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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale
Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE E
TECNICHE DELLE ATTIVITÀ MOTORIE
PREVENTIVE E ADATTATE
“International Classification of Functioning, Disability and Health: la
classificazione internazionale negli aspetti operativi dell’attività motoria
adattata”
Candidato:
Tivoli Alessio
Relatori:
Prof. Alberto Franchi
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1. Introduzione
Durante il mio percorso di studi presso l’Università degli Studi di Pisa, corso di laurea in Scienze e Tecniche delle attività motorie preventive e adattate, ho affrontato diverse tematiche spaziando da quelle mediche a quelle psicopedagogiche a quelle di indirizzo strettamente preventivo/riabilitativo; tra tante una in particolare mi ha affascinato e incuriosito: quella riguardante il concetto di disabilità. Cosa è la disabilità? Chi è il
disabile? Quando una persona è veramente disabile? .
Provare a dare una risposta a tutti questi interrogativi mi ha condotto a cercar di voler capire tramite ricerche come si era evoluto nel tempo il concetto di disabilità e come, nei decenni, si era evoluto l’approccio alla disabilità. Documentandomi sono venuto così a conoscenza della classificazione ICF e del linguaggio universale che questa era riuscita a coniare. Una visione quella dell’ICF quasi rivoluzionaria a mio modo di vedere perché, se prima della nascita di questa il quesito al quale si rispondeva era:”
cosa non si riesce a fare in una condizione di disabilità?” successivamente la questione
verteva su un altro concetto, esattamente opposto, ovvero:” cosa si riesce a fare in una
condizione di disabilità?”. Analizzando quindi il linguaggio ICF nel suo complesso
(partendo dall’organizzazione, passando alla struttura fino ad arrivare ad analizzare specifici casi studio e indagini legate all’utilizzo ICF in Italia) sono venuto a conoscenza di un adattamento di questa classificazione applicato nei giovani. Sviluppata per poter rispondere all’esigenza di una versione che potesse essere universalmente utilizzata per bambini e adolescenti nei settori della salute e dell’istruzione. Vedendo che l’ICF concentrava particolare attenzione sulla salute e sul funzionamento della persona ho cercato di capire, se e come, l’attività motoria adattata poteva inserirsi in modo corretto con la promozione delle differenti componenti della salute delineate nell’ICF riscontrando che il paragone non era poi così azzardato ma il contrario, le due componenti si mescolavano in maniera coerente. Ho affrontato quindi le eventuali problematiche dell’attività fisica adattata (AFA) nella disabilità cercando di mettere in risalto una figura, ahimè oggigiorno professionalmente poco riconosciuta, cioè quella del laureato in Scienze Motorie, professionista in grado di programmare, coordinare e valutare programmi di attività motoria e sportiva specificamente rivolti a persone diversamente abili.
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2. Storia delle classificazioni della disabilità
CLASSIFICAZIONI INTERNAZIONALI: ICIDH, ICIDH-2, ICF
Negli ultimi decenni la tendenza a considerare il problema dei disabili in una prospettiva basata sui diritti umani è maturata e si è ampiamente affermata a livello internazionale. Solo di recente, infatti, gli Stati più avanzati hanno posto la loro attenzione verso i diritti delle persone con disabilità ed attuato nei confronti di queste misure di politica sociale.
Agli inizi del ‘900 due sono le visioni della disabilità che hanno determinato altrettanti precisi approcci, ancora riconoscibili nella legislazione di molti Paesi:
1. La disabilità come conseguenza di un danno, di cui nessuno ha colpa, che causa reazione individuale di pietà, a cui la società risponde con un intervento di tipo riparatorio-assistenziale (approccio caritativo-assistenziale). La persona con disabilità, definita per lo più “invalido”, viene presa in carico dalla società, che risponde con soluzioni di tipo istituzionale e/o monetario, ma non si vede riconosciuti dei veri e propri diritti;
2. La disabilità come conseguenza di un danno alla salute della persona: il disabile, definito in questo caso “malato”, deve affidarsi completamente al medico che centrerà la sua attenzione in particolare alla sua patologia; la società risponde destinando risorse soprattutto allo sviluppo della medicina riabilitativa e al mantenimento di strutture e personale specifico (approccio medico).
A partire dagli anni ’60 si sviluppa un terzo approccio in base al quale:
3. La disabilità è una condizione umana che procura un forte rischio di discriminazione sociale per la persona; la società è l’agente responsabile dell’eliminazione di ogni barriera che non permetta il godimento dei diritti da parte dei cittadini con disabilità (approccio sociale alla disabilità), e risponde con l’eliminazione delle discriminazioni basate sulle disabilità e con azioni di “discriminazione positiva” (diritto alla uguaglianza e alla diversità)1.
1 C., Corsolini. Diritti umani e disabilità nella politica sociale internazionale. Bioetica, diritti umani e
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Mentre nei primi due approcci i protagonisti sono gli operatori assistenziali e quelli sanitari, nel terzo sono le stesse persone con disabilità e le loro organizzazioni (DPO, Disabled People’s Organizations: organizzazioni che hanno esplicitamente scelto un approccio sociale alla disabilità, pur non rappresentando per intero il movimento delle persone disabili.).
La lotta per assumere il controllo della propria esistenza da parte dei disabili, si riflette nel dibattito sull’uso di una terminologia corretta (non più invalidi, minorati,
handicappati) che rispecchi un mutamento concettuale e culturale e non sia solo un
linguaggio politicamente corretto.
La moderna Pedagogia speciale non può utilizzare un repertorio terminologico obsoleto, spesso privo di coerenza, pur tenendone conto come riferimento storico, deve fare i conti con l’evoluzione lessicale e semantica della terminologia che definisce la diversità e che rispecchia l’evolversi anche culturale, oltre che concettuale e scientifico, del modo di porsi nei confronti di tale problematica già ampia e complessa di per sé. Tale puntualizzazione non deve essere presa come una leziosità fine a se stessa, nasce dalla necessità di fare riferimento ad una terminologia chiara e condivisa, necessario presupposto di ogni dialogo e confronto scientifico; nasce dal bisogno di coerenza tra modo di pensare e di parlare di integrazione: adoperare un termine appropriato rappresenta già di per sé un momento di integrazione, riflette un cambiamento di atteggiamenti. L’introduzione di un nuovo vocabolario ha un valore fortemente “programmatico”: i nuovi termini non inducono solo atteggiamenti, ma evidenziano l’esigenza di nuove prassi, che si traducono in comportamenti e norme2.
Un termine abusato è quello di handicap che nel lessico comune (ma purtroppo molto spesso anche fra “gli addetti ai lavori”) è usato come sinonimo di danno o menomazione fisica o psichica, di difficoltà, malattia o sofferenza in genere e quindi anche utilizzato per indicare qualcosa di intrinseco alla persona e immutabile (handicappato, portatore di handicap). L’estrema disinvoltura nell’usare questo termine (che deve forse il suo successo al fatto di non essere italiano) è probabilmente determinata dal ritenere poco utile l’annoso dibattito sui problemi legati alla definizione e classificazione delle disabilità.
Nella maggior parte dei Paesi, ancora oggi per parlare di educazione specializzata si fa ricorso impropriamente alla terminologia dell’Handicap. Appare quindi importante,
2 M., Pavone, Prospettive internazionali dell’integrazione. In Ianes, D., Tortello, M. (a cura di), 1999. La
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quanto utile, analizzare la provenienza etimologica del termine per rendersi conto di come anche dal punto di vista semantico sia decisamente fuori luogo.
