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Valore prognostico e predittivo della risposta alla terapia della 18F-FDG PET/TC in pazienti con sarcoma osseo: esperienza della UO Oncoematologia Pediatrica AOUP

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

CORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA

Valore prognostico e predittivo della risposta alla terapia della 18F-FDG PET/TC in pazienti con sarcoma osseo: esperienza della UO Oncoematologia Pediatrica AOUP

RELATORE Dott. Luca Coccoli CANDIDATO

Tommaso Lupi

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2 INDICE ABSTRACT 4 PRIMA PARTE 7 INTRODUZIONE OSTEOSARCOMA 7 Epidemiologia 8

Patogenesi , basi genetiche e molecolari 9

Anatomia patologica 12

Presentazione clinica, diagnosi e stadiazione 19

Trattamento multimodale 25 Chemioterapia 25 Chirurgia 29 Radioterapia 31 Direzioni future 31 Follow up 33 Fattori prognostici 34

INTRODUZIONE SARCOMA DI EWING 36

Epidemiologia 37

Patogenesi, basi genetiche e molecolari 38

Anatomia patologica 40

Presentazione clinica, diagnosi e stadiazione 42

Trattamento multimodale 48

Follow up 52

Fattori prognostici 54

LA PET-TC NEL PAZIENTE CON OSTEOSARCOMA E SARCOMA DI EWING 56

Misure semiquantitative utilizzate con la PET 57

Ruolo della PET-TC nel paziente con sarcoma osseo 57

PET e criteri di risposta (Percist) 58

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PET-RMN come possibile alternativa alla PET-TC 59

PET-TC e recidiva di malattia 63

PET-TC e profilo biologico della neoplasia 64

PET-TC come strumento in grado di predire outcome e sopravvivenza 65

PET-TC, risposta alla chemioterapia neoadiuvante e sopravvivenza 65

PET-TC correlata alla risposta istologica (necrosi tumorale) 67

SECONDA PARTE 73

INTRODUZIONE ALLO STUDIO 73

SCOPI DELO STUDIO 73

MATERIALI E METODI 74

Individuazione e caratterizzazione della coorte 74

Interpretazione delle immagini alla FDG-PET-TC 75

Chemioterapia neoadiuvante e chirurgia 75

Analisi statistica 76

RISULTATI 77

Caratteri dei pazienti 77

Discussione 80

Conclusioni 93

BIBLIOGRAFIA 94

INDICE DELLE FIGURE 111

INDICE DELLA TABELLE 112

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4 ABSTRACT

SCOPI DELLO STUDIO

Questo studio ha avuto come scopo principale quello di valutare il valore predittivo e prognostico, inteso come risposta istologica e sopravvivenza, di indici quantitativi derivati dalla FDG-PET-TC, eseguita in tre fasi, ovvero basalmente (tempo t0), successivamente alla chemioterapia neoadiuvante precedente la chirurgia (tempo t1), e infine successivamente al termine del protocollo chemioterapico adiuvante (tempo t2), in una popolazione di pazienti pediatrici e giovani adulti affetti da OS o SE.

E’ stata valutata l’utilità del parametro SUVmax (Standardized Uptake Value corrispondente al valore di massima captazione del tracciante all’ interno della regione di interesse) e di un suo cut-off quale indice predittivo di risposta istologica in pazienti con OS e SE.

Inoltre è stata valutata la relazione tra le variazioni di SUVmax nel tempo e la OS e EFS, oltre alla relazione tra istotipo istologico in pazienti con OS e loro outcome.

Infine è stata analizzata la relazione tra le variazioni di SUVmax ai vari tempi e quelle di LDH, nonché tra la variazione del diametro maggiore della lesione principale alla Tc ed i livelli di necrosi tumorale.

METODI E PAZIENTI

Sono stati inclusi nello studio 41 pazienti affetti da OS o SE trattati presso la UO di Oncoematologia Pediatrica della AOUP, numero più elevato rispetto alla media dei casi inclusi in altri studi monocentrici sull’Osteosarcoma e/o Sarcoma di Ewing.

Tutti i pazienti sono stati trattati con chemioterapia neoadiuvante e sottoposti a chirurgia per il controllo locale, a meno di controindicazioni o di pazienti che non abbiano ancora finito il protocollo chemioterapico neoadiuvante. Tutti i pazienti hanno eseguito la FDG-PET-TC alla diagnosi, dopo il termine del trattamento chemioterapico neoadiuvante precedente la chirurgia, e infine dopo circa un mese dal termine della chemioterapia adiuvante. Inoltre lo stesso esame è stato eseguito periodicamente anche successivamente come parte integrante del follow up del paziente per l’identificazione precoce di una eventuale recidiva o progressione di malattia. Il parametro considerato è stato quello del SUVmax, che è stato valutato sia per la lesione principale sia per lo sconfinamento della malattia nei tessuti molli. I risultati sono stati poi confrontati con la risposta

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istopatologica della neoplasia resecata e con il follow up del paziente per la valutazione della sopravvivenza.

RISULTATI

I pazienti sono stati suddivisi in responders (necrosi tumorale >90%) e non responders (necrosi tumorale < 90%). Dallo studio è emersa una correlazione positiva statisticamente significativa tra i livelli di necrosi tumorale al pezzo operatorio e le variazioni di SUVmax ai tempi t0 e t1, e ai tempi t0 e t2: maggiore è la riduzione dei valori di SUvmax nel tempo (paziente responsivo alla terapia), tanto maggiore è la possibilità di poter identificare tale paziente come responder (TN> 90%). A supporto di ciò, è stata anche riscontrata una correlazione tra i livelli di necrosi e le variazione dei valori di SUVmax a livello dei tessuti molli adiacenti alla lesione primaria: in coloro che hanno mostrato una riduzione dei valori di SUVmax nel tempo, la necrosi tumorale media è risultata dell’ 85-90%, mentre appena del 55-60% in coloro che non hanno mostrato riduzioni del SUVmax. Appurata la relazione tra SUVmax e livelli di necrosi, è stato individuato il cutoff di delta-SUVmax (esprimente la riduzione assoluta in termini quantitativi dei livelli di delta-SUVmax durante il protocollo terapeutico) migliore in termini di sensibilità e specificità in grado di predire un paziente come responder (TN>90%). Questo è risultato essere di 4,7 in valore assoluto e del 63% in valore percentuale, per le variazioni di SUVmax tra i tempi t0 e t1 con una sensibilità dell’ 80% e specificità del 78%, e invece di 7,5 per le variazioni dei valori ai tempi t0 e t2, con una sensibilità del 77% e specificità del 72%.

Data la relazione tra delta-SUVmax e necrosi, è stata quindi dimostrata anche l’ associazione tra la variazione dei livelli di SUVmax nel tempo e la variazione dei livelli di LDH (latticodeidrogenasi, la quale a sua volta correla con i livelli di necrosi).

Nello studio è stato visto che non solo la necrosi correla con i dati PET, ma anche con quelli della TC, e che la variazione del diametro maggiore della lesione visualizzabile ai vari tempi con la TC risulta essere una variabile con valore diagnostico di paziente responder o meno.

È stata condotta un’analisi di sopravvivenza globale (OS) e libera da eventi (EFS), inizialmente considerando tutti i pazienti, e successivamente considerando ciascuna sottopopolazione; quindi è stato valutato se la variazione dei valori di SUV nel tempo è in grado di predire l’outcome di questi pazienti (inteso come Os e EFS): nonostante non sia stata raggiunta la significatività, i tempi medi di

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Os e EFS sono risultati ben diversi nei pazienti responders e non-responders, nei quali i tempi medi sono risultati essere quasi la metà di quelli dei pazienti responder.

Infine è stato confermato l’impatto che i livelli di necrosi tumorale al pezzo operatorio hanno sulla EFS, e l’impatto che hanno i diversi sottotipi istologici di osteosarcoma sulla Os e EFS.

CONCLUSIONI

In questo studio è stata dimostrata una correlazione significativa tra le variazioni di SUVmax alla PET e l’entità della necrosi del pezzo operatorio.

Il delta-SUVmax si propone quindi con questo studio di poter essere preso in considerazione per stratificare i pazienti che non possono andare incontro alla chirurgia (e che quindi non avranno la necrosi valutabile) in good e poor responder a seconda del cutoff individuato.

In particolare, nei pazienti con SE localizzato (EW1) la variazione dei valori di SUVmax ai tempi t0 e t1 può essere aggiunta alla scomparsa dell’interessamento dei tessuti molli alla TC, quale parametro predittore di paziente good e poor-responder.

Nel paziente rispondente alla chemioterapia si ha una sostanziale riduzione del SUVmax nel tempo, e in particolare sono stati individuati i cutoff assoluto (4,7) e percentuale (63%) per le variazioni dei valori di SUVmax tra i tempi t0 e t1, e quello assoluto (7,5) per le variazioni tra i tempi t0 e t2, che con elevata sensibilità e specificità predicono un paziente come rispondente o meno al protocollo terapeutico.

