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Valutazione dell'efficacia dell'uso di concimi a rilascio controllato per la coltivazione di piante aromatiche in vaso nella piana di Albenga

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

Corso di Laurea Magistrale in Produzioni Agroalimentari e Gestione

degli Agroecosistemi

VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DELL’USO DI

CONCIMI A RILASCIO CONTROLLATO PER LA

COLTIVAZIONE DI PIANTE AROMATICHE IN VASO

NELLA PIANA DI ALBENGA

Candidato:

Matteo Orlando

Relatori:

Chiar.mo Prof. Alberto Pardossi

Chiar.mo Dr. Luca Incrocci

Anno Accademico 2016-2017

Correlatore :

Chiar.mo Prof. Fernando

Malorgio

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Ai miei nonni, ai miei genitori e a mio fratello,

grazie ai quali sono la persona che sono e ai quali

posso dire solo un sincero grazie.

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Dichiarazione

Con la presente affermo che questa tesi è frutto del mio lavoro e che, per quanto io ne sia a conoscenza, non contiene materiale precedentemente pubblicato o scritto da un'altra persona né materiale utilizzato per l’ottenimento di qualunque altro titolo o diploma dell'università o altro istituto di apprendimento, a eccezione del caso in cui ciò venga riconosciuto nel testo.

Matteo Orlando

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Ringraziamenti

In questi ultimi due anni di studio universitario, ho potuto consolidare le mie conoscenze nell’ambito delle produzioni agrarie; settore che ritengo di primaria importanza al fine di perseguire molte delle sfide future (aumento demografico, cambiamenti climatici) che dovremo affrontare, coesistendo e limitandone gli effetti.

Numerosi sono gli obiettivi dei protocolli ambientali sottoscritti da molti paesi, ed è stato questo il principale motivo, per cui ho intrapreso l’attività sperimentale di questa tesi, al fine di studiare una possibile soluzione per ridurre i danni ambientali causati dalla coltivazione delle produzioni orto-florovivaistiche in un territorio a me tanto caro, la Liguria.

Il merito dei miei studi universitari è della mia famiglia, che per lunghi 5 anni mi ha supportato e sopportato in momenti difficili, per questo rivolgo un sentito grazie. Insieme, abbiamo dovuto affrontare momenti inaspettati che fanno parte della vita, ma che hanno portato a rafforzare il nostro nucleo familiare, anche grazie alla vicinanza dei nostri amici, a cui rivolgo un semplice grazie.

Vivi ringraziamenti vanno ai miei relatori (Prof. Pardossi A. e Dr. Incrocci L.) e al mio correlatore (Prof. Malorgio F.), che mi hanno consigliato in questo periodo di studio e aiutato nella stesura di questa tesi; un appassionato lavoro è stato svolto dall’Azienda Lanzalaco e da tutti i tecnici (Dr. Botrini L., Dr.ssa Carmassi G. e Dott.ssa Maggini R.) dell’Unità di Ricerca in Orticoltura e Floricoltura, di cui li ringrazio.

Per finire, voglio ringraziare Pasquale Restuccia, agronomo, che mi ha consigliato di intraprendere questo percorso di studi presso l’ateneo di Pisa e di iniziare questa tesi sperimentale, aiutandomi nel completamento dell’analisi tecnico-economica.

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Sommario

PREMESSA ... 3

CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE ... 4

1.1. La piana di Albenga e le sue produzioni ... 4

Descrizione Geografica: ... 4

Il clima di Albenga: ... 5

Storia Agricola della Piana di Albenga ... 6

Produzioni Locali ... 8

Scenario Economico-Produttivo delle Piante Aromatiche ... 8

Produzione di piante officinali in Italia e nella piana di Albenga ... 10

1.2 Il problema dell’inquinamento agricolo da nitrati e inserimento di Albenga in ZVN ...14

Il Ciclo dell’Azoto... 14

Eutrofizzazione ... 17

La Direttiva Nitrati nazionale ... 18

Direttiva Nitrati Regione Liguria ... 20

Cartografia delle ZVN liguri ... 20

Qui di seguito si riportano le cartografie delle ZVN della Liguria, identificate dalla delibera 1047/2016 della Regione Liguria. ... 20

Programma di azione nitrati ... 23

1.3. La tecnica colturale albenganese ...23

1.4 Tecniche innovative per la riduzione dell’impatto ambientale nella produzione di aromatiche ...26

Substrato ... 28

Gestione dell’irrigazione nelle coltivazioni florovivaistiche in contenitore ... 31

Ottimizzazione della gestione idrica ... 33

Calcolo del volume irriguo ottimale ... 34

Calcolo della frequenza irrigua ... 37

La gestione della fertilizzazione ... 40

Concimi a Lento Rilascio (CLR)... 43

Concimi a rilascio controllato (CRC) ... 44

Concimi stabilizzati ... 46

CAPITOLO. 2 – PARTE SPERIMENTALE ... 49

2.1. Scopo della tesi ...49

2.2. Materiali e metodi ...50

2.2.1 Descrizione della prova sperimentale svolta a Pisa presso il DiSAAA-a ...50

2.2.2 Descrizione della prova sperimentale svolta ad Albenga ...55

2.2.3 Misure effettuate ...57

Rilievi biometrici ... 57

Analisi chimiche sulla sostanza secca ... 57

Bilancio idrico ... 57

Rilevamento dati climatici. ... 58

Analisi economica. ... 58

2.3. Risultati e discussione...59

Dati climatici ... 59

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2.3.2. Risultati della prova sperimentale presso il DiSAAA-a Pisa ...67

Analisi di crescita e contenuto di elementi minerali nella sostanza secca. ... 67

Nutrienti persi per lisciviazione ... 75

Indagine economica sul costo dei vari trattamenti di concimazione ... 80

2.4 Discussione ...82

2.5. Conclusioni ...84

BIBLIOGRAFIA CONSULTATA E CITATA ...86

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PREMESSA

Negli ultimi 30 anni, l’applicazione di concimazioni non bilanciate alle effettive necessità nutrizionali delle colture, unite ad eccessive irrigazioni, hanno provocato nella piana di Albenga (SV) un diffuso innalzamento del contenuto di nitrati nelle risorse idriche della zona, tanto che la piana di Albenga è stata dichiarata ZVN (Zona Vulnerabile Nitrati). Questo perché soprattutto per le colture ortofloricole, il costo del concime è piuttosto basso rispetto al valore della eventuale possibile perdita produttiva. Molti coltivatori della zona, basandosi sul principio “Melius abundare quam deficere”, erano (e alcuni lo sono ancora oggi) convinti che dare abbondanti quantità di concime facesse crescere meglio le piante: in realtà, l’eccessiva perdita di nutrienti per lisciviazione, soprattutto nella coltura in vaso, ha creato dei danni ambientali, non facili da rilevare specie nel breve periodo. Per tali ragioni, oggi è opportuno stabilire delle regole che incentivino la corretta fertilizzazione assieme ad una buona gestione dell’irrigazione. Lo scarso buffer idrico e nutritivo, tipico delle piante coltivate in vaso, unito a substrati caratterizzati da un forte potere drenante, ha favorito forti perdite per lisciviazione di nutrienti e di acqua nelle coltivazioni in vaso. Per tutte queste ragioni, il Progetto SEGIF (Sviluppo di un sistema Esperto per la Gestione dell’Irrigazione, Fertilizzazione e controllo fitopatologico in floricoltura), realizzato dalla cooperativa FLOR-COOP in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-Ambientali dell’Università di Pisa, ha voluto estendere la propria ricerca di ottimizzazione, oltre che all’irrigazione, anche alla concimazione delle piante in contenitore. Nell’ambito della fertilizzazione, il progetto SEGIF ha permesso di chiarire quali siano le esigenze nutrizionali delle principali specie aromatiche coltivate nella piana di Albenga, indicando che un metodo per aumentare facilmente l’efficienza della concimazione delle piante aromatiche coltivate in vaso potrebbe essere quello di utilizzare concimi a lenta cessione, che comprendono diverse tipologie come: concimi stabilizzanti con inibitori della nitrificazione, concimi a rilascio controllato (CRC) oppure concimi a lento rilascio (CLR).