La parola Handicap tradisce le sue origini anglosassoni e risulta composta dalla fusione delle tre parole “hand” (mano) “in” e “cap” (cappello) e veniva utilizzata durante le sue prime apparizioni per descrivere delle prove o dei concorsi in cui i concorrenti, in base alla tipologia della gara, risultavano avere le stesse possibilità di vittoria finale. Il termine fu presto preso in prestito dal mondo ippico per descrivere la necessità di “zavorrare” i cavalli più leggeri e di conseguenza più avvantaggiati in quanto più esili, in modo tale da permettere a tutti i cavalli di partire con le stesse possibilità di vittoria. I bigliettini contenenti il riferimento numerico al cavallo venivano quindi depositati all’interno di un cappello dal quale ogni scommettitore pescava sapendo di avere, almeno in partenza, le stesse possibilità di qualsiasi altro scommettitore. Ci si rende conto di come l’etimologia del termine handicap abbia un’accezione assolutamente positiva, venendo ad identificare un livellamento dei vantaggi ed un azzeramento delle differenze iniziali. Se usata correttamente, quindi, la parola non dovrebbe avere la valenza negativa che il suo improprio utilizzo e l’uso corrente hanno poi di fatto determinato.
Questa differente sensibilità scientifica e culturale, che considera il concetto di handicap riduttivo in quanto tende a tralasciare l’insieme dei fattori sociali ed ambientali che di fatto costituiscono la principale fonte di ostacolo (handicap), è la stessa che ha spinto l’Organizzazione Mondiale della Sanità a dotarsi di una serie di strumenti di classificazione che potessero consentire una migliore osservazione ed analisi delle patologie organiche , psichiche e comportamentali delle popolazioni, al fine di migliorare la qualità delle diagnosi di tali patologie.
La prima classificazione elaborata risale al 1970 e prende il nome di ICD, laddove l’acronimo indica International Classification of Diseases. Come si evince dalla stessa dicitura della classificazione, l’attenzione viene puntata sulla parola diseases, ovvero sul concetto di malattia; lo strumento classificatorio tende infatti ad individuare le cause delle patologie fornendo per ognuna di esse una descrizione delle caratteristiche cliniche e limitandosi a tradurre i dati raccolti dall’analisi in codici numerici. L’ICD rivela ben presto vari limiti di applicazione dovuti alla sua stessa natura di classificazione causale, che focalizza cioè l’attenzione sull’aspetto eziologico della patologia al punto da spingere l’OMS ad elaborare un nuovo manuale di
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classificazione, più attento alle diverse componenti ambientali del soggetto che vive una specifica patologia.
Già nel 1980 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definiva, distingueva e classificava handicap, disabilità e menomazioni con la pubblicazione dell’International Classification of Impairement Disabilities and handicaps (ICIDH)3, come appendice dell’International Classification of Diseases (ICD). Appare chiaro fin dalla sua prima analisi che l’attenzione di questo nuovo strumento di classificazione si focalizzi non più sul concetto di malattia (diseases) bensì su quelli di menomazione (impairment), disabilità (disabilities) e handicap. Si ritiene cioè che non sia tanto importante partire dall’analisi della causa della patologia, ma analizzare al contrario l’influenza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute delle popolazioni. Si abbandona l’analisi clinico centrica a favore di un concetto di salute inteso come benessere fisico, mentale, relazionale e sociale che riguarda l’individuo la sua globalità e l’interazione con l’ambiente.
• “Si intende per menomazione qualsiasi perdita o anomalia a carico di una struttura o di funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche”. Essa comprende quindi sia le alterazioni transitorie o permanenti e le perdite di organi, sia i deficit di apparati funzionali (ivi compresa la funzione mentale) e rappresenta l’allontanamento dalla norma nella situazione biomedica individuale.
• “Si intende per disabilità qualsiasi restrizione o carenza (conseguente ad una menomazione) della capacità di svolgere un’attività nel modo o nei limiti ritenuti normali per un essere umano”. La disabilità, che può essere transitoria o permanente, si traduce in difficoltà nel realizzare i compiti normalmente attendibili da parte del soggetto considerato”.
“Si intende per handicap una condizione di svantaggio vissuta da una determinata persona in conseguenza di una menomazione o disabilità che limita o impedisce la possibilità di ricoprire il ruolo normalmente proprio a quella persona (in base all’età, al sesso, ai fattori culturali e sociali)”. L’handicap risulta allora dalla discrepanza tra l’efficienza reale o lo stato del soggetto e le aspettative di efficienza o di stato che egli stesso o il gruppo al quale appartiene hanno nei suoi confronti. L’handicap rappresenta quindi la socializzazione di una menomazione o di una disabilità e riflette le
3 Organizzazione Mondiale della Sanità, ICIDH. International Classification of ImpairmentsDisabilities
and handicaps. A manual of classification relating to conseguences of diseases, Ginevra, 1980.
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conseguenze culturali, sociali, economiche e ambientali della disabilità nell’esistenza dell’individuo considerato. La lista dei principali raggruppamenti nella definizione di ciascuno dei tre termini, riportata di seguito, può meglio aiutare a capire la distinzione:
• 1. Menomazioni della capacità intellettiva • 2. Altre menomazioni psicologiche
• 3. Menomazioni del linguaggio e della parola • 4. Menomazioni auricolari
• 5. Menomazioni viscerali • 6. Menomazioni scheletriche • 7. Menomazioni oculari • 8. Menomazioni deturpanti
• 9. Menomazioni generalizzate, sensoriali e di altro tipo
• 1. Disabilità nel comportamento • 2. Disabilità nella comunicazione
• 3. Disabilità nella cura della propria persona • 4. Disabilità locomotorie
• 5. Disabilità dovute all’assetto corporeo • 6. Disabilità nella destrezza
• 7. Disabilità circostanziali
• 8. Disabilità in particolari attività • 9. Altre restrizioni all’attività
• 1. Handicap nell’orientamento • 2. Handicap nell’indipendenza fisica • 3. Handicap nella mobilità
• 4. Handicap occupazionali
• 5. Handicap nell’integrazione sociale
Non è quindi corretto parlare di disabilità o handicap in assenza di menomazioni a carico di una struttura del corpo o delle funzioni mentali. L’handicap, pur derivando da una menomazione, non può con questa essere identificato, si tratta di uno svantaggio, che per esistere deve essere vissuto in una determinata società. La
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situazione è inversa in caso di disabilità che coinvolgano le funzioni intellettuali, dato che nella società attuale esse sono più valorizzate che in passato”.4
Appare evidente che le espressioni di menomazione, disabilità ed handicap, pur essendo tra di loro in relazione, indicano condizioni diverse e non possono essere usate in modo genericamente interscambiabile.
Il primo ICIDH per chiarire i rapporti tra malattia e sue conseguenze, proponeva uno schema di flusso lineare unidirezionale del tipo: situazione, anzi è proprio quella determinata situazione che lo genera. Sono, per questo motivo, improprie espressioni come “portatore di handicap” o “handicappato”, sarebbe più esatto parlare di “persona in situazione di handicap” proprio per sottolineare che l’handicap non lo si porta mai con sé, lo si trova in un contesto che lo crea nel momento in cui richiede prestazioni di abilità superiori a quelle che una persona con una menomazione può offrire.
