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Le Strane coppie tra modernità e postmodernità: un breve excursus da Flaubert a Tarantino

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Academic year: 2021

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(1)Le strane coppie tra modernità e postmodernità: un breve excursus da Flaubert a Tarantino. Stefano Brugnolo Esiste una tipologia di personaggi moderni che formano una coppia, o, per meglio dire, una ‘strana coppia’. Non parlo naturalmente di coppie di amanti e nemmeno di valletti o scudieri al servizio dei loro padroni (Don Giovanni e Sganarello, Don Chisciotte e Sancio Panza), parlo di individui di pari grado, spesso subalterni o addirittura miserabili, senza arte né parte, quasi sempre goffi e ‘stupidi’, che parlano e agiscono facendosi il verso l’un con l’altro, e cioè secondo un sistema di simmetrie, ripetizioni, corrispondenze. Come sappiamo da Bergson la duplicazione è di per se stesso un fattore potenzialmente comico, quanto invece l’individualità è potenzialmente drammatica, se non tragica (cfr. Bergson 1983: 22-25). In effetti i componenti della strana coppia sono quasi sempre degli stulti, e ciò li denuncia come epigoni della tradizione comica, anche popolare, quella per intenderci della commedia dell’arte, del music-hall, del circo, delle pantomime. Anche grandi scrittori hanno attinto da questi repertori bassi per costruire le loro coppie. Soprattutto nel Novecento il ruolo di questi personaggi è cambiato, è diventato meno meccanicamente e prevedibilmente comico (si pensi a Pulcinella e Arlecchino, Stanlio e Ollio), si è caricato di nuovi significati, più problematici. Attraverso la strana coppia di buffi, certi scrittori hanno infatti mirato a rappresentare aspetti significativi del loro tempo. In genere direi che questi personaggi in coppia rappresentano nella tradizione modernistica una condizione umana diminuita, residuale, abbandonata. Sono “ultimi uomini”, per dirla con Nietszche, o “uomini vuoti”, per dirla con Eliot. E’ in fondo questo il caso della strana coppia che troviamo in Pulp Fiction, quella di due piccoli gangster, Jules (Samuel L. Jackson) e Vincent (Jon Travolta). Come vedremo essi sono per molti aspetti esempi tardivi di quella grande tradizione, e tuttavia costituiscono anche un punto di svolta. Prendendoli come modello, intendo indagare a ritroso il motivo della strana coppia tra romanzo, teatro e cinema. Diciamo intanto che sono due ordinary men, due assassini che timbrano il cartellino. All’inizio del film li incontriamo che passeggiano e chiacchierano volubilmente di cheesburger e massaggi ai piedi, in attesa che venga l’ora giusta per entrare in azione, e cioè per fare fuori alcuni ragazzi colpevoli di uno sgarro ai danni del boss Marsellus (sono infatti arrivati in anticipo all’appuntamento di lavoro...). Quando infine. AnnalSS 2, 2002 (2005).

(2) 256. Stefano Brugnolo. cominciano a sbrigare la faccenda, succede che, prima di sparare e massacrare i malcapitati, Jules chiede se hanno letto la Bibbia (“You ever read the Bible?” (Tarantino 1999: 32), dopo di che recita un passaggio da Ezechiele. E’ una citazione significativa per capire a che gioco gioca Tarantino. Jules dice che quel passaggio “seems appropriate for this situation”, ma va da sé che non è per niente appropriato: “The path of the righteous man is beset on all sides by the inequities of the selfish and the tyranny of evil men. Blessed is he who, in the name of charity and good will, shepherds the weak through the valley of darkness eccetera” (Tarantino 1999: 32). Esso suona certo minaccioso, ma è vuoto di significato in questo contesto. E’ una citazione, tra l’altro apocrifa, che suona reboante ma vacua. E tuttavia introduce un richiamo religioso che verrà poi sviluppato. Quando infatti uno dei ragazzi improvvisamente sbucato fuori dal bagno sparerà sei colpi contro Jules e Vincent, senza colpirli nemmeno di striscio, Jules considererà letteralmente miracoloso l’evento. E tirerà in ballo l’intervento divino. Tra i due gangster si svilupperà allora una vera e propria “discussione teologica” (così la definisce Vincent): JULES That was...divine intervention. You know what divine intervention is? VINCENT Yeah, I think so. That means God came down from Heaven and stopped the bullets. JULES Yeah, man, that's what it means. That's exactly what it means! God came down from Heaven and stopped the bullets. VINCENT I think we should be going now. JULES Don't do that! Don't you fuckin' do that! Don't blow this shit off! What just happened was a fuckin' miracle! VINCENT Chill the fuck out, Jules, this shit happens. JULES Wrong, wrong, this shit doesn't just happen. VINCENT Do you wanna continue this theological discussion in the car, or at the jailhouse with the cops? (Tarantino 1999: 139).. E avanti di questo passo. Si tratta di un dialogo costruito secondo il canovaccio del tira-e-molla tipico delle ‘strane coppie’. Quel che conta in casi come questo è il ritmo. E la serietà con cui i due discorrono di qualcosa di assolutamente campato per aria. La stessa serietà che ci mettevano allorché discutevano dell’arte del massaggio ai piedi, o dei cheesburger. Va anzi ricordato che tutto il film di Tarantino è caratterizzato da queste chiacchiere insulse che però assorbono e perfino appassionano gli interlocutori. Come se li coinvolgesse e impegnasse mentalmente di più una discussione sui cheesburger che una efferata azione omicida. Il modello di questi dialoghi bislacchi e del tutto inadeguati alla situazione lo troviamo in The Dumb Waiter di Pinter. Nel testo di Pinter incontriamo. AnnalSS 2, 2002 (2005).