Nel mio elaborato di tesi, ho voluto approfondire questo tema: nella prima parte della tesi ho descritto lo scenario di riferimento della coltivazione di piante aromatiche ad Albenga e quali sono i fattori responsabili della bassa efficienza idrica e dell’uso di fertilizzanti, illustrando anche il meccanismo di azione di nuovi concimi a rilascio più o meno controllato.

Nella seconda parte della tesi si descriverà il lavoro sperimentale svolto per verificare

l’efficacia di concimi a rilascio controllato sia sulla riduzione dell’impatto ambientale, sia sulla crescita di due piante aromatiche in vaso tipicamente coltivate nella zona di Albenga: il

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Capitolo 1 – INTRODUZIONE

1.1. La piana di Albenga e le sue produzioni

Descrizione Geografica:

Albenga è una cittadina di 24213 abitanti (10-06-2017 https://it.wikipedia.org/wiki/Albenga), situata nella provincia di Savona (Riviera Ligure di Ponente). La città è attraversata dal fiume Centa, il quale nel corso dei secoli tramite i suoi detriti, ha dato origini alla piana alluvionale, caratterizzata da una forte variabilità granulometrica nelle varie zone che la compongono.

La piana di Albenga è estesa su una superficie di circa 45 Km²; seppur piccola rispetto alle altre pianure presenti sul territorio nazionale, questa, insieme alla piana del fiume Magra (SP), rappresenta la pianura più estesa della costiera Ligure.

Fig. 1.1. La piana di Albenga in una foto aerea (Fonte: Bing Maps).

Sin dai tempi più antichi, Albenga è il centro più importante per le attività produttive e commerciali della Piana, ma queste sono anche ben presenti anche nei limitrofi comuni di Ceriale, Cisano sul Neva e Ortovero.

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Il clima di Albenga:

In generale, la Liguria ha un clima mediterraneo su tutto l’arco costiero, mentre nell’entroterra presenta un clima più rigido, tipico dell’arco Alpino ed Appenninico.

La riviera Ligure di Ponente, grazie all’arco Alpino, che la protegge dai freddi venti del nord e al tempo stesso mantiene nella zona il calore rilasciato nei mesi invernali dal mar Ligure, presenta un clima maggiormente mite rispetto alla riviera Ligure di Levante, tanto da favorire lo sviluppo di coltivazioni in serra di fiori e ortaggi nel periodo invernale.

Nella tabella 1.1 sono riportati i dati climatici medi ottenuti da un’analisi trentennale (1961-1990): la temperatura media nel mese più freddo (Gennaio) si attesta intorno ai 6 °C, mentre nel mese più caldo (Luglio), la temperatura media è di 23 °C. Nel trentennio analizzato, la temperatura minima media è di -6,5 °C, mentre la temperatura massima assoluta media si attesta sui 34 °C (Fig. 1.2).

Tabella 1.1. Dati climatici città di Albenga (SV) (Fonte: climate-date.org).

Parametri Albenga-(SV) Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Media anno Temperatura media (C°) 6 7 9 12 16 19 23 22 19 15 10 7 14

Temperatura max (C°) 12 12 15 17 21 25 29 28 25 21 16 13 20 Temperatura min. (C°) 0 1 3 6 10 13 16 16 13 9 4 1 8 Pioggia cumulata (mm) 101 90 90 82 76 38 21 43 55 106 97 79 878

Le precipitazioni medie annue sono superiori agli 850 mm distribuite in circa 63 giorni, con minimo relativo in estate e picco in autunno-inverno. L’umidità relativa media annua e di circa il 76,3%, il minimo presente nel mese di marzo con valori intorno al 72 % e il massimo nel mese di Aprile con valori vicini al 80%.

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Fig. 1.2. Grafico delle precipitazioni e delle temperature medie di Albenga, (anni 1961-1990) (Fonte: climate-date.org).

Storia Agricola della Piana di Albenga

La piana di Albenga è detta anche piana Ingauna, dal nome di una piccola tribù di pirati, detta Ingauna, che già nel VI secolo a.C. risiedeva in questa pianura e che fu sconfitta dai Romani nel 181 a.C..

L’impero Romano portò benessere anche ad Albenga (Albingaunum), che potenziò la cittadina costruendo le terme, ville romane, l’anfiteatro ma soprattutto il porto. L’impero Romano consolidò l’area in quanto la città di Albenga, per la sua posizione strategica, vedeva il passaggio di molti mercanti diretti nella vicina Francia (Gallia) o nelle altre province romane dell’attuale Nord Italia. In questo periodo, molti dei terreni della pianura vennero sfruttati per produrre ortaggi; tuttavia questa attività era solamente secondaria per la popolazione, poiché molti suoli erano acquitrinosi a causa di una scarsa canalizzazione delle acque del fiume Centa.

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Fig. 1.3. Centro Storico di Albenga (Fonte: Comune di Albenga).

Nel Medioevo, in particolar modo nella prima parte, la città assunse lo stile architettonico, che oggi la definisce la “Città delle Cento Torri” e una crescente attività economica. Anche l’attività agricola, venne incrementata, orti e frutteti vennero coltivati vicino alla città, zone a seminativo e pascoli nella parte pianeggiante più arretrata mentre vigneti sulle prime colline. Nel corso dei secoli, il fiume Centa abbandonò il suo vecchio alveo, ormai invaso dai detriti alluvionali, e cambiò il suo corso; la piana, soggetta a numerose inondazioni, divenne acquitrinosa e vi si diffuse la coltivazione e la macerazione della canapa, che però rendeva malsano l’ambiente. In collina si affermava soprattutto l’olivicoltura, e alcuni centri abitati in pianura furono abbandonati.

Seguirono anni di profonda crisi, anche a causa delle continue guerre tra Guelfi e Ghibellini, contro Pisa e per ultimo la guerra tra Genova e i Visconti che nel 1432 portarono all’assedio di Albenga.

Nel XIX secolo il dominio Sabaudo del Regno di Sardegna, tramite il conte Camillo Benso di Cavour portò la costruzione di molte strade che collegavano Albenga a Torino, oltre alla bonifica della Piana. Nel 1872 con la messa in funzione della linea ferroviaria Genova- Ventimiglia e alla crescente industrializzazione di Genova, molti contadini della Val Polcevera, migrarono nella Piana di Albenga, intensificando l’attività agricola per la produzione di ortaggi e frutta che divenne, anche con l’impiego di serre in vetro, altamente specializzata e tuttora in corso.

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Fig. 1.4. I “Quattro d’Albenga”(Fonte: www.ortifrutticola.it cooperativa ortofrutticola Albenga).

Produzioni Locali

Nel XX secolo l’attività agricola Ingauna si è concentrata principalmente sugli ortaggi: ad esempio i carciofi e gli asparagi sono i prodotti più rinomati, ma sono coltivati anche i cavoli, gli ortaggi a foglia larga (insalate, bietole, spinaci), le zucchine, le patate, i pomodori, le carote e i porri. Importante è anche la produzione di frutta (come ad esempio, le pesche e le albicocche di Valleggia), di vino (es. Pigato e il Vermentino Ligure), di olio e miele con prodotti rinomati in tutta la Liguria.

A partire dagli anni 60-70, l’attività floricola prese soppravvento, grazie alla vicinanza di Sanremo. Particolarmente coltivate furono la margherita di Albenga e i crisantemi fino a passare alle piante in vaso (ciclamini e stagionali) e alla coltivazione di aromatiche come il basilico. Negli ultimi 10 anni la produzione albenganese ha visto un aumento nella produzione in vaso di aromatiche (salvia, rosmarino, timo, origano ecc) e di ortaggi, soprattutto l’asparago Violetto, il carciofo Spinoso, il pomodoro Cuore di Bue e la zucchina Trombetta. A questi sono dedicate molte feste locali e l’appellativo “ I Quattro di Albenga” (Fig.1.4).

Scenario Economico-Produttivo delle Piante Aromatiche

Per pianta aromatica si intende una specie vegetale in grado di produrre metaboliti secondari, principalmente oli essenziali, atti a svolgere attività contro i patogeni, erbivori o per attrarre gli insetti pronubi.

Il termine pianta aromatica è comunemente confuso col termine pianta officinale: in realtà vi è una distinzione fra i due termini, regolamentati dalla Legge del 6 gennaio 1931, n. 99,

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“Disciplina della coltivazione, raccolta e commercio delle piante officinali” ancora in vigore sul territorio nazionale.