Questo tipo di classificazione imponeva però alcune limitazioni:
a) Si poteva parlare di handicap solamente riferendosi a persone con delle disabilità e menomazioni;
b) L’handicap riguardava uno svantaggio “vissuto”, sperimentato dalla persona con disabilità;
c) La condizione di svantaggio interessava l’ambito dei ruoli e delle attività normalmente attesi dall’ambiente socio culturale di appartenenza dell’individuo;
d) Questa stessa situazione faceva riferimento alla discrepanza fra efficienza possibile e le aspettative di efficienza”.5
Ciò significa che una persona non può essere globalmente disabile, ma anzi, al variare dei contesti e delle richieste può manifestare abilità o difficoltà. Allo stesso modo, non può essere considerata globalmente handicappata solo perché, in alcuni ambiti specifici, sarebbe disabile a causa di specifiche menomazioni. Pur essendo vero che le menomazioni continuano ad essere presenti, le disabilità compaiono invece quando si ritengono necessarie alcune prestazioni (es. un audioleso non risulta disabile se deve correre, lo risulta invece se deve ascoltare); a loro volta gli handicap sono presenti solamente quando ci si attendono o si pretendono prestazioni standard a prescindere dalle effettive possibilità dell’individuo in questione. Anche in questo caso allora non avrebbe senso parlare di handicap o persone handicappate, poiché l’handicap
4 R., Vianello (1999). Difficoltà di apprendimento, situazione di handicap, integrazione. Ed. Junior, p. 12
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comparirebbe soltanto in contesti di “competizione”, di integrazione scolastica, sociale e comunitaria. Il termine handicap viene così utilizzato in riferimento alle effettive difficoltà che un individuo incontra. “E’ così possibile che una disabilità produca
handicap più gravi in una società, che non in un’altra. Ad esempio l’handicap collegato
con menomazioni e disabilità a livello motorio tende ad essere maggiore in una economia primitiva rurale (dove è richiesto molto lavoro manuale) che non nella nostra
Malattia Menomazione Disabilità Handicap
Questo schema portava però ad una errata interpretazione dei rapporti intercorrenti tra ciò che veniva classificato nei tre ambiti come conseguenza della malattia, in quanto le frecce, evidenziandone un nesso causale, sembravano voler presentare una situazione che necessariamente evolveva nel tempo in una determinata maniera, benché nel testo fosse specificato che le frecce andavano interpretate come “può portare a”6.
Puntare l’attenzione sulla “malattia” fa però correre diversi rischi, come quello di far coincidere la malattia con la persona, per cui si tende ad identificare quella persona come globalmente malata. In questi ultimi anni attorno al tema della disabilità si sono registrate alcune importanti novità; non sempre queste novità si sono trasformate in nuove prassi, però il fatto che esistano possono stimolare tutta una serie di cambiamenti a livello di organizzazione e di realizzazione di pratiche abilitative e riabilitative. Le novità più importanti riguardano innanzitutto la presenza, a livello internazionale, di nuove indicazioni a proposito di come procedere in sede di classificazione e di valutazione. Viene suggerito di non fare più riferimento alla classificazione delle disabilità, ma tutti gli operatori vengono incoraggiati ad elencare e a considerare i repertori di attività che le persone, anche con menomazione, intraprendono nella loro vita quotidiana. Il profilo che un tempo veniva redatto a proposito delle condizioni delle persone con menomazione e che conduceva ad un profilo di inadeguatezze, viene oggi sostituito con l’elenco di quelle attività che le persone riescono a svolgere in modo autonomo e con la segnalazione di quelle che l’Organizzazione Mondiale della Sanità chiama “repertorio di attività”.7
6 M., Pavone, (1999), Prospettive internazionali dell’integrazione in Ianes,D. e Tortello, M. (a cura di) La
Qualità dell’integrazione scolastica, Erickson, Trento.
7 S., Soresi. Autoefficacia e qualità della vita di chi lavora a contatto di persone con disabilità. Relazione
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Nel 1997 l’OMS ha riformulato l’ICIDH: l’International Classification of
Impairments, Activities and Partecipation (ICIDH-2) 8 che, pur mantenendo l’acronimo, ridefinisce due degli ambiti della precedente classificazione, quello inerente le disabilità, qui classificate come attività personali e quello relativo agli
handicap, ridefiniti come diversa partecipazione sociale.
Il nuovo modello di lettura della condizione delle persone con disabilità introduce nuovi concetti:
a) Il primo è la relazione tra funzioni ed attività: la valutazione di persone con disabilità
non va effettuata su parametri astratti di valutazione, ma sulla possibilità di svolgere determinate attività attraverso funzioni psicofisiche. Questo significa valutare le persone sulla base di ciò che sa fare;
b) Il secondo è il livello di partecipazione che le persone con disabilità vivono all’interno
della società;
Il terzo concetto individuato nell’ICIDH-2 è legato ai fattori contestuali che favoriscono o ostacolano le persone con disabilità. In conseguenza di una visione medica del problema si sono sviluppate pratiche che vedono e trattano le persone disabili in modo differente, che ne valutano in maniera distorta le capacità ed abilità; queste visioni hanno prodotto per alcuni secoli una pratica di riabilitazione separata (prima guarigione e poi inserimento) e di conseguenza l’invisibilità delle persone disabili.9
L’ICIDH-2 cerca di cogliere e classificare ciò che può verificarsi in associazione ad una condizione di salute, le “compromissioni” della persona o il suo “funzionamento”. A differenza della precedente versione, non è una classificazione che riguarda soltanto le condizioni di persone con disabilità fisiche o mentali, ma può essere applicata a qualsiasi persona in una condizione di salute tale da richiedere una valutazione dello stato di funzionamento a livello corporeo, personale o sociale. Nella nuova classificazione le abilità di un individuo non sono considerate patrimonio immutabile che se deficitario lo è in ogni situazione.
8 Organizzazione Mondiale della Sanità (1997), ICIDH-2. International Classification of Impairments,
Activities and Partecipation. A manual of dimensions of disablement and functioning, Ginevra.
9 G., Griffo, 2000 in C., Corsolini. Diritti umani e disabilità nella politica sociale internazionale. Bioetica,
diritti umani e disabilità. Saggi Child Development & Disabilities.Vol. XXVIII – n. 2/ 2002 quarterly. Pag. 18
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Alla luce di ciò, taluni preferiscono parlare di diversa abilità invece che di disabilità, sostenendo che questo serva non soltanto per non sottolineare gli aspetti deficitari di una persona ma per evidenziarne la possibilità di diversi gradi di abilità nelle diverse circostanze. Questa scelta, che non trova un corrispettivo in nessuno dei manuali diagnostico-statistici in uso, parrebbe legata quindi ad una valutazione in positivo delle abilità e delle prestazioni di persone con menomazioni fisiche o intellettive che, in alcune situazioni e in determinati contesti, possono presentare prestazioni anche migliori di quelle standard.
Il nuovo ICIDH-2 cerca perciò di superare i limiti della prima edizione, si aggiorna nella classificazione e nei criteri di valutazione, offre maggiori chiarimenti circa i rapporti tra i diversi livelli di classificazione e tiene conto dei ritorni, ovvero delle ricadute tra un livello e l'altro, tra una dimensione e l'altra e si completa con la dimensione dei fattori contestuali in cui e attraverso cui avviene il processo di compromissione, comprendendo tutti quei fattori che interagiscono con la persona e ne determinano il livello e il grado di partecipazione all’ambiente. Questi fattori riguardano principalmente due categorie: fattori ambientali (intrinseci o estrinseci all’individuo) e fattori personali (sesso, età, altre condizioni di salute, forma fisica, stile di vita, educazione ricevuta, background sociale, ecc.).
