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"L'art. 182 bis: Gli accordi di ristrutturazione dei debiti"

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex

D.M. 270/2004)

in Amministrazione, Finanza e Controllo

Tesi di Laurea

“L'art.  182 bis L.F.: Gli accordi di

ristrutturazione  del  debito”

Relatore

Ch. Prof. Mauro Pizzigati

Laureando

Mariavirginia Bellinato

Matricola 830635

Anno Accademico

2011 / 2012

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Ai miei cari, ai miei amici.

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INDICE

Introduzione

pag. 5

CAPITOLO 1

INTRODUZIONE   DEL   NUOVO   ISTITUTO   DEGLI   “ACCORDI   DI  

RISTRUTTURAZIONE   DEI   DEBITI”   IN   SEGUITO   ALLA   RIFORMA   FALLIMENTARE DEL 2005/2006

1.1. I principi ispiratori della riforma fallimentare del 2005/2006 pag. 7 1.2. L’introduzione  del  nuovo  istituto  degli  “accordi  di  ristrutturazione  dei  

debiti”  (ex  art.  182  bis)

pag. 8

1.3.  I  lineamenti  essenziali  dell’accordo  (ex  art.  182  bis) pag. 11 1.4. Il calcolo della percentuale minima di adesione dei crediti e

l’inadempimento

pag. 12

1.5.  “Il  regolare  pagamento  dei  creditori  estranei  all’accordo” pag. 13

1.6.  La  qualificazione  dell’esperto pag. 14

1.7.  Il  contenuto  della  relazione  dell’esperto pag. 15

1.8. Le differenze  dell’istituto  con  il  concordato  preventivo pag. 16 1.9.  Le  ristrutturazioni  dei  debiti  e  la  continuazione  dell’impresa pag. 19 1.10. I piani di risanamento e di ristrutturazione nella legge fallimentare pag. 24

CAPITOLO 2

I  NUOVI  “ACCORDI  DI  RISTRUTTURAZIONE  DEI  DEBITI”  IN  SEGUITO  ALLE   MODIFICHE INTRODOTTE DAL DECRETO CORRETTIVO N. 169 DEL 12 SETTEMBRE 2007

2.1. Analisi della nuova disciplina pag. 35

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2.3.  “Accordo”  al  singolare  o  al  plurale? pag. 36

2.4.  La  previsione  di  un  “ombrello  protettivo”  sul  patrimonio  del  debitore pag. 37

2.5. La natura contrattuale degli accordi pag. 40

2.6.  Il  contenuto  dell’accordo pag. 41

2.7.  I  presupposti  soggettivo  e  oggettivo  per  l’ingresso  nel  procedimento pag. 45 2.8.   L’attuabilità   dell’accordo   e   il   “regolare   pagamento   dei   creditori  

estranei”

pag. 47

2.9.  Il  ricorso  e  l’allegato pag. 50

2.10. Gli altri documenti accompagnatori del ricorso pag. 51

2.11. La relazione del professionista pag. 52

2.12. La qualificazione del professionista autore della relazione pag. 54

2.13. La responsabilità del professionista pag. 57

2.14. La procedura pag. 58

2.15. Le possibili conseguenze per gli accordi non omologati pag. 64

2.16.  L’attuazione  dell’accordo pag. 65

2.17.  Le  modificazioni  dell’accordo pag. 69

2.18. Gli accordi di stragiudiziali (piani di risanamento e accordi di ristrutturazione)   per   la   soluzione   della   crisi   d’impresa.   Profili   funzionali,   strutturali  e  conseguenze  dell’inadempimento  del  debitore

pag. 70

2.19. Gli accordi di ristrutturazione e la transazione fiscale pag. 78 2.20. Gli accordi di ristrutturazione e la revocatoria fallimentare pag. 82 2.21. Cenni sui possibili effetti penali degli accordi di ristrutturazione

omologati

pag. 85

2.22. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti e le condotte abusive delle banche in concorso con le società finanziate

pag. 86

2.23.   L’autonomia   degli   accordi   di   ristrutturazione   rispetto   al   concordato   preventivo

pag. 93

2.24. Ulteriori specificazioni riguardo   gli   istituti   dell’accordo   e   del   concordato in seguito alle modifiche del d. l. n. 169/2007

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CAPITOLO 3

NOVITA’   E   ANALISI   CIRCA   L’UTILIZZO   DEL   NUOVO   ISTITUTO   DEGLI   “ACCORDI  DI  RISTRUTTURAZIONE  DEI  DEBITI”

