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Valutazione dei fattori che influenzano il momento della diagnosi di NTD del feto in utero.

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Academic year: 2021

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Scuola di Medicina

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie

in Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

Valutazione dei fattori che influenzano

il momento della diagnosi di NTD del feto in utero

Relatore:

Prof.ssa Strigini, Francesca Anna Letizia

Candidato:

Dario Rosini

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I difetti di chiusura del tubo neurale (NTD) sono un gruppo eterogeneo di malformazioni risultanti dalla mancata chiusura del tubo neurale durante l’embriogenesi. Sono la seconda malformazione congenita per frequenza dopo quelle cardiache, con una prevalenza stimata globalmente intorno a 1-2/1000 gravidanze; in Italia, a seconda della regione, la prevalenza varia tra 2,0 e 7,7 casi su 10000 gravidanze. In Europa la diagnosi è oggi esclusivamente ecografica, anche se in passato e tuttora in alcuni Paesi non europei vengono utilizzati markers biochimici quali l’alfafetoproteina amniotica (AF-AFP) e l’acetilcolinesterasi amniotica (AchE). L’identificazione delle gravidanze a rischio da riferire all’ecografia di secondo livello avveniva in passato tramite misurazione dell’AFP sierica materna (MS-AFP), che nel tempo è stata sostituita dal riscontro ecografico di segni cranici indiretti di spina bifida come lemon sign, banana sign e ventricolomegalia. Nella Regione Toscana il dosaggio di MS-AFP era proposto fino al 2007 a tutta la popolazione come parte del “triplo test” per la stima del rischio di trisomia 21; dopo il 2008, tale stima è stata effettuata con il test del primo trimestre comprendente la misurazione della traslucenza nucale, che non prevede il dosaggio di MS-AFP.

Lo scopo del presente lavoro era quello di valutare, in un’area geografica ristretta, come fossero variati i motivi di riferimento all’ecografia di secondo livello per la diagnosi di NTD e come questi avessero influito sull’età gestazionale al momento della diagnosi.

Sono stati analizzati 133 casi di NTD diagnosticati tra il 1985 ed il 2018 presso la Divisione di Ginecologia e Ostetricia del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa. Fra i feti studiati, erano presenti 76 casi di spina bifida aperta (57,1%), 26 di acrania/anencefalia (19,5%) e 20 di meningo/encefalocele (15,0%), mentre 11 feti erano affetti da NTD meno comuni. Il 43,6% dei casi era stato riferito per sospetto ecografico di NTD, il 22,5% per aumento dell’MS-AFP ed il 33,9% per motivi diversi. Dividendo la casistica nel periodo precedente al 2007 e quello successivo al 2008, si osservava una diminuzione dei casi riferiti per aumento dell’MS-AFP (29,1% vs 10,1%; p<0,0001) e un aumento di quelli riferiti per sospetto ecografico (37,2% vs 55,3%; p<0,0001). I casi di acrania/anencefalia erano riferiti quasi sempre per sospetto ecografico (80,8% vs 100,0%, ns), e comunque la diagnosi era posta sempre entro la 22a settimana.

Per il meningo/encefalocele nel tempo non si riscontrava un miglioramento nel numero di diagnosi tardive (oltre la 23a settimana; 38,5% vs 28,6%, ns). Anche per la spina bifida non

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si aveva un miglioramento significativo nel numero di diagnosi tardive tra il periodo prima del 2007 e quello dopo il 2008 (20,0% vs 6,7%; ns), anche se queste erano poste in media in un periodo storico precedente (anno 1996±2,6 vs 2005±1,1; p<0,01). Inoltre, tra le diagnosi tardive dopo il 1999, 3 su 4 erano dovute a problemi di organizzazione sanitaria. Per questa patologia si notava una diminuzione delle gravidanze riferite per aumento dell’MS-AFP (45,6% vs 16,7%; p<0,01), nelle quali la diagnosi era posta più precocemente (settimana 18,6±0,8 vs 22,1±0,8 vs 20,5±0,8; p<0,05); d’altra parte, si riscontrava una correlazione lineare inversa fra l’anno solare e la settimana della diagnosi posta per sospetto ecografico (p<0,05). I segni indiretti di spina bifida avevano un ruolo modesto in ogni momento storico (10,9% vs 23,3%; ns).

Il miglioramento della diagnosi in seguito a sospetto ecografico, insieme alla migliore specificità rispetto alla misurazione dell’MS-AFP, giustifica il suo utilizzo come metodica di screening. Tuttavia, appare ancora necessaria una maggiore implementazione dei segni indiretti nel percorso diagnostico per l’identificazione dei casi di spina bifida aperta.

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S

OMMARIO

1 Introduzione ... 7

1.1 Embriologia ... 7

1.1.1 Embriogenesi del midollo spinale ... 7

1.1.2 Embriogenesi della colonna vertebrale... 10

1.2 I difetti di chiusura del tubo neurale ... 12

1.2.1 Epidemiologia ... 16

1.2.2 Fattori di rischio e anomalie associate ... 18

1.2.3 NTD e acido folico ... 20

1.3 Prognosi ... 23

1.3.1 Spina bifida e mielomeningocele ... 24

1.4 Diagnosi ... 29

1.4.1 Spina bifida aperta ... 32

1.4.2 Acrania/anencefalia ... 34

1.4.3 Encefalocele ... 34

1.5 NTD: una diagnosi non semplice ... 36

1.6 Screening ... 38

1.6.1 Il ruolo della MS-AFP ... 38

1.6.2 Segni ecografici indiretti di spina bifida ... 41

1.6.3 Conferma della diagnosi in seguito a screening positivo ... 46

1.6.4 Il futuro: verso nuovi segni indiretti ... 48

1.7 Il ruolo dell’ecografia nella previsione della prognosi ... 51

1.7.1 Malformazione di Arnold-Chiari di tipo II ... 51

1.7.2 Piede torto ... 53

1.7.3 Funzionalità urinaria e intestinale ... 54

1.7.4 Deambulazione ... 54

1.8 Il ruolo della chirurgia ... 56

1.9 Scopo del presente lavoro ... 57

2 Materiali e metodi ... 58

3 Risultati ... 60

3.1 Acrania/ancencefalia ... 64

3.2 Meningo/encefalocele ... 64

3.3 Spina bifida aperta ... 65

3.4 Altre anomalie ... 69

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5 Conclusione ... 76

6 Bibliografia ... 77

7 Indice delle tabelle e delle immagini ... 98

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7

1 I

NTRODUZIONE

1.1 E

MBRIOLOGIA

1.1.1 Embriogenesi del midollo spinale

Il sistema nervoso centrale inizia a svilupparsi alla terza settimana di gestazione a partire dal foglietto ectodermico, grazie all’induzione della notocorda e del mesoderma parassiale una volta che si è concluso il processo di gastrulazione. Si verifica una serie di eventi che prende il nome di neurulazione e che prevede la formazione della piastra neurale, delle

pieghe neurali e la chiusura di quest’ultime a formare il tubo neurale. La piastra neurale

prende origine dal foglietto ectodermico stesso in seguito ad un suo ispessimento, che genera una struttura piatta -la piastra, appunto- localizzata anteriormente sulla linea mediana del disco ectodermico, vicino al nodo primitivo di Hensen; a questo livello si trovano cellule epiteliali ispessite, il cosiddetto neuroectoderma. La piastra si allunga longitudinalmente e al termine della 3a settimana si invagina; i suoi margini laterali formano

le pieghe neurali, che accolgono al centro la doccia neurale. Le due pieghe si ispessiscono ulteriormente e vanno ad unirsi sulla linea mediana formando una struttura cilindrica con cavità centrale, il cosiddetto tubo neurale. [1] I due terzi prossimali del tubo neurale andranno a costituire l’encefalo ed il terzo distale il midollo spinale, mentre il lume formerà il sistema ventricolare ed il canale ependimale del midollo spinale. [2]

La chiusura inizia in posizione mediodorsale per poi continuare cranialmente e rostralmente. Alle estremità del tubo sono presenti due aperture, una anteriore chiamata

neuroporo anteriore e una posteriore detta neuroporo posteriore, entrambe in

comunicazione con la cavità amniotica; il neuroporo anteriore si chiude intorno al 25° giorno, quando l’embrione è costituito da 18-20 coppie di somiti, mentre quello posteriore intorno al 27°-28°, quando le coppie di somiti sono 24-25 [3]. In realtà, secondo studi più recenti, la chiusura potrebbe iniziare in sedi multiple disseminate lungo tutta la lunghezza del tubo neurale. [4][5] Il modello di chiusura multi-sito potrebbe essere spiegato dall’espressione separata di diversi geni Homeobox, che controllano ognuno un diverso sito di chiusura, e permette di classificare i difetti di chiusura del tubo neurale proprio sulla base del sito dell’anomalia. Al 25° giorno, quando il neuroporo anteriore si è chiuso, la parte

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rostrale si presenta piana e sottile e prende il nome di lamina terminale primitiva; nel frattempo le cellule si sono differenziate in cellule ciliate e iniziano a produrre un liquido che riempirà le vescicole cerebrali primarie, da cui prenderà origine l’encefalo.

