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Regarding Lost Time. Photography, Identity, and Affect in Proust, Benjamin and Barthes

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Studi Francesi

Rivista quadrimestrale fondata da Franco Simone

 

170 (LVII | II) | 2013

Varia

Katja Haustein, Regarding Lost Time. Photography,

Identity, and Affect in Proust, Benjamin and Barthes

Francesca Lorandini

Edizione digitale URL: http://journals.openedition.org/studifrancesi/3209 DOI: 10.4000/studifrancesi.3209 ISSN: 2421-5856 Editore

Rosenberg & Sellier Edizione cartacea

Data di pubblicazione: 1 luglio 2013 Paginazione: 486-487

ISSN: 0039-2944

Notizia bibliografica digitale

Francesca Lorandini, « Katja Haustein, Regarding Lost Time. Photography, Identity, and Affect in Proust, Benjamin and Barthes », Studi Francesi [Online], 170 (LVII | II) | 2013, online dal 30 novembre 2015, consultato il 18 septembre 2020. URL : http://journals.openedition.org/studifrancesi/3209 ; DOI : https://doi.org/10.4000/studifrancesi.3209

Questo documento è stato generato automaticamente il 18 settembre 2020.

Studi Francesi è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

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Katja Haustein, Regarding Lost Time.

Photography, Identity, and Affect in

Proust, Benjamin and Barthes

Francesca Lorandini

NOTIZIA

KATJAHAUSTEIN, Regarding Lost Time. Photography, Identity, and Affect in Proust, Benjamin and

Barthes, Oxford, Legenda, 2012, pp. 206.

1 La monografia di K. Haustein indaga i rapporti di interdipendenza tra autobiografia,

fotografia, campo affettivo e sfera emotiva nelle opere di Marcel Proust, Walter Benjamin e Roland Barthes, leggendole alla luce di quel pictorial turn che, secondo W. J. T. Mitchell, ha costituito il mutamento epistemologico centrale del Novecento. Sebbene la fotografia non abbia infatti soppiantato la scrittura come Benjamin aveva predetto nella sua Piccola storia della fotografia, l’avvento e la diffusione del nuovo medium hanno segnato un cambiamento epocale nella percezione, incidendo sugli sviluppi di un genere metamorfico come l’autobiografia. La svolta compiutasi nel passaggio da una cultura fondata sul testo a una cultura in cui le immagini sono uno strumento primario di comprensione e di significazione viene messa in relazione da Haustein con i procedimenti narrativi ed ecfrastici di tre autori che hanno fatto di una scrittura rinnovata dell’io il caposaldo della loro impresa letteraria.

2 In ciascuna delle sezioni che compongono il libro, il punto di partenza dell’analisi è lo

stesso: verificare come ognuno degli scrittori presi in esame abbia declinato la relazione tra il sé e l’altro attraverso un impiego delle immagini mutuato dalla tecnica fotografica. A questo proposito, la tesi del libro è chiara, pregnante e innovativa. Nello scatto fotografico, l’oscillazione tra la neutralità della componente meccanica del mezzo e la potente carica emotiva generata dal soggetto, coesistono in un unico elemento: una riflessione sistematica su questa fluttuazione avrebbe permesso in

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maniera contraddittoria a Proust, e con maggiore consapevolezza a Benjamin e a Barthes, di ripensare la rappresentazione della propria esperienza personale. Haustein passa al vaglio della propria tesi termini-chiave quali mémoire involontaire, aura, air,

punctum, interpretandoli alla luce della trasformazione attuata dalla fotografia nel

processo mnemonico e cognitivo. L’analisi comparativa non fa appello tanto al concetto di intertestualità sviluppato da Julia Kristeva, ma rimanda alla nozione di «reading encounter» approfondita da Emma Wilson. A Proust viene riconosciuta infatti la funzione di mediatore e di punto di riferimento, così come alla dialettica che fonda La

Recherche tra un «moi permanent» e «nos moi successifs» viene ricondotta la genesi

della riflessione sulla memoria e sulla rappresentazione fatta da Benjamin e da Barthes.

3 Grazie a uno sguardo mutato, trasformato dal nuovo statuto dell’immagine all’epoca

della sua riproducibilità tecnica, Proust, Benjamin e Barthes hanno potuto concepire identità e alterità in un modo radicalmente nuovo, superando la dimensione narcisistica propria del genere autobiografico. Del resto, l’obiettivo era per tutti lo stesso: trasfigurare l’esperienza personale in opera scritta e trovare una modalità inedita per vivere la pienezza di quella «vraie vie, la vie enfin découverte et éclaircie» che è la letteratura.

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