3.1. Un primo sguardo alle novità introdotte dal decreto correttivo n. 169/2007 e ai suoi riflessi sulla disciplina

pag. 103

3.2. Gli accordi di ristrutturazione come negozi fallimentari di utilità sociale

pag. 108

3.3.   La   verifica   della   “bontà”   di   tale   istituto   in   seguito   all’intervento correttivo

pag. 111

3.4. Analisi dei difetti della disciplina pag. 114

3.5.  Legge  nr.  122/2010:  anticipazione  della    cosiddetta  “protezione”  negli   accordi di ristrutturazione

pag. 116

3.6. Legge nr. 3 del 27 gennaio 2012: Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovra indebitamento

pag. 123

Conclusioni

pag. 127

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INTRODUZIONE

“Art. 182 bis. Accordi di ristrutturazione dei debiti - L’imprenditore  in  stato  di crisi può  domandare,  depositando  la  documentazione  di  cui  all’art.  161,  l’omologazione  di   un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista in possesso dei   requisiti   di   cui   all’art.   67,   terzo   comma,   lettera   d,   sull’attuabilità   dell’accordo   stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.

L’accordo  è  pubblicato  nel  registro  delle imprese e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione. Dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore.  Si  applica  l’art.  168  secondo  comma.

Entro trenta giorni dalla pubblicazione i creditori e ogni altro interessato possono proporre  opposizione.  Il   tribunale,  decise  le  opposizioni,  procede  all’omologazione  in   camera di consiglio con decreto motivato. Il decreto del tribunale è reclamabile alla corte  d’appello  ai  sensi  dell’art.  183,  in  quanto  applicabile,  entro  quindici  giorni  dalla   sua pubblicazione nel registro delle imprese.”

Il   lavoro  che   segue  è   volto  ad  analizzare   l’art.  182  bis  della   legge fallimentare (sopra riportato) il quale disciplina gli accordi di ristrutturazione dei debiti.

Quest’ultimo   risulta   essere   un   istituto   di   recente   creazione   mediante   la   riforma   fallimentare   del   2005   con   la   quale   il   legislatore   ha   inteso   valorizzare   l’autonomia privata delle parti interessate favorendo gli accordi stragiudiziali per la rimozione della crisi  dell’impresa.  

L’elaborato   in   oggetto   quindi   comincerà   con   una   prima   collocazione   di   tali   accordi   all’interno   dei   principi   ispiratori   della   nuova   riforma;;   proseguirà   poi   con   l’analisi   del   primo  dettato  normativo  (ex  art.  182  bis)  e  dei  relativi  problemi  riscontrati  nell’effettiva   applicazione, ai quali si è provato a porre rimedio mediante il decreto correttivo nr. 169 introdotto nel settembre 2007. Dopo aver quindi svolto questa disamina, si è cercato di trovare   spiegazione   allo   scarso   utilizzo,   che   a   tutt’oggi   perdura,   di   questa   modalità  di   risoluzione  della  crisi  d’impresa,  nonché  studiare  le  novità  introdotte  in  materia.    

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CAPITOLO 1

INTRODUZIONE   DEL   NUOVO   ISTITUTO   DEGLI   “ACCORDI   DI  

RISTRUTTURAZIONE   DEI   DEBITI”   IN   SEGUITO   ALLA   RIFORMA   FALLIMENTARE DEL 2005/2006

1.1. I principi ispiratori della riforma fallimentare del 2005/20061

La legge fallimentare del 1942 concepiva la  crisi  d’impresa  come  una  situazione  da   valutare,  anche  d’ufficio,  con  grande  attenzione  e  rigore  e  da  indirizzare,  in  assenza   di altre soluzioni, verso il fallimento.

In  questo  modo  si  intendeva  tutelare  sia  l’economia  in  generale,  per  il  tramite  del   controllo giudiziale e della potenziale espulsione dal mercato delle imprese in difficoltà, sia, in particolare, i soggetti che fossero già entrati, o che avrebbero potuto  entrare,  in  contatto  con  l’imprenditore  in  stato  di  grave  difficoltà.  Si  sperava   quindi di minimizzare il numero di questi con una tempestiva chiusura dell’impresa,  e  comunque,  tramite  l’istituto  poderoso  delle  revocatorie  fallimentari,   garantire la par condicio tra   creditori   più   o   meno   “avvertiti”   e   la   tensione   della   liquidazione del patrimonio del fallito indirizzata alla massimizzazione del ricavato. Coerenti con queste finalità risultavano, dunque, anche i severi limiti imposti alle ipotesi giudizialmente concordate di soluzioni della crisi in luogo del fallimento, riservate ad imprenditori   “meritevoli”   e   a   progetti   di   integrali   o   qualificate   coperture delle sofferenze dei creditori.