Anche le variazioni dimensionali della lesione visualizzabili nel tempo con la TC correlano con i livelli di necrosi.

Sebbene non raggiunga la significatività, l’entità della variazione dei livelli di SUV (che a sua volta predice un paziente come responder o meno) ha un impatto evidente sulla sopravvivenza media di pazienti responder e non.

Infine è stato confermato l’impatto dei livelli di necrosi tumorale sulla EFS, e quello che hanno i diversi sottotipi istologici di osteosarcoma sulla EFS.

Questo studio è risultato più numeroso rispetto a quelli monocentrici condotti sui sarcomi ossei; ciò nonostante saranno eseguiti studi ulteriori più numerosi.

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INTRODUZIONE

L’OSTEOSARCOMA

L’osteosarcoma (OS) è un tumore mesenchimale raro ad elevata malignità, scarsamente differenziato e con alto potenziale metastatico. E’ costituito da cellule maligne che producono una matrice osteoide e ossea. Esso rappresenta il tumore maligno più frequente nell’apparato scheletrico(1)(2).L’incidenza dei tumori primitivi dell’osso in Italia si attesta intorno allo 0.8-1% dei casi per 100.000 abitanti, ciò significa che si verificano circa 500 nuovi casi di tumori maligni primitivi dell’osso per anno. Tra questi la percentuale degli osteosarcomi è attorno al 20-25%, quindi si suppongono circa 100 nuovi casi l’anno. L’osteosarcoma colpisce maggiormente i giovani, con un’età media di 19 anni. Può colpire tutti i segmenti ossei: le ossa lunghe vengono colpite nel 90% dei casi, le ossa del ginocchio nel 50% , mentre la regione metafisaria del femore distale e della tibia prossimale rappresentano la sede di elezione in circa il 10% dei casi. L’ OS può interessare anche le diafisi delle ossa lunghe, benchè in questa sede insorgano generalmente varianti non convenzionali(3). L’OS comprende diverse varianti a basso, intermedio ed alto grado di malignità, ma quella che ricorre più frequentemente è la forma centrale ad alto grado di malignità, che costituisce circa l’80% di tutti i casi di OS.

Si evidenziano lesioni metastatiche in circa il 20% dei casi, più spesso a livello polmonare e più raramente a livello osseo. L’incidenza di metastasi è ipotizzabile intorno all’85%, come si deduce dalle percentuali di guarigione riportate con il solo trattamento chirurgico come avveniva in era pre-chemioterapica. Dal punto di vista terapeutico, l’OS mostra una elevata sensibilità ai trattamenti integrati chemioterapico, chirurgico e radioterapico, pertanto un approccio multidisciplinare qualificato è indispensabile ed ha significativamente migliorato la prognosi, facendo registrare negli ultimi venti anni un aumento della sopravvivenza a 5 anni da meno del 15% a circa il 60-75% attuale(4).

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EPIDEMIOLOGIA

Figura 1. Incidenza di OS nei due sessi, nelle varie fasce di età e nei diversi segmenti scheletrici (1610

casi) dei casi presentatisi tra il 1900 e il 2000 all’Istituto ortopedico Rizzoli.

L’OS è la neoplasia più comune dell’osso nei primi due decenni di vita, dove rappresenta circa il 60% di tutte le neoplasie primitive dell’osso. Ha una frequenza doppia rispetto al Sarcoma di Ewing (SE), e i maschi sono più colpiti rispetto alle femmine con un rapporto M:F=1.5=1. L’osteosarcoma rappresenta lo 0.2% di tutti i tumori maligni, l’incidenza annua è di circa 2-3 casi su un milione di persone, con circa 100 nuovi casi l’anno in Italia. L’età di insorgenza è compresa in oltre il 90% dei casi tra i 5 e i 25 anni, è rara sotto i 3 anni e sopra i 50 anni, quando può essere associata ad altre patologie dell’osso quali le malattie di Paget, la Displasia fibrosa poliostotica, le esostosi osteogeniche della malattia di Ollier. Il picco di frequenza si verifica nel secondo decennio, quando è maggiore la fase di accrescimento dell’osso tanto da suggerire una correlazione tra comparsa delle neoplasia e rapido sviluppo scheletrico della fase puberale, rilievo avvalorato dal fatto che i pazienti con osteosarcoma sono più alti dei loro coetanei, dal fatto che le femmine sono più colpite in età precoce rispetto ai maschi per il loro più precoce sviluppo scheletrico, e dal fatto che la sede metafisaria più colpita corrisponde a quella delle ossa a più rapido accrescimento adolescenziale, ovvero femore distale e tibia prossimale.

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PATOGENESI-BASI GENETICHE E MOLECOLARI

I sarcomi sono un gruppo eterogeneo di neoplasie maligne che derivano dai tessuti mesenchimali (osso, muscolo, cartilagine). A differenza dei carcinomi, tumori di origine epiteliale che generalmente insorgono in età più avanzata come risultato finale di una lunga progressione di lesioni preneoplastiche che si accumulano ed acquisiscono mutazioni molecolari nel tempo (cancerogenesi multistep), i sarcomi compaiono di solito in pazienti pediatrici e giovani adulti, e le cause responsabili della loro insorgenza sono per lo più sconosciute.

La motivazione dell’ insorgenza in età adolescenziale e la comparsa del tumore nella maggior parte dei pazienti in coincidenza con il periodo di massimo accrescimento osseo, si può individuare nell’aumentata attività osteoblastica e osteogenetica, un fattore predisponente all’insorgenza della neoplasia.

L’unica reazione certa di causa-effetto esiste per l’esposizione a radiazioni: una precedente e prolungata esposizione a radiazioni in seguito a radioterapia per altre forme tumorali è infatti responsabile dell’insorgenza del 4% degli OS, con un aumento del rischio di comparsa circa 2000 volte maggiore rispetto a quello della popolazione generale.

Oltre alle radiazioni, l’altro fattore per il quale sia stato accertato un coinvolgimento sicuro nell’insorgenza dell’OS sono le anomalie genetiche specifiche a carico di geni oncosoppressori, tra cui il gene P53. Infatti, nei pazienti affetti da OS, mutazioni o delezioni parziali o complete del gene P53 sono state rilevate nel 30-50% dei casi(5). Inoltre, mutazioni del gene P53, sono state associate alla sindrome di Li Fraumeni, la quale è caratterizzata da un’elevata incidenza di diversi tumori, tra cui anche l’OS. Altro fattore genetico predisponente all’insorgenza della neoplasia è la delezione del gene oncosoppressore del retinoblastoma (gene RB1), la cui perdita parziale o completa del gene è responsabile dell’insorgenza del retinoblastoma, tumore della retina che insorge in età infantile. I pazienti affetti da retinoblastoma ereditario, con entrambi i 2 alleli del gene RB1 mutati, presentano un rischio di sviluppare OS in età adolescenziale circa 500 volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Inoltre la delezione completa o parziale del gene RB1 è stata ritrovata il circa il 60% degli OS, confermando che questa anomalia generica sia fattore predisponente all’insorgenza, non solo del retinoblastoma, ma che di buona parte degli OS(6)( 7) (8).

Molteplici evidenze indicano come l’alterazione combinata di P53 e RB1 siano un evento chiave per la trasformazione neoplastica(9).

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Sono state infatti rilevate in pazienti con OS che avevano avuto un retinoblastoma in età infantile, delezioni a carico delle regioni cromosomiche 17p13 e 13p14, dove sono rispettivamente localizzati i geni P53 e RB1. Di queste però soltanto l’alterazione del gene RB1 era presente anche nelle cellule del retinoblastoma. In base a queste evidenze oggi si ritiene che la mutazione o inattivazione del gene RB1 possa agire come evento iniziante della trasformazione di una cellula in senso osteosarcomatoso, mentre la successiva alterazione del gene P53 determinerebbe la malignità delle cellule neoplastiche. La maggior parte degli OS è caratterizzata da una serie di anomalie cromosomiche estremamente complesse e da una elevata eterogeneità intra ed inter-tumorale, associata ad alterazioni anche piuttosto rilevanti della struttura e numero dei cromosomi. Gli OS parostali, lesioni a basso grado di malignità, hanno invece un cariotipo poco complesso, con cromosomi ad anello contenenti sequenze amplificate del cromosoma 12, insieme ad altre aberrazioni cromosomiche. Le sequenze amplificate del cromosoma 12 includono regioni in cui sono localizzati geni CDK4 (che inattivano il gene RB1) e MDM2 (che lega e inattiva il gene PS3), SAS, e GLI (funzione non nota)(10). L’ amplificazione di questi geni non è esclusiva degli OS parostali, ma è presente anche in molti OS ad alto grado e in lesioni metastatiche. Questo indica l’importanza di questi geni nella patogenesi dell’OS, mentre è ancora in discussione il loro ruolo nelle progressione del tumore(11)(12). Inoltre l’OS acquisirebbe un fenotipo più maligno in presenza di co-amplificazione delle regioni cromosomiche 12p e 12q.