Condizioni di salute (disturbo/malattia) ↓ ↓ ↓ Menomazione ↔ Attività ↔ Partecipazione
↑ ↑ ⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯
↓
Fattori contestuali
Viene, con questa seconda versione, messa in evidenza la necessità di considerare la diversità come collocata all’interno di un complesso sistema che comprende diverse dimensioni strettamente interconnesse ed interdipendenti, per questo motivo “sono necessari modelli multipli per studiare i fenomeni di disabilitazione come processo interattivo e di evoluzione. L’ICIDH intende proporre un approccio multidimensionale
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modelli. L’ICIDH-2 è quindi un linguaggio: il testo che può essere creato con esso dipende da chi lo utilizza, dalla sua creatività e dal suo orientamento scientifico”10
La novità più importante nella seconda edizione dell’ICIDH è che non si sofferma a considerare unicamente i diversi aspetti deficitari di quanto e come una persona si discosta dalla normalità (malattie e menomazioni-disabilità-handicap) ma ciascuna dimensione viene valutata in termini sia positivi che negativi. In una programmazione educativa, quando è necessario operare delle scelte su ciò che è necessario ed opportuno per una data persona, è di pari importanza poter disporre di dati che indicano ciò che il soggetto non è in grado di fare e ciò che il soggetto è in grado di poter fare. "Questa seconda modalità, l’elencazione delle abilità, è importante sia perché consente una presentazione degli individui, evitando in tal modo di rafforzare l’alone negativo che la descrizione delle disabilità sovente suscita, sia perché denuncia il convincimento che, al di là delle restrizioni che una persona può presentare, non si ha a che fare con una situazione di completa “inabilità” per cui le pratiche abilitative e/o riabilitative potranno cimentarsi nella promozione di cambiamenti e miglioramenti”11
2.1 Processo di revisione: dall’ICIDH all’ICF.
L’ICF, International Classification of Functioning, Disabilities and Health, nasce in seguito ad alcune revisioni operate dall’OMS sull’ICIDH. Occorre precisare che l’acronimo ICIDH-2 è solo provvisorio e viene dato alla prima versione rivisitata dell’ICIDH nel 1993. Il primo aspetto innovativo della classificazione emerge nella stessa nomenclatura. A differenza delle precedenti classificazioni (ICD e ICIDH) nelle quali veniva dato ampio spazio alla descrizione delle malattie dell’individuo ricorrendo a termini quali malattia, menomazione ed handicap (usati prevalentemente in accezione negativa) nell’ultima classificazione l’OMS fa riferimento all’analisi della salute dell’individuo in chiave assolutamente positiva. Attraverso la classificazione si vuole fornire la più completa ed approfondita analisi dello stato di salute degli individui ponendo la correlazione fra salute ed ambiente, arrivando alla definizione di disabilità
10 M., Pavone, (1999), Prospettive internazionali dell’integrazione in Ianes,D. e Tortello, M. (a cura di) La
Qualità dell’integrazione scolastica, Erickson, Trento.
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intesa come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole. Questa nuova classificazione mette tutte le malattie e le patologie sullo stesso piano, senza distinguerle in rapporto a ciò che le ha causate. A parità di patologia, anzi, analizza il contesto sociale, familiare, abitativo o lavorativo del soggetto. Esamina cioè tutti gli elementi che possono influire sulla qualità della vita della persona.
La revisione viene fatta per rispondere ad alcune richieste: essere funzionale alle esigenze avvertite nei diversi Paesi; essere semplice e facilmente fruibile da parte dei professionisti, che lo percepiscono come una descrizione significativa delle conseguenze delle condizioni di salute; essere utile per identificare i bisogni di assistenza sanitaria e per predisporre quindi dei programmi di intervento; essere sensibile alle differenze culturali, in modo da poter essere applicato in culture e sistemi sanitari differenti; essere complementare a tutte le altre classificazioni OMS.
Prima della sua presentazione alla 54ª World Health Assembly nel maggio 2001 (dove viene approvato con il nome di ICF, Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute), l’ICIDH-2 subisce almeno 3 momenti di revisione, seguite da altrettante prove sul campo, atte a verificarne l’esaustività e l’efficacia: 1. 1996, Ginevra: meeting di revisione. Viene proposta la Bozza Alfa alla quale segue la
prima verifica pilota;
2. 1997: viene prodotta una versione Beta-1 che integrava i suggerimenti raccolti nel corso degli ultimi anni. In seguito ad un meeting tenutosi nell’aprile dello stesso anno, l’ICIDH-2 bozza Beta-1 viene pubblicato qualche mese più tardi. Si avviano le prove di verifica sul campo;
3. 1999: sulla base dei dati raccolti in seguito alle prove sul campo della Beta-1, tra gennaio ed aprile viene realizzata la bozza Beta-2, presentata a Londra in occasione del
meeting annuale e, arricchita delle decisioni prese nel corso dello stesso, pubblicata nel
luglio dello stesso anno per la prova sul campo;
4. 2000: dopo le prove sul campo della Beta-2, viene redatta ad ottobre la versione prefinale dell’ICIDH-2. Viene presentata in occasione del meeting annuale nel novembre e, dopo l’incorporazione delle decisione prese in questo meeting, la versione prefinale (dicembre
2000) viene sottoposta al Comitato Esecutivo dell’OMS (gennaio 2001);
5. 2001, maggio: la bozza finale dell’ICIDH-2 viene presentata alla 54 ª World Health Assembly dove, con il titolo di ICF, viene approvata.
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191 Paesi riconoscono l’ICF come la nuova norma per salute e disabilità. La salute è multidimensionale, così come la disabilità. L'ICF non è una classificazione che riguarda un “gruppo” ma riguarda tutte le persone poiché tutti possono avere una condizione di salute che in un contesto ambientale sfavorevole causa disabilità. È un capovolgimento di logica: mentre gli indicatori tradizionali si basano sui tassi di mortalità, l'ICF pone come centrale la qualità della vita delle persone affette o meno da una patologia, permette quindi di evidenziare come convivono con la loro condizione e come sia possibile migliorarla affinché possano contare su un'esistenza produttiva e serena. Lo scopo generale della classificazione ICF è quello di fornire un linguaggio
standard e unificato che possa servire da modello di riferimento per la descrizione della
salute e degli stati ad essa correlati. Di seguito vengono sintetizzati i principali aspetti innovativi dell’ICF rispetto la vecchia classificazione ICIHD:
ANALISI DELLE INNOVAZIONI DELL’ICF RISPETTO ALL’ ICIHD
1. Eliminazione dal lessico professionale dei termini “handicap”.
2. Assunzione di un atteggiamento più positivo (“cosa il soggetto è abile a fare, la partecipazione…”)
3. Nuova visione ecologico – comportamentale dell’uomo (oltre l’approccio medico si preferisce un linguaggio descrittivo ad uno valutativo)
4. Enfasi data ai livelli di partecipazione come indicatori dell’importanza attribuita all’integrazione e alla qualità della vita
5. Classificazione di situazioni e non di persone
Prima di focalizzarci a pieno sulla classificazione ICF poniamo la nostra attenzione su un'altra classificazione, quella dell’ICD-10 che, come vedremo in seguito viaggia di pari passo con quella dell’ICF. Vediamo perché …
2.2 Due classificazioni complementari: ICF e
ICD-10.
Nelle classificazioni internazionali dell’OMS le condizioni di salute vere e proprie (malattie, disturbi, lesioni, ecc.) vengono classificate principalmente nell’ICD-10 (International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems) che
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fornisce un modello di riferimento eziologico. Nell’ICF vengono invece classificati il funzionamento e le disabilità associati alle condizioni di salute. ICD-10 e ICF sono quindi complementari: il primo fornisce una “diagnosi” delle malattie, dei disturbi o di altri stati di salute e questa informazione si arricchisce delle informazioni aggiuntive offerte dall’ICF relative al funzionamento. Due persone con la stessa malattia, infatti, possono avere diversi livelli di funzionamento e due persone con lo stesso livello di funzionamento non hanno necessariamente la stessa condizione di salute. “Le informazioni sulla mortalità (ICD-10) e sulle condizioni di salute (ICF) possono essere combinate in una misurazione riassuntiva per controllare la salute delle popolazioni”. (ICF: International Classification of Functioning, Disabilities and Health. Edizioni Erickson, Trento).
La cosa che emerge con chiarezza nell’evoluzione delle classificazioni OMS (ICIDH, ICDH-2, ICF), è l’abbandono man mano definitivo del termine handicap e dei suoi derivati, che hanno connotazioni fortemente negative (handicappato) in favore di termini più aggiornati, più descrittivi dei contesti divita e che focalizzano l’attenzione sulle risorse e sulle prestazioni abili ovvero sulle abilità emergenti di un soggetto, invece che sui suoi insuccessi. Solo una valutazione in positivo rappresenta il punto di partenza di qualsiasi percorso educativo pensato per garantire il diritto alla non-omologazione e quindi all'originalità, alla diversità, alla irripetibile unicità di una persona.