Ma con la recente riforma del biennio 2005/2006 (e le seguenti modifiche introdotte con il decreto legislativo del 2007) lo scenario si è ribaltato: il fallimento ora   rappresenta   un’eventualità   solo   residuale   nelle   intenzioni   del   legislatore,   promuovendo e facilitando soluzioni concordate della crisi, eliminando ogni criterio  di   meritevolezza   nei  confronti  dell’imprenditore  insolvente  e  riducendo   le   garanzie di protezione dei creditori.

Il legislatore ha preferito privilegiare quindi soluzioni più facilmente tese, dove possibile, a favorire la salvezza delle realtà imprenditoriali al posto del fallimento,

1 Fonte: Elena Frascaroli Santi (2005), Gli accordi di ristrutturazione dei debiti e gli effetti per

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prediligendo comunque ipotesi di cessione per quanto possibile unitarie e che tengano  anche  conto  delle  esigenze  di  salvaguardia  di  azienda  o  rami  d’azienda. È possibile che le nuove disposizioni, analizzate di seguito, si rivelino convenienti anche   per   i   creditori   che   avranno   un   maggior   interesse   dall’auspicato recupero aziendale e che, in ogni caso, è possibile riescano ad ottenere una soddisfazione più ampia e in tempi notevolmente ridotti rispetto alla durata delle altre procedure concorsuali previste in precedenza.

Per certo, tuttavia, le nuove disposizioni che si occupano delle procedure concordate, sembrano volutamente comprimere i diritti dei creditori all’accertamento  e  alla  soddisfazione  dei  propri  crediti.

Compito del giurista, nel rispetto delle indicazioni legislative, è oggi più che mai ricostruire un sistema globale che identifichi e tenga conto delle varie esigenze, individuando gli strumenti di tutela dei diritti di accertamento e di soddisfazione del credito nelle procedure concorsuali, senza tuttavia giungere ad irragionevoli limitazioni dei poteri accordati ai proponenti per la risoluzione della crisi d’impresa.

Il compito che viene quindi ora attribuito agli esperti qualificati è di grande responsabilità, prima di tutto etica, in quanto teso a garantire i diritti dei terzi e non solo del proprio committente.

1.2.  L’introduzione  del  nuovo  istituto  degli  “accordi  di  ristrutturazione  dei  debiti”  (ex   art. 182 bis)2

La riforma attuata con il d. l. del 14 marzo 2005 n. 35, convertito con la legge 14 maggio 2005 n. 80, ha introdotto, tra le altre novità, una nuova figura di procedura concorsuale,  ovvero  sia  quella  prevista  dall’ex  art.  182  bis  l.f.3.

Con la riforma in questione, il legislatore ha finalmente tenuto conto delle numerose critiche, sollevate più volte dalla dottrina, circa la sua inerzia nel recepire le istanze

2 Fonte: Elena Frascaroli Santi (2005), Gli accordi di ristrutturazione dei debiti e gli effetti per

coobbligati e fideiussori del debitore, Diritto Fallimentare

3 Formulazione   originale   del   1°   comma   ex   art.   182   bis:   “Il   debitore   può   depositare,   con   la  

dichiarazione  e  la  documentazione  di  cui  all’art.  161,  un  accordo  di  ristrutturazione  dei  debiti  stipulato   con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da   un   esperto   sull’attuabilità   dell’accordo   stesso,   con   particolare   riferimento   alla   sua   idoneità   ad   assicurare  il  regolare  pagamento  dei  creditori  estranei.”

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provenienti dal mondo economico e dagli operatori del diritto, al fine di sollecitare il riconoscimento legislativo di strumenti idonei alla rimozione della crisi, caratterizzati  tra  l’altro  da  una  maggior  valorizzazione  dell’autonomia privata. Si è riusciti quindi a passare da un lento processo di modifica dei valori essenziali di riferimento   delle   procedure   concorsuali,   ad   un   contesto   di   un’economia   globale   sempre  più  interessata  alla  conservazione  della  vitalità  dell’impresa.  

Quanto appena esplicitato risulta anche dalla modifica della disciplina inerente il concordato  preventivo  la  quale,  nella  nuova  formulazione  dell’art.  160  l.  f.4, sembra

ispirata, da un lato, ad

una   decisiva   valorizzazione   dell’autonomia   privata,   riferibile soprattutto alla possibilità data al debitore di determinare liberamente il contenuto del piano che costituisce   il   punto   centrale   della   procedura;;   dall’altro,   all’esigenza   per   l’imprenditore  di  poter  contare  su  di  un  istituto  più  agile  e  accessibile,  essendo stata ridotta  all’essenziale  la  sua  struttura  processuale  ed  essendo  stato  abolito  il  requisito   della  meritevolezza  dell’imprenditore,  quale  condizione  per  la  sua  ammissibilità  al   concordato.