Immediatamente dopo la fusione delle due pieghe neurali l’ectoderma superficiale di ogni lato si separa dal neuroectoderma e si fonde col corrispettivo controlaterale, assicurando la continuità dell’ectoderma superficiale, che costituirà l’epidermide. Questo processo è chiamato disgiunzione ed è di fondamentale importanza proprio perché da esso dipende l’integrità del piano cutaneo; anomalie di questo processo sono coinvolte nella patogenesi di difetti come il mielomeningocele. [1, 2, 6]

Contemporaneamente alla chiusura del tubo neurale avviene un’ulteriore proliferazione del neuroectoderma, caratterizzata da cellule con enormi potenzialità differenziative. Da questa proliferazione sono generate le creste neurali, che originano dalla giunzione neurosomatica bilateralmente a livello dei margini laterali delle pieghe neurali prima che si congiungano. Dalle creste neurali prendono origine alcune cellule gangliari, alcuni componenti della scatola cranica e delle meningi, i melanociti epidermici e anche alcune cellule neuroendocrine come le cellule parafollicolari della tiroide, le cellule della midollare surrenale e le cellule neuroendocrine gastrointestinali. [1]

La posizione del neuroporo posteriore, che indica la parte più caudale della piastra neurale, ad oggi viene collocata all’altezza di S3-S5 [7] o, secondo altri studi, al livello di S2 [8]; da questo si può dedurre che col processo di neurulazione primaria avviene la formazione di buona parte del midollo spinale, con eccezione dei metameri sacrococcigei e del filum terminale.

La parte distale del midollo spinale infatti deriva da un secondo processo, definito

neurulazione secondaria. [6, 8–10] Dopo che la neurulazione primaria è terminata intorno

al 25° giorno, la terminazione caudale del tubo neurale e quella della notocorda si fondono in un grande ammasso di cellule indifferenziate detto eminenza caudale o gemma caudale [1], che si estende fino ad affiancare l’intestino posteriore ed il mesonefro. Questo momento di giustapposizione tra strutture genitourinarie, notocordali e neurali spiega perché anomalie vertebrali distali, anorettali, neurali, renali e genitali possano occorrere insieme. All’interno di questa massa cellulare caudale iniziano poi a svilupparsi dei vacuoli,

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che si fondono prima tra loro e poi con il lume del tubo neurale, canalizzando di fatto anche la gemma caudale e formando così il ventricolo terminale. Nel momento in cui i vacuoli si formano, gruppi di cellule si dispongono attorno ad essi e si differenziano in senso neurale. In questo modo il midollo terminale ed il canale centrale si prolungano fino all’estremità caudale dell’embrione; la porzione più cefalica del midollo distale forma la metà inferiore del cono midollare. Subito dopo la maggior parte del midollo terminale è coinvolta da processi di necrobiosi che vedono il susseguirsi di regressione, degenerazione cellulare e ulteriore differenziazione [3]; viene così generato il filum terminale, che rimane poi adeso con la sua estremità caudale al coccige definitivo. Il canale, distalmente al livello di S3-S4, si assottiglia progressivamente, mentre le cellule intorno a questa porzione vanno incontro ad una differenziazione incompleta rispetto a quelle che si trovano più prossimalmente; in questo modo la parte prossimale ha ben 3 strati ependimali mentre quella distale ne ha solo uno. Da questo momento in poi il midollo spinale e il filum si allungano e si ispessiscono per crescita interstiziale, ma non vanno più incontro a fenomeni regressivi, tanto che qualora si verifichi un’ascesa del midollo dopo a questo momento è da imputare ad un’eccessiva crescita della colonna e non ad un’involuzione del midollo stesso. [6]

Anche la parte caudale della colonna vertebrale si forma tramite un processo meno organizzato rispetto a quello responsabile della formazione della parte più craniale. La gemma caudale, formata da notocorda, mesoderma e tessuto neurale semplicemente si divide in somiti per formare le vertebre sacrali, coccigee e della coda. Anche in questo caso si ha un processo di regressione che porta alla perdita della coda. Successivamente la colonna si accresce più velocemente del midollo al suo interno. La posizione della punta del cono midollare è importante per la diagnosi delle anomalie spinali caudali e dei disrafismi occulti. Barson, con i suoi studi [11], ha infatti dimostrato che, pur con un certo intervallo di variabilità interindividuale, la punta del cono si trova a livello del coccige alla 12a settimana, a livello di L4-L5 alla 18a, a livello di L2-L3 al termine e che si posiziona

definitivamente intorno a L1-L2 circa 3 mesi dopo il parto. Secondo gli studi di Hawass [12], invece, tra la 12a e la 25a settimana c’è una grande variabilità, mentre dopo la 35a la punta

si trova comunque sopra L3; James e Lassman [13] hanno poi confermato che al termine della gestazione in circa il 98% dei casi la punta si trova a livello dello spazio intervertebrale tra L2 e L3.

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1.1.2 Embriogenesi della colonna vertebrale

Al 17° giorno le cellule ectodermiche all’interno della fossetta primitiva sono avanzate in direzione cefalica verso la placca precordale per creare il processo notocordale, che si estende appunto lungo la linea mediana dal nodo di Hensen alla placca precordale. [6] La fossetta primitiva quindi si invagina nel processo notocordale e si allunga creando il canale

notocordale, che si fonde con l’endoderma; nei punti di fusione la degenerazione cellulare

pone il canale in contatto con il sacco vitellino, creando una transitoria comunicazione fra l’amnios e il sacco, detta canale di Kovalevsky. Successivamente la comunicazione viene chiusa, vengo ripristinati gli stati endodermico ed ectodermico e si forma nuovamente un core solido di tessuto che è la notocorda. La notocorda induce la formazione della placca neurale, guida la formazione dei corpi vertebrali e contribuisce alla formazione dei nuclei polposi. [14]

Le vertebre si formano tramite una serie di passaggi che possono essere didatticamente divisi in 1) sviluppo delle membrane, 2) condrificazione e 3) ossificazione. Ogni vertebra attraversa questi step in sequenza. Il processo inizia nella regione occipitale e prosegue verso il basso, quindi le vertebre si presenteranno in stadi diversi del loro sviluppo se osservate nello stesso momento. [6]

Alla fine del 17° giorno le cellule mesodermiche dell’estremità cefalica dell’embrione hanno formato una massa di mesenchima parassiale situata lateralmente alla notocorda e ventrolateralmente alla placca neurale. Il mesoderma parassiale forma poi bilateralmente delle colonne longitudinali di mesoderma solido che entro il 20° giorno iniziano a segmentarsi in blocchi disposti a coppie, detti somiti. I somiti continuano a formarsi mentre l’embrione continua ad allungarsi fino a che non si hanno 42-44 paia: 4 occipitali, 8 cervicali, 12 toracici, 5 lombari, 5 sacrali e 8-10 coccigei. I somiti occipitali e buona parte di quelli coccigei poi scompaiono. [6]

La porzione dorsolaterale di ogni somita si differenza in un dermatomiotoma, che andrà a formare il muscolo scheletrico e il derma. La parte ventromediale si differenzia invece nello

sclerotoma, che formerà la cartilagine, l’osso e i legamenti della colonna vertebrale.

Durante la 4a settimana di sviluppo la notocorda separa l’ectoderma dall’endoderma. Le

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una colonna longitudinale di mesenchima pericordale. Dopo che il tubo neurale si è chiuso e separato dall’ectoderma superficiale, le cellule degli sclerotomi migrano anche dorsalmente al tubo stesso, tra il futuro midollo e la futura cute, per formare i precursori degli archi vertebrali. La migrazione delle cellule sclerotomiche a livello ventrolaterale forma invece i processi costali e le coste stesse. Alla fine della fase membranosa quindi la migrazione cellulare degli sclerotomi ha prodotto la struttura primitiva delle vertebre. Questi elementi vanno poi incontro ad una complessa risegmentazione, alla condrificazione e all’ossificazione, formando infine la colonna vertebrale. [6]

A partire dal 24° giorno una risegmentazione maggiore avviene a carico dei corpi vertebrali membranosi. Le metà cefalica e caudale di ogni segmento si differenziano l’una dall’altra tramite delle fissurazioni che poi si espandono. Queste metà si uniscono poi con le metà adiacenti (la metà inferiore di un segmento con quella superiore del segmento sottostante) e si formano le vertebre precartilaginee. Questo intero processo procede bilateralmente e simmetricamente. [6]