Oltre a quelle finora descritte, molte altre regioni cromosomiche sono risultate frequentemente amplificate nell’OS, e tra queste alcune sono associate ad un diverso comportamento clinico della malattia. Da ciò ne risulta possibile un loro valore prognostico: ad esempio gli OS ad alto grado con amplificazione delle regioni 1Q e 8Q, presentano un decorso clinico sfavorevole, e ciò avvalora l’ ipotesi che questi geni non siano implicati soltanto nella patogenesi, ma anche nella progressione e quindi associati ad una diversa prognosi. In questi casi infatti si assisterebbe ad una neoplasia con una maggiore aggressività biologica e con un più elevato potenziale metastatico(45)(46)(47). Tra gli altri geni che risultano frequentemente sovraespressi e/o amplificati e che sembrano giocare un ruolo rilevante nella patogenesi dell’ OS di alto gardo, si possono ricordare HSP90β (Heat Shock Protein 90β) ed ErbB2 (Avian erythroblastosis oncogene B2)(48). Nell’ OS di alto grado, diverse regioni cromosomiche risultano spesso delete e, per questa ragione, vengono considerate potenzialmente sedi di oncosoppressori(49). Tra queste è interessante sottolineare la presenza di delezione a carico della regione 13q, comprendente il locus del gene

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RB1(13q14). Altri geni sottoespressi o deleti sono FMOD (gene della fibromodulina) e FGFR4 (recettore del fattore di crescita dei fibroblasti di tipo 4).

Negli ultimi anni molti studi hanno dimostrato come la proteina trasportatrice ABCB1(ATP binding cassette B1), anche nominata MDR1(Multi-Drug Reactivity 1) o GPG(Glicoporoteina P), rivesta un ruolo importante nella resistenza agli agenti chemioterapici e nella risposta al trattamento nei pazienti con OS di alto grado(50-54). Di conseguenza, utilizzare farmaci che siano in grado di inibire questo trasportatore sembra essere un’ opzione terapeutica interessante per poter migliorare la risposta al trattamento nei pazienti con OS scarsamente o non responsivi ai regimi convenzionali(55).

Uno studio recente afferma il ruolo in questo tumore della down-regolazione del gene ADAMTS3 (SP1 mediata), responsabile della mutazione del collagene tipo 2, principale componente di osso e cartilagine. La proteina SP1 aumenta l’ espressione del collagene tipo 2 e 3 e riduce l’espressione dei livelli di collagene tipo 1, oltre a downregolare l’espressione del gene ADAMTS3. Questa proteina potrebbe quindi rivestire un ruolo importante nella patogenesi dell’OS(13).

Un altro studio ha valutato l’espressione del gene FTL (Ferritin light chain) in pazienti con OS per valutare la sua utilità nella diagnosi e terapia dell’OS. Ne è emerso che FTL è presente a livelli più ridotti nell’OS rispetto ad altri tessuti, e sembra inoltre correlare con metastatizzazione, sopravvivenza e risposta al trattamento, e potrebbe inoltre rappresentare un valido target tumorale da inibire con la TP farmacolitica (14). Un ruolo nella patogenesi è da attribuire anche all’utilizzo di agenti alchilanti (antineoplastici) e alla presenza di alcune condizioni quali Sindrome di Bloom, Sindrome di Li Fraumeni, M. Paget, Retinoblastoma ereditario, Sindrome di Werner, Sindrome di Rothmund Thomson, Anemia di Diamond Black Fan.

ANATOMIA PATOLOGICA

L’osteosarcoma è un tumore maligno primitivo dell’osso ad istogenesi mesenchimale, caratterizzato dalla produzione di matrice osteoide ed ossea. Si possono identificare diversi sottotipi in funzione delle caratteristiche cliniche, radiografiche e microscopiche(14). Ciò è importante perché questi sottotipi hanno rilevanza prognostica.

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Figura 2: Casi di OS nel periodo 1900-2012. Istituto Ortopedico Rizzoli - Laboratorio di Oncologia Sperimentale - Sezione di Epidemiologia - Bologna – Italia.

1)OSTEOSARCOMA CENTRALE O INTRAMIDOLLARE O CLASSICO

Essa è una neoplasia ad alto grado di malignità, che si sviluppa prevalentemente alle metafisi delle ossa lunghe di adolescenti e giovani adulti. I maschi sono più colpiti (rapporto M:F=1.5:1).(58-61) Nella maggior parte dei casi insorgono tra i 10 e i 20 anni di età e raramente in soggetti di età inferiore ai 5 anni. Le metafisi di femore distale e tibia prossimale sono la sede di elezione(15); nel 10% dei casi sono interessate le diafisi delle ossa lunghe, anche se in questi casi insorgono più spesso varianti non convenzionali. Gli OS classici che insorgono negli adulti di solito sono secondari a malattia di Paget, radiazioni, condrosarcoma, o ad altri tumori primitivi dell’osso, oppure idiopatici.Il sintomo di esordio è il più delle volte il dolore, spesso riferito ad un trauma, che peggiora nel corso di poche settimane e si accompagna alla comparsa di una tumefazione. Più tardivamente possono comparire febbre e limitazione funzionale dell’articolazione coinvolta. Le forme osteolitiche possono comportare

Classico, 2555, 76% Teleangectasico, 205, 6% Parostale; 162; 5% Secondario, 146, 4% Centrale basso-grado, 88, 3% Periostale; 48; 1% Alto grado superficiale, 46, 1% Parostale dedifferenziato; 39; 1% OS della mandibola, 36, 1% A piccole cellule, 25, 1% Multicentrico, 15, 1% Intracorticale, 2, 0%

Osteosarcomi (3367 casi)

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una frattura patologica. La fosfatasi alcalina è frequentemente elevata, la lattato deidrogenasi qualche volta. Gli aspetti radiografici sono variabili: nella maggior parte dei casi la lesione appare come un’ area mista litico-addensante dell’ osso, con estensione ai tessuti molli limitrofi. Macroscopicamente l’ OS si presenta come una grande massa che sostituisce sub-totalmente la midollare metafisaria. La consistenza è variabile, da soffice a duro-lignea a seconda della quantità di osteoide e di osso prodotta dalla neoplasia. L’OS tradizionale è un sarcoma a cellule fusate ad elevato grado di malignità che produce matrice osteoide. Tuttavia tre varianti istologiche sono state descritte in base all’ aspetto predominante della matrice: osteoblastico, fibroblastico e condroblastico, di cui la variante osteoblastica è la più frequente e rappresenta il 50% degli osteosarcomi convenzionali: le cellule possono presentare un aspetto fusato, oppure epitelioide oltre a presentare un grado significativo di atipia citologica. La produzione di matrice osteoide è in genere abbondante ed essa tende ad intrappolare le cellule neoplastiche. Nel 25% dei casi si ha un istotipo fibroblastico, in cui la produzione di matrice può essere estremamente ridotta, con prevalenza della componente a cellule fusate , simil-fibrosarcomatosa. Infine nel 25% dei casi si ha un istotipo condroblastico, con una importante componente condroide di aspetto maligno, simile a quella del condrosarcoma, ed in genere attorno ai lobuli cartilaginei è presente una componente cartilaginea a cellule fusate con produzione di matrice osteoide.

Talora, la presenza di cellule giganti simil-osteoclasti può mascherare un OS classico, tanto da far indirizzare il patologo verso la diagnosi di un tumore a cellule giganti, ma una lesione a cellule giganti dell’osso in regione metafisaria di un soggetto giovane deve far sospettare un OS classico(62). La presenza di metastasi a distanza è un evento frequente e la sede preferenziale è il polmone. Gli aspetti morfologici più frequentemente osservati in un OS chemiotrattato variano dalla fibrosi, alla sclerosi, alla necrosi; molti studi dimostrano che se la necrosi tumorale è superiore al 90%, la prognosi è eccellente(63) (64) .

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Figura 2. Anatomia patologica microscopica dell’OS. Sono visibili numerose cellule grandi,

estremamente pleomorfe. I nuclei, ipercromici, presentano evidenti nucleoli e frequenti figure mitotiche atipiche. In meno del 10% dei casi il grado di anaplasia può essere basso, tanto da porre problemi di diagnosi differenziale con neoplasie benigne come l’osteoblastoma. La matrice è variabile; in ogni caso non sono presenti le normali trabecole. Possono infine essere presenti aree necrotiche e variamente vascolarizzate.

