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I foraggi conservati e la qualità microbiologica del latte

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Academic year: 2021

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27 July 2021

AperTO - Archivio Istituzionale Open Access dell'Università di Torino

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I foraggi conservati e la qualità microbiologica del latte

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Società Agraria Lombardia

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I foraggi conservati e la qualità microbiologica del latte

Conserved forages and microbial quality of milk

Giorgio Borreani*, Ernesto Tabacco

Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari, Largo Braccini, 2 – 10095 Grugliasco (TO) * per la corrispondenza. giorgio.borreani@unito.it

Riassunto

La qualità microbiologica e sanitaria dei foraggi conservati e in particolare degli insilati è un dei fattori chiave per la sicurezza e la qualità della filiera di caseificazione del latte. Alcuni microrganismi, quali gli sporigeni anaerobi possono moltiplicarsi negli insilati e a certi livelli di contaminazione il loro controllo diventa molto difficoltoso, soprattutto nella filiera di caseificazione di formaggi a lunga conservazione, quali il Grana Padano DOP. Il lavoro evidenzia i punti critici della conservazione tramite insilamento e le azioni per la riduzione del rischio di contaminazione del latte a livello della produzione primaria.

Abstract

The microbiological quality of conserved forages, and of silages in particular, is a key factor for the safety and quality of the whole chain of milk destined for cheese making. Some microorganisms, such as anaerobic spore-formers, can multiply in silage, and at certain levels of contamination, their control becomes very difficult, especially in the process of making hard cheeses, such as Grana Padano PDO. The work highlights the critical issues of conservation by ensiling and the actions to reduce the risk of contamination of the milk at the farm level.

I foraggi conservati e la qualità del latte

La qualità microbiologica, nutrizionale e sanitaria del latte di cisterna nella produzione primaria è influenzata da molti fattori della gestione aziendale. I principali fattori coinvolti sono la gestione dell’alimentazione, la produzione e gestione dei foraggi conservati per l’alimentazione, la tipologia di strutture di stabulazione e di mungitura e la loro l’igiene, e la gestione dei reflui e loro distribuzione. La complessità nell’interazione dei diversi fattori elencati fa si che sia necessario tenere elevata la guardia su ognuno degli aspetti citati. In particolare la conservazione dei foraggi riveste un ruolo importante in quanto in grado di influenzare molti aspetti della qualità del latte, dalla sua composizione centesimale alla qualità microbiologica, nonché contribuire alla contaminazione da micotossine a seguito del carry-over dagli alimenti contaminati (Figura 1). Per quanto riguarda la contaminazione microbiologica i foraggi conservati, e in particolare gli insilati, possono rivestire un ruolo chiave nella contaminazione di spore clostridiche del latte. Infatti, sebbene esista una correlazione tra la carica batterica totale del latte di cisterna e l’igiene della stalla e della mungitura nel suo complesso (Figura 2), il rischio di contaminazione del latte da spore aumenta esponenzialmente quando la contaminazione da spore degli insilati e conseguentemente il contenuto di spore nelle feci degli animali sale oltre certi livelli (Stadhouser e Jørgensen, 1990; Figura 3). Quando la contaminazione da spore degli insilati è troppo elevata, anche un’elevata

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igiene di mungitura e una gestione perfetta della stalla non sono in grado di mantenere il livello di spore nel latte a valori inferiori alle 1000 unità per litro, valore ritenuto soglia di rischio nella caseificazione (Walstra et al., 2005; Vissers et al., 2007).

Premesso questo, ne deriva la necessità di ridurre le fonti di contaminazione microbica del latte già nella fase di produzione e conservazione dei foraggi, prevenendo la contaminazione, ma soprattutto la moltiplicazione dei microrganismi dannosi negli alimenti per le vacche in lattazione.