(3) Le strane coppie tra modernità e postmodernità…. 257. infatti un’altra strana coppia di killers, Ben e Gus, chiusi dentro una stanza di un anonimo condominio (a segnalare ulteriormente la connessione con Tarantino va ricordato che esiste una versione cinematografica di Altman della pièce di Pinter, dove uno dei killer è interpretato da John Travolta). Anche loro, come Jules e Vincent, uccidono ‘per lavoro’, anche loro lo fanno per conto di un boss, Wilson, e perciò appartengono alla categoria degli assassini che timbrano il cartellino, e non sanno o possono porsi problemi morali (quando Gus, comincerà vagamente a porseli, ciò gli sarà fatale). Insomma, come Jules e Vincent sono due ultimi uomini, due poveri zanniassassini, addetti a sbrigare senza discutere i lavori sporchi per il padrone. Da una tale combinazione Pinter però estrae nuovi, sorprendenti effetti di umorismo nero, come dimostrano sequenze come questa: GUS I mean, you come into a place when it’s still dark, you come into a room you’ve never seen before, you sleep all day, you do your job, and then you go away in the night again [...]. BEN You get your holidays, don’t you? GUS Only a fortnight. BEN [...] You kill me. Anyone would think you’re working every day. How often do we do a job? Once a week? What are you complaining about? GUS Yes, but we’ve got to be on tap though, haven’t we? You can’t move out of the house in case a call comes. BEN You know what your trouble is? GUS What? BEN You haven’t got any interests. [...] Look at me. [...] I’ve got my woodwork. I’ve got my model boats. Have you ever seen me idle? I’m never idle. I know how to occupy my time, to its best advantage. Then when a call comes, I’m ready (Pinter 1983: 134).. I consigli che Ben dà a Gus sono degni di una rubrica psicologica da rotocalco: l’assassino deve coltivare i propri hobbies tra una occupazione e l’altra. Per esempio intagliare il legno per modellare barchette! Come dicevo, si tratta del tipico effetto da umorismo nero. E per farmi capire meglio ecco per esempio un passaggio da un racconto di Léon Bloy, uno dei maestri di questo genere: “Il tuait pour vivre, parce qu’il n’y a pas de sot métier. Il aurait pu, comme tant d’autres, s’enorgueillir des dangers d’une si chatouilleuse profession. Mais il préférait le silence. [...] Il tuait à domicile, poliment, discrètement et le plus proprement du monde. C’était, on peut le dire, de la besogne joliment exécutée. Il ne promettait pas ce qu’il était incapable de tenir. Il ne promettait rien de tout. Mais ses clients ne se plaignirent jamais” (Bloy 1964-1975: 261-262). I racconti di Bloy si intitolavano Storie sgradevoli, e miravano proprio a esserlo, sgradevoli. E cioè provocatori. In fondo tutto il filone discende da Johnathan Swift, l’inventore dell’umorismo nero, un. AnnalSS 2, 2002 (2005).

(4) 258. Stefano Brugnolo. genere tipicamente moderno. In Swift come in Bloy esisteva appunto questa intenzione provocatoria di mostrare come una certa mentalità moderna e borghese in senso lato potesse accordarsi con le peggiori nefandezze. Il bravo killer di Bloy incarna prorpio questo ideale puritano di puntualità, decoro, precisione, affidabilità. L’intenzione polemica è fin troppo evidente. Ebbene la strana coppia di Pinter discende in definitiva da questa tradizione, sia pure in modo del tutto originale. Gus e Ben parlano d’altro, dello sciacquone che non funziona, di partite di calcio, e di altre cose senza importanza, proprio come Jules e Vincent, ma si sente che lo fanno per deviare una tensione crescente, per evitare di porsi domande troppo pericolose. Nel caso di Tarantino l’intenzione problematica e polemica è senz’altro venuta meno. Certo, Tarantino recupera tutta una serie di effetti umoristici tipici del genere: com’è possibile che i due tipi discutano tanto accanitamente e superficialmente di cheesburger e massaggi ai piedi nel mentre stanno per compiere una strage? Ma va da sé che Tarantino non vuole stigmatizzare tale miopia morale, che semplicemente lo diverte. Proveremo più avanti a definire meglio l’umorismo del regista, ma è certo che esso non intende in nessun modo denunciare con spirito swiftiano la cosiddetta banalità del male. Tarantino si situa davvero in modo irritante e originale al di là del bene e del male. Come dimostra proprio la ‘conversione’ di Jules, che solo apparentemente introduce una nota morale in un film dove domina una violenza inaudita. Ecco infatti come Jules la motiva all’amico: VINCENT So if you're quitting the life, what'll you do? JULES [...] First, I'm gonna deliver this case to Marsellus. Then, basically, I'm gonna walk the earth. VINCENT What do you mean, walk the earth? JULES You know, like Caine in "KUNG FU". Just walk from town to town, meet people, get in adventures. VINCENT How long do you intend to walk the earth? JULES Until God puts me where he want me to be. [...] If it takes forever, I'll wait forever. VINCENT Jules, you're gonna be like those pieces of shit out there who beg for change. They walk around like a bunch of fuckin' zombies, they sleep in garbage bins, they eat what I throw away, and dogs piss on 'em. They got a word for 'em, they're called bums. And without a job, residence, or legal tender, that's what you're gonna be -- a fuckin' bum! (Tarantino 1999: 173-174).. Come si vede anche nel momento di massimo trasporto mistico Jules non può fare a meno di rifarsi alla sua esperienza di consumatore di film spazzatura, non può fare a meno di mescolare la Bibbia con il Kung fu. D’altra parte a sua volta Vincent per contestare il miracolo si rifà a un telefilm:. AnnalSS 2, 2002 (2005).