2) OSTEOSARCOMA TELENGECTASICO:

Rappresenta circa il 6% di tutti gli OS ed è un sarcoma completamente osteolitico, con una struttura spugnosa riempita di sangue ed un’osteogenesi immatura e insufficiente. Il sesso, l’età e le localizzazioni interessate sono le stesse dell’OS classico(65-69). Fu denominato aneurisma maligno dell’osso da Ewing nel 1922. Clinicamente il tumore ha un decorso aggressivo: si presenta come una massa molle espansiva, soffice e dolorabile alla palpazione, con aumento della temperatura locale. Non è comune riscontrare fratture patologiche.

Esso è definito da 3 criteri(16-18):

a) lesione puramente litica che simula una cisti ossea aneurismatica (aspetto radiologico).

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b) lesione cistica suddivisa da setti, che contengono cellule maligne (aspetto microscopico).

c) larga cavità contenente sangue, suddivisa da sottili setti fibrosi (aspetto macroscopico).

Sedi e distribuzione delle metastasi sono simili a quelle dell’ OS convenzionale. Il trattamento chemioterapico ha stabilmente migliorato la prognosi, forse per la ricca vascolarizzazione di questa neoplasia, che favorirebbe una buona penetrazione del farmaco.

Figura 4 Immagini radiografiche degli OS classico (A), teleangectasico (B), multicentrico (C).

3)OSTEOSARCOMA CENTRALE A BASSO GRADO DI MALIGNITA’

Esso presenta una istologia simile a quella della displasia fibrosa; rappresenta soltanto il 2% degli OS. Oltre alle classiche sedi di insorgenza, esso può anche insorgere a livello delle ossa piatte (15%) o alle ossa di mano e piede (4%). L’aspetto radiografico è molto variabile: in genere si presenta come una alterazione strutturale mista osteolitica ed osteoaddensante, con frequente estensione nei tessuti molli extraossei. In altri casi l’ aspetto radiografico può simulare quello di lesioni benigne, come la displasia fibrosa. L’aspetto macroscopico è variabile in relazione alla quantità di matrice osteoide

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neodeposta. L’aspetto istologico è simile a quello della displasia fibrosa: elementi fusati sono dispersi in una abbondante matrice extracellulare ricca in collagene; spesso le atipie sono molto lievi ed anche l’ indice mitotico è basso, con rare mitosi atipiche, che ne rendono difficoltosa la diagnosi differenziale con la displasia fibrosa. Aspetti che permettono la distinzione sono la permeatività nei confronti dell’ osso perilesionale e l’eventuale infiltrazione della corticale ossea con l’ estensione nei tessuti molli.

4)L’ OSTEOSARCOMA PAROSTALE origina a livello della superficie dell’osso ed è caratterizzato da una abbondante produzione di osso denso e da un basso grado di anaplasia (G1 o G2)(82). La progressione di malignità può verificarsi nel 10% dei casi, in particolare in quelli con ripetizioni multiple o scambiati precedentemente per tumori ossei benigni(83) . Clinicamente è un tumore asintomatico o poco doloroso; si presenta come una massa ossea dura, fissa, palpabile spesso con limitazione funzionale dell’articolazione prossima alla lesione. La durata dei sintomi può essere di alcuni anni. Non è infrequente vedere pazienti che sono stati sottoposti a più interventi chirurgici e che poi ripresentano recidiva locale(84) (85). L’aspetto radiografico è quello di un tumore densamente mineralizzato, a margini lobulati, disposto sulla superfice ossea, senza evidenza di continuità con l’osso midollare sottostante. All’esame microscopico, l’OS parostale appare come una grossa massa sessile, più raramente peduncolata, e spesso presenta un rivestimento cartilagineo. Qualsiasi area di consistenza molle deve essere campionata al fine di escludere un OS ad alto grado della superficie dell’osso. Istologicamente l’OS parostale è una neoplasia a basso grado, caratterizzata da una proliferazione fusocellulare ipocellulata con rare atipie citologiche a bassa attività mitotica. La deposizione di matrice avviene sottoforma di trabecole variamente mineralizzate. In più del 50% dei casi sono presenti isole di cartilagine neoplastica, disposte a formare una cuffia periferica. La diagnosi differenziale include l’osteocondroma e la miosite ossificante. Il trattamento d’elezione è costituito dall’ampia resezione segmentaria dell’osso coinvolto e si associa ad una sopravvivenza dell’80% a 10 anni. Il rischio di metastasi a distanza, in genere al polmone, è correlato con la dedifferenziazione della neoplasia(86).

Altri sottotipi meno frequenti sono:

5) OS DELLA SUPERFICIE DELL’ OSSO: a differenza degli altri OS, questi insorgono sulla superficie del segmento osseo e possono in un secondo tempo infiltrare la corticale e la spongiosa ossea dall’ esterno.

6) OS SU MALATTIA DI PAGET, la quale costituisce la causa predisponente all’ insorgenza dell’ OS (incidenza pari all’ 1% in pazienti con malattia di Paget); l’ aspetto

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istologico è quello di un sarcoma ad alto grado di malignità, morfologicamente simile ad un osteosarcoma associato alle aree costituite da osso con struttura “a mosaico” pagetico. La prognosi in questo caso è estremamente sfavorevole con sopravvivenza a 5 anni inferiore al 10%.

7) OS SECONDARIO A LESIONI PREESISTENTI, quali Osteogenesi imperfecta, Osteopetrosi, Mieloreostosi, Osteopoichilosi, Osteomielite, M.Paget, Displasia Fibrosa, radiazioni pregresse (70-74). Molti di questi tumori insorgono in età avanzata. Il trattamento è identico a quello dell’ OS usuale, eccetto per il fatto che l’età del paziente può essere una controindicazione all’uso della stessa chemioterapia utilizzata nei giovani. La prognosi di questi tumori è generalmente peggiore rispetto a quella dei primitivi, dato che la scarsa risposta alla chemioterapia e l’età avanzata dei pazienti rappresentano fattori sfavorevoli.

8) OS DELLE OSSA MASCELLARI: mostrano caratteri peculiari, quali l’insorgenza in età più avanzata (prevale nella terza e quarta decade di vita). Tuttavia in questi pazienti la prognosi è sorprendentemente buona, con una sopravvivenza a 5 anni dell’ 80%. 9) OS IN CONDROSARCOMA DEDIFFERENZIATO

10) OS MULTICENTRICO 11) OS POST-IRRADIAZIONE

12) OS RICCO IN CELLULE GIGANTI

13) OS A PICCOLE CELLULE: questo è un tumore composto da piccole cellule, simile al sarcoma di Ewing, ma che produce matrice ossea(75-77) e rappresenta una variante rara (1–2% di tutti gli OS). L’epidemiologia, la presentazione clinica, l’imaging e la prognosi non sono significativamente differenti da quelle dell’OS convenzionale. Questo tumore risponde meglio al protocollo terapeutico utilizzato nel trattamento dei sarcomi di Ewing(78-81).

14) L’OS PERIOSTALE è un OS prevalentemente condroblastico, di malignità intermedia, che origina dal periostio solitamente nella diafisi delle ossa lunghe. Rappresenta l’1–2% di tutti gli OS. Ha preferenza per il sesso maschile ed insorge soprattutto nella seconda decade di vita. Le ossa più colpite sono tibia e femore, meno frequentemente lo riscontriamo a livello dell’omero, del perone o delle altre ossa lunghe. Clinicamente si manifesta come una massa palpabile modestamente dolorosa. Il tasso di crescita è più lento rispetto a quello degli altri OS(87-90). All’esame radiografico, l’OS periosteo appare come una lesione radiotrasparente periferica con una porzione più mineralizzata alla base. L’osso corticale sottostante appare eroso ed ispessito. Per definizione, è assente qualsiasi tipo di coinvolgimento midollare(91).

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All’esame microscopico, la lesione appare circoscritta da una capsula fibrosa e costituita da una commistione tra tessuto cartilagineo e spicule ossee. All’esame istologico, l’OS periosteo è un sarcoma di grado secondo o terzo, costituito prevalentemente da aree di tipo condroblastico. La diagnosi differenziale include il condrosarcoma periosteo. Quest’ultimo colpisce la regione metafisaria di pazienti di età più avanzata rispetto a quelli affetti da OS periosteo ed è costituito da cartilagine neoplastica di grado primo e secondo. Il trattamento consiste nell’escissione chirurgica completa della neoplasia. Recidive sono state osservate nel 13% dei casi, mentre nel 15–20% dei casi sono riportate metastasi a distanza.