Si deve quindi riconoscere la grande svolta avvenuta con la riforma in oggetto che ha   risposto   all’esigenza   di   una   maggiore   valorizzazione   dell’autonomia   privata   nell’ottica  dell’importanza  della  conservazione  della  vitalità  dell’impresa,  anche  nel   caso in cui questa sia soggetta a situazioni di crisi più o meno grave.

4 Art. 160 l. f. – Presupposti   per  l’ammissione alla procedura – L’imprenditore   che   si   trova   in  

stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere: a) La ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche

mediante  cessione  di  beni,  accollo,  o  altre  operazioni  straordinarie,  ivi  compresa  l’attribuzione  ai   creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito;

b) L’attribuzione   delle   attività   delle   imprese   interessate   dalla   proposta   di   concordato   ad   un   assuntore; possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate o da costituire nel corso della procedura, le azioni delle quali siano destinate ad essere attribuite ai creditori per effetto del concordato;

c) La suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei;

d) Trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.

La proposta può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicata nella  relazione  giurata  di  un  professionista  in  possesso  dei  requisiti  di  cui  all’art. 67, terzo comma, lettera d.   Il   trattamento   stabilito   per   ciascuna   classe   non   può   avere   l’effetto   di   alterare   l’ordine   delle   cause   legittime di prelazione. Ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza.

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Per quanto concerne, invece, lo strumento stragiudiziale per la tutela del credito, di stampo   privatistico,   si   evidenzia   tra   l’altro,   che   questo   costituisce   uno   strumento   nuovo, anche rispetto agli ordinamenti stranieri.

Le linee di tendenza si desumono, del resto, anche dalla delega al Governo per la riforma fallimentare che prevede il potenziamento del ruolo dei creditori con l’attribuzione   al   comitato   dei   creditori   di   funzioni   determinanti   per   l’amministrazione   del   patrimonio   del   fallito   e   in   caso di prosecuzione temporanea dell’esercizio  dell’impresa.  

Ai   creditori,   inoltre,   deve   essere   sottoposto,   per   l’approvazione,   anche   il   “programma  di  liquidazione”  che  indica  le  modalità  e  i  termini  per  la  realizzazione   dell’attivo.

A tal riguardo è interessante  notare  come  sia  previsto  che  l’attivo  si  possa  realizzare   adottando   soluzioni   conservative   dell’attività   d’impresa,     sia   attraverso   l’esercizio   provvisorio   dell’impresa   o   di   singoli   rami   aziendali,   sia   mediante   la   cessione   unitaria  dell’azienda  o  di  singoli rami aziendali.

Altra   modifica   molto   importante   da   considerare   riguarda   l’abbandono   di   ogni   riferimento  allo  “stato  di  insolvenza”  che  risulta  ora  sostituito  dal  concetto  di  “crisi   d’impresa”.  Anche  in  questo  caso,  quindi,  si  ravvisa  la  necessità  di riconsiderare il presupposto oggettivo di tutti i procedimenti concorsuali in una prospettiva risanatoria   e   conservativa   della   vitalità   dell’impresa.   Tale   prospettiva   comporta   quindi  l’eliminazione  di  qualsiasi  interesse  per  ogni  distinzione  sul  piano  normativo tra  il  concetto  di   stato  di   insolvenza  e  di  crisi  d’impresa,   non  essendo  rilevante  ai   fini  dell’apertura  del  procedimento  concorsuale.  

Prima   dell’introduzione   di   tali   modifiche,   invece,   la   cessazione   dell’attività   d’impresa  e  quindi  il  ricorso  ad  uno strumento liquidatorio, come il fallimento, era considerata  l’unica  soluzione  compatibile  con  lo  stato  d’insolvenza.  

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1.3.  Lineamenti  essenziali  dell’accordo  5

L’accordo,  nella  sua  formulazione  originale,  ha  come  oggetto  il  soddisfacimento  dei   creditori in qualsiasi modo e quindi il suo contenuto è lasciato alla libera contrattazione delle parti.

Esso può avere ad oggetto anche il classico concordato dilatorio o remissorio, o insieme, dilatorio e remissorio: questo significa il pagamento di una certa percentuale di debiti entro un determinato periodo di tempo.

