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Spettrometria gamma applicata al monitoraggio di radon, in acque profonde, come precursore sismico: analisi e calibrazione del sistema di misura.

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Scuola di Ingegneria

Tesi di Laurea in Ingegneria Nucleare e della Sicurezza

Spettrometria gamma applicata al

monitoraggio di radon in acque profonde come

precursore sismico:

analisi e calibrazione del sistema di misura

Candidato:

Emanuele Antonio Alciator

Relatore:

Dr. Ing. Riccardo Ciolini

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Indice

Introduzione

1 Il radon come precursore sismico

1.1 Caratteristiche generali del radon 1.2 Metodi e tecniche di misura del radon

1.2.1 Panoramica: Metodi attivi e passivi 1.2.2 Rivelatori a tracce nucleari

1.2.3 Rivelatori a semiconduttore 1.2.4 Scintillatori

1.2.5 Spettrometria gamma con rivelatori a NaI(Tl)

1.3 Dati e documenti sulla validità del radon come precursore sismico. 1.3.1 Terremoti e radon

1.3.2 Studi e dati sulle anomalie del radon come precursore sismico 1.3.2.1 Giappone

1.3.2.2 India 1.3.2.3 Italia

2 Descrizione della centralina di monitoraggio del radon in acque profonde 2.1 Introduzione e scelta del sito

2.2 Metodo di misura del radon in acqua

2.3 Descrizione delle unità componenti la centralina 2.3.1 Ciclo di misura

2.3.2 Unità di campionamento dell'acqua 2.3.3 Unità di rivelazione ed acquisizione dati 2.3.4 Unità di trasmissione ed elaborazione dei dati

3 Calibrazione in energia ed efficienza dello scintillatore NaI(Tl) della centralina 3.1 Calibrazione in energia

3.2 Calibrazione in efficienza

3.2.1 Efficienza assoluta, intrinseca e geometrica 3.2.2 Determinazione dell'efficienza assoluta

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3.4 Soluzione al problema della deriva termica: gain stabilizer 4 Realizzazione di una sorgente di riferimento di radon in acqua

4.1 Scelta del metodo

4.2 Descrizione del circuito di flussaggio

4.2.1 Misure AlphaGUARD: attività nella camera-sorgente di radon 4.3 Procedura per realizzare la sorgente di riferimento di radon in acqua 4.4 Caratteristiche della sorgente di riferimento di radon in acqua e della

centralina di monitoraggio

4.4.1 MAR, contributo del fondo e livello di concentrazione misurato nel breve tempo nelle acque di Gallicano

4.4.2 Scelta della ROI per lo scintillatore e impostazioni in LabVIEW 4.4.3 Calcolo dell'errore sull'attività della sorgente di riferimento 4.4.4 Prove di tenuta del contenitore Marinelli contenente la sorgente di

riferimento di radon in acqua

5 Entrata in funzione della centralina e primi dati misurati

Conclusioni Bibliografia

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Introduzione

L'ambito di questa tesi è l'applicazione della spettrometria gamma al monitoraggio del radon in acque profonde come precursore sismico, in particolare si considera la centralina per la misura del gas radon in soluzione in acque sotterranee installata dal Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale (DICI) presso il sito di Gallicano (Lucca). Obiettivo del lavoro è la messa a punto del rivelatore utilizzato, uno scintillatore a ioduro di sodio, e la realizzazione di una sorgente di riferimento di radon in acqua, finalizzata alla calibrazione periodica del rivelatore in loco, sia in efficienza che in energia, durante il funzionamento della centralina sul sito di misura.

Dopo una prima fase in cui si tratta in linea generale alcuni risultati ottenuti dal monitoraggio del radon in acque sotterranee, condotti in zone sismiche in Italia e nel resto del mondo, si descrivono la calibrazione in energia ed efficienza del rivelatore della centralina, tramite una sorgente calibrata e certificata di 152Eu, in dotazione presso il laboratorio di Misure Nucleari del DICI, e la determinazione della deriva termica del rivelatore mediante prove sperimentali eseguite in un intervallo di temperature che va da -18°C a 36°C.

Successivamente si illustra il metodo di realizzazione della sorgente di riferimento di radon in acqua, messo a punto attraverso la realizzazione di un apposito circuito a tenuta a quattro componenti. La sorgente di riferimento, ad attività nota e calibrata in laboratorio, si è rivelata fondamentale per le calibrazioni dello scintillatore della centralina, sostituendo in questa funzione l'uso della sorgente di europio, e semplificando una serie di problemi tecnici tra cui il trasporto di materiale radioattivo al di fuori del laboratorio. Il circuito realizzato è costituito da una camera-sorgente, avente una concentrazione di radon di 320 Bq/l e collegata ad una pompa di aspirazione che preleva e gorgoglia il radon in un apposito miscelatore di plexiglas, dove avviene l'entrata in soluzione del gas radioattivo in acqua. Alla fine del ciclo di flussaggio, mediante appositi condotti del circuito, si sversa la miscela di acqua-radon nel

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contenitore Marinelli: il circuito permette tale procedimento evitando il contatto della miscela con l'ambiente esterno. Dopo 6 ore si procede alla misura dell'attività in laboratorio mediante uno scintillatore ad efficienza nota, ottenendo così la sorgente di riferimento calibrata.

Durante l'ultimo periodo di svolgimento di questo lavoro è stata infine effettuata l'installazione della centralina di monitoraggio di radon a Gallicano (Lucca), che va ad integrare una centralina già esistente della Rete Geochimica dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa (IGG-CNR). Si è pertanto proceduto alla validazione dei dati inviati in remoto dalla stazione di monitoraggio tramite rete e alla verifica del corretto funzionamento di tutta la centralina.

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1 Il radon come precursore sismico

1.1 Caratteristiche generali del radon

Il radon (Rn) è un gas radioattivo inodore, insapore, chimicamente inerte ed estremamente volatile; è il più pesante dei gas conosciuti (ha una densità di 9,72 g/l a 0 °C, quindi 8 volte più denso dell’aria) ed è moderatamente solubile nell’acqua. Il suo coefficiente di solubilità in acqua alla temperatura di 20 °C è di 0,25 e questo significa che il radon si distribuisce più facilmente nell’aria piuttosto che nell’acqua, pertanto nelle sorgenti dove è disciolto il radon passa velocemente dall’elemento liquido all’aria. In natura esistono tre radioisotopi del Rn, prodotti ciascuno dal decadimento radioattivo di tre nuclidi capostipiti, rispettivamente 238U, 235U e 232Th che danno luogo a tre diverse famiglie radioattive. Il decadimento dell’238U porta, infatti, alla formazione di 226Ra che, emettendo una particella alfa, decade in 222Rn, cioè il radon propriamente detto, il componente principale del gas radioattivo che ha un tempo di dimezzamento di 3,82 giorni. Dal decadimento del 232Th si ha il 220Rn (thoron) con un tempo di dimezzamento di 56 secondi e, infine, dall’ 235U discende il 219Rn che decade in 3,96 s. Il decadimento del 222Rn con emissione di una particella alfa è seguito, entro circa un’ora, da una serie di ulteriori quattro decadimenti.

Gli atomi a breve vita in cui il radon decade sono degli isotopi del polonio, del piombo e del bismuto e sono indicati come prodotti di decadimento a breve vita del radon (Tab. 1). L’attività di questi ultimi va in equilibrio con l’attività del 222Rn, ed è proprio questa attività ad essere rilevata e a darci informazioni indirette sull’attività del radon stesso e quindi sulla sua quantità.

L’unità di misura della concentrazione di radon, secondo il Sistema di Unità Internazionale (SI), è il Becquerel per metro cubo (Bq/m3), dove il Becquerel indica il numero di disintegrazioni al secondo di una sostanza radioattiva.

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Tabella 1: Prodotti di decadimento del 222Rn (a breve e a lunga vita).

1.2 Metodi e tecniche di misura del radon

1.2.1 Panoramica: metodi attivi e passivi

L’atomo di radon, emettendo una particella , si trasforma in 218Po ed acquista per rinculo una forte velocità. Successivamente si ionizza a causa degli urti che subisce contro le altre molecole del gas, diventando quindi uno ione positivo di 218Po. Una frazione di tale radioisotopo permane in tale stato nel tempo, presentando così una spiccata tendenza a legarsi con le polveri e gli aerosol atmosferici: pertanto la maggior parte dei radionuclidi figli del radon (218Po, 214Pb, 214Bi, 214Po, 210Pb) si trova nello stato di atomi legati all’aerosol ambientale.

