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Sviluppo di un biosensore per monitorate aggregati di α-sinucleina in cellule viventi.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Corso di Laurea in Biologia Applicata alla Biomedicina

Curriculum Neurobiologico

Tesi di Laurea

Sviluppo di un biosensore per monitorare aggregati di α-sinucleina in cellule viventi.

Relatore: Candidata: Dr.ssa Emanuela Colla Verdiana Valvano Correlatori:

Prof.ssa Michela Ori Dr.Francesco Balestri

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INDICE

Abbreviazioni………..3 1. Riassunto………..5 2. Introduzione……….8 2.1 Malattia di Parkinson………..9

2.1.1 Neuroanatomia del Parkinson………10

2.1.2 Eziologia del Parkinson………..13

2.2 α-sinucleina………...14

2.2.1 Aggregazione e propagazione nel SNC………..17

2.2.2 Meccanismi di tossicità di αS………..22

2.3 FRET……….24

3. Obiettivo del progetto………26

4. Materiali e metodi……….28

4.1 Clonaggio TOPO-TA……….29

4.2 Estrazione DNA plasmidico e digestione………...31

4.3 Subclonaggio in vettori d’espressione in cellule di mammifero………32

4.4 Estrazione DNA plasmidico e digestione………...33

4.5 Colture cellulari di mammifero e trasfezione……….35

4.6 Lisi cellulare e Western Blot ………..35

4.7 Immunofluorescenza………...36

4.8 Live Cell Imaging e FRET………..37

5. Risultati………..38

5.1 Clonaggio dei biosensori αS-CFP/αS-YFP con localizzazione nel reticolo e localizzazione citoplasmatica………39

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5.2 L’espressione dei biosensori in cellule di mammifero dimostra

come αS-YFP e αs-CFP siano proteine funzionali……….45 5.3 Co-localizzazione cellulare con marcatori del RE dimostra

una corretta distribuzione dei biosensori………49 5.4 L’analisi FRET mostra una scarsa aggregazione dei biosensori,

sia a livello del RE che ubiquitario………52 6. Conclusioni e prospettive per il futuro………..57 7. Bibliografia………59

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Abbreviazioni

αS: α-synuclein LBs: Lewy Bodies LNs: Lewy Neurites

SNpc: Substantia Nigra pars compacta PD: Parkinson

SN: Substantia Nigra

SNpr: Substantia Nigra pars reticolata GPi: globus pallidus pars interna GPe: globus pallidus pars esterna STN: nucleo subtalamico

AD: Alzheimer

SNC: sistema nervoso centrale SNP: sistema nervoso periferico UPR: unfolded proteine response NAC: componente non-Aβ O/N: over night

RT: temperatura ambiente LB: Luria-Bertani IPTG : isopropil-tiogalattoside XGal : 5-bromo-4-cloro-3-indolil-beta-galattoside WT: wilde type REV: Reverse FRW: Forward

RE: Reticolo endoplasmatico UBI: ubiquitario

FBS: Fetal Bovine Serum

DMEM : Dulbecco’s Modified Eagle’s Medium Tx-100: Triton X-100

PBS-T: PBS-Tween PFA: paraformaldeide

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RA: acido retinoico Tg: transgenico

FRET: trasferimento di energia per risonanza BT : Bleed Through

NFRET: FRET normalizzata αS-CFP: αS-CFP-pCDNA3.1 αS-YFP: αS-YFP-pCDNA3.1

αS-CFP-RE :αS-CFP-pCMV-myc-ER αS-YFP-RE αS-CFP-pCMV-ER

TxSol: componente solubile in detergente ionico TxPel: componente insolubile in detergente non-ionico

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Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa ad evoluzione lenta, ma progressiva, che compromette funzioni coinvolte nel controllo del movimento e dell’equilibrio, sfociando in sintomi quali bradicinesia, rigidità muscolare e tremore a riposo.

Evidenti caratteristiche neuropatologiche della malattia sono la perdita dei neuroni dopaminergici nella substantia nigra e la presenza di inclusioni intracellulari di α-synuclein (α-syn), chiamati Lewy bodies.

È stato osservato che mutazioni o polimorfismi del gene SNCA, codificante per α-syn, sono responsabili, rispettivamente, di forme autosomiche dominanti e forme sporadiche di Parkinson. α-syn è una proteina di 14 kDa, trovata fisiologicamente nel terminale presinaptico dei neuroni, che sembra essere coinvolta nella plasticità sinaptica.

Indispensabile per il processo di aggregazione è un motivo altamente idrofobico che comprende 65-90 residui amminoacidici, presente nella regione centrale della proteina.

α-syn, infatti, esiste in modo predominante in forma monomerica, ma ciò non esclude la possibilità di formare multimeri stabili e/o di adottare differenti strutture sotto specifiche condizioni di stress-inducibile o mediante interazione con altre proteine, specifici ligandi, lipidi e membrane biologiche. Nel processo di aggregazione i monomeri di α-syn formano inizialmente oligomeri o protofibrille con una forma sferica, di dimensioni variabili, ma ancora solubili; successivamente, α-syn subisce un drastico cambiamento strutturale, assumendo una conformazione a β-foglietto che si assembla in fibrille o aggregati all’interno delle cellule.

Lo scopo di questa tesi è stata la creazione di un biosensore in grado di rilevare e di seguire nel tempo l’aggregazione di α-syn in cellule vive, tramite in vivo-cell imaging.

Per lo sviluppo di tale biosensore ci siamo serviti della metodologia FRET, che rivela la presenza di un segnale soltanto quando le due molecole fluorescenti, nel nostro caso CFP e YFP, dette donatore ed accettore, sono ad una determinata distanza, di modo che l’accettore emette la fluorescenza solo quando eccitato dall’energia emessa dal donatore.

Nel nostro caso, solo tramite aggregazione di due molecole di α-syn coniugate rispettivamente con CFP e YFP, tale condizione viene soddisfatta e darebbe luogo ad un segnale di tipo FRET.

I biosensori per l’espressione ubiquitaria sono stati ottenuti clonando separatamente CFP e YFP in frame con il C-terminale di αS WT (pcDNA-αS).

Inoltre, visto che nel nostro laboratorio è stato dimostrato che specifici aggregati di α-syn sono associati con la membrana del reticolo endoplasmico e che tali aggregati sono particolarmente

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tossici, abbiamo sviluppato biosensori FRET che si localizzano a livello di reticolo endoplasmico per seguire l’eventuale aggregazione in questo organello.

I sensori FRET ad espressione nel reticolo sono stati generati clonando separatamente CFP e YFP in frame con il C-terminale di α-syn nel plasmide pCMV-myc-ER-αS, che dirige l’espressione di α-syn nel reticolo endoplasmatico, attraverso una sequenza di localizzazione al N-terminale di α-syn e di ritenzione (SEKDEL) inserita al C-terminale di CFP o YFP.

Una volta ottenuti i vari cloni, stabilità, livello di espressione e localizzazione subcellulare sono stati controllati tramite l'espressione transiente in cellule di neuroblastoma SH-SY5Y.

Attraverso Western Blot ho verificato che i biosensori ubiquitari e con espressione nel reticolo fossero correttamente espressi in termini di peso molecolare e frazionamento nella porzione solubile, mentre, per mezzo della microscopia confocale, ho potuto osservare la loro distribuzione cellulare mediante co-localizzazione con un marcatore per il reticolo.

A questo punto, ho testato se i biosensori fossero in grado di aggregare e quindi di generare un segnale FRET.

Ho seminato le cellule SH-SY5Y su piastre willco il giorno prima e poi trasfettate con α-syn-CFP e α-syn-YFP, sia la variante citoplasmatica che del reticolo, singolarmente o in combinazione.

Dopo la trasfezione le cellule sono state differenziate con acido retinoico per 24h e quindi rilevata la presenza di aggregati di α-syn mediante la comparsa di un segnale FRET monitorato in vivo utilizzando il microscopio confocale.

Solo l’espressione dei due plasmidi insieme, C-αS-CFP e C-αS-YFP o la variante ER, ha prodotto un segnale FRET. Questo segnale, però, è risultato essere lieve e non significativo, suggerendo una scarsa aggregazione dei biosensori in condizioni fisiologiche.

Il passo successivo sarà quello di determinare se siamo in grado di aumentare il segnale di FRET mediante la stimolazione dell'aggregazione di αS, ottenuta in modo farmacologico oppure mediante l'utilizzo di un modello cellulare con accertato accumulo di aggregati.

Questo permetterebbe di marcare in vivo gli aggregati di α-syn in sistemi più complessi, come modelli cellulari stabili ed inducibili o modelli murini per la fibrillogenesi di α-syn.

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2.1 Malattia di Parkinson.

