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Valutazione del profilo igienico di kebab commercializzato nelle province toscane di Pisa, Livorno, Lucca e Grosseto

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Laurea Magistrale in Biosicurezza e Qualità degli Alimenti

Valutazione del profilo igienico di kebab

in Toscana

Relatore: Candidata:

Prof.ssa Roberta Nuvoloni

Costanza Ceccanti

Correlatore:

Prof. Domenico Cerri

Anno Accademico 2016-2017

INDICE

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Riassunto ... 4

Abstract ... 5

1. Introduzione ... 7

2. Nuove tendenze alimentari: gli alimenti etnici in Italia e in Europa ... 9

3. Il döner kebab ... 13

3.1 Caratteristiche chimico-nutrizionali ... 16

4. Profilo igienico del kebab ... 20

4.1 Le contaminazioni delle carni fresche ... 20

4.2 Malattie a trasmissione alimentare (MTA) ... 24

4.2.1 Enterobacteriaceae ... 25 4.2.2 Escherichia coli ... 26 4.2.3 Salmonella spp. ... 28 4.2.4 Yersinia enterocolitica ... 30 4.2.5 Listeria monocytogenes ... 31 4.2.6 Staphylococcus aureus... 32 4.2.7 Enterococchi ... 33

4.3 La contaminazione del kebab ... 35

5. Scopo del lavoro ... 41

6. Materiali e Metodi ... 42

a. Il Campionamento ... 42

6.1 Le analisi ... 44

6.1.1 Ricerca di Salmonella spp. ... 44

6.1.2 Ricerca di Listeria monocytogenes ... 56

6.1.3 Ricerca di Yersinia enterocolitica ... 59

6.1.4 Determinazione quantitativa di Staphylococcus spp., Enterobacteriaceae, Escherichia coli e Enterococcus spp. ... 63

7. Risultati e discussione ... 69

8. Conclusioni ... 88

9. Bibliografia ... 90

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Riassunto

La globalizzazione dei mercati ha favorito la circolazione di prodotti alimentari etnici provenienti da diversi Paesi; il loro consumo è sempre più diffuso anche in Italia, sia per la maggiore presenza di immigrati, che per il numero in crescita di ristoranti ed esercizi commerciali di vendita al dettaglio. Il kebab, tipico prodotto del Medio Oriente, è un rotolo di carne, di solito di tacchino o pollo, impilato su uno spiedo rotante dove avviene la cottura. Alla carne, servita sia nel piatto che nel panino, vengono aggiunti altri ingredienti quali insalata, cipolle, pomodori, salse e spezie varie. Scopo del presente lavoro di tesi è la valutazione delle caratteristiche igieniche di kebab commercializzato in 50 esercizi di vendita al dettaglio delle province toscane di Pisa (25), Livorno (15), Lucca (7) e Grosseto (3), per ognuno dei quali sono stati analizzati 2 campioni, costituiti rispettivamente da un panino e da sola carne. Le analisi hanno riguardato i principali microrganismi indicatori di igiene e patogeni: Enterobacteriaceae, Escherichia coli, Enterococcus spp., stafilococchi coagulasi positivi, Salmonella spp., Yersinia enterocolitica e Listeria monocytogenes. Dalle analisi svolte è emerso che il 19% dei campioni mostravano cariche elevate (>105 UFC/g) di stafilococchi coagulasi positivi, il 14% di Enterobacteriaceae e il 24% di enterococchi. La presenza di E. coli è stata evidenziata in un numero limitato di campioni (6%) e sempre con valori modesti (<105 UFC/g). Salmonella spp., Y. enterocolitica e L. monocytogenes non sono mai risultate presenti. Nella maggior parte degli esercizi commerciali presi in esame il panino è risultato più contaminato della sola carne. Inoltre, in un esercizio commerciale della provincia di Lucca e in due della provincia di Livorno, tutti i campioni analizzati, sia di panino che di sola carne, sono risultati altamente contaminati (valori >105 UFC/g per più microrganismi). In conclusione, se dai risultati conseguiti emerge una discreta qualità igienica del kebab commercializzato in Toscana, testimoniata dall’assenza dei patogeni presi in esame e dai bassi valori di contaminanti nella maggior parte dei campioni, ne deriva anche la necessità di un miglioramento delle condizioni igieniche degli esercizi di vendita, oltre che dell’acquisizione, da parte degli operatori del settore, di una maggiore consapevolezza nell’applicazione di tutte le misure necessarie a prevenire eventuali pericoli legati a questo tipo di prodotto,

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anche in considerazione del fatto che il kebab è oggi un alimento molto richiesto e diffuso.

Abstract

Globalization increased the movement of ethnic foods from foreign States; their consume has a strong diffusion in Italy for the increase of immigration but also for the growing amount of restaurant and single market of ethnic food. Kebab, traditional food of Middle East, is a roll of meat, commonly turkey or chicken, pilled on a rotary spit to cook it. Salad, onions, tomatoes, sauces and spices are ingredients with meat, served on the plate or in sandwiches. The aim of analysis of this thesis is the evaluation of hygienical aspects of kebab commercialized in 50 markets in Tuscany provinces of Pisa (25), Livorno (15), Lucca (7) e Grosseto (3) and, for every market, 2 samples were analyzed, a sandwich and only meat. Analysis were based on main microorganisms as markers of hygiene and pathogens:

Enterobacteriaceae, Escherichia coli, Enterococcus spp., coagulase-positive

staphylococci, Salmonella spp., Yersinia enterocolitica and Listeria monocytogenes. From analysis, 19% of samples showed high colony count (>105 UFC/g) of coagulase-positive staphylococci, 14% of Enterobacteriaceae and 24% of enterococci. The presence of E. coli was highlighted in few samples (6%) and with low colony count (<105 UFC/g). Salmonella spp., Y. enterocolitica and L. monocytogenes were absent in all samples. In a lot of analyzed markets, sandwich was proved to be more contaminated than kebab meat. Moreover, in a market in Lucca’s province and in two markets in Livorno’s province, analyzed samples, sandwich and meat, showed a high contamination (values >105 UFC/g for more microorganisms). In conclusion, from results, a good hygienical quality of kebab commercialized in Tuscany is showed, proved to the absence of analyzed pathogens and to low colony count of contaminants in many samples, but also a requirement of improvement of hygienical conditions in the analyzed markets, in addition to improvement of hygienical condition of workers of this area and to a bigger awareness in the application of prevention of risks connected with kebab, especially since this food has a big diffusion.

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1. Introduzione

Il cibo etnico è sempre più diffuso sia in Italia che in Europa, grazie alla globalizzazione dei mercati, alla ricerca da parte del consumatore europeo di nuovi gusti e sapori, ma anche per motivi economici. Infatti, spesso si tratta di prodotti che mediamente hanno un costo nettamente più basso rispetto a quelli locali. Il kebab è un prodotto etnico molto apprezzato dal consumatore italiano, in particolare dai giovani, in cerca di nuovi sapori, abbastanza speziati e gustosi. Il

döner kebab è un piatto a base di carne, tipico della gastronomia turca, persiana e

araba, divenuto popolare in America settentrionale e in Europa occidentale grazie all’immigrazione proveniente dal Medio Oriente. Successivamente si è diffuso un po’ ovunque e oggi può trovarsi in numerose versioni, a seconda dei paesi e delle culture. La carne (solitamente di bovino ma anche di pollo, tacchino e ovino) tagliata a fettine e in parte triturata, viene condita o marinata con una grande varietà di spezie, impilata su uno spiedo metallico a formare un grosso cono, alternando le fettine con la parte trita e poi cotta sullo spiedo “che gira” (dalla traduzione letterale di döner in turco). Dopo la cottura, il kebab viene tagliato e servito all’interno di panini, con l’eventuale aggiunta di verdure miste e varie salse, o posto su un piatto vero e proprio. Gli esercizi di vendita e somministrazione di

döner kebab rappresentano da alcuni anni una realtà piuttosto diffusa sul territorio

nazionale, in particolare nei grossi agglomerati urbani. Frequentemente il kebab è di provenienza industriale, allo stato congelato, con pezzature variabili da 5 fino anche a 150 kg.