I metodi di misura del radon ( Knoll.G ) si suddividono in varie categorie: metodi attivi o passivi; metodi di rivelazione basati su spettrometria alfa, beta o gamma; metodi a campionamento istantaneo, continuo o ad integrazione.

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Per quanto riguarda i dispositivi attivi e passivi, mentre i primi effettuano una misura diretta delle particelle alfa emesse dal 222Rn e dai suoi figli (218Po e 214Po), i secondi misurano gli effetti delle particelle emesse; pertanto, se con il dispositivo attivo l’interazione della particella alfa e la sua rivelazione risultano istantanee, nel caso del dispositivo passivo il risultato si ottiene in laboratorio a posteriori, ovvero l’interazione e la rivelazione avvengono in due fasi temporali distinte.

La suddivisione che riguarda le tipologie di campionamento è basata sulla differenza temporale in cui avviene la misura: nel campionamento istantaneo si preleva uno e un solo campione da sottoporre a misura subito dopo il campionamento, come per esempio avviene nella camera a ionizzazione; nel campionamento continuo si ha invece un prelievo continuo di campioni e una misura che si estende per un arco prolungato di tempo (ne è un esempio il rivelatore AlphaGUARD). Infine, i metodi a integrazione sono quelli in cui la rivelazione avviene a posteriori rispetto all’interazione della radiazione, ne sono un esempio i rivelatori a tracce.

La misure della concentrazione di radon possono essere condotte in aria, in acqua o nel sottosuolo, tramite varie tecniche, le cui principali sono:

 rivelatori a tracce nucleari;  rivelatori a semiconduttore;  rivelatori a scintillazione.

1.2.2 Rivelatori a tracce nucleari

I rivelatori a tracce nucleari (SSNTD, Solid State Nuclear Track Detectors) sono costituiti da lastre o piastrine composte da particolari materiali plastici e sono largamente utilizzati per monitorare l’esposizione al radon. Sono di tipo passivo e il materiale di cui sono costituiti è sensibile alle radiazioni alfa emesse dal radon e dai suoi figli ma insensibile ad altre radiazioni.

La rivelazione è ottenuta per mezzo dell’interazione tra le particelle alfa emesse dal radon e dai suoi figli ed i materiali che costituiscono tali polimeri. Tali particelle ionizzano le molecole del polimero che incontrano lungo il loro percorso provocando un danno al materiale attraversato, ossia delle fratture nei legami polimerici del sensore

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lungo la traiettoria della particella, le cosiddette tracce che, a temperature ambiente, si conservano per un determinato tempo. La lastra, dopo essere stata esposta al radon, deve subire un processo di attacco chimico o elettrochimico, in modo da rendere maggiormente evidenti le tracce e fissarle in modo permanente. Il conteggio delle tracce, cioè la lettura dei risultati può avvenire mediante metodologie ottiche o elettrostatiche.

Una particolarità dei rivelatori a tracce è l’esistenza di un livello di soglia: per ogni materiale infatti esiste un valore minimo di energia che deve essere perduta dalle particelle incidenti affinché l’attacco chimico possa evidenziarne le tracce. Il livello di soglia è sempre superiore all’energia che può rilasciare un elettrone e per questo tali rivelatori sono insensibili agli elettroni veloci e ai raggi gamma. Inoltre, la maggior parte dei materiali utilizzati come rivelatori a tracce è quasi sempre insensibile anche alle particelle cariche debolmente ionizzanti, come protoni e deutoni.

I dosimetri che utilizzano i rivelatori nucleari allo stato solido sono di varie geometrie e possono prevedere o meno l’utilizzo di filtri per determinare una differenziazione nelle tracce. Il rivelatore consiste in un piccolo contenitore (camera a diffusione) permeabile al radon, al cui interno è posta la lastrina di materiale plastico sensibile alle radiazioni emesse dal radon e dai suoi figli.

Il dosimetro viene esaminato in laboratorio alla fine del periodo di misura: con un microscopio si contano le tracce che le particelle alfa hanno creato sulla lastrina di materiale sensibile. Il numero delle tracce permette di risalire alla concentrazione di radon presente nella camera a diffusione e quindi nell’ambiente di misura. Tali rivelatori presentano il vantaggio di essere a basso costo e semplici da usare. Si usano per periodi di misura che vanno da un mese a un anno.

I materiali utilizzati come rivelatori a tracce e che esistono in commercio sono solidi inorganici (cristalli o vetri: il materiale più utilizzato è la mica) oppure organici (polimeri). Tra i polimeri ricordiamo il CR-39 e l’LR-115.

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1.2.3 Rivelatori a semiconduttore

I rivelatori a materiale semiconduttore sono stati sviluppati per due loro caratteristiche fondamentali:

 sono rivelatori a stato solido, come gli scintillatori, e quindi la probabilità di interazione per unità di percorso delle radiazioni è molto elevata;

presentano una risoluzione energetica (FWHM, Full Width at Half Maximum) molto migliore rispetto ai rivelatori a scintillazione.

I due materiali semiconduttori di uso corrente nella rivelazione di radiazioni sono il silicio (numero atomico Z = 14) e il germanio (Z = 32). La particolarità di questi due materiali risiede nella loro struttura elettronica. In generale, dal punto di vista della conducibilità elettrica (Fig. 1) i materiali si possono classificare in:

 metalli: la banda di valenza (BV) e la banda di conduzione (BC) sono sovrapposte (l’energia di separazione tra le due bande Eg è nulla);

 semiconduttori: le bande sono separate da una energia Eg = 1 eV; basta quindi il moto di agitazione termica per avere cariche libere in BC;

 isolanti: le bande sono molto più separate (Eg ~ 6 eV), quindi a temperatura ambiente ho assenza di cariche libere in BC.

Figura 1: classificazione dei materiali in base alla banda di valenza.

Possiamo immaginare i rivelatori a semiconduttori come l’equivalente a stato solido di una camera a ionizzazione, con un semiconduttore che sostituisce il gas. Tuttavia a

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differenza della camera a ionizzazione occorrono solamente circa 3 eV per creare una coppia elettrone-lacuna. Il meccanismo di produzione dei portatori di carica all’interno di un materiale semiconduttore è analogo a quanto avviene nei gas. Se una particella carica attraversa il mezzo rivelatore, cede gradualmente la sua energia agli elettroni o al reticolo cristallino; un elettrone che acquisti sufficiente energia può allora passare dalla banda di valenza alla banda di conduzione (Fig. 1): si genera in questo modo una coppia elettrone-lacuna, portatrice di un segnale elettrico. La minima energia richiesta è pari a Eg, come analogamente nei gas la minima energia richiesta è data dal potenziale di ionizzazione. Usualmente l’elettrone acquista un’energia maggiore, che viene poi in parte ceduta al reticolo: pertanto l’energia media per creare una coppia elettrone-lacuna è circa 3 volte Eg, pari a 3 eV/coppia per il germanio.

Nel caso di radiazioni gamma si ha dapprima un’interazione (per effetto fotoelettrico, Compton o creazione di coppie) la quale trasferisce l’energia elettromagnetica ad un elettrone, che successivamente perderà energia nel mezzo creando coppie elettrone-lacuna. Questo numero di coppie è circa 10 volte superiore a quello generato nei gas a parità di energia ceduta. Il maggior numero di coppie create è fondamentale per determinare una minor fluttuazione percentuale del numero di coppie elettrone-lacuna. Se il numero di coppie N è infatti soggetto alla distribuzione di Poisson, come si può ammettere in prima approssimazione, la fluttuazione percentuale sarebbe quindi circa 3 volte inferiore per i semiconduttori rispetto ai rivelatori gassosi, ossia la larghezza di un picco nello spettro (FWHM), sarebbe inferiore, ovvero i rivelatori a semiconduttore presentano risoluzione energetica maggiore (Fig. 2). Attualmente la disponibilità di germanio iperpuro ha portato alla costruzione dei cosiddetti rivelatori HPGe (High

Purity Germanium), che stanno sostituendo i rivelatori a germanio-litio. I rivelatori

HPGe vanno ancora utilizzati alla temperatura dell’azoto liquido, ma possono essere lasciati (e quindi stoccati) a temperatura ambiente per tempi pressoché indefiniti.

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Figura 2: confronto fra un' acquisizione eseguita con HpGe e con scintillatore a NaI.

