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Liberaliità non donative e adempimento del terzo

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(1)

Liberalità non donative e adempimento del terzo

S

OMMARIO

: 1. Donazione indiretta e negozio indiretto: cenni. Liberalità e gratuità

nel fenomeno donativo. – 2. Adempimento del terzo e finalità donativa: ipotesi del

terzo-genitore nella contrattazione immobiliare del figlio. – 3. Segue. Adempimento

del terzo e causa variabile. – 4. Art. 1180 c.c. e intangibilità delle sfere giuridiche.

1. L’espressione liberalità non donative racchiude, com’è noto, una serie

di atti eterogenei posti in essere attraverso schemi diversi da quello

donativo i quali, sebbene non costituiscano una categoria giuridica

unitaria, né una tipologia chiusa di operazioni predefinite, sono ugualmente

volti a realizzare la medesima finalità perseguita dall’istituto di cui all’art

769 c.c. Ne deriva la necessità pratica di applicare agli stessi atti alcune

delle norme dettate per la donazione, secondo quanto prevede l’art. 809

c.c., stante l’identità dell’effetto economico

1

.

Il risultato proprio del contratto di donazione, infatti, può essere

perseguito in maniera anche indiretta attraverso un negozio che ha una

propria causa, diversa da quella della donazione c.d. diretta, ma che in

concreto produce un vantaggio patrimoniale a favore del beneficiario senza

il conseguimento di utilità patrimonialmente valutabili a favore del

disponente il quale agisce pur sempre in maniera spontanea: di qui la

locuzione di donazioni indirette, anche definite liberalità non donative

2

.

Nonostante la tendenza dottrinaria ad affrancare queste fattispecie dalla

dibattuta figura del negozio indiretto, sembra acclarato che la donazione

indiretta possa essere ricondotta nell’àmbito dello stesso

3

, posto che in

1

Evidenzia l’utilità pratica del concetto di liberalità nel fornire l’indice di riconoscimento di una disciplina uniforme applicabile in ragione dell’effetto economico a prescindere dallo strumento giuridico utilizzato per conseguirlo G. AMADIO, La nozione di liberalità non donativa nel codice civile. Liberalità non donative e attività notarile, in Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, 2008, 1, p. 19 ss.

2

Le c.dd. liberalità indirette, altrimenti dette «non donative» o «atipiche», possono essere definite quali «liberalità attuate non con il contratto tipico di donazione, ma mediante altro strumento “negoziale” avente scopo tipico diverso dalla c.d. causa donandi e, tuttavia, in grado di produrre unitamente all’effetto diretto che gli è proprio, l’effetto indiretto di un arricchimento senza corrispettivo, voluto per spirito liberale da una parte (beneficiante) a favore dell’altra (che ne beneficia)»: cosí A. PALAZZO, Gratuità strumentale e donazioni indirette, in Tratt. dir. succ. don. Bonilini, VI, Le donazioni, Milano, 2009, p. 77 ss.

3

In giurisprudenza, è pressoché costante l’orientamento della Corte di Cassazione, v. per tutte: Cass., 28 novembre 1988, n. 6411, consultabile alla banca dati de jure, secondo la quale «Il “negotium mixtum cum donatione”, è caratterizzato dal corso di una causa onerosa con “l’animus donandi” mediante adozione di uno schema negoziale commutativo posto in essere dai contraenti per raggiungere in via indiretta, attraverso la sproporzione delle prestazioni corrispettive, una finalità diversa ed ulteriore rispetto a quella di scambio»; Cass., 17 novembre 2010, n. 23215, in Diritto e Giustizia online, 2010, secondo cui il negotium mixtum cum donatione non rientra nell’àmbito del contratto misto, trattandosi di un negozio indiretto, in cui si utilizza un negozio tipico in vista della realizzazione di uno scopo ulteriore o diverso rispetto a quello del negozio realmente posto in essere; da ultimo, Cass., 3 luglio 2019, n. 17881, in Guida al diritto, 2019, 32, p. 57. In dottrina, sulla questione relativa alla riconducibilità della donazione indiretta nell’àmbito della categoria del negozio indiretto, si sono espressi favorevolmente: T. ASCARELLI (considerato il creatore della dottrina del negozio indiretto), Il negozio indiretto, in Studi in tema di contratti, Milano, 1952, p. 17ss.; ID., Contratto misto, negozio indiretto, «negotium mixtum cum donatione», ivi, p. 88 ss.; L. MOSCO, Onerosità e gratuità degli atti giuridici con particolare riguardo ai contratti, Milano, 1942, p. 301; A. AURICCHIO, Negozio indiretto, in Noviss. dig. it., XI, Torino, 1968, p. 221; in senso contrario, v.: F. SANTORO PASSARELLI, Interposizioni di

(2)

entrambi i casi si assiste ad un’alterazione del profilo causale nel senso che

si vuole realizzare, in concreto, una funzione diversa, o ulteriore, rispetto a

quella propria del contratto utilizzato. Tale fenomeno giuridico ha suscitato

in dottrina un lungo ed appassionante dibattito, forse a tutt’oggi non

ancora sopito: da chi ne ha negato l’ammissibilità

4

, a chi lo ha considerato

un’ipotesi di contratto atipico

5

, a chi lo ha inteso come collegamento

negoziale tra due diversi negozi: il c.d. negozio mezzo attraverso il quale le

parti raggiungono l’accordo negoziale ed il c.d. negozio fine, strettamente

connesso al primo, che rappresenta il risultato ulteriore perseguito dalle

parti stesse

6

.

persona, negozio indiretto e successione della prole adulterina, Foro it., 1931, I, c. 176; G. BALBI, La donazione, in Tratt. dir. civ. diretto da Grosso e Santoro Passarelli, Milano, 1964, p. 111; sul punto v., diffusamente, A. CATAUDELLA, La donazione mista, Milano, 1970, p. 13 ss., il quale ritiene che il richiamo alla figura della donazione indiretta non sia idoneo a chiarirne la struttura; ID., Successioni e donazioni. La donazione, in Tratt. dir. priv. Bessone, V, Torino, 2005; G. BISCONTINI, Onerosità, corrispettività e qualificazione del contratto. Il problema della donazione mista, Napoli, 1984, p. 186 ss., invece, è dell’avviso che la donazione mista, pur essendo riconducibile alle ipotesi di donazione indiretta, non configura, tuttavia, un negozio indiretto, infatti secondo l’a. l’affinità tra donazione indiretta e negozio indiretto è puramente verbale perché con la prima si fa riferimento alla funzione economica di una fattispecie, con la seconda, invece, si vuole porre in evidenza l’alterazione del profilo funzionale; L. GATT, Le liberalità, Torino, 2002, passim, spec. p. 149 ss., ID., L’animus donandi tra dogma e diritto positivo nella teoria della liberalità, in Le liberalità alle soglie del terzo millennio, a cura di G. Biscontini e B. Marucci, Napoli, 2003, p. 7 ss., manifesta la propria insoddisfazione nei confronti dell’impostazione tradizionale che considera la donazione indiretta una fattispecie diversa rispetto alla donazione, sebbene ad essa assimilata in ambito disciplinare, perché priva di connotati specifici ai fini dell’identificazione della fattispecie liberale che emerge dalla formulazione dell’art. 809 c.c. L’a. sostiene che le ricostruzioni della donazione indiretta proposte in sede dottrinaria, oltre ad essere varie e molteplici, appaiono contraddittorie ed, inoltre, non forniscono i criteri di identificazione in base ai quali escludere, oppure includere, una determinata fattispecie nell’area della liberalità; A.A. CARRABBA, Negotium mixtum cum donatione (o donazione mista) donazione indiretta e disciplina applicabile, nota a Cass., 16 giugno 2014, n. 13684, in Dir. succ. fam., 2016, p. 718 ss.