Sotto il profilo igienico-sanitario, dai dati bibliografici, emerge la possibilità che microrganismi potenzialmente patogeni per l’uomo, quali Salmonella spp.,

Staphylococcus aureus, Clostridium perfringens e Escherichia coli O157:H7 si

possano isolare da questo alimento con una certa frequenza (Jöckel e Stengel, 1984; Stolle et al., 1993; Krüger at al., 1993; Elmali et al., 2005; Nassi et al., 2010; Ziino et

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al., 2013). Inoltre alcuni autori hanno evidenziato livelli di contaminazione elevati,

riconducibili ad una cattiva gestione dell'igiene durante la preparazione e la lavorazione (Nassi et al., 2010; Elmali et al., 2005; Ziino et al., 2013). Nel kebab, infatti, poiché deve essere considerata l’eventuale possibilità di abusi termici nei punti vendita o di un prolungamento dei tempi di stoccaggio, per una minore richiesta da parte del consumatore, così come descritto da alcuni autori (Cantoni, 2007), non è possibile escludere che si possano creare facilmente condizioni favorevoli alla crescita dei microrganismi eventualmente presenti.

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2. Nuove tendenze alimentari: gli alimenti etnici in Italia e

in Europa

Il settore alimentare si trova oggi ad affrontare mutamenti culturali e demografici. Infatti, la tendenza delle famiglie ad avere strutture mononucleari e la nuova multietnicità hanno portato a una diversificazione della dieta alimentare, determinando rilevanti modifiche nelle abitudini degli italiani e non solo. Inoltre, l’aumento dell’immigrazione ha determinato la diffusione di “nuovi” cibi, come ad esempio il sushi, piatto tipico giapponese, ed il kebab, pietanza a base di carne tipica della cucina turca, di cui tratteremo in maniera specifica in questo elaborato. Si è quindi delineato un nuovo stile di vita, caratterizzato anche da tempi frenetici, dal crescente pendolarismo e dal poco tempo libero disponibile. Ne consegue un aumento della frequenza di pasti fuori casa e la tendenza al consumo dei prodotti così detti Ready to Eat (RTE), ovvero le preparazioni alimentari pronte per il consumo che possono essere sia crude che cotte, a cui appartengono molte delle pietanze etniche diffuse in Italia negli ultimi anni.

A livello economico, la crescita della domanda da parte dei consumatori di tali alimenti ha fatto sì che la crisi italiana non apparisse evidente. Quasi tutti i maggiori importatori, infatti, crescono almeno del 5-10% l’anno. Prendendo in considerazione solo il cibo etnico che passa per la grande distribuzione organizzata (Gdo), ovvero il sistema di vendita al dettaglio attraverso supermercati e altri intermediari, nel 2015 il fatturato ha raggiunto quota 160 milioni di euro, quasi il doppio del 2007 e in aumento del 18,6% rispetto ad appena un anno prima (elaborazione Rapporto Coop 2015 su dati Nielsen) (Ratti, 2016).

Questa condizione economica mette in luce come il cibo etnico sia oggi di tendenza nella nostra penisola, motivo per cui risulta importante studiare le caratteristiche dei consumatori di prodotti etnici nel contesto italiano, per capire chi acquista cibo etnico, perché sente il bisogno di gustare queste “nuove” preparazioni alimentari e,

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soprattutto, se è a conoscenza degli eventuali rischi igienico-sanitari a cui si sottopone.

L’Osservatorio dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (Nardi, 2015) ha infatti realizzato una ricerca per chiarire l’identikit del consumatore dell’alimento etnico. Dallo studio emerge che il consumatore di cibo etnico in Italia è soprattutto donna, lavoratrice, sopra i 35 anni, con figli, residente al Nord e con un livello d’istruzione medio-alto. Sono, infatti, le donne (52,5%) ad amare l’etnico più degli uomini (47,5%).

L’etnico, ormai, non si mangia solo fuori casa. Una delle ultime tendenze è di prepararlo direttamente fra le mura domestiche. Il 75% dei consumatori dello studio dichiara di acquistare prodotti alimentari etnici e lo fa soprattutto in supermercati della grande distribuzione (48,3%) o in piccoli esercizi commerciali alimentari gestiti da stranieri (17,2%).

In Italia, si mangia sempre più cibo etnico e lo si fa per varie motivazioni, tra cui quella di mangiare qualcosa di differente, ma anche per ragioni culturali ed economiche.

La situazione in Europa risulta più o meno simile a quella italiana. Prendendo come esempio la Germania, la ricerca di cibo etnico da parte del consumatore nasce dall’abbinare il cibo “locale” con il “globale”, dice Möhring nel suo elaborato sulla cucina etnica nell’ovest della Germania (Möhring, 2011), e questa ricerca prende spunto proprio dalla globalizzazione e dall’aumento delle importazioni alimentari, così come già detto per l’Italia. Anche in Germania c’è stata un’evoluzione verso alimenti “nuovi” a causa del cambiamento delle abitudini di vita delle persone che, divenendo abitudini sempre più frenetiche, hanno portato anche il consumatore tedesco, come quello italiano, a mangiare fuori casa ricercando pasti sempre più semplici e veloci. In realtà, nel tempo, la cucina etnica ha anche portato ad un cambiamento della cucina casalinga, afferma ancora Mhöring, come già detto anche per l’Italia.

Möhring, inoltre, aggiunge che i ristoranti etnici in Germania sembrano voler rappresentare una piccola parte del loro Paese in un Paese straniero e la loro cucina viene considerata autentica solo nel momento in cui quel determinato ristorante è

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frequentato principalmente da tedeschi. Il ristorante etnico può essere concettualizzato come un teatro in cui la cucina rappresenta il dietro le quinte e la sala da pranzo il palco da cui ci si aspettano piatti etnici, come una vera e propria “performance teatrale”.

In particolare, il kebab è oggi il più conosciuto e diffuso fast food in Germania, venduto più degli hamburger. Il döner kebab mangiato in Germania è un’invenzione tedesca, in particolar modo berlinese. Consiste in ingredienti, importati o meno, combinati tra loro in un modo nuovo, non conosciuto dai turchi. È importante porre l’attenzione al fatto che nel processo di commercializzazione del döner kebab, è riprodotta una etnicità non preesistente; è stato invece inventato uno specifico “tedesco turco kebab” che trascende dalla presenza dei turchi in Germania, ma introduce nuovi significati nel panorama sociale. Se il döner kebab funziona come un “simbolo politico in un contesto multiculturale”, è, quindi, anche usato per sminuire la cultura turca.

Come si può capire da questo inquadramento generale, i cibi etnici hanno trovato una grande diffusione in Italia e in Europa, ma non in tutti gli Stati vengono recepiti allo stesso modo. Talvolta sono ben visti, in altri casi, come per il kebab in Germania, porta i tedeschi a chiudersi sempre più nel loro mondo e a rifiutare certe aperture “mentali”.

I prodotti etnici maggiormente acquistati dagli italiani, sempre secondo lo studio effettuato dall’Osservatorio dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (Nardi, 2015), provengono soprattutto dalla cucina cinese o giapponese (41%) e messicana/latino americana (27%) (Fig. 1):

 Prodotti appartenenti alla cucina cinese e giapponese;

 Prodotti appartenenti alla cucina latino americana;

 Prodotti appartenenti alla cucina mediorientale;

 Prodotti della cucina del sud-est asiatico;

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In Figura 1 vengono riportate le percentuali di vendita dei suddetti prodotti alimentari.

Fig. 1: percentuali di vendita dei prodotti etnici maggiormente acquistati dagli italiani (Nardi, 2015).

Per il 14,2% il cibo etnico consumato in Italia proviene invece dalla cucina araba/mediorientale, alla quale si può ricondurre il kebab, oggetto di studio di questo elaborato.

Infatti, il Medio Oriente ha saputo accogliere e rielaborare le diverse tradizioni gastronomiche dei popoli che lo compongono. I piatti islamici del mondo arabo, il gusto marinaro bizantino testimoniato dal nome greco dei pesci, la tradizione cristiana e montanara degli armeni, i costumi pastorali turchi e curdi, gli eclettici segmenti del mondo ebraico convivono in un melting pot culinario. È evidente che, oggi, la dieta dei turchi è essenzialmente carnea e anche i più poveri osservano questo regime (Coco, 2006). È questa la cucina che è arrivata fino in Europa e in Italia, integrandosi nel migliore dei modi come è accaduto per il döner kebab.