Nella successiva fase dei foci di condrificazione compaiono all’interno dei nuovi corpi precartilaginei a lato della linea mediana e in ogni metà degli archi vertebrali e a livello della giunzione col centro. La condrificazione dei centri si associa alla scomparsa della notocorda, di cui rimane solo un residuo noto come stria mucosa. Intorno alla stria si forma il nucleo di ossificazione, con le placche cartilaginee che rimangono una superiore e l’altra inferiore ad esso e che vengono poi spinte in periferia a formare i dischi cartilaginei che si interfacciano col disco intervertebrale. Nuclei di ossificazione secondari compaiono a 16 anni e l’ossificazione si completa a 25. [6]

Gli archi vertebrali ossificano tramite nuclei separati. La cartilagine tra i nuclei centrali e neurali di ogni lato è definita sincondrosi neurocentrale e con la crescita dei corpi e degli archi si assottiglia fino a fondersi col centro, anteriormente ai peduncoli vertebrali. Le lamine degli archi a livello lombare si fondono dopo la nascita, anche intorno ai cinque anni di vita, seguite poi dal resto della colonna. [6]

La colonna cervicale presenta delle differenze rispetto alla rimanente parte. L’atlante (C1) si sviluppa da un nucleo al centro e due localizzati negli archi neurali, che si chiudono nel primo anno di vita, con la sincondrosi che si fonde intorno ai 7 anni. L’epistrofeo (C2) si

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sviluppa da quattro nuclei, i tre classici più uno per il dente; si fondono tutti tra i 3 ed i 6 anni di vita. Le altre vertebre cervicali possiedono un nucleo di ossificazione per il corpo ed uno per ogni metà dell’arco vertebrale, con la sincondrosi posteriore tra le due metà che si chiude tra i 2 ed i 3 anni di vita. [6]

Difetti in qualsiasi passaggio di questo processo possono risultare in condizioni patologiche a livello della colonna, la maggior parte delle quali si verificano a livello della linea mediana o comunque in posizione paramediana; sono possibili anche difetti di segmentazione e anomalie nella formazione dei processi costali.

1.2 I

DIFETTI DI CHIUSURA DEL TUBO NEURALE

I difetti di chiusura del tubo neurale (NTD) sono un gruppo eterogeneo di malformazioni risultanti dalla mancata chiusura del tubo neurale durante l’embriogenesi. Questi variano molto in severità, partendo da difetti lievi facilmente correggibili chirurgicamente e arrivando a condizioni invece letali come l’anencefalia. [15] Possono presentarsi come malformazioni isolate, in associazione ad altre malformazioni, come parte di sindromi genetiche o anche come conseguenza dell’esposizione ad agenti teratogeni. [16] Sono la seconda anomalia congenita più comune dopo le malformazioni cardiache [17] e la loro prevalenza varia in base alla regione geografica, alla razza e a fattori ambientali. [18] Con il termine “disrafismo” ci si riferisce ad un difetto di chiusura del tubo neurale (Tabella 1); in realtà questo termine viene spesso utilizzato per includere tutti i disordini spinali congeniti nei quali ci sia una differenziazione anomala o una incompleta chiusura delle strutture dorsali mediane quali cute, muscoli, vertebre, meningi e tessuto nervoso. [3] Il termine placode si riferisce ad un segmento di tessuto neurale embrionale non andato incontro a neurulazione e bloccato quindi allo stadio di placca neurale. [19] Si ritrova un placode in tutti i disrafismi spinali aperti e spesso anche in quelli chiusi, esposto al liquido amniotico nel primo caso e coperto da cute nel secondo. Il placode si definisce terminale o

segmentale a seconda della sua localizzazione lungo il midollo spinale. Un placode

terminale di solito giace all’estremità caudale del midollo, e può essere apicale o parietale a seconda che coinvolga l’apice o un segmento più lungo del midollo stesso. Un placode

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segmentale può trovarsi ad ogni livello del midollo e i tratti sottostanti appaiono di solito perfettamente normali. [3]

Tabella 1. Classificazione clinica dei difetti di chiusura del tubo neurale.

Disrafismi aperti Disrafismi chiusi

Mielomeningocele Con massa sottocutanea

Mielocele Lombosacrali Cervicali

Emimielomeningocele Meningocele Meningocele

Emimielocele Lipomielomeningocele Mielocistocele cervicale Lipomieloschisi Mielomeningocele cervicale Mielocistocele terminale

Senza massa sottocutanea

Spina bifida posteriore Fistola enterica dorsale Lipoma intradurale e intramidollare Cisti neuroenterica Lipoma del filum terminale Diastematomelia Filum terminale spesso Diplomelia Midollo eccessivamente lungo Seno dermoide

Persistenza del ventricolo terminale Sindrome da regressione caudale Disgenesia spinale segmentale Fistola enterica dorsale

I disrafismi possono essere classificati in tre grandi categorie. [19]

La prima categoria è quella dei difetti aperti (OSD, Open Spinal Dysraphism), nei quali il tessuto nervoso e/o le meningi sono esposti sulla linea mediana a causa di difetti a carico del piano cutaneo. La spina bifida è un difetto della linea mediana delle vertebre, dovuta di solito ad una mancata chiusura dell’arco vertebrale posteriore, che determina una lacuna nello speco vertebrale, con esposizione del canale neurale; più raramente il difetto interessa il corpo vertebrale. La spina bifida può interessare tutti i segmenti del rachide, anche se la sede più frequente è quella lombo-sacrale. Anche per la spina bifida vale la classificazione in aperta e chiusa, come per gli NTD in genere. Le forme aperte sono caratterizzate da un difetto che coinvolge anche il piano osseo ed i tessuti molli, con il contenuto del canale vertebrale che risulta erniato e solo in parte coperto da cute; si

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distinguono in questo caso il meningocele, quando si ha l’erniazione di una sacca meningea contenente liquor, il mielomeningocele quando erniano meningi, liquor e tessuto nervoso, ed il mielocele o rachischisi, quando si ha semplicemente esposizione di midollo spinale, di solito malformato e senza alcun rivestimento meningeo. Il mielocele è una malformazione molto rara e consiste nell’1,2% degli NTD. [3]

La spina bifida occulta invece è un difetto caratterizzato da una mancata fusione degli archi vertebrali posteriori di una singola vertebra, col tubo neurale che si differenzia normalmente e non protrude nel canale vertebrale; il difetto è coperto da cute, che può presentare nevi, peli, lipomi, cisti o anomalie della pigmentazione. La spina bifida occulta è sicuramente tra gli NTD il meno grave, è spesso asintomatica o associata a lievi sintomi neurologici e viene riconosciuta solo se la cute presenta dei segni come quelli appena menzionati. [20] La prevalenza della spina bifida occulta è ad oggi ancora molto dibattuta; le stime sono molto variabili (dall’1,2% fino al 50%) e sono tutte riferite alla popolazione adulta. [21–24] Questa estrema variabilità è dovuta al fatto che questa patologia il più delle volte non viene diagnosticata in epoca prenatale e che alcuni autori la considerino alla stregua di una variante normale, dati i tempi di chiusura dello speco vertebrale; inoltre, alcuni studi riportano prevalenze stimate nella popolazione adulta tramite metodiche estremamente diverse e caratterizzate da diversi livelli di sensibilità che quindi impediscono di giungere ad una conclusione unanime. [25, 26]

La seconda categoria è quella dei disrafismi chiusi (CSD, Closed Spinal Dysraphism), nei quali il difetto è coperto da cute e non c’è esposizione di tessuto nervoso, anche se possono essere presenti stimmate cutanee come nevi pelosi, emangiomi capillari, fossette, distrofie o masserelle sottocutanee; per questo motivo ad oggi si preferisce il termine “chiuso” al termine “occulto”, utilizzato in passato. [3] I CSD comprendono svariati quadri nosologici quali il seno dermoide, il lipoma spinale, la sindrome del filum terminale spesso, la cisti neuroenterica e la diastematomelia. In molti casi i CSD presentano la cosiddetta “tethered

cord syndrome” o “sindrome da ancoraggio midollare”, sindrome clinica caratteristica ma

non esclusiva di questi difetti in cui il cono midollare si trova ancorato in una posizione bassa, al di sotto del livello di L3; solitamente nelle NTD questo difetto è primario, mentre in altre patologie può essere secondario a lesioni cicatriziali, specialmente in seguito alla

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riparazione di un mielomeningocele. [3][19] Alcune patologie facenti parte del gruppo dei CSD sono:

• Diastematomielia. Si tratta di una divisione completa o incompleta del midollo spinale in due emimidolli, con sacco durale e spazio subaracnoideo distinti. Si ritrova nel canale vertebrale un setto sagittale osseo, cartilagineo o fibroso, che si può associare ad idromielia, anomalie di segmentazione delle vertebre e malformazioni viscerali genitourinarie e anorettali. [27]

• Lipomielomeningocele. È un disordine complesso in cui un lipoma sottocutaneo, di solito localizzato in regione lombosacrale, si estende all’interno di un difetto della fascia e degli archi vertebrali, ancorando il midollo alla dura madre adiacente e ai tessuti molli. Si può associare a diastematomielia, idromielia e scoliosi; altre malformazioni associate sono agenesia sacrale e anomalie genitourinarie e/o anorettali. [27]

• Mielocistocele. È una condizione rara che corrisponde circa al 3,5-7% dei CSD. È costituito da una dilatazione cistica del canale centrale del midollo e dell’aracnoide soprastante, che erniano attraverso un difetto degli archi vertebrali. La sede di gran lunga più frequente è quella terminale (lombosacrale), ma si può trovare anche in posizione cervicale, toracica o toracolombare. [27]

La terza categoria sono le anomalie spinali caudali, che comprendono quelle lesioni in cui malformazioni del midollo, delle meningi e della colonna si trovano in posizione distale e sono associate a malformazioni intestinali, genitali e vescico-urinarie.