4

F. SANTORO PASSARELLI, Interposizioni di persona, negozio indiretto e successione della prole adulterina, in Foro it., cit., c. 177; poi in Saggi di diritto civile, II, Napoli, 1961, p. 751 ss.; ID., Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1986, p. 182) ha negato al contratto indiretto un’autonoma qualificazione di categoria giuridica in quanto lo scopo ulteriore che le parti intendono raggiungere altro non è che un motivo, estraneo al contratto ed alla sua causa e come tale giuridicamente irrilevante. Quindi, secondo questa dottrina, lo scopo o il motivo cui il negozio indirettamente tende può incidere sul negozio stesso solo se ne costituisca il motivo illecito, C. GRASSETTI, Del negozio fiduciario e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico, in Riv. dir. comm., 1936 I, p. 362 ss.; v. poi D. RUBINO, Il negozio giuridico indiretto, Milano, 1937, p. 142 ss., il quale considera il negozio indiretto un fenomeno giuridico e non una categoria giuridica. Pur non essendo un convinto sostenitore del negozio indiretto, evidenzia dubbi sull’asserita irrilevanza del fine ulteriore perseguito C.M. BIANCA, Diritto civile, 3, Milano 2000, p. 485 s., il quale afferma che, se si ha riguardo alla causa concreta del negozio, è facile accertare che il fine ulteriore incide sulla stessa.

5

Non rientrando il contratto indiretto tra gli schemi negoziali previsti espressamente dal legislatore (fatta eccezione per le ipotesi di donazioni indirette di cui agli articoli 737, comma, 1 e 809 c.c.) alcuni autori (tra cui B. BIONDI, Le donazioni, in Tratt. dir. civ. Vassalli, 1961, p. 938 ss.) hanno ritenuto questa fattispecie una ipotesi di contratto atipico che permetterebbe alle parti il raggiungimento del risultato perseguito non attraverso una via diretta tipica, ma attraverso l’utilizzo della via indiretta atipica. Tuttavia, tale ricostruzione non tiene in conto il fatto che, per il raggiungimento del fine perseguito non si utilizzano

(3)

L’elemento che accomuna

le fattispecie donative, sia dirette sia

indirette

7

, sarebbe rappresentato dall’animus donandi, ovvero quell’intento

di liberalità che induce un soggetto a tenere un comportamento volto a

procurare ad altri un vantaggio patrimoniale a prescindere da qualunque

vincolo giuridico o morale, elemento che è stato oggetto di un ricco e

vivace confronto in dottrina volto ad individuarne gli elementi qualificativi

8

che consentano la distinzione tra la donazione e gli altri atti gratuiti, dal

momento che tutti realizzano un’utilità per il beneficiario in assenza,

ovviamente, di corrispettività.

L’impostazione tradizionale ha ritenuto di considerare liberali gli atti che

realizzano un impoverimento

9

disinteressato nella sfera del disponente, nel

senso che il sacrificio economico sopportato è collegato alla realizzazione

negozi atipici, bensí tipici, cui si ricollegano poi determinati effetti ulteriori.

6

Cfr. S. PUGLIATTI, Precisazioni in tema di vendita a scopo di garanzia, in Riv. trim., 1950, p. 334 ss.; tesi poi applicata da A. TORRENTE, La donazione, in Tratt. dir. civ. e comm. Cicu e Messineo, Milano 1956, p. 22 ss.; ID., La donazione, ivi, ed. agg. 2006, a cura di U. Carnevali e A. Mora, p. 41, per il quale quella combinazione tra i due negozi, l’uno preordinato a piegare l’altro (o gli altri) al raggiungimento di uno scopo economico diverso da quello che forma il substrato della funzione tipica del negozio, si riscontra anche nelle donazioni indirette; sulla scia G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano 1982, II, p. 880 s.. La tesi del doppio negozio ha lasciato testimonianze non soltanto nella manualistica, ma anche in giurisprudenza: cfr., a riguardo, Cass., 14 dicembre 2000, n. 15778, in Dir. fam. pers., 2002, p. 32, la quale ha affermato che «Nell’ipotesi in cui un soggetto (il padre) abbia erogato il denaro occorrente per l’acquisto di un immobile in capo ad un soggetto (il figlio, in comunione legale con il proprio coniuge), devesi distinguere il caso della donazione diretta del denaro, in cui oggetto della liberalità rimane la somma, dal caso in cui il denaro sia stato fornito quale mezzo per l’acquisto dell’immobile, che costituisce il fine della donazione; in tale secondo caso, il collegamento tra la elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene da parte del figlio porta a concludere che si sia in presenza di una donazione indiretta dell’immobile e non già del denaro impiegato per l’acquisto»; per le pronunce di merito, v. Trib. Torino, Sez. II, 15 luglio 2004, in Giur. merito, 2005, 1, p. 58, secondo cui nell’ipotesi di donazione indiretta ricorrono due negozi diversi tra loro collegati, l’uno negozio-mezzo prescelto dalle parti per vincolarsi al fine del raggiungimento di un ulteriore risultato e l’altro, negozio-fine, produttivo degli effetti voluti dalle parti.

7

V. BARBA, Commento all’art. 769 cod. civ., in Comm. cod. civ. dir. da Gabrielli, Delle donazioni. Artt. 769-809, a cura di Bonilini, Torino, 2014, p. 14 ss., definisce lo spirito di liberalità il minimo comun denominatore della donazione e degli atti di liberalità diversi dalla donazione.

8

La dottrina ha lungamente dibattuto sulla formula “spirito di liberalità”, nonché sul concetto di arricchimento, dividendosi sulle varie possibili interpretazioni si veda, senza pretesa di esaustività: G. OPPO, Adempimento e liberalità, Milano, 1947, p. 76 ss.; A.C. JEMOLO, Lo «spirito di liberalità» (Riflessioni su una nozione istituzionale), in Studi giuridici in memoria di Flippo Vassalli, II, Torino, 1960, p. 980; G. ALPA, Atto di liberalità e motivi dell’attribuzione, in Riv. trim., 1972, p. 354; B. BIONDI, Le donazioni, in Tratt. dir. civ. Vassalli, cit., p. 67 s.; L. GARDANI CONTURSI-LISI, Delle donazioni, in Comm. c.c. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1976, p. 25; O.T. SCOZZAFAVA, La qualificazione di onerosità o gratuità del titolo, in Riv. dir. civ., 1980, II, p. 74; U. CARNEVALI, Le donazioni, in Tratt. dir. priv. Rescigno, Torino, 1982, p. 483 ss.; G. BISCONTINI, Onerosità, corrispettività e qualificazione del contratto. Il problema della donazione mista, cit., p. 138 ss., il quale, dopo aver analizzato i diversi e possibili significati della locuzione “spirito di liberalità”, ne riduce la portata qualificativa non rientrando nell’elemento causale del fenomeno donazione, perché presente anche in altre fattispecie, e che, invece, secondo l’a., va individuato nella minima unità effettuale della donazione rappresentata dalla «produzione di un effetto reale od obbligatorio senza corrispettivo»; P. MOROZZO DELLA ROCCA, Gratuità, liberalità e solidarietà. Contributo allo studio della prestazione non onerosa, Milano, 1988; A. PALAZZO, Donazione pura e donazioni motivate, in Jus, 1990, p. 297 ss.; ID., Donazione, in Dig. disc. priv. (sez. civ.), VII, Torino, 1991, p. 137 ss.; ID., Atti gratuiti e donazioni, in Tratt. dir. civ. diretto da R. Sacco, Torino, 2000, p. 120 e ss.; ID. (a cura di), I contratti di donazione, in

(4)

di un interesse di natura sicuramente non patrimoniale

10

; gratuiti, invece,

quelli in cui il depauperamento può essere giustificato, talvolta, da

valutazioni di tipo economico da parte del disponente.

Tuttavia, è stato opportunamente osservato che l’impoverimento ed il

conseguente altrui arricchimento piú che requisiti giuridici della donazione

rappresentano delle conseguenze economiche dell’attribuzione

patrimoniale, per cui donazioni (semplici) e contratti gratuiti, pur

appartenendo alla medesima categoria dei contratti non corrispettivi,

realizzano ognuno una specifica funzione che ne consente la diversa

qualificazione

11

. La specificità della funzione permette, altresí, di

distinguere la donazione anche dagli atti ascrivibili alle c.dd. donazioni

indirette perché, sebbene anche questi realizzino una finalità di tipo

liberale, tuttavia si compiono attraverso l’adozione di uno schema,

negoziale o non, che ha già una propria ragione giustificatrice

12

.