41% 27% 15% 11% 6% cucina cinese o giapponese cucina messicana/latino americana cucina araba/mediorientale cucina del sud-est asiatico

alimenti della cucina africana

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3. Il döner kebab

I kebab sono dei piatti di carne originari della pianura anatolica, ottenuti da carne marinata o stufata. Kebab significa letteralmente carne alla griglia e la ricetta originaria non prevedeva la preparazione di un panino con salse, l’uso di sottili fette di carne magra salata, saltata e dorata su una piastra rovente, utilizzando come condimento il grasso sciolto dell’animale. Per arrivare alla versione turco-ottomana di quello che oggi comunemente chiamiamo döner kebab, ovvero “arrosto rotante”, bisognerà attendere molti secoli. Se inizialmente la cottura di grossi pezzi di carne alla griglia avveniva ancora utilizzando lunghi spiedi metallici posti a cuocere orizzontalmente sulle braci ardenti, nel XIX secolo, nella città turca di Bursa, venne modificata la tecnica di cottura del kebab, invertendo in senso verticale l’asse di rotazione; fu una vera rivoluzione, poiché in questo modo tutti i liquidi che fuoriescono dalle carni arrostite non vengono dispersi nella brace, ma sono raccolti ai piedi dello spiedone, in un vassoio sgocciolatore, e poi utilizzati per insaporire i ritagli di carne già dorata o per mantenere morbido lo spiedo durante la cottura. Nei paesi arabi si trovano moltissime varianti della ricetta originaria e nelle zone costiere si preparano anche kebab a base di pesce, soprattutto di tonno (Nassi et

al., 2010).

Non c’è una singola definizione di döner kebab, ma c’è stato il recepimento di una diversa terminologia in ogni area geografica. Per quanto riguarda l’etimologia, il termine kebab significa carne arrostita (dall’arabo kebab) ed è generalmente preceduto da un aggettivo che porta all’identificazione della pietanza o del metodo di cottura della carne (in questo caso “döner” si riferisce all’arrostimento verticale “che gira”) (Coco, 2006).

In passato, la carne ovina (montone, agnello) era quella più frequentemente utilizzata, anche se venivano spesso adoperate le carni di manzo, pollo e tacchino. Oggi, la carne utilizzata nella preparazione proviene da grandi compagnie di esportazione di prodotti congelati ed è principalmente di pollo, tacchino e manzo. Alla fine degli anni Sessanta alcuni turchi, emigrati per lavoro in Germania, modificarono la ricetta originaria, adattandola al diverso gusto del consumatore

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tedesco e mettendo a punto il cosiddetto döner kebab, ossia carne arrostita destinata ad essere consumata con pane arabo e con l’aggiunta di molti altri ingredienti (Jöckel et al. 1984). Nella preparazione del döner kebab, il 25-30% della carne viene macinata e la restante parte tagliata a fettine. Le fettine vengono condite e marinate per almeno 20 ore ad una temperatura intorno ai 2/3°C utilizzando erbe e spezie diverse secondo il luogo di produzione (coriandolo, pepe bianco e nero, cumino, timo, menta, peperoncino, cannella, cumino) (Bartholoma et

al., 1997). A seconda delle richieste, per la marinatura si può usare anche sale,

cipolla, cipolla in polvere o succo di cipolla, pomodori grigliati, succo di pomodoro o salsa di pomodoro, olio di oliva, succo di limone o aceto, latte o latte in polvere, yogurt, uova, succo d’uva o zucchero. La carne trita viene miscelata con sale, pepe, cumino, cipolle, yogurt, uova e paprica (Kilig, 2003; Askin et al., 2009). Su un grosso spiedo vengono sovrapposti diversi strati di carne alternando uno strato di fettine ad uno di carne trita (che ha il compito di tenere insieme tutta la preparazione evitandone la frantumazione), ponendo alla sommità le parti grasse, che, colando durante la cottura, evitano l’eccessivo essiccamento delle parti sottostanti; il prodotto viene così assemblato fino ad assumere una forma conoide, simile ad una grossa carota. Servono 2 giorni per la preparazione e la salatura (Vazgecer et al. 2004). Una volta pronto, il kebab può essere montato subito sull’apparecchio per la cottura, se consumato nel luogo di preparazione, oppure distribuito ai luoghi di vendita o addirittura congelato per essere conservato e commercializzato in un secondo tempo. Frequentemente il kebab è di provenienza industriale e viene venduto congelato, con pezzature variabili da 5 fino a 150 kg (Ziino et al. 2013). L’apparecchio per la cottura è composto da una base che funge anche da raccoglitore, con al centro un apposito foro per impiantare lo spiedo e lateralmente la fonte di calore, che è generalmente alimentata a gas o a corrente elettrica. Mentre lo spiedo gira, il prodotto si cuoce nella parte più superficiale, che viene tagliata a strisce sottili; la carne tagliata cade sul vassoio sgocciolatore o direttamente nel panino, oppure viene fatta cadere in un piatto (Fig. 2).

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Fig. 2: tipico spiedo verticale con carne kebab impilata (www.insightguides.com)

Il prodotto che non viene consumato interamente nell’arco della giornata è posto in cella frigo e riutilizzato in tempi successivi in base alla richiesta; così come può accadere che, in caso di ridotta affluenza dei clienti, l’operatore, per ridurre i consumi, spenga la fonte di calore con conseguente insufficiente cottura delle parti esterne (Ziino et al. 2013).

Alla carne, servita sia nel piatto che nel panino (pane arabo) o in una piadina, vengono aggiunti altri ingredienti quali insalata, cipolle, pomodori, salse (di yogurt, maionese, ketchup, tzatziki, harissa), spezie e verdure varie (Fig. 3) (Heinz et al. 2007).

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3.1 Caratteristiche chimico-nutrizionali

Il döner kebab è uno dei più popolari e consumati alimenti etnici RTE in Europa. Le persone sono solite mangiare questo alimento in sostituzione ad un vero e proprio pasto o come snack in molte occasioni legate anche ai costumi locali e alle tradizioni. In Europa, secondo un’indagine condotta da Unaitalia, il kebab è il piatto preferito per quasi il 30% di persone sotto i 34 anni (Colussi, 2014). Probabilmente è uno dei cibi RTE favoriti per il suo valore nutritivo: apporta, infatti, dal 36 al 45% dell’energia necessaria giornalmente, il 95,7 e 82,1% di proteine, 42,5 e 33,4% di acidi grassi saturi rispettivamente per femmine e maschi e 85,5% di sale indipendentemente dal sesso del consumatore (Panozzo et al. 2015).

Nella maggior parte degli esercizi commerciali presenti sul nostro territorio si compra un kebab che è di produzione industriale, fatto con carne di scarsa qualità (Castellani, 2007). Infatti, andando ad analizzare il kebab venduto in Italia, si è visto che è costituito dagli scarti delle carcasse animali tritati e ridotti in una poltiglia che poi viene lavorata e che prende la classica forma del rotolo nello spiedo verticale. (Jöckel et al.,1984). Alla fine della lavorazione la carne viene congelata a -40°C (Fig. 4).

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L’Italia importa il 70% dei kebab. Questo viene prodotto in Germania o Turchia e arriva nel nostro paese già congelato; è anche per questo che il suo prezzo è molto contenuto ed un panino con kebab non supera i 3,5-4 euro (Verì, 2014).

Nei prodotti di qualità superiore gli ingredienti sono: carne all’85%, sale, spezie e piante aromatiche; inoltre questi prodotti sono fatti con grossi pezzi di carne e non solo con carne trita (Fig. 5) (Somani et al., 2005).

Fig. 5: diversa composizione di kebab di bassa e alta qualità (www.youtube.it)

Se andiamo a verificare quanto riportato nell’etichetta, il kebab di bassa qualità risulta additivato con un gran numero di stabilizzanti (E451, E450, E331, E500), antiossidanti (E300, E301), esaltatori di sapidità (E621), conservanti (E250), ma anche altri additivi quali gelificanti, regolatori di acidità ecc. Oltre alle spezie sono presenti acqua, amido, proteine di soia o del latte, fibra e diversi zuccheri (Ziino et

al. 2013; Moeller et al., 1994; Todd et al., 1986) (Fig. 6).