L'attenzione alla persona consiglia quindi anche l'abbandono di una terminologia che in passato focalizzava l'attenzione sulla patologia o sugli elementi di diversità: il Down, il diabetico, l'autistico, il menomato, il disabile (ma è inadeguato anche il diversamente
abile) ecc., perché, anche in questo caso si fa coincidere la persona con la sua disabilità
che va invece considerata come attributo di quella persona in un determinato contesto di vita (il bambino con sindrome autistica, la persona con diversa abilità, ecc.). Non è quindi vero che "la questione di come debbano essere definiti" gli individui che vivono qualche grado di limitazione o restrizione funzionale resta sostanzialmente irrisolta nell' ICF: le indicazioni che ne emergono sono chiare, quelle di un "non-etichettamento" della persona. Nell'ICF il termine “disabilità” viene ad assumere il significato di "fenomeno multidimensionale" risultante dall’interazione tra persona e ambiente fisico e sociale; ciò si propone è una classificazione delle caratteristiche della salute delle persone all’interno delle loro situazioni di vita individuali ed ambientali. Questo tipo di classificazione si dimostra molto utile in ambito educativo, dove, di
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concerto ad altri sistemi di classificazione (ICD-10; DSM IV) contribuisce di fatto all’individuazione e pianificazione di interventi personalizzati per gli studenti con bisogni educativi speciali.
3. La tutela giuridica internazionale
La dichiarazione di MadridPromulgata nel 2002 in occasione dell'Anno Internazionale della Disabilità (2003), essa sposta l'asse di interesse da una visione eminentemente medico - scientifica ad una prettamente sociale. Diversi i punti trattati: dall'integrazione scolastica a quella lavorativa, dall'assistenza all'associazionismo dei disabili. Ciò sul quale si pone più volte l'accento è sul concetto di discriminazione come atteggiamento generale da combattere non solo con strumenti legislativi ma anche culturali.
Per questo uno dei concetti sviluppati è quello dell'autodeterminazione dei disabili, che si esplica anche attraverso la creazione di proprie associazioni. Chiaramente viene affrontata anche la questione delle donne disabili e della loro doppia discriminazione sociale.
Per ottenere ciò è necessaria una visione globale, dove diversi attori interagiscono per un unico scopo: quindi certamente si richiamano alle loro responsabilità organizzazioni politiche sia centrali che locali, ma anche sindacati, mass media, imprese.
La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità
Promulgata dall'ONU nel 2007, la convenzione si richiama esplicitamente a diversi principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: non discriminazione, eguaglianza, pari opportunità, rispetto dell'identità individuale. Si compone di 50 articoli, dei quali i primi 30 si incentrano sui diritti fondamentali (associazionismo, diritto di cura, diritto alla formazione personale, ecc.), mentre gli altri 20 riguardano le strategie operative atte a promuovere la cultura della disabilità.
La prima cosa che risulta evidente dalla Convenzione ONU per i diritti delle persone
con disabilità è che manca una definizione chiara del concetto di disabilità, preferendo
parlare, piuttosto, di persone disabili. Questo perché manca ancora, a livello internazionale, un'univoca e coerente definizione del concetto di "disabilità" (nonostante l'adozione dell'ICF), della quale pur si sente la necessità, in quanto basilare
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per qualsiasi strategia di ricerca e di pianificazione politica. Concetto da ricordare tuttavia l'articolo 1 parla esplicitamente di persone disabili, definendole come coloro che presentano una duratura e sostanziale alterazione fisica, psichica, intellettiva o sensoriale la cui interazione con varie barriere può costituire un impedimento alla loro piena ed effettiva partecipazione nella società, sulla base dell'uguaglianza con gli altri. Inoltre l'articolo definisce anche lo scopo stesso della Convenzione, che è quello di promuovere tutti i diritti delle persone disabili al fine di assicurare uno stato di uguaglianza. Anche l'articolo 3 è fondamentale, perché indica i principi stessi entro i quali la Convenzione si muove, elencandoli esplicitamente:
1. Il rispetto della persona nelle sue scelte di autodeterminazione; 2. La non discriminazione;
3. L'integrazione sociale;
4. L'accettazione delle condizioni di diversità della persona disabile; 5. Rispetto delle pari opportunità e dell'uguaglianza tra uomini e donne; 6. L'accessibilità;
7. Il rispetto dello sviluppo dei bambini disabili.
3.1 Le legislazioni nazionali
La Cassazione ha stabilito l'obbligo del reimpiego in altri compiti sempreché sussistenti in azienda per il lavoratore divenuto inabile alle mansioni (Cassazione, Sezioni Unite, n.7755/1998).
Oltre al datore di lavoro, spetta alla commissione sanitaria istituita presso l'Asl competente (prevista dalla legge 104) accertare l'aggravamento delle condizioni psico-fisiche di salute e se queste siano impeditìve allo svolgimento delle mansioni assegnate, o al reimpiego, la possibile ricollocazione del lavoratore disabile in altri uffici, settori o mansioni dell'azienda. (Cass. sent. n. 8450 del 10 aprile 2014).
Sebbene l'Italia abbia recepito la Convenzione con legge ordinaria numero 18 nel 3 marzo 2009, già la legge 5 febbraio 1992, n. 104 aveva fornito una prima tutela alle persone disabili ed ai loro diritti. Con la ratifica si è dato anche il via libera al progetto d'istituzione di un osservatorio sulla disabilità presieduto dal ministro del lavoro e composto da 40 membri e che coinvolge sia i molti osservatori diffusi a livello regionale, sia le associazioni di disabili, sia anche le rappresentanze sindacali. Tale
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osservatorio dura in carica 3 anni (eventualmente prorogabili per un ulteriore triennio), ed oltre a promuovere la Convenzione, avrà anche il compito di promuovere la raccolta di dati statistici che illustrino le condizioni delle persone con disabilità, al fine sia di predisporre una relazione sullo stato di attuazione delle politiche sulla disabilità, sia di predisporre un programma biennale di promozione dei diritti e di integrazione sociale. L'obbligo del certificato di sana e robusta costituzione, e di idoneità fisica al lavoro, per l'ammissione a concorsi pubblici e l'accesso agli impieghi nella pubblica
amministrazione italiana è stato abolito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, tranne però
nel caso di svolgimento di mansioni specifiche.
Resta invece obbligatorio per l'ammissione e frequenza di corsi di studio legalmente riconosciuti (allo stato attuale delle legislazione è tenuta a chiedere il certificato e, in assenza, può rifiutare l'iscrizione di un disabile senza obbligo di motivazione), al servizio civile, adozioni nazionali e internazionali, attività sportive non agonistiche per le quali non è richiesto il certificato di Stato di Buona Salute.
Tuttavia oggi non sempre i disabili vengono sostenuti dallo Stato. Nel 2013, l'allora ministro del lavoro Enrico Giovannini propose di introdurre, all'interno del proprio ministero, la figura del Disability Manager.12
I Disability Manager sono professionisti che lavorano nel campo della disabilità. In Italia, il loro ruolo ha trovato una prima legittimazione istituzionale nel 2009 grazie al "Libro bianco su accessibilità e mobilità urbana - Linee guida per gli enti locali"13 a cura del tavolo Tecnico istituito tra Comune di Parma e Ministero del Lavoro, della salute e delle Politiche Sociali allora guidato dal ministro Sacconi.
Il profilo dei Disability Manager non è stato definito con precisione in alcuna normativa, né esiste un apposito Albo professionale. Tuttavia il citato “Libro bianco” offre alcuni orientamenti. Secondo tale documento, il Disability Manager deve impegnarsi a:
Promuovere presso le singole componenti dell'Amministrazione comunale un'attenzione peculiare alle persone con disabilità;
Segnalare tempestivamente ai responsabili degli uffici eventuali iniziative e azioni che possano porsi in contrasto con gli enunciati della Convenzione Internazionale sui Diritti delle Persone con Disabilità;
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Evidenziare possibili linee-guida di intervento al fine di promuovere i diritti delle persone con disabilità;
Prevedere una segnaletica adeguata per l'accesso alle sedi dei servizi, definendo contrasti cromatici, colori e simbologia omogenea in modo da essere più facilmente identificabili, sia alle persone con disabilità sensoriali che psicofisiche, oltre che agli anziani;
Verificare l'effettiva accessibilità delle strutture comunali in collaborazione con i diversi servizi, individuando le situazioni di difficoltà al fine del loro superamento.