1.2.4 Scintillatori

I rivelatori a scintillazione basano il loro funzionamento sulla proprietà di alcune sostanze di emettere, sotto forma di luce, parte dell’energia in essi dissipata come energia di ionizzazione. Tale proprietà è detta luminescenza. La luce emessa dal materiale scintillante è convogliata sul fotomoltiplicatore, che produce in uscita un impulso elettrico o segnale proporzionale all’energia della radiazione incidente. La Fig. 3 illustra lo schema di un rivelatore a scintillazione e di un fotomoltiplicatore (PMT,

Photo Multiplier Tube). Il funzionamento del fotomoltiplicatore si basa principalmente

su due effetti: l’effetto fotoelettrico e l’emissione secondaria (cioè l’elettromoltiplicazione). Si possono comunque distinguere vari stadi nel processo di rivelazione (Fig. 3):

1. una radiazione ionizzante attraversa lo scintillatore e perde energia eccitando e ionizzando le molecole;

2. una frazione di questa energia è convertita in fotoni che si propagano in tutte le direzioni: cioè si produce una scintilla luminosa;

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fotosensibile (fotocatodo) di un fotomoltiplicatore; tale fotocatodo è ricoperto di uno strato di materiale che favorisce l’effetto fotoelettrico;

4. il fotocatodo assorbe i fotoni che, per effetto fotoelettrico, producono elettroni (fotoelettroni);

5. i fotoelettroni, accelerati da un’opportuna differenza di potenziale, vengono convogliati e fatti impattare su di un elettrodo (dinodo) che cioè riemette più elettroni di quelli che riceve; dal primo dinodo in poi si verifica la cosiddetta emissione secondaria di elettroni (elettromoltiplicazione);

6. tale processo si ripete più volte all’interno del fotomoltiplicatore, essendo presenti da 10 a 15 dinodi, ognuno dei quali è caricato ad un potenziale superiore al precedente;

7. gli elettroni in uscita dall’ultimo dinodo danno luogo ad un impulso elettrico. Si ha così un fenomeno a cascata, per cui un singolo fotone che colpisce il tubo provoca il passaggio di moltissimi elettroni.

Figura 3: interno di uno scintillatore.

Un rivelatore a scintillazione con fotomoltiplicatore è costituito dai seguenti componenti:

1. riflettore di luce: tutte le superfici esterne al materiale scintillatore, esclusa una base, vengono ricoperte con uno strato di alluminio per convogliare i fotoni che si generano verso la base libera;

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2. scintillatore: è il mezzo materiale dove si generano i fotoni; è accoppiato otticamente al fotocatodo mediante l’ausilio di una finestra ottica;

3. finestra ottica e base libera: la base libera dello scintillatore è accoppiata otticamente col fotocatodo mediante una finestra ottica (o guida di luce) di materiale trasparente;

4. fotocatodo: posto proprio alla testa del fotomoltiplicatore, è l’elettrodo fotosensibile, ovvero produce elettroni per effetto fotoelettrico quando viene colpito da un fotone;

5. involucro: serve per difendere dall’umidità il materiale scintillante;

6. fotomoltiplicatore: è il complesso nella sua interezza, comprendente il fotocatodo, i dinodi e l’anodo;

7. dinodi: a differenza del fotocatodo, che produce elettroni se colpito da un fascio di fotoni, questi sono elettrodi che producono elettroni se colpiti da un fascio di elettroni;

8. anodo: raccoglie l’impulso elettrico prodotto, ovvero una breve variazione nel tempo della tensione, e lo invia al preamplificatore;

9. analizzatore multicanale (MCA, Multi Channel Analyzer): il segnale di tensione, passando attraverso il preamplificatore, l’amplificatore e l’analizzatore di impulsi (pulse height analizer), viene ordinato in un istogramma del numero di eventi rispetto all'altezza dell’impulso, cioè all’energia della radiazione, ottenendo pertanto lo spettro gamma (Fig. 4).

Figura 4: segnali di impulso in uno spettro gamma.

Gli scintillatori sono divisi in organici e inorganici, essendo diversi i fattori responsabili delle loro proprietà luminescenti. La luminescenza dei materiali inorganici è una

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proprietà legata alla struttura cristallina e alle impurezze presenti, mentre quella dei materiali organici è una proprietà della molecola, che perciò si manifesta non solo allo stato cristallino ma anche allo stato di vapore o di soluzione.

Lo scintillatore inorganico di più largo impiego è l’NaI(Tl), cioè un cristallo di ioduro di sodio con impurezze di tallio dell’ordine di una molecola su 103. In confronto ad altri scintillatori, lo NaI è quello che produce il segnale di massima ampiezza, a parità di energia rilasciata dalla radiazione gamma. Le altre caratteristiche che lo contraddistinguono sono:

 alta densità che permette, a parità di volume, di avere un’efficienza maggiore nella rivelazione dei gamma rispetto agli scintillatori organici;

 alto Z (ZNa= 53) che permette un’efficiente rivelazione dei raggi gamma;

 tempo di decadimento: in confronto ad altri scintillatori, organici ed inorganici, ha il più elevato tempo di decadimento e ciò influenza negativamente il tempo morto di rivelazione;

 elevata efficienza di conversione in luce: in seguito a un’interazione, si ha un alto numero di fotoni prodotto, pertanto il suo utilizzo è vantaggioso dal punto di vista della sensibilità di rivelazione;

 trasparenza alla radiazione emessa: i fotoni che lo scintillatore emette possono attraversarlo senza ostacoli, permettendo quindi la rivelazione di un’interazione. Le proprietà più importanti che comunque si richiedono ad uno scintillatore sono: linearità di risposta, cioè numero di fotoni emessi proporzionale all’energia ceduta dalla radiazione incidente, e tempi di decadimento dell’emissione caratteristica dell’ordine di 10-6 s. Un altro scintillatore inorganico di comune impiego è lo ZnS(Ag). Esso ha un’alta efficienza di conversione in luce, ma ha una bassa trasparenza alla sua stessa radiazione: per questo è impiegato solo in strati sottili ed è adatto solo per particelle a corto range, quindi per particelle alfa. Presenta inoltre il vantaggio di un’ottima discriminazione rispetto al fondo beta e gamma. Gli scintillatori organici di più largo impiego sono l’antracene e lo stilbene. Gli scintillatori organici sono utilizzati sia in forma liquida che solida (in tal caso sono detti scintillatori plastici): hanno il vantaggio di avere un più breve tempo di decadimento della scintillazione e la possibilità di lavorare senza finestre ottiche d’ingresso, non essendo igroscopici. Presentano un basso

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Z e una bassa densità; per tali motivi non sono adatti alla rivelazione di raggi gamma. Tuttavia il basso Z favorisce il cammino entro il cristallo delle particelle beta, e la bassa densità fa da discriminante rispetto al fondo gamma.

1.2.5 Spettrometria gamma con rivelatori a NaI(Tl)

Fondamentale caratteristica per uno scintillatore a NaI(Tl) e per la spettrometria gamma è la linearità di risposta, cioè, come detto sopra, la capacità di fornire in uscita un segnale la cui ampiezza (numero di elettroni in uscita dal PMT) sia proporzionale all’energia rilasciata dalla radiazione incidente. Nel caso in cui i raggi gamma dissipino tutta la loro energia hν all’interno dello scintillatore, l’analisi dell’ampiezza del segnale generato permette di risalire all’energia dei gamma incidenti, rendendo quindi possibile la spettrometria gamma. Un quanto gamma che entra nello scintillatore, a seconda dell’energia che possiede, può dar luogo a 3 tipi di interazioni: effetto fotoelettrico, effetto Compton e produzione di coppie. In ciascuno di questi processi il fotone primario (incidente) entra nello scintillatore con energia hν, dopo di che gli eventi possibili sono:

1. effetto fotoelettrico: si ha il trasferimento di tutta l’energia hν dal fotone incidente a un elettrone; questo avviene principalmente per energie inferiori a 100 keV e, in misura minore, nel range di energie comprese tra 100 keV e 2 MeV. L’elettrone che si libera per effetto fotoelettrico ha un’energia cinetica pari a T = hν– W (dove W è la sua energia di legame), energia che verrà ceduta al mezzo in urti successivi. Nel contempo la vacanza lasciata dall’elettrone liberato è rioccupata dagli elettroni più esterni, con emissione di radiazione X o elettroni Auger. In ambedue i casi questi vengono riassorbiti e pertanto si ha il rilascio dell’intera energia hν;

2. effetto Compton: questo effetto si verifica in competizione con l’effetto fotoelettrico nel range di energie compreso tra 100 keV e 2 MeV. Dall’ analisi della Fig. 5 si può ben vedere come in questo range di energie coesistano ambedue i fenomeni. Nell’interazione per effetto Compton, l’energia cinetica ceduta all’elettrone ha un valore qualsiasi compreso fra 0 e un valore massimo Tmax, ma comunque sempre minore di hν. Nella spettrometria gamma, questa interazione è

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responsabile di una curva continua nello spettro energetico dei gamma detta “valle Compton”;

3. creazione di coppie: il raggio gamma interagisce con la materia convertendo la sua energia in un elettrone e un positrone; il fenomeno si verifica in un range di energie (da 1.02 MeV in su) che non riguardano il nostro caso di studio.