All’interno dei difetti di chiusura del tubo neurale si trovano anche altre patologie che non coinvolgono la colonna vertebrale, quali l’acrania/anencefalia e l’encefalocele.

L’acrania/anencefalia è una malformazione letale caratterizzata dall’assenza della volta cranica e/o degli emisferi cerebrali. In realtà, le due malformazioni fanno parte di una stessa sequenza: il difetto delle ossa craniche che caratterizza l’acrania espone il tessuto neurale all’azione del liquido amniotico, che ne causa la degenerazione e la successiva scomparsa, che configura il quadro dell’anencefalia. Nei casi in cui il tessuto neurale

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protruda dal difetto cranico, si parla di exencefalia, anch’essa risultante in ultimo nell’anencefalia. La prevalenza è dello 0,6-3,0/1000. [20, 28, 29]

L’encefalocele è caratterizzato dall’erniazione del contenuto intracranico attraverso un difetto osseo cranico; il materiale erniato può essere costituito solo da meningi (meningocele) oppure può contenere anche tessuto cerebrale (meningoencefalocele). Nel 70-80% dei casi l’encefalocele si localizza in regione occipitale, mentre sono più rare la sede frontale e quella parietale, presenti soprattutto nella sindrome da banda amniotica. [20, 30] Può associarsi spesso anche ad altre malformazioni, sia all’interno di sindromi come la sindrome di Meckel-Gruber e la sindrome da banda amniotica [31], sia in quadri non sindromici, nei quali si associa a ventricolomegalia, microcefalia, cranio a forma di limone (se parte della malformazione di Arnold Chiari di tipo III) o appiattimento dell’occipite. [32] Si stima che circa il 44% dei feti affetti da questa patologia presenti anomalie del cariotipo. [33]

1.2.1 Epidemiologia

Nel 2016 è stata pubblicata una meta-analisi [18] che aveva l’obiettivo di offrire una review sistematica della letteratura presente sul tema. Un’importante informazione emersa dallo studio è l’effettiva mancanza, in molti Paesi, di registri e dati ufficiali sull’incidenza e la prevalenza degli NTD; questo rende ovviamente parziale ogni tipo di considerazione epidemiologica e sottolinea la necessità di maggiori sforzi nella sorveglianza e nel controllo di queste patologie.

Per quanto riguarda i dati presenti, lo studio rivela una forte variabilità nei numeri riportati. La prevalenza globale varia tra gli 0,3 e i 199,4 casi ogni 10000 nati; anche togliendo gli estremi più alti e più bassi, il range si mantiene enormemente ampio (1,2-124,1:10000 nati). La prevalenza stimata nelle diverse zone del mondo è comunque alta, con l’80% circa di report che attestano una prevalenza maggiore di 6 casi ogni 10000 nati. I Paesi con la maggiore incidenza sono Gran Bretagna, Cina, Egitto e India. [20] Questa grande variabilità è dovuta al fatto che tra i singoli studi ed i vari registri esiste una forte eterogeneità in termini di criteri di inclusione nella statistica, capacità diagnostiche del Sistema Sanitario stesso del paese in questione e standard diagnostici. Ad esempio, nei Paesi in cui manca la possibilità di diagnosticare gli NTD in epoca prenatale e interrompere la gravidanza se

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necessario, o in quelli dove in generale non viene praticata l’IVG, la prevalenza alla nascita risulta molto maggiore rispetto a Paesi dove l’interruzione di gravidanza è un’opzione percorribile. [18]

In più, stratificando economicamente i Paesi in base alla divisione dell’OMS, si può notare una graduale decrescita della prevalenza dai paesi a basso-medio income a quelli ad alto income, dato in linea con quanto detto precedentemente sulle possibilità diagnostiche e di intervento dei vai Sistemi Sanitari. [18]

Per la regione Europea sono presenti 60 diversi studi/report, che coprono un totale di 26 stati su 53; il 95% dei dati proviene da registri o sistemi di sorveglianza nazionali o regionali. La prevalenza europea stimata varia tra 1,3-35,9 casi ogni 10000 nati, con una mediana di 9,0:10000. [18]

Per l’Italia i dati sono derivano principalmente dai registri EUROCAT (European Surveillance of Congenital Anomalies) [34–36] e dai report annuali dell’ICBDSR (International Clearinghouse for Birth Defects – Surveillance and Research), l’ultimo pubblicato nel 2014 (Tabella 2). [37]

Tabella 2. Prevalenza per 10000 nati delle principali NTD in Italia nei diversi registri [18]

Regione Fonte Intervallo Anencefalia Spina bifida Encefalocele Totale Prev 95% CI Prev 95% CI Prev 95% CI Prev 95% CI

Toscana RTDC 2003-2012 1,9 (1,5-2,5) 3,1 (2,5-3,8) 0,7 (0,4-1,1) 5,7 (4,9-6,6) Emilia-Romagna IMER 2003-2012 2,2 (1,7-2,7) 2,7 (2,2-3,3) 0,7 (0,5-1,0) 5,6 (4,9-6,4) Sicilia RRMC 2003-2004 0,5 (0,1-1,8) 1,5 (0,5-3,3) 0,0 (0,0-0,9) 2,0 (0,9-3,9) Campania BDRCam 2005-2009 3,6 (2,9-4,2) 3,1 (2,5-3,8) 1,0 (0,6-1,3) 7,7 (6,7-8,7) Lombardia LBDR 2009 2,0 (0,2-7,1) 2,0 (0,2-7,1) 1,0 (0,0-5,5) 4,5 (3,7-5,3) Nord-Est NEI 2005-2009 1,5 (1,0-2,0) 2,5 (1,9-3,1) 0,5 (0,2-0,8) 4,5 (3,7-5,3)

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1.2.2 Fattori di rischio e anomalie associate

Le NTD isolate o non sindromiche riconoscono solitamente un’origine multifattoriale o vengono comunque attribuite a combinazioni complesse di fattori genetici e ambientali; il 60% avviene per cause sconosciute. [38]

Per produrre un effetto, i fattori ambientali per i quali è stata dimostrata una correlazione con l’insorgenza di NTD devono agire entro il 28° giorno di gestazione, durante la formazione del tubo neurale. [16] Troviamo tra questi fattori ambientali alcuni farmaci, quali l’acido valproico [39] e la carbamazepina. [40] Anche l’ipertermia materna, sia febbrile sia dovuta a frequenti bagni caldi, può indurre malformazioni di questo tipo. [41, 42] Anche la razza e la provenienza geografica sono state associate con diversi tassi di incidenza di NTD. Globalmente l’incidenza è maggiore nelle donne caucasiche e questa tendenza si mantiene anche dopo le migrazioni, suggerendo preponderanza del fattore genetico su quello ambientale; questo è vero in particolare per la spina bifida. [20] Globalmente, il tasso di incidenza maggiore si ritrova nella provincia cinese dello Shanxi, anche dopo implementazione di adeguati programmi di prevenzione. Queste differenze sono da imputare verosimilmente a fattori sia ambientali che genetici. [16]

Esiste anche una correlazione tra i difetti di chiusura del tubo neurale e il diabete materno. [43] Una meta-analisi del 2008 ha dimostrato inoltre un rischio aumentato di 1,7 volte per le donne obese che sale a 3,1 volte in caso di obesità severa. [44]

In generale comunque, il fattore di rischio più importante è la storia familiare. Dopo una gravidanza in cui sia insorto un NTD, il rischio di ricorrenza alle successive gravidanze si attesta intorno all’1,7-1,8%, circa 12 volte maggiore rispetto a quello della popolazione generale; in alcuni casi si arriva a tassi di ricorrenza del 3%. Quando i feti precedentemente affetti sono due, il rischio sale al 5,7-12%, a seconda della casistica. Quando si parla di ricorrenza, in questo caso ci si riferisce in generale ai difetti di chiusura del tubo neurale e non al difetto specifico, in quando la probabilità che due figli consecutivi siano affetti dallo stesso difetto è più rara. [15]

Importante anche la correlazione con sindromi genetiche, così come con alcune mutazioni cromosomiche quali delezioni e duplicazioni; l’anomalia cromosomica con la quale si riscontra l’associazione più forte è la trisomia 18. [16, 45] I geni implicati nella chiusura del

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tubo neurale in modelli murini sono moltissimi e si suppone siano gli stessi anche negli umani. È stato dimostrato che i geni che codificano per la formazione e la funzione delle ciglia sulla superficie cellulare sono coinvolti nel 5% delle NTD murine: in più, si pensa che le ciglia siano anche importanti per la funzione del gene Sonic Hedgehog. Un altro gruppo di geni coinvolti sono quelli deputati alla definizione della polarità delle cellule planari. È stato dimostrato che sono coinvolti anche meccanismi epigenetici quali la metilazione del DNA, l’acetilazione degli istoni e di conseguenza il posizionamento dei nucleosomi. [46] Riguardo al ruolo dei geni coinvolti nel metabolismo dell’acido folico si rimanda al paragrafo “NTD e acido folico”.