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Gli studi relativi agli aspetti nutrizionali di questo prodotto sono molto scarsi. Vazgecer et al. (2004) riportano i risultati dell’analisi chimica effettuata su 70 kebab preparati ad Ankara (Turchia). La loro composizione è risultata costituita principalmente da sale, proteine, collagene e grassi, con elevato valore medio di umidità e un pH vicino alla neutralità (Tab. 1):

Tab. 1: composizione chimica della carne kebab cotta (Vazgecer et al. 2004)

Kayisoglu et al. (2003), per quanto riguarda l’analisi chimica di döner kebab acquistati a Tekirgad (Turchia), riportano che con la cottura la composizione del

kebab cambia, ovvero si assiste ad un incremento delle proteine, mentre umidità e

grassi diminuiscono con l’aumento della temperatura di trattamento. In media, il contenuto di grasso dei campioni di kebab crudo è del 16,23% rispetto al 14,03% nel

kebab cotto. Le proteine crescono da circa il 18% a 24%, come già visto nel lavoro di

Vazgecer et al. (2004). Questi ultimi autori riportano una composizione chimica simile, ma con alcune differenze, probabilmente dipendenti dalle specie di animali utilizzate e dal tipo di lavorazione della carne prima della cottura.

Nel 2009 la Local Authority Coordinators of Regulatory Services (LACORS) britannica ha svolto un’importante indagine riguardo alla qualità del kebab, allo scopo di verificare la corrispondenza delle informazioni contenute nell’etichetta e il suo reale contenuto (identificazione delle specie animali) e di analizzare la composizione del

kebab, in particolare il panino con kebab, confrontando le linee guida nutrizionali e

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kebab analizzati presentano specie di animali diverse rispetto a quelle riportate in

etichetta. La composizione nutrizionale risulta essere quella riportata in Tabella 2.

Tab. 2: tabella nutrizionale dei döner kebab a seconda della taglia del panino. (LACORS, 2009)

Da questi studi, emerge che il valore energetico e nutrizionale del panino con

kebab, com’è lecito aspettarsi, è di gran lunga superiore a quello della sola carne.

Ciò vuol dire che le verdure e le varie salse abbinate alla carne, così come anche il pane, non fanno da semplice contorno a questo alimento, ma ne innalzano il valore energetico e soprattutto calorico.

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4. Profilo igienico del kebab

4.1 Le contaminazioni delle carni fresche

La crescita microbica, in qualunque tipo di alimento, dipende da numerosi fattori che possono essere distinti in:

intrinseci (legati alle caratteristiche dell’alimento): pH, attività dell’acqua,

potenziale di ossido-riduzione, presenza/assenza di ossigeno, composizione e struttura dell’alimento e presenza di antimicrobici;

estrinseci (legati all’ambiente nel quale viene conservato il prodotto): ad

esempio temperatura e umidità relativa;

di processo (operazioni che vengono applicate durante la produzione di un

alimento): ad esempio cottura

impliciti (caratteristiche peculiari delle popolazioni microbiche e loro

interazioni con l’alimento) (Patrignani et al. 2014).

Il kebab è un prodotto a base di carne proveniente da specie animali diverse. La carne, per le sue caratteristiche, è un substrato adatto alla crescita microbica. Le contaminazioni microbiche possono verificarsi sia durante la vita dell’animale (contaminazioni endogene), che durante le varie fasi del processo produttivo (contaminazioni esogene). Gli animali che arrivano alla macellazione devono essere in buone condizioni di salute e quindi molto raramente si hanno contaminazioni endogene delle carni dovute a batteriemia.

Per le contaminazioni endogene, un ruolo importante viene assunto dai microrganismi Gram negativi come Salmonella spp., Campylobacter spp.,

Escherichia coli, Yersinia enterocolitica ed anche batteri Gram positivi sporigeni,

come Clostridium e Bacillus, e batteri Gram positivi asporigeni appartenenti ai generi Listeria e Staphylococcus. Questi microrganismi si trovano prevalentemente nel tratto digerente e sulla cute degli animali e possiedono un’elevata capacità di sopravvivenza nell’ambiente esterno. Gli animali portatori (senza sintomi) sono i

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principali disseminatori di questi microrganismi nell’ambiente, ragione per cui alcune fasi della macellazione, quali lo scuoiamento, la depilazione e l’eviscerazione, rappresentano i momenti in cui possono avvenire le maggiori contaminazioni delle carcasse, dell’ambiente e delle attrezzature.

Quindi la qualità igienica delle carni dipende da una parte dalle contaminazioni durante il processo di macellazione e sezionamento, ma anche dalla capacità di crescita dei microrganismi durante le successive fasi di raffreddamento, stoccaggio e distribuzione (Olivastri et al. 2014).

Come già è stato detto, il kebab è prodotto a partire da carne ovina, bovina o avicola. Spesso si tratta di carne Halal, poiché i paesi del Medio Oriente seguono la religione islamica e quindi gli animali vengono macellati seguendo il rito musulmano, che prevede la iugulazione (recisione dei grandi vasi del collo) dell’animale senza preventivo stordimento, con la testa dell’animale in direzione di La Mecca (Fig. 7).

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Il processo di macellazione bovina convenzionale segue lo schema sotto riportato :

Per la qualità della carne è fondamentale la fase di pre-macellazione dell’animale, che può essere sottoposto a forti stress, favorevoli all’instaurarsi di successive contaminazioni per errata evoluzione del muscolo in carne.

SCUOIAMENTO (rischio di contaminazione e/o proliferazione microbica)

STAZIONAMENTO

(rischio di contaminazione e/o proliferazione microbica) STORDIMENTO SOLLEVAMENTO DISSANGUAMENTO TAGLIO TESTA, CORNA, ZAMPE DIVARICAZIONE

EVISCERAZIONE (rischio di contaminazione e/o proliferazione microbica)

toracica addominale

ISPEZIONE SANITARIA E BOLLATURA SEZIONAMENTO, DOCCIATURA, PESATURA

REFRIGERAZIONE

TUNNEL con prerefrigerazione o cella PRODUZIONE TRASPORTO

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La contaminazione post-mortem interessa soprattutto la superficie della carcassa ed è costituita da microrganismi di origine intestinale. I punti più critici sono individuabili nelle fasi di scuoiamento e eviscerazione.

Durante la macellazione, oltre ai microrganismi intestinali, intervengono anche quelli ambientali. La contaminazione può essere quindi causata da utensili (coltelli, vasche di scottatura etc.) e dalla diffusione dei germi intestinali, che è favorita in caso di ritardata eviscerazione. L’eviscerazione si considera tardiva quando viene effettuata 30’ dopo la iugulazione.

La contaminazione durante la toelettatura è data soprattutto da microrganismi di origine ambientale e microrganismi provenienti dagli operatori, che, come vedremo, possono avere un ruolo fondamentale a livello di contaminazione nell’intera filiera. Nella macellazione rituale islamica l’animale deve essere completamente privato del sangue, che risulta un “alimento proibito” per la religione musulmana (Galli Volonterio, 2005).

Per il pollame, il processo di macellazione avviene secondo lo schema sotto riportato:

Anche in questo caso, si può avere contaminazione in tutte le fasi della macellazione.

LAVAGGIO EVISCERAZIONE

LAVAGGIO

SPENNATURA (punto critico e molto a rischio) ABBATTIMENTO e SCOTTATURA (docciatura calda)

TRASPORTO

PRODUZIONE (punto critico e molto a rischio)

REFRIGERAZIONE (punto molto critico e molto a rischio) CONFEZIONAMENTO e DISTRIBUZIONE

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24

Negli avicoli i microrganismi risiedono prevalentemente sulle penne e sulle zampe, oltre che nell’apparato digerente. Inoltre può esserci il passaggio dei microrganismi da fasi fortemente contaminate a fasi poco contaminate o si può assistere all’introduzione di microrganismi ambientali. Le salmonelle, per esempio, possono essere trasmesse da carcassa a carcassa. Anche gli utensili e le attrezzature possono favorire la diffusione; una pulizia e una sanitizzazione inadeguate consentono quindi l’instaurarsi di contaminazioni sui prodotti in lavorazione. L’acqua e la stessa aria possono essere vettori di microrganismi, che subiranno una selezione durante le fasi di conservazione delle carcasse. Infine, non si deve trascurare l’apporto microbico degli operatori, ma anche di insetti, roditori, uccelli ecc. (Galli Volonterio, 2005).

In funzione del tipo di conservazione, sulla carne si assiste ad una sorta di selezione microbica. Infatti, solo il 10% dei microrganismi presenti sulla carne, è in grado di crescere durante la conservazione, che avviene a temperature di refrigerazione. L’impiego del freddo rappresenta il metodo migliore per conservare le carni, infatti le basse temperature bloccano o rallentano lo sviluppo microbico. È però particolarmente importante la prevenzione degli inquinamenti da microrganismi psicrofili nelle fasi della macellazione e conservazione (Olivastri et al. 2014).