Per pianta officinale si intende quella pianta, il cui uso deriva da pratiche svolte nel laboratorio detto “officina o opificina” quali essiccamento, triturazione, macerazione o distillazione.

La classe piante officinali comprende al suo interno le piante officinali da essenza o profumo, e le piante aromatiche il cui termine più idoneo, sarebbe “da condimento”.

Fig. 1.5. Superficie (ha) coltivata con specie aromatiche in Europa nel 2010. (Fonte: Piano di settore delle piante officinali 2013-2016 Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, 2013).

Secondo il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf), ogni anno, a livello mondiale, vengono prodotte 330 milioni di tonnellate di piante aromatiche su una superficie coltivata di 77 milioni di ettari. La coltura più coltivata è quella del tè (3 milioni di ettari), segue il peperoncino, altri agrumi (bergamotto, chinotto, ecc.) e infine le “altre spezie” (timo, maggiorana, rosmarino, ecc.). Dal 2000 al 2008 il settore ha visto un incremento del 12% della superficie coltivata ed un incremento del 43% della produzione mondiale, con un trend crescente ogni anno.

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I principali paesi produttori di piante aromatiche sono l’India, la Cina ma anche paesi del continente Africano, dove la raccolta di queste piante risulta essere anche a livello spontaneo, ottenendo però prodotti di scarsa qualità e con basse produzioni, destinati principalmente come palliativo alle diverse malattie in sostituzione ai normali farmaci.

In Europa, si rilevano oltre 36 mila aziende che coltivano “piante aromatiche, medicinali e da condimento”, con una superficie complessiva di quasi 234 mila ettari, per la maggior parte in Bulgaria, Francia, Romania e Finlandia.

Le colture principalmente coltivate sono appartenenti alla flora mediterranea nei Paesi adiacenti a questo bacino, mentre nei Paesi del Nord Europa, la coltura predominante è il mirtillo, sia esso spontaneo che coltivato.

Produzione di piante officinali in Italia e nella piana di Albenga

In Italia, secondo l’ultimo censimento dell’agricoltura (2010), ci sono 2938 aziende produttrici di piante officinali su una superficie totale di 7191 ha (Tab. 1.2); rispetto al passato, il numero di aziende è diminuito, mentre la superficie destinata a queste colture, è in continuo aumento. Molto probabilmente, la diminuzione del numero di aziende è dovuta alle numerose normative che negli ultimi anni sono state emanate, e rispecchia l’andamento generale dell’agricoltura italiana.

Le specie principalmente coltivate possono essere definite “piante rustiche”, appartenenti alla macchia mediterranea (Tab. 1.3). Non hanno esigenze colturali così elevate rispetto le altre colture, tuttavia ciò è riferito a coltivazioni in pieno campo, in quanto la coltivazione in vaso vede l’uso di un substrato inerte, le cui esigenze colturali dovranno essere apportate dall’uomo tramite le normali pratiche colturali coma la concimazione e l’irrigazione.

Nella Fig. 1,7 sono riportate le diverse produzioni officinali italiane per regione: è evidente come le regioni del Sud Italia producano officinali di natura arborea (agrumi), cosa che sarebbe impossibile nelle regioni del Nord Italia, specializzate per la coltivazione in pieno campo di erbacee, visto le rigide condizioni climatiche in inverno.

La Liguria, si differenzia da tutte le altre regioni, in particolar modo per le produzioni di Albenga; quest’ultime sono principalmente piante aromatiche in vaso, poiché gran parte del prodotto viene esportato in Germania e Austria e dove il consumatore preferisce raccogliere e usare il prodotto fresco in sostituzione al prodotto macinato ed essiccato. Questo trend economico è in continua crescita anche tra i consumatori italiani.

La Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Savona ha pubblicato un fascicolo intitolato “L’agricoltura Albenganese – 2005” studiando le dimensioni

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produttive dell’agricoltura della Piana. Da questa indagine è emerso che più del 70% della Piana è coltivato a piante in vaso di aromatiche, floricole, oltre a ortaggi e frutta.

Più precisamente le aziende della Piana, producono ogni anno in media:

 90/100 milioni di vasi di fiori e aromatiche di varie misure e forme di allevamento;  450 tonnellate di ortive, frutta, olive e uva.

Tab. 1.2. Evoluzione del numero di aziende e delle superfici (ha) per regione (Fonte: Ismea).

Regione

Censimento 2000 Censimento 2010 Variazione %

Variazione % Aziende Superficie Aziende Superficie Aziende Superficie

Piemonte 220 715,22 248 869,18 12,7 21,5 Valle d’Aosta 5 1,73 32 10,73 540,0 520,2 Liguria 409 88,87 89 34,50 -78,2 -61,2 Lombardia 84 204,16 119 151,11 41,7 -26,0 Trentino-A.-Adige 28 11,56 71 19,18 153,6 65,9 Veneto 79 82,63 75 115,13 -5,1 39,3 Friuli V. Giulia 6 3,68 37 50,67 516,7 1276,9 Emilia Romagna 150 223,48 429 1744,30 186,0 680,5 Toscana 134 124,39 196 424,65 46,3 241,4 Umbria 42 65,99 68 161,56 61,9 144,8 Marche 65 125,42 332 2203,01 410,8 1656,5 Lazio 122 25,04 73 112,73 -40,2 350,2 Abruzzo 240 64,87 101 119,74 -57,9 84,6 Molise 24 34,80 9 33,64 -62,5 -3,3 Campania 367 29,99 135 92,80 -63,2 209,4 Puglia 88 103,55 114 411,75 29,5 297,6 Basilicata 60 15,54 10 23,60 -83,3 51,9 Calabria 99 43,79 159 124,11 60,6 183,4 Sicilia 1598 240,70 485 303,79 -69,6 26,2 Sardegna 314 60,98 156 184,90 -50,3 203,2 ITALIA 4134 2266,39 2938 7191,08 -28,9 217,3

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Tab. 1.3. Colture principalmente prodotte, espresse ad ettaro. [Fonte: FIPPO (Federazione Italiana Produttori Piante Officinali)].

Specie Botanica Superficie (ha) Utilizzo prevalente

Menta piperita o dolce 253,54 Olio essenziale

Lavanda vera ed ibrida 178,77 Olio essenziale

Camomilla comune 123,10 Prodotto secco

Finocchio aromatico 78,21 Prodotto secco

Salvia officinale 68,45 Prodotto secco

Melissa 47,69 Prodotto secco

Camomilla romana 45,05 Olio essenziale

Passiflora incarnata 39,21 Prodotto secco

Coriandolo 37,00 Prodotto secco

Origano 24,25 Prodotto secco

Psillo 23,00 Prodotto secco

Elicriso 22,44 Olio essenziale

Rosmarino 20,97 Prodotto secco

Assenzio romano pontico e gentile 18,62 Prodotto secco

Santoreggia 17,30 Prodotto secco

Ortica 15,10 Prodotto secco

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Fig. 1.7. Produzioni Italiane per Regione (Fonte: FIPPO).

All’interno di questa categoria, le produzioni albenganesi si ripartiscono in:

- Floricole e fronde verdi --- 49%

- Aromatiche in vaso --- 21%

- Ortive --- 19%

- Aromatiche recise --- 8%

- Olivo, vite, frutta --- 3%

Negli ultimi anni, la produzione di aromatiche è cresciuta a discapito di quella floricola e di fronde verdi, investita da una profonda crisi economica a causa della concorrenza straniera. Analizzando le dimensioni medie delle aziende albenganesi, si può evidenziare che sono scarsamente superiore all’ettaro, il che fa concludere la presenza di numerose aziende nella Piana dedite alla coltivazione di aromatiche, permettendo la sopravvivenza di una produzione locale, che risulta di qualità superiore rispetto a quella prodotta in altre aree (Fig. 1.8).

Le principali aromatiche prodotte sono: - Rosmarino: 46%

- Lavanda: 19% - Salvia: 15%

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- Timo: 11%

Colture minori sono l’origano, la maggiorana, il prezzemolo e il timo colorato. Discorso a parte merita il basilico: gran parte della produzione è ottenuta in pieno campo, destinato alla trasformazione e quindi alla produzione di pesto. Soprattutto per il periodo invernale, molte aziende albenganesi producono basilico in vaso all’interno di serre, destinandolo al consumo fresco.

Fig.1.8. Piana di Albenga con i suoi fondi. Si noti l’estremo frazionamento aziendale. (Fonte: http://www.ortofrutticola.it/albenga).