Il Parkinson (PD) è una malattia neurodegenerativa, a decorso lento e graduale, che si manifesta clinicamente quando la patologia ha ormai già raggiunto uno stadio avanzato (Faernley et al., 1991; Forno , 1969; Koller, 1992)

È la seconda più comune malattia neurodegenerativa dopo l’Alzheimer e l’incidenza aumenta con l’età: 20 casi su 100,000 l’anno nella popolazione mondiale maschile e sale a 120 casi su 100,000 nella popolazione maschile sopra i 70 anni ( nei Paesi industrializzati).

La diagnosi viene eseguita basandosi sulla comparsa di quattro sintomi motori specifici: rigidità, tremore a riposo, bradicinesia e instabilità posturale (Postuma et al., 2012).

Dal punto di vista neuropatologico, la diagnosi può essere effettuata solo post mortem, tramite la ricerca di specifiche lesioni tissutali a carico del cervello, rappresentate da inclusioni proteiche localizzate a livello del soma neuronale o dei neuriti, la cui componente principale è rappresentata dalla forma aggregata di α-synuclein (αS), una proteina presinaptica (Forno, 1996; Lewy, 1912; Lowe, 1994; Pollanen et al., 1993)

Queste lesioni vengono definite Lewy bodies (LBs) o Lewy neurites (LNs) a seconda della localizzazione cellulare ( Galvin et al., 1999; Goedert et al., 2013) (Esempio in Figura 1).

Si ritiene che tali inclusioni siano la causa della morte di specifici subnuclei di neuroni dopaminergici della substantia nigra pars compacta (SNpc), con conseguente distruzione delle loro proiezioni mielinizzate di connessione allo striato, deplezione di dopamina e danneggiamento del circuito nigro-striale (Figura 1) (Damier et al., 1999; Gibb, 1991; Gibb and Lees, 1991). In realtà, la patologia si estende anche ad altre aree extra-nigrali, che includono i nuclei motori dei nervi glossofaringe e vago e l’adiacente zona reticolare intermedia, alcuni subnuclei della formazione reticolare e del sistema del raphe, il complesso coeruleus-subcoeruleus, i nuclei magnocellulari del proencefalo basale e molti subnuclei del talamo e dell’amigdala (Braak et al., 2003; Bohnen et Albin, 2011), colpendo in queste strutture non solo neuroni dopaminergici, ma anche colinergici e serotoninergici.

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A. B.

Figura 1 A): immagine rappresentativa di un cervello PD comparto ad un cervello normale

mostra la perdita di neuroni dopaminergici in PD. B): neurone della SNpc di un paziente affetto da PD ( MRC Cambridge Brain Bank) evidenziato con immunostaing per αS mostra due LB αS-positivi ( Spillantini et al., 1997).

2.1.1 Neuroanatomia del Parkinson.

La perdita neuronale in SNpc è correlata con la gravità delle classiche caratteristiche motorie del Parkinson, in particolare bradicinesia e rigidità e risulta in una grave e graduale deplezione della dopamina contenuta nello striato.

Fisiologicamente la corretta esecuzione di movimenti volontari è dovuta ad un regolare processamento di informazioni moto-sensoriali nel cervello, grazie ad una complessa rete neuronale che include la corteccia, i nuclei dei gangli basali e il talamo motorio (Blandini et al.,2000) e viene definito “circuito motorio”. Il principale compito del circuito è di processare i segnali che scorrono dalla corteccia, per produrre un segnale di output che ritorna alla corteccia, attraverso il talamo, per modulare l’esecuzione del movimento.

In PD l’abilità del controllo dei movimenti volontari è persa come conseguenza della riorganizzazione funzionale dei nuclei dei gangli basali, a cui la substantia nigra (SN) appartiene (Figura 2). Infatti, i gangli basali, che sono localizzati nel telencefalo basale, consistono in 5 nuclei interconnessi: nucleo caudato, putamen ( che insieme costituiscono lo striato), globo pallido, SN e nucleo subtalamico.

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I neuroni nella SNpc contengono neuromelanina ed usano la dopamina come neurotrasmettitore. I principali recettori delle proiezioni nigrali sono lo striato, il nucleo subtalamico e il globo pallido.

Nella malattia del Parkinson, la perdita di neuroni dopaminergici in SNpc riguarda solo il circuito nigro-striatale, che è parte del circuito sensitivo-motorio e lascia una grave denervazione dopaminergica dello striato (Blandini et al., 2000). Tale denervazione dello striato induce un incremento dell’attività inibitoria dei nuclei alla base sul talamo con concomitante riduzione dell’eccitazione alla corteccia motoria.

Oltre a controllare il movimento volontario, la dopamina ha un ruolo anche nella modulazione di funzioni celebrali superiori, come stati d’umore ed emozioni. In linea con questa osservazione, è stato recentemente dimostrato come la neurodegenerazione in PD interessa anche zone e popolazioni neuronali non dopaminergiche, come i neuroni serotoninergici del locus coeruleus e del raphe, oppure neuroni colinergici nel basal forebrain come i nucleus accumbens e nucleus basalis (Müller and Bohnen, 2013). In generale, si pensa che la perdita della popolazione neuronale colinergica in specifiche aree potrebbe essere responsabile di sintomi non-motori, come perdita della memoria e disfunzione cognitiva, mentre deficit serotoninergici sottolineano depressione e disturbi dell’umore e deficit adrenergici evidenziano disfunzioni dell’attenzione (Pillon et al, 1989).

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Figura 2. Le frecce blu indicano proiezioni inibitorie, mentre quelle rosse rappresentano le

proiezioni eccitatorie. Lo spessore delle frecce indica il grado di attivazione di ogni proiezione. Notare che lo striato comunica mediante output con neuroni nel globus pallidus pars interna (GPi) e substantia nigra pars reticolata (SNr) attraverso un pathway diretto e con connessioni sinaptiche nel globus pallidus pars externa (GPe) e il nucleo subtalamico (STN) attraverso un pathway indiretto. La dopamina inibisce l’attività neuronale nel pathway indiretto ed eccita i neuroni nel pathway diretto. (b) nello stato parkinsoniano, la deplezione di dopamina induce una disinibizione dei recettori D2 leganti dopamina dei neuroni striatali nel pathway indiretto, inducendo inibizione incrementata di GPe e disinibizione di STN. La risultante over-attività nei neuroni in STN comporta eccessiva eccitazione dei neuroni in GPi/SNr ed una over-inibizione dei centri motori talamo corticali e del brainstem, inducendo Parkinson.(c) Discinesia indotta da L-dopa è caratterizzata da ridotta attività in STN. Il risultato netto è la riduzione dell’attività motoria che dà luogo ad acinesia/discinesia (Immagine da Obeso et al., 2000).

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2.1.2 Eziologia del Parkinson.

Il Parkinson è un disordine multifattoriale. Sebbene non sia stata ancora identificata una specifica causa, è possibile che invecchiamento, fattori ambientali e genetici giochino un ruolo causale nella patologia. L’esposizione ad alcuni pesticidi (ad esempio rotenone, paraquat, maneb), metalli pesanti (ad esempio Fe, Mn, Cu), tossine come 1-metil-4-fenil-1,2,3,6 tetraidropiridina (MPTP) sono state descritte come possibili cause di PD (Polito et al., 2016; Blandini et al., 2000). Per quanto riguarda i rischi genetici, possiamo distinguere forme ereditarie o familiari, che si verificano per circa meno del 5-10% dei casi totali e forme idiopatiche o sporadiche (Thomas and Beal, 2007). Diversi locus genici sono stati fin’ora associati con forme ereditarie di PD. Mutazioni nei geni αS (SNCA) e Lrrk2 rappresentano le principali cause genetiche di PD fin’ora identificate, e responsabili della trasmissione autosomica-dominante della malattia (Brice 2005; Lesage et al., 2006; Ozelius et al., 2006). Nella maggior parte dei casi autosomici-dominanti, sintomatologia e patogenesi del Parkinson non differisce dalla forma sporadica. Sono state anche descritte forme autosomiche recessive del Parkinson, di cui la più frequente è associata con mutazioni dei geni Parkin (PARK2, PRKN); PTEN-induced putative kinase 1 (PINK1) e Daisuke-Junko-1 (DJ-1) (Polito et al., 2016). La trasmissione di queste forme di Parkinson è più rara e differisce dalla forma sporadica o da altre cause genetiche, poiché associata con un esordio giovanile (prima dei 30-40 anni di età) e una trasmissione autosomica recessiva. Polimorfismi in diversi geni designati PARK (SNCA, UCHL1, LRRK2, PARK 16, GAK) e pochi altri (MAPT, GBA, NAT2, INOS2A, GAK, HLA-DRA e APOE) sono stati anche associati con un incrementato rischio e predisposizione genetica dello sviluppo di Parkinson, anche in caso di malattia sporadica (Klein et Westenberger, 2012).

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2.2 α-sinucleina.