Tratt. dei contratti, diretto da P. Rescigno e G. Gabrielli, XI, Torino, 2009; A. PALAZZO, Le donazioni, in Comm. Schlesinger, artt. 769-809, Milano, 2000; R. PERCHINUNNO, Il contratto di donazione, in Successioni e donazioni, II, a cura di P. Rescigno, Padova, 1994, p. 163 ss.; F.M. D’ETTORE, Intento di liberalità e attribuzione patrimoniale, Padova, 1996, p. 23 ss.; ID., Liberalità, principio di gratuità ed esecuzione della promessa gratuita informale, in Le liberalità alle soglie del terzo millennio, cit., p. 35 ss.; V. CAREDDA, Le liberalità diverse dalla donazione, Torino, 1996, passim; N. LIPARI, «Spirito di liberalità» e «spirito di solidarietà», in Riv. trim., 1997, p. 1 ss.; G. VECCHIO, Le liberalità atipiche, Torino, 2000, p. 11; A.A. CARRABBA, Donazioni, in Tratt. dir. civ. CNN, diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2009; E. DEL PRATO – M. COSTANZA – P. MANES, (a cura di), Donazioni, atti gratuiti, patti di famiglia e trusts successori, Bologna, 2010.

9

Il concetto di impoverimento veniva ben espresso nell’abrogato codice civile il cui art. 1050 definiva la donazione un atto di spontanea liberalità, con il quale il donante «si spoglia attualmente ed irrevocabilmente della cosa donata in favore del donatario che accetta»; per l’evoluzione del significato del termine, v. A. GIANOLA, Atto gratuito, atto liberale. Ai limiti

della donazione, Milano, 2002, p. 69, il quale evidenza come la diversa accezione sia legata

al passaggio da un contesto storico in cui «la vera ricchezza era rappresentata dal patrimonio e non dalla capacità di lavoro individuale» ad un’economia, invece, in cui anche l’assunzione di un obbligo comporta impoverimento.

10

G. AMADIO, La nozione di liberalità non donativa nel codice civile, cit., p. 19 ss., ritenendo che lo spirito di liberalità potrebbe non attenere all’atto, e in particolare alla causa dell’atto negoziale, bensí all’effetto giuridico, se non addirittura al risultato economico, dello stesso, riconduce l’intento di liberalità allo scopo di soddisfare un interesse di natura non patrimoniale del disponente, riprendendo, cosí, quella che l’a. stesso definisce felice intuizione di A. CHECCHINI, «L’interesse a donare», in Riv. dir. civ., 1976, I, p. 262 ss. e piú tardi ampliata in ID., «Regolamento contrattuale e interessi delle parti (intorno alla nozione di causa)», ivi, 1991, I, p. 229 ss.; tesi condivisa anche da A. CATAUDELLA, Successioni e donazioni. La donazione, cit., p. 10; E. DAMIANI, Atto gratuito liberale e atto gratuito non liberale, in Donazioni, atti gratuiti, patti di famiglia, trust successori, Bologna, 2010, p. 20.

11

Cosí, quasi testualmente: G. BISCONTINI, Onerosità, corrispettività e qualificazione del contratto. Il problema della donazione mista, cit., p.159 s., il quale distingue la donazione pura e semplice anche da quella c.d. liberatoria sulla base della diversa minima unità effettuale perché, mentre la remissione del debito ha una funzione essenzialmente estintiva e la rinunzia al credito, un effetto dismissivo, «la donazione è caratterizzata dalla prestazione del donante e consiste o in un trasferimento del diritto o nella costituzione di un rapporto reale (reale o obbligatorio).».

12

La donazione indiretta va distinta, inoltre, dalla donazione simulata perché la prima è effettivamente voluta utilizzando uno strumento giuridico ulteriore, mentre la seconda costituisce una vera e propria donazione diretta, che peraltro resta dissimulata sotto la forma di un negozio oneroso Secondo A. TORRENTE, La donazione, cit., p. 22 s., nella donazione indiretta si avranno, pertanto, due negozi collegati: uno c.d. di mezzo e l’altro c.d. di fine, mentre nella donazione simulata si avranno due negozi distinti: uno reale e l'altro fittizio. Il negozio reale è la donazione, mentre quello fittizio è la compravendita che

(5)

Piú nello specifico, si è osservato che l’onerosità costituisce il risultato di

una valutazione economica delle reciproche attribuzioni delle parti, tale per

cui il contratto si considera oneroso laddove è riscontrabile un’equivalenza

o un’adeguatezza, sul piano economico, tra le prestazioni; diversamente,

ovvero in tutte le ipotesi nelle quali tale adeguatezza faccia difetto, il

contratto sarà gratuito

13

.

In questo contesto, si potrebbe affermare che l’arricchimento, in assenza

di altra giustificazione causale, diviene liberale nel senso che ogni

comportamento caratterizzato dall’intenzione di arricchire il destinatario

che non possa essere considerato donazione, oppure il comportamento in

cui la volontà di apportare un vantaggio economico al beneficiario

rappresenti un effetto ulteriore rispetto a quello immediatamente

ricollegabile allo schema utilizzato, sarà qualificabile come liberale, a

prescindere dalla corrispettività dell’atto.

La locuzione liberalità non donative, o donazione indiretta che dir si

voglia, indicherebbe, quindi, una fattispecie di chiusura idonea a

ricomprendere una serie di ipotesi, sicuramente non determinate, negoziali

o non, ma tutte caratterizzate comunque da un intento di liberalità, siano

esse riconducibili oppure no ai tipi espressamente previsti dal legislatore. Il

fine di liberalità può essere raggiunto, infatti, non soltanto tramite atti a

carattere negoziale, contratti o atti unilaterali, si pensi alle ipotesi piú

frequenti come il contratto a favore di terzo, la vendita ad un prezzo

irrisorio, il pagamento del debito altrui, la remissione del debito; ma anche

attraverso comportamenti quali: la costruzione scientemente realizzata con

materiali propri su suolo altrui, la cointestazione di una somma di danaro;

gli acquisti da uno dei coniugi in comunione di beni esclusivamente con

l’impiego di danaro proprio; l’astensione consapevole del proprietario dal

compimento di atti interruttivi dell’altrui possesso ad usucapionem

14

,

fattispecie, alcune delle quali, non sono immediatamente ricollegabili ad

uno specifico schema tipizzato dal legislatore, e, quindi, con una disciplina

autonoma, ma piú genericamente riconducibili all’art. 809 c.c.

15

in quanto

atti a titolo gratuito.

Soffermandoci sui concetti di onerosità, gratuità e liberalità non

donativa, è utile ricordare la sentenza della Cassazione a Sezioni unite che,

pronunciandosi in merito alla

dichiarazione di inefficacia degli atti a titolo

gratuito, ai sensi

dell’art. 64 legge fall.,

e

ponendo fine al contrasto

giurisprudenziale sorto nell’àmbito della stessa Corte circa la natura,

onerosa o gratuita, dell’atto con cui un soggetto adempie il debito altrui,

stabilí che la valutazione di gratuità od onerosità di un negozio deve essere

compiuta con esclusivo riguardo alla causa concreta, desumibile dalla

sintesi degli interessi che lo stesso è diretto a realizzare, al di là del

modello astratto utilizzato. Ebbene, tale valutazione, si afferma, non può

fondarsi sull’esistenza, o meno, di un rapporto corrispettivo tra le

prestazioni sul piano astratto, ma dipende necessariamente

dall’apprezzamento dell’interesse sotteso all’intera operazione da parte del

maschera la donazione.

13

In argomento, cfr. P. PERLINGIERI e A. FEDERICO, in P. Perlingieri, Manuale di diritto civile, Napoli, 2017, p. 762.

14

A.A. CARRABBA, Donazioni, in Tratt. dir. civ. CNN, cit., p. 771 ss.

