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Fattori della Fatica

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Academic year: 2021

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Sommario

CAPITOLO 1 ... 3

Introduzione ... 3

Sintomi della stanchezza fisica ... 12

Le cause della stanchezza fisica ... 13

Qualità del sonno ... 14

Pittsburg Sleep Quality Index — PSQI ... 15

Epworth Sleepiness Scale — ESS ... 16

Le cure contro la stanchezza fisica ... 17

Infiammazione, Malattia e Stanchezza ... 18

Infiammazione e fatica: reperti clinici ... 19

Basi neurali della fatica indotta da infiammazione ... 21

Prospettive future ... 26 Capitolo 2 ... 27 Stanchezza cronica ... 27 Caratteristiche della CFS ... 28 Cure per la CFS ... 32 Capitolo 3 ... 34

Ruolo emergente dell’immunità nell’encefalomielite mialgica/Sindrome da fatica cronica. ... 34

Parte generale ... 35

Autoimmunità nella ME /CFS ... 37

Cellule B nella ME / CFS ... 38

Autoimmunità nella ME /CFS ... 38

Neoepitopi nella ME/CFS ... 40

Fattori determinanti le risposte autoimmuni nella ME/CFS ... 40

Ruolo delle cellule NK nell’autoimmunità... 40

Ruolo delle infezioni virali nell’autoimmunità ... 42

Infezioni da virus e mimetismo molecolare ... 42

Infezioni virali ed effetto spettatore ... 43

Processi di apoptosi mitocondriale ed autoimmunità ... 44

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ATP mitocondriale, apoptosi, necrosi ed autoimmunità ... 46

Ruolo di NF-kB nella generazione dell’autoimmunità ... 46

NF-kB e generazione dell’infiammazione cronica ... 46

NF-kB e cellule B autoreattive ... 47

NF-kB e morte cellulare ... 47

Citochine ed autoimmunità mediata da cellule T ... 48

Traslocazione, neuro-infiammazione ed immunità batteriche ... 49

Autoanticorpi derivanti da epitopi modificati dell’O e NS ... 51

Ossido nitrico, ciclo della metionina ed autoimmunità ... 53

Leptina ed autoimmunità... 54

Generazione anticorpo-indipendente di autoimmunità da linfociti B ... 54

Conclusioni ... 56

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CAPITOLO 1

L'esatta natura e fisiopatologia della fatica rimangono in gran parte non chiare, nonostante la sua elevata presenza nello stato fisico dei pazienti. Gli studi sul rapporto tra il Sistema Immunitario e il Sistema Nervoso Centrale prevedono una nuova prospettiva sui meccanismi della fatica. I mediatori dell’infiammazione che vengono rilasciati dall’attivazione di cellule immunitarie presenti sia nel Sistema Periferico che nel Sistema Nervoso Centrale alterano il metabolismo e l'attività di neurotrasmettitori (NT), portando così alla generazione di composti neurotossici, alla diminuzione dei fattori neutrofici, disturbando profondamente l’ambiente neuronale. Le alterazioni conseguenti della rete fronto-striatale coadiuvate all’attivazione del lobo dell’insula da parte di stimoli enterocettivi sono alla base di molte tipologie di affaticamento tra cui: riduzione della flessibilità comportamentale, incertezza sull'utilità delle azioni e la consapevolezza della fatica.

Introduzione

Sono state proposte molte definizioni di stanchezza; quella maggiormente utilizzata si riferisce a fatica come:

“Un schiacciante, debilitante, e costante senso di stanchezza che riduce la propria capacità di svolgere le attività quotidiane, tra cui la possibilità di lavorare in modo efficace e funzionale ad un consueto livello nel ruolo famigliare o sociale”.1

Esistono almeno due dimensioni di fatica: “Non posso farlo, non ne posso più” contro “non ho voglia di farlo, ma non ne vale la pena”. La prima dimensione è relativamente facile da caratterizzare perché generalmente è associata ad evidenti segni fisici. La seconda dimensione è più complicata da caratterizzare e di solito è indicata come affaticamento centrale o “mancanza di auto-motivazione per sostenere compiti di attenzione e/o attività fisiche”.

La stanchezza fisica, molto spesso, è accompagnata da una totale mancanza di volontà nei confronti di qualsiasi attività, in quanto la sensazione di fatica può essere avvertita non solo come stanchezza, ma anche come un vero e proprio malessere ed una totale mancanza di motivazione. La stanchezza fisica è una condizione abbastanza diffusa, sebbene la stanchezza mentale risulti essere più frequente; la stanchezza fisica può

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manifestarsi di tanto in tanto, in seguito ad un’attività particolarmente intensa, tuttavia, in molti casi, la condizione di stanchezza fisica interferisce con le normali attività quotidiane.

Se la stanchezza fisica non dipende da patologie alla base, di solito, non persiste per molto tempo, infatti dopo alcune ore o, nel peggiore dei casi, dopo alcuni giorni, si ritrovano le proprie energie, tuttavia, per riacquistare le energie, è necessario riposarsi completamente quando si avverte la sensazione di stanchezza fisica; in alcuni casi, la stanchezza fisica può insorgere dopo i pasti, soprattutto se è stato consumato un pasto abbondante, infatti si tratta di una normale reazione dell’organismo che può durare dai trenta minuti ad alcune ore. Bisogna distinguere, infine, la condizione di stanchezza fisica momentanea, che può dipendere da diversi fattori, dalla condizione di stanchezza fisica cronica: la stanchezza fisica cronica viene definita come una sindrome, tuttavia alcuni medici non sono d’accordo con questa definizione, in quanto, secondo questi, la stanchezza cronica non dovrebbe essere considerata una vera e propria patologia, a causa della mancanza di sintomi ben definiti, ma dovrebbe essere valutata come un sintomo di una patologia alla base.

Può essere difficile riuscire a distinguere la stanchezza fisica dalla sindrome da stanchezza cronica, tuttavia la stanchezza fisica è una condizione momentanea associata ad una condizione di affaticamento, mentre la stanchezza viene riconosciuta come una sindrome cronica solamente se si protrae per un periodo piuttosto lungo, superiore ai sei mesi.

L’affaticamento centrale raramente si verifica da solo, ed è spesso associata a disturbi del sonno, dolore affettivo e alterazioni cognitive.

La fatica nella popolazione generale è presente con una percentuale molto vicina al 20%.2 Circa un terzo dei reclami dei pazienti in medicina generale riguardano la sintomatologia della stanchezza.3 La percentuale dei pazienti che sentono livelli di stanchezza aumentano, fino al di sopra del 50%, in diverse condizioni mediche che coinvolgono una non regolare funzione del sistema immunitario, quali cancro, infezioni croniche, malattie autoimmuni, e malattie neurologico.La sensazione di stanchezza in pazienti che sono fisicamente malati è uno dei più comuni e più antichi sintomi, non specifici, della malattia e può persistere a lungo dopo che la condizione medica è stata risolta.

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Dato che la soggettività dello stato di affaticamento è poco correlabile con misure oggettive dell’attività fisica,4 sono stati sviluppati diversi questionari per misurare la

gravità complessiva della stanchezza e in alcuni casi cercare di capire le sue dimensioni. Tuttavia, ciò che spesso si dimentica durante l'elaborazione di questi punteggi è che la fatica è un prodotto della rappresentazione dei pazienti delle loro condizioni e fa parte delle percezioni che, i pazienti formano sulla loro malattia. Queste percezioni variano a seconda del tempo che il soggetto è malato e dipenderà dal modo in cui i pazienti possano mobilitare le proprie risorse, per far fronte a questa particolare minaccia per la loro integrità che la malattia rappresenta. Questo aspetto fa parte del concetto di auto-efficacia, ovvero un costrutto cognitivo che implica una auto-percezione sulle capacità delle prestazioni di se stessi. Le misure di qualità di vita e qualità di vita relativa alla salute vengono sempre più utilizzate sia nella pratica clinica sia in ambito di ricerca, il loro utilizzo è stato favorito da differenti fattori. Tra questi:

1. l'evolversi della tipologia delle malattia: da patologie a decorso acuto a forme a decorso cronico in cui il rapporto con la struttura sanitaria e il clinico è duraturo nel tempo ed in cui i fattori da misurare per valutare l'appropriatezza degli interventi non sono solo la semplice dicotomia vivo/morto ma riguardano vari fattori come i sintomi, lo stato generale di salute o la soddisfazione della cura; 2. la constatazione che il soggetto è un'attendibile fonte di dati fornendo un punto

di vista unico, non recuperabile con altre modalità di raccolta dati e complementare su molte aree a quello clinico;

3. la disponibilità, prevalentemente resa possibile negli ultimi dieci anni di ricerca ed applicazione pratica, di strumenti che sempre con maggior precisione ed accuratezza fossero in grado di raccogliere e trasformare l'opinione del paziente in informazioni sensate sia per il clinico sia per il ricercatore.

