche del campo di azione di Afrodite sono il suffisso σύν, termini formati dalla radice *αρ, i termini μίγνυμι e μῖξις e i loro composti.

Il frammento 17 è il più lungo tra i frammenti empedoclei e delinea sommariamente la vicenda del ciclo cosmico. Qui troviamo il verbo συνέρχομαι che esprime l'unione degli elementi ad opera di Amore:

ἂλλοτε μέν φιλότητι συνερχόμεν εἰς ἓν ἃπαντα

a volte concorrendo tutti quanti (gli elementi) nell'uno per la concordia

Al fr. 20 Empedocle ripete esattamente lo stesso verso; in questo caso però il verbo esprime il concorrere degli elementi nella formazione delle membra umane. La ripetizione

48 J. Bollack, Empèdocle, vol. 1 Introduction à l' ancienne physique; vol. 2 Les origines: édition et

traduction del fragmentes et des tèmoignages; vol 3 Les origines parts 1 e 2 :commentaire, Parigi

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