α-sinucleina (αS) fu originariamente identificata usando un anticorpo per purificare vescicole colinergiche nell’organo elettrico del Torpedo, dimostrando la prima evidenza di un ruolo presinaptico. Inoltre, l’anticorpo rilevava l’espressione sull’involucro nucleare, da cui la designazione di “synuclein” (Maroteaux et al., 1998).

αS è una proteina di 14kDa (140 aa; pKa 4.7) (Ueda et al., 1993) caratterizzata da tre domini principali:

- un dominio ammino-terminale, contenente 11 ripetizioni di 7 residui, che sono predisposti a formare un’α-elica amfipatica, e gioca un ruolo critico nel modulare la sua interazione con le membrane;

- una coda carbossi-terminale, che è implicata nel regolare la sua localizzazione nucleare e la sua interazione con metalli, piccole molecole e proteine (Ulmer et al., 2005);

- una regione centrale contenente un motivo altamente idrofobico che comprende 65-90 residui amminoacidici, conosciuto come componente non amiloide-β (NAC) delle placche amiloidi nella malattia di Alzheimer (AD). Questa regione è indispensabile per l’aggregazione di αS; la delezione di larghi segmenti all’interno di questo motivo diminuisce ampiamente l’oligomerizzazione e la fibrillogenesi di αS in vitro e in esperimenti su cellule (Hashimoto et al., 2000; Spillantini et al., 1997; Ueda et al., 1993).

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15 a)

b)

Figura 3. Struttura biochimica di a-synuclein.

a) Modello di α-synuclein (αS) generato al computer, che rappresenta l’α-elica N-terminale, il

componente non amiloide-β delle placche senili nella malattia di Alzheimer (NAC; rappresentato in rosso) e le regioni C-terminali non strutturate (Lashuel et al., 2013).

b) Le regioni delimitate da riquadri rappresentano le α-eliche. Sette ripetizioni (residui 10-15,

21-26, 32-37, 43-48, 58-63, 69-74, e 80-85) nella regione ad elica sono raffigurate con un’ombreggiatura più chiara. Sono indicate le mutazioni missense associate al PD. È anche indicato il residuo di Serina 129 (Ser 129), che è un sito di fosforilazione implicato nell’aggregazione di αS. La regione C-terminale contiene un’alta densità di residui carichi (Wang et al., 2015).

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αS è abbondantemente espressa da diverse popolazioni neuronali, sia nel SNC che SNP, dove si localizza specificatamente al terminale presinaptico di dendriti o siti extrasinaptici lungo l’assone e relativamente poco nel corpo cellulare.

La proteina esiste in equilibrio dinamico tra uno stato libero ed uno stato legato a membrane o vescicole. L’interazione tra αS e la superficie lipidica sembra essere la caratteristica chiave per mediare le sue funzioni cellulari (Chandra et al, 2003; Crowther et al, 1998; Weinreb et al, 1996; Kim, 1997; Fauver et al., 2012; Burrè et al., 2013).

In presenza di membrane lipidiche, così come liposomi, goccioline lipidiche e raft lipidici, i residui N-terminali di αS adottano una struttura ad α-elica, che media il legame della proteina alle membrane, tramite interazione delle teste polari cariche negativamente dei lipidi di membrana e le lisine presenti sull’elica di αS (Bussell et al., 2003; Bussell et al., 2005; Chandra et al., 2003; Davidson et al., 1998; Eliezer et al., 2001; Middleton & Rhoades ,2010; Jo et al., 2000; Perrin et al., 2000). αS si lega, preferenzialmente, a vescicole di più piccolo diametro, come le vescicole sinaptiche, sul lato citosolico, ma può anche risiedere nel lume ed essere secreta tramite esocitosi (Lee et al, 2005).

Sebbene la normale funzione di αS rimane sconosciuta, la sua localizzazione al terminale presinaptico, la sua associazione con il pool distale di riserva di vescicole sinaptiche e il deficit nella trasmissione sinaptica osservata in risposta al knock down o all’overespressione di αS, suggerisce che αS ha un ruolo nella regolazione del rilascio di neurotrasmettitori, nella funzione sinaptica e nella plasticità nervosa (Burrè, 2015). In particolare, l’overespressione di αS induce una riduzione del re-uptake di dopamina nei terminali dopaminergici e inibisce il traffico di vescicole intersinaptico, lasciando un minor pool di riserva di vescicole.

αS interagisce con proteine sinaptiche che controllano l’esocitosi vescicolare, come la fosfolipasi D2 e le proteine della famiglia Rab, piccole GTPasi (Chen et al., 2013; Gorbatyuk et al., 2010; Jenco et al., 1998; Payton et al., 2004; Rappley et al., 2009).

Inoltre, studi recenti riportano che αS può comportarsi da chaperon molecolare, agendo su assemblaggio, mantenimento e distribuzione del complesso presinaptico SNARE, direttamente implicato nel rilascio di neurotrasmettitori, inclusa dopamina (Lashuel et al., 2013).

Il complesso SNARE è costituito da proteine vescicolari SNARE (v-SNARE) e proteine SNARE con target di membrana (t-SNARE) ed è in grado di auto-assemblarsi e di consentire la fusione vescicolare alla membrana. Bloccando questo assemblaggio mediante overespressione di αS, si interferisce con il rilascio di neurotrasmettitori e reuptake ( Majd et al, 2015).

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Figura 4. Schema del pathway di ripiegamento fisiologico di αS.

αS solubile è non strutturata e monomerica in forma nativa (Sinistra). Dopo il legame alle vescicole sinaptiche durante docking e priming delle vescicole, che coinvolge il parziale assemblaggio del complesso SNARE, αS subisce un cambiamento conformazionale, passando ad una α-elica amfipatica “spezzata” e in forma di multimeri. Come risultato del legame alla membrana, αS è in grado di promuovere l’assemblaggio del complesso SNARE durante docking e priming delle vescicole sinaptiche. (Burrè et al., 2014).

2.2.1 Aggregazione e propagazione nel SNC.

αS esiste principalmente come monomero stabile non ripiegato, ma ciò non esclude la possibilità che possa formare oligomeri funzionali a seguito dell’interazione con altre proteine o con membrane biologiche. Infatti, poichè αS assume una conformazione ad α-elica a seguito del legame con membrane biologiche o sintetiche in vitro, è plausibile che αS nativa esista in equilibrio tra differenti conformazioni e/o stati oligomerici (Eliezer et al., 2001; Ramakrishnan et al., 2006; Ullman et al., 2011; Lashuel et al., 2013), anche se rimane ancora sconosciuto il possibile ruolo funzionale. Recentemente è stato postulato come la forma nativa di αS sia in realtà un oligomero e come solo la perdita di questa struttura con l’aumento dei livelli cellulari della forma monomerica, induca la patologia. Questa ipotesi per ora è stata confermata solo da due osservazioni indipendenti (Bartels et al, 2011; Wang et al., 2011), mentre la maggior parte dell’evidenze propendono per una forma fisiologica monomerica.

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Indipendente dalla forma iniziale della proteina, la formazione di inclusioni patologiche si verifica con le modalità di una reazione di nucleazione multi-step (Conway et al., 2000), simile a quella delle proteine prioniche, che include la costituzione inizialmente di forme oligomeriche solubili tramite legami tra strutture ad α-elica dei singoli monomeri, per poi passare a forme protofibrillari, dove le porzioni centrali della proteina si organizzano in strutture a β-foglietto, che si impilano formando strutture filamentose (Chu et Kordower, 2015). Queste protofibrille si organizzano in forme altamente impaccate che poi diventano insolubili e costituiscono le fibrille mature o inclusioni.

Diversi meccanismi cellulari tra cui mutazioni genetiche, modificazioni post-traduzionali (fosforilazione, in particolare al residuo di Ser129; ubiquitinazione; nitrazione ed ossidazione; troncazione delle regioni C- e N-terminali) e livelli proteici dovuti all’equilibrio tra tasso di sintesi, aggregazione e clearance, possono influenzare la propensione di αS ad aggregare, associate con la deposizione patologica di proteine in vivo (Oueslati et al., 2010; Hashimoto et al., 1999; Iwatsubo, 2007; Oueslati et al., 2012; Souza et al., 2000). Uno squilibrio tra questi meccanismi, causato da un mal funzionamento di uno o più di questi pathway, può risultare in anomali livelli di αS, che potrebbero favorire la formazione e/o l’accumulo di specie fibrillari od oligomeriche, che possono essere tossiche (Lashuel et al., 2013).

Nonostante non sia ancora chiaro quali di queste forme siano particolarmente tossiche per i neuroni, diverse osservazioni suggeriscono una propagazione di αS (monomero, oligomero o anche fibrillare) secondo un meccanismo simile ai prioni. Le prime osservazioni che hanno suggerito, inizialmente, un tale meccanismo fanno riferimento al ritrovamento di LB in cellule dopaminergiche fetali, che erano state trapiantate in soggetti affetti da PD nell’ambito di una possibile terapia di sostituzione di nuclei dopaminergici mancanti.