Circa il 20% dei casi di NTD si presentano in associazione con altre anomalie strutturali, costituendo in alcuni casi parte di quadri sindromici. [32, 33] Le sindromi all’interno delle quali si ritrovano più frequentemente sono la sindrome di Meckel-Gruber, la sindrome di Klippel-Feil e la sindrome da banda amniotica; più raramente, si può trovare un NTD all’interno della sindrome di Waardenburg di tipo II, nella sindrome di Opitz e nella sindrome di Walker-Warburg. [16, 49]

Per quanto riguarda le associazioni non sindromiche, uno studio del 1998 riporta innanzitutto che la spina bifida alta, insieme all’encefalocele, si associa più spesso a malformazioni non neurologiche, mentre non ci sono differenze significative per l’anencefalia e la spina bifida bassa. [49]

La spina bifida aperta si associa a livello encefalico ad idrocefalia, cisti dei plessi corioidei, displasia corticale e atresia o duplicazione dell’acquedotto di Silvio. A livello scheletrico si hanno principalmente anormale numero di vertebre e coste, scoliosi, cifosi e anomalie del numero delle dita, mentre a livello faciale è frequente la labiopalatoschisi. A livello splancnico si ritrovano principalmente agenesia renale e/o corticosurrenale, rene policistico, difetti del setto interventricolare, onfalocele, estrofia della cloaca, atresia anale. In circa il 2% dei casi alcune di queste anomalie si associano nel complesso OEIS (onfalocele, estrofia vescica, ano imperforato e spina bifida). È possibile trovare anche altre anomalie, seppur in percentuali minori. [20, 48, 50, 51]

L’anencefalia è più frequentemente isolata o associata a malformazioni del sistema nervoso centrale. Tra le anomalie non cerebrali si riscontrano più frequentemente quelle

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scheletriche e quelle urogenitali. Nei casi di anencefalia si deve tenere in considerazione il fatto che spesso, data l’immediatezza della causa della morte, non viene effettuata un’autopsia. [50]

1.2.3 NTD e acido folico

La carenza di folati è stata suggerita come fattore di rischio di morte fetale precoce già negli anni 50, quando l’aminopterina, un antagonista dei folati, venne utilizzata per indurre aborto terapeutico. [52] Inoltre, fu visto che le pazienti in cui l’aminopterina non riusciva a causare la morte del feto, davano alla luce bambini affetti da numerose malformazioni, tra cui gli NTD. [53] Negli anni 60 lo studio di Hibbard e Smithells [54] suggerì che la carenza di folati potesse essere un fattore di rischio specifico per l’insorgenza di NTD in gravidanza e altri studi successivi confermarono questa ipotesi. Il Medical Research Council Vitamin Study del 1991 [55] fu il primo trial randomizzato su larga scala a dimostrare un forte effetto protettivo della supplementazione di acido folico prima della gravidanza e con esso gli autori consigliarono fortemente politiche sanitarie che incentivassero questa pratica. In questo studio, la supplementazione di 4 mg/die di acido folico in pazienti che avevano già avuto una gravidanza affetta da NTD diminuiva il rischio di una seconda gravidanza affetta del 72%. Un secondo grande trial randomizzato ungherese [56] dimostrò che una supplementazione di acido folico di 0,8 mg/die per un mese precedentemente al concepimento e per le prime 8 settimane di gravidanza diminuiva fortemente il rischio di NTD anche per la prima gravidanza.

In seguito a questi studi l’US Centers for Disease Control and Prevention (CDC) consigliò ufficialmente a tutte le donne in età fertile negli USA, potenzialmente in procinto di intraprendere una gravidanza, di assumere 0,4 mg/die di acido folico per ridurre il rischio di incorrere in una gravidanza affetta da spina bifida o altri NTD. [57] Dati i pochi risultati ottenuti dalla campagna e considerando il persistente alto tasso di gravidanze non programmate, nel 1998 il governo degli US iniziò un’ulteriore campagna dopo la quale si ebbe una riduzione di circa il 20% dell’incidenza complessiva degli NTD. [58] In Italia uno studio del 2011 condotto all’ospedale Gaslini di Genova ha dimostrato un’odd ratio di 20,54 per la carenza pregravidica di folati. [59] In ogni caso, ad oggi più del 30% delle gravidanze non sono precedute da assunzione di acido folico [16].

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L’acido folico è una vitamina idrosolubile che si trova naturalmente in molti cibi, in particolare nelle verdure a foglia larga; i folati provenienti dalla dieta, sotto forma di tetraidrofolato (THF), giocano un ruolo importante nel metabolismo dell’omocisteina e nelle reazioni di sintesi, riparazione e metilazione del DNA. [60] Il folato (così come l’acido folico, che è una forma sintetica maggiormente stabile) vengono ridotti dalla diidrofolato reduttasi (DHFR) e poi convertiti nella loro forma attiva, il 5-metil-tetraidrofolato (5meTHF) dalla serinoidrossimetil-trasferasi (SHMT) e dalla 5,10-metilenetetraidrofolato reduttasi (MTHFR). [61] Il 5meTHF viene usato quindi per la sintesi delle purine e del timidilato, per la sintesi della metionina dall’omocisteina e per la biosintesi della S-adenosilmetionina (SAM), che funziona da donatore universale di gruppi metili per le reazioni di metilazione, incluse quelle a carico di DNA e proteine. [62]

Anche i farmaci che agiscono come antagonisti dei folati sono annoverati tra i fattori di rischio per l’insorgenza di NTD. Le donne sottoposte a somministrazione di antagonisti dei folati nel primo trimestre di gravidanza hanno un rischio 6 volte maggiore di incorrere in NTD nel corso della gravidanza. Questi farmaci includono gli inibitori di DHFR, come il metotrexate, che inibisce la conversione dell’acido folico nella sua forma attiva, e l’acido valproico, un antiepilettico che agisce come inibitore dell’istone deacetilasi. [58, 63] Data la dimostrata importanza a livello epidemiologico dell’acido folico durante lo sviluppo embrionale, specialmente per la chiusura del tubo neurale, gli studi si sono focalizzati sul metabolismo degli acidi carbonici, individuando un comune polimorfismo del gene MTHFR, il 667C→T. L’enzima MTHFR è necessario per ridurre il 5,10-metilenetetraidrofolato in 5-metil-THF, che è la forma maggiormente circolante nonché quella necessaria per la sintesi del SAM. [64] La suddetta mutazione genera un enzima maggiormente termolabile con attività significativamente ridotta, che risulta in livelli plasmatici di folati ridotti a fronte di livelli aumentati di omocisteina. [65] È stato dimostrato che il rischio associato alla mutazione 667C→T può essere ridotto tramite l’aumento dei livelli materni di folati. [66] Nonostante i numerosi studi condotti, esistono in letteratura poche evidenze aggiuntive riguardo a polimorfismi causali maggiori nel pathway degli acidi carbonici. In accordo con i dati sugli umani, anche nei topi sono stati riscontrati pochi altri geni di questo pathway implicati nella genesi delle NTD, e l’assenza di folato, in mancanza di un concomitante insulto genetico, da sola non causa NTD isolate nei modelli murini. [17]