Figura 5. Immagini radiografiche degli OS di alto grado della superficie (A), periostale (B), parostale

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PRESENTAZIONE CLINICA, DIAGNOSI E STADIAZIONE

La presentazione clinica dell‘ OS è spesso condizionata dalla sede e dalle dimensioni della malattia. Nella maggior parte dei casi il sintomo più precoce è rappresentato dal dolore, dapprima episodico e poi costante ed ingravescente, associato o preceduto da una tumefazione della sede colpita, da un aumento locale della temperatura, e da limitazione funzionale con disturbo della deambulazione. Talvolta può insorgere una frattura patologica, che ne è però solo raramente la prima manifestazione.

La presenza di questi segni e sintomi, specialmente se in pazienti pediatrici e giovani adulti, è altamente suggestiva di insorgenza della neoplasia e richiede quindi un precoce approfondimento diagnostico.

Tra gli esami di laboratorio possono risultare utili l’ esame emocromocitometrico completo, Pcr, Ves (che aumenta anche in osteomielite e soprattutto nel SE), l’ Ldh (latticodeidrogenasi), la calcemia e la fosforemia che possono essere utili per la diagnosi differenziale, ma soprattutto la fosfatasi alcalina (ALP), che aumenta notevolmente nei pazienti affetti da OS.

In alcuni rari casi possono esser presenti sintomi sistemici, sebbene essi siano più rari rispetto al paziente con SE, quali febbre ed alterazione dei parametri ematochimici, che possono simulare un’ infezione ( Ves, Pcr, anemia, leucocitosi).

Non esistono esami ematochimici specifici per la diagnosi; la fosfatasi alcalina risulta spesso aumentata, ma i suoi valori correlano meno strettamente rispetto all’ Ldh con la prognosi.

La radiografia convenzionale in due proiezioni, la scintigrafia ossea, la Tc e la Rmn sono gli esami più importanti per la diagnosi, per valutare l’estensione della malattia e la risposta alla chemioterapia, e per la pianificazione del trattamento chirurgico. In caso di sospetto clinico, l’iter diagnostico prevede inizialmente l’esecuzione di una radiografia in due proiezioni della sede colpita, e nella maggior parte dei casi essa risulta diagnostica. L’OS alla Rx si presenta più spesso come area osteolitica (o come lesione addensante o mista); il quadro radiografico riflette l’ andamento clinico della malattia: nelle fasi iniziali è presente una lesione osteolitica o mista, permeativa ed infiltrante. Successivamente è raggiunta e distrutta la corticale, con una visibile reazione periostale a spicule perpendicolari “ a sole radiante” o “ a dente di pettine”; a seguito del superamento della corticale anche il periostio viene distrutto e rimane solo un’area di iperostosi triangolare ai margini del tumore (triangolo di Codman), dato dalla presenza di tessuto osseo reattivo tra corticale e periostio con

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sollevamento di quest’ ultimo e distruzione della corticale. Infine il tumore si espande rapidamente nei tessuti molli circostanti.

Figura 6: Aspetti radiologici dell'OS. A: Immagine di RM T1 pesata in sezione coronale. Da notare

l’intensità di segnale anomalo a livello del midollo metafisario e la massa tissutale molle (freccia nera). Un’estensione precoce del tumore è mostrata al di fuori del piatto tibiale a livello epifisario (frecce bianche) B: Triangolo di Codman a livello della diafisi tibiale (frecce bianche) in una radiografia. Si può osservare l’area triangolare di nuovo osso subperiostale che si viene a creare quando una lesione, spesso un tumore, solleva il periostio dall’osso sottostante. C: Radiografia di un femore in un paziente con osteosarcoma in cui è mostrato un tipico triangolo di Codman e in maniera più diffusa si osserva sostanza osteoide mineralizzata all’interno di tessuti molli adiacenti all’osso.

Radiogrammi ripetuti a distanza di tempo documentano l’evoluzione della lesione. Il quadro Rx è una guida per la biopsia ed un completamento essenziale dell’ esame istologico.

Nella scintigrafia scheletrica viene utilizzato Tecnezio 99, il quale è in grado di fissarsi alle aree di osteogenesi; questo esame diagnostico è utile nell’ OS perché:

1) Con un unico esame diagnostico esplora tutto lo scheletro ed è quindi utile per la stadiazione della lesione;

2) Può rilevare localizzazioni ossee ancora poco o per nulla visibili con le radiografie standard;

3) È in grado di definire con maggiore accuratezza l’ estensione reale del tumore e talora, ove presenti, le “skip metastases”;

4) Può monitorare l’ andamento della malattia dopo il trattamento.

Tuttavia la sensibilità della scintigrafia ossea è minore (76%) rispetto a quella della PET-TC nella identificazione delle metastasi ossee.

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La TC è strumento molto utile sia nella stadiazione, pianificazione pre-operatoria e follow-up del paziente; essa deve essere eseguita con Mdc per poter visualizzare i vasi principali e la eventuale captazione di Mdc da parte della neoplasia. Essa valuta:

1) L’estensione del tumore all’ interno del canale midollare e delle parti molli, 2) I rapporti con i principali fasci neuro-vascolari,

3) Il coinvolgimento articolare eventuale,

4) Il coinvolgimento dei linfonodi locoregionali, e assieme alla Tc torace permette di localizzare le eventuali localizzazioni al parenchima polmonare.

La RMN offre diversi vantaggi rispetto alla TC, permettendo una migliore differenziazione tra i diversi tessuti e un attento studio della estensione della neoplasia. Valuta l’ estensione all’ interno del canale midollare, l’invasione all’ interno dei tessuti molli, il superamento della cartilagine di accrescimento, l’estensione articolare della neoplasia (utile per poter stabilire se la resezione dovrà essere intra o extra-articolare), eventuali “skip metastases”; inoltre se eseguita precedentemente e successivamente alla chemioterapia valuta la risposta al trattamento. Permette infine di distinguere il tessuto necrotico da quello vitale all’ interno della lesione e fornisce quindi informazioni sulla sede più idonea dove poter eseguire la biopsia.

L’ angiografia è invece sempre meno utilizzata nell’ iter diagnostico in questi pazienti, a causa della sempre maggiore diffusione di tecniche quali TC e Rmn. Può risultare utile nel definire meglio la vascolarizzazione della neoplasia ed i suoi rapporti con i vasi principali e valutare così eventuali problemi di resecabilità chirurgica; queste problematiche sono comunque oggi più spesso affrontate mediante Rmn.

La Biopsia(20-22) deve essere sempre effettuata anche in presenza di un quadro Rx altamente indicativo. La sua esecuzione è indipendente dalla programmazione delle

altre procedure diagnostiche e deve essere quanto più possibile precoce. L’ esame istologico è l’accertamento più importante per poter formulare la diagnosi

e deve essere integrato con i dati anamnestici, clinici e radiografici. Una biopsia non correttamente eseguita può impedire una chirurgia conservativa laddove inizialmente possibile. La sede del prelievo bioptico è l’ elemento critico per la successiva chirurgia, se è prevedibile che questa possa essere di tipo conservativo. Esistono due tipi di biopsia validi per l’ OS:

1) Agobiopsia: essa è indicata in caso di neoplasia con quadro clinico-radiologico convenzionale, per i quali non è necessaria una indagine istologica estesa. Questa è una tecnica poco traumatizzante per il paziente; è inoltre utile la sua esecuzione sotto guida TC, dato che il prelievo è di entità modesta e se eseguito nelle sezioni profonde può non risultare rappresentativo.

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2) Biopsia incisionale: essa è indicata per tumori con aspetto clinico-radiologico non univoco, in cui è indispensabile uno studio istologico completo, in lesioni molto ossificate, o laddove la scarsità del materiale prelevato con agobiopsia non sia sufficiente ai fini della diagnosi. L’incisione deve essere eseguita longitudinalmente, in una sede che possa poi essere escissa insieme alla lesione al momento dell’ intervento chirurgico, e durante l’ esecuzione è necessario non contaminare i fasci vascolonervosi e le cavità articolari.

STADIAZIONE

Lo scopo della stadiazione è quello di poter stabilire la prognosi del paziente e di indirizzare il suo trattamento. La stadiazione sistemica prevede l’uso di TC torace spirale (non è richiesto il mezzo di contrasto), scintigrafia scheletrica, e la PET (tomografia ad emissione di positroni), la quale può essere sostituita nella stadiazione dell’OS dalla scintigrafia scheletrica. Anche la TC spirale può essere sostituita dalla PET se questa viene eseguita nella modalità PET-TC, dove vengono acquisite immagini TC basali contestualmente. L’angioTC o angioRM possono essere richieste in particolari situazioni. Non esistono criteri definiti per stabilire l’accuratezza diagnostica delle immagini polmonari, tuttavia si può affermare che una singola lesione polmonare <0.5 cm ha una limitata probabilità di essere di natura metastatica. La probabilità che i noduli mostrati nella TC spirale siano di natura metastatica aumenta in relazione al loro numero e dimensione.