Più recentemente studi in vitro, in colture neuronali e in modelli animali hanno dimostrato che αS, sia monomerica che in forma oligomerica o fibrillare, è in grado di essere trasmessa da neurone a neurone (Desplats et al., 2009; Li et al., 2008; Luk et al., 2009; Nonaka et al., 2010). Il passaggio cellula-cellula di αS avverrebbe con modalità di esocitosi o mediante sfruttamento di esosomi e tunneling nanotubes (Lee et al., 2010).

Recentemente sono stati individuati due possibili recettori sulla membrana neuronale che medierebbero l’internalizzazione di αS (Mao et al., 2016). Una volta internalizzate, seguendo un meccanismo prionico, forme patogeniche di αS inducono l’aggregazione di proteine endogene del loro stesso genere, suggerendo che questo processo è guidato da un’interazione sequenza-specifica tra i nuclei esogeni ed i monomeri endogeni.

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A parte la trasmissione cellulare di αS, che spiegherebbe il passaggio della proteina nelle cellule anatomicamente vicine, è stato postulato e poi dimostrato scientificamente come αS sia in grado di propargarsi sia a livello di sistema nervoso centrale, sia a livello del sistema nervoso periferico. Le prime osservazioni sulla propagazione di αS sono state osservate dall’anatomo tedesco Heiko Braak, che ha descritto per la prima volta il ritrovamento di Lewy Bodies e Lewy Neurites in regioni non strettamente correlate al PD, come il sistema nervoso enterico e i bulbi olfattivi. Eseguendo studi post-mortem, Braak ha rinvenuto la presenza di LB nel bulbo olfattivo e in aree del sistema nervoso periferico, come intestino e nuclei motori dorsali del nervo vago, in pazienti affetti da PD ed in numerosi controlli (Braak, 2003). Questi casi-controllo con accumuli di LB vennero denominati PD preclinici o podromici con l’assunzione che αS si accumula in specifiche regioni cerebrali e specifici tipi neuronali, seguendo un pattern temporale, stereotipato, che ascende caudo-rostralmente dalla periferia, a partire dall’innervazione nervosa dell’intestino o dalla parte più inferiore del troco encefalico ( includendo il nucleo motore dorsale del nervo vago nel midollo, seguito dal complesso coeruleus-subcoeruleus, nuclei del raphe, nucleo gigantocellulare reticolare nel midollo e nel ponte), o in modo anterogrado dal bulbo olfattivo, attraverso regioni sensibili del mesencefalo (SN e nucleo tegmentale peduncolopontino) e prosencefalo ( ad esempio amigdala) e all’interno della corteccia cerebrale (come mesocortex, corteccia cingolata e strutture neocorticali laterali). Lesioni al bulbo olfattivo e al plesso enterico potrebbero, così, spiegare i sintomi prodromici del Parkinson, come iposmia e costipazione. Con il progredire della malattia, aumenta la gravità delle lesioni nelle regioni suscettibili (Braak, 2003). Ciò suggerisce che la propagazione di αS sia il principale fattore nella progressione della patologia del Parkinson.

Dopo lo studio di Braak, è stato dimostrato che diverse forme di αS, sia patogeniche che monomeriche, somministrate sia a livello cerebrale che a livello periferico sono in grado di auto-propagarsi, diffondendo tra regioni interconnesse a livello del sistema nervoso centrale, ma anche dalla periferia fino al cervello, suggerendo che la trasmissione cellula-cellula di proteine patologiche contribuisce alla progressione della malattia, generando una cascata degenerativa (Luk et al., 2012, Sacino et al., 2014, Peelaerts et al., 2015).

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Tabella 1. Stadi nell’evoluzione della patologia del Parkinson.

Durante gli stadi 1-2, gli aggregati patologici rimangono confinati nella medulla oblongata, tegmento pontino e strutture olfattive anteriori.

Negli stadi 3-4, mesencefalo e proencefalo basali diventano il centro della patologia e la malattia raggiunge la sua fase sintomatica.

Negli stadi finali 5-6, il processo patologico si spinge nelle aree associative e nei campi primari della neocortex (Braak et al.,2003).

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Figura 5. Modello di trasmissione proteica cellula-cellula

Il diagramma illustra il potenziale meccanismo con cui proteine mal ripiegate/aggregate sono trasferite da un neurone all’altro. Le proteine possono essere rilasciate dai neuroni tramite esocitosi vescicolo-mediata (1) o per semplice fuoriuscita dalle membrane danneggiate (2), poi internalizzate nei neuroni vicini o per endocitosi o per diretta penetrazione delle membrane. In alternativa, come riportato per le proteine prioniche, potrebbero essere trasferite ai neuroni vicini per immagazzinamento in esosomi (3) o attraverso tunneling nanotubes (4). Alcuni o tutti questi meccanismi possono lavorare simultaneamente, con una specifica preferenza proteica di certi pathway rispetto ad altri. Questi meccanismi possono agire tra corpi cellulari, ma possono anche verificarsi trans-sinapticamente (5). Gli aggregati internalizzati (arancione) possono agire come semi per l’aggregazione delle proteine endogene native (verde). Questi aggregati seminati possono produrre specie aggregate tossiche durante il corso del processo di aggregazione dinamica che, infine, porta alla formazione dei corpi di inclusione patologici (Lee at al., 2010).

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2.2.2 Meccanismi di tossicità di αS.

Il meccanismo di tossicità di αS che provoca neurodegenerazione è molto complesso, ramificato ed altamente integrato con i pathway di stress cellulare. Molto probabilmente, forme patogeniche di αS causano tossicità direttamente su diversi pathway cellulari membrana-dipendenti, ognuno dei quali causa danneggiamento ed attivazione di risposte allo stress fallimentari, portando all’apoptosi (Wang et al., 2015). È stato postulato come oligomeri di αS associati siano in grado di formare strutture simili a pori in membrane biologiche, aumentando la loro permeabilità, un meccanismo simile a quello sfruttato da alcune tossine batteriche (Rochet et al., 2004; Tsigelny et al., 2007; Volles et al., 2007).

Vari processi cellulari condivisi con altre malattie neurodegenerative sono stati implicati nella patologia di αS come, ad esempio, meccanismi di stress ossidativo con disfunzione mitocondriale, disfunzione dei proteosomi e pathway degradativi, disfunzione dei lisosomi, autofagia e stress del reticolo endoplasmico (RE). Questi processi possono susseguirsi temporalmente o essere presenti allo stesso tempo. Infatti è stato descritto come il danno ai proteasomi sia una delle prime disfunzioni che appaiono in tempi precoci in modelli cellulari che overesprimono αS, mentre lo stress del reticolo appaia più tardi, probabilmente in conseguenza di una pesante disfunzione delle capacità metaboliche della cellula (Wang, 2006). Tuttavia, lo stress del reticolo rimane un processo chiave, dal momento che il danno al RE non è facilmente reversibile ed esiste un pathway cellulare in grado di indurre la cascata apoptotica delle caspasi direttamente dal RE.

Il reticolo endoplasmatico è un organello specializzato nel ripiegamento delle proteine e nel trasporto vescicolare delle proteine correttamente ripiegate dal reticolo all’apparato del Golgi. È anche la principale riserva di calcio intracellulare nella cellula.

L’omeostasi del RE può essere alterata da una serie di condizioni che causano l’accumulo di proteine misfolded/unfolded. Questi eventi portano allo stress del reticolo, che attiva la Unfolded Protein Response (UPR), un complesso pathway di trasduzione del segnale che media l’adattamento cellulare per ripristinare l’omeostasi del RE. Se lo stress diventa cronico e le proteine misfolded/unfolded non riescono ad essere efficientemente ripiegate o degradate, UPR scatena la morte cellulare per apoptosi, con un pathway diretto dal RE, senza intervento dei mitocondri, eliminando le cellule danneggiate (Mercado et al., 2013).

Il nostro laboratorio ha dimostrato come lo stress del reticolo contribuisca in vivo alla neurodegenerazione tramite l’analisi biochimica dell’attivazione dei pathway ERs, in un modello di topo transgenico (Tg), esprimente αS umane mutata. In questo modello l’α-sinucleinopatia è

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coincidente con induzione di ERs, anomalo segnale UPR e attivazione di ERs-indotto dal pathway di morte cellulare in vivo (Colla et al., 2012).

È stato, inoltre, messo in evidenza come l’accumulo di oligomeri tossici di αS a livello di RE preceda lo stress del reticolo e la neurodegenerazione, suggerendo un legame causale dell’accumulo di queste forme patologiche di αS e l’UPR (Colla et al., 2012).