(5) Le strane coppie tra modernità e postmodernità…. 259. VINCENT... ever seen that show "COPS?" I was watchin' it once and this cop was on it who was talkin' about this time he got into this gun fight with a guy in a hallway. He unloads on this guy and he doesn't hit anything. And these guys were in a hallway. It's a freak, but it happens (Tarantino, 1999: 140).. Mentre i personaggi di Pinter parlano di dettagli per evitare di parlare di qualcos’altro, e cioè di un non detto ‘sgradevole’, che pure è sempre lì tra loro, i personaggi di Tarantino sono tutti e solo i loro incredibili dialoghi, dialoghi privi di nessi con la realtà, ma mirabilmente naturali, fluenti. Inoltre: mentre i personaggi di Pinter adoperano un linguaggio assolutamente essenziale, povero, spoglio di riferimenti contestuali o intertestuali, i personaggi di Tarantino non fanno che riferirsi a altri film, telefilm, spot, e a altri prodotti della cultura di massa contemporanea. Pulp Fiction è pieno di questi riferimenti. Tutto il film risuona di altre immagini evocate, citate, manipolate. Come ha scritto D. Polan: “such shared reference to mass culture is one of the primary sources of sociability in the Tarantino universe” (Polan 2000: 12). Da questo punto di vista si può e si deve dire che i due personaggi di Tarantino a loro modo discendono lontanamente da quei personaggi di Flaubert che non riuscivano a avere una esperienza autentica e si accontentavano di surrogati, mediati loro dai libri trash dell’epoca, o da libri mal letti e mal digeriti, oppure da luoghi comuni diffusi. Così come esistono oggetti Kitsch esistono esperienze Kitsch, e i personaggi di Flaubert e i loro epigoni vivono appunto esperienze Kitsch. E visto che stiamo parlando di strane coppie possiamo comparare Jules e Vicent a Bouvard e Pécuchet, un’altra strana coppia in cui la “reference to mass culture is one of the primary sources of sociability”. Così, la strampalata “discussione teologica” in cui Vincent e Jules si sfiniscono a vicenda ci ricorda di lontano una delle tante sconclusionate e serratissime discussioni teologiche in cui si impegnavano a loro volta Bouvard e Pécuchet. Eccone un esempio: Bouvard se laissa conduire au mois de Marie. Les enfants qui chantaient des hymnes, les gerbes de lilas, les festons de verdure lui avaient donné comme le sentiment d’une jeunesse impérissable. Dieu se manifestait à son coeur par la forme des nids, la clarté des sources, la bienfaisance du soleil, et la dévotion de son ami lui semblait extravagante, fastidiueuse. «Pourquoi gémis-tu pendant le repas? » «Nous devons manger en gémissant, répondit Pécuchet, car l’homme, par cette voie, a perdu son innocence,» phrase qu’il avait lue dans le Manuel du séminariste, deux volumes in-12 empruntés à M. Jeufroy, deux volumes in-12 empruntés à M. Jeufroy. Et il buvait de l’eau de la Salette, se livrait, portes closes, à des oraisons jaculatoires, espérait entrer dans la confrérie de Saint-François (Flaubert 1915: 309).. AnnalSS 2, 2002 (2005).

(6) 260. Stefano Brugnolo. Ricordiamo che anche in questo caso i due personaggi sono appena scampati alla morte (avevano infatti deciso di suicidarsi), e anche in questo caso la questione dibattuta era se si trattava solo di un caso: “Était-ce le hasard seulement qui les avait détournés de la mort?” (Flaubert 1915: 302). Per Pécuchet no, si sarebbe trattato di un intervento provvidenziale, e ciò lo dispone alla conversione, mentre l’altro, Bouvard, si mostra più refrattario e ironico. Va da sé che il tutto suona comico, e che il Pécuchet che sospira a ogni pasto e aspira a “entrare nel terz’ordine francescano” non è meno grottesco del Juels che intende “percorrere la terra”. Naturalmente non si vuole affermare che dietro Jules e Vincent ci sono Bouvard e Pécuchet. Certo è che quella di Flaubert è la prima strana coppia moderna, e cioè emancipata dalle sue origini puramente comiche, per non dire buffonesche: i personaggi flaubertiani sono infatti due idioti sublimi, due martiri inconsapevoli, o capri espiatori della cultura di massa. E è comunque interessante che l’un testo e l’altro siano esercizi sulla relazione problematica tra la cultura e la vita nell’epoca della civiltà democratica (ai suoi albori al tempo di Flaubert, pienamente sviluppata all’epoca di Tarantino). Come è significativo che i due autori affrontino questioni analoghe portando in campo due strane coppie, composte entrambe da uomini vuoti e stupidi, o se si preferisce da uominieco, o uomini-copia. Questo è infatti il senso ultimo della scelta compiuta di Flaubert di affidare a una strana coppia di copisti questa sua opera di decostruzione dei saperi e delle opinioni correnti del suo tempo: nel parlarsi addosso dei due, nel loro farsi reciprocamente il verso è rappresentato il meccanismo di mimesi generalizzata tipico della società di massa. Diciamolo con le parole di Yvan Leclerc: “Qui parle ici? Bouvard ou Pécuchet au nom de tous les deux? Les deux en même temps, ou l’un après l’autre? Celui qui parle [...] c’est Bouvardetpécuchet, à la fois un et deux, dialoguant et monologuant; que l’un parle au nom des deux, que les deux parlent alternativement ou simultanément revient au même; une seule instance proférante énonce une parole collective. Enfin, les marques personnelles disparaissent; plus de “je” individualisé ou bivalent, plus de “nous” duel, mais un enoncé impersonnel, voi de la science elle-même qui parle par la bouche indifférenciée de Bouvard et/ou Pécuchet [...] c’est la voix du bon sens, de la bêtise, la voix donc mieux partagée. Ils parlent. On parle. Ça parle” (Leclerc 1988: 56-57). Ma le analogie possono essere ulteriormente sviluppate: l’enciclopedia esplosa di Bouvard e Pécuchet, anche quando incorpora autori eccellenti, è tutta basata su luoghi comuni estratti da letture confuse e mal digerite, così come l’enciclopedia esplosa (e in pillole) di Vincent e Jules è tutta basata su fonti e riferimenti mediatici, caoticamente affastellati: cinema, televisione,. AnnalSS 2, 2002 (2005).