In conclusione, gli impulsi in uscita dal fotomoltiplicatore sono riconoscibili all'interno dello spettro per la loro forma caratteristica, come risulta dalla Fig. 6.

Figura 5: sovrapposizione dell'effetto Compton e fotoelettrico tra 100 keV e 2 MeV.

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1.3 Dati e documenti sulla validità del radon come

precursore sismico

1.3.1 Terremoti e radon

La previsione dei terremoti, intendendo quando, dove e con quale energia si verificherà un evento sismico, rimane ancora un’aspirazione per tutti (Wyss, 1991). Il nocciolo del problema è capire come gli stress che possono precedere un terremoto o provocare lenti movimenti del terreno si propaghino nel sottosuolo e come le strutture reagiscano ad essi. Questo comporta l’analisi del sottosuolo dal punto di vista dinamico attraverso lo studio delle variazioni nel tempo dei parametri fisici sensibili agli stress (Cosentino et

al., 1976; Ren et al., 1984; Riggio e Sancin, 1986; Riggio et al., 1984;). Tra questi

parametri, la concentrazione di radon ha la caratteristica di poter essere rilevata con un costo relativamente basso e di essere molto sensibile alle variazioni degli stress. Il terremoto è una scossa della superficie terrestre causata da onde sismiche propagatesi da un punto all’interno della litosfera (crosta e parte superiore del mantello), detto ipocentro, in cui viene rilasciata l’energia accumulata dalle tensioni delle faglie geologiche. I terremoti sono sempre associati a grandi sistemi di fratture, denominate faglie, che corrispondono alle superfici dove grandi ammassi di corpi rocciosi si muovono gli uni rispetto agli altri. Quando due blocchi di roccia separati da una frattura sono sottoposti a tensioni che tendono a spingerli o ad allontanarli o a farli scorrere reciprocamente, in un primo momento, a causa dell’attrito reciproco non si muovono. Quando le tensioni superano l’attrito, l’energia elastica accumulata viene liberata in brevissimo tempo sotto forma di vibrazioni (onde sismiche) che in superficie producono il terremoto.

La variazione nello stato tensionale delle rocce, situazione che si verifica precedentemente a un terremoto, determina fratture nel terreno, che rendono possibile la fuoriuscita del radon inglobato nella matrice rocciosa. La presenza del radon nella roccia è dovuta alla presenza e al decadimento del 226Ra e del 224Ra contenuti all’interno del materiale roccioso; gli atomi di radon prodotti, non essendo vincolati al reticolo cristallino in quanto allo stato gassoso, possono migrare dai grani della matrice solida

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verso i pori interstiziali e da qui fuoriuscire verso l’esterno. La fuoriuscita avviene per mezzo di due meccanismi: il primo è dovuto alla presenza di un maggior numero di vie di fuga e di crepe, generate dal terremoto all’interno della crosta terrestre, che permettono un maggior efflusso di radon verso l’esterno (Fig. 7); con il secondo meccanismo, invece, l’acqua si infiltra nelle crepe e, in intimo contatto con la roccia, si carica di radon e lo veicola nelle falde sotterranee. Ne consegue pertanto una variazione della concentrazione di radon nelle falde acquifere.

Figura 7: processo di fuoriuscita del radon dalla crosta in superficie.

Quando questa variazione di radon differisce dal suo livello medio per più di due volte la deviazione standard, la maggior parte dei ricercatori concorda nell’affermare che siamo in presenza di un’anomalia. Origine e meccanismi delle anomalie del radon, associate a una variazione della sua concentrazione, possono essere correlate a un evento sismico: i primi studi in tal senso (Fig. 8) hanno evidenziato marcate anomalie di radon in pozzi profondi in una vasta area attorno all’epicentro, prima dei disastrosi terremoti di Tashkent (Uzbekistan) del 1966 e 1967.

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Figura 8: Esempio di anomalia del radon registrato durante i due terremoti di Tashkent.

1.3.2 Studi e dati sulle anomalie del radon come precursore sismico

Le misure della concentrazioni di radon sono state eseguite più frequentemente in acqua (Friedmann e Hernegger, 1978; Heinecke et al., 1995), ma non mancano rilevamenti nel suolo (Friedman et al., 1988; Sabbarese et al., 1993). Di seguito vengono descritti alcuni studi di monitoraggio della concentrazione del radon nelle acque di falda o nelle sorgenti calde effettuati in tutto il mondo, e presentati in tabella 2 e 3 i risultati numerici di diversi monitoraggi, che riportano i parametri di magnitudo del terremoto, anomalia correlata, distanza dall'epicentro e profondità dell'ipocentro, al fine di verificare la presenza di una correlazione fra le anomalie dell’andamento del radon ed eventi sismici.

1.3.2.1 Giappone ( Ghos 2009)

Gli studi eseguiti da Hatuda (1953) in una zona di faglia attiva, evidenziarono anomalie nella concentrazione del radon prima del terremoto di Tonankai (magnitudo M = 8). In Giappone l’attività di ricerca in questa direzione ebbe comunque un forte impulso a partire dal 1973. Molti dati sperimentali sono stati raccolti da allora, tra i quali appaiono estremamente significativi quelli relativi al terremoto di Izu-Oshima-Kinkai del 1978 (Wakita et al., 1980). Si osservò nell’occasione una progressiva riduzione della concentrazione media di radon in acqua, iniziata circa tre mesi prima dell’evento sismico, seguita da un repentino incremento nelle ore immediatamente precedenti il

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terremoto. Anomalie del radon furono registrate anche prima del terremoto di Nagano del 1984 (Hirotaka et al., 1988): il gruppo di studio osservò un graduale incremento nei conteggi del radon tre mesi prima della scossa e un notevole aumento due settimane prima del sisma. Per circa vent’anni l’Università di Tokyo e il Geological Survey of Japan hanno portato avanti una intensa rete di monitoraggio del radon nelle acque sotterranee allo scopo di predire i terremoti nell’est del Giappone.

1.3.2.2 India

Un monitoraggio significativo del radon (Das et al.) è stato effettuato nella sorgente termale di Agnikunda, Bakreswar, nel periodo tra il 2004 e il 2005. Il gruppo di studio ha impostato una stazione di monitoraggio continuo del radon e della sua progenie. Durante il periodo di riposo delle attività sismiche, la concentrazione media del radon era di circa 4.2 kBq/m3, mentre nel periodo in cui si sono verificati vari terremoti si è osservato un incremento fino a raggiungere il valore di 14.9 kBq/m3, che supera di ben oltre 3σ (deviazione standard) il valore medio. Questo periodo di piena attività sismica comprende il devastante tsunami che si è verificato il 26 dicembre 2004 in Indonesia e i terremoti di gennaio-febbraio 2005 in Sumatra.

(22)

Tabella 3: esempi di anomalie registrate da più centri di monitoraggio in occasione diel medesimo evento sismico.

1.3.2.3 Italia

Alcuni studi di monitoraggio della concentrazione del radon in acque profonde sono stati condotti in passato anche in Italia, alcuni dei quali sono ancora in corso. Tra questi riportiamo in particolare la serie di monitoraggi condotti tra il 1996 e 1997 in Friuli con lo scopo di contribuire alla conoscenza dello stato di stress presente nelle strutture, verificando eventuali correlazioni tra emissione di radon e attività sismica ( A.Riggio et al). A tal fine, nel 1995, è stata installata una stazione per il rilevamento del gas radon in Friuli, in località Cazzaso nel comune di Tolmezzo. La zona è sismicamente rilevante in quanto si trova immediatamente a nord di quella con la più alta attività sismica che comprende anche l’evento del 1976 di magnitudo M = 6,5 (Riggio e Gentile, 1984). La sismicità attuale della zona è costituita da terremoti con magnitudo intorno al 3,0.