L’accordo   è   depositato   nella   cancelleria   fallimentare   del   tribunale   insieme   ad   una   relazione redatta da un esperto la quale si traduce in un giudizio professionale sulle possibilità del debitore   di   adempiere   all’accordo   preso   con   i   propri   creditori,   con   particolare   riferimento   all’idoneità   che   esso   assicuri   il   “regolare   pagamento   dei   creditori  estranei”  all’accordo.  Quest’ultimo  può  essere  comprovato  da  un  contratto   risultante da un documento unico o, più frequentemente, da una proposta cui fanno seguito  le  accettazioni  dei  creditori  secondo  il  noto  schema  di  cui  all’art.  1326  c.c.6. Poiché   l’art.   182   bis   l.   f.   richiama   la   dichiarazione   e   la   documentazione   di   cui   al   precedente art. 161 l. f.7, si ritiene che il debitore debba depositare in tribunale, oltre all’accordo:

a) il  ricorso  con  cui  chiede  l’omologa  dell’accordo;;

5 Fonte: Giuseppe Verna (2005), Sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis legge

fallimentare, Diritto Fallimentare

6 Art. 1326 c.c. - Conclusione del contratto – Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha

fatto   la   proposta   ha   conoscenza   dell’accettazione   dell’altra   parte.   L’accettazione   deve   giungere   al   proponente  nel  termine  da  lui  stabilito  o  in  quello  ordinariamente  necessario  secondo  la  natura  dell’affare   o   secondo   gli   usi.   Il   proponente   può   ritenere   efficace   l’accettazione   tardiva,   purché   ne   dia immediatamente   avviso   all’altra   parte.   Qualora   il   proponente   richieda   per   l’accettazione   una   forma   determinata,  l’accettazione  non  ha  effetto  se  è  data  in  forma  diversa.  Un’accettazione  non  conforme  alla   proposta equivale ad una nuova proposta.

7 Art. 161 l. f. – Domanda di concordato – La   domanda   per   l’ammissione   alla   procedura   di  

concordato preventivo è proposta con ricorso, sottoscritto dal debitore, al tribunale del luogo in cui l’impresa  ha  la  propria  sede  principale;;  il  trasferimento  della  stessa intervenuto  nell’anno  antecedente  al   deposito  del  ricorso  non  rileva  ai  fini  dell’individuazione  della  competenza.  Il  debitore  deve  presentare   con il ricorso: a) una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa;; b)   uno   stato   analitico   ed   estimativo   delle   attività   e   l’elenco   nominativo   dei   creditori,   con   l’indicazione   dei   rispettivi   crediti   e   delle   cause   di   prelazione;;   c)   l’elenco   dei   titolari   dei   diritti   reali   o   personali su beni di proprietà o in possesso del debitore; d) il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili. Il piano e la documentazione di cui ai commi precedenti devono  essere  accompagnati  dalla  relazione  di  un  professionista  di  cui  all’art.  28  che  attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. Per la società la domanda deve essere approvata e sottoscritta  a  norma  dell’art.  152.

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b) l’aggiornata   situazione   patrimoniale,   economica   e   finanziaria   dell’impresa   con   una relazione illustrativa;

c) lo stato analitico delle   attività   e   l’elenco   nominativo   dei   creditori,   con   l’indicazione  dei  rispettivi  crediti  e  delle  cause  di  prelazione;;

d) l’elenco  degli  eventuali  titolari  di  diritti  reali  e  personali  su  beni  di  proprietà  o  in   possesso del debitore, evidentemente diversi dai creditori;

e) un elenco dei beni e dei creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.

L’accordo,   con   l’attestazione   dell’avvenuto   deposito   in   tribunale,   deve   essere   pubblicato nel registro delle imprese.

I creditori e ogni altro interessato possono proporre, con ricorso, motivata opposizione  entro  trenta  giorni  dalla  pubblicazione  a  norma  dell’art.  182  bis,  comma   2.

Il  tribunale  decide  le  eventuali  opposizioni  e  procede  all’omologazione  in  camera  di   consiglio con decreto motivato che è pubblicato nel registro delle imprese.

L’accordo,  il  quale  viene  raggiunto  con  i  creditori  rappresentanti  almeno  il  60%  dei   crediti ed omologato dal tribunale, produce effetti anche nei confronti dei creditori estranei   all’accordo,   quando   il   loro   titolo sia sorto anteriormente alla data di deposito del ricorso in tribunale.

1.4.  Il  calcolo  della  percentuale  minima  di  adesione  dei  crediti  e  l’inadempimento8 La legge non specifica se la percentuale del 60% deve essere calcolata sull’ammontare  complessivo dei crediti o solo sui crediti chirografari.

Premessa importante da fare in questo contesto è che i creditori privilegiati possono partecipare  all’accordo  o  rimanerne  estranei.  Nel  primo  caso  la  libera  contrattazione   può prevedere anche per essi un sacrificio inferiore o pari a quello richiesto anche agli   altri   partecipanti.   Nel   caso   invece   in   cui   essi   rimangano   estranei   all’accordo,   hanno diritto ad essere soddisfatti prioritariamente rispetto ai creditori chirografari. La percentuale dovrebbe quindi essere riferita ai crediti che possono essere incisi dall’accordo  con  riferimento  alla  misura  o  ai  tempi  o  alle  modalità  di  pagamento.