L'SF-36 è un questionario sullo stato di salute del paziente che è caratterizzato dalla brevità (mediamente il soggetto impiega non più di 10 minuti per la sua compilazione) e dalla precisione (lo strumento è valido e riproducibile). E' stato sviluppato a partire dagli anni 80 negli Stati Uniti d'America come questionario generico, multi-dimensionale articolato attraverso 36 domande che permettono di assemblare otto differenti scale.

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Le 36 domande si riferiscono concettualmente a 8 domini di salute: AF-attività fisica (10 domande), RP-limitazioni di ruolo dovute alla salute fisica (4 domande) e RE-limitazioni di ruolo dovute allo stato emotivo (3 domande), BP-dolore fisico (2 domande), GH-percezione dello stato di salute generale (5 domande), VT-vitalità (4 domande), SF-attività sociali (2 domande), MH- salute mentale (5 domande) e una singola domanda sul cambiamento nello stato di salute.

Il questionario SF-36 può essere auto-compilato, o può essere oggetto di una intervista sia telefonica sia faccia-a-faccia. Tutte le domande dell'SF-36, tranne una, si riferiscono ad un periodo di quattro settimane precedenti la compilazione del questionario. La validità delle 8 scale dell'SF-36 è stata largamente studiata in gruppi noti di pazienti. Gli studi di validazione hanno inoltre dimostrato che l'SF-36 ha capacità discriminanti nei confronti di popolazioni con problemi psichiatrici o problemi fisici e di discriminare tra gruppi di popolazioni con condizioni mediche severe da gruppi di popolazioni moderatamente malate o sane.

In Italia il questionario è stato tradotto ed adattato culturalmente a metà degli anni 90 nell'ambito del progetto IQOLA. Lo sviluppo del questionario italiano si è articolato in differenti tappe durante le quali il questionario è stato somministrato a più di 10.000 soggetti. Attualmente è disponibile un manuale di utilizzo, una ampia bibliografia di riferimento ed una banca dati di riferimento con dati normativi su un campione di 2031

soggetti rappresentativi della popolazione italiana datata 1995.

Attualmente è in discussione e in studio una seconda versione del questionario, SF36-V2.

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La stanchezza in pazienti con un cancro al seno o sclerosi multipla hanno una scarsa auto-efficacia dovuta alla loro incapacità di impegnarsi in esercizi fisici, nonostante il suo potenziale beneficio.5

Considerando il grande corpo di dati che è disponibile sul rapporto tra la fatica e l’infiammazione e l’impatto negativo dell’infiammazione sul comportamento, proponiamo che la fatica nei soggetti con infiammazione è una sensazione (sintomo) che si riferisce alla mancanza di motivazione per implementare le risorse ed impegnarsi in prestazioni che richiedono un elevato sforzo per affrontare la loro situazione. Questo è in contrasto con la depressione che ha questa componete associata ad autosvalutazione, tristezza, e incapacità di provare piacere.

Sintomi della stanchezza fisica

La stanchezza fisica, così come la stanchezza mentale, può essere considerata come un sintomo di una condizione medica alla base, tuttavia la stanchezza fisica stessa può essere accompagnata da altri fattori che vengono definiti come sintomi; i principali sintomi che vengono associata alla stanchezza fisica sono:

 la debolezza

 la mancanza di energia

 la sensazione frequente di stanchezza

 la mancanza di volontà e di motivazione

La difficoltà di concentrazione e l’incapacità di svolgere i propri compiti possono essere considerati come sintomi della stanchezza fisica, tuttavia questi sintomi vengono associati, prevalentemente, ad una condizione di stanchezza mentale. Se la stanchezza fisica dipende da una condizione alla base, possono manifestarsi altri sintomi che permettono di risalire alla causa della stanchezza fisica stessa; in ogni modo, se la condizione di stanchezza fisica persiste, se insorgono sintomi insoliti o, comunque, se non si riesce a comprendere la causa di questa condizione, occorre rivolgersi al proprio medico, in quanto un medico, sulla base dei sintomi riportati dal paziente e di un esame fisico, può comprendere quali siano le cause della stanchezza fisica.

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Le cause della stanchezza fisica

La stanchezza fisica è una condizione abbastanza comune, perciò le cause di questa sensazione di stanchezza possono essere diverse; la maggior parte delle patologie e dei disturbi, sia fisici che mentali, hanno tra i sintomi la condizione di stanchezza fisica, inoltre la stanchezza fisica può manifestarsi anche nelle persone in ottime condizioni di salute, a causa di un eccessivo sforzo fisico o mentale. La stanchezza fisica, in genere, non è un sintomo preoccupante, proprio perché può dipendere da una fatica eccessiva, tuttavia se la condizione di stanchezza persiste, ovvero diventa cronica, può essere necessario risalire alle cause di questa condizione anomala. La principale causa della stanchezza fisica, quindi, è lo sforzo particolarmente intenso, infatti una fatica eccessiva può portare ad una stanchezza fisica che persiste per un giorno o, in alcuni casi, per più giorni: la durata della fatica, ovviamente, dipende dall’intensità dello sforzo compiuto. Altre cause della stanchezza fisica, possono essere:

 la qualità del sonno.

 le patologie che hanno come sintomo la stanchezza fisica.

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Qualità del sonno

Grazie alla polisonnografia, gli studiosi sono in grado oggi di monitorare numerosi parametri elettrofisiologici e le loro modificazioni durante il sonno. Questa tecnica si avvale della misurazione dell’attività EEG, EOG ed EMG, ma può far ricorso ad altre misure per la valutazione di problemi specifici. Così, ad esempio, nello studio dell’apnea da sonno può essere misurato il flusso d’aria orale o nasale, lo sforzo respiratorio, i movimenti toracici e/o addominali, la saturazione di ossiemoglobina o la concentrazione di CO2 espirata; per lo studio di movimenti abnormi durante il sonno può essere registrata l’attività elettromiografica periferica. Gli studi polisonnografici vengono generalmente effettuati di notte, durante le normali ore di sonno, ma per la valutazione della sonnolenza diurna si ricorre a studi polisonnografici diurni; il più comunemente usato è il Multiple Sleep Latency Test - MSLT, che viene effettuato cinque volte al giorno collocando il soggetto disteso, in una stanza oscura, e chiedendogli di non opporsi al sonno: la quantità di tempo necessaria per addormentarsi, misurata ogni volta, è assunta come misura della sonnolenza.

Si può utilizzare la tecnica opposta, quella del Repeated Test of Sustained Wakefulness -RTSW, invitando il soggetto, questa volta, a cercare di rimanere sveglio.

Tutte queste tecniche sono, com’è facile intuire, complesse, lunghe, devono svolgersi generalmente di notte e, comunque, non ci danno informazioni sufficientemente adeguate circa gli aspetti qualitativi del sonno. A questo scopo sono stati messi a punto degli strumenti standardizzati di valutazione che possono utilmente integrare le informazioni raccolte mediante le indagini di laboratorio. Particolarmente importanti sono questi strumenti nella ricerca psicofarmacologica clinica, allorché le valutazioni dell’efficacia dei farmaci proposti per correggere i disturbi del sonno devono essere fatte su popolazioni numerose, che sarebbe difficile (se non improponibile) studiare con le tecniche polisonnografiche. D’altra parte è stato ampiamente dimostrato che questi strumenti correlano in buona misura con i reperti polisonnografici al punto da poterli sostituire quando sono necessarie valutazioni ripetute nel tempo.

Le scale di valutazione dei disturbi del sonno sono rivolte solo alle cosiddette Dissonnie (con l’eccezione del Disturbo del Ritmo Circadiano del Sonno); esplorando soltanto la sintomatologia e non l’etiologia, sono utilizzabili tanto nelle dissonnie primarie quanto

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in quelle secondarie ad altre patologie psichiche o generali. In passato erano molto usati dei diari in cui venivano riportati quotidianamente i pattern di sonno: molto utili sul piano descrittivo, sono di scarsa utilità nella ricerca poiché non è possibile valutare la loro validità ed affidabilità e, per la loro estrema soggettività, non sono confrontabili tra soggetti.