L’insilamento una tecnica efficiente se ben gestita

L’insilamento è una tecnica basata su due principi molto semplici che permette di conservare alimenti umidi con un’elevata efficienza, mantenendo pressoché inalterate le caratteristiche qualitative dei foraggi al momento della raccolta. Tale efficienza ha fatto si che la maggior parte della zootecnia da latte nel mondo basi l’alimentazione degli animali su foraggi e pastoni di farine insilati (Wilkinson e Toivonen, 2003). Tale efficienza si basa su due principi semplici, ma fondamentali per la sua corretta riuscita, che sono l’acidificazione naturale ad opera della fermentazione lattica degli zuccheri solubili in acqua del foraggio e la completa assenza di ossigeno (anaerobiosi). In caso di gestione ottimale dell’insilamento, questo è in grado di assicurare la massima efficienza tra energia raccolta e energia consumata per il processo di conservazione. Nella Figura 4 è possibile osservare il confronto tra l’insilamento e la fienagione tradizionale di alcuni foraggi prativi e l’elevato rapporto tra l’energia consumata e raccolta con il silomais. I punti di maggior criticità per il processo di insilamento sono la fase anaerobica, in cui deve prevalere la fermentazione lattica su quella butirrica ad opera dei clostridi saccarolitici (principalmente

Clostridium tyrobutyricum, C. butyricum e C. beijerinckii) e la fase di consumo a silo aperto con il

rischio di deterioramento aerobico ad opera di lieviti e muffe. Per quanto riguarda i rischi durante la fase fermentativa, con l’avanzare della tecnologia ed esperienza degli allevatori negli ultimi decenni, è diventato sempre più raro trovare insilati butirrici ad alto contenuto di spore clostridiche. Per contro il fenomeno del deterioramento aerobico è un problema che coinvolge una grossa parte degli insilati delle aziende da latte della Pianura Padana (Borreani e Tabacco, 2012). In Figura 5 è riportata l’entità del deterioramento aerobico negli insilati di mais in un campione di oltre 200 aziende zootecniche piemontesi e lombarde nel periodo invernale ed estivo. È possibile osservare che nel periodo invernale circa un terzo degli insilati aziendali presenti severi sintomi di deterioramento aerobico con oltre il 10% della superficie del fronte di taglio del silo con evidenti ammuffimenti e tale percentuale salga al 46% nel periodo estivo, a seguito delle più elevate temperature ambientali.

Il deterioramento dell’insilato può raggiungere diversi gradi di severità, una prima fase in cui non si hanno segni visibili di ammuffimento ma si ha un innalzamento della temperatura ad opera dei lieviti che utilizzano l’acido lattico, determinando la prima alterazione del pH con perdite di sostanza secca intorno al 10% e un conseguente aumento delle componenti fibrose e delle ceneri; la seconda fase più spinta è caratterizzata dal prevalere dei funghi filamentosi con perdite di sostanza secca superiori al 30% e degradazione delle componenti nutrizionali più energetiche, quali l'amido (Borreani e Tabacco, 2010; Tabella 1). Le zone ammuffite oltre ad essere caratterizzate da rilevanti perdite di sostanza secca e di energia grezza, possono essere caratterizzate da elevati contenuti di spore aerobiche (Bacillus spp.) e anaerobiche (Clostridium spp. e Paenibacillus spp.), ma in molti casi possono anche ospitare batteri patogeni quali Listeria monocytogenes (Borreani et al., 2012,

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2013; Driehuis, 2013; Tabella 2). Per questi motivi diventa molto importante poter attuare tutte le misure possibili per prevenire il deterioramento aerobico.