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È importante sottolineare che alcuni modelli murini hanno mostrato una risposta negativa all’acido folico, con aumento dell’incidenza delle NTD e di morte fetale. [67] Per questi motivi sono necessari studi che attestino quali varianti genetiche possono rispondere favorevolmente alla supplementazione di acido folico, quali risultano non influenzate da essa e quali invece rispondono negativamente, e se questi risultati siano trasponibili nell’uomo. Alcuni autori suggeriscono di incrementare ulteriormente la dose di acido folico somministrata; si deve però considerare che i genotipi resistenti comunque non sarebbero avvantaggiati in alcun modo e che il rischio di effetti epigenetici a lungo termine, dato il coinvolgimento del pathway di metilazione del DNA, potrebbero essere sfavorevoli. [17] Il meccanismo con il quale l’acido folico influenzi la chiusura del tubo neurale è tutt’ora sconosciuto, ma come già discusso probabilmente sono coinvolti i meccanismi di metilazione del DNA ed alcune alterazioni nella sintesi dei precursori dei nucleotidi. Ad esempio, è stato visto che in seguito ad assunzione di acido folico la metilazione del gene del fattore di crescita insulino-simile (IGF) è molto aumentata nella prole, peraltro con una distribuzione diversa rispetto al normale. [68] Sono necessari ulteriori studi per determinare la connessione tra i livelli di acido folico, i cambiamenti nella metilazione del DNA e l’incidenza degli NTD. Inoltre, il ciclo degli acidi carbonici produce anche nucleotidi, che sono necessari per la proliferazione cellulare, processo fondamentale per la chiusura del tubo neurale. [17]

La chiusura del tubo neurale avviene precocemente in gravidanza, e circa metà delle gravidanze sono non programmate; per questo motivo, iniziare la supplementazione di acido folico al momento della diagnosi di gravidanza non è sufficiente. Tutte le donne che pianificano una gravidanza o potenzialmente in grado di intraprenderne una dovrebbero per questo motivo iniziare la supplementazione almeno un mese prima del concepimento e continuare per le prime 12 settimane di gestazione. [69] La riduzione del rischio di NTD è stimata intorno al 55% [70]; altri studi dimostrano una riduzione del 79% del rischio di spina bifida e del 57% di quello di anencefalia. [16] Una dose maggiore, corrispondente a 4-5 mg/die, è invece consigliata per le donne che abbiano già avuto una gravidanza affetta da NTD, che siano esse stesse affette da NTD, il cui partner sia affetto o il cui partner abbia già avuto un figlio affetto; in questo caso, la supplementazione dovrebbe iniziare 3 mesi prima del concepimento per avere una riduzione del rischio del 70%. [16]

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Non tutte le NTD, come già detto, sono sensibili all’azione dell’acido folico; si considerano resistenti le gravidanze associate a mancato controllo glicemico nel primo trimestre, ipertermia materna, obesità materna e aneuploidie o disordini genetici. In questi casi, quando possibile, è indicato il controllo della condizione di base, in quanto la supplementazione di folati di per sé sarebbe inefficace. [16]

I rischi correlati all’assunzione dell’acido folico sono praticamente nulli, poiché la molecola è altamente idrosolubile e dosi eccessive vengono velocemente eliminate con le urine. Teoricamente, la supplementazione di acido folico potrebbe mascherare i sintomi di un’anemia perniciosa e ritardarne la diagnosi, ma considerando la rarità di questa patologia nelle giovani donne e l’assenza di evidenze a riguardo, questa eventualità non è ad oggi indicazione per la sospensione della supplementazione. Non ci sono inoltre evidenze riguardo ad una possibile associazione tra assunzione di acido folico e maggior incidenza di gravidanze gemellari. [16]

1.3 P

ROGNOSI

La rilevazione di un NTD ha delle implicazioni per la prosecuzione della gravidanza, il management neonatale e il follow up a lungo termine.

L’anencefalia, associata o meno ad altre anomalie, è una malformazione incompatibile con la sopravvivenza, con decesso che può avvenire in utero o nelle prime ore dopo la nascita; al momento l’80% delle pazienti con diagnosi prenatale di acrania/anencefalia opta per l’interruzione volontaria di gravidanza. [20] Secondo recenti studi circa tre quarti dei feti affetti da anencefalia nascono vivi, ma di questi circa il 60-70% muore dopo meno di 24 ore. Esistono tuttavia sporadiche eccezioni, con neonati che sopravvivono ben oltre il primo giorno di vita per un numero variabile di giorni; il caso più eclatante è stato riportato nel 2016 e riguarda una bambina affetta da acrania che è sopravvissuta per 28 mesi senza bisogno di supporto vitale. La continuazione della gravidanza in caso di anencefalia è sicura. [71–73]

L’encefalocele invece, fa spesso parte di sindromi come la sindrome Meckel-Gruber (cefalocele, rene policistico e polidattilia) e la sindrome da banda amniotica, oppure si può associare a idrocefalia, spina bifida, microcefalia e varie anomalie cromosomiche. [74] La

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prognosi dipende dalla quantità e dalla qualità di materiale erniato nella sacca e dalla presenza o meno di anomalie associate. La mortalità è abbastanza variabile, anche se si è registrata una forte diminuzione grazie anche all’introduzione della chirurgia neonatale, tanto che nel 1967 le evidenze mostravano una mortalità del 57% [75] mentre una casistica del 2007 riporta una tasso di mortalità a 9 anni nullo, anche se la patologia si associava ad una morbidità considerevole, con numerosi casi di idrocefalia ed epilessia [76]. In ogni caso, un limite a queste stime è la carenza di studi dedicati all’encefalocele isolato. [20]

1.3.1 Spina bifida e mielomeningocele

La mortalità post-natale legata alla spina bifida è molto cambiata negli anni. Prima del 1975 molti bambini morivano per infezione ed idrocefalo ingravescente, e la sopravvivenza a 16 anni era del 40-60%; oggi, grazie alla possibilità in alcuni casi di prevedere già in utero l’outcome funzionale, all’introduzione delle tecniche di neurochirurgia pediatrica e al migliore follow-up dei casi di vescica neurologica, la mortalità neonatale e a distanza nei bambini affetti da spina bifida si colloca sotto al 10%. [20] Uno studio ad opera di Boyd et al. del 2000 [77] dimostra che i tassi di interruzione di gravidanza in caso di diagnosi prenatale di spina bifida in Europa variano tra il 17% ed il 100%, dimostrando forte variabilità nelle politiche sanitarie e nella cultura; in alcuni casi, come Germania e Francia, sono registrate interruzioni tardive dopo le 24 settimane, in accordo con le politiche locali. La gravità della sintomatologia della spina bifida dipende dalla sede (alta o bassa), dal tipo del difetto (aperto o chiuso), dall’entità della schisi e dal coinvolgimento del tessuto neurale. [20] Secondo uno studio di Bruner e Tulipan del 2004 ed altri successivi, se un certo numero di feti affetti da spina bifida va incontro a sequele devastanti che spingono verso l’interruzione volontaria di gravidanza, altrettanti hanno un’aspettativa di vita variabile, talvolta pari a quella della popolazione generale, talvolta limitata da controlli periodici e incompleta autonomia dell’individuo. [16, 78] Secondo un’analisi retrospettiva del 2006 che prevedeva lo studio follow up fino a 10 anni, quando sono forniti il corretto trattamento e un percorso riabilitativo adatto, circa il 95% dei feti nati vivi con spina bifida può sopravvivere, pur con diversi gradi di disabilità. [79]

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1.3.1.1 Malformazione di Chiari

La malformazione di Arnold-Chiari di tipo II si caratterizza per ipoplasia della fossa cranica posteriore con scivolamento caudale del verme cerebellare, del tronco cerebrale e del IV ventricolo, con conseguente ostruzione del forame magno e ostacolo alla circolazione del liquor, che nel 90% dei casi comporta idrocefalo ostruttivo. [20] La malformazione di Chiari costituisce una conseguenza della spina bifida, ma a causa della quasi costante associazione viene spesso considerata parte integrante del quadro. La più accreditata teoria fisiopatologica è quella di McLone e Knepper del 1989 [80]. Dato che il tubo neurale rimane non neurulato, durante la gestazione il LCR passa attraverso il difetto spinale all’interno del sacco amniotico, creando un’ipotensione cronica all’interno del tubo neurale; in questo modo la vescicola romboencefalica (ossia il quarto ventricolo in via di sviluppo) non riesce ad espandersi e ad indurre il mesenchima perineurale della fossa cranica posteriore. Il cervelletto ed il tronco encefalico si ritrovano a crescere all’interno di una fossa cranica notevolmente ristretta e tendono ad erniare nel forame magno (Figura 1).

Figura 1. Malformazione di Arnold-Chiari di tipo II all'ecografia di secondo livello a 36 settimane di gestazione.

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La malformazione di Chiari è la principale causa di morte nei primi 2 anni di vita nei bambini affetti da mielomeningocele; circa un terzo dei pazienti sviluppa segni e sintomi da compressione del tronco encefalico nei primi 5 anni e più di un terzo di questi casi non sopravvive. I segni ed i sintomi prima dei due anni sono correlati all’entità dell’idrocefalia, alla compressione delle strutture erniate e al difetto spinale, e sono costituiti da:

• Para/tetraparesi;

• Debolezza e spasticità degli arti superiori; • Problemi sfinteriali;

• Ritardo mentale di vario grado;

• PEAC syndrome (apnea espiratoria prolungata con cianosi); • Stridore inspiratorio;

• Disfagia neurogena per compromissione dei nervi cranici IX e X; • Cefalea occipitale.