Esistono due sistemi di stadiazione: il sistema dell’ American Joint Committee on Cancer (AJCC), ed il Surgical Staging System (SSS, Enneking), sistema ad oggi più utilizzato(56) (57) e che si basa sui seguenti fattori:

- Grado di malignità istologica del tumore (G) - Sede ed estensione della malattia (T)

- Presenza o meno di metastasi, regionali o a distanza (M)

Queste neoplasie maligne sono così suddivise in lesioni a basso grado (Stadio 1) o ad alto grado (Stadio 2), ed in intracompartimentali (A) o extracompartimentali (B) in base all’estensione locale. Lo stadio 3 è riservato ai pazienti con lesioni metastatiche. Più spesso alla diagnosi l’OS è una neoplasia ad alto grado di malignità ed extracompartimentale (2B).

L’altra stadiazione ovvero l’AJCC per i tumori maligni primitivi dell’osso, è stata recentemente aggiornata. Nei casi diagnosticati dopo il primo gennaio 2003, l’entità del tumore riflette la dimensione piuttosto che l’estensione transcorticale del tumore. I tumori che hanno un diametro minore o uguale a 8cm sono designati come T1

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mentre quelli con diametro maggiore di 8 cm sono indicati come T2 (nella precedente stadiazione T1 significava estensione intracorticale e T2 estensione extracorticale). Inoltre è stato aggiunto T3 per indicare le skip metastasi. M1 è adesso suddiviso in M1a (solo metastasi polmonari) e M1b (metastasi a distanza in altre sedi). Per quanto riguarda il grado istologico di malignità, G1 (ben differenziato) e G2 (moderatamente differenziato) rappresentano il basso grado, mentre G3 (scarsamente differenziato) e G4 (indifferenziato) rappresentano l’alto grado.

Tabella 1 :Sistema di stadiazione secondo Enneking (SSS) per i tumori maligni primitivi dell'osso.

Stadio Tumore Metastasi Grado

IA T1 M0 G1

IB T2 M0 G1

IIA T1 M0 G2

IIB T2 M0 G2

III T1 o T2 M1 G1 o G2

Abbreviazioni utilizzate: T1, tumore intracompartimentale; T2, tumore extracompartimentale: M0, assenza di metastasi; M1, presenza di metastasi regionali o a distanza; G1, basso grado istologico; G2, alto grado istologico.

Tabella 2: American Joint Commette on Cancer Stsging System per i tumori maligni primitivi

dell'osso diagnosticati dopo il 1 gennaio 2003

Stadio Tumore Linfonodi Metastasi Grado

IA T1 N0 M0 G1 o G2

IB T2 N0 M0 G1 o G2

IIA T1 N0 M0 G3 o G4

IIB T2 N0 M0 Qualunque

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24 III T3 N0 M0 Qualunque G IVA Qualunque T N0 M1a Qualunque G IVB Qualunque T N1 Qualunque M Qualunque G IVC Qualunque T Qualunque N M1b Qualunque G

Abbreviazioni utilizzate: T1, tumore di dimensioni ≤8 cm; T2, tumore di dimensione >8 cm; T3, presenza di skip metastasi nell’osso primitivo; N0, assenza di metastasi linfonodali regionali; N1, presenza di metastasi linfonodali regionali; M0, assenza di metastasi a distanza; M1a, metastasi polmonari; M1b, metastasi in altre sedi; G1, tumore ben differenziato; G2, tumore moderatamente differenziato; G3, tumore

scarsamente differenziato; G4, tumore indifferenziato.

In un’ottica di valutazione olistica del paziente, la stadiazione deve comprendere anche la valutazione della capacità funzionale del paziente. Lo status funzionale dei pazienti con tumori maligni può essere valutato in almeno due modi: attraverso la scala di Karnofsky, oppure attraverso l’indice della qualità della vita proposto della

Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG). La prima è una scala di valutazione

sanitaria che misura la qualità di vita del paziente attraverso la valutazione di tre parametri: la limitazione dell’attività, la cura di se stessi e l’autodeterminazione. La scala ha come scopo quello di stimare la prognosi, definire lo scopo delle terapie e determinarne la pianificazione. La valutazione dello stato di salute del paziente è necessaria affinché si possa decidere la migliore cura possibile nei vari stadi di malattia (guarigione, prolungamento della vita, restituzione funzionale, palliazione). La scala è descritta ad intervalli di dieci punti dove il 100% (nessuna limitazione) rappresenta il massimo e lo 0% (morte) rappresenta il minimo. Nella pratica quotidiana però viene utilizzato maggiormente il secondo indice (ECOG), che assume valori da 0 (nessuna limitazione) a 5 (morte). Un ECOG pari a 2, ad esempio, indica sintomi evidenti tali da limitare l’attività di lavoro ma non tali da determinare una incapacità a provvedere alla cura di se stessi.

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TRATTAMENTO MULTIMODALE

A causa della complessità degli schemi terapeutici, è fondamentale il trattamento presso centri altamente specializzati, con competenze multispecialistiche e che siano in grado di unire contemporaneamente più figure: oncologo, chirurgo ortopedico(pediatrico e non), chirurgo generale o toracico, anatomopatologi esperti in sarcomi, radioterapisti, andrologi e ginecologi per la crioconservazione dei gameti prima della chemioterapia, esperti in riabilitazione, psicologi, ed altre figure che hanno lo scopo di garantire trattamento e riabilitazione ottimali al fine di migliorare sopravvivenza e qualità di vita. Il trattamento elettivo per tutte le forme ad alto grado di malignità consiste nell’utilizzo combinato di chemioterapia e chirurgia. Per le forme a basso grado di malignità è previsto solo il trattamento chirurgico. Altre modalità terapeutiche quali la radioterapia sono utilizzate solo in casi selezionati, data la elevata radioresistenza di questo tumore. Sono attuati trattamenti specifici per pazienti con età superiore ai 40 anni, perché i protocolli chemioterapici convenzionali comporterebbero una tossicità eccessiva.

L’ obiettivo terapeutico è la guarigione, oggi perseguibile in oltre il 60% dei casi, così come la realizzazione di piani di cura che consentano un maggior numero di interventi non demolitivi. Inoltre, per malattie già metastatiche alla diagnosi o che manifestino metastasi polmonari lungo il loro decorso, l’ atteggiamento terapeutico deve essere aggressivo perché è ancora possibile la guarigione definitiva, utilizzando oltre alla chemioterapia l’ exeresi delle metastasi polmonari.

CHEMIOTERAPIA

Nel contesto di un approccio multidisciplinare, la chemioterapia primaria è sempre raccomandata, vista la elevata sensibilità della malattia. L’ obiettivo primario della chemioterapia neoadiuvante è ridurre le dimensioni della lesione primitiva così da poter attuare una chirurgia definitiva di tipo conservativo e meno destruente possibile. Dopo la chemioterapia neoadiuvante, il trattamento locale deve essere preceduto da ristadiazione della neoplasia, utilizzando le stesse tecniche di imaging usate per la stadiazione iniziale, oltre alla esecuzione della BOM se precedentemente positiva. La risposta alla terapia è valutata secondo i criteri Recist (Response Evaluation Criteria in Solid Tumors) ed essa correla con una prognosi migliore, soprattutto se si considera la riduzione della componente extraossea. Una completa scomparsa del tumore a carico dei tessuti molli correla infatti con una migliore sopravvivenza, così come anche la risposta istologica e l’entità della necrosi tumorale: per questi motivi oggi la chemioterapia neoadiuvante è indispensabile(23). In particolare la necrosi indotta dalla chemioterapia primaria è il principale fattore

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condizionante la prognosi nell’OS non metastatico delle estremità. La valutazione della risposta istologica, basata sull’ entità della necrosi presente, è effettuata per mezzo della classificazione di Huvos, che stima la quantità di tumore necrotico espressa in termini di “ percentuale della necrosi tumorale post-chemioterapia”. Per valutare la risposta alla terapia primaria oltre alla valutazione istologica, è indicato ripetere la TC, che è possibile eseguire insieme alla Pet total-body per valutare la riduzione delle dimensioni della lesione primitiva e il suo sconfinamento nei tessuti molli, oltre alla esecuzione della TC torace, la quale esclude la comparsa di metastasi polmonari, indici di mancata risposta alla chemioterapia e progressione di malattia. La resezione chirurgica è sempre richiesta poiché è difficile raggiungere la guarigione nei casi di OS ad alto grado con il solo utilizzo di chemioterapia e radioterapia. E’ possibile l’insorgenza di metastasi polmonari nei due anni successivi alla chirurgia, risultando in una prognosi scarsa, con sopravvivenza libera da malattia (PFS) a 2 anni attorno al 15-20%, dovuta al fatto che focolai micrometastatici polmonari potrebbero essere già insorti nel momento in cui è stata eseguita la chirurgia. Dagli anni ’70 doxorubicina (doxo), cisplatino (c), metotrexate (mtx) ad alte dosi e ciclofosfamide furono visti come chemioterapici efficaci in pazienti con malattia progressiva in cui fossero presenti metastasi a distanza: da qui l’ idea di un loro possibile utilizzo precoce post-operatorio, allo scopo di sopprimere eventuali micrometastasi non radiologicamente visibili e prolungare la PFS e la Os. Studi clinici hanno dimostrato una differenza significativa in termini di PFS e Os nei due gruppi a confronto (pazienti sottoposti a sola chirurgia, o anche a successiva chemioterapia adiuvante), del 71% contro 61% e del 50% contro il 17% rispettivamente. Oggi la chemioterapia adiuvante è quindi utilizzata come trattamento standard nell’OS.