Contrastare il deterioramento aerobico degli insilati in azienda

Il deterioramento aerobico può essere prevenuto a livello aziendale! A sostegno di tale affermazione è possibile osservare come il 10% degli insilati delle aziende monitorate sia esente da deterioramento aerobico anche nel periodo estivo caratterizzato da una maggiore difficoltà di contenimento del fenomeno (cf. Figura 5). Per poter comprendere meglio il deterioramento aerobico degli insilati è necessario definire il manifestarsi del fenomeno al fine di poter mettere in atto azioni per la sua prevenzione a livello aziendale. Il deterioramento aerobico si esprime fondamentalmente in due fasi, una prima invisibile in cui alcuni microorganismi aerobi (principalmente lieviti e in alcuni casi i batteri acetici) iniziano a respirare l’acido lattico determinando un aumento del pH. Tale alterazione permette ad altri microrganismi meno tolleranti l’acidità (funghi filamentosi, sporigeni aerobi e anaerobi) di iniziare la seconda fase, caratterizzata da una profonda degradazione dell’insilato, con il risultato di rendere la massa marcescente con ammuffimenti visibili (Borreani e Tabacco, 2010). La prima fase è identificabile a livello pratico dal rilevante aumento della temperatura dell’insilato a seguito della forte attività respiratoria dei lieviti a carico degli zuccheri residuati dalla fermentazione e dell’acido lattico. In questa fase l’insilato inizia a perdere valore nutritivo ed aumenta il rischio per la salute degli animali. Nella seconda fase, caratterizzata da ammuffimenti evidenti, l’insilato diventa totalmente inconsumabile con un elevato accumulo di sostanze tossiche (micotossine, amine biogene, endotossine) e microrganismi patogeni o sporigeni. Durante il processo di deterioramento aerobico, oltre al moltiplicarsi dei microrganismi aerobi, può avvenire la moltiplicazione di microrganismi strettamente anaerobi quali i batteri del genere

Clostridium in seguito alla creazione di micro-nicchie anaerobiche (Jonsson, 1991; Borreani e

Tabacco, 2008). A seguito di tale sviluppo è possibile osservare negli insilati deteriorati un forte accumulo di spore di clostridi, che se ingerite dagli animali sono in grado di passare inalterate durante il processo digestivo e ritrovarsi nelle feci, aumentando così il rischio di contaminazione del latte (Stadhousers e Spoelstra, 1990). L’elevata contaminazione di microrganismi e spore, obbliga a scartare le parti deteriorate degli insilati, ma a livello aziendale non sempre questo è realizzabile in maniera perfetta e parti contaminate possono comunque arrivare alla razione degli animali, con gravi rischi di contaminazione. Basti pensare che pochi grammi di insilato deteriorato sono in grado di aumentare di oltre 100 volte la contaminazione di spore di decine di kilogrammi di insilato (Mahanna e Chase, 2003; Borreani e Tabacco, 2014). Quindi diventa fondamentale la prevenzione del deterioramento aerobico a livello aziendale soprattutto per filiere ad alto valore aggiunto, quali quella del Grana Padano DOP.

Uno dei principali fattori influenti sull’entità del deterioramento aerobico è l’avanzamento medio giornaliero del fronte di consumo del silo, come si può osservare nella Figura 6, in cui è riportata l’entità del fronte ammuffito del silo in relazione all’avanzamento giornaliero del silo in 53 trincee aziendali monitorate nell’ambito del progetto FILIGRANA. Nella Figura 7 è possibile osservare l’entità delle perdite per metro lineare di un silomais stoccato in trincea tipo (larghezza 10 m e altezza 4 m) con due diverse gestioni della trincea: attenta, secondo i moderni protocolli definiti per prevenire il deterioramento aerobico, e con una gestione meno attenta nella fase di copertura e desilamento. Si può osservare come partendo da 27,5 t di trinciato arrivato dal campo stoccato per

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metro lineare di trincea, siano disponibili alla bocca degli animali dopo alcuni mesi di conservazione (circa 6 mesi) 26,1 t/m per le trincee ben gestite e conservate e 24,6 t/m per quelle meno ben gestite. Oltre a queste perdite di prodotto vanno considerati l’aumento dei rischi di contaminazione degli insilati da parte di spore di clostridi e di altri microrganismi patogeni per l’uomo e gli animali (es. Listeria monocytogenes).

Per i dettagli nella gestione delle trincee a livello aziendale si rimanda ad alcuni documenti divulgativi prodotti dal Forage Team del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino (Borreani e Tabacco, 2007) e recentemente in collaborazione con l’Università del Sacro Cuore di Piacenza e il Consorzio per la Tutela del Grana Padano DOP (Borreani et al., 2015).