(7) Le strane coppie tra modernità e postmodernità…. 261. pubblicità. Però il confronto ci vale soprattutto per marcare la differenza dei due atteggiamenti d’autore rispetto alla cultura di massa, così come sono esemplificati dal trattamento delle due strane coppie. Flaubert era ironico rispetto ai suoi due eroi, e pur mostrando simpatia verso di loro, verso il loro eroismo di dilettanti che si immolano inutilmente a un desiderio di Totalità, prendeva anche molte distanze dalla loro stupidità, ce ne mostrava il lato ridicolo, grottesco. Complessivamente possiamo dire che quella flaubertiana era ancora un’ironia ambivalente problematica. Non certo un puro ludus. Perciò ci si può e ci si deve chiedere: “[del loro volubile dilettantismo], delle loro scelte accidentali, dei loro dubbi elementari, ha colpa la loro mediocrità o la disintegrazione del sapere e dell’esperienza moderna?” (Orlando 1993: 438). Flaubert ci lascia in dubbio e qualsiasi sia la risposta che diamo alla questione è chiaro che la rappresentazione che Flaubert dà dei due ‘sciocchi’ è funzionale a un discorso ironico-serio sul mondo. Tarantino ha invece nei confronti dei luoghi comuni e della cultura e esperienza esplose del suo tempo un atteggiamento assolutamente agnostico e aproblematico. Difficile parlare di Kitsch per i suoi due eroi. Se ne potrebbe parlare se la loro esperienza del mondo ci fosse mostrata come aporetica rispetto a un modello di esperienza del mondo piena e autentica, che qui non viene in nessun modo postulato1. Insomma, mentre l’esperienza di Bouvard e Pécuchet testimoniava comunque di una mancanza esistenziale e culturale (forse ormai impossibile da colmare), questo non è più il caso dei due killers, che sono rappresentativi di un modo di vivere dentro il mondo dei media che l’autore condivide; loro (come lui) si cibano di quella cultura, se ne cibano, e non manifestano nessun bisogno d’Altro. Tra la presunta citazione di Ezechiele e quella del film Kung fu né il personaggio, né Tarantino, né lo spettatore colgono in fondo una distanza problematica. Noi insomma ridiamo con il personaggio e con l’autore di questa facilità a passare da un piano culturale all’altro. Ma un altro riferimento possibile e forse più diretto della “discussione teologica” di Jules e Vincent lo troviamo in Beckett e nella strana coppia più emblematica di tutto il Novecento (tra l’altro essa sta dietro anche alla coppia formata da Ben e Gus), quella composta da Vladimir e Estragon. Va detto che anche En attendant Godot gioca a smontare i luoghi comuni di una sorta di ideologia umanistica diffusa (in questo senso Beckett discende a sua volta da Flaubert). La pièce è tutta un’eco. A partire dalla coppia dei protagonisti, ognuno dei quali fa il verso all’altro, in un meccanismo di contrappunto così ben calibrato da assomigliare qualche volta a una partita di ping pong:. AnnalSS 2, 2002 (2005).