12 Disabili, Giovannini: "Creare un disability manager nei ministeri", Il Fatto Quotidiano, 13 luglio 2013.
13 Comune di Parma, Ministero del Lavoro della Salute e delle politiche sociali. Libro bianco su accessibilità
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4. La classificazione ICF
L’ICF è una classificazione che ha diversi scopi e può essere utilizzata in discipline e settori diversi. I suoi scopi principali possono essere così sintetizzati:
• fornire una base scientifica per la comprensione e lo studio della salute, delle condizioni, conseguenze e cause determinanti ad essa correlate;
• stabilire un linguaggio comune per la descrizione della salute e delle condizioni ad essa correlate allo scopo di migliorare la comunicazione fra i diversi utilizzatori, tra cui gli operatori sanitari, i ricercatori, gli esponenti politici e la popolazione, incluse le persone con disabilità;
• rendere possibile il confronto fra dati raccolti in Paesi, discipline sanitarie, servizi e in periodi diversi;
• fornire uno schema di codifica sistematico per i sistemi informativi sanitari.
Questi scopi sono interrelati fra loro, dal momento che le esigenze che sono alla base dell’ICF e le sue applicazioni richiedono la creazione o la disponibilità di un sistema significativo e pratico che possa essere usato da vari consumatori per una politica sanitaria, una garanzia di qualità e una valutazione dei risultati in culture diverse.
4.1 Applicazioni dell’ICF
Da quando è stato pubblicato nel 1980 solo come versione per la sperimentazione sul campo, l’ICIDH è stato adoperato per vari propositi. Ad esempio:
• come strumento statistico: nella raccolta e nella registrazione di dati (per es. in demografia, negli studi e nelle inchieste su popolazioni o nei sistemi informativi);
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• come strumento di ricerca: per misurare i risultati, la qualità della vita o i fattori ambientali;
• come strumento clinico: nell’assessment dei bisogni, nell’abbinamento fra trattamenti e condizioni specifiche, nell’assessment per l’orientamento, nella riabilitazione e nella valutazione dei risultati;
• come strumento di politica sociale: progettazione di previdenza sociale, sistemi di indennità, pianificazione e realizzazione di progetti politici;
• come strumento educativo: programmazione di curricula e miglioramento della consapevolezza e delle azioni sociali.
Dal momento che l’ICF rappresenta una classificazione della salute e degli stati ad essa correlati, esso viene utilizzato anche in settori come quello assicurativo, della previdenza sociale, del lavoro, dell’istruzione, dell’economia, della legislazione e delle modificazioni ambientali. Così è stata accettata come una delle classificazioni delle Nazioni Unite, e adotta le Standard Rules on the Equalization of Opportunities for
Persons with Disabilities (adottate dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in
occasione della sua 48° sessione, il 20 dicembre 1993 e pubblicate nel 1994 dal United
Nations Department of Public Information, New York). In quanto tale, l’ICF
costituisce lo strumento adeguato per la realizzazione dei mandati internazionali a difesa dei diritti dell’uomo nonché di legislazioni nazionali.
L’ICF può essere utile per un’ampia gamma di applicazioni diverse, come per esempio, l’ambito della previdenza sociale, della valutazione nell’assistenza sanitaria e delle ricerche statistiche su popolazioni a livello locale, nazionale e internazionale. Esso offre una struttura concettuale per l’organizzazione delle informazioni che è applicabile all’assistenza sanitaria personale — comprese la prevenzione e la promozione della salute — e al miglioramento della partecipazione attraverso la rimozione o la diminuzione degli ostacoli sociali e la promozione di supporto sociale e di facilitatori. È applicabile altresì allo studio dei sistemi di assistenza sanitaria per la valutazione e la formulazione di politiche.
L’ICF racchiude tutti gli aspetti della salute umana e alcune componenti del benessere rilevanti per la salute e li descrive come domini della salute e domini ad essa correlati
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(esempi di domini della salute sono la vista, l’udito, il camminare, l’apprendere e il ricordare, mentre esempi di domini correlati alla salute includono il trasporto, l’istruzione e le interazioni sociali). La classificazione si riferisce all’ampio contesto della salute e non copre circostanze che non sono ad essa correlate, come quelle causate da fattori socioeconomici. Per esempio, le persone possono essere limitate nell’esecuzione di un compito nel loro ambiente attuale a causa della razza, del sesso, della religione o di altre caratteristiche socioeconomiche; non essendo queste limitazioni correlate alla salute, esse non vengono classificate nell’ICF.
Molto spesso si ritiene erroneamente che l’ICF riguardi soltanto le persone con disabilità; in realtà esso riguarda tutti. Gli stati di salute e quelli ad essa correlati, associati a tutte le condizioni di salute possono trovare la loro descrizione nell’ICF. In altre parole, l’ICF ha un’applicazione universale.
4.2 Organizzazione e Struttura dell’ICF
Le informazioni fornite dall’ICF sono una descrizione delle situazioni che riguardano il funzionamento umano e le sue restrizioni, e la classificazione serve da modello di riferimento per l’organizzazione di queste informazioni, strutturandole in modo significativo, interrelato e facilmente accessibile.
L’ICF organizza le informazioni in due parti.
La Parte 1 si occupa di Funzionamento e Disabilità, mentre la Parte 2 riguarda i Fattori Contestuali. Ogni parte è composta da due componenti:
PARTE 1: Componenti del Funzionamento e della Disabilità. La componente del
Corpo comprende due classificazioni, una per le funzioni dei sistemi corporei e una per
le strutture corporee. I capitoli delle due classificazioni sono organizzati in base ai sistemi corporei. La componente di Attività e Partecipazione comprende la gamma completa dei domini che indicano gli aspetti del funzionamento da una prospettiva sia individuale che sociale.
PARTE 2: Componenti dei Fattori Contestuali. La prima componente dei Fattori Contestuali è un elenco di Fattori Ambientali. I fattori ambientali hanno un impatto su tutte le componenti del funzionamento e della disabilità e sono organizzati secondo un
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ordine che va dall’ambiente più vicino alla persona a quello più generale. Anche i
Fattori Personali sono una componente dei Fattori Contestuali, ma non sono
classificati nell’ICF a causa della grande variabilità sociale e culturale ad essi associata.
Le componenti del Funzionamento e della Disabilità nella Parte 1 dell’ICF possono essere espresse in due modi. Da un lato possono essere usate per indicare problemi (per es. menomazioni, limitazione dell’attività o restrizione della partecipazione, raggruppati sotto il termine ombrello disabilità; dall’altro possono indicare aspetti non problematici (neutri) della salute e degli stati ad essa correlati, raggruppati sotto il termine ombrello funzionamento. Queste componenti del funzionamento e della disabilità vengono interpretate attraverso quattro costrutti separati ma correlati. Questi costrutti vengono resi operativi utilizzando i qualificatori. Le funzioni e le strutture corporee possono essere classificate attraverso cambiamenti nei sistemi fisiologici o in strutture anatomiche. Per la componente Attività e Partecipazione sono disponibili due costrutti: capacità e performance. Il funzionamento e la disabilità di una persona sono concepiti come un’interazione dinamica tra le condizioni di salute (malattie, disturbi, lesioni, traumi, ecc.) e i fattori contestuali. Come indicato in precedenza, i Fattori Contestuali includono sia i fattori personali che quelli ambientali. L’ICF comprende un elenco esauriente dei fattori ambientali in quanto componenti essenziali della classificazione. I fattori ambientali interagiscono con tutte le componenti del funzionamento e della disabilità. Il costrutto di base dei Fattori Ambientali è la funzione facilitante o ostacolante che il mondo fisico, sociale e degli atteggiamenti può avere sulle persone.