15

Sul tema, v. l’opinione di G. AMADIO, La nozione di liberalità non donativa nel codice civile, cit., p. 19 ss., il quale afferma che la nozione di liberalità non donative ricomprende tutte quelle fattispecie negoziali che mirano a procurare un vantaggio economico per il beneficiario collegato ad un interesse non patrimoniale del disponente «mediante strutture precettive diverse dalla diretta disposizione di un proprio diritto e dall’assunzione di un obbligo da parte del secondo nei confronti del primo».

(6)

“solvens”, interesse desumibile da specifici criteri individuati dai giudici

quali:

«l’entità dell’attribuzione, la durata del rapporto, la qualità dei

soggetti e soprattutto la prospettiva per il disponente di subire un

depauperamento collegato, o non, ad un sia pur indiretto guadagno o a un

risparmio di spesa»

16

. Pertanto, continuano i giudici, nell’ipotesi di

estinzione di un’obbligazione altrui da parte del terzo, poi fallito, l’atto

solutorio può dirsi gratuito soltanto quando questi non riceve

dall’operazione nessun concreto vantaggio patrimoniale, avendo voluto

semplicemente recare un beneficio al debitore; mentre la causa concreta

deve considerarsi onerosa tutte le volte che il terzo riceve un vantaggio per

questa sua prestazione dal debitore, dal creditore o anche da altri, cosí da

recuperare anche indirettamente la prestazione adempiuta

.

Le Sezioni Unite, e le successive pronunce che ad esse si sono

uniformate

17

, sebbene sempre ai fini dell’azione revocatoria, pongono sullo

stesso piano atti gratuiti e liberalità non donative per la evidente necessità

di tutelare l’interesse del creditore del disponente ad evitare il rischio di

rimanere insoddisfatto. Quindi, il creditore beneficiario, per non veder

dichiarata l’inefficacia dell’atto nel giudizio promosso dal curatore avrà

l’onere di dimostrare, con ogni mezzo di prova, che il disponente ha

ricevuto un vantaggio in seguito all’atto da lui posto in essere, in quanto

perseguiva un suo interesse economicamente apprezzabile, cosí da

escludere la gratuità dell’atto.

Tuttavia, al di là dell’ipotesi dell’azione revocatoria, nella realtà di tutti i

giorni vengono posti in essere atti sempre piú particolari e rispetto ai quali

non sempre è agevole stabilire se l’impoverimento del solvens è totalmente

disinteressato da un punto di vista economico oppure no, oppure se l’altrui

arricchimento sia dovuto ad animus donandi, o non sia, invece, privo di una

16

Cass., Sez. Un., 18 marzo 2010, n. 6538, in Giur. comm., 2011, 3, II, p. 561, con nota di L. BENEDETTI, La revocatoria fallimentare del pagamento del debito altrui: l’intervento delle Sezioni Unite; in Riv. dir. comm., 2012, 2, II, p. 111, con nota di M. CARLIZZI, La revocatoria dell’adempimento del terzo nei gruppi societari: come l’altruità si scolora) che, rigettando l’App., Catanzaro dell’8 novembre 2004, e ponendo fine al contrasto di giurisprudenza nell’ambito della Corte stessa circa la natura, onerosa o gratuita, dell’atto con cui un soggetto adempie il debito altrui, ha stabilito che «Nell’adempimento del debito altrui da parte del terzo, mancando nello schema causale tipico la controprestazione in favore del disponente, si presume che l’atto sia stato compiuto gratuitamente, pagando il terzo, per definizione, un debito non proprio e non prevedendo la struttura del negozio nessuna controprestazione in suo favore».

17

V., in tal senso: Cass., 30 gennaio 2020, n. 2077, in Diritto & Giustizia, 2020, 31 gennaio;Cass., 30 novembre 2017, n. 28829, in Riv. not., 2018, 2, II, p. 311, secondo cui, ai fini dell’azione di inefficacia dell’art. 64 l. fall., devono considerarsi atti a titolo gratuito non soltanto quelli posti in essere per spirito di liberalità, requisito necessario della donazione, ma anche quelli caratterizzati da una prestazione in assenza di un corrispettivo; Cass., 24 giugno 2015, n. 13087, in Diritto & Giustizia, 2015, 25 giugno, sul tema dell’applicabilità dell’art. 64 legge fall. ai trasferimenti immobiliari avvenuti in sede di separazione tra coniugi in cui uno dei due è coinvolto in una procedura fallimentare, ha deciso che «Ai fini dell’azione di inefficacia di cui all’art. 64 legge fall., atti a titolo gratuito non sono solo quelli posti in essere per spirito di liberalità, che è requisito necessario della donazione, ma anche gli atti caratterizzati semplicemente da una prestazione in assenza di corrispettivo. Ne consegue che, l’attribuzione patrimoniale effettuata da un coniuge, poi fallito, a favore dell’altro coniuge in vista della loro separazione, va qualificata come atto a titolo gratuito ove non abbia la funzione di integrare o sostituire quanto dovuto per il mantenimento suo o dei figli». Per le pronunce di merito, v. Trib. Milano, 27 giugno 2019 , n. 6311, in Redazione Giuffrè, 2019, secondo cui la gratuità implica un mero depauperamento in qualsiasi forma, non necessariamente per spirito di liberalità, ma semplicemente senza corrispettivo.

(7)

giusta causa, e tale da legittimare la richiesta ex art. 2041 c.c., come

talvolta la giurisprudenza ha sentenziato

18

.

In questo contesto, il requisito della forma solenne non viene in aiuto alla

soluzione del problema perché, come di recente ribadito dalla Cassazione a

sezioni unite

19

, se nella donazione la presenza della stessa non fa sorgere

dubbi sull’intento liberale dell’atto, a contrariis non si può affermare che la

mancanza della stessa escluda che si tratti di liberalità posto che nelle

liberalità non donative non è indispensabile la formalizzazione dell’intento

liberale. Le Sezioni Unite hanno ribadito chiaramente l’orientamento

secondo il quale per la validità delle donazioni indirette non è richiesta la

forma dell’atto pubblico essendo sufficiente l’osservanza della forma

prevista per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo di liberalità.

Ciò in considerazione del fatto che l’art. 809 c.c., nel richiamare le norme

sulla donazione applicabili agli altri atti di liberalità, non menziona l’art

782 c.c. che prevede, appunto, l’obbligatorietà della forma solenne

20

.

Pertanto, il problema si sposta sul piano probatorio, in quanto la parte che

ne ha interesse potrà dimostrare, con ogni mezzo, ricorrendo sia alle

presunzioni, sia alla prova testimoniale

21

, se si è in presenza di un atto

liberale o meno come affermato dalla recente Cassazione secondo la quale

18

Cass., 15 maggio 2009, n. 11330, in Mass. Giust. civ., 2009, 5, p. 781, secondo cui «L’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l'ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale. È, pertanto, possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell'altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza - il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto - e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza».

19

Cass., S.U., 27 luglio 2017, n. 18725, in Foro it., 2017, I, c. 3345; in Guida al diritto, 2017, p. 28, in Riv. trim dir. proc. civ., 2019, p. 1385, con nota di L. COPPO, Donazioni e liberalità non donative, ha stabilito che in tema di atti di liberalità, il trasferimento, attraverso un ordine di bancogiro del disponente, di strumenti finanziari dal conto di deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta, soggetta alla forma dell’atto pubblico, salvo che sia di modico valore, poiché realizzato non tramite un’operazione triangolare di intermediazione giuridica, ma mediante un’intermediazione gestoria dell’ente creditizio. Infatti, l’operazione bancaria tra il donante ed il donatario costituisce mero adempimento di un distinto accordo negoziale fra loro concluso e ad essa rimasto esterno, il quale solo realizza il passaggio immediato di valori da un patrimonio all'altro, e tale circostanza esclude la configurabilità di un contratto in favore di terzo, considerato che il patrimonio della banca rappresenta una “zona di transito” tra l’ordinante ed il destinatario, non direttamente coinvolta nel processo attributivo, e che il beneficiario non acquista alcun diritto verso l’istituto di credito in seguito al contratto intercorso fra quest’ultimo e l’ordinante.