8 Fonte: Giuseppe Verna (2005), Sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis legge

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Nel caso di crediti contestati, invece, anche nel caso in cui il debitore abbia effettuato un accantonamento nominativo nello stato patrimoniale, i relativi importi non possono essere computati ai fini del quorum minimo del 60%.

Quindi  ciascun  creditore  contraente  è  libero  di  chiedere  l’adempimento  coattivo  o  la   risoluzione  del  contratto;;  in  quest’ultimo  caso  riacquista  i  diritti  per  l’importo  totale   del proprio credito e perdono di efficacia eventuali riduzioni o dilazioni stabilite dal citato accordo.

L’accordo,  una  volta  risolto,  non  produce  più  alcuna  efficacia  non  solo  nei  confronti   degli altri creditori contraenti sebbene essi non abbiano richiesto la risoluzione, ma anche  nei  confronti  dei  creditori  estranei  all’accordo  stesso.

1.5.  “Il  regolare  pagamento  dei  creditori  estranei  all’accordo”9

Ai   fini   della   spiegazione   della   locuzione   “regolare   pagamento”   sono   due   le   interpretazioni che si sono seguite: la prima è di tipo letterale e identifica l’espressione   con   “esatto   pagamento”   la   cui   conseguenza   quindi   è   che   l’esperto   dovrebbe   assicurare,   con   il   proprio   parere   professionale,   che   l’accordo   di   ristrutturazione consenta, con la quasi certezza, il pagamento ai creditori estranei all’accordo  nell’intero  ammontare  dovuto  e  alle  scadenze  stabilite.

Alla   luce   di   questa   interpretazione,   quindi,   l’art.  182   bis   sarebbe   stato   voluto   dal   legislatore solo per consentire ai contraenti di   fuggire   all’azione   revocatoria   e   di   evitare le sanzioni previste per la bancarotta preferenziale.

Tuttavia tale interpretazione si rivela subito contraddittoria in quanto non avrebbe senso   la   previsione   normativa   dell’omologa   di   un   accordo,   la   cui   efficacia fosse limitata  alle  parti  contraenti,  visto  che  nei  confronti  di  queste  ultime  l’efficacia  del   contratto è già stabilita.

Si   osserva   inoltre   come   appare   inverosimile   l’avere   previsto   la   pubblicazione   dell’accordo   nel   registro   delle   imprese,   visto   che tutto lascia prevedere che il pagamento  sarà  effettuato  alla  scadenza  e  per  l’intero.

Per   giunta,   l’interpretazione   secondo   la   quale   si   vorrebbero   i   creditori   estranei   all’accordo  liberi  di  agire  per  l’intero,  li  spingerebbe  a  tutelare  con  rigidità  i  propri crediti evitando di continuare nelle forniture e quindi di aumentare la propria

9 Fonte: Giuseppe Verna (2005), Sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis legge

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esposizione; uguale atteggiamento assumerebbero poi i terzi chiamati a fornire nuovi  beni  e  servizi  all’azienda  in  crisi.

In conclusione, sembra quindi preferibile la seconda interpretazione secondo la quale   la   locuzione   “regolare   pagamento   dei   creditori   estranei   all’accordo”   debba   intendersi  quale  “pagamento  dei  creditori  estranei  secondo  le  regole  dell’accordo”   una volta omologato.

1.6.  La  qualificazione  dell’esperto10

L’art. 161, al comma 3, prevede che il debitore presenti, col ricorso di ammissione al concordato preventivo, un piano di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei  crediti,  accompagnato  dalla  relazione  di  un  professionista  di  cui  all’art.  28  l.  f.11, ovvero sia avente i requisiti per la nomina a curatore fallimentare che attesti la veridicità  dei  dati  aziendali.  L’art.  182  bis,  invece,  al  comma  1,  prevede  la  relazione   di  “un  esperto”  senz’altra  qualificazione.  

Probabilmente il legislatore ha voluto estendere il novero dei soggetti qualificati ad assumere   la   funzione   di   “esperto”   aggiungendo   ai   professionisti   con   le   qualifiche   atte alla nomina a curatore fallimentare altri soggetti, quali gli studi associati e le società professionali fra i suddetti professionisti, nonché le società di revisione e i professori universitari in materie economiche e giuridiche.

Tuttavia   non   si   esclude   l’ipotesi   secondo   la   quale   questa   distinzione   derivi   semplicemente da una stesura normativa effettuata a più mani e priva di coordinazione.