Queste scale trovano un utile impiego come strumenti di screening per l’identificazione rapida, non invasiva, dei soggetti con disturbi del sonno da sottoporre, eventualmente, ad indagini più complesse ed approfondite. Se le scale più vecchie possono apparire psicometricamente non rigorose, le più recenti sono certamente molto più robuste essendo state validate rispetto ai dati polisonnografici.

Pittsburg Sleep Quality Index — PSQI

Il PSQI (Buysse et al., 1989) è una scala di autovalutazione che è stata messa a punto allo scopo di:

 fornire una misura affidabile, valida e standardizzata della qualità del sonno;

 discriminare fra "buoni" e "cattivi" dormitori;

 fornire un elenco di facile impiego per i soggetti e di facile interpretazione per il clinico ed il ricercatore;

 fornire una valutazione rapida, clinicamente utile, dei diversi tipi di sonno che possono compromettere la qualità del sonno.

Gli item che fanno parte del PSQI sono stati ricavati dall’esperienza clinica con pazienti affetti da disturbi del sonno, da una rassegna della letteratura su precedenti questionari per lo studio del sonno e dall’impiego clinico sul campo dello strumento per 18 mesi. L’indagine prende in considerazione l’ultimo mese e si colloca perciò fra quelli che prendono in considerazione la notte precedente (che ci danno ottime informazioni sulla presenza e sulle caratteristiche di specifici problemi) e quelli che prendono in considerazione tempi più lunghi (un anno o più) che possono dare un quadro generale dei problemi del sonno ma non sono adatti ad evidenziare i problemi attuali. Prendendo in considerazione il mese, si possono distinguere i problemi transitori da quelli persistenti. La scala è composta da 19 item valutati dal soggetto stesso e 5 ai quali deve

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rispondere il compagno di letto o di stanza (e che non entrano comunque nel punteggio totale, ma servono solo come informazione clinica).

I 19 item sono raggruppati in 7 item compositi, valutati su una scala da 0 a 3, che sommati danno il punteggio globale del PSQI, che può andare da 0 a 21, indicando i punteggi più elevati una maggiore compromissione del sonno (un punteggio superiore a 5 è considerato indicativo di presenza di disturbi del sonno). Questi 7 item compositi rappresentano la qualità soggettiva del sonno, la latenza di sonno, la durata del sonno, l’efficacia abituale del sonno, i disturbi del sonno, l’uso di farmaci ipnotici ed i disturbi durante il giorno.

Il PQSI ha delle buone caratteristiche psicometriche tanto che si può dire che gli Autori hanno messo effettivamente a punto una misura affidabile, valida e standardizzata della qualità del sonno. È in grado, in fase di screening, di identificare i buoni dai cattivi dormitori, e di individuare gli specifici disturbi del sonno dei soggetti; tuttavia non ci si può affidare soltanto a questo strumento per una diagnosi accurata dei disturbi del sonno.

Epworth Sleepiness Scale — ESS

La ESS (Johns, 1991) è stata messa a punto allo scopo di misurare il livello generale di sonnolenza diurna, come strumento rapido ed economico di screening per identificare coloro che hanno problemi diurni di sonnolenza da approfondire, eventualmente, con il MSLT.

È una scala di autovalutazione di 8 item che prendono in considerazione varie situazioni della vita quotidiana che sappiamo avere un diverso effetto soporifero, per ognuna delle quali il soggetto deve stabilire in che misura tendano a farlo appisolare o addormentare. Ogni item è valutato su di una scala a 4 punti, da 0 = non mi appisolerei mai, a 3 = alta probabilità di appisolarsi. Le proprietà psicometriche dello strumento sono risultate assai buone, compresa una discreta sensibilità al cambiamento per effetto del trattamento.

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Le cure contro la stanchezza fisica

In caso di stanchezza fisica, occorre intraprendere una cura solamente se la stanchezza fisica dipende da una condizione medica alla base; la stanchezza fisica, infatti, non si protrae per molto tempo, tuttavia, se questa condizione di stanchezza dipende da una patologia o da un disturbo, è necessario intraprendere una cura per contrastarla. Bisogna, quindi, rivolgersi al proprio medico, in modo da valutare quale sia la causa della stanchezza fisica; la cura, infatti, può basarsi sull’assunzione di integratori di ferro, in caso di anemia, di antibiotici, in caso di infezione di origine batterica, o di altre sostanze, come, ad esempio, le vitamine, a seconda della causa della stanchezza fisica. Occorre considerare che i disturbi del sonno, gli squilibri nei livelli ormonali e numerose altre condizioni possono causare la stanchezza fisica, di conseguenza è di fondamentale importanza riuscire ad individuare quali sia la causa specifica, in modo da intraprendere un trattamento adeguato. La cura della stanchezza fisica, comunque, deve basarsi sull’adozione di una dieta sana ed equilibrata e su una moderata attività fisica, ad esempio una salutare passeggiata ogni giorno: entrambi questi trattamenti, infatti, aiutano a mantenere l’organismo in buone condizioni di salute, quindi prevengono e combattono la stanchezza fisica; l’esercizio fisico intenso, al contrario, è tra le principali cause della condizione di stanchezza fisica.

E’ possibile adottare alcuni rimedi, sia per prevenire la stanchezza fisica, che per contrastare questa condizione; innanzitutto, è necessario evitare qualsiasi condizione di stress: le tecniche di rilassamento, quindi, che aiutano a gestire lo stress e l’ansia, combattono i sintomi della stanchezza fisica. Un moderato esercizio fisico può essere un rimedio contro la stanchezza fisica, in quanto abituando l’organismo ad una leggera attività fisica, si può evitare la condizione di stanchezza fisica che può colpire le persone sedentarie in seguito ad uno sforzo non necessariamente eccessivo; una dieta sana ed equilibrata, al tempo stesso, può essere considerata un rimedio contro la stanchezza fisica, in quanto fornendo all’organismo i nutrienti e l’energia di cui ha bisogno, si combatte la sensazione di stanchezza. Si consiglia, infine, di evitare il fumo e di limitare o, se possibile, eliminare il consumo di alcolici; è necessario, infine, dormire per un tempo sufficiente a recuperare le energie necessarie. La stanchezza fisica è una condizione abbastanza diffusa che dipende, nella maggior parte dei casi, da uno sforzo eccessivo; la stanchezza fisica può essere considerata come un sintomo di una

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condizione medica alla base, tuttavia, anche per quanto riguarda la stanchezza fisica, si possono individuare dei sintomi associati. E’ possibile combattere la stanchezza fisica, innanzitutto individuando e, se possibile, eliminandone le cause, quindi adottando dei rimedi che aiutano a contrastare questa condizione di stanchezza.

Infiammazione, Malattia e Stanchezza

La concettualizzazione di fatica indotta da infiammazione richiede una prospettiva evoluzionistica. In un saggio, Hart suggerisce che il comportamento degli animali malati non è l'effetto dovuto alla debilitazione ma è una risposta organizzata, una strategia evoluta per agevolare il ruolo della febbre nella lotta contro le infezioni virali e batteriche.

Successivi studi si sono concentrati sugli aspetti meccanici dell’infiammazione indotta dalla malattia. L’evoluzione ha conservato strutture di patogeni che attivano una serie limitata di immuno-recettori innati, conosciuti come recettori toll-like, i quali sono comuni sia a piante che animali.6

L'interazione di questi recettori con i loro ligandi sono all’inizio della produzione di citochine pro-infiammatorie. Inoltre il loro ruolo è quello di coordinare il montaggio e la regolamentazione di una risposta immunitaria, le citochine pro-infiammatorie prodotte dalle cellule immunitarie innate, portano all’attivazione del segnale del cervello determinando così l'attivazione delle vie di comunicazione “sistema immunitario-cervello” che permettono una definitiva strategia di cura del corpo malato. In termini motivazionali, la malattia compete con altri stati motivazionali interni o esterni guidati (quali ad esempio, la fame, l'esplorazione, o il sesso) e prende precedenza, diventando più importante per la sopravvivenza. La concorrenza tra la malattia e gli altri stati motivazionali può essere dimostrata variando l'intensità dello stimolo innescato.