20

Nello stesso senso già: Cass., 11 ottobre 1978, n. 4550, in Riv. not., 1978, p. 1341; Cass., 16 marzo 2004, n. 5333, in Giust. civ., 2005, I, p. 199; Cass., 5 giugno 2013, n. 14197, in Diritto & Giustizia, 2013, 6 giugno; da ultimo, Cass., 28 febbraio 2018, n. 4682, cit.; Cass., 21 maggio 2020, n. 9379, cit.

21

È stato opportunamente rilevato che la prova testimoniale, limitatamente alla donazione indiretta, non incontra i limiti posti dall’art. 2721 perché «dalla norma contenuta nell’art. 1417 (in tema di simulazione) si evince un principio generale per cui quando si delinea un interesse pubblico prevalente su quello che ha determinato la restrizione della prova (tal è l’interesse alla scoperta della donazione indiretta che può essere illecita o incidere su interessi dei terzi), la restrizione non può più operare»: G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, cit., p. 883.

(8)

l’intenzione di donare non emerge in via diretta dall’atto in concreto posto

in essere, ma in via indiretta «dall’esame necessariamente rigoroso di tutte

le circostanze di fatto del singolo caso, nei limiti in cui risultino

tempestivamente e ritualmente dedotte e provate in giudizio da chi ne

abbia interesse»

22

.

2. Uno strumento per realizzare l’intento liberale è rappresentato

sicuramente dall’adempimento del terzo

23

, ravvisabile nel caso di

pagamento del debito altrui, che, nel concretizzare un’ipotesi di donazione

indiretta, contribuisce a confermare il principio della realizzazione

dell’interesse liberale a prescindere dall’adozione della forma pubblica.

L’adempimento del terzo trova spesso attuazione nell’àmbito della

contrattazione immobiliare dove si può assistere all’assenza di coincidenza

tra soggetto acquirente, e intestatario del bene immobile, e soggetto che

paga effettivamente il prezzo della vendita

24

.

È il caso del genitore che fornisce al figlio una somma di danaro per

acquistare un bene immobile e il figlio dichiara all’atto di acquisto che tutto

o parte del prezzo gli è stato fornito dal genitore a titolo di liberalità. Nella

fattispecie descritta, può accadere che il genitore intervenga nell’atto per

far emergere la causa liberale dell’attribuzione, oppure che egli, o altro

soggetto estraneo al rapporto obbligatorio, effettui la prestazione dovuta

dal debitore, realizzando il diritto del creditore, senza che emerga nel

contratto la causa liberale. Entrambe le fattispecie sono, comunque,

riconducibili all’adempimento del terzo con funzione di liberalità e

configurano, quindi, ipotesi di donazione indiretta

25

.

22

Cass., 28 febbraio 2018, n. 4682, in Riv. not., 2018, II, p. 789 ss., con nota di G.

MUNARI, Il conto corrente cointestato quale forma di liberalità non donativa; in Fam. dir.,

2018, p. 747 ss.; con nota di T. BONAMINI, Intestazione a piú persone di conto corrente bancario e prova dell’”animus donandi”; in Contratti, 2018, p. 560 ss., con nota di D.M. RIPAMONTI, Donazioni indirette: la prova dell’”animus donandi” nella cointestazione di conto corrente bancario; concetto ribadito ancor piú di recente da Cass., 21 maggio 2020, n. 9379, consultabile alla banca dati dejure, secondo cui «La donazione indiretta si identifica con ogni negozio che, pur non avendo la forma della donazione, sia mosso da un fine di liberalità e abbia l’effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario, sicché l'intenzione di donare emerge solo in via indiretta dal rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso, nei limiti in cui siano tempestivamente e ritualmente dedotte e provate in giudizio.»

23

Da tempo la giurisprudenza è dell’avviso che costituisce donazione indiretta il pagamento di un’obbligazione altrui compiuto dal terzo per spirito di liberalità verso il debitore, in tal senso si ricorda Cass., 3 maggio, 1969, n. 1465, in Mass Giur. it., 1969, p. 599, secondo la quale «Anche qui si assiste ad un’operazione che vede il coinvolgimento delle sfere giuridiche di tre soggetti: il solvens, estraneo al rapporto obbligatorio ma autore dell'adempimento, il quale dispone della propria sfera nel senso della liberalità verso il debitore, liberandolo da un’obbligazione; il creditore; ed il debitore, beneficiario della liberalità».

24

La fattispecie citata presenta indubbie interferenze con le questioni relative alla tracciabilità dei mezzi di pagamento prese in considerazione a suo tempo dal decreto legge n. 223 del 4 luglio 2006 nella finalità della trasparenza e veridicità in ordine al quantum ed alle modalità di pagamento, con la conseguenza che nelle cessioni di immobiliari con corrispettivo è stato introdotto l’obbligo in capo alle parti di rendere apposita dichiarazione sostitutiva di notorietà “recante l’indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo.”

25

Sulle diverse forme di liberalità non donative, la bibliografia è molto ampia, si veda ex multis: U. CARNEVALI, Intestazione di beni sotto nome altrui, in Enc. giur. Treccani, XVII, Roma, 1996, p. 1 ss. ad vocem; G. AMADIO, La nozione di liberalità non donativa nel codice civile. Liberalità non donative e attività notarile, cit., p. 19; ID., Gli acquisti dal beneficiario di liberalità non donative, in Riv. not., 2009, p. 819 ss.; G. ROMANO, La riducibilità delle

(9)

Diversa, invece, la situazione in cui il genitore doni al figlio, una somma

di danaro, utilizzata in un secondo momento per l’acquisto di un immobile,

senza che assuma minimamente rilievo la destinazione o l’impiego di tale

somma che rimane estraneo alla volontà del donante: in questo caso

oggetto della donazione è la somma di danaro in quanto tale. Si tratta,

pertanto, di una donazione diretta che, per evitare la sanzione della nullità,

ex art. 782 c.c., necessita della forma dell’atto pubblico notarile.

Altrettanto dicasi quando il genitore donante si obbliga, attraverso un

accollo interno, a fornire al figlio il denaro occorrente per far fronte alle

rate di un mutuo concesso allo scopo di arricchire il figlio con il proprio

impoverimento, fattispecie che è stata ricondotta dalla giurisprudenza alla

donazione diretta

26

.

La distinzione non è ovviamente irrilevante perché non investe soltanto il

problema della forma, e quindi se l’atto necessiti di forma solenne oppure

no, ma altresí quello della circolazione dei beni immobili intestati al figlio e

pagati con danaro del genitore, questione ampiamente discussa e che a

lungo ha dimorato nelle aule di Tribunali finché non ha trovato una svolta

nella decisione della Suprema Corte n. 11496/2010

27

. Quest’ultima ha

stabilito che, sebbene l’acquisto di un immobile con denaro del disponente

e intestazione ad altro soggetto, integri una donazione indiretta del bene

stesso, e non del denaro, non trova applicazione il principio sancito nell’

art.

560 c.c.

della quota legittima in natura, ai fini dell’esercizio dell’azione di

riduzione, che vale, invece, per la donazione ordinaria d’immobile.

La riduzione delle donazioni indirette non può incidere sul piano della

circolazione dei beni perché

l’immobile comprato dal donatario, con

l’impiego di denaro fornito dal donante, non viene trasmesso (come accade

liberalità non donative tra esigenze dommatiche e coerenza sistematica, in Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, 2008, 1, p. 37 ss.; A.A. CARRABBA, Donazioni, in Tratt. dir. civ. CNN, cit., p. 812; G. IACCARINO, Liberalità indirette. Enunciazione dell’intento liberale quale metodologia operativa, Milano, 2011, p. 6; ID., (a cura di) Donazioni indirette e volontaria giurisdizione, in Notariato, 2011, 1, p. 35 ss.; ID., Donazione con bonifico bancario e onere della forma dell’atto pubblico, in Notariato, 2017, p. 569 ss.; S. MONTICELLI, I negozi solutori nel quadro complesso delle vicende estintive dell’obbligazione: problematiche notarili, in Dir. succ. fam . , 2018, p. 167 ss.; V. BARBA, Tecniche negoziali di intestazione di beni sotto nome altrui e problemi successori, in Fam. pers. succ., 2012, p. 349 ss.; V. RESTUCCIA, La cointestazione del conto corrente bancario non integra sempre una ipotesi di donazione indiretta, nota a Trib. Roma, 6 giugno 2017, n. 11451, in Fam. dir., 2018, p. 689 ss.; I. RIVA, Il conto corrente bancario cointestato nel quadro delle donazioni indirette, nota a Trib. Ivrea, 8 luglio 2016, in Corr. giur., 2018, p. 192 ss.; T. PERILLO, L’assicurazione sulla vita a contenuto finanziario a favore di terzi come donazione indiretta, nota a Cass., 19 febbraio 2016, n. 3263, in Fam. dir., 2018, p. 21 ss..