1.2 Il problema dell’inquinamento agricolo da nitrati e inserimento di

Albenga in ZVN

Il Ciclo dell’Azoto

L’azoto è uno degli elementi più importanti e presenti sulla Terra, insieme al carbonio, ossigeno ed idrogeno e costituisce il 78% della composizione chimica dell’atmosfera. L’azoto si trova in natura nelle seguenti forme:

- N-N2: detto azoto biatomico o gassoso, è presente soprattutto nell’atmosfera.

- N-NH4+: azoto ammoniacale, deriva dalla mineralizzazione della sostanza organica,

fortemente legato alle forme colloidali del terreno (argille ed humus). Solubile in acqua: il suo precursore è l’NH3 (ammoniaca), principale costituente di molti composti organici

della sostanza organica come proteine, amminoacidi e acidi nucleici.

- N-NO3-: azoto nitrico, è la principale forma ionica dell’N che le piante preferiscono

assorbire. È molto solubile in acqua e la sua carica negativa è responsabile del suo scarso adsorbimento sulle superfici colloidali. Può essere in parte responsabile dell’eutrofizzazione, in caso vi sia un’eccessiva lisciviazione di questa forma nutritiva dal terreno.

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Fig.1.9. Il ciclo dell’azoto (Fonte: http://istruzioniperunparadiso.blogspot.it/2015/06/le-piante-azotofissatrici-e-il-ciclo.html).

Il ciclo dell’azoto è caratterizzato dalle seguenti fasi (Fig. 1.9):

1. L’azoto biatomico viene fissato in NH4+ da parte di microrganismi liberi (Azotobacter, Azotomonas, Pseudomonas, ecc. …) o simbionti (Rhizobium, Bradyrhizobium). Quest’ultimi sono specie-specifiche di piante ospiti, principalmente appartenenti alla famiglia delle Fabacee.

Il meccanismo di fissazione delle specie simbionti, avviene nei noduli radicali, ingrossamenti simili a forme tumorali, in cui l’enzima Nitrogenasi del simbionte riduce l’N2. Per far ciò è

necessario un ambiente anaerobico, reso tale da parte della leghemoglobina, che lega l’O2, al

suo complesso proteico, conferendo una colorazione rossastra all’interna del nodulo radicale. Gli elettroni coinvolti nella reazione di riduzione dell’N2, provengono dalla ferrodossina, che

a sua volta li riceve, dalle reazioni di ossidazioni dei composti fotosintetati dalla pianta ed utilizzati dal simbionte per trarne energia. Con questo sistema, le forme di “rifiuto”, sono messe a disposizione dal simbionte alla pianta, la quale dovrà solamente fornirgli energia mediante composti organici.

2. Il 95 % dell’N-NH4+ proviene dalla degradazione della sostanza organica sia di origine

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composti azotati) polimerizzati in lunghe catene, le quali sono attaccate dai corredi enzimatici appartenenti a microrganismi, ottenendo così composti più semplici (monomeri) facilmente decomponibili dalla flora microbica. Nel caso delle proteine, questi sono gli amminoacidi, i quali verranno scissi in ammoniaca e acido organico, destinato ad essere mineralizzato in CO2 + H2O oppure umificato.

3. L’NH4+ potrà essere adsorbito dalle superfici dei colloidi del terreno, grazie alla capacità di

scambio cationico (CSC) del suolo e in parte rimanere nella soluzione circolante del suolo, per poi essere assorbita dalle radici delle piante.

4. L’azoto ammoniacale, subirà il processo di nitrificazione, attraverso il quale si ottiene lo ione nitrato (NO3-). La reazione, è di natura ossidativa ed avviene comunemente nel terreno

grazie all’O2 tellurico. In realtà il tutto è prodotto grazie a microrganismi che, tramite queste

reazioni di ossidazioni, ricevono un guadagno energetico. La prima reazione è detta nitrosazione, producendo NO2- il quale subirà un’ulteriore ossidazione (molto più veloce),

ottenendo lo ione NO3- (Nitrificazione propriamente detta, Fig. 1.10).

Fig. 1.10. La nitrificazione dell’N e la sua relazione con altri processi a carico dell’N nel terreno (Fonte: http://lafoglia.wordpress.com/acquario/cicli-di-materiali/).

5. Le piante possono assorbire N sottoforma di NO3-, NH4+ e, in minor misura, di piccole

molecole (urea, aminoacidi); tuttavia l’assorbimento del NO3- è largamente prevalente.

6. Per concludere il ciclo, una parte dell’NO3-, in condizioni di anaerobiosi, potrà subire la

denitrificazione, ottenendo azoto gassoso, che rientrerà nella composizione atmosferica. La reazione è sempre modulata da microrganismi, che in ambiente anaerobico (es. terreni allagati), sfruttano il nitrato come accettore di elettroni nella produzione di energia. I principali microrganismi sono: Paracoccus denitrificans e alcune Pseudomonas ,oltre a Bacillus denitrificans, Vibrio denitrificans, Micrococcus denitrificano. Questi ultimi si differenziano dai primi perché sono anaerobi facoltativi e capaci di ridurre sino a NO2-.

In generale, tutto ciò accade principalmente negli ecosistemi naturali, mentre negli agro-ecosistemi, il tutto è condizionato dalle numerose pratiche agricole che influenzeranno gli apporti e asporti dell’azoto dal terreno agrario. (Tab 1.4 )

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Tab. 1.4. Principali apporti e asporti negli agroecosistemi.(Fonte: elaborazione personale).

APPORTI ASPORTI

- Fissazione biologica - Denitrificazione - Precipitazioni atmosferiche - Immobilizzazione - Concimazione minerale - Lisciviazione - Concimazione organica

(letamazioni-sovesci)

- Erosione superficiale del terreno - Fabbisogno nutritivo colturale

Eutrofizzazione

L’eutrofizzazione è un inquinamento delle acque, dolci o salate, a causa di una sovrabbondanza di alcune forme inorganiche nutritive quali i nitrati e fosfati.

Questo tipo di inquinamento è stato riscontrato, soprattutto negli anni passati, in prossimità delle principali aree industriali ed agricole nazionali; la scarsa regolamentazione in materia, faceva si che gran parte degli scarichi industriali fossero riversati in mare o in fiumi di acqua dolce, senza preoccuparsi dell’impatto ambientale di questi ultimi. Nel campo agricolo, gli aiuti delle politiche comunitarie incoraggiavano la massima produzione e, di conseguenza, un abuso dei concimi minerali. Questi ultimi, somministrati in quantità eccessiva rispetto ai fabbisogni nutritivi delle piante coltivate, assieme ad uno scarso al controllo dell’irrigazione, determinavano grossi quantitativi di perdite di nutrienti a causa della lisciviazione elevata e non controllata. Il tutto era favorito dalla tessitura sabbiosa del terreno, dalle precipitazioni atmosferiche e dall’impoverimento di sostanza organica dei suoli.

Gran parte dei drenati, ricchi di nitrati e fosfati, sfociavano nelle falde e a sua volta nei bacini idrografici, incentivando la crescita di molte piante autotrofe acquatiche e di organismi autotrofi (fitoplancton). L’aumento di questi individui, determinava una diminuzione del contenuto di ossigeno nelle acque, seguito da una forte diminuzione degli scambi gassosi con l’atmosfera, a causa della presenza delle mucillagini sulla superficie dell’acqua.

Mancando ossigeno, gli effetti più drastici si ripercuotevano nei livelli trofici più alti: moria di organismi aerobi, come i pesci, diminuzione della diversità biotica, alterazioni della catena del detrito, innescando acque maleodoranti dovute alle alte produzioni di metano, ammoniaca e acido solfidrico prodotte nei processi fermentativi a carico di batteri anaerobici.

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Fig. 1.11. Eutrofizzazione nel lago Okeechobee in Florida (Fonte: http://www.ocean4future.org/archives/9065).

Questo tipo di inquinamento è molto più intenso all’aumentare della temperatura, che causa una repentina diminuzione dei gas disciolti nei liquidi (Legge di Henry) e nei bacini chiusi (laghi, fiumi, paludi). Lungo la linea di costa, è evidente il fenomeno dell’eutrofizzazione con l’aumento delle alghe sulle spiagge e nei fondali costieri.