Un’altra dimostrazione di questo legame è il fatto che il trattamento di topi con un agente anti-stress-ER, Salubrinal, attenua la manifestazione patologica e riduce i livelli di oligomeri di αS nel ER/M (Colla et al., 2012). La partecipazione dello stress del reticolo endoplasmico alla neurodegenerazione indotta da αS è stata dimostrata anche in lievito (Cooper et al, 2006) e in cellule in coltura (Jang et al., 2010).

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2.3 FRET

Una delle più comuni conseguenze del misfolding proteico è la formazione di aggregati che risultano nella deposizione di proteine concentrate come fibrille amiloidi o placche, associate alle principali forme di patologie neurodegenerative (Dobson, 2003; Selkoe, 2004; Meyer-Luehmann et al., 2008). Tecniche di imaging tradizionali, come la microscopia a trasmissione elettronica (TEM) e la microscopia a forza atomica (AFM) sono potenti metodi per lo studio di aggregazioni proteiche in tessuti asportati o in vitro (Dobons, 2003), ma, a causa della loro natura invasiva, non sono applicabili in organismi viventi.

Le tecniche ottiche non subiscono tali limitazioni e permettono di visualizzare, in modo non invasivo ed in vivo, eventi che si svolgono su scala molecolare (Bacskai et al., 2003).

Il FRET o trasferimento di energia fluorescente per risonanza, si basa su un processo fisico distanza-dipendente, mediante il quale l’energia è trasferita, non-radioattivamente, da una molecola fluoroforo eccitatore (il donatore) ad un’altra molecola fluoroforo (l’accettore), quando entrambe le molecole sono vicine, in una scala molecolare di < 80 Å e quando sono in movimento rispetto ad altre (Clegg, 2009). Rispetto alla microscopia ottica tradizionale, il FRET permette di studiare le interazioni tra proteine fluorescenti, direttamente nel contesto fisiologico di una cellula vivente (Feige et al, 2005). Non solo, tramite FRET è possibile determinare le distanze molecolari fra proteine interagenti, cambiamenti conformazionali, la co-localizzazioni con strutture e organelli o la presenza di complessi macromolecolari, sempre in condizioni native. Durante il FRET, il fluoroforo donatore agisce come un dipolo oscillante, il quale può scambiare energia con un altro dipolo con una simile frequenza di risonanza (Lakowikz).

La distanza a cui il FRET è efficiente al 50% è chiamata distanza Förster, generalmente compresa nell’intervallo di 20-60 Å.

Il tasso di energia trasferita da un donatore ad un accettore, kT (r), è dato dall’equazione:

kT ( r )=

6

dove τD è il tempo di decadimento del donatore in assenza dell’accettore, R0 è la distanza Förster

e r è la distanza donatore-accettore.

Quindi, il tasso di trasferimento è uguale al tasso di decadimento del donatore ( 1/τD) quando la

distanza D-A ( r) è uguale alla distanza di Förster ( R0 ) e l’efficienza di trasferimento è il 50%.

A questa distanza (r = R0 ) l’emissione del donatore sarà decrementata della metà della sua

intensità in assenza di accettori. Il tasso di FRET dipende fortemente dalla distanza ed è proporzionale a r-6. Il trasferimento di energia si verifica quando donatore ed accettore sono

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all’interno della caratteristica distanza di Förster e quando si verifica una corretta sovrapposizione spettrale.

È importante ricordare che il trasferimento di energia è un processo che non coinvolge l’emissione ed il riassorbimento di fotoni.

I fluorofori accettori e donatori largamente usati per gli studi FRET provengono da una classe di proteine auto-fluorescenti, chiamate GFP (Sekar and Periasamy, 2003). GFP (proteina fluorescente nel verde) fu descritta per la prima volta da Osamu Shimomura nei primi anni ’60 (Shimomura, 2009). GFP è una proteina naturalmente fluorescente nelle meduse della specie

Aequorea victoria. Grazie al sequenziamento del DNA codificante della proteina e della

possibilità di esprimerla al di fuori di Aequorea victoria, sono state prodotte varianti sintetiche, ottenendo fluorofori differenti che cambiano il colore di emissione ad altre lunghezze d’onda, in modo da produrre proteine fluorescenti che coprono l’intero spettro del visibile, dal blu al rosso ed oltre (Olenyc et al., 2007). Le proprietà spettroscopiche che sono attentamente considerate nel selezionare GFPs, come attuabili coppie FRET, includono: una sufficiente separazione nello spettro di eccitazione per stimolazioni selettive del donatore GFP; una sovrapposizione ( > 30%) tra lo spettro di emissione del donatore e lo spettro di eccitazione dell’accettore, per ottenere un efficiente trasferimento di energia; una adeguata separazione nello spettro di emissione tra GFPs donatore ed accettore, per permettere misure indipendenti della fluorescenza di ogni fluoroforo (Sekar and Periasamy, 2003). Per lo sviluppo dei biosensori descritti nella mia tesi abbiamo selezionato la coppia di FRET CFP e YFP, ampliamente utilizzate come fluorofori di FRET, dove CFP rappresenta la molecola donatore e YFP la molecola accettore.

In precedenza, un biosensore FRET per lo studio dell’aggregazione di αS è stato sviluppato, fondendo la proteina YFP al C-terminale di αS, dal gruppo di Kaminski Schierle (2011). Il trasferimento di energia avveniva direttamente tra αS-YFP e gli oligomeri/aggregati che si formavano dall’aggregazione del biosensore stesso in vitro, poiché è stato dimostrato come tali conformazioni aggregate possono fungere da accettore. I valori di FRET erano proporzionali alla grandezza delle fibrille. Contrariamente, i biosensori descritti nella mia tesi sono stati sviluppati clonando i suddetti fluorofori (CFP e YFP) indipendentemente in frame con il C-terminale di αS WT in un vettore per l’espressione ubiquitaria (pcDNA-αS), oppure in frame con il C-terminale di αS nel plasmide pCMV-myc-ER-αS, che dirige l’espressione di αS nel reticolo endoplasmatico, attraverso una sequenza di localizzazione e ritenzione.

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3. Obiettivo del

progetto

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αS rappresenta il principale componente strutturale di Lewy Body e Lewy Neurites, inclusioni neuronali che costituiscono peculiari marcatori patologici della malattia del Parkinson (Spillantini et al., 1997; Spillanti et al., 1998). Sebbene la causa di molti casi di Parkinson non sia ancora conosciuta, studi genetici hanno identificato due mutazioni, A30P e A53T in αS, che causano forme di Parkinson con carattere ereditario autosomico dominante (Polymeropoulos, et al,1997; Kruger et al, 1998). Nel processo di aggregazione, i monomeri di αS formano inizialmente oligomeri o protofibrille con una forma sferica, di dimensioni variabili, ma ancora solubili; successivamente, αS subisce un drastico cambiamento strutturale, assumendo una conformazione a β-foglietto, che si assembla in fibrille o aggregati all’interno delle cellule. Tali aggregati sono presenti sia nel citoplasma che sulla superficie del reticolo endoplasmatico (Conway et al., 2000; Uversky et al., 2001). La presenza di specie di αS ad alto peso molecolare nel RE è correlata con l’esordio e la progressione della neurodegenerazione in modello di topo transgenico per αS tossica ( topo transgenico per αS umana con mutazione A53T) (Colla et al., 2012) ed è possibile che contribuisca all’induzione dello stress del reticolo, disfunzione del proteasoma ed attivazione del pathway di morte cellulare in questo modello.

Il progetto della mia tesi è stato improntato sullo sviluppo di biosensori per seguire l’aggregazione di αS in cellule viventi, mediante la tecnica del live cell imaging. I biosensori sviluppati si basano sulla tecnica del trasferimento di energia fluorescente per risonanza (FRET), che permette di studiare l’interazione (quindi l’aggregazione nel nostro caso) di due molecole fluorescenti, dove una molecola funge da donatore di energia ed eccita una seconda molecola detta accettore che, così eccitata, emetterà fluorescenza, ovvero segnale FRET. Perciò, il segnale FRET ottenuto tramite l’espressione dei nostri biosensori permetterà di seguire l’aggregazione di αS in vivo. I biosensori sono stati generati mediante clonaggio, coniugando, separatamente, i due fluorofori CFP e YFP in frame al C-terminale di αS-wt contenuta nel plasmide ad espressione ubiquitaria o nel plasmide ad espressione nel RE. Successivamente, ho appurato stabilità, livello di espressione e corretta localizzazione cellulare dei costrutti così ottenuti e ne ho verificato la capacità di aggregare in cellule viventi, generando un segnale di FRET.

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4.1 Clonaggio TOPO-TA

Per mancanza di adeguati siti di restrizione nei plasmidi originali recanti CFP e YFP, rispettivamente pE-CFP-C1 e pE-YFP-C1, è stata utilizzata la tecnica del TOPO-TA cloning, per inserire siti di taglio per Not-I e Xba-I, rispettivamente al 5’ e 3’ di entrambi i fluorofori.