Le popolazioni microbiche che generalmente contaminano la carne consistono in una grande varietà di generi, quali Staphylococcus, Pseudomonas, Flavobacterium,

Enterobacter, Bacillus, Escherichia ma anche batteri lattici, lieviti e muffe.

La carne può inoltre essere un vettore di microrganismi patogeni, tra i quali i più frequentemente coinvolti sono Salmonella spp., Listeria monocytogenes e

Clostridium perfringens (Olivastri et al. 2014).

4.2 Malattie a trasmissione alimentare (MTA)

Le Infezioni alimentari sono malattie provocate dall’ingestione di microrganismi patogeni vivi con successiva invasione e moltiplicazione degli stessi all’interno della mucosa intestinale o altri tessuti (Patrignani et al. 2014). Sono numerose, sostenute

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sia da microrganismi riconosciuti già da tempo come patogeni, sia da microrganismi di recente identificazione ma dei quali la manifestazione morbosa era già da tempo nota (patogeni emergenti), sia da microrganismi opportunisti che in particolari condizioni (ospite debilitato ecc.) prendono il sopravvento (Galli Volonterio, 2005). Le Intossicazioni alimentari sono quelle malattie dovute a sostanze tossiche o tossine prodotte da microrganismi nell’alimento ed ingerite con l’alimento stesso senza che necessariamente venga ingerito anche l’agente patogeno (Patrignani et

al. 2014). L’intossicazione alimentare classica è quella dovuta alla tossina prodotta

da Staphylococcus aureus che non viene prodotta nell’intestino, ma si può riscontrare preformata nell’alimento (Jay et al., 2009).

Le Tossinfezioni alimentari sono malattie dovute a tossine prodotte da microrganismi patogeni all’interno del tratto gastrointestinale (Patrignani et al. 2014). Le tossinfezioni alimentari sono il risultato dell’interazione tra la sensibilità individuale, la patogenicità e la contaminazione ambientale (Moroni et al. 2014). In generale, il termine tossinfezioni alimentari viene utilizzato per tutte le malattie di origine alimentare.

4.2.1 Enterobacteriaceae

Alla famiglia delle Enterobacteriaceae appartengono batteri Gram negativi, generalmente mobili (grazie a flagelli peritrichi), con particolari caratteristiche: alcuni presentano una capsula che li protegge dalla fagocitosi, altri ne sono privi. Possono sviluppare in presenza o in assenza di ossigeno (anaerobi facoltativi). Sono costantemente presenti nel contenuto intestinale degli animali e dell’uomo; sono poco acido tolleranti e presentano elevate esigenze in aw (attività dell’acqua).

Ricavano energia dalla fermentazione acido mista, che porta alla formazione di acido lattico, acido acetico, acido succinico, etanolo, CO2 e H2, tipica di Escherichia coli, Salmonella spp. e Yersinia spp., mentre altri ricavano energia dalla

fermentazione 2,3-butandiolo con formazione di acetoino, acido lattico, acido acetico, CO2 e H2.

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Possono metabolizzare sia le proteine, sia gli zuccheri, meno i lipidi. Per quanto riguarda le proteine, esse possono essere metabolizzate attraverso degli enzimi detti decarbossilasi, che vanno ad attaccare il gruppo carbossilico della proteina. Ciò è importante perché quando da una proteina viene tolto il gruppo carbossilico, rimane il gruppo amminico e quindi si formano ammine biogene, sostanze a riconosciuta azione tossica e cancerogena.

Tra le Enterobacteriaceae, i germi capaci di fermentare il lattosio con o senza produzione di gas vengono chiamati coliformi. Fino a qualche anno fa, uno strumento utilizzato per misurare la salubrità di un alimento era proprio la colimetria, cioè la determinazione dei coliformi totali. Distinguiamo:

 coliformi totali, indice di igiene, rappresentati da specie di origine ambientale, capaci di crescere agevolmente a 37°C (ma non a 44°C);

 coliformi fecali, indice di contaminazione fecale, hanno habitat intestinale e crescono a 44°C.

Cariche di coliformi che superano i 10.000 UFC/g indicano che un alimento è a rischio per la salute umana (Galli Volonterio, 2005).

Oggi, come indicatore di scarsa igiene di processo, viene utilizzata la carica di germi appartenenti alla famiglia delle Enterobacteriaceae. In particolare, secondo il regolamento 1441/2007, le Enterobacteriaceae vengono ricercate nelle carcasse durante la macellazione, nel latte e nei prodotti lattiero caseari e nei prodotti a base di uova (Daminelli, 2016). Secondo il Ministero della Salute, cariche maggiori di 31 UFC/cm2 rendono un alimento a base di carne bovina, ovina o equina a rischio per la salute umana (Daminelli, 2016).

4.2.2 Escherichia coli

È un microrganismo asporigeno, appartenente alle Enterobacteriaceae, in grado di crescere in un range di temperatura tra 5 e 45°C e di pH tra 4,5 e 9. Non resiste al trattamento di pastorizzazione e ha valori ottimali di attività dell’acqua tra 0,95 e 0,99. Presenta un metabolismo di tipo respiratorio e fermentativo (fermentazione

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acido-mista) ed è in grado di metabolizzare le proteine attraverso decarbossilasi. È quindi un microrganismo responsabile della produzione di ammine biogene.

Questo batterio si ritrova comunemente nell’intestino degli animali e dell’uomo (Fig. 8) ed è da considerare un “patogeno opportunista” ovvero risulta incapace di causare la malattia in individui sani e immunocompetenti, mentre è in grado di infettare soggetti le cui difese sono molto indebolite. Vive allo stato libero oppure come parte della microflora transitoria o residente dell’ospite, ma può svolgere un’azione patogena in presenza di condizioni favorenti come il venir meno dell’immunocompetenza dell’ospite (Lanciotti, 2012).

Fig. 8: E. coli nell’intestino (www.dissapore.com)

E. coli è il principale indicatore di contaminazione fecale, insieme agli enterococchi.

Alcuni ceppi di E. coli sono patogeni per l’uomo e gli animali domestici. La patogenicità può essere legata alla produzione di tossine (Donnenberg, 2002). I ceppi patogeni di E. coli si dividono in:

E. coli enteropatogeni (EPEC), primi patogeni ad essere associati alla malattia

diarroica. La malattia è causata dal fatto che questi sono in grado di aderire all’epitelio dell’intestino tenue e di interferire con l’assorbimento delle sostanze; questo provoca la formazione di un ambiente iper-osmolare nel lume intestinale, un conseguente richiamo di acqua, e infine, dissenteria;

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E. coli enterotossigeni (ETEC), in grado di provocare gastroenteriti molto

gravi, soprattutto nei viaggiatori e nelle persone che hanno ingerito alimenti o liquidi contaminati da feci;

E. coli enteroemorragici (EHEC), principali responsabili di malattia nei Paesi

industrializzati. A questo gruppo appartengono circa 50 sierotipi; il sierotipo maggiormente responsabile di tossinfezione è E. coli O157:H7. La malattia nell’uomo è generalmente associata al consumo di carne di manzo non cotta, di succhi di frutta contaminati e di verdura cruda. La malattia si manifesta a carico dell’intestino crasso dopo un periodo di incubazione di 3-4 giorni, durante i quali inizia a comparire una diarrea non sanguinolenta. Circa al terzo giorno, compaiono forti dolori addominali accompagnati da diarrea con sangue;

E. coli enteroinvasivi (EIEC), in grado di provocare diarrea sanguinolenta,

crampi addominali e febbre, i quadri più gravi evolvono in ulcerazioni dell’intestino;

E. coli enteroaggreganti (EAEC), responsabili di diarrea acquosa persistente

nei viaggiatori e nei bambini dei Paesi in via di sviluppo (Patrignani et al. 2015).

4.2.3 Salmonella spp.

Le salmonelle (Fig. 9) sono bacilli Gram negativi, appartenenti alla famiglia delle

Enterobacteriaceae, asporigeni, anaerobi facoltativi, in grado di fermentare il

glucosio, ma non il lattosio, producendo gas (acido solfidrico). Tutte le specie appartenenti al genere Salmonella possiedono flagelli peritrichi e sono tutte mobili tranne Salmonella gallinarum e Salmonella pullorum (Patrignani et al. 2014).