Per tali ragioni, oggi, molti degli scarichi industriali possono essere riversati nei bacini idrografici solamente in conformità di alcuni parametri chimici, mentre nel campo agricolo, sono incentivate tutte quelle pratiche a tutela della sostanza organica, dell’avvicendamento colturale e di concimazione in particolari periodi ed entro quantitativi innocui all’ambiente; forti restrizioni in materia sono riservate alle Zone Vulnerabili Nitrati (ZVN).

La Direttiva Nitrati nazionale

La Direttiva Nitrati fu emanata nel 1991 dalla CEE (Comunità Economica Europea) allo scopo di tutelare la salute umana, gli ecosistemi acquatici e terrestri e salvaguardare gli usi legittimi dell’acqua. Secondo la Direttiva, per ridurre l’inquinamento delle acque causato, direttamente o indirettamente, dai nitrati di origine agricola, sono necessari specifici provvedimenti riguardanti l’uso di concimi azotati e, più in generale, la gestione delle colture e degli allevamenti. Con la Direttiva Nitrati la C.E.E. ha inteso incoraggiare l’adozione delle buone pratiche agricole (GAP, Good Agricultural Practices) e ha chiesto agli Stati membri di individuare le zone vulnerabili ai nitrati (ZVN) e di attuare i necessari programmi d’azione per ridurre l’inquinamento idrico da nitrati. (Incrocci et al, 2013)

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1. acque dolci superficiali o sotterranee, che contengono, se non applicati i Programmi d’azione, una concentrazione di nitrati superiore a 50 mg/L (o ppm).

Laghi naturali di acqua dolce, paludi, acque marine che mostrano i “sintomi” dell’eutrofizzazione, i quali potranno progredire se non vengono attuati gli idonei programmi d’azione.

Fig. 1.12. ZVN Italiane (Fonte: http://www.crpa.it/media/documents/crpa_www/Progetti/ OptiMa-N/it/CI_20070914/Mundo.pdf)

Gli Stati membri dell’UE, hanno recepito questa Direttiva in tempi differenti: l’Italia ha approvato la Direttiva Nitrati solo l’11 Maggio del 1999 con il Decreto Legislativo (D.L.) n.152 “Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della Direttiva

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91/271/CEE concernente il trattamento delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole”. Il D.L. è stato aggiornato nel 2000 (D.L. n. 258) estendendo le disposizioni della Direttiva Nitrati a tutti i tipi di acqua e di inquinamento, e quindi nel 2006 (D.L. 52/06).

In Italia, la determinazione delle ZVN è di competenza delle Regioni, che dovranno aggiornare le relative aree ogni quattro anni.

Direttiva Nitrati Regione Liguria

Con la D.G.R. (Delibera Giunta Regionale) n.1256/2004 è stata designata quale zona vulnerabile da nitrati (ZVN) di origine agricola un'area, sita nei comuni di Albenga e Ceriale, presso la piana alluvionale del Fiume Centa, ove le acque sotterranee presentano stabilmente concentrazioni superiori agli standard normativi. Con la D.G.R. n.599/2006 è stato adottato il Programma d'Azione Nitrati per quanto riguarda la ZVN di Albenga e Ceriale; tale programma ha previsto azioni di regolamentazione delle attività agricole, monitoraggio e informazione.

Con la nuova delibera n.1047/2016, la regione Liguria ha:

 confermata la ZVN di Albenga Ceriale, nella quale non sono stati fino ad oggi registrati sufficienti miglioramenti della qualità delle acque sotterranee

 individuato una nuova ZVN, nel comune di Arma di Taggia, nella piana alluvionale del torrente Argentina, ove le acque sotterranee presentano stabilmente concentrazioni superiori agli standard normativi

 aggiornato il Programma di Azione per il sessennio 2016-2021, da applicare a tutte le zone vulnerabili liguri.

Cartografia delle ZVN liguri

Qui di seguito si riportano le cartografie delle ZVN della Liguria, identificate dalla delibera 1047/2016 della Regione Liguria.

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Tavola 1. Zona Vulnerabile ai Nitrati di origine agricola presso l’acquifero del Torrente Centa nei comuni di Albenga e Ceriale (SV) (Fonte: Agriligurianet)

Tavola 2. Zona Vulnerabile ai Nitrati di origine agricola presso l’acquifero del Torrente Argentina nel Comune di Arma di Taggia (IM) (Fonte: Agriligurianet).

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Tab. 1.5. Programma di azione nitrati per le piante aromatiche in vaso (Fonte: riadattato da Agriliguria.net).

SCHEDA NUMERO 1

PIANTE FLORICOLE, ORNAMENTALI, AROMATICHE E ORTICOLE IN VASO IN PIENO CAMPO

GESTIONE DEL SUBSTRATO

La scelta del substrato deve tenere conto del tipo di coltura e gestione, ma sono preferibili materiali ad elevata capacità di ritenzione idrica.

Le caratteristiche fisiche ottimali del substrato per molte colture possono essere le seguenti (% espresse in volume):

porosità totale: 50-85%; spazio per l’aria: 10-30%;capacità del vaso: 45-65%; acqua disponibile: 25-35%; acqua non disponibile: 25-35%;densità apparente: 190-700 g/L Substrati grossolani hanno poca ritenzione idrica per cui facilmente possono essere soggetti a dilavamento con perdita di nutrienti.

Effettuare un’analisi fisico-chimica iniziale del substrato e poi periodicamente durante la coltivazione (almeno la conducibilità elettrica) per monitorare lo stato nutrizionale delle coltivazioni. Mediamente il livello di conducibilità nel substrato ottimale per la maggior parte delle piante è di 0,5–1,0 mS/cm o di 0,2–0,5 mS/cm, nel caso di concimi a cessione controllata. Questi parametri possono variare a causa della particolare sensibilità della pianta. La conducibilità dell’acqua di irrigazione utilizzata dovrebbe essere non superiore a 0,75 mS/cm

FERTILIZZAZIONE

Effettuare un piano di concimazione che preveda il minor apporto possibile di fertilizzanti senza limitare la crescita della coltura.

Al fine di aumentare l’efficienza nell’uso di concimi è preferibile: a) effettuare una concimazione di fondo al substrato; b) raggruppare le colture in gruppi omogenei di esigenze nutrizionali (specie, età, ecc.); c) registrare per ogni intervento la data, il prodotto, la dose usata, lo stato vegetativo per poter poi affinare la tecnica colturale; d) prediligere sistemi di fertirrigazione localizzati a basso volume direttamente in vaso, verificando il volume irriguo in modo tale da limitare il drenaggio e la perdita di nutrienti.

Qualora non sia stato possibile incorporare direttamente nel substrato concimi a lenta cessione o cessione controllata, è possibile apportarli localizzati con appositi dosatori in ogni vaso

LIMITAZIONI PREVISTE DAL

PIANO

Per quanto concerne la distribuzione localizzata e frazionata di concime a cessione controllata bisogna adottare alcuni accorgimenti d’uso:

-distribuire alla dose stabilita in etichetta e applicarne nuovamente solo quando il livello dei nutrienti nella soluzione è inferiore a limiti stabiliti,

-utilizzare, in autunno e in inverno, dosi dimezzate rispetto a quelle applicabili nel periodo estivo,

-non utilizzare tali concimi sulla superficie del vaso nel caso di contenitori soggetti al rovesciamento,

-nel caso di fertilizzazione “di fondo” pre-trapianto miscelare uniformemente il concime con il substrato

-non distribuire a spaglio il concime sopra i vasi già posizionati,tenere presente che possono esserci perdite di nutrienti in relazione al sistema irriguo utilizzato. La fertirrigazione per aspersione, è limitata ad un numero massimo di 5

interventi/anno ed esclusivamente a supporto della concimazione di fondo, mentre è vietata nel periodo 1° novembre - 15 gennaio.

-Acquisto di macchine invasatrici con dosatore di concimi granulari a lento effetto -Collegamento a bocchette di impianti collettivi di irrigazione che garantiscano una qualità dell’acqua migliore rispetto a pozzi aziendali.