I primer utilizzati, NotI-CFP Forward e XbaI-CFP Reverse (Tabella 1), che portano la sequenza del sito di restrizione legato alle sequenze del cDNA da amplificare, sono stati costruiti per riconoscere il 5’ e il 3’ di CFP e YFP, che notoriamente possiedono un’alta omologia di sequenza. Inizialmente i cDNA di CFP e YFP sono stati amplificati secondo il seguente protocollo di PCR, in due separate reazioni:

Concentrazione iniziale Quantità usata DNA 20 ng/µl 1µl Go Taq buffer 5x 1x DNTPs 10 µM 0.3 µM Primer NotI-CFP-Frw XbaI-CFP-Rev 100 µM 1 µM 1 µM Taq Polimerasi Promega GoTaq G2 5 U/µl 2.5 U Water Up to 50 µl I parametri della reazione erano:

Step Time Temperature Cycles Initial Denaturation 3 min 94° 1x Deanaturation 1 min 94° annealing 1 min 57° 25x Extention 1:30 min 72°

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Al fine di valutare l’efficienza dell’amplificazione da PCR, si effettua una corsa elettroforetica orizzontale dei campioni, su gel di agarosio a 1% con tampone di corsa TBE 0.5X, caricando 10µl di prodotto di PCR e 5µl di 100bp load NEB (New England BioLabs).

I campioni di DNA vengono visualizzati tramite il colorante SybR-Green, che viene aggiunto direttamente al gel prima della polimerizzazione.

Il confronto con il profilo di migrazione del marcatore 100bp load NEB nella corsa elettroforetica ha permesso di risalire al peso molecolare delle bande di 717 bp ciascuna e alla loro concentrazione.

In questo modo è possibile calcolare la quantità di DNA da utilizzare per la reazione di ligazione utilizzando la seguente formula:

Xng prodotti PCR = Y bp prodotto PCR (50 ng vettore pCR2.1)

( misura in bp del vettore pCR2.1 : 3900)

dove Xng è la quantità del prodotto di PCR di Y paia basi che deve essere legato al vettore in rapporto 1:1.

La reazione di ligazione è stata assemblata nel seguente modo, per un volume totale di 10 µl: Componente Concentrazione Inizale Quantità usata Prodotti PCR Xng Buffer T4 10x 1x Vector pCR2.1 25 ng/µl 5 ng/µl T4 DNA ligase 5 U/µl 5 U

Water Up to 10 µl una volta pronta, viene incubata Over/Night, (O/N) a 14 °C.

La trasformazione batterica dei prodotti di ligazione è stata eseguita in cellule batteriche di

E.Coli competenti tramite shock termico. Brevemente i batteri sono stati dapprima incubati in

ghiaccio per 30 minuti con 2 µl di DNA plasmidico ottenuto dalla ligazione e poi a 42°C per 40 secondi (shock termico). Successivamente, alle colonie è stato aggiunto 900 µl di mezzo Luria-Bertani (LB) e poi incubate per 1h a 37°C. Terminato il tempo di incubazione, tutta la colonia batterica è stata seminata su piastra contente LB-Agar e ampicillina ed incubata O/N a 37°C.

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Prima di piastrare i batteri, alla piastra erano inoltre stati aggiunti 40µl di IPTG (isopropil-tiogalattoside), induttore artificiale analogo del lattosio e 80µl di XGal (5-bromo-4-cloro-3-indolil-beta-galattoside), substrato cromogeno della β-galattosidasi, indispensabili per il test colorimetrico che permette di selezionare le colonie trasformate con il plasmide ricombinante. L’IPTG promuove, nei plasmidi non ricombinanti, l’induzione della β-galattosidasi che scinde l’XGal in un prodotto colorato e le colonie batteriche assumeranno un colore blu. Il vettore plasmidico utilizzato nel processo di ligazione (pCR 2.1) contiene il gene lacZ wt che codifica per la β-galattosidasi attiva. All’interno di questo gene è presente un polylinker, in corrispondenza del quale avviene l’inserimento del DNA esogeno, con conseguente interruzione del codice di lettura e mancata produzione di β-galattosidasi funzionale.

In questo modo, le colonie contenenti il plasmide ricombinato, essendo interrotto il gene per la β-galattosidasi, appariranno di colore bianco e saranno queste ad essere selezionate.

Sia per CFP che YFP abbiamo selezionato numerose colonie batteriche bianche da essere amplificate in colonia liquida per la ricerca del clone corretto.

NotI-CFP-Forw 5’- ATAAGAATGCGGCCGCAGAACAAATGGTGAGCAAG - 3’ Lenght = 32 nt Tm 65°C XbaI-CFP-Rev 5’- GGATCTAGATTATTATCTAGATCCGGTGGATCCCGG – 3’ Lenght = 36 nt Tm 65°C

Tabella 2. Sequenze primer.

4.2 Estrazione del DNA plasmidico e digestione.

L’estrazione del DNA plasmidico dalle colonie selezionate e la successiva digestione con enzimi di restrizione appropriati, permettono di verificare che il plasmide contenga il frammento di DNA esogeno di interesse, che sarà possibile visualizzare tramite corsa elettroforetica su gel di agarosio.

Per l’estrazione dei plasmidi pcr-TOPO-YFP e pcr-TOPO-CFP è stato utilizzato il kit Wizard Plus SV Minipreps DNA Purification System Promega.

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Il DNA plasmidico così ottenuto viene digerito con enzimi di restrizione:

- per le colonie contenenti pcr-TOPO-CFP il DNA plasmidico è stato digerito con enzima di restrizione EcoRI;

- per le colonie contenenti pcr-TOPO-YFP il DNA plasmidico è stato digerito con Pst-I e EcoRV.

La reazione di digestione è stata eseguita in ghiaccio, aggiungendo i reagenti nel seguente ordine, per un volume totale di 30 µl:

componete Concentrazione Iniziale Quantità usata DNA Xng Buffer 10x 1x BSA 10x 1x Enzima 20 U/µl 20 U Water Up to 30 µl

I cloni corretti sono stati poi spediti per il sequenziamento alla GENECHRON, allegando le istruzioni, per avere un doppio sequenziamento per ogni clone che legga la sequenza a partire dal N- terminale e dal C- terminale grazie all’uso dei primer M13 Rev e T7 Forw. Una volta avuta la sequenza, questa è stata analizzata tramite i software Snap Gene Viewer ™ e BLAST

(Basic Local Alignment Search Tool).

4.3. Subclonaggio in vettori d’espressione in cellule di mammifero.

I cloni ottenuti con il kit TOPO-TA sono stati poi utilizzati per il successivo subclonaggio nei plasmidi contenenti αS wt, pcDNA3.1-αS-wt, per l’espressione citoplasmatica, e pCMV-myc-ER-αS-wt, per l’espressione nel reticolo (Figura 6).

Dal momento che Xba-I inserito mostrava una bassa capacità di taglio, nel processo di ligazione è stata utilizzata una strategia non direzionale NotI-NotI.

La reazione di digestione è stata eseguita in ghiaccio, aggiungendo i reagenti per un volume totale di 30 µl. Per la reazione di digestione del vettore è stato aggiunta anche una fosfatasi alcalina (CIP), che catalizza una reazione di defosforilazione del vettore, rimuovendo un gruppo fosfato al 5’; in questo modo si evita la ricircolarizzazione del vettore.

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La successiva corsa elettroforetica su gel di agarosio ha permesso di rilevare la banda di interesse, che è stata tagliata e purificata tramite il protocollo Quantum Prep Freeze ‘N Squeeze DNA Gel Extraction Spin Colums. Il DNA così ottenuto, diluito in un volume di 10µl, è utilizzato nella seguente reazione di ligazione, considerando un rapporto 3:1 inserto:vettore :

I prodotti di ligazione sono stati susseguentemente trasformati in E. Coli e selezionati su piastra di LB-Agar e ampicillina. In questo caso non è stato utilizzato uno screening bianco/blu visto che questi plasmidi non contengono LacZ.

4.4 Estrazione DNA plasmidico e digestione.

L’estrazione del DNA plasmidico è eseguita mediante procedura descritta nel paragrafo 1.2. Per la selezione dei cloni corretti, i cloni αS-CFP e αS-YFP con localizzazione ubiquitaria (in pcDNA3.1) sono stati digeriti con EcoRI; mentre i cloni αS-CFP-RE e αS-YFP-RE con localizzazione nel RE (in pCMV-myc-ER) sono stati digeriti in due passaggi. Inizialmente questi ultimi cloni sono stati tagliati con gli enzimi Pst-I e XbaI in modo tale da ottenere una banda all’altezza di 1,2 kb, che è stata successivamente purificata con il kit Promega. Il DNA così purificato è stato ulteriormente digerito con l’ enzima BstN-I. I cloni che dalla corsa elettroforetica sono risultati corretti, poiché presentavano le bande attese, sono stati inviati per il sequenziamento, utilizzando come primer BGH Reverse e CMV forward.