Entro i due anni di vita la sintomatologia può assumere i caratteri di una vera e propria emergenza, anche fatale, per il coinvolgimento del X nervo cranico, con adduzione delle corde vocali e PEAC syndrome, o per disfagia neurogena con conseguente episodio ab ingestis. [81]

Come menzionato, la malformazione di Chiari causa nel 90% dei casi idrocefalo ostruttivo. Storicamente, quasi tutti i neonati con mielomeningocele venivano sottoposti a shunt intraperitoneale per ridurre il rialzo cronico di pressione endocranica deviando il liquor nella cavità peritoneale. Ad oggi si tende invece a ridurre il numero di shunt eseguiti, specialmente per le lesioni più basse; sono sottoposti a shunt circa il 100% dei neonati con lesioni toraciche, l’88% di quelli con lesioni lombari e solo il 68% di quelli con lesioni sacrali. [78] La tendenza ad evitare quando possibile il posizionamento di shunt è dovuta alla possibilità di complicanze dello stesso, quali ostruzione ed infezione -peraltro più frequenti nei neonati con spina bifida rispetto a quelli in cui lo shunt è stato posizionato per altri motivi-, ed un peggior outcome neurologico e probabilmente anche intellettivo. [82–84] Un’alternativa al posizionamento di shunt è l’intervento endoscopico di ventricolostomia,

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con apertura del pavimento del terzo ventricolo, così da determinare una comunicazione tra il sistema ventricolare e il resto del sistema cefalorachidiano; alternativamente, nei casi di idrocefalia più modesta la riparazione del mielomeningocele è sufficiente per far sì che la circolazione del liquor si ristabilisca con conseguenze regressione della ventricolomegalia. [84, 85] Gli indicatori più utilizzati come criteri per il posizionamento dello shunt sono un’elevata tensione delle fontanelle, un aumento della circonferenza cranica maggiore di 3 mm/giorno e la presenza di evidenze radiologiche di idrocefalia. [85]

1.3.1.2 Deambulazione

Nella review di Bruner e Tulipan si fa riferimento ad uno studio di Bowman et al. [86], secondo il quale il 46% dei giovani adulti è in grado di camminare per il 75-100% del tempo, il 13% per il 25-50%, mentre il 41% ha bisogno costantemente di una sedia a rotelle. Le lesioni basse sono quelle che si associano a maggiori capacità deambulatorie, con la vertebra L3 che fa da spartiacque tra le lesioni con prognosi migliore e quelle che invece impongono sostegno continuativo. Mettendo insieme vari studi, i due autori giungono alla conclusione che circa due terzi dei pazienti affetti da spina bifida nati vivi hanno capacità deambulatorie molto buone, purché la lesione sia inferiore a L3. [78] Uno studio del 2006 riporta una serie di 154 casi di spina bifida, 125 dei quali nati vivi; di questi il 56,7% presenta un deficit motorio moderato-grave. [87] Altri studi hanno confermato che le lesioni toraciche sono correlate in ogni caso all’impossibilità per il nascituro di deambulare, mentre per le lesioni localizzate tra L1 e L3 l’unico discriminante è il tipo di lesione, dato che non ci sono significative differenze in base al livello della stessa, alla presenza di ventricolomegalia e alla presenza di piede torto. [88]

Alcuni studi, inoltre, sembrano dimostrare la possibilità che il difetto di chiusura del tubo neurale da solo non sia sufficiente a determinare difficoltà di deambulazione, ma che la persistenza stessa del difetto e la cronica esposizione del tessuto nervoso al liquor siano un secondo fattore determinante, che porta nel tempo al deterioramento del tessuto nervoso; questa assunzione pone quindi un razionale, seppur puramente teorico, all’intervento in

utero per la riparazione del difetto, che nella realtà invece ha dei risultati ancora incerti.

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1.3.1.3 Piede torto

Quasi tutti i pazienti affetti da spina bifida presenteranno problemi di deformità ai piedi, con varie manifestazioni possibili, che non solo condizionano l’aspetto esterno ma che concorrono a determinare i problemi di deambulazione di cui sopra; possono inoltre causare, in concomitanza al deficit sensoriale causato dall’alterazione del midollo, irritazioni cutanee che sfociano talvolta in vere e proprie ulcere da decubito. [90]

Nei pazienti con spina bifida, il piede torto è la deformità del piede più comune, con una prevalenza stimata del 30-50%. Molti fattori contribuiscono al suo sviluppo: il posizionamento intrauterino del piede contro la parete uterina, contratture e spasticità muscolari, disequilibri muscolari. Per esempio, in un paziente con un coinvolgimento lombare basso, il piede torto può svilupparsi per una mancata attività o per una contrattura del muscolo tibiale combinata ad un deficit funzionale del peroniero. In più, è stato visto che l’incidenza del piede torto varia con il livello neurologico della lesione, con un’incidenza del 90% circa in pazienti con lesione toracica o lombare e del 50% nei pazienti con lesione sacrale. [90]

Data la rigidità del piede torto, il trattamento tradizionale consiste in interventi chirurgici di rilassamento dei tessuti molli. Si pensava che metodiche non chirurgiche come ingessature seriate fossero raramente efficaci e che potessero portare a complicanze, prima tra tutte la recidiva; molti studi recenti hanno invece dimostrato l’efficacia a breve termine del metodo Ponseti, anche se tutt’ora mancano dati sul follow-up a lungo termine. [90, 91]

1.3.1.4 Stato intellettivo

Circa il 20-25% dei pazienti affetti da mielomeningocele presenta deficit intellettivi di vario grado, dovuti principalmente alla presenza di idrocefalia. [92] Secondo lo studio di Bowman et al. l’85% dei pazienti si era diplomato o laureato, il 45% era attivamente impiegato e il 10% lavorava come volontario. Solo il 15% viveva da solo. Altri studi inoltre confermavano un quoziente intellettivo nella norma in circa il 70% dei pazienti. [78] Lo studio di Masini et al. del 2006 rileva un deficit mentale lieve nell’8,2% dei casi, severo nel 2,1% dei casi, mentre nell’89,7% dei casi si registra un buon outcome intellettivo. [87]

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1.3.1.5 Continenza urinaria e intestinale

Negli studi di Bowman circa l’85% dei pazienti utilizzava il catetere ad intermittenza e di questi solo il 15% presentava continenza totale, mentre il 68% riferiva di rimanere asciutto per la maggior parte della giornata; inoltre, il 52% dei giovani adulti riferiva controllo intestinale per la quasi totalità della giornata, ed un altro 52% riferiva continenza sociale (definita come la capacità di rimanere asciutti e privi di odori senza l’utilizzo di un pannolone) al 100%. [86]

Molto importante è in genere la correlazione esistente tra spina bifida, in particolare mielomeningocele, e vescica neurologica, che si può manifestare in modi diversi a seconda della via nervosa interrotta dalla lesione. Se da una parte possono esserci problemi di incontinenza, come visto sopra, la vescica neurologica può causare anche problematiche di ritenzione urinaria, con un conseguente aumento della pressione all’interno delle vie urinarie e quindi un coinvolgimento delle vie urinarie superiori, che può andare dalla semplice pielectasia alla vera e propria idroureteronefrosi. Il coinvolgimento del tratto urinario superiore può avvenire già in epoca prenatale ed essere quindi visibile all’ecografia come pielectasia o idronefrosi appunto, oppure può svilupparsi in seguito, con tempistiche diverse a seconda dell’individuo. Uno degli obiettivi del management del paziente affetto da spina bifida è la correzione delle problematiche urologiche per prevenire lo sviluppo di insufficienza renale cronica. Diversamente da quanto osservato per i disturbi della deambulazione, non è stato possibile, per quanto riguarda la vescica neurologica, stabilire una diretta correlazione tra il livello dell’NTD e l’entità dei disturbi urologici. [93–96]

1.4 D

IAGNOSI

I difetti di chiusura del tubo neurale si riscontrano durante l’ecografia del secondo trimestre, con l’eccezione in alcuni casi dell’acrania/anencefalia, che recentemente è stata descritta già nel primo trimestre. L’ecografia del secondo trimestre è da effettuare, se l’obiettivo è l’individuazione di malformazioni maggiori, tra le 19 e le 21 settimane [97, 98]. La scansione standard richiede la misurazione/visualizzazione, tra gli altri, di:

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o Misura del diametro biparietale (BPD) e della circonferenza cranica (CC) (Figura 2);

o Misura dell’ampiezza del trigono ventricolare (Figura 2); o Misura del diametro trasverso del cervelletto (DTC) (Figura 3); o Visualizzazione cavo del setto pellucido (CSP);

o Visualizzazione della cisterna magna; o Visualizzazione delle orbite;

o Visualizzazione del labbro superiore. • Colonna vertebrale

o Scansione longitudinale della colonna (Figura 4).