(23)

I terremoti presi in esame sono in tutto 95, di cui 88 localizzati entro il territorio regionale (Fig. 9).

Figura 9: localizzazione dei terremoti durante il monitoraggio in Friuli tra il '96 e il '97.

Contemporaneamente sono stati controllati i parametri meteorologici e l’andamento della falda freatica, riscontrando una scarsa dipendenza della concentrazione di radon dai parametri meteorologici, pur rilevando che temperatura e radon hanno in comune le variazioni giornaliere e le variazioni stagionali.

Dall’analisi della concentrazione di radon emerge un’anomalia, nel periodo compreso tra il 20 febbraio e il 2 marzo 1996, di 7 kBq/m3 che supera di ben tre volte il valore medio dei valori nei periodi circostanti. In tale periodo si è verificata la serie sismica di Claut, distante 35 km dalla stazione di rilevamento, costituita da tre scosse principali di magnitudo 3,7, 4,0 e 4,3 verificatesi rispettivamente il 27 gennaio, il 27 febbraio e il 13 aprile 1996 (Bernardis et al., 1996). Escluse le anomalie spurie legate alla variazione dell’andamento giornaliero, i terremoti legati ai valori anomali della concentrazione di

(24)

radon durante il 1996 sono risultati i seguenti: la serie sismica di Claut tra il 20 febbraio e il 2 marzo (Friuli Occidentale), e il terremoto del 15 ottobre con magnitudo 5,8 e distante 250 km dalla stazione radon.

Durante il 1997 i terremoti sono: quello del 17 marzo, distante 25 km e con magnitudo 3,2; la serie sismica dell’Umbria, iniziata il 26 settembre con il terremoto di magnitudo 6,4 e distante 380 km; i terremoti della Slovenia del 13 marzo e del 12 aprile 1998 con magnitudo rispettivamente 5,2 e 6,0, distanti da Cazzaso 132 km e 25 km.

Si può pertanto concludere che anche questi studi evidenziano la validità della misura di radon per la segnalazione delle situazioni di stress presismico delle strutture tettoniche.

(25)

2 Descrizione della centralina di monitoraggio

del radon in acque profonde

2.1 Introduzione e scelta del sito

La centralina ha come scopo il monitoraggio del radon in acque profonde al fine di contribuire alla prevenzione di eventi sismici. Permette la raccolta periodica del campione di acqua, la misurazione della sua concentrazione di radon e la trasmissione dei risultati ad un server di raccolta dei dati.

La centralina è stata installata a Gallicano (Lucca) presso la ex sorgente Beatrice, una sorgente termominerale situata in zona Le Terme, accanto al torrente Turrite, nel settembre 2016 (Fig. 10). La centralina è stata installata nello stesso sito dove già esiste da oltre dieci anni una stazione della Rete Geochimica Toscana dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IGG-CNR) di Pisa, nell’ambito di una convenzione con la Regione Toscana. Tale rete di monitoraggio è finalizzata alla ricerca di precursori sismici ed allo studio delle relazioni tra chimismo delle acque ed attività sismica. E’ formata complessivamente da 10 stazioni nelle aree della Garfagnana e Lunigiana e dell’Amiata e permette di effettuare un monitoraggio automatico continuo della temperatura, del pH, della conducibilità elettrica, del potenziale di ossidoriduzione, dell’anidride carbonica e del metano disciolti nell’acqua. Durante la fase di scelta del sito era stato preso in considerazione anche il sito di Equi Terme (MS), ma non è stato ritenuto idoneo in quanto è caratterizzato da un effetto immediato delle acque meteoriche sulle proprietà dell’acqua prelevata. I tecnici del CNR hanno infatti evidenziato delle variazioni di temperatura dell’acqua in funzione dall’andamento delle piogge, fatto che indicherebbe una profondità di origine dell’acqua non adeguata per il monitoraggio del radon in essa disciolto. Per quanto riguarda l’installazione di centraline future, è previsto l’utilizzo di un ulteriore sito della rete geochimica toscana nell’area dell’Alta Val Tiberina.

(26)

Figura 10: Ubicazione del sito per il rilevamento del radon.

2.2 Metodo di misura del radon in acqua

La spettrometria gamma è il metodo di analisi usato dalla centralina per determinare la concentrazione di radon in acqua. Tramite il conteggio dei raggi γ emessi dai figli del radon, effettuato con un rivelatore a scintillazione NaI(Tl) posto all’interno di un contenitore Marinelli, è possibile risalire alla concentrazione di tale gas utilizzando le tecniche di spettrometria standard.

A tal fine si campiona l’acqua evitando il contatto con l’aria e poi la si inserisce in un contenitore Marinelli di acciaio. La misura è eseguita dopo 3 ore e 50 minuti dalla raccolta del campione, per permettere al radon e ai suoi discendenti di arrivare all’equilibrio secolare, cioè di raggiungere la condizione in cui tutti hanno la stessa attività del padre come risulta in Fig. 11.

(27)

Figura 11: Equilibrio secolare fra il radon e i suoi figli.

Il rivelatore consiste in uno scintillatore NaI(Tl) accoppiato ad un fototubo. Il tutto deve essere ben schermato per limitare il conteggio dei raggi γ non provenienti dal campione e deve essere eseguita una misura del fondo per lo stesso periodo di tempo in cui si misura il campione: questa misura del fondo andrà poi sottratta dalla misura del campione di acqua. La misura della concentrazione del radon può essere ricavata dalla seguente formula 1: t n

e

Tb

C

A

0 (1) dove:

A0 = attività iniziale del radon = attività dei figli γ emettitori = attività del 214Bi (Bq);

Cn = conteggi netti del picco del 214Bi;

ε = efficienza di rivelazione per l’energia di emissione gamma considerata del 214Bi (609 keV);

T = tempo vivo di misura (s);

b γ = fattore di branching dell’emissione a 609 keV del 214Bi;

λ = costante di decadimento del 222Rn = 2.09810-6 s-1;

(28)

2.3 Descrizione delle unità componenti la centralina

2.3.1 Ciclo di misura

Il sistema di monitoraggio del radon in acqua è composto da (Fig. 12):  unità di campionamento;

 unità di rivelazione ed acquisizione dati;  unità di trasmissione ed elaborazione dati.

Lo strumento effettua ogni 6 ore il prelievo del campione di acqua, ne misura la concen-trazione di radon e tramite connessione internet trasmette i dati ad un server in remoto. Tutto il dispositivo è collocato all’interno di un contenitore termostatato (case) per evi-tare che durante il periodo invernale si possa avere un congelamento dell’acqua, con ali-mentazione elettrica da rete (230 V).

(29)

Ogni ciclo di misura dura 6 ore ed è così suddiviso (Fig. 13):

 campionamento dell’acqua mediante attivazione della pompa e riempimento del Marinelli (tempo di aspirazione di 10 min);

 attesa di 3 ore e 50 minuti affinché sia stabilito l’equilibrio radioattivo tra il radon e i suoi prodotti di decadimento a vita breve all’interno dell’acqua campionata;  acquisizione dello spettro di emissione gamma dell’acqua campionata (tempo di

misura di 2 ore);

 registrazione della misura spettrometrica e degli altri dati caratteristici del ciclo di misura;

 trasmissione dei dati al server di raccolta; in contemporanea si ha lo scarico dell’acqua e l’inizio del successivo ciclo di misura che inizia con un nuovo prelievo di acqua.

Figura 13: Ciclo di misura della centralina.

2.3.2 Unità di campionamento dell’acqua

Il sistema di campionamento dell’acqua è costituito da un circuito di prelievo dell’acqua con pompa a immersione utilizzata per il riempimento del contenitore Marinelli. L’apertura, la chiusura e lo scarico del circuito sono gestiti da un sistema di tre elettrovalvole (Fig. 14): elettrovalvola di intercettazione (a monte del Marinelli), elettrovalvola di ricircolo ed elettrovalvola di scarico (a valle del Marinelli).