26

La situazione familiare spesso sottoposta all’attenzione dei giudici è quella del genitore che, in occasione di un finanziamento accordato da un istituto di credito al figlio per acquistare un immobile, si impegni nei confronti di quest’ultimo a fornire le somme necessarie a far fronte alle rate del mutuo. Dopo alcune altalenanti pronunce, si è consolidata l’opinione in giurisprudenza che considera donazione diretta l'accollo interno con cui l'accollante, allo scopo di arricchire un familiare con proprio impoverimento, si impegna nei confronti di quest'ultimo a pagare all'istituto di credito le rate del mutuo bancario dal medesimo contratto, rilevandosi che la liberalità non è un effetto indiretto ma la causa dell'accollo, cosí: Cass., 30 marzo 2006, n. 7507, in Vita not., 2007, 1, p. 188.

27

Cass., 12 maggio 2010, n. 11496, in Resp. civ., 2010, p. 2359, in Giust. civ., 2011, p. 1287, ha stabilito che «Alla riduzione delle liberalità indirette non si può applicare il principio della quota legittima in natura, connaturale invece all'azione nell’ipotesi di donazione ordinaria d’immobile (art. 560 c.c.); con la conseguenza che l’acquisizione riguarda il controvalore, mediante il metodo dell’imputazione, come nella collazione (art. 724 c.c.). La riduzione delle donazioni indirette non mette, infatti, in discussione la titolarità dei beni donati, né incide sul piano dalla circolazione dei beni.».

(10)

nella donazione “diretta”) al donatario dalla sfera patrimoniale del donante,

bensí direttamente dalla parte alienante nel contratto di compravendita,

sebbene pagato con i soldi del donante. Pertanto, l’azione di riduzione non

può avere ad oggetto l’immobile donato in via indiretta perché questo non

è mai entrato a far parte del patrimonio del donante. Ne deriva che i terzi

aventi causa che hanno acquistato dal donatario non potranno vedere

pregiudicata la titolarità del loro diritto sul bene nel pieno rispetto del

principio di affidamento secondo buona fede.

Comunque, nell’ipotesi del genitore che paga il corrispettivo nella

compravendita immobiliare stipulata dal figlio, sia che egli compaia oppure

no nell’atto, esplicitando o meno l’intento liberale si è difronte ad una

donazione indiretta la cui prova può essere fornita con ogni mezzo

28

, in

virtú sia di comportamenti omissivi, come quello di rinuncia ad esperire

l’azione di ingiustificato arricchimento, nel caso di assenza di surrogazione,

sia di comportamenti di tipo commissivo idonei a dimostrare che il

proprietario del danaro non aveva altro scopo che quello di liberalità che,

di per sé, sarebbe invece di difficile percezione.

3. per quanto concerne l’istituto di cui all’art. 1180 c.c., risulta rilevante

analizzare i rapporti in esso coinvolti, aldilà di quello originario corrente

tra creditore e debitore, e cioè quello tra terzo e creditore, da un lato, e

quello esistente tra terzo e debitore, dall’altro, al fine di verificare quali

siano gli interessi sottesi agli stessi.

Soffermandoci sulla prima relazione, il creditore, come è noto, non può

rifiutare, in linea di principio, la prestazione offerta dal terzo dato che la

stessa, stante il carattere della fungibilità, soddisfa in egual misura il

risultato economico perseguito dal creditore stesso. Non ravvisandovi in

capo a quest’ultimo un interesse giuridicamente protetto a rifiutare

l’adempimento del terzo, neanche l’opposizione del debitore assume rilievo

a tal fine, infatti l’art. 1180, comma 2, c.c., disponendo che “…il creditore

può rifiutare l’adempimento offertogli dal terzo se il debitore gli ha

manifestato la sua opposizione ”, ha chiaramente attribuito al creditore la

facoltà e non il dovere di rifiutare la prestazione del terzo. Ciò a

dimostrazione che secondo il legislatore l’interesse creditorio è

maggiormente meritevole di tutela rispetto a quello del debitore ad

adempiere, con le implicazioni che piú avanti verranno evidenziate.

Tuttavia, sebbene sotto il profilo puramente economico potrebbe non

emergere una sostanziale differenza tra adempimento del terzo e quello del

debitore, da un punto di vista giuridico non è sicuramente cosí perché il

primo, oltre ad essere un atto libero

29

e non dovuto come, invece,

l’adempimento del debitore, non realizza l’attuazione dell’obbligo del

debitore, dal momento che ciò può derivare soltanto dal comportamento

28

La questione è affrontata, tra gli altri, da S. MONTICELLI, o.c., p. 178, il quale, anche alla luce dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza tributaria della Cassazione circa la liberalità indiretta, è dell’avviso che la prova dell’animus donandi può essere data con ogni mezzo.

29

Da sempre la giurisprudenza ha ritenuto che si ha adempimento del terzo quando il suo intervento avviene al di fuori di ogni rapporto di rappresentanza, non essendo, quindi, determinato da precedenti accordi e convenzioni ed è tale da costituire un sostanziale e formale adempimento dell’obbligazione, diretto ad eseguire, liberamente e spontaneamente, nonché consapevolmente per conto del debitore, la prestazione da questi dovuta con effetto liberatorio, cosí che si possa escludere qualsiasi interesse del creditore a pretendere l’adempimento personale dal debitore: Cass., 7 luglio 1980, n. 4340, in Giust. civ., 1981, I, p. 111.

(11)

tenuto dal debitore personalmente

30

. Inoltre, affinché vi sia adempimento

del terzo, occorre la consapevolezza di adempiere un debito altrui, non

richiesta, invece, per l’adempimento del debitore dove ciò che rileva è

soltanto l’idoneità della prestazione ad estinguere il debito. Prova ne è la

diversa disciplina accordata ai due istituti: nell’adempimento del terzo è

necessaria una piena capacità di agire del solvens che non è richiesta,

invece, ai sensi del 1191 c.c., per l’adempimento del debitore; inoltre, non

si ritiene applicabile all’adempimento del terzo l’art. 1189 c.c., riguardo al

pagamento al creditore apparente; né la datio in solutum

31

.

La questione coinvolge l’antico dibattito sorto ancor prima

dell’emanazione del codice del 1942 circa l’oggetto del rapporto

obbligatorio e che ha visto contrapposte le tesi patrimonialistica, da un

alto, e quella personalistica, dall’altro. La prima, privilegiando la posizione

creditoria, pone al centro dell’attenzione il bene dovuto, ritenendo

marginale il comportamento del debitore

32

; la seconda, sicuramente

prevalente, rivaluta, invece, il ruolo della prestazione che, anche stando al

disposto dell’art. 1174 c.c., viene definita come l’oggetto

dell’obbligazione

33

.

30

R. NICOLÒ, Adempimento, in Enc. dir., I, Milano, 1958, p. 555, ritiene che nell’adempimento del terzo manchi la prestazione, intesa come attività personale del debitore, negando quindi carattere di adempimento alle cause estintive diverse dall’adempimento del debitore anche quando realizzano l’interesse del creditore.