(8) 262. Stefano Brugnolo. ESTRAGON En attendant, essayons de converser sans nous exalter, puisque nous sommes incapables de nous taire. VLADIMIR C’est vrai, nous sommes intarissables. ESTRAGON C’est pour ne pas penser. VLADIMIR Nous avons des excuses. ESTRAGON C’est pour ne pas entendre. VLADIMIR Nous avons nos raisons (Beckett 1954: 80-81).. E così via. Ma entrambi i personaggi fanno a loro volta il verso a altri testi, non tanto a testi specifici, quanto a luoghi comuni, massime, proverbi, adagi popolari, cliché, espressioni figurate. Si veda il caso della massime rivoltate e stravolte come: “Voilà l’homme tout entier, s’en prenant à sa chaussure alors que c’est son pied le coupable” (Beckett 1952: 12); “Les larmes du monde sont immuables. Pour chacun qui se met à pleurer, quelque part un autre s’arrête. Il en va du même du rire. [...] Ne disons donc pas de mal de notre époque [...]. N’en dison pas de bien non plus. [....] N’en parlons pas. [...] Il est vrai que la population a augmenté” (Beckett 1952: 42); “On ne descend pas deux fois dans le même pus” (Beckett 1952: 78); “Dans un instant, tout se dissipera, nous serons à nouveau seuls, au milieu des solitudes” (Beckett 1952: 105). Più spesso si tratta però di echi o calchi di gesti verbali. La loro presenza è continua e costituisce il basso continuo del testo. E’ come se durante tutta la pièce i due straccioni mettessero in scena l’uno davanti all’altro modi, comportamenti, espressioni nobili e antiquate; un poco aggrappandosi a essi per darsi un tono (come il miserabile Charlot allorché mima a vuoto i gesti dei signori), e cioè per darsi ancora l’aria di ‘uomini’: “Vous êtes bien des êtres humaines cependant” (28), ironicamente concede loro Pozzo; un poco per irriderli beffardamente, per mostrarne la vacuità nel mentre li ‘recitano’, come quando Vladimir, avanzando verso il pubblico, esclama: “Endroit délicieux. [...] Aspects riants. [...] Allons-nousen” (Beckett 1954: 16). Essendo dato che tutti i discorsi avvengono in attesa di qualcosa che per definizione non avrà luogo, ecco infatti che essi si rivelano come esercizi retorici destituiti di significato, rituali svuotati, insieme comici e patetici. Va da sé che questo teatro nel teatro verrebbe meno se non fosse rimasto che uno solo “au milieu des solitudes”. C’è bisogno d’un partner per recitare la propria parte. Anche se è diventato sempre più difficile credere al proprio ruolo, e sempre più forte è la tentazione di rompere la coppia. Tuttavia Vladimir e Estragon continuano. Il sottinteso è: in qualche momento, in qualche luogo è accaduta una catastrofe, per cui ciò che continuano a dire e fare con l’aria di chi sa quel che dice e fa, appare ormai come una posa, la citazione fuori luogo di pensieri, atteggiamenti e riti a cui nessuno crede più. Se vogliamo parlare di intertestualità, diremo che si tratta. AnnalSS 2, 2002 (2005).

(9) Le strane coppie tra modernità e postmodernità…. 263. di una intertestualità aspecifica, che echeggia a vuoto tanti possibili discorsi passati presenti e futuri sulla ‘condizione umana’. Il testo di Beckett, infatti, è forse quello che più di tutti i testi della modernità fa risaltare meglio la vacuità di qualsiasi ‘bel discorso’ che gli uomini possono tenere per riempire il loro niente. Compresi i discorsi enfaticamente pessimistici o nichilistici, che nel testo sono spesso parodiati. Davanti a questi due ultimi uomini che non riescono nemmeno a reggersi in piedi, tutte quelle ‘belle parole’ fanno l’effetto di declamazioni vuote e grottesche, come quelle che Pozzo proferisce davanti ai due poveracci, per ricavarne qualche applauso nel deserto: “How did you find me? [...] Oh very good, very very good” (Beckett 1986: 37-38). Vale comunque la pena vedere la differenza tra questa intertestualità modernistica e una intertestualità cosiddetta postmoderna. Lo farò confrontando alcuni passaggi analoghi da Tarantino a Beckett, e muovendomi sempre nell’ambito delle dinamiche che caratterizzano la strana coppia. Anche in Beckett, come in Pulp Fiction, si scatena infatti una “discussione teologica”, e in entrambi i casi a partire dal riferimento alla Bibbia. Tra l’altro la domanda scatenante è formulata pressoché nello stesso modo. “You ever read the Bible?” chiede ripetutamente Jules in Pulp Fiction (Tarantino 1999: 32, 135, 186) prima di dare il via alle sue tirate religiose; “Did you ever read the Bible?” (Beckett 1986: 13), chiede Vladimir (nella versione inglese tradotta dallo stesso Beckett), prima di cominciare una memorabile disputa: VLADIMIR Un des larrons fut sauvé […] C’est un purcentage honnête […]. Tu as lu la Bible? ESTRAGON La Bible… (Il réfléchit) J’ai du y jeter un coup d’oeil. […] Je me rapelle les cartes de la Terre-Sainte. En couleur. Très jolies. La Mer-Morte était bleu pâle. J’avais soif rien qu’en la regardant. Je me disais, c’est là que nous irons passer notre lune de miel. Nous nagerons. Nous serons heureux. VLADIMIR Tu aurais du être poète. ESTRAGON Je l’ai été. […] Ça ne se voit pas? VLADIMIR Qu’est-ce que je disais…[…] Ah oui, j’y suis, cette histoire de larrons. […] C’étaient deux voleurs, crucifiés en même temps que le Sauveur. On… ESTRAGON Le quoi? VLADIMIR Le sauveur. Deux voleurs. On dit que l’un fut sauvé et l’autre…[…] damné ESTRAGON Sauvé de quoi? VLADIMIR De l’enfer. ESTRAGON Je m’en vais. VLADIMIR Et cependant… […] Comment se fait-il que des quatre évangélistes un seul présente les faits de cette façon?. […] Voyons, Gogo, il faut me renvoyer la balle de temps en temps. ESTRAGON J’écoute.. AnnalSS 2, 2002 (2005).