(30)

(Fig. 14), necessario a monitorare costantemente il flusso all’interno del tratto di circuito e a segnalare eventuali malfunzionamenti della pompa o dell’elettrovalvola stessa. Analoga funzione è assegnata al flussostato posto tra la valvola di intercettazione e il Marinelli, in modo da monitorare lo stato del flusso di acqua nel sistema nelle varie fasi di risciacquo, riempimento del Marinelli e scarico. Il contenitore Marinelli, connesso alle tubazioni di carico e scarico, è realizzato in acciaio inox ed ha un volume di 1,2 litri. L’insieme (Fig 15) contenitore Marinelli e rivelatore a scintillazione è alloggiato all’interno di una schermatura in piombo di spessore pari a 5 cm, necessaria per la riduzione della radiazione di fondo ambientale. Tutta la schermatura poggia su un basamento in alluminio.

Figura 14: Schema della centralina con i principali componenti.

2.3.3 Unità di rivelazione ed acquisizione dati

Il rivelatore utilizzato è uno scintillatore NaI(Tl) 2”x2” (Tab. 4). L’elettronica di alimentazione, amplificazione ed acquisizione multicanale è integrata in un modulo cilindrico (ORTEC, mod. DigiBASE) montato direttamente sullo zoccolo a 14 pin del rivelatore. L’unità multicanale trasmette i dati della misura spettrometrica tramite porta USB al computer di acquisizione e gestione della misura spettrometrica. L’unità di

(31)

acquisizione è formata da un PC industriale e da una scheda di acquisizione (USB NI6002 National Instrument) che controlla il processo e gestisce l’intero ciclo operativo del sistema, interfacciata al PC con porta USB e programmata in LabVIEW. Tale scheda a sua volta si interfaccia ai sensori, alle valvole e al motore della pompa. I dati acquisiti sono i seguenti:

 la misura spettrometrica gamma, costituita dal contenuto di 1024 canali energetici;  la temperatura e la pressione atmosferica esterna (parametri ambientali), registrate

da appositi sensori posti al di fuori del case della centralina;

 la temperatura dell’acqua del Marinelli, misurata con un sensore inserito nel Marinelli per mezzo di un apposito pozzetto;

 il flusso e la pressione dell’acqua a monte del Marinelli: viene misurata la pressione dell’acqua (tramite sensore di pressione) e viene accertata la presenza di flusso (tramite flussostato) a monte del Marinelli come parametri di controllo per il corretto funzionamento del sistema "pompa – elettrovalvole";

 la data e l’ora dell’acquisizione di temperatura e pressione atmosferica e dell'acqua.

Tabella 4: Caratteristiche del rivelatore a scintillazione della centralina.

Modello ORTEC 9053

Tipo Rivelatore a scintillazione NaI(Tl) Dimensioni del cristallo 2" x 2"

Risoluzione su 137Cs 7,5 %

Fotomoltiplicatore Integrato Amplificatore digitale DSP Integrato Efficienza percentuale riferita ad

una sorgente di 1μCi 137Cs

centrata alla distanza di 10 cm

0.75 a 0.5 MeV e 0.45 a 2.0 MeV

Collegamento al PC Porta USB Tensione di alimentazione 800 V

2.3.4 Unità di trasmissione ed elaborazione dei dati

Tutto il processo viene gestito dalla scheda di acquisizione, mentre il PC elabora i dati, calcola la concentrazione di radon in acqua (espressa in Bq/l) e li invia ogni 6 ore tramite connessione Internet alla piattaforma online ThingSpeak (canale centralina

(32)

radon 46976), i cui dati sono accessibili al pubblico:

https://thingspeak.com/channels/46976, e al seguente indirizzo e-mail (l’accesso a tale

server richiede invece una password): centralinaradon@gmail.com

La soluzione adottata di inviare i dati raccolti dalla centralina tramite rete dati con operatore di telefonia mobile è dovuta al posizionamento della stessa in luoghi dotati di corrente elettrica ma dove può essere problematico avere disponibilità di connettività di qualunque tipo. Una caratteristica aggiuntiva è il basso consumo di potenza, molto utile nel caso di eventuali temporanei blackout, quando tutta la centralina deve funzionare con la batteria ausiliaria (gruppo di continuità). Il dato è così reso disponibile in rete agli uffici preposti della Regione Toscana e/o della Protezione Civile, con possibilità di evidenziare eventuali anomalie rispetto ai valori normali, in modo da contribuire alla predizione degli eventi sismici nei territori considerati.

(33)

3 Calibrazione in energia ed efficienza dello

scintillatore NaI(Tl) della centralina

3.1 Calibrazione in energia

La calibrazione in energia (Fig. 16) è il primo passo da effettuare per ottenere uno strumento in grado di associare ad ogni canale un’energia precisa. Per poter effettuare la calibrazione del rivelatore occorre determinare un coefficiente che permetta di stabilire la relazione che intercorre tra il numero del canale e l’energia del fotone. Nell’ipotesi che tutti i fenomeni siano lineari, la relazione tra l’energia e il numero del canale sarà una retta, basterà pertanto avere più fotopicchi di riferimento, per tracciare una retta canale-energia. Effettuata l’acquisizione si associa ad ogni fotopicco rivelato il valore di energia nota. A tal fine si è utilizzato un Marinelli di 152Eu, che presenta i picchi principali alle seguenti energie: 121, 244, 344, 779 e 1408 keV. La retta canale-energia viene calcolata automaticamente dal software Maestro (versione 7) che gestisce l’acquisizione della misura spettrometrica.

Figura 16: curva di calibrazione sperimentale canale-energia.

0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000 0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 f(x) = 1,56x - 8,5

Calibrazione in energia mediante 5 energie dell'europio 152

Energie (keV) Canali [ ch ] E n e rg ia [ ke V ]

(34)

3.2 Calibrazione in efficienza

3.2.1 Efficienza assoluta, intrinseca e geometrica

L’efficienza assoluta di un rivelatore è la misura della capacità di rivelare le radiazioni e può essere definita come il rapporto fra il numero di radiazioni rivelate e il numero di radiazioni emessi dalla sorgente misurata. Questa quantità può essere scomposta nel prodotto fra l’efficienza geometrica e l’efficienza intrinseca, dove l’efficienza intrinseca è il rapporto tra il numero di eventi rivelati e il numero di radiazioni incidenti sul rivelatore; l’efficienza geometrica quantifica invece il numero di particelle incidenti sul rivelatore rispetto al totale di particelle emesse dalla sorgente. I calcoli che seguono riguardano il calcolo dell’efficienza assoluta, la quale è fondamentale per ricavare l’attività di una determinata sorgente, e in ultima istanza della nostra sorgente di radon in acqua.

3.2.2 Determinazione dell’efficienza assoluta

La calibrazione in efficienza del rivelatore a NaI(Tl) è stata effettuata con una sorgente di europio calibrata e certificata (Marinelli di 152Eu). La sorgente di 152Eu utilizzata è certificata al tempo t0 = 01/09/2012 (ore 12:00) con un’attività iniziale A0 pari ad36.9 kBq ed un errore relativo del 3%. Si è quindi calcolata l’attività al tempo t = 16/05/2016 (ore 12:00) mediante la formula:

t

e

A

t

A

 0

)

(

(2) dove: A0 = 3.69104 Bq Δt = t–t0 = 1.17108 s

T1/2 = tempo di dimezzamento dell’152Eu = 4.27108 s

λ = costante di decadimento dell’152Eu = ln(2)/T

1/2 = 1.6210-9 s-1.

Inserendo questi dati nell’Eq. (2), si ottiene il seguente risultato: A(t) = 3.05104 Bq. A questo punto possiamo analizzare lo spettro gamma ottenuto con la sorgente di

(35)

europio; i fotopicchi considerati sono quelli relativi alle principali energie di emissione gamma dell’152Eu: 121, 244, 344, 779 e 1408 keV. Per il calcolo dell’efficienza utilizziamo la formula seguente:

T

Ab

C

n

(3)

I risultati sono riportati in Tab. 5 e corrispondono alla curva di efficienza mostrata in Fig. 17, da cui si può ricavare l’efficienza di interesse a 609 keV (214Bi) e 351 keV (214Pb) necessaria per poter calcolare l’attività del radon:

351 keV (214Pb): ε = 0,0222; b

y= 0,376 609 keV (214Bi): ε = 0,0145; b

y= 0,461

Tabella 5: Dati per il calcolo dell’efficienza.