31

Cass., 22 febbraio 2005, n. 3577, in Mass. Giust. civ., 2005, p. 2, afferma che, affinché l’effetto solutorio si verifichi, è necessario che la prestazione sia effettuata dal terzo in modo conforme all'obbligazione del debitore. Ne consegue che, in presenza di un obbligo conseguente alla sottoscrizione di una quota di aumento del capitale sociale, da attuarsi mediante versamento in denaro, una diversa prestazione del terzo, come la consegna di beni in natura o la compensazione con crediti di regresso derivanti dall’estinzione di debiti della società verso terzi, non produce alcun effetto liberatorio nei confronti del socio obbligato, essendo del tutto differenti la tipologia e la disciplina dell'aumento del capitale sociale mediante conferimento di beni in natura, o di crediti, rispetto all’aumento di capitale con conferimento di denaro; sulla necessaria conformità della prestazione del terzo al creditore rispetto all’obbligazione del debitore, v. piú di recente, Cass, 3 giugno 2019, n.15111, consultabile alla banca dati dejure.

32

R. NICOLÒ, L’adempimento dell’obbligo altrui, in Raccolta di Scritti, II, Milano, 1980, p. 1021, è dell’avviso che l’interesse del creditore non tende esclusivamente alla prestazione del debitore, intesa come comportamento personale di questo, ma piuttosto alla cosa oggetto dell’obbligazione, vale a dire il bene, ovvero l’utilità che, attraverso la prestazione, il creditore può realizzare. Il diritto del creditore non sarebbe, quindi, un diritto alla prestazione, bensí un diritto al conseguimento del bene dovuto. Condivide la posizione G. BISCONTINI, Solidarietà e obbligazione fideiussoria, Napoli, 1978, p. 14 ss., secondo cui la prestazione del debitore, anche se si pone quale normale mezzo di attuazione dell’interesse del creditore, non è il solo perché ciò può avvenire anche grazie alla prestazione di altri soggetti, come ad esempio il terzo ex art. 1180 c.c. oppure il fideiussore. L’utilità del soggetto attivo, ovvero il risultato pratico da questi perseguito, «non può essere considerata l’oggetto della prestazione perché oggetto della prestazione è il bene che realizza l’utilità».

33

M. GIORGIANNI, L’obbligazione, Milano, 1968, p. 213; C.M. BIANCA, Diritto civile, 4, L’obbligazione, Milano, 1990, p. 33 ss.; v., tuttavia, la posizione di L. FERRONI, Obblighi di fare ed eseguibilità, Napoli, 1983, p. 69 ss., p. 125 ss., ed ivi ampi riferimenti bibliografici, secondo cui la tesi personalistica, pur cogliendo nel giusto, esaspera la contrapposizione con la teoria patrimonialistica perché è necessario analizzare il regolamento del singolo concreto rapporto dove il bene che realizza l’interesse dedotto nel rapporto sarà ora la res oggetto della prestazione, ora la stessa prestazione; quindi, vi sono prestazioni in cui il comportamento del debitore è marginale rispetto al bene oggetto della stessa, come nell’obbligazione pecuniaria, e prestazioni, invece, in cui la scissione tra comportamento del debitore e “bene”, inteso come produzione del risultato utile, è del tutto irrilevante perché il primo ha un ruolo fondamento nella realizzazione dell’interesse creditorio: si pensi alle

(12)

Vi è stato in dottrina chi

34

ha evidenziato anche una differenza

strutturale tra l’adempimento del terzo e quello del debitore ritendendo il

primo non un atto unilaterale, bensí un contratto dal momento che sarebbe

sempre necessaria una dichiarazione del creditore, senza la quale il

comportamento del terzo sarebbe inidoneo a produrre effetti nella sfera

patrimoniale del debitore; dovrebbero, quindi, trovare applicazione le

regole in materia di incapacità e vizi del volere. Tuttavia, non si può

sottacere il fatto che il creditore non è libero di accettare o meno la

prestazione del terzo, tant’è che il rifiuto ingiustificato di ricevere

l’adempimento del terzo, impedisce al creditore di pretendere

successivamente la prestazione dal proprio debitore

35

. Ne deriva che

l’adempimento del terzo si realizza, talvolta, a prescindere dal

comportamento del creditore.

Sicuramente l’adempimento del terzo produce l’effetto di estinguere il

rapporto obbligatorio, come pure quello di realizzare l’interesse creditorio,

ciononostante non si può dire che configuri un vero e proprio adempimento

dal momento che quest’ultimo consiste nell’esatta esecuzione della

prestazione che, realizzando il diritto del creditore, produce, altresí,

sempre e comunque, la liberazione del debitore dall’obbligo di eseguire la

propria prestazione. Oltretutto, in seguito all’intervento del terzo,

nonostante l’attribuzione patrimoniale del debitore perda la propria

giustificazione causale, divenendo inutile

36

-posto che il creditore ha

realizzato oramai il proprio soddisfacimento-, non è detto che si producano

effetti giuridici nella sfera del debitore il cui obbligo può sopravvivere

all’adempimento del terzo, come nell’ipotesi in cui questi venga surrogato

dal creditore nei suoi diritti ex art. 1201 c.c., oppure, in assenza di

espressa manifestazione di volontà in tal senso, il terzo agisca nei confronti

del debitore con l’azione di arricchimento senza giusta causa.

Quanto accennato dipende inevitabilmente dal rapporto che corre tra

debitore e terzo il cui intervento si presta a realizzare diverse funzioni a

seconda delle ragioni che lo spingono ad adempiere il debito di un altro e

che dovranno essere valutate in relazione al singolo caso concreto: di qui il

rapporto tra adempimento del terzo e liberalità non donativa.

Stante il principio della causalità dell’attribuzione patrimoniale, in virtú

del quale ogni spostamento di ricchezza deve essere suffragato da una

valida ragione giustificatrice, l’adempimento del terzo non può non avere

una propria causa, cosí come, del resto, l’arricchimento che il debitore si

trova a ricevere, sia che questo provenga da un atto di liberalità da parte

del solvens, sia che comporti, invece, a suo carico un obbligo di rimborso;

prestazioni di puro fare.

34

R. NICOLÒ, o.u.c., p. 565, riteneva che «La dichiarazione di accettazione da parte del creditore si pone sullo stesso piano della dichiarazione di volontà del terzo e d integra con essa una fattispecie negoziale bilaterale (contratto).».

35

P. PERLINGIERI e G. ROMANO, in P. Perlingieri, Manuale di diritto civile, cit., p. 310. In giurisprudenza, v. Cass., 30 gennaio 2013, n. 2207, in Guida al diritto, 2013, p. 65, secondo la quale il rifiuto del creditore all’adempimento da parte del terzo, in presenza di opposizione del debitore, dettata a sua volta da situazioni giuridiche legittimamente tutelabili e ispirata all’osservanza del principio generale di cui all’art. 1175 c.c., non deve essere contrario a buona fede e correttezza; il giudice è abilitato a sindacare detta contrarietà ogni qualvolta il terzo deduca in giudizio l’esercizio abusivo del rifiuto da parte del creditore, che gli abbia impedito di pagare in sostituzione del debitore estinguendo l'obbligazione essendo egli legittimato ed interessato a soddisfare il credito per i rapporti intercorrenti con il debitore, di cui il creditore sia stato reso edotto.

36

Il concetto di inutilità del rapporto obbligatorio una volta che vi sia stato l’intervento del terzo era espresso da M. GIORGIANNI, L’obbligazione, cit., p. 229.

(13)

l’ordinamento esige, infatti, che ogni arricchimento dipenda dalla

realizzazione di un interesse meritevole di tutela

37

.

Tuttavia va segnalata l’opinione di chi, considerando l’adempimento del

terzo un negozio astratto, ritiene di poter prescindere dall’esistenza di un

rapporto preesistente tra debitore e terzo sostenendo che l’adempimento

del terzo rappresenta «un negozio a scopo solutorio avente ad oggetto una

prestazione determinata attraverso il riferimento al rapporto obbligatorio

preesistente tra il debitore e il creditore» che in esso trova la propria

giustificazione causale

38

.