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Le 4 componenti della classificazione sono indicate con dei prefissi per ogni codice: • b per le Funzioni corporee
• s per le Strutture corporee • d per Attività e Partecipazione • e per i Fattori ambientali
Il prefisso d indica i domini compresi nella componente Attività e Partecipazione. A discrezione dell’utilizzatore, tale prefisso può essere sostituito con a o p, per indicare rispettivamente attività e partecipazione.
Le lettere b, s, d ed e sono seguite da un codice numerico che comincia con il numero del capitolo (una cifra), seguito dal secondo livello (due cifre), e dal terzo e dal quarto (una cifra ciascuno). Ad esempio nella classificazione delle Funzioni Corporee, i codici sono i seguenti:
b2 Funzioni sensoriali e dolore (elemento del primo livello) b210 Funzioni della vista (elemento del secondo livello) b2102 Qualità della visione (elemento del terzo livello) b21022 Sensibilità al contrasto (elemento del quarto livello)
A seconda delle sue necessità, l’utilizzatore potrà impiegare un numero qualsiasi di codici applicabili a ciascun livello. Per descrivere la situazione di un individuo può essere applicabile più di un codice per ogni livello. Essi possono essere indipendenti o interconnessi. Nell’ICF, lo stato di salute di una persona può essere classificato con un
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insieme di codici attraverso i domini delle componenti della classificazione. Il numero massimo di codici disponibile per ciascuna applicazione è di 34 al primo livello, quello del capitolo (8 codici per le funzioni corporee, 8 per le strutture corporee, 9 per le performance e 9 per le capacità), e di 362 al secondo livello. Al terzo e al quarto livello sono disponibili fino a 1424 codici, che presi tutti insieme costituiscono la versione completa della classificazione. Nelle applicazioni pratiche dell’ICF, una gamma da 3 a 18 codici può essere adeguata per descrivere un caso al secondo livello di precisione (3 cifre). In genere la versione più dettagliata, quella a quattro livelli, è prevista per servizi specialistici (ad es. per classificare gli effetti della riabilitazione, in ambito geriatrico o nell’ambito della salute mentale), mentre la classificazione a due livelli può essere usata per esami e per la valutazione dello stato di salute.
I domini dovrebbero essere codificati come applicabili a uno specifico momento (come la descrizione istantanea di un incontro), che è la posizione di base. È possibile comunque anche un utilizzo prolungato nel tempo per descrivere un andamento nel tempo o un processo. Gli utilizzatori dovrebbero inoltre identificare il loro stile di codifica e l’unità temporale che utilizzano.
Capitoli
Ogni componente della classificazione è organizzata in capitoli e in titoli del dominio al di sotto dei quali si trovano le categorie comuni o gli item specifici. Ad esempio nella classificazione delle
Funzioni Corporee il Capitolo 1 si occupa di tutte le funzioni mentali.
Blocchi
I capitoli sono spesso suddivisi in «blocchi» di categorie. Ad esempio nel Capitolo 3 della classificazione di Attività e Partecipazione (Comunicazione), ci sono tre blocchi: Comunicare-Ricevere (d310-d329), Comunicare – Produrre (d330-d349) e Conversazione e uso di apparecchiature e tecniche di comunicazione (d350-d369). I blocchi sono inseriti per comodità degli utilizzatori e, a rigor di termini, non fanno parte della struttura della classificazione e in genere non verranno usati a scopi di codifica.
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Categorie
All’interno di ciascun capitolo ci sono categorie individuali a due, tre o quattro livelli, ognuna con una breve descrizione e inclusioni ed esclusioni appropriate per facilitare la scelta del codice adatto.
Qualificatori
I codici ICF richiedono l’uso di uno o più qualificatori, che denotano, per esempio, l’entità del livello di salute o la gravità del problema in questione. I qualificatori vengono codificati come uno, due o più numeri dopo un punto. L’uso di ciascun codice dovrebbe essere accompagnato da almeno un qualificatore. Senza qualificatori i codici non hanno significato intrinseco (di base, l’OMS interpreta i codici incompleti come assenza di problema — xxx.00).
Il primo qualificatore per le Funzioni e le Strutture Corporee, i qualificatori performance e capacità per le Attività e la Partecipazione, e il primo qualificatore per i Fattori Ambientali descrivono tutti la gravità dei problemi nelle rispettive componenti. Tutte le componenti sono quantificate usando la stessa scala. Avere un problema può significare una menomazione, una limitazione, una restrizione o una barriera, a seconda del costrutto. Dovrebbero essere scelte parole appropriate per la qualificazione, come esposto sotto tra parentesi, a seconda del dominio della classificazione rilevante (xxx sta per il numero del dominio di secondo livello):
xxx.0 NESSUN problema (assente, trascurabile...) 0-4% xxx.1 problema LIEVE (leggero, piccolo...) 5-24% xxx.2 problema MEDIO (moderato, discreto...) 25-49% xxx.3 problema GRAVE (notevole, estremo...) 50-95% xxx.4 problema COMPLETO (totale...) 96-100% xxx.8 non specificato
xxx.9 non applicabile
4.3 La Checklist ICF
Uno degli strumenti di supporto alla classificazione ICF è la Checklist, uno strumento pratico per evidenziare e registrare informazioni sul funzionamento e sulle disabilità di una persona e per identificare l’ambiente come barriera o facilitatore. Queste
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informazioni possono essere riassunte in una cartella personale (ad esempio, nella pratica clinica o nel lavoro sociale). Nel compilare la Lista di Valutazione si utilizzano tutte le informazioni disponibili.
È suddivisa in 4 parti, ogni parte riferita a uno specifico dominio, di seguito analizzate e definite.
Parte 1: Funzioni corporee e strutture corporee
Le funzioni corporee sono le funzioni fisiologiche dei sistemi corporei (incluse le funzioni psicologiche). Queste comprendono al loro interno: funzioni mentali, sensoriali e legate al dolore; della voce e dell’eloquio, dei sistemi cardiovascolare, ematologico, immunologico, e dell’apparato respiratorio, dell’apparato digerente e del sistema metabolico endocrino, genitourinarie e riproduttive, neuro-muscoloscheletriche e correlate al movimento; della cute e delle strutture correlate Le strutture corporee sono le parti anatomiche del corpo, come gli organi, gli arti e le loro componenti. Queste comprendono al loro interno: strutture del sistema nervoso, orecchio, occhio, e strutture correlate; strutture coinvolte nella voce e nell’eloquio; strutture dei sistemi cardiovascolare, immunologico, e dell’apparato respiratorio; strutture correlate all’apparato digerente e ai sistemi metabolico ed endocrino, correlate ai sistemi genitourinario e riproduttivo, cute.
Le funzioni corporee vengono codificate con un qualificatore che indica l’estensione della menomazione da cui sono interessate, cioè la gravità del problema rilevato in quella specifica funzione.
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Esempio di un uso corretto del qualificatore per le funzioni corporee.
Esempio 1
Funzioni del corpo. Funzioni neuro-muscoloscheletriche e correlate al movimento (Codice b7302)
Codice .qualificatore
Entità Descrizione del
problema
b7302 - Forza dei muscoli di un
lato del corpo
b7302.0 nessun
problema
Nessuna menomazione della forza muscolare.
b7302.1 problema
lieve
La menomazione della forza muscolare è ben tollerata e poco frequente.
b7302.2 problema medio La menomazione della forza muscolare interferisce sensibilmente e frequentemente nella vita quotidiana. b7302.3 problema grave La menomazione della forza muscolare è molto frequente, forte e disturbante. b7302.4 problema completo La menomazione della forza muscolare è inabilitante, totalmente disturbante e continua.