Energia (keV) 121,8 244,7 344,3 778,9 964,1 1408 Cn 1099241 246459 727164 130690 101371 115133 Errore statistico sui conteggi (%) 0,26 0,93 0,34 1,22 1,43 0,71 b 0,29 0,08 0,27 0,13 0,15 0,21 T 3600 3600 3600 3600 3600 3600 ε 0,034 0,028 0,024 0,009 0,006 0,005 Errore relativo su (%) 3,01 3,14 3,02 3,24 3,32 3,08 Errore assoluto su ε 0,10 0,09 0,07 0,03 0,02 0,02

(36)

Figura 17: curva di calibrazione sperimentale in efficienza dello scintillatore Ortec.

Nell’ Eq. (3) è stato omesso il fattore correttivo di densità in quanto è uguale a 1 (la densità della sorgente di 152Eu, come riportata nel relativo certificato, è uguale a quella dell’acqua); inoltre l’errore sul branching b è stato trascurato.

L’errore statistico sui conteggi viene fornito direttamente dal programma di acquisizione Maestro. L’errore relativo sull’efficienza Etot viene calcolato utilizzando la formula di

propagazione dell’errore, tenendo conto sia dell’errore statistico sui conteggi che dell’errore sull’attività iniziale A0 (pari al 3%, come riporta il certificato):

2 2 0 A statistico tot

E

E

E

(4)

L’errore assoluto sull’efficienza, riportato in Tab. 5, è dato dal prodotto dell’errore relativo totale per l’efficienza stessa. I valori relativi al branching e al tempo di dimezzamento dell’europio sono stati ottenuti dal sito http://atom.kaeri.re.kr. Nell’Eq. (3) Cn indica l’area netta di un determinato picco di emissione gamma: è

calcolata dal programma Maestro sottraendo dall’area totale sottesa dal picco stesso i conteggi del fondo, normalizzati al tempo di misura e rappresentati in Fig. 18 dal trapezio in grigio chiaro.

0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000 1100 1200 1300 1400 1500 0 0,01 0,01 0,02 0,02 0,03 0,03 0,04 0,04 f(x) = 0,040 exp( -0,002 x ) Efficienza dello scintillatore a NaI(Tl) Ortec

E [KeV] E ffi ci e n za ε

(37)

Figura 18: area netta di una gaussiana di un foto picco.

3.3 Misura della deriva termica dello scintillatore NaI(Tl)

Dato che la centralina andrà ad operare in un sito al chiuso ma non separato dall’ambiente esterno, sarà soggetta a non trascurabili variazioni di temperatura. Si è reso quindi necessario quantificare l’eventuale deriva termica della misura spettrometrica fornita dal rivelatore NaI(Tl). La deriva termica è un fenomeno che riguarda l’elettronica di acquisizione di tutti gli scintillatori, e per il quale il segnale, in seguito a salti termici, risente di un’alterazione, che si traduce in uno spostamento del canale corrispondente ad un certo picco energetico. Questo spostamento del canale al variare della temperatura, è determinato da un aumento o diminuzione del guadagno dell’amplificatore del segnale prodotto dal rivelatore.

A tale scopo sono state condotte 50 prove sperimentali prendendo come riferimento il canale del picco a 609 keV del 214Bi alla temperatura di 22 °C. Le prove sono state effettuate con 3 sorgenti differenti, rispettivamente 137Cs, 60Co, 152Eu, sottoponendo il rivelatore a 6 temperature di prova: –18, 3, 7, 22, 29 e 36 °C. Le temperature di prova realizzate mediante un frigo e un forno da laboratorio, sono state misurate e monitorate durante il tempo di prova mediante sonda termocoppia. La durata delle misurazioni

(38)

varia da un minimo di 10 min ad 1h, in funzione dell’attività della sorgente utilizzata, in quanto l’obiettivo era considerare la ROI relativa al picco di interesse con un errore statitsico < 1 %. La scelta del range di temperature è dettata dalla scheda tecnica del rivelatore che stabilisce come limiti operativi +50 °C e –10°C, unitamente alle condizioni in cui opera la centralina, la quale è situata in una zona dove le temperature, nei periodi estivi, non superano i 35 °C, ed è dotata di un sistema di regolazione termica che impedisce di scendere sotto i 3 °C. La prova a –18 °C è relativa al caso che si rompa la ventola; dopo aver esaminato l’andamento delle curve (Fig. 19), è stata selezionata una finestra di temperatura d’interesse che va da 3 °C a 36 °C (Fig. 20).

Definito il Δch come la differenza fra il canale di un picco, misurato alla temperatura di prova e quello misurato alla temperatura di riferimento, si riporta il suo andamento in funzione della temperatura per gli 8 picchi energetici considerati.

Figura 19: grafico delle prove sperimentali alle 5 temperature di prova.

Si vede chiaramente dalla figura 19 che a –18 °C e a 36°C il rivelatore presenta dei problemi, come era da attendersi data la scheda tecnica.

0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000 1100 1200 1300 1400 1500 -50 -40 -30 -20 -10 0 10 20

Δch rispetto alla temperatura di riferimento 22°C

E [ KeV ] Δ c h [c h r if c h m is ] Δ Ch 36°C Δ Ch 29°C Δ Ch 7°C Δ Ch 3°C Δ Ch -18°C

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Per quanto riguarda l’energie scelte, il 137Cs presenta un picco a 661 keV, prossimo a quelle del radon a 609 keV, ed è quindi il dato più significativo per la nostra applicazione (Fig. 20).

Figura 20: Ch in funzione della temperatura a energia fissata di 661 keV.

Dalle prove eseguite si vede che il rivelatore non è in grado di sopperire al problema della deriva termica, in quanto il picco a 661 keV oscilla in un campo di 16 canali (ovvero in termini d’energia in un intervallo di 30 keV) in un range di temperatura che va da 3 °C a 36 °C. Pertanto si è reso necessario l’utilizzo della stabilizzazione del guadagno.

3.4 Soluzione al problema della deriva termica: gain

stabilizer

Il rivelatore NaI(Tl) scelto incorpora uno stabilizzatore di guadagno in grado di sopperire alla variazione del centroide del picco con il variare di temperatura. Esso

0 5 10 15 20 25 30 35 40 -14 -12 -10 -8 -6 -4 -2 0 2 4 6 8 10

Variazione del canale del picco al variare della Temperatura da 36°C a 3 °C

Δch a 661KeV Lineare (Δch a 661KeV) Temperatura [°C ] Δ c h

(40)

funziona monitorando il centroide di un picco designato nello spettro energetico: il guadagno viene quindi automaticamente regolato in continuo per mantenere il centroide del picco nella posizione prefissata dall’operatore.

Per modificare la posizione del picco in uno spettro è disponibile la funzione di gain

stabilizer. Sono state effettuate varie prove di spettrometria con il 137Cs per vedere il comportamento dello scintillatore a 3 temperature differenti, 7°C, 22°C e 32°C. Le prove sono state condotte inserendo e disinserendo l’opzione gain stabilization, il quale fa riferimento ad una ROI (Region Of Interest), della quale è possibile impostare manualmente il centro del picco (center channel).

L’ampiezza (widht) della ROI, che corrisponde a circa due volte l’FWHM, non deve essere troppo ampia per evitare di conteggiare impulsi che non riguardano il picco. Tale ampiezza è selezionabile manualmente digitando il numero di canali nella casella width che compare in Fig. 21.

Se si attiva l’opzione gain stabilization, questa rimane attivata anche dopo la chiusura e successiva riapertura del software di acquisizione Maestro.

Un uso non diretto del gain stabilization consentirebbe anche, dopo aver individuato in uno spettro un picco di energia e il relativo canale, di spostare tale picco in un canale adiacente selezionato in precedenza. Il software individua automaticamente che, fissato un certo canale dall’utente nella casella center channel che compare in Fig. 21, questo canale si riferisce al primo picco nelle immediate vicinanze del canale impostato. Pertanto il limite di tale opzione è nel range di canali di discostamento dal canale originario; tale range non deve superare una certa soglia, altrimenti il canale del picco non sarà quello fissato dall’utente. Il numero del canale ad una determinata energia NCh

è pari all’intercetta Ni più l’altezza dell’impulso h per il guadagno G, come segue nella

formula:

Gh

N

N

Ch

i

(5)

L’intercetta è il numero del canale dell’impulso di ingresso ad altezza zero; mentre il guadagno (gain) è il rapporto tra l’altezza di impulso e il numero di canale, e rappresenta la pendenza.

(41)

Figura 21: pannello di controllo del Maestro per impostare la stabilizzazione di un canale.