-Verifica delle superfici e degli impianti aziendali nel rispetto dei massimali di azoto e delle date di distribuzione tramite il controllo del piano di concimazione, delle registrazioni e dei documenti fiscali d'acquisto relativi ai fertilizzanti

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Programma di azione nitrati

Obiettivo: Le BPA (Buone Pratiche Agronomiche) si pongono l’obiettivo di ottimizzare la gestione dell’azoto nel sistema suolo/pianta in presenza di colture agricole che si succedono e alle quali occorre assicurare un livello produttivo e nutrizionale economicamente e ambientalmente sostenibile al fine di minimizzare le possibili perdite con le acque di ruscellamento e di drenaggio superficiale e profondo.

La Regione Liguria ha elaborato per ciascuna coltura apposite schede tecniche, a cui gli agricoltori devono far riferimento in maniera obbligatoria nelle ZVN, mentre nelle restanti aree è fortemente consigliato.

Nel nostro caso, riporterò la scheda relative al programma di azione nitrati della coltivazione di piante aromatiche in vaso.

1.3. La tecnica colturale albenganese

Le aziende agricole albenganesi possono essere classificate in:

Aziende specializzate, cioè produttrici di solo alcune colture (per esempio piante aromatiche)

Aziende poco diversificate, in grado di coltivare e trasformare alcuni prodotti da essi coltivati,al fine di aumentare il valore aggiunto del prodotto ( es. prodotti per la I e IV gamma)

Aziende con un’alta variabilità di prodotti, coltivano non solo specifiche colture inerenti ad un specifico settore (es. aromatiche) ma anche altre piante di altri settori (ortaggi, floricole...)

A seconda dell’indirizzo produttivo, queste aziende attuano differenti sistemi colturali, che in generale risultano essere con coltivazione senza suolo o idroponica.

Nel caso delle specie aromatiche di Albenga, occorre differenziare la produzione di materiale da raccogliere e commercializzare come erbe fresche, dalla produzione della piantina in vasetto 14, 16 o 18 cm. Nel primo caso la coltivazione è fatta in pieno campo, mentre nel secondo si utilizza la coltura in vaso, impiegando un substrato composto da torba + pomice, con argilla, mediamente pesante, concimato con concimi granulare complesso contenente anche tracce di microelementi (es. Nitropoka Blue o Gold) e aggiungendo del concime organico (principalmente cornunghia). Per la loro rusticità e soprattutto per il clima mite durante il periodo autunno-vernino, le principali aromatiche (salvia, rosmarino, origano, lavanda, timo…) sono coltivate all’aperto, in appezzamenti opportunamente livellati, coperti con un sottile strato di ghiaino e successivamente

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rivestiti con telo pacciamante. Grazie alla zona pianeggiante, gran parte delle operazioni colturali sono meccanizzate, favorendo così la riduzione dei costi di produzione. Negli ultimi anni, la maggiore redditività delle piante aromatiche, ne ha a fatto incrementare le superfici coltivate, a discapito di altre colture quali ad esempio crisantemi e margherite in vaso.

Le fasi colturali del ciclo produttivo delle aromatiche in vaso di Albenga sono le seguenti:

Fig. 1.13. Coltivazione di piante aromatiche in un’azienda tipica di Albenga. (Foto. F. Ceccarelli, 2013).

1. Trapianto: le talee radicate sono trapiantate, con l’ausilio di un’invasatrice meccanica, nei rispettivi vasi di plastica; solitamente questa operazione viene svolta a partire dalla fine del mese di maggio fino a metà luglio. Le talee sono principalmente propagate dalle piante-madre presenti in ciascuna Azienda, con il rischio che si possa facilmente propagare materiale scarsa qualità o addirittura virosato.

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Fig. 1.14. Talee radicate di Rosmarino e Salvia (Fonte: Vivaio Ferraro- Cisano sul Neva (SV)).

2. Sistemazione in campo: le talee trapiantate nel vaso, mediante una trattrice con attacco anteriore di una forca con aste metalliche opportunamente distanziate, carica un discreto numero di vasi, e li trasporta in campo dove saranno sistemati meccanicamente: la densità oscilla fra 25 e 18 piante/m2 , rispettivamente per i vasi di diametro 14 e di 18 cm.

3. Coltivazione estiva autunnale: dopo circa 15-20 giorni dal trapianto, a seconda delle condizioni vegetative della piante, si effettua una cimatura apicale, in modo da favorire l’accestimento e conferire alla pianta la classica forma a vaso. La cimatura può essere fatta più volte, sia manualmente oppure meccanicamente, a seconda della risposta vegetativa della pianta. Durante questo periodo le piante sono irrigate per aspersione e si effettuano fertirrigazioni con concimi idrosolubili con titolo bilanciato (15:15:15) contenente anche microelementi. Alcuni coltivatori preferiscono somministrare piccole quantità di concime granulare direttamente sul vaso, prediligendo a volte forme a lenta cessione dell’azoto (es. isobutilidendiurea, IBDU, contenuto nel prodotto commerciale Nitroposka gold®, Combo, Italia).

4. Riposo vegetativo: durante il periodo invernale, la pianta è soggetta ai principali stress abiotici (freddo, acqua, vento) tali da rallentare fortemente o interrompere lo sviluppo. In questa fase la pianta non necessita particolari cure, se non quelle di per la prevenzione di malattie fito-patologiche.

5. Riconcimazione: il termine sta ad identificare la pratica di somministrazione nella parte alta del contenitore di concimi a rilascio controllato o a lento rilascio a fine inverno, a febbraio, in modo da supportare la ripresa vegetativa che nella zona di Albenga, grazie al clima mite, inizia già a partire dalla fine di gennaio.

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6. Commercializzazione: la commercializzazione inizia nel mese di febbraio e si protrae fino a fine marzo- metà aprile: di norma sono commercializzate piante che abbiano almeno 10 mesi di coltivazione. Gran parte della produzione di aromatiche ottenute ad Albenga (75%) è esportata in Germania e Austria, dove il prodotto viene apprezzato dal consumatore per la sua alta qualità.

Mediamente il consumo di concimi idrosolubili e/o granuli oscilla intorno a 6-7 g/pianta, pari a 150 g/m2 ovvero a 1500 kg/ha, considerando una densità colturale di circa 25 piante per metro quadrato. Questa quantità, ipotizzando l’uso di un concime 15.15.15, corrisponde a circa 225 kg/ha di azoto. In bibliografia sono pochi i lavori che hanno determinato le asportazioni delle principali specie aromatiche. Un grosso contributo nell’aumento delle conoscenze per il corretto pilotaggio dell’irrigazione e la gestione della fertilizzazione delle colture aromatiche è stato dato dal progetto Regionale SEGIF (“Sviluppo di un sistema esperto per la gestione dell’irrigazione, fertilizzazione e controllo fitopatologico in floricoltura”, DGR n°1176/2011) realizzato dalla Cooperativa Floricoltori “Riviera dei Fiori” e dal Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-Ambientali (ex Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie) dell’Università di Pisa, assieme alla partecipazione anche del Centro di Sperimentazione e Assistenza Agricola (C.e.R.S.A.A.) di Albenga (SV). (Incrocci et al, 2013).

1.4 Tecniche innovative per la riduzione dell’impatto ambientale nella

produzione di aromatiche

L’impatto ambientale di una coltivazione in vaso può essere facilmente descritto tramite un modello, in cui l’irrigazione o fertirrigazione (I, espresso in m3

/ha), con una concentrazione del nutriente pari a CI, (espressa in g/m3) applicata ad una coltura in vaso, si ripartirà in tre

componenti (Pardossi et al., 2004):

-una quantità (identificata come perdite, P) che non sarà intercettata dalla zona radicale, perché esterna alla superficie del vaso. Questa quantità dipenderà dall’efficienza del sistema irriguo (EI) In questo caso le perdite di nutrienti dal sistema saranno pari al volume delle perdite (P= I x (1-EI), moltiplicato per la concentrazione CI dell’elemento presente nella fertirrigazione espresso

come g/m3 (oppure in mg/L);

-una frazione di acqua somministrata che è persa per drenaggio dai vasi (D) pari al volume irriguo per l’efficienza di irrigazione per la frazione di lisciviazione (LF) e quindi pari a (D= Ix EIxLF ). La quantità di elementi nutritivi persi con il drenaggio saranno pari al volume di

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drenaggio prodotto per la concentrazione media dell’elemento nutritivo nel drenato (DNUT= Ix

EIxLFxCD)

-una quantità di acqua fornita che è trattenuta dal substrato (ET), in parte persa per evaporazione dalla superficie del substrato e in parte utilizzata dalla pianta per il processo traspiratorio e per la propria crescita di evaporazione (Fig. 1.15).