Il loro intervallo di temperatura di crescita è generalmente compreso tra 6 e 45°C, l’intervallo del pH tra 4,1 e 9. L’attività dell’acqua minima richiesta per il loro sviluppo è compresa tra 0,95 e 0,93. Sono poco resistenti ad alte concentrazioni di sale. La presenza di grassi e la riduzione di acqua negli alimenti aumenta

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29

notevolmente la loro termoresistenza; non resistono solitamente alle comuni temperature di pastorizzazione (sono inattivate a 60°C in 15-20’).

Esse sono in grado di provocare le salmonellosi, cioè gastroenteriti causate dall’ingestione di microrganismi vivi appartenenti appunto al genere Salmonella, in particolare a specie che non hanno habitat umano (così dette salmonelle minori) ma con le quali l’uomo viene a contatto attraverso l’ambiente e gli animali domestici (cani, gatti, pollame, suini, bovini, roditori ecc.). Per determinare la gastroenterite, tali salmonelle devono venire ingerite in numero elevato (104-108 UFC/g) a seconda del loro potere infettante e della sensibilità individuale dell’ospite.

Fig. 9: Salmonella spp. (www.inran.it)

La gastroenterite conseguente all’infezione può avere anche decorso molto grave, soprattutto nei bambini molto piccoli e nelle persone anziane e debilitate. Le salmonellosi non devono però essere confuse con le tipiche malattie sostenute dalle salmonelle patogene per l’uomo (S. ser. Typhi e S. ser. Paratyphi) che sono responsabili di tifo e paratifo di tipo A e B (Galli Volonterio, 2005).

L’infezione si trasmette per via oro-fecale, attraverso l’ingestione di cibi o bevande contaminate o per contatto, attraverso la manipolazione di oggetti o piccoli animali in cui siano presenti i batteri. Gli alimenti contaminati rappresentano i veicoli più importanti di diffusione dell’infezione nell’uomo. Tuttavia, per poter causare la malattia è necessaria la colonizzazione massiva dell’alimento da parte dell’agente

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patogeno prima che venga ingerito. Solitamente il cibo contaminato non presenta alcuna alterazione delle caratteristiche organolettiche (colore, odore, sapore, consistenza) visibile. La contaminazione degli alimenti può avvenire al momento della loro produzione, durante la preparazione, oppure dopo la cottura a causa di una manipolazione non corretta (Marinelli et al., 2002).

4.2.4 Yersinia enterocolitica

Yersinia enterocolitica è un germe Gram negativo, bastoncellare che ha una

caratteristica peculiare, quella di essere meso-psicrofilo, cioè riesce a moltiplicarsi a temperatura di refrigerazione; ciò ha un notevole significato per gli alimenti contaminati e mantenuti in frigorifero. Come le altre Enterobacteriaceae, si moltiplica anche a temperatura di 37°C, ma la sua temperatura ottimale è di 28°C. Una delle sue proprietà più costanti e caratteristiche è proprio l’abilità di svilupparsi a temperature di refrigerazione, anche assai prossime a quelle di congelamento; Y.

enterocolitica resiste per 90 giorni a -18°C. La pastorizzazione determina la morte

del germe, il quale resiste solo pochi istanti a temperature al di sopra di 60°C. Y.

enterocolitica cresce in un intervallo di pH tra 4,5 e 9 e a valori minimi di attività

dell’acqua di 0,95 (Fratamico et al. 2005).

È frequentemente presente nel maiale e la possiamo ritrovare a livello delle tonsille e nell’intestino. Il problema per Yersinia enterocolitica è rappresentato dalla carne, specialmente suina, tipico mezzo per la trasmissione di questo batterio all’uomo. È stata, però, isolata anche da uova, pollame e ortaggi.

Yersinia enterocolitica è stata più volte incriminata in problemi di tossinfezione

alimentare perché è in grado di produrre una tossina simile alla tossina prodotta da

Escherichia coli, in particolar modo dai ceppi ETEC (E. coli enterotossigeni).

La tossinfezione è legata all’ingestione di almeno 106 UFC/g e ha un’incidenza stagionale, in primavera e soprattutto in ottobre-novembre. È un microrganismo che è stato spesso associato a una forma di gastroenterite in cui i sintomi principali sono rappresentati da dolori addominali e diarrea, oppure provoca una sintomatologia simile a quella di un attacco di appendicite (Galli Volonterio, 2005).

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4.2.5 Listeria monocytogenes

Listeria monocytogenes è un batterio Gram positivo, non sporigeno,

aerobio-anaerobio facoltativo, mobile a 28°C per la presenza di flagelli peritrichi (da 1 a 5), catalasi positivo ma ossidasi negativo. Cresce in un range di temperatura molto ampio (tra +3 e 45°C) con un optimum tra 30 e 38°C. Presenta buona resistenza a valori di pH compresi tra 4,4 e 9,6 e valori minimi di attività dell’acqua di 0,92. Ha una buona termoresistenza ma viene eliminato dalle temperature di pastorizzazione. Grazie a queste caratteristiche, alla sua natura psicrotrofa e alla capacità di crescere in mancanza o in carenza di ossigeno, oltreché in matrici disidratate, risulta essere ubiquitario e in grado di contaminare diversi alimenti, sopravvivendo anche quando questi vengono conservati a temperature di refrigerazione (Patrignani et al. 2014).

È responsabile di listeriosi, ovvero una malattia che si manifesta con varie forme cliniche: meningite, aborti, setticemia perinatale e sintomi di tipo influenzale, ma mai a carico dell’apparato gastrointestinale. Si ritiene che la malattia sia mortale nel 30% dei casi, soprattutto quando diagnosi e terapia non sono immediate. La listeriosi non si sviluppa in tutte le persone che vengono a contatto con il microrganismo e pertanto si pensa a meccanismi di resistenza su basi genetiche. Particolarmente esposte sono le donne gravide (Fig. 10), i neonati e i bambini molto piccoli, le persone anziane e gli immunodepressi. La trasmissione avviene per via alimentare ma anche per contatto diretto tra l’uomo e le varie fonti del microrganismo (uomo, terreno, animali, insetti, polvere, aria, piante, feci infette, impianti di lavorazione ecc.). Nei soggetti a rischio sono sufficienti poche cellule (102-103 UFC/g) per provocare l’infezione (Galli Volonterio, 2005).

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Fig. 10: la listeriosi colpisce principalmente donne in stato di gravidanza e neonati (www.tuttogreen.it)

4.2.6 Staphylococcus aureus

Al genere Staphylococcus appartengono microrganismi a forma di cocchi, anaerobi facoltativi, Gram positivi, che si dispongono a grappolo (dal greco staphulè) (Fig. 11). Molti ceppi sono capaci di elaborare, durante la loro moltiplicazione negli alimenti, enterotossine, in grado di provocare una gastroenterite dopo l’ingestione del cibo incriminato.

Fig. 11: Staphylococcus aureus (www.ecolab.com)

S. aureus è resistente al sale (fino al 20% di NaCl), al nitrito, e al saccarosio (fino al

50-60%). La quantità di tossine prodotta nell’alimento è in relazione alla moltiplicazione cellulare, a sua volta regolata dalla temperatura (la minima

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temperatura di crescita è 10°C e la massima 45°C), dal pH (può sviluppare da pH 4,8 a pH 8), dalla composizione chimica dell'alimento e dall’attività dell’acqua (compresa tra 0,83 e 0,99).

La fonte di stafilococchi enterotossici è rappresentata dall’uomo e dagli animali, soprattutto se affetti da affezioni alle prime vie respiratorie, ferite e mastite. L’enterotossina stafilococcica è termostabile, infatti il normale trattamento di cottura dei cibi non la inattiva, a differenza delle cellule degli stafilococchi. Circa il 75% dei casi di intossicazione stafilococcica sopravviene per inadeguato raffreddamento degli alimenti, soprattutto se a base di carne, pesce, uova e latte. I singoli individui differiscono per sensibilità alla tossina. Il periodo di incubazione dell’intossicazione è generalmente breve (2-6 ore) e per questo si differenzia dalle altre malattie alimentari. I sintomi più comuni sono: nausea, vomito, crampi addominali, diarrea violenta con sangue e muco, mal di testa, debolezza, crampi muscolari; talvolta negli anziani si manifestano collasso e difficoltà respiratoria. La produzione dell’enterotossina non è tipica solo di S. aureus ma anche di altre specie di stafilococchi (S. intermedius, S. hycus, S. warneri, S. epidermidis, S. saprophyticus,

S. haemolyticus) e anche se molte di queste specie non sono di origine umana, il

loro ingresso negli alimenti è possibile (Galli Volonterio, 2005).