Componente Concentrazione inziale Quantità usata Inserto CFP/YFP Xµl Vettore

pCDNA 3.1- αS-wt / pCMV-myc-ER-αS-wt Yµl Buffer T4 10x 1x T4 DNA ligase 5U/µl 5U

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Figura 6. Mappe vettori pcDNA3.1 e pCMV/myc/ER.

a) pcDNA3.1. Vettore citoplasmatico. αS-wt è inserita tra HindIII e NotI (delimitata in rosso). b) pCMV/myc/ER. Vettore reticolo endoplasmatico. αS-wt è inserita tra XhoI e NotI

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4.5 Colture cellulari di mammifero e trasfezione.

È stata utilizzata la linea cellulare di neuroblastoma umano SH-SY5Y, mantenuta nel mezzo DMEM (Dulbecco’s Modified Eagle’s Medium; Sigma-Aldrich):F12 (Ham’s F12; Euroclone®

) con 10% Fetal Bovine Serum (FBS; Euroclone®), 0.1 mg/ml streptomicina, 100 U/ml penicillina e 2mM Glutammina.

Per la trasfezione le cellule SH-SY5Y venivano piastrate in WillCo-dish (WillCo-Wells®) 35/22 mm con 1.5 ml di mezzo di crescita DMEM completo, in modo da ottenere una confluenza del 90-95% al momento della trasfezione. Il giorno seguente, le cellule venivano trasfettate con un ammontare di DNA variabile (0.6 - 2.4 µg) in base al tipo di esperimento (vedi risultati) per ciascuno vettore e utilizzando come agente trasfettante il Lipofectamine (Lipofectamine 2000™, Invitrogen Life Technologies), considerando un rapporto 1:2.5 tra DNA e Lipofectamine.

A questo punto, il mezzo veniva rimpiazzato con DMEM completo, ma senza antibiotici per non interferire con il processo di trasfezione.

Trascorse 24h dalla trasfezione, le cellule venivano differenziate tramite sostituzione del mezzo di crescita con DMEM:F12 con 1% di FBS e 10 µM di acido retinoico (RA).

4.6 Lisi cellulare e Western Blot.

Le cellule sono state staccate direttamente dalla piastra via scraper e utilizzando un buffer di lisi composto da PBS 1X, 1X di inibitori di proteasi e fosfatasi (complete Mini, EDTA free, e PhosphoStop, Roche Indianapolis-USA) e 1% Triton X-100 (Tx-100). Dopo la lisi, le frazioni solubile in detergente ionico (solubile) e non-ionico (insolubile) venivano separate mediante centrifugazione a 16,000 g, per 15 minuti a 4°C. La frazione insolubile è risospesa nel buffer di lisi con l’aggiunta di SDS 1%, successivamente sonicata e bollita a 95°C per 5 minuti. La concentrazione delle proteine nelle due frazioni è stata misurata tramite BCA Protein Assay Kit (Pierce, ThermoFisher Scientific, Rockford-USA) usando albumina di siero bovino (BSA) per costruire la retta di taratura.

Le proteine sono state corse su gel di poliacrilammide (CriterionTM TGX Stain-FreeTM Precast Gels) a 120 V, RT e poi trasferite elettroforeticamente su una membrana di nitrocellulosa, a 200 mA, O/N a 4°C, usando come transfer buffer il tampone carbonato (10 Nm NaHCO3, 3mM Na2CO3, 20%MeOH), un buffer con un pH altamente basico in uso nel nostro laboratorio perchè dimostrato favorire il trasferimento di αS. L’efficienza di trasferimento delle proteine sulla membrana è stata controllata mediante staining con Pounceau.

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I siti di legame aspecifici sono stati bloccati incubando la membrana per 30 minuti con non fat dry milk 5% (Bio-Rad-Usa) in PBS 1X contenente 0,01% Tween-20 (PBS-T) a RT.

Le membrane sono state successivamente incubate con lo specifico anticorpo primario, Syn1 (1:5000, BD Biosciences) diluito in non fat dry milk al 2.5% in PBS-T, O/N a 4°C, dopo di che sono state lavate con PBS-T per 10 minuti a RT e incubate per 1h RT con l’appropriato anticorpo secondario (1:5000), un anti-mouse coniugato con perossidasi di rafano (HRP) in nonfat milk 2.5% in PBS-T.

L’immunoreattività è stata visualizzata mediante chemiluminescenza, utilizzando come substrato il luminolo del kit SuperSignal West Femto Maximum Sensitivity Substrate (ThermoFisher Scientific; Rockford-USA), usando camera CCD-BASED Bio-Rad Molecular Imager ChemiDoc XRS per acquisire le immagini. L’intensità delle bande immunoreattive è stata determinata per densitometria, usando il software Quantity One (Bio-Rad).

4.7 Immunofluorescenza.

L’immunofluorescenza è stata realizzata in vetrini posti in piastre da 24 pozzetti. Prima della semina, alle piastre è stata applicata poli-D-lisina 0.1 mg/ml per 30 minuti a 37 °C, per consentire l’adesione delle cellule al vetro. Le cellule sono state lavate in PBS 1X, quindi fissate con una soluzione di formalina 3.7% per 15 minuti a RT e permeabilizzate con 0.5% TritonX-100 per 5 minuti a RT. Dopo 30 minuti di incubazione a RT con 3% FBS, necessario per bloccare siti di legame aspecifici, le cellule sono state incubate con anticorpo primario Grp94 (Stressgen) di ratto (1:500) diluito in FBS 3%, a 4°C O/N. Il giorno seguente le cellule sono state lavate in PBS 1X e incubate con anticorpo secondario coniugato ai fluorofori 633 Alexa Fluor ® ( 1:1000) diluiti in FBS 3% per 1 ora a RT al buio. Ultimato il periodo di incubazione, le cellule sono state lavate con PBS 1X ed incubate con la soluzione DAPI (1:10.000) per 5 minuti a RT, al buio. I vetrini sono stati, poi, lavati con PBS 1X e montati su Microscope Slides Thermo SCIENTIFIC, utilizzando come agente montante il Fluoromount™ (Sigma-Aldrich), per preservare la fluorescenza.

Le immagini sono state acquisite con il microscopio confocale TCS SP2 (Leica Microsystems; Wetzlar-Germany) con obiettivo ad olio 63x.

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4.8 Live Cell Imaging e FRET.

Tutti gli esperimenti sono stati eseguiti con il microscopio confocale TCS SL (Leica Microsystems) fornito di un’alta apertura numerica dell’obiettivo (HCX PLApo oil immersion 40X/1.00-0.50 N.A.).

Per gli esperimenti FRET, sono state inizialmente settate le condizioni di eccitazione e rilevamento dei fluorofori CFP e YFP.

I parametri caratteristici usati per gli esperimenti sono: 80% di intensità del laser 458 nm per l’eccitazione di CFP e 10% di intensità del laser 524 nm per l’eccitazione di YFP. Il tasso di scansione è di 400 Hz e zoom 4X, con una line average di 8.

Per esperimenti FRET sensibilizzati, sono necessarie tre immagini di acquisizione dello stesso campo: l’immagine del donatore ( eccitazione del donatore ed emissione nel canale del donatore), l’immagine dell’accettore ( eccitazione dell’accettore ed emissione nel canale dell’accettore), immagine FRET ( eccitazione del donatore ed emissione nel canale dell’accettore). Le immagini sono state acquisite sequenzialmente in modo da minimizzare lo scambio tra i canali.

L’analisi FRET è stata eseguita usando due differenti plug-in del softwar ImageJ chiamati Colocalization Analyzer e PixFRET (Feige et al., 2005; Hachet et al., 2006). Il primo plug-in calcola l’indice FRET dell’immagine partendo da immagini acquisite nel canale del donatore, nel canale dell’accettore e nel canale del FRET.

La prima parte del plug-in stima il Bleed Through (BT) Donatore, tra il canale donatore e il canale FRET, e il BT Accettore tra l’accettore e il canale FRET.

Nelle nostre condizioni sperimentali, i BTs di donatore ed accettore sono stati valutati rispettivamente di 0.1 e 0.36. Questi parametri sono usati per misura l’indice dell’immagine FRET, definito come indice FRET: IFRET-BTDonatOre*IDonatore-BTAccettore*IAccettore

Il plug-in PixFRET calcola un’immagine FRET normalizzata e l’efficienza FRET. Per immagini FRET normalizzate il plug-in calcola il rapporto tra l’indice dell’immagine FRET e la radice quadrata del prodotto tra l’immagine donatore e l’immagine accettore: NFRET=(FRETindex/ (donatore)*(accettore))*100.