(10) 264. Stefano Brugnolo. VLADIMIR Un sur quatre. Des trois autres, deux n’en parlent pas du tout et le troisième dit qu’ils l’ont engueulé tous les deux. ESTRAGON Qui? VLADIMIR Comment? ESTRAGON Je ne comprends rien…(Un temps.) Engueulé qui? VLADIMIR Le Sauveur. ESTRAGON Pourquoi? VLADIMIR Parce qu’il n’a pas voulu les sauver. ESTRAGON De l’enfer? VLADIMIR Mais non, voyons! De la mort. ESTRAGON Et alors? (Beckett 1952 : 13-15).. E’ un dialogo stupido e sublime. Ci sono due ultimi uomini che dialogano nel vuoto e intorno al vuoto, con non altro che le loro parole per riempirlo, quel vuoto, senza veramente capirsi, facendosi l’uno l’eco dell’altro: “Qui? Comment? [...] qui? [...] Pourquoi? [...] Et alors?” E anche qui, come già in Tarantino, noi cogliamo la sproporzione tra il contenuto astruso della disputa e il contesto in cui essa avviene: quando si è soli e miserabili non ci si mette a cavillare sulle differenze tra i passi evangelici! Siamo prossimi al non-sense, al gratuito, all’assurdo, come è stato tante volte detto. E tuttavia, per quanto distorto e stravolto, un dialogo ha luogo, e l’oggetto di tale dialogo è (forse) ancora significativo. Ritorniamo a Tarantino. In lui, come abbiamo visto il riferimento alla Bibbia è certamente gratuito. Come riconosce lo stesso Jules quando, dopo che ha recitato per l’ennesima volta il passo di Ezechiele, commenta: “I been sayin' that shit for years. [...] I never really questioned what it meant I thought it was just a cold-blooded thing to say to a motherfucker 'fore you popped a cap in his ass” (Tarantino 1999: 186). Il fatto è che la citazione di Ezechiele suona benissimo nel contesto del film, esotica e ipnotica com’è, ma appunto non significa niente, o significa ‘qualsiasi cosa’ venga in mente. Ebbene qualcosa del genere succede anche alla ‘citazione’ di Vladimir. Il riferimento alla storia dei Vangeli appare incongruo e capzioso, e le reazioni annoiate e infastidite di Estragon (che non possono non ricordarci quelle di Vincent) esprimono bene il senso della vacuità di tanto interessamento, espresso nel mezzo di un deserto esistenziale e fisico: “Je ne comprends rien…”. Tuttavia è chiaro che qui il riferimento ai Vangeli non ha perso tutta la sua potenza (i due disgraziati crocefissi con Gesù non possono non ricordare la strana coppia protagonista della pièce). Si direbbe anche che il suo trattamento comico, e cioè la diminuzione subita dal modo estemporaneo e sconclusionato in cui l’episodio evangelico viene evocato, permette che la sua forza di suggestione brilli un’ultima volta in modo evocativo, anche se ormai dileguante. E’ solo insomma pagando un prezzo di degradazione umoristica che il mito della redenzione può. AnnalSS 2, 2002 (2005).

(11) Le strane coppie tra modernità e postmodernità…. 265. sprigionare ancora senso, un senso improbabile, ma pur sempre un senso: il bisogno di tutti gli essere umani di ‘salvarsi’. Qualcosa di simile si può dire del breve intermezzo poetico recitato da Estragon in riferimento alla Terra Santa. In realtà più che di poesia si tratta di pubblicità, come appare forse meglio nella traduzione in inglese del testo: “That’s where we’ll go […] that’s where will go for our honeymoon. We’ll swim. We’ll be happy” (Beckett 1986: 13). Suona particolarmente irridente questa formula da agenzia turistica adoperata in riferimento alla vita e alla morte di Cristo. Beckett, dunque, come Tarantino, mette in contatto il sacro degli antichi testi con il profano della cultura di massa. Ma mentre in Tarantino i riferimenti alla cultura mediatica degradano allegramente e irrimediabilmente i richiami alla Bibbia, in Beckett succede l’opposto: i sacri testi, per quanto contaminati, fanno baluginare ancora un residuale richiamo utopico: “We’ll be happy”. Quel che voglio sostenere insomma è che l’intertestualità di certe opere della tarda modernità, anche se risulta ironica, ribassante e irridente, non rinuncia a estrarre effetti di senso da quelle citazioni e allusioni: esse ci appaiono come schegge, frammenti che, per quanto spaesati e spaesanti, sono ancora suggestivi. Come se l’eredità di ‘belle parole’ che ci sta alle spalle, per quanto sospetta e forse ingannevole, non avesse ancora perso ogni autorità e potere evocativo2. Lo possiamo vedere in un’altra scena in cui c’è un riferimento a Cristo: VLADIMIR Mais tu ne peux pas aller pieds nus. ESTRAGON Jésus l’a fait. VLADIMIR Jésus! Qu’est-ce que tu va chercher là! Tu ne vas tout de même pas te comparer à lui? ESTRAGON Toute ma vie je me suis comparé à lui. VLADIMIR Mais là-bas il faisait chaud! Il faisait bon! ESTRAGON Oui. Et on crucifiait vite (Beckett 1952: 68).. La prima risposta è sorprendente: “Cristo l’ha fatto”! Non può non ricordarci la battuta di Jules che vuole “percorrere la terra” poveramente, francescanamente “come Caine in Kung Fu”. E in questo caso è Vladimir che lo deve richiamare al senso della realtà: “ma dove viveva lui era caldo”, proprio come faceva Vincent più coloritamente: “finirai per essere come quei pezzi di merda che chiedono la carità”. Ma alla domanda stupita e ragionevole di Vladimir: “vuoi forse compararti a Cristo?” L’altro inopinatamente e tranquillamente risponde che non ha fatto altro per tutta la vita. Il che suona grottesco, ma in fondo anche vero: i due poveri barboni sono indubbiamente figure cristologiche, cristi straccioni, diseredati, clowneschi. Diseredati dalla loro tradizione. Una tradizione fatta di promesse di salvezza, emancipazione, liberazione dal bisogno e dalla paura. Come. AnnalSS 2, 2002 (2005).