Gli effetti dell’attivazione del comando gain stabilizzation son meglio comprensibili confrontando gli spettri del cesio eseguiti a varie temperature. I risultati delle prove a 7 °C, 22 °C e 32 °C, con entrambe le opzioni di stabilizzazione e senza stabilizzazione, son riportati nelle figure 22 e 23 dove risulta che senza stabilizzazione il picco si sposta, contrariamente a quanto succede attivando la stabilizzazione.

(42)

Figura 22: effetto dello spostamento del picco del 137Cs al variare della temperatura

rispettivamente a 7°C 22°C e 32°C.

(43)

4 Realizzazione di una sorgente di riferimento di

radon in acqua

4.1 Scelta del metodo

Dopo aver analizzato la gamma di possibilità a disposizione attualmente per creare una sorgente di riferimento di radon in acqua e aver comparato i metodi tra loro, si è optato per un metodo conveniente e semplice, che corrisponde alle caratteristiche da noi volute, ovvero:

 semplicità di realizzazione;  tempi di realizzazione brevi;  costi contenuti;

 reperibilità/disponibilità della materie prime per creare la sorgente;

 attività di radon in acqua superiore di un ordine di grandezza all’attività di radon normalmente contenuta nell’acqua campionata dalla stazione di rilevamento di Gallicano (10 – 20 Bq).

La funzione della sorgente di riferimento radon in acqua sviluppata nel presente lavoro è quella di tarare in energia ed efficienza il rivelatore a scintillazione NaI(Tl) della stazione di monitoraggio suddetta (centralina radon), con scadenza indicativamente semestrale. Il metodo scelto consiste nel far gorgogliare tutto il radon presente nella camera-sorgente, all'interno dell’acqua contenuta in un apposito miscelatore di plexiglas, per un tempo di 1,5 ore. Al termine di tale flussaggio la miscela di acqua-radon del miscelatore viene trasferita in un contenitore Marinelli di acciaio inox, uguale a quello utilizzato dalla centralina radon. Tale Marinelli costituirà la sorgente di riferimento per effettuare tutte le verifiche sullo scintillatore della stazione di

(44)

monitoraggio da sottoporre a taratura.

4.2 Descrizione del circuito di flussaggio

Per realizzare la sorgente tarata di riferimento è stato costruito un apposito circuito che collega la camera-sorgente di radon con il miscelatore di plexiglas e con il Marinelli, mediante fasi di realizzazione semplici in cui si eviti il contatto dell'acqua con l'ambiente esterno, in particolar modo durante la fase di trasferimento della miscela acqua-radon dal miscelatore al Marinelli. Tale circuito (Fig. 24) permette inoltre in grado di creare più sorgenti di riferimento aventi attività identiche.

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Il circuito è composto da:

 camera-sorgente di radon, di volume pari a 45 l (Fig. 25), al cui interno sono presenti i minerali di autunite (Fig.32), che rappresentano la sorgente di radon;  miscelatore di plexiglas (Fig. 26), del volume di 7,6 l, con due valvole idrauliche a

tre vie;

 pompa rotativa di aspirazione per prelevare il radon dalla camera-sorgente e gorgogliarla nel miscelatore di plexiglas;

 contenitore a geometria Marinelli (Fig. 27), realizzato in acciaio inox, del volume di 1,2 litri e dotato di due valvole a sfera (Fig. 29) per l'ingresso e l'uscita dell'acqua;

valvole idrauliche a 3 vie, colleganti il miscelatore col Marinelli e la camera-sorgente;

 scintillatore NaI(Tl) Canberra mod. Osprey (Fig. 28), per calibrare la sorgente di riferimento;

 scintillatore NaI(Tl) Ortec mod. 9053, situato nella centralina;

Il circuito chiuso così realizzato permette, ad ogni flussaggio, il passaggio del radon dalla camera sorgente al Marinelli in modo da evitare perdite di gas. Si possono quindi effettuare più sorgenti di riferimento anche a tempo ravvicinato. Le valvole a tre vie, solidali al miscelatore di plexiglas, permettono il collegamento tra quest'ultimo, la pompa di aspirazione del radon e i tubi di entrata e uscita collegati alla camera-sorgente. Le valvole a tre vie collegano poi il Marinelli al miscelatore, per consentire il prelievo della miscela acqua-radon al termine della fase di flussaggio: durante questa fase il Marinelli resta isolato, pur rimanendo collegato al circuito di flussaggio. Questo accorgimento viene attuato per concentrare il passaggio di radon solo nel miscelatore. Le due valvole a sfera (Whitey, serie 44) montate sul Marinelli ne garantiscono la tenuta di radon: tali valvole infatti presentano un rating pressure nominale di 172 bar e sono risultate, in seguito ad alcune prove di tenuta condotte ad hoc, a tenuta di radon.

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Figura 25: camera-sorgente di radon contenente minerali di autunite.

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Figura 29: dati tecnici dellevalvole a sfera (Whitey) montate sul Marinelli.

4.2.1 Misure AlphaGUARD: attività nella camera-sorgente di

radon

Alcune misure preliminari sono state eseguite nella camera a radon presente all’interno del laboratorio di Misure Nucleari del DICI, mostrata in Fig. 30, dopo aver avviato due cicli di flussaggio di radon all'interno della stessa. Tale camera a radon, da utilizzarsi come riferimento secondario per la taratura di strumenti di misura della concentrazione di radon, è un ambiente a tenuta di volume 75 l, completo di sistema per misura di temperatura, umidità e pressione, al cui interno si possono posizionare campioni di materiale e rivelatori di radon. L'obiettivo delle misure eseguite è stato quello di determinare la quantità di attività presente all'interno della sorgente. La camera-sorgente di radon, visibile in Fig. 25, è un contenitore cilindrico di circa 45 l contenente minerali di autunite, come quelli mostrati in Fig. 32, i quali svolgono la funzione di

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sorgente di radon. L'autunite è un fosfato idrato di uranio e calcio, con formula Ca(UO2)2(PO4)2·10-12(H2O), la cui caratteristica principale è quella di emettere radon, secondo la catena radioattiva dell'uranio, con un certo rateo temporale legato alla sua attività specifica superiore a 70 Bq/g. I dati relativi all'autunite sono stati ottenuti dal sito http://webmineral.com/data.

Figura 30: camera a radon secondaria.

Al fine di stimare la concentrazione di radon presente all'interno della camera-sorgente è stato adoperato un rivelatore AlphaGUARD mod. 35, del tipo mostrato in Fig. 31, costituito da una camera a ionizzazione ad impulsi associata ad uno spettrometro alfa in grado di riconoscere la forma specifica degli impulsi dovuti al radon. É un dispositivo di tipo attivo con campionamento in continuo della concentrazione di radon.

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Figura 31: rivelatore alphaGUARD.

L'acquisizione della misura viene da esso ripetuta ciclicamente ogni 10 min e viene registrata in memoria. Questo ha permesso di monitorare in continuo il radon della camera-sorgente e di avere una curva quasi continua del suo andamento nel tempo (Fig. 33). La prova di misura completa, effettuata tramite AlphaGUARD, consta di due cicli di flussaggio, il primo ciclo della durata di 90 secondi, avviato in data 15 giugno 2017 (che corrisponde al tempo 0 della Fig.33), e il secondo della durata di 3600 secondi, avviato in data 22 giugno, e corrispondente nel grafico ad un’impennata repentina della concentrazione di radon. La durata di quest'ultima prova di misura è di 51 ore, in cui la curva di decadimento sperimentale coincide, come ben visibile nel grafico con la curva di decadimento teorica del 222Rn (la durata totale dell’ intero ciclo di misura si sviluppa invece in un arco temporale di 220 ore). Le modalità del secondo ciclo di flussaggio hanno comportato una diluizione del radon da un volume iniziale di 45 l ad un volume totale di 120 l, costituiti dai 45 l iniziali della camera-sorgente sommati ai 75 l della camera secondaria. Il ciclo di flussaggio della durata di 3600 secondi ha infatti messo in comunicazione tramite circuito chiuso questi due ambienti. Alla fine di tale ciclo i due ambienti sono stati nuovamente isolati.

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Figura 32: minerale di autunite contenuto nella camera-sorgente di radon.

Figura 33: grafico della concentrazione di radon nella camera secondaria dopo essere stata messa in comunicazione con la camera-sorgente per 3600 secondi.

0 50 100 150 200 250 300 0 20 40 60 80 100 120 140

Stima della concentrazione di radon nella camera-sorgente Alphaguard Decadimento tempo [ ore ] co n ce n tr a zi o n e [B q /l]

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