La chemioterapia neoadiuvante consente la valutazione della sensibilità del tumore ai farmaci utilizzati mediante lo studio istologico del pezzo di resezione(104). La necrosi indotta dalla chemioterapia primaria è il principale fattore condizionante la prognosi nell’OS non metastatico delle estremità(105). La valutazione della risposta al trattamento farmacologico primario deve essere eseguito in centri dotati di adeguata esperienza. La risposta istologica viene definita buona quando la percentuale di necrosi chemio-indotta è uguale o superiore al 90% (pazienti good responders)(106) (107).

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27 Malattia localizzata in pazienti di età inferiore ai 40 anni: vi è una netta evidenza che

il trattamento chemioterapico associato alla chirurgia offra un vantaggio significativo rispetto alla sola chirurgia; nonostante alcuni dati suggeriscano che nell’ ambito degli OS vi sia un piccolo sottogruppo che possa guarire con la sola chemioterapia, l’ abbandono della chirurgia ad oggi non è possibile. I farmaci con maggiore efficacia largamente utilizzati sono il metotrexate ad alte dosi, adriamicina, cisplatino, ifosfamide a dosi standard. Con questi schemi terapeutici sono stati ottenuti i risultati migliori(24-29).

Nelle forme localizzate, positive all’esame istologico alla GPG e quindi a più alto rischio di recidive e metastasi a distanza, la chemioterapia comprende anche il muramiltripeptide (MEPACT)(100). Studi clinici hanno dimostrato come il MEPACT, utilizzato in combinazioni chemioterapiche che comprendano l’IFO, porti un vantaggio in termini di sopravvivenza. Non esistono chiare evidenze circa la migliore combinazione chemioterapica possibile. Nei pazienti con OS delle estremità non metastatici, i migliori risultati riportati in letteratura (sopravvivenza libera da eventi a 5 anni del 65–70%) sono ottenuti con combinazioni con MTX-CDP-ADM ± IFO(101- 103). Non esistono studi che mostrino la necessità di un trattamento chemioterapico differenziato in funzione della sede della lesione.

L’etoposide può essere utilizzato in combinazione con cisplatino, carboplatino o ifosfamide. Il numero e la qualità dei farmaci utilizzati nella chemioterapia neoadiuvante, la stadiazione della neoplasia, il tipo istologico sono fattori condizionanti la necrosi tumorale, che è a sua volta indice di risposta istologica, collegata con la prognosi(30). Inoltre è possibile migliorare la prognosi di pazienti poco responsivi, per mezzo di terapie di salvataggio post-operatorie basate sull’ utilizzo di ifosfamide(31)(32). Il trattamento chemioterapico deve essere sempre raccomandato a prescindere dall’ età di insorgenza della malattia.

Malattia localizzata in paziente di età superiore a 40 anni: in questi pazienti il

trattamento chemioterapico è una sfida più complessa, sebbene opportuna, data l’evidenza anche in questi pazienti di un vantaggio del trattamento chemioterapico associato alla chirurgia, rispetto al solo trattamento chirurgico. In questi pazienti i problemi derivano dalle possibili comorbidità, soprattutto nel caso di pazienti anziani, e dalla minore tolleranza verso gli aggressivi schemi chemioterapeutici utilizzati in pazienti più giovani(33-35). Viceversa adolescenti e giovani adulti fino ai 40 anni devono ricevere la terapia dei protocolli pediatrici, in quanto più aggressiva e capace di garantire risultati migliori.

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28 Malattia metastatica all’ esordio: In questi pazienti vi è una indicazione ad un

trattamento chemioterapico, associato ove possibile alla chirurgia radicale della lesione primitiva e di quelle metastatiche(36). I farmaci utilizzati sono gli stessi delle forme localizzate(37). La chemioterapia precede di norma la chirurgia; non vi sono inoltre evidenze che un trattamento diverso e più intenso di quello destinato a pazienti con malattia localizzata possa offrire un vantaggio in termini di sopravvivenza. L’obiettivo della chirurgia è quello di rimuovere tutti i focolai di malattia presenti, quindi viene utilizzato un approccio aggressivo: tuttavia la chirurgia delle metastasi polmonari è raccomandata in caso di risposta o stazionarietà della malattia dopo trattamento chemioterapico preoperatorio, ed invece sconsigliata in caso di progressione di malattia o in caso di malattia extrapolmonare non suscettibile di chirurgia. In pazienti con una sola metastasi ossea o con una o più metastasi polmonari all’ esordio, l’atteggiamento terapeutico deve essere aggressivo perché è ancora possibile la guarigione in seguito alla combinazione dell’ exeresi chirurgica delle metastasi e della chemioterapia(38-40). Viceversa sono molto rari i pazienti con localizzazioni scheletriche multiple all’ esordio: la loro prognosi è infausta nonostante trattamenti chemioterapici aggressivi associati ad interventi chirurgici multipli. Per queste forme i farmaci disponibili hanno valore palliativo.

Ricaduta di malattia: L’utilizzo della chemioterapia in pazienti in ripresa di malattia è

ancora in fase di indagine. Osservazioni riportano un vantaggio dell’ uso generalizzato della terapia di seconda linea, con efficacia di risposta clinico-radiografica per l’ifosfamide ad alti dosaggi(41-43).

Tuttavia questa risposta non si riflette in un aumento della sopravvivenza (nel confronto tra pazienti trattati con ifosfamide ad alte dosi e pazienti trattati con la sola chirurgia) se non in gruppi di pazienti omogenei per fattori di rischio (pazienti con malattia resecabile, con meno di tre metastasi polmonari ed intervallo libero da malattia inferiore a 24 mesi). L’utilizzo della chemioterapia in caso di ricaduta è tuttavia ad oggi raccomandato solo nell’ ambito di studi clinici.

Mifamurtide (Mepact): Questo farmaco è un immunomodulatore con effetti

antitumorali che sembrano essere mediati dall’ attivazione di monociti e macrofagi. Risulta indicato in bambini, adolescenti e giovani adulti per il trattamento dell’ osteosarcoma ad alto grado di malignità, resecabile, non metastatico, dopo completa rimozione chirurgica(44). Esso viene somministrato per via endovenosa, insieme alla chemioterapia adiuvante. In un ampio studio randomizzato multicentrico di fase 3, l’ associazione di Mifamurtide ad una combinazione di 3-4 farmaci chemioterapici

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(doxorubicina, cisplatino, alte dosi di metotrexate, con o senza ifosfamide), è stato associato con un aumento significativo della Os (overall survival) in pazienti con osteosarcoma di nuova diagnosi, ad alto grado, non metastatici e resecabili. Un ulteriore studio clinico ne evidenzia un vantaggio in termini di sopravvivenza e soprattutto quando utilizzato in combinazione con chemioterapici includenti ifosfamide. Mepact, utilizzato assieme ad altri farmaci antineoplastici, ha prolungato l’ intervallo di sopravvivenza dei pazienti senza ricomparsa della malattia: il 68% dei pazienti trattati con Mepact (231 su 338) è sopravvissuto senza ricomparsa di malattia, contro il 61% dei pazienti a cui non era stato dato (207 su 340). Inoltre nei pazienti trattati con Mepact il rischio di morte era stato ridotto del 28%. Questo farmaco è generalmente ben tollerato; eventi avversi includono febbre, cefalea, nausea e mialgia. Concludendo, Mifamurtide dovrebbe esser quindi sempre considerato nei protocolli terapeutici per OS localizzato.