La presenza di stafilococchi può deporre per la presenza della tossina quando il numero di stafilococchi è pari o superiore a 105 UFC/g (Patrignani et al. 2014).

4.2.7 Enterococchi

Gli Enterococchi sono cocchi Gram positivi, catalasi negativi, che si presentano isolati, doppi o più frequentemente a catena (Fig. 12) e sono provvisti dell’antigene D (per questo erano classificati, in passato, nel gruppo D degli streptococchi, secondo la classificazione di Rebecca Lancefield) (De Felip, 2001).

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Fig. 12: Enterococco fecale (www.streptococco.com)

I microrganismi appartenenti al genere Enterococcus presentano specifiche caratteristiche: crescita a 10°C e 45°C, resistenza a 60°C per 30 minuti, crescita a pH 9,6 e in presenza del 6,5% di NaCl. La presenza di enterococchi nelle acque e negli alimenti da mettere in relazione ad una contaminazione di origine fecale, spesso dovuta ad infiltrazioni o a fenomeni di cross contaminazione (Stuart et al., 2006). Tra le specie più importanti troviamo Enterococcus faecalis, batterio ubiquitario, che, per la sua spiccata virulenza, si stima sia coinvolto nell'80% delle infezioni enterococciche.

Le infezioni mediate da Enterococcus faecalis comprendono, in particolar modo, endocarditi sub-acute, meningiti, sepsi, batteriemia ed infezioni a carico delle vie urinarie. È stato osservato, ed ormai dimostrato, che le infezioni da Enterococcus

faecalis avvengono spesso in ambito ospedaliero ed in strutture sanitarie in genere

(Jay et al. 2009).

Enterococcus faecalis può infettare l'uomo anche attraverso gli alimenti

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4.3 La contaminazione del kebab

Come già detto, per preparare il kebab, la carne viene sottoposta a marinatura e poi a refrigerazione o congelamento. Il kebab subisce, prima della vendita per il consumo, un trattamento termico di cottura.

Vazgecer et al. (2009) riportano che la temperatura di cottura supera i 40°C, quando il kebab viene arrostito, mentre Ziino et al. (2013) riferiscono che si raggiungono gli 80°C. Si tratta di temperature piuttosto alte che portano ad una diminuzione della carica microbica, almeno in superficie. Durante la cottura, oggi eseguita prevalentemente in sistemi dedicati, a gas o elettrici, le temperature possono notevolmente oscillare in base alle dimensioni della preparazione e a seconda dello stato iniziale della materia prima. Infatti, specie nei kebab di grandi dimensioni, dopo qualche ora è possibile che all’esterno si raggiungano temperature anche di 85°C, mentre all’interno permangano valori di 6-7°C (Cantoni, 2007). La cottura avviene di solito in tempi abbastanza rapidi, in funzione della pezzatura del prodotto stesso; un kebab di 50 Kg, ad esempio, presenta la superficie esterna cotta al punto giusto per il taglio dopo circa un’ora. A cottura ultimata viene abbassata la temperatura del grill per non abbrustolire troppo la carne in attesa dell’arrivo dei clienti. La carne viene poi tagliata con un coltello a lama sottile o con un coltello elettrico e, cadendo sul vassoio sgocciolatore, viene ulteriormente tagliata in pezzi più piccoli ed inserita nel panino con altri ingredienti (insalata, pomodori, crauti, cipolla) e condimenti o servita sul piatto o venduta in contenitori di alluminio (Fig. 13). Alla fine della giornata, la carne cotta rimasta invenduta, nella maggior parte degli esercizi di vendita, viene messa in frigorifero ed utilizzata la mattina dopo (Nassi et al., 2009).

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Fig. 13: condimenti per kebab (www.alimentipedia.it)

Nel panino con kebab, vista la varietà degli ingredienti, la carica microbica dipenderà essenzialmente dalla gestione dell’igiene nell’esercizio commerciale di preparazione e vendita (Fig. 14).

In questo tipo di prodotto possono quindi essere riscontrati microrganismi dei generi Staphylococcus e Enterococcus, Enterobacteriaceae ed E. coli, nel caso in cui sia scarsa l’igiene, ma anche patogeni come Salmonella spp., Listeria

monocytogenes e Yersinia enterocolitica.

Diversi studi sono stati condotti, in Italia e all’estero, per valutare le caratteristiche igienico sanitarie del kebab pronto per il consumo. In una ricerca condotta da Jöckel e Stengel (1984) ben il 10% del prodotto pronto al consumo conteneva C.

perfringens. Percentuali del 19% dello stesso microrganismo sono riportate da Stolle et al. (1993) in uno studio condotto su 44 campioni di kebab a Monaco, pur in

presenza di cariche microbiche molto contenute. Krüger et al. (1993), su un totale di 40 campioni analizzati, hanno osservato la presenza di stafilococchi coagulasi positivi nel 42% dei casi, con cariche di 5,3-6,2 log ufc/g. Che il kebab possa essere un alimento potenzialmente pericoloso per il consumatore è anche testimoniato dal fatto che è risultato frequentemente l’alimento incriminato in episodi di malattia alimentare (Synnott et al., 1993; Evans et al., 1999; Torres et al., 2012).

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Fig. 14: negozio kebab con scarse caratteristiche igieniche (www.ilgiornale.it)

Elmali et al. (2005) riportano, le caratteristiche microbiologiche di kebab pronto per il consumo, preparato secondo la tradizione turca. I risultati ottenuti vengono riportati in Tabella 3.

Tab. 3: risultati delle analisi microbiologiche su kebab (Elmali et al., 2005)

Il 70% dei 100 campioni di kebab esaminati in questo studio presentavano coliformi totali con cariche in un range tra <102 e 106 UFC/g. Il 54% dei campioni conteneva invece E. coli anche se con valori <10 UFC/g. Il Turkish Food Codex prevede un limite di 106 UFC/g di coliformi totali in prodotti di origine animali non cotti, ma non vi sono criteri microbiologici stabiliti per il döner kebab pronto per il consumo. La presenza di S. aureus è stata rilevata nel 27% dei campioni con valori fino a 104

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UFC/g. Si deve però sottolineare che la normativa turca permette la presenza di S.

aureus < 103 UFC/g nel döner kebab (Anonimo, 2001).

Le alte conte di coliformi totali e la presenza di stafilococchi coagulasi positivi riscontrati da questi autori potrebbero essere ricondotte ad una bassa qualità igienica delle materie prime utilizzate (ad esempio carne e spezie) o ad una cattiva gestione igienica dei piani di lavoro e degli utensili e potrebbero essere state favorite da una temperatura di cottura insufficiente. Infatti, sebbene E. coli sia sensibile alle alte temperature, la sua incidenza nei döner kebab presi in esame in questo studio era molto alta.

Infine, nel 14% dei 100 campioni esaminati, è stata evidenziata la presenza di

Salmonella spp.. A proposito di questo microrganismo, la normativa turca ne

richiede la totale assenza nel döner kebab. La presenza di questo patogeno nei campioni di kebab presi in esame può essere attribuita alla cross contaminazione tramite utensili utilizzati nel taglio della carne cruda o attraverso lo sgocciolio di liquidi dalla porzione di carne non ancora cotta.

I risultati di questo studio hanno evidenziato una scarsa qualità igienica della maggior parte dei kebab presi in esame ed anche la mancanza di sicurezza di questi prodotti. Gli autori sottolineano che, oltre alla carne, anche i diversi ingredienti utilizzati nella preparazione dei panini kebab possono essere a rischio per il consumatore e quindi dovrebbero essere presi in esame per definire il profilo igienico di questo prodotto (Elmali et al. 2005).

Nassi et al. (2010) riportano i risultati dell’analisi microbiologica effettuata su 44 campioni di kebab (carne congelata, carne cotta e panino) venduti nella città di Lucca. Nei campioni presi in esame, Salmonella spp. e Bacillus cereus sono risultati sempre assenti, mentre è stata riscontrata la presenza di Listeria monocytogenes in un campione di carne cruda. I clostridi sulfito riduttori e Escherichia coli sono risultati inferiori alla soglia di rilevamento nella quasi totalità dei casi. La carica batterica totale, gli stafilococchi coagulasi positivi ed i coliformi totali hanno presentato in media i valori più elevati, oltre che nella materia prima (5,18, 2,41, 3,14 log UFC/g), anche nei panini a fine giornata (6,70, 2,41, 3,70 log UFC/g). Secondo questi autori gli alti valori riscontrati nel panino (valore medio: 6,70 log

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UFC/g) sono verosimilmente da collegare alla presenza di altri ingredienti. In conclusione, se dai risultati conseguiti emerge una discreta qualità sanitaria del

döner kebab commercializzato nell’area lucchese, ne deriva anche la necessità di un

miglioramento delle condizioni igieniche degli esercizi di vendita.