Fig. 1.15. Modello per il calcolo delle quantità di acqua disperse nell’ambiente per una coltivazione in vaso. In queste colture per ridurre gli sprechi è necessario ottimizzare l’irrigazione. (Fonte: Pardossi et al, 2004).

Qui di seguito sono riportate le formule per quantificare il run-off (R, m3/ha) e cioè la perdita di acqua da un sistema di coltivazione di piante in vaso:

R (m3/ha)= P+D = Ix(1-EI) + Ix(EI x LF) = Ix (1-EI) + (EIxLF) (eq.1)

Allo stesso modo si può quantificare la perdita di nutrienti (RNUT, kg/ha) dal sistema

moltiplicando il volume perso per mancata intercettazione da parte della coltura (P) e quello perso per il drenaggio (D) per le rispettive concentrazioni di nutriente (CI e CD):

Irrigazione (I)

Evapo-traspirazione

(ETE+crescita)

Runoff (R)

R = P+D= I x[(1-EI)+ (EI x LF)]

R

NUT

= I x[(1-EI)xC

I

+ (EI x LFx C

D

)]

D = I x EI x LF

Drenaggio (D; C

D

)

EI = efficienza di intercettazione

P = I x (1-EI)

Perdite (P;C

I

)

Frazione di lisciviazione (LF)

Run-off (R; C

R

)

I ;C

I

(Irrigazione / fertirrigazione)

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RNUT (m3/ha)= Px CI+DxCD = Ix [(1-EI)xCI +EIxLFxCD) (eq.2)

Analizzando le equazioni 1 e 2, si nota che l’efficienza nell’uso dei nutrienti è fortemente dipendente dall’efficienza nell’uso dell’acqua. In particolare, un incremento dell’efficienza nell’uso dell’acqua può essere raggiunto aumentando l’efficienza dell’impianto irriguo (quindi diminuendo le perdite) e/o riducendo la frazione di lisciviazione e quindi gestendo in maniera più accurata il pilotaggio dell’irrigazione.

La formula evidenzia anche che oltre all’ottimizzazione dell’irrigazione, l’aumento dell’efficienza nell’utilizzo dei nutrienti può essere raggiunto riducendo la concentrazione di questi nell’acqua irrigua e/o nell’acqua di drenaggio, possibile solo se si ha una precisa conoscenza delle esigenze minerali delle coltivazioni e se si monitora il livello di nutrienti nella zona radicale (Pardossi et al., 2004).

Una buona tecnica colturale, al fine di ottenere piante di alta qualità e soprattutto non cagionare danni ambientali durante la coltivazione, è basata su buone conoscenze scientifiche inerenti a:

1. Substrato (proprietà chimico-fisiche) 2. Gestione dell’irrigazione

3. Fabbisogni nutritivi della coltura 4. Gestione della fertilizzazione

5. Conoscenze patologiche della coltura

6. Conoscenze legislative dell’area (Es : Programma di Azione nel caso di ZVN)

Tutte queste nozioni, se applicate, assieme correttamente, permettono di ridurre la dispersione di effluenti dalla zona di coltivazione verso l’ambiente, e al tempo di ottenere prodotti di alta qualità, con i costi contenuti. In passato spesso, l’agricoltore utilizzava i mezzi tecnici (es. irrigazione, concimazione, presidi sanitari) basandosi sull’esperienza e sul principio “Melius abundare quam deficere”, che ha prodotto un consumo di mezzi tecnici eccessivo con il conseguente aggravio di costi e soprattutto con un notevole impatto sull’ambiente, bene non stimabile e non riproducibile.

Substrato

I substrati di coltivazione possono essere classificati sulla base della loro origine dei materiali costituenti: organici (torba, fibra di cocco, sansa, lolla di riso, vinacce…) oppure inorganici (argilla espansa, lapillo, pomice, lana di roccia, perlite).

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In generale, i requisiti che un coltivatore deve analizzare per optare alla scelta di un buon substrato sono:

 Caratteristiche standardizzate e costanti nel tempo;

 Stabilità;

 pH neutro o subacido (5,5-6,0);

 Adeguata capacità di ritenzione idrica;

 Sufficiente capacità di drenaggio;

 sterilità e sanità (assenza di sostanze fitotossiche);

 costo contenuto;

 facile reperibilità sul mercato.

Sempre di più l’agricoltore richiede dei substrati standardizzati, con caratteristiche costanti nel tempo. Altro aspetto importante è la stabilità delle proprie caratteristiche fisiche nel tempo (densità, ritenzione idrica, capacità per l’aria, ecc.), intesa non come stabilità assoluta, ma come bassa velocità con cui il processo di disgregazione procede. Infatti, nessun materiale (organico o inorganico), nel corso del tempo mantiene valori caratteristici iniziali costanti, poichè subentrano fattori che modificano la struttura, e conseguentemente la capacità di ritenzione idrica e presenza di aria. I responsabili di tutto ciò, sono le pratiche colturali quali la concimazione, l’irrigazione, l’attacco microbico, la crescita radicale e le escursioni termiche.

Nei materiali di natura organica il rapporto C/N rappresenta un indice abbastanza ben correlato con la velocità di decomposizione del substrato: un valore elevato (>30) indica un substrato che facilmente andrà incontro ad attacchi microbici, mentre un valore ottimale (11-20) è indice che questo processo si è già svolto e che il substrato sarà abbastanza stabile.

Nel caso specifico delle aromatiche di Albenga, quasi tutta la produzione, utilizza substrati a base di torba, resi più drenanti grazie all’aggiunta di una percentuale variabile di pomice.

La torba è un substrato non rinnovabile e la sua estrazione provoca danni ambientali gravi: per questo motivo negli ultimi anni si sono diffuse voci insistenti circa una possibile limitazione nel suo utilizzo da parte della Commissione Europea.

La ricerca negli ultimi anni ha intensificato i propri sforzi per trovare un substrato organico alternativo, che abbia caratteristiche chimico-fisiche molto simili e stabili nel tempo come quelle della torba. Negli ultimi anni la fibra di cocco si sta sempre di più affermando come possibile sostituto della torba. Un’altra alternativa abbastanza interessante sembra essere la fibra di legno, in particolare quella prodotta con conifere.

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Il pH è il cologaritmo della concentrazione degli ioni H+; il pH influisce sull’attività di crescita della pianta poiché nel substrato regola la solubilità di molti elementi nutritivi. Il pH ottimale in un substrato è compreso fra 5.0 e 6.0, intervallo entro il quale la maggior parte degli elementi nutritivi è sufficientemente solubile e disponibile per l’assorbimento da parte della pianta. Altra proprietà chimica di un substrato importante è la salinità e la capacità di scambio cationico (CSC). La CSC, è la capacità di trattenere i nutrienti in forma cationica (NH4+, K+, Ca2+, Mg2+);

nel caso della torba la CSC è di 60-80 meq/L contro i 4-8 meq/L della perlite o lana di roccia. Un substrato con una buona CSC è utile in quei sistemi di coltivazione dove la fertirrigazione non è fatta in modo continuo, per cui la presenza di una elevata CSC permette di avere un’adeguata riserva di nutrienti. Invece nei sistemi di coltivazione dove la fertirrigazione è continua, utilizzare substrati con bassa CSC permette di controllare in maniera più spinta la nutrizione minerale della coltura. Le principali caratteristiche fisiche di un substrato sono il suo peso specifico, la porosità, il contenuto idrico e di aria alla capacità di contenitore e l’acqua disponibile per la coltura. Molte di queste grandezze sono identificate dalla curva di ritenzione idrica di un substrato, che esprime la relazione esistente tra il potenziale matriciale dell’acqua e il contenuto idrico volumetrico del substrato.

Il potenziale matriciale è una delle componenti del potenziale idrico: questo è l’energia necessaria per poter estrarre una molecola di acqua dal substrato. Il potenziale idrico è il risultato di tre componenti.

- Potenziale gravitazionale (g), dovuto all’azione della forza di gravità, rispetto al piano di riferimento del sistema;

- Potenziale matriciale (m), che rappresenta la forza necessaria per vincere le forze di attrazione e di coesione esistenti fra le molecole dell’acqua e le particelle del substrato; - Potenziale osmotico (o), normalmente trascurabile nel terreno, di una certa importanza

nella coltivazione fuori suolo, dovuto al contenuto di sali disciolti nella soluzione ricircolante.