Non è previsto, probabilmente per rendere la procedura meno onerosa e favorire una consulenza   integrata   ed   efficiente,   che   l’imprenditore   nomini,   quale   esperto,   un  

10 Fonte: Giuseppe Verna (2005), Sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis legge

fallimentare, Diritto Fallimentare

11 Art. 28 l.f. – Requisiti per la nomina a curatore – Possono essere chiamati a svolgere le funzioni

di curatore: a) avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti; b) studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse abbiano i requisiti professionali  di  cui  alla  lett.  a).  In  tale  caso,  all’atto  dell’accettazione  dell’incarico,  deve  essere  assegnata   la persona fisica responsabile della procedura; c) coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di fallimento. Non possono essere nominati curatore il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito, i creditori di questo e chi ha concorso al dissesto   dell’impresa   durante   i   due   anni   anteriori   alla   dichiarazione   di   fallimento,   nonché   chiunque   si   trovi in conflitto di interessi con il fallimento.

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professionista  diverso  da  quello  che  lo  assiste  nella  preparazione  dell’accordo, nella sua presentazione al tribunale ed eventualmente nella sua realizzazione.

Egli   infatti  è   nominato  da  una  parte  e   l’ampiezza  del   mandato  ricevuto,  ovvero   la   sua  estensione  alla  redazione  dell’accordo  e  del  ricorso  per  omologa,  non  può  che   offrire a tale professionista ulteriori elementi di giudizio.

Circa  la  responsabilità  dell’esperto  si  rimanda  all’art.  2043  c.c.12.

1.7.  Il  contenuto  della  relazione  dell’esperto13

L’esperto,  attraverso  la  propria  relazione,  deve  esprimersi  sull’attuabilità  del   piano e, in particolare, sulla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.

Il  contributo  dell’esperto  potrebbe  qualificarsi  meglio  quanto  ad  attendibilità  se  egli   fosse nominato congiuntamente dal debitore e dai creditori contraenti.

Con particolare riferimento alla tutela degli interessi dei creditori estranei all’accordo,   il   legislatore   richiede   una   relazione   “idonea   ad   assicurare”,   la   quale   sembrerebbe quindi consistere in un motivato giudizio professionale di alta probabilità.  Quest’ultimo, inoltre, non dovrebbe prescindere anche dalla valutazione della convenienza da parte di tutti i creditori rispetto ad altre procedure concorsuali. L’esperto   non   potrà   limitarsi   ad   esaminare   l’accordo   stipulato   dal   debitore   con   i   creditori; egli infatti dovrà spingersi ad esaminare la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica del debitore, essendo costretto ad esprimere un giudizio sia   sull’attuabilità   dell’accordo,   sia   sulla   sua   idoneità   ad   assicurare   il   soddisfacimento dei creditori estranei in misura e con modalità non dannose rispetto alle   regole   sancite   dall’accordo   stesso.   È   scontato   quindi   precisare   che   egli   si   esprimerà  sia   sull’avvenuto  raggiungimento  della  percentuale   minima  dei  crediti,   i   cui   titolari   hanno   partecipato   all’accordo,   sia   sull’attendibilità   dei   dati   contabili   presentati con il ricorso di omologa.

In   conclusione,   l’esperto   dovrà   quantomeno   compiere   una   “limited - riview”,   in   contraddittorio  con  il  debitore  e  con  l’ausilio  della  documentazione  contabile  a  sua  

12 Art. 2043 c.c. – Risarcimento per fatto illecito – Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona

ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.

13 Fonte: Giuseppe Verna (2005), Sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis legge

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disposizione, per rilevare se si evidenziano significative discordanze tra la situazione redatta dal debitore e quella effettiva; quanto detto anche in relazione ad eventi che possono essersi manifestati medio tempore, ossia tra la data di riferimento della situazione stessa e la data di riferimento della propria relazione. Non potranno, inoltre, essere trascurati atti passabili di revocatoria in quanto essi possono incidere sulla   convenienza   della   ristrutturazione   dei   debiti   rispetto   all’alternativa   fallimentare.

I documenti che si trovano allegati al ricorso del debitore e, più in generale, quelli che   l’esperto   ha   esaminato   devono   consentirgli   di   formulare   un   giudizio   professionale  che,  pur  presentando  l’alea  che  accompagna  ogni  previsione  di  eventi   futuri, possa ritenersi fondatamente attendibile e responsabilmente espresso.

1.8. Le differenze con il concordato preventivo14

Sulla questione molto si è discusso e le opinioni sono alquanto divergenti ma sembra possibile affermare che la previsione legislativa dell’art.   182   bis   debba   essere considerata come un fenomeno assolutamente autonomo rispetto alla diversa, e per certi versi, ben più articolata configurazione del rinnovato Concordato Preventivo.

In primo luogo va considerato che il legislatore non ha imposto alcuna condizione obiettiva   per   l’introduzione,   da   parte   del   debitore,   della   proposta   dell’accordo   di   ristrutturazione, diversamente da quanto previsto dal rinnovato art. 160 l. f. che prevede   quale   condizione   per   l’ammissione   alla   procedura   lo   “stato   di   crisi”   dell’imprenditore.