La riluttanza degli individui malati di impegnarsi in comportamenti che non sono correlati alla malattia è stata studiata principalmente nel contesto della motivazione “cibo”.

Generalmente, negli animali che sono ammalati, si è notato che dopo la somministrazione di citochine pro-infiammatorie hanno una minor probabilità di

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consumare cibo sia se è necessario procacciarlo sia se il cibo è liberamente disponibile. Maggiore è lo sforzo necessario, e più sensibile alle perturbazioni è il loro comportamento. Questo approccio alla fatica è una caratteristica prevalentemente utilizzata nella psichiatria biologica, che mira a specificare le misure neurobiologiche come alternativa alle attuali classificazioni basate sui disturbi mentali.7 Sebbene la fatica non sia un disordine mentale, essa è un complesso di sintomi che richiede ancora la completa scoperta della sua gamma di variazioni.

Infiammazione e fatica: reperti clinici

Fino ad oggi, a livello clinico ci sono stati pochi tentativi di comprendere la relazione tra fatica ed infiammazione, con la sola eccezione di uno studio preliminare su pazienti con cancro avanzato in cui l’infiammazione era più legata ad uno stato fisico che ad una fatica mentale.8 La maggior parte di ciò che si sa circa il ruolo delle citochine pro-infiammatorie nello sviluppo e nell’intensità della stanchezza deriva da studi clinici trasversali su pazienti che erano fisicamente malati e che soffrivano di stanchezza, anche se attualmente sono attivi studi maggiormente mirati.

Le associazioni tra fatica e markers infiammatori (principalmente IL-6, fattore di necrosi tumorale alfa o TNFα e la proteina reattiva C, una proteina di fase acuta) sono state documentate in varie patologie mediche, tra cui cancro, infezioni virali croniche, infiammazione, malattie neurologiche e disturbi dell'umore, infatti il TNFα stimola l'espressione della sintetasi inducibile dell'ossido nitrico (iNos) a livello dell'endotelio vascolare.

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La stanchezza si sviluppa in una gran percentuale dei pazienti con tumore che sono sottoposti a chemioterapia e/o radioterapia. Nei pazienti con cancro sono stati individuati elevati livelli di biomarcatori circolanti per l’infiammazione, anche se questa associazione è più coerentemente osservata in studi longitudinali che in quelli trasversali.9

La misurazione delle concentrazioni delle citochine circolanti rappresenta il principale limite degli attuali studi sulla correlazione tra fatica e infiammazione. Dato che le citochine sono fattori di comunicazione sia autocrini che paracrini, i loro livelli in circolo hanno un scarso valore funzionale. Sono disponibili strategie alternative che si basano su misure in vitro di citochine prodotte dalle cellule periferiche mononucleate del sangue o da specifiche cellule immunitarie in risposta a stimoli immunitari ben identificati.10 Essi spesso includono una valutazione del recettore per i glucocorticoidi, poiché il cortisolo è il principale freno endogeno sulla produzione di citochine pro-infiammatorie.Tuttavia, questi test richiedono attrezzature e competenze che non sono facilmente accessibile alla maggior parte dei ricercatori clinici.

Prova convincente di una connessione causale tra infiammazione e fatica viene da studi condotti in persone che ricevono induttori di citochine, come il lipopolisaccaride o citochine ricombinanti con l'interferone-alfa (IFNα) per il trattamento dell’infezione derivante da virus dell'epatite C, melanoma maligno, o cancro del rene. Ad esempio, l’affaticamento da moderato a grave si sviluppa fino all’ 80% dei pazienti con tumore trattati cronicamente con IFNα già dalla prima settimana di trattamento.11 Ulteriore

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evidenza di una relazione causale tra attivazione immunitaria e fatica è stata osservata negli studi basati sul trattamento con un antagonista del TNFα che riduce significativamente l’affaticamento nei pazienti con artrite reumatoide o psoriasi.

Nei pazienti con tumore trattati con IFNα, la stanchezza fisica appare prima della fatica centrale, che è concomitante con il verificarsi di sintomi umorali e cognitivi.

I differenti gradi di fatica non rispondono allo stesso modo al trattamento. Per esempio, la somministrazione preventiva di paroxetina, un sierotipo inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina, non blocca lo sviluppo dell’affaticamento indotto da IFNα. Al contrario, questo trattamento è efficace nel prevenire la depressione e il relativo sintomo di stanchezza nei pazienti depressi. Allo stesso modo, i dati ottenuti sulla stanchezza in pazienti affetti dalla malattia di Parkinson indicano che la fatica centrale e la stanchezza fisica sono sintomi indipendenti che richiedono interventi di trattamento distinti e separati.12

Basi neurali della fatica indotta da infiammazione

Sono stati effettuati pochi studi sul meccanismo neurale della fatica indotta da infiammazione, a differenza del gran numero di studi su malattie e depressioni indotte da infiammazione.13Le citochine periferiche possono influenzare la neurotrasmissione

centrale indirettamente, andando a modulare la biodisponibilità di precursori amminoacidici di neurotrasmettitori (Fig. 1.2). Inoltre, perifericamente portano al rilascio di citochine che attivano vie di comunicazione immuno-cervello, abilitando il cervello ad essere informato sugli eventi del sistema immunitario anche in assenza di perturbazioni della barriera ematoencefalica (BEE). Nello specifico, le citochine periferiche inducono la produzione ed il rilascio di mediatori dell’infiammazione, tra cui prostaglandine e citochine da parte delle cellule endoteliali, e macrofagi e microglia nel Sistema Nervoso Centrale. Questi mediatori dell’infiammazione possono influenzare i neuroni sia direttamente che indirettamente mediante la modificazione di astrociti, oligodendrociti e delle funzioni delle cellule endoteliali.

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L'evidenza dell’azione infiammatoria sulla neurotrasmissione di dopamina, noradrenalina, e serotonina sono state evidenziate dagli studi sugli effetti dell’infiammazione sul cervello concentrandosi su questi NT. Infatti la neurotrasmissione dopaminergica è sensibile alle infiammazioni. Alla periferia, la produzione di ossido nitrico e neopterina durante l’infiammazione porta al consumo di tetraidrobiopterina a scapito degli enzimi idrossilasi che utilizzano questo composto come cofattore.

Fig. 1.3: Nell’infiammazione si ha una maggior produzione di ossido nitrico che porta alla nitrazione della Tirosina Fig. 1.2: schema vie di comunicazione immuno-cervello

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Ciò si traduce nella diminuzione della biodisponibilità di diidrofenilalanina e tirosina per la sintesi di dopamina.

Esiste già una vasta letteratura sulla partecipazione del circuito fronto-striatale dopaminergico nella base del processo decisionale14, la disfunzione di questa rete è responsabile per la ridotta motivazione che rappresenta il cuore dell’anedonia nei principali disturbi depressivi. Come accennato in precedenza, la fatica è associata con alterazioni nella risposta, ciò implica che il circuito neurale coinvolto nell’affaticamento si sovrapponga con la rete neuronale che è alla base del processo decisionale. Gli elementi fondamentali del circuito fronto-striatale, includono i gangli basali e la corteccia frontale, e sono stati individuati come bersagli di mediatori dell’infiammazione,come il sito di alterazioni significative dell’attività e della funzione nelle condizioni di infiammazione cronica (ad esempio, nella sclerosi multipla e nel Parkinson).15

Coerentemente con questo modello, l'aumento dello stato di depressione che risulta causato dalla somministrazione di una dose bassa di endotossine in volontari sani è stato associato alla diminuzione della reattività dello striato-ventrale alla ricezione di ricompense monetarie.

Utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI), è stata trovata una ridotta risposta di ricompensa edonica anche nei pazienti con epatite C trattati con IFNα e questo effetto è stato correlato con i punteggi di fatica e depressione.Anche se questi risultati suggeriscono fortemente un'associazione tra infiammazione e desensibilità della risposta al “piacere”, è ancora necessario qualificare la natura precisa di questo

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deficit.