Sebbene sia indubbia la funzione solutoria dell’adempimento del terzo, si

ritiene, piuttosto, che la causa dell’adempimento del terzo sia da rinvenire

nel rapporto tra questi e il debitore ed in virtú della quale il primo è

disposto ad intervenire. Il rapporto che esiste tra creditore e debitore (e

che si potrebbe definire di valuta) rappresenta il titolo originario che

spinge il terzo ad intervenire, ma la causa del suo adempimento risiede nel

rapporto con il debitore (c.d. di provvista) e che sarà di volta in volta

diversa a seconda del concreto assetto di interessi. Potrà essere, cioè, una

causa solvendi, se il terzo adempie al fine di estinguere un debito che lui

stesso ha verso il debitore; oppure di finanziamento, in quel caso il terzo

chiederà di essere surrogato nei diritti di creditore, o, in assenza di tutto

ciò, sarà una causa di tipo liberale e, pertanto, il terzo non agirà neanche

con l’azione di ingiustificato arricchimento.

L’adempimento del terzo, accanto ad una causa generica, rappresentata

dall’estinzione del rapporto obbligatorio, presenta una causa variabile, che

varia cioè con il variare delle ragioni e degli interessi che spingono un

soggetto terzo, estraneo ad un rapporto obbligatorio, ad adempiere il

debito di un altro per realizzarne l’estinzione.

È quanto accade, mutatis mutandis, nei negozi di assunzione del debito

con la differenza che, nel caso dell’istituto di cui all’art. 1180 c.c., il terzo

non assume l’obbligo di adempiere nei confronti del creditore, in quanto il

suo adempimento, come già detto, ha una funzione di tipo solutorio; non si

assiste, quindi, ad un mutamento di titolarità nel debito come accade nei

negozi di cui agli artt. 1268 ss. c.c. dove il terzo diviene debitore

principale. Se lo spostamento patrimoniale del terzo avesse una causa

esterna, rinvenendo la propria giustificazione nel rapporto esterno corrente

tra creditore e debitore, ne dovrebbe discendere la possibilità del terzo di

far valere le eccezioni relative a quel rapporto, come ad esempio quella di

compensazione, ed opponibili dal debitore stesso, mentre non è cosí.

Si può, dunque, affermare che l’adempimento del terzo appare idoneo a

produrre sia effetti diretti, sia effetti riflessi: i primi consistono

nell’estinzione del debito, i secondi, invece, attengono ai rapporti tra terzo

37

Cass., 15 febbraio 2019, n. 4659, in Dir. fam. pers., 2019, I, p. 574, ha affermato che «Ai fini dell’accoglimento dell’azione di ingiustificato arricchimento il difetto di giusta causa non va inteso quale assenza di ragione che abbia determinato la locupletazione in favore dell’arricchito, ma quale carenza di una ragione che consenta a quest'ultimo di trattenere quanto ricevuto».

38

Cosí: C. CAMARDI, Art. 1180, in Cod. civ. comm. Gabrielli, Torino, 2012, p. 275, che ripropone la tesi di R. NICOLÒ, L’adempimento dell’obbligo altrui, Milano, 1936, p. 184; ID., Adempimento, cit., p. 566, secondo cui, essendo il negozio di adempimento necessariamente avulso da ogni preesistente rapporto giuridico, non è possibile trovare al suo interno la giustificazione del verificato spostamento patrimoniale; sulla scia anche S. MONTICELLI, I negozi solutori nel quadro complesso delle vicende estintive dell’obbligazione: problematiche notarili, cit., p. 170, il quale afferma che il rapporto tra debitore e creditore rappresenta la causa esterna a fondamento dello spostamento patrimoniale e della relativa attribuzione da parte del terzo.

(14)

e debitore e sono riconducibili alla realizzazione di funzioni diverse, tra cui

quella “donativa”, a seconda degli interessi in campo esistenti tra gli stessi.

4. L’istituto dell’adempimento del terzo, nella sistematica del codice

civile, coinvolge, oltre al tema delle liberalità indirette, anche un’altra

questione sempre attuale e che, spesso, si ripresenta all’attenzione della

dottrina e cioè quella della presenza di interessi giuridicamente rilevanti in

capo al debitore nell’àmbito del rapporto obbligatorio. La nuova concezione

della disciplina delle obbligazioni, frutto di una lettura costituzionalmente

orientata e, quindi, dell’applicazione dei valori dell’uguaglianza sostanziale

e della solidarietà tra i soggetti, ha fatto sí che venisse meno la

contrapposizione tra il soggetto creditore, parte attiva e titolare di diritto, e

il soggetto debitore, parte passiva, titolare dell’obbligo di adempiere, per

lasciare spazio ad una relativizzazione del vincolo obbligatorio configurato,

piuttosto, come un rapporto di cooperazione tra le parti coinvolte nella

vicenda

39

.

In questo nuovo scenario, anche gli interessi del debitore possono

ritenersi giuridicamente rilevanti

40

e, quindi meritevoli di tutela

41

, al pari

39

P. PERLINGIERI, Recenti prospettive nel diritto delle obbligazioni, in Vita not., 1976, p. 1027 ss.; ID., Le obbligazioni tra vecchi e nuovi dogmi, Napoli, 1989, p. 37 ss.

40

Per la rilevanza della posizione debitoria, v. A. FALZEA, L’offerta reale e la liberazione coattiva del debitore, Milano, 1947, passim, spec. p. 33-34, il quale riconosce un generale diritto soggettivo del debitore “alla liberazione mediante adempimento”; discorre di un “interesse giuridicamente rilevante” del debitore all’adempimento P. RESCIGNO, Studi sull’accollo, Milano, 1958, p. 115 ss.; P. PERLINGIERI, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Comm. c.c. Scialoja e Branca, Bologna – Roma, 1975, p. 43 ss.; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1991, p. 252, p. 293 ss., secondo cui il rapporto giuridico, sotto il profilo funzionale, è regolamento che considera anche la tutela di determinati specifici interessi del debitore e evidenziarne soltanto il profilo dell’interesse creditore rappresenta una arbitraria generalizzazione; P. STANZIONE, Rapporto giuridico, in Studi di diritto civile, Napoli, 1986, p. 176 ss.; A. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, in Comm. c.c. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1988, p. 399, secondo cui l’interesse debitorio non si sostanzia, semplicisticamente, con quello generico alla liberazione ma, a rigore, si atteggia come interesse «ad una liberazione mercé la cooperazione del creditore»; si tratta di una forma di tutela indiretta dell’interesse del debitore alla liberazione dal vincolo, attraverso una regola di responsabilità che opera a carico del creditore; ciò spiega la previsione di una responsabilità di quest’ultimo, costretto al risarcimento del danno; l’A. risolve cosí il contrasto di opinioni tra chi, da un lato, sostiene il rilievo dell’interesse alla liberazione tout court e chi, dall’altro, discorre di interesse alla liberazione ma qualificato attraverso l’adempimento. Tratta approfonditamente il tema degli interessi del debitore nel rapporto obbligatorio; G. ROMANO, Interessi del debitore e adempimento, 1995, passim, spec. p. 188 ss., p. 357, p. 393, il quale ritiene meritevole di autonoma considerazione il momento attuativo della prestazione perché è lì che possono emergere «interessi debitori fondati sull’aspettativa di una fisiologica esecuzione del rapporto mediante adempimento»; ed è in questo momento che si avverte in maniera impellente l’esigenza del contemperamento degli opposti interessi. Per l’opinione di chi, invece, tende a sottovalutare completamente la rilevanza dell’interesse dell’obbligato, v.: M. GIORGIANNI, ID., Debito e debitore, in Noviss. dig. it., V, Torino, 1960, p. 197 ss.; L’obbligazione, cit., p. 67; ID., Obbligazione (Diritto privato), in Noviss. dig. it., XI, Torino, 1968, p. 581 ss..

41

Sul concetto di meritevolezza degli interessi, cfr., tra gli altri, F. GAZZONI, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. dir. civ., 1978, p. 69 ss.; in una diversa prospettiva, G.B. FERRI, Ancora in tema di meritevolezza degli interessi, in Riv. dir. comm., 1979, p. 8 ss., secondo il quale il giudizio di meritevolezza è indistinguibile da quello di liceità dal momento che entrambi si fondano sullo stretto legame esistente tra la causa e gli interessi perseguiti con il contratto; C.M. BIANCA, Diritto civile, 3,

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