(12) 266. Stefano Brugnolo. abbiamo visto, la replica invece di controbattere all’enormità delle pretese, si sposta su un piano di osservazione pratica: “ma lì faceva caldo”. La controreplica è una battuta stupida, dove però ricompare il tema della crocifissione. Ripeto, si tratta apparentemente di parole buttate lì, tanto per riempire i vuoti della conversazione, e che dunque vive non contengono nessun diretto richiamo metafisico o religioso, ma è come se al fondo di esse noi cogliessimo un sottosenso disperatamente serio, un richiamo ultimo ai valori ormai incredibili, ridicoli del cristianesimo e delle sue forme secolarizzate, un estremo richiamo prima di lasciarli cadere definitivamente. (E aggiungerei infine un ulteriore strato di significato: nella messa in scena degradante di quei valori compiuta dai due non è assente una sfumatura di protesta, dettata dalla rabbia per averci creduto a quei valori ingannevoli, dalla sensazione di sentirsi vincolati a essi, nonostante si sappia che essi non av-verranno, che non possono né potevano avvenire). Portiamoci adesso alla ‘frazione’ di origine freudiana a proposito del funzionamento del motto di spirito o Witz, così come è stata riformulata da Orlando. Secondo Orlando infatti nella comicità una non-identificazione al denominatore, copre una identificazione al nominatore, un NON SONO IO copre un SONO IO: “E mentre la comicità si stabilisce sulla distanza presa, sulla non-identificazione fra me e l’altro comico, invece l’effetto o il successo del Witz [...] non si ottiene senza un coinvolgimento, una complicità, una identificazione” (Orlando 1980: 149). Ma lasciamo direttamente la parola a Freud: “La risposta alla domanda ‘perché ridiamo dei movimenti dei clown?’ [è]: perché ci sembrano sproporzionati e incongrui” (Freud 1975: 212). E così ci paiono infatti i discorsi e i gesti dei due clown beckettiani, “sproporzionati e incongrui”, e perciò risibili. Io direi però che se il riso in Beckett ci permette di prendere le ovvie distanze da discorsi e comportamenti tanto sconclusionati e inadeguati, esso copre in definitiva una nostra più profonda identificazione con Vladimir e Estragon su base patetica. Da qualche parte infatti noi ci sentiamo come loro: poveri cristi, senza arte né parte, ingannati da improbabili utopie, che però ancora sperano ridicolmente, assurdamente in una inverosimile salvezza. Diciamo che Vladimir e Estragon stanno prendendo congedo dalla modernità, qui intesa come utopia, come ‘sogno di una cosa’. Irridono a quella utopia, alle parole che l’hanno espressa, ma anche mostrano la difficoltà di rinunciarvi per sempre, e il dolore che ne consegue (quel che alla fine resta è infatti un corpo nudo, dolente, grottesco). Diversissimo il gioco di Tarantino. Qui il congedo dai quei valori s’è consumato, e siamo entrati in quella che in modo abbastanza approssimativo viene chiamata postmodernità. E cambia perciò il sistema delle identificazioni e delle dis-identificazioni. E perciò: noi NON SIAMO Jules e Vincent, e cioè. AnnalSS 2, 2002 (2005).

(13) Le strane coppie tra modernità e postmodernità…. 267. non siamo così appiattiti sui valori della civiltà consumistica, non siamo così vuoti e ultimi, così spiritualmente e moralmente ‘stupidi’; e tuttavia NOI SIAMO Jules e Vincent, in quanto una parte di noi si identifica con la loro vuotaggine, con la loro felice aproblematicità. Una parte di noi, e cioè la parte di noi stanca di dover faticosamente resistere ai piaceri di quella civiltà, la parte di noi che di solito si ciba di hamburger, televisione e pubblicità, però sentendosi in colpa. Se resistere alle comodità della civiltà consumistica costa una certa fatica intellettuale e morale, e se il comico, sempre secondo Freud, scatta quando c’è risparmio di energia psichica (cfr. Freud 1975: 216-219), ebbene, allora il film di Tarantino ci consente proprio questo risparmio, facendoci intravedere la possibilità di intrattenere un rapporto disteso, ludico, piacevolmente amorale con quella civiltà. In altre parole, il film costituisce una sorta di formazione di compromesso tra due istanze contrapposte: la falsa coscienza americana (i consumi ci renderanno felici), la cattiva coscienza anti-americana (i consumi ci renderanno infelici). Tarantino non è un ingenuo sostenitore del modello americano, ma non è nemmeno un critico ideologico di tale modello. Ci mostra sì quanto questo modo di vita sia vacuo, ma contemporaneamente si immedesima allegramente in quello stile di vita vacuo, se lo gode da una posizione interna/esterna, perfettamente agnostica. Si potrebbe parlare di una operazione che è contemporaneamente estetizzante e anestetizzante. Sul modello della pop art, che appunto congelava certi prodotti della civiltà dei consumi, come astraendoli dal loro problematico contesto umano. Prima di finire torniamo adesso ancora a Flaubert, e tentiamo una ulteriore analogia con il mondo di Tarantino. Secondo Flaubert noi tutti siamo in qualche modo copie o copisti, noi tutti perciò siamo stupidi come Bouvard e Pécuchet, ma questa stupidità è, l’indizio di una drammatica incapacità di articolazione delle conoscenze e dei valori, forse ormai impossibile da curare, che ci minaccia tutti, ma che comunque è ancora percepita come un difetto. Diremo perciò che quello che in Flaubert era ancora denuncia di una prammatica aporia, diviene in Tarantino libero gioco felicemente irresponsabile. Forse l’unico surplus di significato è che l’autore è consapevole di questo gioco, e pur ritenendo che non vi siano alternative a esso, sa goderne con maggiore consapevolezza rispetto ai suoi eroi. Non che pretenda di sapere e capire più di Jules e Vincent, il loro orizzonte di clienti consumatori è il suo orizzonte, solo che lui non è prigioniero di quel mondo, è un cliente che si può permettere un agio maggiore di manovra, di riflessività ludica, come d’altra parte dimostra il suo piacere nel gestire con piglio funambolico la costruzione del film, nel giocare con i tempi e le storie,. AnnalSS 2, 2002 (2005).