Ruolo degli insilati nella contaminazione da spore nella filiera dei Grana Padano

La contaminazione da spore degli insilati è in grado di determinare un aumento del rischio di passaggio di queste nel latte, attraverso un aumento della contaminazione delle feci e conseguentemente dell’ambiente stalla e sala di mungitura. Per questo diventa importante che gli insilati siano di alta qualità microbiologica, al fine di ridurre i rischio di contaminazione dell’intera filiera, soprattutto quando il latte sia destinato a caseificazioni di pregio quali quelle del Grana Padano DOP. In particolare risulta evidente da diverse prove aziendali che il silomais sia una potenziale fonte di inquinamento da spore quando va incontro a deterioramento aerobico (Vissers et al., 2007b; Borreani e Tabacco, 2008). Infatti, il numero di spore nelle zone centrali del silo, molto spesso esenti da deterioramenti aerobici spinti, rimane contenuto generalmente sotto le 1000 spore per grammo (fatte eccezioni le zone di fine silo dove è difficile il controllo della penetrazione dell’aria nell’intera massa dell’insilato), mentre aumenta esponenzialmente nelle aree periferiche di cappello ammuffite talvolta superando i milioni di spore per grammo (7,8 Log10 spore/g; Figura 8). I dati riportati nella Figura 8 si riferiscono a 53 aziende zootecniche che conferiscono il latte per la produzione di Grana Padano DOP monitorate nell’ambito del progetto FILIGRANA. Da tali dati è possibile osservare che le cariche più elevate di sporigeni anaerobi non siano solo caratteristiche delle zone di cappello visibilmente ammuffito, ma anche delle zone del sottocappello, che comunemente vengono somministrate agli animali in produzione. Questi dati confermano quanto affermato in precedenza riguardo alla necessità di prevenire il deterioramento aerobico a livello aziendale, in quanto scartare il cappello ammuffito dagli insilati non è una pratica efficace, perché non sempre si è in grado di individuare con sicurezza l’entità delle aree deteriorate (aree con temperature elevate ma non ancora evidenti ammuffimenti!) e per la grande potenzialità di inquinamento delle aree contaminate. A titolo di esempio 1 grammo di insilato delle zone periferiche deteriorate, che può contenere 7,8 Log10 spore/g (cioè circa 63.000.000 di spore!) è in grado di aumentare la carica media di 20 kg di insilato di mais prelevato nella zona centrale (3,5 Log10 spore/g pari a 316 spore/g) di oltre 10 volte (3471 spore/g, corrispondenti a 3,54 Log10 spore/g).

Tra le 53 aziende studiate nel progetto FILIGRANA, un sottocampione di 12 aziende è stato analizzato in dettaglio, monitorando 6 aziende definite “PULITE”, caratterizzate da un’elevata cura nella gestione degli insilati di mais e dell’igiene della stalla e della mungitura, con un contenuto medio di spore nel latte inferiore a 62 per litro, e 6 aziende, definite “RISCHIO”, con problemi di deterioramento aerobico degli insilati di mais e contenuti di spore per litro di latte compresi tra 186

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e 4712. Nella Tabella 3 sono riportate il numero di aziende per ciascun gruppo che presentavano spore di Clostridium tyrobutyricum (riconosciute con le più avanzate tecniche molecolari) nelle diverse aree del silomais (centro, sottocappello e cappello scartato), nell’unifeed e nel latte di cisterna. Emerge con chiarezza che le spore provengono prevalentemente dalle aree di cappello o sottocappello del silomais e sono in grado di aumentare il contenuto medio di spore per grammo di unifeed a valori superiori alle 1000 unità. Se la gestione della mungitura non è più che accurata la conseguenza è quella di trovare livelli elevati di spore nel latte e aumentare quindi i rischi di contaminazione della filiera di caseificazione.

In conclusione, la qualità fermentativa e microbiologica dagli insilati aziendali è un punto chiave per ottenere un latte di alta qualità per la caseificazione di formaggi a lunga conservazione quale il Grana Padano DOP, insieme a tutte le pratiche di buona gestione dell’igiene della stalla e dei locali di mungitura.