Dovrebbe essere possibile misurare l’indebolimento della risposta, indotta dall’infiammazione, della motivazione e della ricompensa a base decisionale in pazienti stanchi utilizzando “the Effort Expenditure for Rewards Task”, una misura traslazionale di ricompensa motivazionale16 sviluppato usando roditori e misurando la loro performance di lavoro (Fig. 1.5).Lo striato ventrale ha un ruolo chiave nella mediazione degli aspetti gratificanti di stimoli attraverso la sua innervazione dopaminergica.17 Esso consente l'apprendimento dell’obbiettivo mediante risposte perché la selezione di azioni appropriate richiede la valutazione del valore di incentivazione dei risultati di risposta. Il comportamento è quindi guidato attraverso associazioni stimolo/risposta, piuttosto che dai risultati di risposta. Formazione e manutenzione delle abitudini sono state principalmente studiate nel contesto della tossicodipendenza che causa la natura compulsiva della ricerca di droga. Tuttavia, questi reperti possono essere applicati fruttuosamente alla fatica. Proponiamo qui che l’infiammazione induce l’impoverimento nei circuiti fronto-striatali, ciò influisce negativamente sulla formazione di abitudini e, quindi, rende anche semplici attività quotidiane complicate per i pazienti affaticati (Fig. 1.5). Questo spiegherebbe la stanchezza cognitiva dei pazienti affaticati.

Questa ipotesi potrebbe essere verificata confrontando la capacità dei soggetti affaticati di eseguire un compito associato all’apprendimento in cui vi è normalmente una transizione graduale dalle azioni dirette per risposte abitudinarie. L'emergere di tali risposte dovrebbe mostrarsi maggiormente in soggetti più vulnerabili alla fatica rispetto alla fase iniziale di non stanchezza.

Come notato sopra, la fatica si riferisce non solo alla diminuzione della capacità di impegnarsi in un comportamento auto-motivato, ma è anche un sentimento. La consapevolezza della fatica è innescata da stimoli interiori derivanti dall'attivazione di afferenze viscerali che monitorano lo stato dei tessuti del corpo (Fig. 1.5).

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25

Questa modalità di rappresentazione dei sentimenti interni ha inizio dai risultati degli studi di imaging funzionale. Per esempio, Harrison e colleghi hanno studiato l'interazione tra i sistemi di infiammazione prodotti dalla vaccinazione per il tifo (si misura un aumento della circolazione di IL-6) e le maggior richieste cognitive del Stroop task, che richiedeva un trattamento di stimoli incongruenti rispetto a stimoli congruenti.18 La vaccinazione da tifo attiva le fibre interocettive afferenti all'interno del

nervo vago e della lamina spinale. Questa informazione raggiunge il cingolo e la corteccia prefrontale tramite il talamo mediale destro, e la metà dorsale e posteriore dell’insula. L’infiammazione associata alla fatica, misurata mediante il questionario di Mood States, è stata correlata positivamente con i cambiamenti di attività nell’insula bilaterale media e posteriore.

Una spiegazione alternativa a questo modello di risultati è che, in questi esperimenti, i soggetti erano costretti a dover fare una scelta, mentre la loro polarizzazione di default era quella di optare per non far nulla. Questo atteggiamento di default dello status quo porta normalmente alla diminuzione dell’attività dell'insula anteriore evitando la generazione di marcatori somatici di eventi avversi a seguito dell'attivazione dell'insula.19Questo spiegherebbe perché l'attivazione dell'insula è anche correlata con la confusione mentale in soggetti che avevano ricevuto la vaccinazione per il tifo, dato che l’insula si occupa anche dell’elaborazione delle informazioni su rischi e incertezze.20

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Prospettive future

Vi è un ampio consenso sul fatto che l'infiammazione ha un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella persistenza della fatica in pazienti con malattie fisiche. Abbiamo visto che questa ipotesi è supportata da diversi studi clinici che dimostrano associazioni tra fatica e biomarcatori dell’infiammazione, e da studi preclinici in cui gli animali esposti agli stimoli infiammatori si comportano in un modo che ricorda lo stato di fatica (cioè, mostrano una ridotta attività motoria). Tra gli interventi che sono proposti per alleviare la fatica, ci sono diversi trattamenti volti a contrastare l'infiammazione. Tuttavia, la loro efficacia clinica rimane dubbia. La natura soggettiva del riferimento di fatica del paziente ha reso difficoltoso identificare i meccanismi e gli obiettivi per il trattamento. Questo però non vuol dire che i risultati riferiti dai pazienti sono inutili. Infatti fornite anche le loro proprietà psicometriche, i risultati sono stati accuratamente validati; le scale di valutazione dei sintomi rappresentano preziosi strumenti per descrivere sintomi e l’impatto dei trattamenti sul paziente.21Queste informazioni possono essere utilizzate per decisioni cliniche e per trattamenti inferiori (aumentando così i tassi di conformità per i trattamenti prescritti), per sviluppare farmaci più tollerabili per i pazienti, e provare e/o approvare un nuovo metodo di trattamento. Tuttavia, abbiamo dimostrato che una migliore comprensione della fatica richiede una maggior considerazione dei risultati riferiti dai pazienti. Inoltre è molto importante stabilire e validare le unità di base neuro-comportamentali della fatica per essere in grado di disegnare un fruttuoso parallelismo tra studi sull'affaticamento dell’uomo e degli animali.

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Capitolo 2

Stanchezza cronica

La sindrome da stanchezza cronica (in lingua inglese chronic fatigue syndrome, sigla CFS) è stata definita nel 1994, una malattia debilitante caratterizzata da grave stanchezza e affaticamento cronici, inspiegabile che non sono alleviati dal riposo, nonché la combinazioni di altri sintomi (ad esempio: sforzo post-malattia) che soddisfano specifici criteri diagnostici e che non siano anteriori l'insorgenza della fatica22. È una patologia debilitante ed invalidante a tutti gli effetti: cambia lo stile di vita ed il modo di relazionarsi con gli altri e può portare a stati di depressione, di tipo secondario. Pur essendo diffusa, la difficoltà di diagnosi certa la rende classificabile come malattia rara.

La prevalenza di CFS è stata stimata essere tra 0,24% a 0,42% negli Stati Uniti, ma fino allo 0,68% in altre nazioni23-24,

25. La disabilità dovuta da CFS negli Stati Uniti causa una

perdita di produttività annua stimata intorno ai 9,1 miliardi di dollari (Reynolds et al., 2004). Poiché questa sindrome è un problema di salute pubblica, la ricerca ha tentato di comprendere al meglio i meccanismi fisiologici con cui opera.

Vari disturbi correlati al sistema nervoso sono stati rilevati da tempo (come la cosiddetta

sindrome di Los Angeles del 1936), ma non avevano ancora trovato una collocazione

specifica nell'ambito della medicina per la difficoltà di trovare riscontri fisiologici precisi, contro pregiudizi culturali ancora molto diffusi.

Nel 1960 lo psicologo Pierre Daco individuava il disturbo soprattutto nelle sue componenti sociali, osservando come la civiltà industriale moderna tenda a «[...]

moralizzare la fatica stessa, e non siamo lontani dal considerarla una riprovevole mancanza di volontà»; Daco dimostra come quello che è in realtà un disturbo fisiologico

sia imputato a una mancanza di volontà da parte della persona, ritenuta moralmente responsabile delle sue scelte e per questo condannata.

Lo studioso condannava le discriminazioni sociali della patologia sul posto di lavoro e in famiglia, poiché spesso accadeva che il malato fosse bollato come "pigro" proprio da coloro che, pur in buona fede, si "sforzavano" di aiutarlo, ottenendo però il risultato di

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farlo sentire emarginato. Sebbene oggi sia stata classificata dall’Organizzazione mondiale della sanità sotto le malattie del sistema nervoso, l’eziologia della CFS è al momento sconosciuta e non esiste un test diagnostico di laboratorio o un bio-marker.

Caratteristiche della CFS

La sindrome ricorre prevalentemente in individui giovani o di mezza età, con una prevalenza delle donne sugli uomini di 1.8, ma può presentarsi in bambini ed in soggetti di età avanzata.

Bisogna ricordare inoltre che ogni individuo reagisce in modo diverso alla malattia e può sviluppare un alto numero di sintomi. Può comparire o esacerbarsi (spesso temporaneamente) anche dopo un'influenza e talvolta in comorbilità con la fibromialgia.