(14) 268. Stefano Brugnolo. intrecciandole variamente. Tale costruzione tipica delle poetiche modernistiche non ha alcun significato sovradeterminato, non implica nessun intento di relativizzazione o di complicazione dei punti di vista, delle interpretazioni, come era per quegli autori. E’ appunto un puro gioco che consente a Tarantino e ai suoi spettatori più raffinati di stare dentro-e-fuori un universo ‘stupido’3. E per finire davvero, riportiamoci alla domanda posta sia da Estragon che da Jules: “Did you ever read the Bible?”. Ebbene, se la pièce di Beckett implica un lettore che dà una risposta affermativa, dato che per quanto quel testo sia ormai lontanissimo, esso risuona ancora come la base ultima di tutte le possibili allusioni e risonanze cosiddette intertestuali; la risposta che Tarantino suggerisce è invece del tutto disimpegnata: sì o no, non importa, si tratta comunque di un riferimento tra gli altri, comunque non fondante, niente affatto centrale. Visualizziamo le due ‘scene’. Mentre la strana coppia di Beckett si muove a fatica, quasi strisciando, in un paesaggio successivo a una qualche catastrofe, un paesaggio fatto di macerie, di frammenti, di schegge di significato ancora carichi di forza evocativa, e cioè in definitiva di residuale forza utopica; la strana coppia di Tarantino si muove del tutto a suo agio dentro un paesaggio altrettanto frammentario, ma perfettamente abitabile, simile com’è a un grande magazzino, dove tutti i valori culturali, dal trash al sublime, sono in svendita. Se nel primo testo sentiamo trasparire il dolore per il fallimento catastrofico del progetto della modernità, nel secondo sentiamo che è possibile prendere un congedo divertito da quel progetto. In questo senso allora, se forse Vladimir e Estragon sono davvero una coppia di ultimi uomini, Jules e Vincent sono invece una coppia di primi uomini, intenti a esplorare un mondo venuto dopo.. AnnalSS 2, 2002 (2005).

(15) Le strane coppie tra modernità e postmodernità…. 269. Note. Sulla decadenza del Kitsch sono utili le osservazioni di Remo Ceserani: “Mentre nell’epoca della modernità allo sviluppo, fra le élites artistiche e letterarie, dell’estetismo si contrapponeva, da parte della piccola e media borghesia, un’incapacità di raggiungere l’estetico e una tendenza alla sostituzione dell’esperienza estetica con i suoi surrogati e con i ripieghi del Kitsh, nell’epoca postmoderna, di fronte al rimescolamento del pubblico e all’invadenza dell’industria culturale e alla generale colonizzazione di tutti i territori dell’estetico da parte di esperti manipolatori del mercato, sono stati proprio i gruppi di élites che, con un tocco di ironia, hanno di proposito investito del loro interesse e fatto oggetto di culto (cult) e di santificazione ed elevazione sugli altari dell’estetico film o testi letterari e poetici, o musicali e televisivi, prodotti casualmente e in risposta alle esigenze del mercato, ben confezionati, destinati a un medio successo popolare” (Ceserani 1997: 28). 2 A. K. Kennedy: “The allusion to some remote possibility of ‘being saved’ is not excluded by the text; it reverberates as a concern, an anxious questioning – without nihilistic parody” (Kennedy 1989: 26). 3 “the complications of temporality in a work of modernism like Resnais’s Hiroshima, mon amour encoureged spectators to reflect on issues of memory and wartime guilt, of personal and national identity, of sexuality and politics, the breaking down of narrative in Pulp Fiction becomes a game, a light puzzle to be engaged in playfully, rather than a dicourse in, say, perspectives of knowledge, the relativity of human understanding” (Polan 2000: 81). 1. AnnalSS 2, 2002 (2005).

(16) 270. Stefano Brugnolo. Bibliografia Beckett, S., 1952, En attendant Godot, Paris; 1986, “Waiting for Godot”, in The complete Dramatic Works, London; Bergson, H., 1983, Il riso. Saggio sul significato del comico, Bari; Bloy, L., 1964-1975, “Histoires désobligeantes”, in Oeuvres complètes, vol. VI, Paris; Ceserani, R., 1997, Raccontare il postmoderno, Torino; Flaubert, G., 1915, Bouvard et Pécuchet, Paris; Freud, S., 1975, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, trad. S. Daniele e E. Sagittario, Torino; Leclerc, Y., 1988, La spirale le monument: essai sur Bouvard et Pécuchet de Gustave Flaubert, Paris; Kennedy, A. K., 1989, Samuel Beckett, Cambridge; Orlando, F., 1980, Due letture freudiane: Fedra e il Misantropo, Torino; 1993, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura, Torino 1993; Pinter, H., 1983, “The dumb Waiter”, in Plays, vol. I, London; Polan, D., 2000, Pulp Fiction, London; Tarantino, Q., 1999, Pulp Fiction, Faber and Faber, London.. AnnalSS 2, 2002 (2005).

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