L’efficienza FRET è stata misurata tramite Emissione Sensibilizzata, un metodo basato sulla valutazione della variazione nell’intensità di emissione dell’accettore.

Sui valori di FRET normalizzati (NFRET) così ottenuti, è stata poi eseguita un’analisi statistica mediante ANOVA One Way, con p-value di 0.05.

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39

5.1 Clonaggio dei biosensori αS-CFP/αS-YFP con localizzazione nel reticolo e localizzazione citoplasmatica.

I biosensori sono stati ottenuti clonando separatamente i fluorofori CFP e YFP, due varianti di GFP, in frame con il C-terminale di αS umana wt contenuta nel vettore pcDNA3.1 per l’espressione ubiquitaria o con il C-terminale di αS umana wt contenuta nel vettore pCMV-myc-ER, che dirige l’espressione di αS nel RE, attraverso una sequenza di localizzazione e ritenzione. Il biosensore originariamente citoplasmatico, è stato rinominato ubiquitario in quanto, in successivi esperimenti, è stata osservata una localizzazione più diffusa, fino a livello nucleare. Il clonaggio è stato realizzato utilizzando la metodologia TA-cloning, seguita da un subclonaggio nei vettori di espressione appena menzionati. La scelta del metodo TA è derivata dalla mancanza di adeguati siti di restrizione per i plasmidi originali pE-CFP-C1 e pE-YFP-C1, contenenti CFP e YFP, rispettivamente. Il TA-cloning è una rapida strategia di clonaggio a fase unica per il diretto inserimento di un prodotto di PCR in un vettore plasmidico, che sfrutta l’attività terminal-transferasica dell’enzima Taq polimerasi che, tramite un meccanismo stampo-indipendente, aggiunge deossiadenosina (A) all’estremità 3’ di una molecola di DNA a doppio filamento. Perciò, la maggior parte dei prodotti da PCR amplificati dalla Taq polimerasi è provvisto di 3’A-overhang, ad entrambe le estremità. Il vettore pCR2.1, utilizzato nella reazione di ligazione, è un vettore venduto già linearizzato, caratterizzato da singoli residui di deossitimidina

(T) all’ estremità 3’; questo permette un clonaggio non direzionato ad alta efficienza dei prodotti di PCR, facilitato dalla complementarietà tra il 3’-A dei prodotti di PCR e il 3’-T-overhang del vettore plasmidico.

Ho, quindi, proceduto nel seguente modo: i campioni di interesse, pE-CFP-C1 e pE-YFP-C1, sono stati sottoposti alle rispettive PCR, come descritto nel paragrafo 4.1 di Materiali e Metodi, utilizzando come primer di clonaggio Not-I-CFP-Frw e XbaI-CFP-Rev.

I prodotti di PCR, CFP e YFP, sono stati inseriti nel vettore pCR2.1 mediante ligazione e amplificati tramite trasformazione batterica. A seguito dello screening bianco/blu ho selezionato diverse colonie ed estratto il DNA plasmidico. Per le colonie contenenti l’inserto CFP il DNA plasmidico è stato digerito con enzima di restrizione EcoRI, mentre il DNA plasmidico delle colonie contenenti l’inserto YFP è stato digerito con Pst-I e EcoRV. I frammenti di DNA attesi dalla digestione erano:

- 750 bp ( inserto) e 3.9 kb ( vettore) nel caso di CFP; - 508 bp (inserto) e 4 kb (vettore) nel caso YFP.

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40

I cloni corretti sono stati sequenziati ed analizzati e ne è stato selezionato uno, rispettivamente per CFP e YFP, per procedere al subclonaggio nei plasmidi pcDNA3.1-αS-wt, per l’espressione ubiquitaria in cellule di mammifero e pCMV-myc-ER-αS-wt, per l’espressione nel reticolo.

Figura 7. Selezione cloni positivi alla reazione di digestione.

La selezione dei cloni corretti dopo clonaggio con la strategia del TA cloning è avvenuta tramite digestione con i seguenti enzimi di restrizione: clone CFP 1-5: digestione con EcoRI, con bande attese all’altezza di 750 bp e 3,9 kb; cloni YFP 1-3: digestione con Pst-I ed EcoRV, con bande attese all’altezza di 508 bp e 4 kb.

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Durante il subclonaggio, vari tentativi di restrizione hanno evidenziato una bassa capacità di taglio dell’enzima XbaI, inserito nella prima fase, così, è stato deciso di optare per una strategia non direzionale, utilizzando i siti di restrizione per NotI fiancheggianti le sequenze di CFP e YFP all’interno del vettore pCR2.1. In questo modo, eseguendo una digestione per entrambi i campioni con l’enzima di restrizione NotI, è possibile ottenere il frammento di DNA di 717 bp, corrispondente alla lunghezza sia di CFP che di YFP.

Il frammento è stato poi inserito con una ligazione al C-terminale di αS contenuta nei plasmidi pcDNA 3.1-αS-wt e pCMV-myc-ER-αS-wt.

I prodotti di ligazione sono stati trasformati in cellule E. Coli e seminati in piastre contenenti agar ed antibiotico ampicillina.

Dal momento che i plasmidi pcDNA 3.1-αS-wt e pCMV-myc-ER-αS-wt non contengono la sequenza di LacZ per il sistema di doppia selezione bianco/blu, le colonie batteriche che cresceranno conteranno il plasmide, che potrebbe anche risultare vuoto. Inoltre, poiché il subclonaggio non era direzionato, le sequenze di CFP e YFP si sono potute inserire nel plasmide ricevente in entrambe le direzioni. Per queste ragioni, un più ampio numero di colonie è stato selezionato ed amplificato per tutti i cloni ottenuti e il controllo tramite digestione per restrizione è avvenuto attraverso due digestioni sequenziali nel caso dei cloni a localizzazione nel RE. Per confermare il corretto inserimento degli inserti nei vettori plasmidici, sono state eseguite reazioni di digestione con enzimi differenti (Figura 8).

In particolare:

 αS-CFP- pcDNA3.1 è stato digerito con l’enzima di restrizione EcoRI e i frammenti di DNA attesi erano di 6.5 kb ( vettore) e 800 bp ( αS-CFP, inserto).

 αS-YFP-pcDNA3.1 è stato digerito con gli enzimi di restrizione EcoRI, con due bande attese all’altezza di 5.5 kb e 1.2 kb, indicative della lunghezza del vettore e dell’inserto (αS-YFP), rispettivamente.

 αS-YFP-pCMV-myc-ER è stato digerito con l’enzima di restrizione Pst-I, con bande attese di 5.6 kb e 630 bp;

 mentre per il costrutto αS-CFP-pCMV-myc-ER è stata eseguita una doppia digestione. Nella prima sono stati usati due enzimi, Pst-I e Xba-I, mediante i quali sono state ottenute due bande attese: 1,2 kb e 5.1 kb; di queste, la banda di lunghezza 1.2 kb, corrispondente ad αS+CFP, è stata purificata e sottoposta a successiva digestione con l’enzima di restrizione BstN-I.

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42

Poiché secondo la mappa del vettore pCMV-myc-ER sono presenti più siti di restrizione per l’enzima, a seguito della reazione di digestione saranno attese tutta una serie di bande a basso peso molecolare, tra cui due, una di 500 bp ed una di 300 bp, corrispondenti ad αS e CFP.

I cloni risultati positivi per le reazioni di digestione sopra descritte sono stati selezionati ed analizzati tramite sequenziamento.

a)

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43 c) d) e)

Figura 8. Selezione cloni positivi alla reazione di digestione.

I cloni contenenti i plasmidi attesi sono stati selezionati mediante digestione con i seguenti enzimi di restrizione: EcoRI per i biosensori αS-CFP- pcDNA3.1 (a) e α-YFP-pcDNA3.1 (b); Pst-I e Xba-I per αS-CFP-pCMV-myc-ER (c) da cui è stata ottenuta la banda di 1.2 kb, che è stata successivamente sottoposta a restrizione con l’enzima BstN-I (d); Pst-I per αS-YFP-pCMV-myc-ER (e) con bande attese di 5.6 kb e 630 bp. I cloni selezionati sono indicati dalle frecce nere.

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44 Figura 9. Schema biosensori.

Schema dei biosensori di αS ottenuti tramite clonaggio. A) Biosensori citoplasmatici. CFP/YFP clonati in frame al C-terminale di αS, inseriti all’interno del vettore pcDNA 3.1.

B) Biosensori per il reticolo endoplasmatico. CFP/YFP clonati in frame al C-terminale di αS, inseriti all’interno del vettore pCMV-myc-ER. In verde sono evidenziati il tag per il segnale di ritenzione (ERLS), al dominio N-terminale di αS, e la sequenza di indirizzamento al reticolo (SEKDEL).

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