Essa presenta una gamma di anormalità neurologiche, immunologiche e del sistema endocrino. Generalmente ricorrono:

 Fatica cronica (es. astenia, sia generalizzata sia in zone specifiche) persistente per almeno 6 mesi che non è alleviata da riposo, che si esacerba con piccoli sforzi e che provoca una sostanziale riduzione dei livelli precedenti delle attività occupazionali, sociali o personali;

 Presenza regolare di quattro o più dei seguenti sintomi, anche questi per almeno 6 mesi:

a. Disturbi della memoria e della concentrazione tali da ridurre i precedenti livelli di attività occupazionale e personale;

b. Faringite;

c. Dolori delle ghiandole linfonodali cervicali e ascellari;

d. Dolori muscolari e delle articolazioni senza infiammazioni o rigonfiamento delle stesse;

e. Cefalea di tipo diverso da quella presente eventualmente in passato: f. Sonno non ristoratore;

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29

Altri sintomi: parestesia, acufeni, problemi di equilibrio, neuropatia, disturbi respiratori, crampi, atassia, tremore, fascicolazioni, sintomi simil-influenzali, sudore notturno, febbre, vista offuscata, problemi intestinali, confusione, dispepsia, aumento di peso, insofferenza al caldo, al freddo e all'umidità.

Ci si può riferire al disturbo anche come a sindrome da fatica post-virale (PVFS dall'inglese post-viral fatigue syndrome, quando la condizione si manifesta in seguito a una malattia di tipo influenzale), encefalomielite mialgica (myalgic encephalomyelitis o ME).

Le cause di questa sindrome, diffusa senza un concreto discriminante in tutto il mondo, sono tuttora oggetto di studio. Sono ipotizzati modelli multifattoriali; ad esempio, aspetti genetici ed ambientali, situazioni come un'intossicazione chimica, infezioni virali come l'Epstein-Barr o altri, quali ad esempio infezioni batteriche da Streptococcus pyogenes A o streptococco β emolitico di gruppo A (ritenuto anche causa di reumatismi e disturbi neuropsichiatrici detti PANDAS, che sono correlati al disturbo ossessivo-compulsivo, alla corea di Sydenham e alla sindrome di Tourette, nonché da taluni ritenuto avere perfino un collegamento con forme leggere di autismo, come la sindrome di Asperger), si ipotizza che potrebbero attivare sintomi tipici della CFS.

Gran parte dei lavori sviluppati ad oggi si concentrano sulla presunta infezione virale latente26,27 e sui meccanismi neuro-immuni

28-29,30,31,

32.che possono essere alla base

dell'espressione del sintomo e della cronicità di questa condizione. La ricerca ha individuato ripetutamente l’implicazione dei meccanismi neuro-immuni nell’errata regolazione pituitaria-ipotalamo-surrenale (HPA) e “iper-attivazione” di alcuni aspetti del sistema immunitario come indicato da un aumento delle citochine pro-infiammatorie circolanti nei sottogruppi di pazienti con diagnosi di CFS33,34,35,36,37,38. Il lavoro sul campo ha dimostrato che i fattori di stress e quelli emozionali possono esacerbare i sintomi di CFS39-40,

41. Lütgendorf e colleghi (1995), le prove sono state

trovate nelle risposte da stress emotivo in un importante momento stressante nella vita dei pazienti, l'uragano Andrew, che ha causato una maggiore probabilità e gravità di una successiva ricaduta dei sintomi in una coorte di pazienti con CFS che risiedono nel sud della Florida. I sintomi di affaticamento sono stati i più prevalenti tra questi. È interessante notare che le risposte emotive da stress alla tempesta risultano essere superiori ai reali danni materiali suggerendo che le differenze individuali dei pazienti

(30)

30

nella modalità di combattere questo fattore di stress sono stati la chiave. Avere risorse da combattente quali ottimismo e sostegno sociale coincidono ad una previsione di casi minori di riverificarsi della ricaduta42. In uno studio effettuato su pazienti con CFS, Faulkner e Smith (2008) è stato trovato che le valutazioni quotidiane del disagio psicologico predicono una maggiore fatica fisica durante la settimana successiva. Assieme, suggeriscono che le reazioni emotive di soccorso (alle sfide ambientali o allo stress della vita quotidiana) possono innescare sintomi fisici a CFS. Conclusioni di questi studi erano che avere una migliore capacità di combattere lo stress può ridurre queste risposte emozionali di soccorso e, a sua volta aiutare a ridurre i sintomi di fatica. Avendo adeguate capacità di lottare si predice la minor gravità della malattia tra gli individui con CFS43. In realtà, nessuno studio ad oggi ha esaminato l'influsso di una serie completa di stress (cioè, tra cui il rilassamento, la consapevolezza della tensione, cognitiva ristrutturazione, combattività e competenze interpersonali) sulla fatica in CFS pazienti, e nessun lavoro preliminare ha valutato se tale associazione in realtà è mediata da un ridotto stress emotivo. Stabilire l’affidabilità di queste associazioni potrebbe avanzare la nostra comprensione di come la capacità di gestione dello stress potrebbero mitigare le sintomatologie della CFS e giustificare l'uso di interventi di riduzione dello stress per questa popolazione. Un obiettivo di questo studio è quello di esaminare la relazione tra capacità percepite di gestione dello stress, stress emotivo, e la fatica in una coorte di uomini e donne con CFS. Un secondo obiettivo di questo studio è quello di esaminare come l'associazione tra capacità di gestione dello stress e la fatica opera nel contesto della disfunzione neuroimmune, noto per essere presente in pazienti con diagnosi di CFS.

Data la natura eterogenea delle popolazioni con CFS riguardo all’esordio della malattia, al decorso della malattia, ai modelli di sintomi, e dello stato immune, molti ricercatori hanno cercato di delineare diversi sottogruppi di pazienti44-45,46,

47.

L'idea che i pazienti CFS può essere diviso in sottogruppi su la base della presenza o assenza di anormalità immunologica (ad esempio, l'attività a basso delle cellule natural killer) non è un nuovo concetto. L'idea che specifici sottogruppi potrebbero essere più suscettibili all’influenza di un disagio emotivo che innesca la riacutizzazione dei sintomi di CFS come la stanchezza è una ragionevole idea.

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Ne deriva che:

a) CFS individui con miglior capacità di gestione dello stress riveleranno un minor stress emotivo e un affaticamento meno grave.

b) l'effetto indiretto della gestione dello stress sulla fatica tramite la via della riduzione del disagio emotivo potrebbe essere più evidente in quel sottogruppo di pazienti CFS che mostra la maggior disfunzione neuroimmune.

Specifiche anomalie nel funzionamento dell'asse HPA sono state documentate nei pazienti con CFS negli ultimi anni. Questi pazienti rivelano una bassa risposta di cortisolo al risveglio e una produzione piatta diurna di cortisolo salivare rispetto agli individui sani48, in particolare nei pazienti con eventi precoci di vita sfavorevoli. Uno studio qualitativo dei pazienti con CFS, effettuato in Norvegia, ha mostrato che una bassa produzione salivare diurna di cortisolo comporta una sensazione negativa in tutta la giornata, maggiore era questa mancanza e maggiore era la loro sensazione di affaticamento49. Questi studi suggeriscono che la gravità della non regolazione del HPA viene indicata da ridotto variazione mattutina, un processo che può essere aggravata da stress, può riguardare una maggiore fatica nei pazienti con CFS.

Diversi gruppi di ricerca hanno scoperto che alcuni, ma non tutti i pazienti con CFS evidenziano un aumento del sistema pro-infiammatorio

50-51,

52. Un recente studio condotto

da Nas e colleghi (2011) ha individuato che, i pazienti con CFS avevano livelli significativamente più elevati di interleuchina-6 (IL-6) e IL-2r, che sono state positivamente correlate ai sintomi riportati nella CFS. Molti dei sintomi centrale della CFS, compresa la fatica, hanno una forte somiglianza con ''lo stato di malattia'', che può essere indotta dalla somministrazione di citochine pro-infiammatorie. L’affaticamento correlato al cancro è stato collegato ad alterazioni sia nel funzionamento HPA che nell’attività pro-infiammatoria53, e le persone con stanchezza dovuta al cancro hanno

dimostrato un aumento della reattività pro-infiammatoria in risposta ai fattori di stress54. In sintesi, i processi di stress ben noti per influenzare l'asse HPA e regolamentazione citochina può esacerbare i sintomi di CFS come la fatica.

Viceversa, capacità di gestione dello stress può migliorare i livelli di fatica in CFS per mitigare gli effetti di disagio emotivo sui sintomi. Il fatto che i pazienti con CFS siano divisibili in sub-gruppi in base alla presenza di anomalie immunitarie ci permette di verificare se gli effetti della capacità di gestione dello stress sulla fatica sono particolarmente pronunciati nei pazienti che manifestano la maggiore disfunzione

(32)

32

neuroimmune.