L’uso dei qualificatori 8 e 9 va limitato il più possibile ai fini della costruzione di un quadro conoscitivo completo ed adeguato a dare sviluppo alla fase di progettualità. In ogni caso, l’uso del qualificatore 8 è da utilizzare nelle situazioni laddove si denota l’esistenza di un problema per il quale le informazioni a disposizione, al momento della valutazione, risultano insufficienti per definirne il livello di gravità. In tali casi va considerata la rilevanza dell’informazione ai fini della costruzione del progetto e l’eventuale rinvio valutativo al momento dell’acquisizione dell’informazione mancante
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o carente. Va precisato che l’uso esteso in interi capitoli di funzioni del qualificatore 8 (come ad esempio nelle funzioni sensoriali o in quelle del movimento, o nei codici predittivi del comportamento) rende ovviamente non determinabile, a livello informatico, il livello di gravità della persona e richiede pertanto i dovuti approfondimenti, che possono anche basarsi sulla documentazione clinica disponibile.
L’uso del qualificatore 9 ha il significato di “non applicabile”. Il qualificatore 9 si utilizza quando il codice non appare appropriato alla persona presa in considerazione, evitando di usarlo quando la persona non fa qualcosa perché non ne ha le capacità, ma quando l’informazione richiesta risulta inadeguata alla situazione. Esempi:
• b650 – codice relativo alle funzioni mestruali di un individuo maschio;
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0 Nessuna menomazione significa che la persona non presenta il problema.
1 Menomazione lieve significa che il problema è presente in meno del 25% del tempo,
con un'intensità che la persona può tollerare e che si è presentato raramente negli ultimi 30 giorni.
2 Menomazione media significa che il problema è presente in meno del 50% del tempo,
con un'intensità che interferisce nella vita quotidiana della persona e che si è presentato occasionalmente negli ultimi 30 giorni.
3 Menomazione grave significa che il problema è presente per più del 50% del tempo,
con un'intensità che altera parzialmente la vita quotidiana della persona e che si è presentato frequentemente negli ultimi 30 giorni.
4 Menomazione completa significa che il problema è presente per più del 95% del
tempo, con un'intensità che altera totalmente la vita quotidiana della persona e che si è presentato quotidianamente negli ultimi 30 giorni.
8 Non specificato significa che l'informazione è insufficiente per specificare la gravità
della menomazione.
9 Non applicabile significa che è inappropriato applicare un particolare codice (es:
b650 Funzioni della mestruazione per donne in età di pre-menarca o di post-menopausa).
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Immagine tratta da: “2003, OMS, ICF Checklist (Trad. it. DIN, 2004, Checklist ICF,
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Le strutture corporee vengono codificate con tre qualificatori.
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Immagine tratta da: “2003, OMS, ICF Checklist ( Trad. it. DIN, 2004, Checklist ICF,
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Parte 2: Attività e Partecipazione
L’Attività è l’esecuzione di un compito o di un azione da parte di un individuo. Questa
comprende al suo interno: apprendimento e applicazione delle conoscenze; compiti e richieste generali, comunicazione, mobilità, cura della propria persona, vita domestica, interazioni e relazioni interpersonali, aree di vita principali, vita sociale, civile e di comunità
La Partecipazione è il coinvolgimento in una situazione di vita.
L’attività e la Partecipazione vengono codificate con 2 qualificatori: Capacità e Performance
Capacità: rispetto ad un azione, compito o funzione, quello che il soggetto è in grado di fare senza alcuna influenza, positiva o negativa, di fattori contestuali, ambientali o personali. Il più alto livello probabile di funzionamento in un ambiente standard o uniforme.
Performance: quello che il soggetto fa sotto l’influenza, positiva o negativa, dei fattori contestuali. Descrive il coinvolgimento della persona nelle situazioni di vita
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Immagine tratta da: “2003, OMS, ICF Checklist ( Trad. it. DIN, 2004, Checklist ICF,
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Nota bene: I fattori contestuali (successivamente analizzati) possono avere un’influenza positiva (facilitatori) o negativa (barriere) sull’individuo
Immagine tratta da: http://elite.polito.it/files/courses/01OQM/slide2014/11-Introduzione.pdf
Esempio 1:
37 Esempio 2:
Immagine tratta da: http://elite.polito.it/files/courses/01OQM/slide2014/11-Introduzione.pdf
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Parte 3: I fattori ambientali
I fattori ambientali costituiscono l’ambiente fisico, sociale e degli atteggiamenti in cui le persone vivono e conducono la loro esistenza. Al suo interno troviamo: prodotti e tecnologie, ambiente naturale e cambiamenti ambientali effettuati dall’uomo, relazioni e sostegno sociale, atteggiamenti, servizi/sistemi e politiche
I fattori ambientali vengono classificati secondo 2 qualificatori: Facilitatori e Barriere
Facilitatori: qualsiasi fattore ambientale in grado di modificare in termini positivi il funzionamento di una persona in una determinata attività.
Barriera: qualunque fattore nell’ambiente di un individuo che limita il suo funzionamento e crea disabilità
Anche qui abbiamo un codice numerico che indica l’entità dei facilitatori o delle barriere.
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Immagine tratta da: “2003, OMS, ICF Checklist (Trad. it. DIN, 2004, Checklist ICF,
40 Parte 4: Fattori personali
Fattori correlati all’individuo quali l’età, il sesso, la classe sociale, le esperienze di vita, modelli di comportamento generali e stili caratteriali che possono giocare un certo ruolo nella disabilità a qualsiasi livello. Non sono classificati nell’ICF a causa della loro estrema variabilità ma fanno parte del modello descrittivo del funzionamento e della disabilità.
4.4 Ruolo dei professionisti nella compilazione
della Checklist ICF
La compilazione della parte sanitaria delle Strutture corporee e Funzioni corporee è a cura del medico di famiglia o dello specialista che ha in carico la persona.
La sezione dedicata alla funzioni mentali è compilata e/o integrata dalle valutazioni di
psicologi.
La compilazione della parte riguardante attività e partecipazione (A&P) è a cura di: Educatori professionali, come esito dell’osservazione della performance della persona
alle attività quotidiane, e delle capacità considerate, sulla base di strumenti a discrezione del singolo professionista. Alla stessa si collega l’osservazione dei fattori ambientali, in modo specifico relazioni e/o atteggiamenti, che influenzano la performance e le capacità della persona.
Assistenti sociali, coerentemente con la parte di valutazione sociale, per gli aspetti di attività rilevabili a livello domiciliare e familiari, inclusi i fattori ambientali ed il supporto della rete formale e informale. Si tratta in sintesi di concorrere alla costruzione di un quadro di funzionamento ponendo in rilievo la dimensione sociale quale livello di partecipazione ad un dato contesto sociale e relative caratteristiche.
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5. Indagine sull’uso della Classificazione
Internazionale del funzionamento, della
disabilità e della salute (ICF) in Italia
A metà febbraio 2016 è stata lanciata un’indagine online sul Portale Italiano delle Classificazioni sanitarie (www.reteclassificazioni.it) per raccogliere informazioni sull’uso di ICF da parte di utilizzatori. L’iniziativa è stata promossa dal Centro Collaboratore italiano per la Famiglia delle Classificazioni internazionali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha in gestione il Portale, inviando una newsletter a tutti gli iscritti.
Il campione dell’indagine dal Portale Italiano delle Classificazioni sanitarie
Per registrare il maggior numero di risposte è stata data l’opportunità di rispondere all’interno di una finestra di giorni abbastanza ristretta, 10gg. La chiusura della rilevazione era prevista per la data del 25 febbraio; il termine è stato prorogato al 29 febbraio.
A fine febbraio 2016 hanno risposto 134 persone, più della metà sono donne (57%). Più del 60% dei rispondenti ha un’età superiore ai 45 anni.