Ringraziamenti

Parte dei risultati sono stati ottenuti nell’ambito del progetto: FILIGRANA “Valorizzazione della produzione del Grana Padano DOP tramite il controllo di filiera e l’ottimizzazione dei processi produttivi” finanziato dal MiPAAF, anni 2011 - 2014. Si ringraziano il Dott. Daniele Nucera, la Dott.ssa Serenella Piano e lo studente Francesco Critelli per il lungo lavoro di isolamento e analisi molecolare delle spore di Clostridium tyrobutyricum e per averci permesso di utilizzare i dati presentati in Tabella 3.

Bibliografia

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0 30 60 90 120 150 0 5 10 15 20 2008-2009 2009-2010 2010-2011

C

a

ri

c

a

b

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tt

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u

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l)

Cura igiene di mungitura

Figura 2. Relazione tra carica microbica del latte e igiene di mungitura e di stalla (indice di punteggio aziendale da 1 sporco a 20 pulito) in tre stagioni consecutive di rilievi aziendali (dati da Progetto LISTGO, 2011).

S p o re p e r li tr o d i la tt e

Spore per grammo di feci 101 102 103 104 105 102 101 103 104 105

Figura 3. Relazione tra contenuto di spore nelle feci delle bovine in lattazione e per litro di latte (da Stadhousers e Jørgensen, 1990).

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Figura 4. Efficienza energetica dell’insilamento dei prati di medica e di graminacee e del silomais in confronto con la fienagione tradizionale. 55% 25% 20% PERIODO INVERNALE 41% 28% 31% PERIODO ESTIVO < 2% tra 2 e 5% > del 5%

Figura 5. Incidenza del deterioramento aerobico in insilati di mais aziendali in Pianura Padana, espresso in percentuale del fronte del silo interessata da ammuffimenti evidenti (da Borreani e Tabacco, 2012).

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Figura 6. Relazione tra la percentuale di insilato visibilmente ammuffito e avanzamento medio giornaliero del fronte di taglio della trincea di silomais nel periodo invernale ed estivo in alcune aziende della Pianura Padana (da 47 trincee aziendali del Progetto FILIGRANA, 2014).

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Figura 8. Contenuto di spore di batteri anaerobi in relazione alla zona di campionamento e all’avanzamento medio giornaliero del fronte di taglio del silo (da 47 trincee aziendali del Progetto FILIGRANA, 2014).

Tabella 1. Perdite di sostanza secca e di valore nutritivo degli insilati di mais in relazione al deterioramento aerobico (da Borreani e Tabacco, 2010).

Parametro DETERIORAMENTO

OTTIMO INIZIALE AVANZATO

Perdite s.s. (%) 5,0 13,1 39,5

Amido (% s.s.) 36,6 35,5 29,6

NDF (% s.s.) 41,0 45,7 52,6

ADF (% s.s.) 21,1 23,7 32,4

Ceneri (% s.s.) 3,2 3,5 4,8

Tabella 2. Contenuto di funghi filamentosi, di spore di Clostridium spp. e di Listeria spp. in insilati di mais e sorgo in relazione allo stato di conservazione (da progetto LISTGO 2011, Regione Piemonte).

Coltura Stato conservazione Sostanza secca (%) Funghi filamentosi (log ufc/g) Spore Clostridium (log MPN/g) Listeria spp. (% positivi)

Mais integrale Buono 33 1,0 1,5 16

Deteriorato 25 5,5 3,2 62

Sorgo foraggero Buono 22 2,1 1,2 0

Deteriorato 21 8,0 1,6 65

Tabella 3. Numero aziende con campioni positivi a spore di Clostridium tyrobutyricum e altre specie in diversi punti della filiera aziendale in 12 aziende che conferiscono il latte destinato a Grana Padano DOP, in relazione al livello di gestione aziendale (6 alta cura = Pulite; 6 media cura = Rischio). Tra parentesi la carica per grammo (da Progetto FILIGRANA, 2014).

Specie Gruppo azienda

Silomais Unifeed Latte

Centro silo Sottocappello* Cappello scartato

C. tyrobutyricum Pulite 0 0 1 (105) 2 (103) 0

Rischio 0 2 (105) 0 3 (103) 2

Altre specie Pulite 2 (102) 4 (103) 2 (105) 0 0

Clostridium Rischio 4 (102) 2 (103) 1 (105) 2 (103) 1 * somministrato agli animali.

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