Nel presente studio, ci proponiamo di esaminare il rapporto tra capacità percepita di gestione dello stress, stress emotivo, fatica e gli indicatori del sistema immunitario e neuroendocrino in una popolazione di individui con diagnosi di CFS. In primo luogo, abbiamo ipotizzato che maggiori capacità percepite di gestione dello stress riguarderebbero per abbassare i rapporti di fatica, e minor segni di disfunzioni neuroimmune con le misure di pendenza cortisolo mattutine e circolanti citochine pro-infiammatoria. In secondo luogo, abbiamo ipotizzato che il rapporto tra capacità percepite di gestione dello stress e bassa fatica sarebbe stata mediata da bassi livelli di stress emotivo.

In terzo luogo, abbiamo ipotizzato che le capacità di gestione dello stress e della sensazione di angoscia si riferirebbe alla fatica maggiormente tra i sottogruppo di pazienti con evidenza di disfunzione neuroimmune.

Cure per la CFS

Non essendo stata ancora accertata una causa scatenante non vi è, ad oggi, una cura che non sia il mero controllo dei sintomi; tuttavia, alcuni immunomodulatori sembrano aver dato significativi miglioramenti della malattia rispetto a un campione che non ha assunto il farmaco.

In sintesi, questi studi forniscono il supporto iniziale per la nozione che i pazienti affetti da CFS con più fiducia nella loro gestione dello stress possono mostrare una minor sofferenza emotiva e fatica e che queste associazioni sono più evidenti in un sottogruppo di pazienti con CFS che presentano indicatori di disfunzione neuroimmuni. Questo solleva la possibilità che insegnare delle competenze di gestione dello stress individuali può aiutarli a ridurre lo stress emotivo, e ridurre la fatica. Mentre la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) è da tempo utilizzata nel trattamento di CFS e sono state utilizzate per ridurre la fatica. Sono stati generalmente volti ad modificare la credenza di esser malati, al fine di aumentare i livelli di attività fisica tra i partecipanti. Tuttavia, una recente studio condotto da Wibourg e colleghi (2010) ha dimostrato che l'attività fisica non migliora l'effetto della terapia cognitivo-comportamentale (CBT) sulla riduzione di affaticamento nei pazienti CFS.

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Interventi di gestione cognitivo-comportamentale di stress (BCSM) hanno dimostrato di essere efficaci nel ridurre il disagio emotivo e modulando sia la qualità della vita che indicatori di salute in una varietà di pazienti, tra cui le persone con HIV, e le donne con cancro al seno55-56,

57. Un piccolo studio pilota di BCSM per individui con CFS in un

campione separato da quello attuale, ha dimostrato la capacità di BCSM di diminuire la gravità dei sintomi e percepita stress, in combinazione con una migliore auto-riferito qualità della vita58. La ricerca futura dovrebbe esaminare se tale interventi possono modulare le capacità di gestione dello stress per abbassare emozionale di soccorso e di fatica sintomi nei pazienti con CFS, in particolare in sottogruppi di individui che possono trarre il massimo beneficio. Inoltre vengono molto usati gli antidolorifici per contrastare i due sintomi più invalidanti, dolori e difficoltà di concentrazione. Talvolta anche i miorilassanti, gli stimolanti, la fisioterapia e una moderata ginnastica possono aiutare.

(34)

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Capitolo 3

Ruolo emergente dell’immunità nell’encefalomielite

mialgica/Sindrome da fatica cronica.

L’Organizzazione mondiale della Sanità ha classificato l’encefalomielite mialgica/Sindrome da fatica cronica (ME/CFS) come una malattia interessante il sistema nervoso. ME/CFS presenta una triade di anomalie quali lo stress ossidativo e nitrosativo, attivazione di vie immuno-infiammatorie e disfunzioni mitocondriali, con livelli impoveriti di ATP. Vi sono numerosi dati che dimostrano che diversi soggetti affetti da ME/CFS (circa il 60%) possono soffrire di disordini a livello autoimmune. Sono state analizzate le potenziali fonti di autoimmunità che si osservano nei soggetti affetti da ME/CFS, quali ad esempio un aumento dei livelli di citochine pro-infiammatorie oppure un aumento dei livelli del fattore nucleare-Kb. La produzione di citochine anomale determina la produzione di cellule effettrici B e T autoreattivi a livello cellulare. Nei soggetti affetti da ME/CFS si è osservata una riduzione delle cellule natural killer, che dimostra un’omeostasi perturbata ed una prolungata sopravvivenza delle cellule T. Le cellule B possono essere patogene giocando un ruolo nell’autoimmunità, indipendentemente dalla loro capacità di produrre anticorpi. Le infezioni virali croniche o ricorrenti, osservate in diversi pazienti affetti da ME/CFS, possono indurre autoimmunità da meccanismi, che coinvolgono il mimetismo molecolare e diversi processi di attivazione. La produzione di ATP bassa e la disfunzione mitocondriale sono una fonte di autoimmunità, poiché inibiscono l’apoptosi, stimolando la morte delle cellule necrotiche. Gli stessi epitopi possono essere danneggiati da un’esposizione prolungata a O e NS, alterando il loro profilo immunogenico e diventando un bersaglio per il sistema immunitario dell’ospite.

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35

Parte generale

L’encefalomielite mialgica/Sindrome da fatica cronica è classificata come una malattia del sistema nervoso59,60. La malattia viene definita come un peggioramento dei sintomi globali o di uno stato prolungato di ricaduta, dopo un aumento, anche banale dell’attività cognitiva e fisica; si tratta perciò di una forma di malessere post-sforzo/fatica61-62,

63. La

patologia è caratterizzata, come nel casi della sclerosi multipla ed il morbo di Parkinson, da una triade di anomalie che coinvolgono le cellule della microglia, stress ossidativo e nitrosativo e disfunzione mitocondriale. Queste tesi sono confermate dagli studi condotti da Morris e Maes, in cui infezioni patogene prolungate portano ad infezioni croniche in periferia64. La grande maggioranza dei pazienti affetti da ME/CFS riportano infezioni batteriche e virali multiple ricorrenti o persistenti65,66,

67. La molteplicità di

infezioni è perfettamente correlata con la sintomatologia delle persone affette da ME/CFS (fig 3.1).

Questo rapporto si estende anche ad una sintomatologia di tipo neurologico68; infezioni concomitanti sembrano peggiorare globalmente i sintomi69. Diversi studiosi hanno osservato una ridotta attività della funzione delle cellule NK CD56 (NKC) nella

(36)

36

ME/CFS

70-71,

72. Un funzionamento ridotto delle NKC è stato costantemente riscontrato

nei soggetti affetti da ME/CFS73. Molti studi, che si basano sull’analisi di sangue

periferico, hanno mostrato delle anomalie delle relazioni redox in corso nell’organismo, indicizzate da diminuzioni dei livelli di antiossidanti, ad esempio, zinco, il coenzima Q10 ed il glutatione74-75,76,

77 ed un aumento dei derivati dell’ossigeno e dell’acido nitrico,

tra cui una maggiore concentrazione dei livelli di perossidi e di acido tiobutirrico, un aumento dei livelli di isoprostano ed elevati livelli della proteina carbonile78,79. Altri studi hanno dimostrato i fattori immuno-infiammatori in grado di promuovere la produzione di radicali liberi e danni di tipo ossidativo, con aumento della concentrazione delle citochine pro-infiammatorie, ad esempio, l’interleuchina-1β, il fattore tumorale TNFα, il fattore nucleare NF-kB, le COX2 e l’ossido nitrico sintetasi (iNOS)80-81,

82. In molti soggetti affetti da ME/CFS, tuttavia, il ruolo delle citochine

pro-infiammatorie è dominante83-84,

85 (fig.3.2).

Sono riportante anche altre anomalie riguardanti il fattore della crescita trasformante (TGF) β1 e l’interleuchina IL-6; si abbassano i livelli di ω3-polinsaturi. Gli acidi grassi nella ME/CFS possono aumentare l’infiammazione86. Livelli elevati di O e NS e

citochine pro-infiammatorie hanno un ruolo rilevante nello sviluppo delle anomalie nelle funzioni mitocondriali

87-88,

89. I pazienti affetti da ME/CFS presentano un aumento

della concentrazione di lattato ed una diminuzione della produzione di ATP, rispetto ai

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37

soggetti sani; questo è ancora più evidente in test condotti in soggetti sotto sforzo cerebrale e fisico.