CHIRURGIA

Lo standard di trattamento dell’OS ad alto grado è rappresentato dalla combinazione di chirurgia e chemioterapia; nei pazienti trattati con la sola chemioterapia si osservano recidive locali del tumore(94)(95). Oggi interventi conservativi sono attendibili nel 90% dei pazienti con OS e la frequenza di recidiva locale (5%) è leggermente superiore a quella dei pazienti sottoposti a chirurgia demolitiva(amputazione)(97)(98). Tuttavia la sopravvivenza a lungo termine risulta la medesima. La percentuale di recidive locali è correlata ai margini di resezione e alla risposta al trattamento chemioterapico: un intervento chirurgico è da considerarsi adeguato quando il tumore viene interamente rimosso con margini di resezione ampi o radicali, non contaminati da neoplasia(92). I margini chirurgici sono più sicuri se includono una barriera anatomica come periostio, corticale dell’ osso, capsula articolare, tendini, ligamenti. Viceversa in caso di margini di resezione inadeguati (marginali, intralesionali, contaminati), il rischio di recidiva locale è molto elevato, e ciò peggiora sensibilmente la prognosi del paziente. I margini chirurgici vengono definiti secondo la classificazione di Enneking in radicali, ampi, marginali, intralesionali e contaminati. La determinazione dei margini deve essere frutto della stretta collaborazione tra chirurgo e anatomopatologo. La valutazione finale degli stessi può richiedere ulteriori interventi in caso di residui macroscopici, al fine di prevenire recidive locali di malattia. L’intervento chirurgico può essere conservativo (resezione) oppure demolitivo (amputazione) e ciò viene stabilito in base a sede ed estensione del tumore, al fatto che risulti essere intra o extra-compartimentale, eventuale invasione

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o meno dei vasi, nervi o dello spazio articolare, alla presenza o meno di skip metastases(108). L’amputazione è utilizzata qualora l’ escissione ampia non risulti possibile oppure nel caso che ciò comporti un arto funzionalmente inutilizzabile. Non

vi sono attualmente criteri univoci relativamente alla scelta del tipo di ricostruzione(93). Completata l’eventuale chemioterapia primaria, l’intervento chirurgico sarà preceduto da ristadiazione locale con RM ±TC. Nelle forme localizzate è consigliabile la ripetizione della TC torace per escludere la comparsa di metastasi polmonari(99).

La ricaduta di malattia, localmente o a distanza, nei pazienti trattati per OS delle estremità localizzato all’esordio, risulta essere del 20-30% nonostante il trattamento chemioterapico e chirurgico aggressivo. Tuttavia soltanto il 5% ha una recidiva a livello locale mentre la maggior parte ricade per metastasi polmonari e molto raramente per metastasi ossee(114). In caso di recidiva locale associata a metastasi, la probabilità di sopravvivenza a 3 anni è inferiore al 10%. Sia la qualità dei margini chirurgici (fattore principale) che la necrosi chemio-indotta, sono fattori condizionanti il rischio di recidiva locale. In caso di recidiva locale il trattamento chirurgico deve essere valutato da un chirurgo esperto, considerando che un trattamento demolitivo in questi pazienti non ne modifica la prognosi, così come un trattamento chemioterapico non ne modifica la sopravvivenza. I fattori prognostici più importanti nel caso di ripresa di malattia sono l’ intervallo libero da malattia, la sede, ed il numero di metastasi(96). La strategia terapeutica consiste nella asportazione chirurgica della recidiva locale o delle metastasi. Non vi è consenso circa l’efficacia, in pazienti ricaduti, di terapie con alte dosi e supporto con cellule staminali ematopoietiche.

Nel caso di malattia metastatica all’ esordio il ruolo della chirurgia è diverso in base a sede e numero delle metastasi: nelle sedi polmonari, qualora risultino aggredibili e poco numerose, vi è indicazione alla contemporanea asportazione del tumore primario e delle metastasi. Se invece le lesioni metastatiche sono a livello scheletrico l’indicazione o meno dipende dal numero delle lesioni, sede, estensione, età del paziente: vi sarà indicazione nel caso in cui le sedi siano in numero esiguo, facilmente resecabili e non siano gravate da importanti complicanze(109-111). La percentuale di sopravvivenza di questi pazienti rimane comunque nettamente inferiore a quella dei pazienti con malattia localizzata(112).

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RADIOTERAPIA

In questa neoplasia la radioterapia ha un ruolo molto limitato nel trattamento, sia a causa dell’ eccellente controllo locale garantito dalla chemioterapia primaria in associazione alla chirurgia, sia perché sarebbe necessario erogare dosi spesso incompatibili con la tolleranza dei tessuti sani, data la elevata radioresistenza del tumore(115)(116). Per poter ottenere una necrosi rilevante sarebbero infatti necessarie dosi non inferiori ai 80-100Gy. Essa può oggi essere utilizzata in casi selezionati:

1) Trattamento radicale in pazienti che rifiutano la chirurgia, pazienti molto anziani o con controindicazioni alla chirurgia, o forme non resecabili per sede di esordio,

2) Trattamento post-operatorio, in sostituzione ad una seconda exeresi chirurgica, spesso altrimenti mutilante,

3) A scopo palliativo decompressivo in pazienti con OS vertebrale e con sintomi da compressione del midollo spinale,

4) Finalità palliativa antalgica in pazienti con OS metastatico.

DIREZIONI FUTURE

Gli studi biologici volti ad identificare fattori prognostici per l’OS ad alto grado hanno identificato nella sovraespressione della Glicoproteina P170 al momento della diagnosi il fattore sfavorevole più importante(118)(123). Essendo noto che la Glicoproteina P170 è responsabile della resistenza alla doxorubicina, si può prevedere che, in un futuro più o meno prossimo, si potrà disporre di farmaci con un’attività citotossica simile a quella della doxorubicina, ma in grado di superare la resistenza mediata dalla Glicoproteina P170. Alcuni di questi nuovi farmaci, primo fra tutti il PNU-159548, sono al momento in fase di studio preclinico per verificare l’efficacia e le possibili interazioni con farmaci convenzionalmente utilizzati nei protocolli chemioterapici per l’OS ad alto grado. Oltre a questo, è prevedibile che la sempre più ampia diffusione di tecniche quali l'ibridazione genomica comparativa (CGH) o i cDNA e DNA microarrays, consentirà nei prossimi anni un significativo avanzamento nel processo di caratterizzazione genetica dei tumori solidi e, in particolare di quelle neoplasie per le quali, come nel caso dell’OS, per un’analisi a livello genomico delle alterazioni presenti nelle cellule tumorali. L’identificazione di fattori genetici responsabili o quantomeno coinvolti nell’istogenesi dell’OS, assieme ad una corretta valutazione del loro effettivo valore prognostico, potrà inoltre costituire la base per

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la pianificazione di trattamenti mirati ad interagire con specifici bersagli molecolari, di importanza chiave per la crescita e la progressione di queste cellule tumorali. A livello terapeutico la ricerca clinica di nuovi approcci farmacologici per il trattamento dell’OS si è mossa in diverse direzioni: ricerca di nuovi farmaci, intensificazione del trattamento, immunoterapia, terapia genica. L’ecteinascidina(119), una sostanza naturale ottenuta da un’alga marina, ha prodotto risultati preliminari promettenti nei sarcomi, ma purtroppo si è rivelata non attiva nell’OS in un recente studio. Particolare interesse ha suscitato un nuovo farmaco, un inibitore selettivo dell’enzima tirosinokinasi tumorale (Glivec), che ha mostrato attività in neoplasie ematologiche e nei tumori stromali gastroenterici. Sulla scorta di ciò, il Children’s Oncology Group sta conducendo uno studio con Glivec in pazienti con sarcomi dei tessuti molli e dell’osso. Uno studio dell’European Osteosarcoma Intergroup (EOI), i cui risultati non sono ancora stati pubblicati, ha confrontato due schemi di trattamento basati su CDDP e ADM a dosi diverse, con un braccio d’intensificazione e l’uso di fattori di crescita emopoietica. Relativamente all’uso di agenti in grado di modulare la risposta immune, particolare interesse è stato sollevato dagli studi sul Muramil Tripeptide liposomiale (L-MTP-PE)(121)(122), i cui risultati evidenziano una possibile sinergia fra trattamenti contenenti ifosfamide e L-MTP-PE. Due protocolli di studio, l’uno coordinato dal Children’ Oncology Group (COG), l’altro dal Memorial Sloan Kettering, attualmente in corso negli Stati Uniti, hanno come razionale il trattamento selettivo delle cellule tumorali. Essi utilizzano un anticorpo monoclonale specifico per le cellule tumorali che sovraesprimono HER 2(Trastuzumab). Questi studi assumono particolare importanza considerato che è stata recentemente osservata una peggior prognosi nei pazienti con OS che sovraesprimono HER 2(117)( 120). Una nuova frontiera nel trattamento dell’OS è rappresentata dalla terapia genica. È in corso uno studio che utilizza un vettore adenovirale Ad-OC-E1a (OcaP1) che contiene un promotore di osteocalcina murina, altamente espresso nelle cellule di OS. Il vettore dovrebbe penetrare selettivamente nelle cellule tumorali e regolare la produzione intracellulare di una proteina adenovirale, che porterebbe quindi alla lisi delle cellule tumorali.

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