Figura 2. Determinazione del DBP, della CC e del trigono ventricolare in un feto a 22 settimane di gestazione.

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Figura 4. Scansione longitudinale della colonna vertebrale in un feto a 21 settimane di gestazione.

Nei casi in cui insorga il sospetto di malformazione, è opportuno approfondire l’esame diagnostico tramite ecografia di secondo livello, esame effettuato su indicazione per gravidanza a rischio ed eseguito da un operatore molto esperto con una strumentazione di elevata tecnologia, finalizzato all'approfondimento diagnostico delle anomalie fetali, alla valutazione della crescita fetale endouterina, al controllo emodinamico materno-fetale mediante l'impiego della velocimetria doppler ed al monitoraggio della patologia ostetrica. Se la metodica transaddominale non riesce a visualizzare bene tutte le strutture necessarie, si può utilizzare la sonda transvaginale. [97]

Quando si vuole approfondire lo studio anatomico del feto è opportuno visualizzare i piani longitudinale, sagittale, coronale ed assiale. È importante anche localizzare il cono midollare, verificando che sia al di sopra del livello di L4 entro le 18 settimane di gestazione o di L3 tra le 19 e le 35, come da condizione fisiologica; in caso si trovi inferiormente a questo livello, si pone diagnosi di sindrome da ancoraggio midollare o tethered cord, anomalia ritrovabile a seconda della casistica fino al 100% dei casi. [27]

In caso di normalità sul piano sagittale si visualizza la colonna come formata da due linee iperecogene parallele che rappresentano i corpi vertebrali e gli archi vertebrali, che si restringono distalmente; a livello cervicale e lombare è presente una leggera lordosi, mentre a livello toracico una leggera cifosi. Il piano assiale mostra tre centri di ossificazione, uno per il corpo ed uno per ciascuna delle due masse laterali. Sul piano coronale gli

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elementi posteriori sono rappresentati da due linee ecogeniche che si allontanano a livello lombare per riavvicinarsi a livello sacrale. [27]

1.4.1 Spina bifida aperta

Ecograficamente, la spina bifida si manifesta con alcuni segni diretti a carico della colonna vertebrale [20]. La spina bifida aperta si presenta sul piano sagittale come un’interruzione degli archi vertebrali (Figura 5), che nel caso del mielomeningocele è accompagnata dalla protrusione attraverso di essa di una formazione cistica di dimensioni variabili, mobile nel liquido amniotico, delimitata da una membrana sottile o spessa a seconda che oltre alle meningi sia presente anche il piano cutaneo, che a sua volta può essere presente in ogni punto o solo parzialmente (Figura 6, Figura 7). All’interno della sacca in caso di mielomeningocele si può osservare una struttura iperecogena che è il placode che tende a protrudere, mentre il meningocele presenta protrusione delle sole meningi e si presenta come una sacca molto sottile costituita dalla sola aracnoide piena di liquor; in questo caso, il midollo spinale e le radici dei nervi si trovano all’interno del canale e sono di solito normali. Nei casi di sola mieloschisi il midollo è appiattito ed eventualmente accompagnato da una sottile membrana ma non da un vero e proprio sacco. È importante, in caso di mielomeningocele, determinarne le dimensioni per valutare la possibilità di correzione chirurgica. In scansione coronale si può osservare una dilatazione dello speco vertebrale, mentre in scansione assiale si nota di solito un’interruzione dell’arco posteriore con forma a U o V. [27], 99]

Si possono talvolta notare cifosi angolare a valle della lesione con perdita della lordosi lombare e anomala scoliosi della colonna. Quando si riscontra una scoliosi come complicanza del mielomeningocele, è opportuno se possibile stimarne qualitativamente la severità (lieve, moderata, grave), identificare ove possibile il segmento del rachide interessato e possibilmente anche il centro della curvatura; in alcuni casi si può misurare l’angolo di Cobb della curvatura tramite sezioni coronali, con gli stessi principi utilizzati in radiologia. Analoghi accorgimenti devono essere adottati anche in caso di cifosi. [27] In alcuni casi una possibile anomalia associata a MMC è la siringomielia, ossia la presenza di uno spazio a contenuto liquido nel contesto del midollo spinale. È di solito visibile sul

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piano coronale e in alcuni casi la visione sul piano trasverso può aumentare la certezza della diagnosi. [27]

Figura 5. Spina bifida in feto a 18 settimane di gestazione.

Figura 6. Spina bifida toraco-lombare con mielomeningocele in feto a 18 settimane di gravidanza.

Figura 7. Spina bifida lombo-sacrale con mielomeningocele in feto a 18 settimane di gestazione.

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1.4.2 Acrania/anencefalia

L’acrania/anencefalia ha una prevalenza di circa il 50% tra le NTD. La diagnosi in questo caso è possibile fin dal primo trimestre [100] e si basa sul mancato riscontro delle ossa craniche, che sono normalmente visibili a partire dalla 10a settimana di gestazione come

strutture francamente iperecogene rispetto al contenuto cranico. Nel I trimestre il quadro ecografico tipico è l’acrania, con appunto assenza delle ossa del neurocranio e protrusione di tessuto encefalico anomalo (Figura 8), mentre nel II e III trimestre è più tipica l’anencefalia, in cui la presenza delle orbite, di diametro normale, genera il tipico aspetto “a rana” dell’estremo cefalico. [20, 101, 102]

Figura 8. Acrania in feto a 12 settimane.

1.4.3 Encefalocele

La diagnosi di encefalocele si basa sulla visualizzazione di una formazione cistica a contenuto fluido o complesso, di dimensioni variabili, che protrude attraverso un difetto osseo cranico, anche di piccole dimensioni; l’anomalia, nel complesso, è di solito coperta da cute (Figura 9). Si può presentare all’interno di quadri sindromici (Figura 10), oppure possono esserci associate microcefalia, idrocefalia o distorsione della normale anatomia endocranica. [20]

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Figura 9. Encefalocele occipitale in feto a 24 settimane di gestazione.

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1.5 NTD:

UNA DIAGNOSI NON SEMPLICE

La diagnosi dei difetti di chiusura del tubo neurale non è sempre semplice come potrebbe sembrare e richiede particolari attenzioni ed accorgimenti da parte dell’operatore.

Per l’acrania/anencefalia, come precedentemente menzionato, il quadro ha una tipica evoluzione nel tempo, presentandosi come acrania o exencefalia nel primo trimestre e come anencefalia nel secondo. [101] Le strutture della teca cranica iniziano ad ossificarsi a partire dalla 10a settimana di gestazione [1] e, quando questo non avviene, si configura il

quadro dell’acrania, che nel primo trimestre della gravidanza risulta prevalente. Il tessuto cerebrale, a diretto contatto con il liquido amniotico, tende quindi a regredire fino a scomparire del tutto, configurando quindi il quadro patognomico dell’anencefalia. [103] La diagnosi di acrania nel primo trimestre viene posta tramite la mancata visualizzazione del profilo iperecogeno della volta cranica, che quindi risulta impossibile precedentemente alle 10 settimane, essendo in questo periodo fisiologicamente assente materiale osseo; insieme all’assenza della calotta cranica si può osservare al di sopra delle orbite una massa di tessuto cerebrale che, all’esame col color Doppler, mostra una ricca vascolarizzazione. La difficoltà della diagnosi risiede nel fatto che sia possibile, in questo periodo, confondere la massa encefalica fluttuante nel liquido amniotico con un estremo cefalico normale, specialmente tramite l’utilizzo della metodica transaddominale; questa evenienza può risultare in una mancata diagnosi dell’anomalia. A partire dalle 13-14 settimane di gravidanza diventa invece possibile osservare il tipico aspetto “a rana” o a “Mickey-Mouse”, che rende più agevole l’identificazione dell’anomalia. [103, 102, 104]

Per quanto riguarda il meningo/encefalocele invece la difficoltà nella diagnosi risiede innanzitutto nella visualizzazione del difetto stesso. Essendo questa anomalia dovuta ad un difetto della teca cranica, la sua comparsa è successiva all’inizio dell’ossificazione della teca cranica e quindi la diagnosi è impossibile prima delle 11 settimane. Successivamente, anche con la prosecuzione della gravidanza, le dimensioni del difetto sono estremamente variabili tra i vari casi e, qualora questo fosse estremamente piccolo, è possibile non visualizzare la meninge erniata e confondere il difetto osseo con le normali strutture craniche. In caso di coppie a rischio per sindromi in cui si può presentare il meningo/encefalocele la diagnosi può essere resa più agevole tramite l’identificazione delle anomalie associate; ad esempio,

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