Il metabolismo ossidativo è alterato in una forte accelerazione della glicolisi nel muscolo striato ed i tempi di recupero sono lunghi, nel ripristino dei livelli di ATP90,91.

Si ha anche un aumento della concentrazione di leptina92, per cui si utilizzano delle concentrazioni basse di cortisone per ottenere degli effetti positivi, nei soggetti affetti da ME/CFS93. Bassi livelli di leptina sono stati riscontrati in soggetti affetti da depressione94,95.

Autoimmunità nella ME /CFS

Non tutti i pazienti affetti da ME /CFS soffrono di malattie autoimmuni o di emergenti risposte autoimmuni. È difficile stabilire la percentuale di soggetti positivi ME /CFS che sviluppano risposte autoimmuni; tuttavia, le stime variano dal 30% al 60% e circa il 40-50% mostra lo sviluppo di reazioni autoimmuni dirette contro una moltitudine di differenti neoepitopi.

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Cellule B nella ME / CFS

Nei pazienti affetti da ME/CFS è stato riportato un incremento del numero di cellule CD19 B mature96,97. Klimas et al. hanno riportato un elevato numero di cellule CD20 e CD21 nelle popolazioni analizzate. In un recente studio, Bradley et al.98 hanno riportato un ampio e significativo aumento delle numero di cellule B naive, che esprimono CD19 e CD20, come percentuale di tutti i linfociti totali e delle cellule B nei casi di ME/CFS. Questi hanno identificato anche un aumento del numero di cellule B di transizione ed un netto impoverimento della popolazione cellulare del plasma, indicando così uno stato di autoimmunità nei pazienti esaminati.

Autoimmunità nella ME /CFS

Gli autoanticorpi contro i recettori dei neurotrasmettitori, tra cui il recettore 1A della 5-idrossitriptamina (HTR1A), il recettore della dopamina D2 (DRD2) ed i recettori muscarinici colinergici (CHRM1), il recettore µ degli oppioidi (OPRµ1), sono stati evidenziati in pazienti affetti da ME/CFS. Questi soggetti mostrano un maggiore indice anti-CHRM1 ed anticorpi antinucleari99. I livelli di anticorpi antineuronali sono

particolarmente elevati in pazienti affetti da ME/CFS, con anomalie neurologiche100. La presenza di anticorpi autoimmuni nella circolazione sistematica pio provocare affaticamento muscolare e mentale, legandosi con i canali ed i recettori del calcio o con gli antigeni del SNC101. Grandi sottogruppi di pazienti mostrano degli indicatori di risposte autoimmuni dirette contro le antilamine, associate a microtubuli, ssDNA, fosfolipidi, gangliosidi, 5-HT e 68/48kd proteine102,103. Nella tabella sottostante sono riportati i risultati ottenuti trattando i soggetti autoimmuni affetti da ME/CFS.

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Neoepitopi nella ME/CFS

Le risposte immunitarie mediate da IgM dirette contro le molecole endogene sono visualizzabili in soggetti affetti da ME/CFS. Queste molecole vengono danneggiate, nella loro conformazione a causa degli alti livelli di O e NS. Queste determinano delle risposte autoimmuni contro i sottoprodotti della perossidasi lipidica, come l’acido azelaico e la MDA, danneggiando anche le molecole di ancoraggio, compresi l’acido oleico, palmitico e miristico e modificano le proteine e gli aminoacidi.

Le concentrazioni di queste molecole danneggiate sono perfettamente correlate con la sintomatologia. I livelli di IgM sierici diretti contro i costituenti delle membrane e delle molecole di ancoraggio, rappresentano alcuni dei principali fattori determinanti un aumento dell’affaticamento muscolare ed un malessere simil-influenzale.

Fattori determinanti le risposte autoimmuni nella ME/CFS

Ruolo delle cellule NK nell’autoimmunità

Le NKC, tramite la loro risposta rapida e la loro capacità di distruggere le cellule infettate, sono la principale difesa contro l’invasione dei patogeni e sono attive prima che il sistema immunitario adattivo entri in gioco104,105. Queste interagiscono anche con altre cellule del sistema immunitario; tuttavia queste svolgono un ruolo importante nella regolazione immunitaria, in particolare nel controllo dell’eccessiva proliferazione delle cellule T e nella regolazione dell’attivazione e della differenziazione delle cellule dendritiche mieloidi. Le NKC facilitano lo sviluppo delle cellule dendritiche e la differenziazione delle cellule T, ma possono anche inibire le risposte autoimmunitarie, distruggendo le cellule mieloidi stesse e le cellule linfoidi. Le cellule NKC, presenti nel sangue periferico possono essere suddivise in due sottoinsiemi, quelli che esprimono i recettori CD56 o CD16; quelli appartenenti alla prima categoria costituiscono circa il 90% dei NKC presenti. Queste attaccano ed uccidono le cellule bersaglio con grande efficienza, ma secernono livelli molto bassi di citochine (CD56/CD16+). Le cellule NKC (CD56/CD16-), tuttavia, costituiscono meno del 10% della popolazione di NKC e si trovano in maggiore concentrazione nei tessuti linfoidi secondari106. Questo

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sottoinsieme, quando è attivato produce una serie di citochine, tra cui l’interferone γ (IFN-γ), TNFα e granulociti-macrofagi, in grado di attivare una funzione citotossica107.

Aumenta anche la conoscenza del ruolo delle NKC nella genesi

dell’autoimmunità108,109. Alcuni studi riportano che le NKC impediscono o

compromettono le risposte autoimmuni110,111. Altri studi, invece, suggeriscono che le NKCs hanno un ruolo determinante nell’autoimmunità, probabilmente a causa della loro innata capacità di fornire una fonte precoce di citochine, con successiva attivazione delle APC e quindi nello sviluppo di risposte infiammatorie e patogeni Th17112,113. Tutto ciò suggerisce che le NKC sono in grado di regolare l’infiammazione e di indurre la perdita di auto-tolleranza a diversi livelli durante l’attività immunitaria e quindi presentano un ruolo di notevole importanza nei diversi tipi di autoimmunità. Sembra che i loro ruoli vengano modificati durante le diverse fasi del processo, che in definitiva terminano con lo sviluppo della malattia autoimmune. Le NKC riducono le proprie attività con la progressione delle malattie114. Gli studi suggeriscono che le NKC promuovono la creazione di cellule autoreattive Th1 e lo sviluppo della successiva malattia autoimmune. Una volta che le cellule T entrano in gioco, le NKC sono controllate dalle citochine (in particolare le IL-21), secrete da queste cellule che portano ad un deficit funzionale ed anche ad una parziale riduzione delle NKC115. L’IL-21 può

stimolare l’attivazione e la differenziazione delle popolazioni delle cellule T e NKC, ma è anche in grado di indurre la morte delle stesse116,117. L’effetto dell’IL-21 sulle

NKC sembra dipendere dalla funzionalità delle stesse. Le cellule T sembrano avere due tipi di influenze differenti sulle cellule NKC; in primo luogo, le cellule T agiscono per sostenere l’attività delle NKC, in condizioni di infezioni croniche, tramite la fornitura di IL-21. In secondo luogo, le cellule T attenuano l’attività delle NKC attraverso il rilascio delle IL-21. Tutto ciò è facilitato dalla localizzazione di entrambi i tipi cellulari118,119 e le cellule dendritiche si comportano come ponti di comunicazione tra entrambe le strutture120. Da diversi studi è emerso che i soggetti affetti da lupus eritematoso sistemico (LES) e sclerosi multipla presentano dei livelli bassissimi di NKC rispetto ai controlli121,122. Sono state analizzate le risonanze magnetiche di soggetti affetti trattati con Daclizumab, somministrato per via endovenosa; questi forniscono forti prove a sostegno dell’intervento delle NKC nello sviluppo delle patologie123. Il

Daclizumab (Zenapax®) è un anticorpo monoclonale umanizzato anti-CD25, approvato per la prima volta nel rigetto renale e poi esaminato in studi clinici in soggetti affetti da sclerosi multipla. Il numero di CD16-NKCs aumenta nel sangue periferico nei soggetti

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