Ziino et al. (2013) riportano i risultati delle analisi microbiologica su kebab crudo e pronto per il consumo, venduto in Sicilia, nelle città di Palermo e Messina. I risultati di questo studio sono riportati in Tabella 4.

Tab. 4: risultati delle analisi microbiologiche su kebab venduto in Sicilia (Ziino et al., 2013)

Nei campioni crudi la CMT presentava valori compresi tra 4,00 e 7,34 log UFC/g. Erano sempre presenti le Enterobacteriaceae con valori tra 1,00 e 7,59 log UFC/g, mentre Escherichia coli si isolava in 13 campioni con cariche comprese tra 1,70 e 6,18 log UFC/g. Gli stafilococchi coagulasi positivi erano presenti in 10 campioni (tra 2,00 e 3,48 log UFC/g), mentre gli anaerobi solfito riduttori (s.r.), isolati in 6 campioni, presentavano cariche comprese tra 1,00 e 4,00 log UFC/g. Dopo trattamento termico, complessivamente gli autori hanno osservato una certa riduzione di tutti i parametri batteriologici, con valori di CMT compresi tra 1,78 e 6,30 log UFC/g. In tre campioni hanno evidenziato la presenza di Escherichia coli (da 1,00 a 1,30 log UFC/g), mentre in uno di anaerobi solfito riduttori (2,00 log UFC/g).

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Gli stafilococchi coagulasi positivi erano presenti in due campioni con valori rispettivamente di 2,30 e 2,78 log UFC/g. Risultavano sempre assenti i microrganismi patogeni presi in esame: Salmonella spp., Listeria monocytogenes e

Bacillus cereus.

I risultati ottenuti dagli autori siciliani mostrano un’estrema variabilità del profilo microbiologico del kebab commercializzato nelle città di Palermo e Messina. Infatti, come già affermato da Elmali et al. (2005), numerosi sono i fattori che condizionano la microbiologia di questo prodotto, quali le caratteristiche igieniche della materia prima, le tecniche di cottura, le successive fasi di stoccaggio, le condizioni igieniche del personale, nonché quelle dei locali e delle attrezzature (Ziino et al. 2013).

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5. Scopo del lavoro

Questo lavoro nasce dalla sempre maggiore diffusione del consumo di cibi etnici in Europa e in Italia ed in particolare di kebab, specialità a base di carne di origine turca, sempre più apprezzata, soprattutto dalle nuove generazioni. Scopo del presente lavoro è effettuare una valutazione del profilo igienico-sanitario di kebab commercializzato in Toscana.

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6. Materiali e Metodi

a. Il Campionamento

I campioni sono stati raccolti in 50 esercizi di vendita di kebab, nelle province di Pisa (25), Livorno (15), Lucca (7) e Grosseto (3), in un periodo compreso tra gennaio e giugno 2017. In ogni esercizio di vendita al dettaglio di kebab sono stati acquistati un panino kebab e una vaschetta di solo kebab, così da analizzare la carne e il prodotto che più frequentemente viene acquistato dai consumatori, contenente altri ingredienti (verdure, salse e spezie). In totale sono stati analizzati 100 campioni (50 campioni di panino e 50 di carne kebab).

Gli esercizi commerciali, la loro ubicazione e le date di campionamento sono riportati in Tabella 5.

Esercizio commerciale

Città Provincia Data di prelievo

1 Pisa PI 17/01/2017 2 Pisa PI 24/01/2017 3 Pisa PI 30/01/2017 4 Pisa PI 30/01/2017 5 Pisa PI 30/01/2017 6 Pisa PI 06/02/2017 7 Pisa PI 06/02/2017 8 Pisa PI 06/02/2017 9 Venturina Terme LI 13/02/2017 10 Pisa PI 13/02/2017 11 Pisa PI 13/02/2017 12 Pisa PI 13/02/2017 13 Piombino LI 6/03/2017 14 Piombino LI 6/03/2017 15 Piombino LI 6/03/2017 16 Follonica GR 6/03/2017

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43 17 Follonica GR 6/03/2017 18 Follonica GR 6/03/2017 19 Pisa PI 13/03/2017 20 Pisa PI 13/03/2017 21 Pisa PI 13/03/2017 22 Pisa PI 13/03/2017 23 Pisa PI 13/03/2017 24 Pisa PI 13/03/2017 25 Pisa PI 20/3/2017 26 Pisa PI 20/3/2017 27 Pisa PI 20/3/2017 28 Pisa PI 20/3/2017 29 Pisa PI 20/3/2017 30 Pisa PI 20/3/2017 31 Viareggio LU 04/04/2017 32 Viareggio LU 04/04/2017 33 Viareggio LU 04/04/2017 34 Viareggio LU 10/04/2017 35 Viareggio LU 10/04/2017 36 Lido di Camaiore LU 8/05/2017 37 Viareggio LU 8/05/2017 38 Livorno LI 05/06/2017 39 Livorno LI 05/06/2017 40 Livorno LI 05/06/2017 41 Livorno LI 05/06/2017 42 Livorno LI 05/06/2017 43 Livorno LI 05/06/2017 44 Livorno LI 07/06/2017 45 Livorno LI 07/06/2017 46 Livorno LI 07/06/2017

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47 San Vincenzo LI 12/06/2017

48 Cecina LI 12/06/2017

49 Cascina PI 14/06/2017

50 Pisa PI 14/06/2017

Tab. 5: esercizi commerciali, loro ubicazione e data del campionamento

Tutti i campioni sono stati analizzati dopo un massimo di circa 4 ore dall’acquisto. Da ogni campione, sia panino che carne, sono stati prelevati: 10 g da destinare alla ricerca di Listeria monocytogenes; 10 g per la ricerca di Yersinia enterocolitica; 25 gr per la ricerca di Salmonella spp. e per la conta di Enterobacteriaceae, Escherichia

coli, stafilococchi coagulasi positivi e enterococchi. A partire dal campione (10 g o 25

g), inserito in un sacchetto sterile da stomacher, è stata allestita la diluizione 1:10 nel diluente opportuno previa omogeneizzazione in stomacher.

6.1 Le analisi

Le analisi effettuate hanno seguito protocolli specifici per ciascuno dei microrganismi ricercati.

Indipendentemente dal metodo colturale utilizzato, tutti i passaggi sono stati effettuati sotto cappa a flusso laminare per la protezione dell’operatore e dell’ambiente circostante nei confronti di eventuali microrganismi patogeni e per l’eliminazione della possibilità di cross contaminazione, consentendo un lavoro in condizioni di sterilità.

6.1.1 Ricerca di Salmonella spp.

Per la ricerca di Salmonella spp. è stata applicata la metodica descritta nella norma ISO-6887. La prima fase è quella di pre-arricchimento. 25 g del campione (sia di panino kebab che di carne kebab), sono stati diluiti 1:10 con acqua peptonata

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tamponata (225 ml). La composizione dell’acqua peptonata tamponata risulta quella riportata in Tabella 6.

Tab. 6: Composizione dell’acqua peptonata tamponata

Questo terreno colturale, come dice il suo nome, viene preventivamente tamponato con tampone di Sorensen (si usa la soluzione tampone perché dal metabolismo batterico si può avere un’acidificazione e quindi la soluzione tampone mantiene costante il pH) portando il suo pH a 7,0 ± 0,1 a 25°C. Si tratta di un terreno di arricchimento non selettivo, per questo viene usato per la fase di pre-arricchimento di Salmonella spp., ma anche delle Enterobacteriaceae in generale. Successivamente, il campione in acqua peptonata tamponata è stato omogeneizzato in uno Stomacher® per 30 secondi (Fig. 15).

Fig. 15: Stomacher® (http://www.biosigma.it/frontoffice/product?produitId=0D-16-05)

I campioni omogeneizzati sono stati incubati in termostato a 37°C per 24 ore in modo da far sviluppare le salmonelle eventualmente presenti. Dopo l’incubazione il

Formula acqua peptonata tamponata g/L acqua

Peptone 10

Cloruro di sodio 5.0

Fosfato disodico anidro di idrogeno 3.5*

(* equivalente a fosfato disodico dodecaidrato di idrogeno 9g/l)

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