Generalmente la componente più influente del potenziale idrico, è rappresentata dal potenziale matriciale.

La curva di ritenzione idrica è determinata attraverso le piastre di Richards e nei substrati 3 sono i punti interessanti da determinare per poter calcolare le caratteristiche fisiche:

- capacità di contenitore (CC): è il contenuto idrico volumetrico che satura tutti i micropori del substrato e corrisponde all’acqua ritenuta dal sistema substrato-contenitore dopo il drenaggio dovuto alla forza di gravità. Il punto corrisponde all’applicazione di una forza di suzione pari a 10 hPa;

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- punto di appassimento (PA): contenuto idrico volumetrico corrispondente al potenziale matriciale al quale si nota l’inizio dell’appassimento della pianta. Per convenzione nei substrati il punto di appassimento corrisponde ad una tensione di suzione pari a 100 hPa; - punto critico (PC): è il contenuto idrico volumetrico oltre il quale la pianta per assorbire

acqua inizia ad avere delle leggere difficoltà e quindi a sperimentare leggeri stress idrici. Il punto corrisponde al contenuto idrico volumetrico presente alla tensione di suzione di 50 hPa.

La conoscenza del contenuto idrico dei tre punti permette di calcolare l’Acqua Disponibile (AD = CC-PA), l’Acqua Facilmente Disponibile (AFD= CC-PC) e Acqua di Riserva (AR= AD-AFD).

Fig. 1.16. Curva di Ritenzione Idrica (Fonte: Manuale SEGIF, Incrocci et al., 2014).

Gestione dell’irrigazione nelle coltivazioni florovivaistiche in contenitore

Un’indagine condotta fra i coltivatori di aromatiche di Albenga nell’ambito delle attività del progetto SEGIF ha evidenziato che questo tipo di coltivazioni hanno una scarsa efficienza irrigua, dovuta principalmente all’uso di sistemi irrigui poco efficienti, come ad esempio l’irrigazione per aspersione e ad una scarsa ottimizzazione nella gestione dell’irrigazione (scheduling).

Uso di sistemi irrigui con maggiore efficienza

L’efficienza del metodo irriguo è valutata con l’indice di efficienza irrigua (E.I., pari al rapporto tra l’acqua pompata dal sistema di irrigazione e quella effettivamente arrivata nella zona radicale

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delle piante). L’efficienza dell’irrigazione per aspersione, diminuisce all’aumentare della dimensione del vaso, a causa dell’aumento degli spazi vuoti fra i vasi (densità inferiore per unità di superficie bagnata): inoltre l’efficienza è abbastanza variabile (50-75%) in funzione delle condizioni ambientali (es. presenza di vento) e della forma della chioma delle piante da irrigare. La micro-irrigazione ha un’efficienza irrigua pari al 90-95 %, grazie al fatto che l’acqua è portata direttamente in prossimità della zona radicale: inoltre, la possibilità di fornire frequenti interventi anche con piccole portate permette di controllare maggiormente la frazione di lisciviazione.

Un interessante metodo irriguo che si sta sempre più sviluppando è la subirrigazione, caratterizzata dal fatto che l’irrigazione della coltura è effettuata dal basso verso l’alto, attraverso un allagamento temporaneo (5-15 minuti) del settore irriguo, seguito dal recupero dell’acqua in eccesso. I principali vantaggi della subirrigazione sono l’automazione dell’irrigazione, la possibilità di meccanizzare la movimentazione delle piante, il ridotto impatto ambientale, la ridotta possibilità di propagare malattie radicali, mentre i principali svantaggi risiedono principalmente nella necessità di utilizzare acque di buona qualità.

Oltre all’elevata efficienza di irrigazione, il sistema della subirrigazione è un sistema a “ciclo chiuso” cioè dove il drenato è recuperato, corretto e ri-somministrato alla stessa coltura. In questi sistemi si raggiunge la massima efficienza nell’uso dell’acqua possibile, in quanto il consumo idrico tende a coincidere con il consumo evapotraspirativo della coltura. La tecnica della subirrigazione presenta anche alcuni svantaggi che ne limitano al momento una sua larga diffusione, come ad esempio i maggiori costi di investimento connessi alla necessità di impermeabilizzare la platea, la necessità di provvedere al recupero e filtrazione della soluzione nutritiva residua.

L’attuale tecnica produttiva utilizzata nella Piana di Albenga per la coltivazione delle piante aromatiche, prevede nella maggioranza dei casi l’utilizzo dell’irrigazione per aspersione. L’irrigazione per aspersione ha un minor costo iniziale e ha una maggiore versatilità in caso di cambiamento colturale rispetto ad altri metodi irrigui, ma come discusso sopra il metodo è uno fra i meno efficienti.

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Fig. 1.17. Irrigazione per Aspersione nella coltivazione di aromatiche ad Albenga (Fonte: Manuale SEGIF, Incrocci et al, 2014)

Fig. 1.18. A sinistra: impianto di micro-irrigazione nella coltivazione della margherita ad alberello di Albenga – A destra: la sub-irrigazione usata nella coltivazione della Stella di Natale (Fonte: Manuale SEGIF, Incrocci et al, 2014).

Ottimizzazione della gestione idrica

Per ottimizzazione la gestione idrica occorre saper rispondere a due domande fondamentali: la quantità di acqua da fornire ad ogni irrigazione (ovvero il volume irriguo ottimale) e l’intervallo di tempo fra un’irrigazione e la successiva (turno irriguo).

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Calcolo del volume irriguo ottimale

Il volume irriguo netto (VIN) rappresenta la perdita di umidità del substrato fra due irrigazioni

successive. Normalmente è solo una frazione (F) della AD di un vaso e viene calcolata come:

VIN=AD*F*D (Eq.3)

dove D è il numero di contenitori al m2 (densità di impianto: nel caso delle aromatiche di Albenga è di 25 piante/m2). F oscilla normalmente fra il 30 e il 50% della AD e la sua scelta dipende dalla quantità di AD del vaso, dalla capacità del substrato a contenere l’aria, e soprattutto dalla sensibilità all’asfissia della pianta. Soprattutto nei vasi bassi (con altezza inferiore a 12 cm), dove la capacità per l’aria a disposizione della pianta alla fine dell’irrigazione è scarsa, è consigliabile scegliere F di 50-70%, in modo che il contenuto idrico nel vaso abbia una certa oscillazione e sia assicurato così un certo arieggiamento del vaso. Al contrario, in vasi grandi (oltre diametro 18 cm), dotati di AD maggiori, conviene adottare F abbastanza piccoli (30-40%), per evitare che si abbia un eccessivo restringimento del substrato, a causa delle grosse variazioni dell’umidità del vaso fra un’irrigazione e la successiva (Incrocci et al, 2014). Nell’ambito del progetto SEGIF sono stati calcolati, a titolo di esempio, alcuni volumi irrigui netti ottimali per la tecnica produttiva delle aromatiche tipica di Albenga, utilizzando il software Cal-Vir che permette di calcolare il volume irriguo ottimale di sistemi substrato-contenitore (Incrocci et al. 2014). Ad esempio per i vasi maggiormente utilizzati ad Albenga nelle produzione di aromatiche come ad esempio il vaso diametro 14 cm (1 litro di volume, con densità di 25 piante/m2) e vaso diametro 19 cm (3.0 litri di volume con densità di 15 piante/m2), il volume irriguo netto ottimale può essere compreso, rispettivamente fra 130 e 170 ml/vaso (3.25-4.25 L/m2 ) e 270-330 ml/vaso (4-5 L/m2).

Il Volume Irriguo Lordo (VIL) è la quantità di acqua, espressa in mm o L/m2 che viene

somministrata ad ogni intervento irriguo, comprendente la quantità di acqua che deve essere erogata in più a causa delle inefficienze irrigue tecnologiche dell’impianto di irrigazione o della scarsa qualità dell’acqua.

Il VIL può essere calcolato come segue:

VIL =VIN /EI*KS (Eq.4)

dove:

-VIN (L/m2) è il volume irriguo netto che rappresenta l’effettiva quantità di acqua che è trattenuta

dopo l’intervento irriguo, nel contenitore o nella zona radicale (per le colture nel terreno): questa quantità rappresenta la variazione di umidità massima del vaso;

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