Vi è stato quindi una radicale soppressione del presupposto oggettivo preesistente, comune a tutte le procedure concorsuali previste dal d. l. del 1942, che evidentemente era lo stato di insolvenza.

Nella   formulazione   dell’art.   182 bis il legislatore non ha invece posto alcun presupposto   oggettivo   a   carico   del   debitore   per   la   formulazione   dell’ipotesi   di   ristrutturazione dei debiti.

In realtà si deve ritenere che la sussistenza dello stato di crisi o di insolvenza non sia assolutamente un requisito necessario, tanto che si può ragionevolmente ipotizzare

14 Fonte: Mario Caffi (2005), Considerazioni sul nuovo art. 182 bis della legge fallimentare, Diritto

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che della stessa possano giovarsi anche imprenditori non mossi dalla predette situazioni, ma spinti da altre esigenze quali, per esempio, la volontà di dar corso a ristrutturazioni aziendali, a delocalizzazioni delle attività produttive con riduzione del  personale,  a  nuove  impostazioni  di  ricerca  di  mercati  e  quant’altro.

Ma ci sono anche altri elementi che fanno propendere per una configurazione autonoma della procedura. Si veda, ad   esempio,   il   disposto   letterale   dell’art.   67   comma 3 lettera e l. f.15, nel quale è chiaramente sottolineata la revocabilità degli

atti, dei pagamenti e delle garanzie poste in essere in esecuzione del concordato preventivo,   dell’amministrazione   controllata,   nonché   dell’accordo   omologato   dell’art.   182   bis;;   si   nota   palesemente   l’assoluta   volontà   differenziale   fra   le   due   procedure.

Un ulteriore elemento di autonomia tra le due procedure va riscontrato nella differenziazione esistente fra la relazione prevista dall’ultimo  comma  dell’art.  161  l.   f.   e   quella   prevista   dall’art.   182   bis.   Nel   primo   articolo   (quindi   nel   concordato  

15 Art. 67 l. f. – Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie – Sono revocati, salvo che  l’altra  parte  

provi  che  non  conosceva  lo  stato  d’insolvenza  del  debitore:  1)  gli  atti  a  titolo  oneroso  compiuti  nell’anno   anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso; 2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno   anteriore   alla   dichiarazione   di   fallimento;;   3)   i   pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti  nell’anno  anteriore  alla  dichiarazione  di  fallimento  per  debiti  preesistenti  non  scaduti;;  4)  i  pegni,   le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti.

Sono  altresì  revocati,  se  il  curatore  prova  che  l’altra  parte  conosceva  lo   stato  d’insolvenza  del   debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.

Non  sono  soggetti  all’azione  revocatoria:  a)  i  pagamenti  di  beni  e  servizi  effettuati  nell’esercizio   dell’attività  d’impresa  nei  termini  d’uso;;  b)  le  rimesse  effettuate  su  un  conto  corrente  bancario,  purché   non  abbiano  ridotto  in  maniera  consistente  e  durevole  l’esposizione  debitoria  del  fallito  nei  confronti  della   banca; c) le vendite e i preliminari di vendita trascritti ai  sensi  dell’art.  2645  bis  c.c.,  i  cui  effetti  non  siano   cessati ai sensi del terzo comma della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili  ad  uso  abitativo,  destinati  a  costituire  l’abitazione  principale  dell’acquirente  o di suoi parenti e affini entro il terzo grado; d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in   essere   in   esecuzione   di   un   piano   che   appaia   idoneo   a   consentire   il   risanamento   dell’esposizione   debitoria   dell’impresa   e   ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e che abbia i requisiti   previsti   dall’art.   28   lett.   a   e   b   ai   sensi   dell’art.   2501   bis,   quarto comma, c.c; e) gli atti, i pagamenti   e   le   garanzie   posti   in   essere   in   esecuzione   del   concordato   preventivo,   nonché   l’accordo   omologato  ai  sensi  dell’art.  182  bis;;  f)  i  pagamenti  dei  corrispettivi  per  prestazioni  di  lavoro  effettuate  da   dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito; g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili  eseguiti  alla  scadenza  per  ottenere  la  prestazione  di  servizi  strumentali  all’accesso  alle  procedure   concorsuali e di concordato preventivo.

Le disposizioni   di   questo   articolo   non   si   applicano   all’istituto   di   emissione,  alle   operazioni   di   credito su pegno e di credito fondiario; sono salve le disposizioni delle leggi speciali.

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preventivo) la funzione di tale relazione è innanzitutto quella di confermare con una funzione fidefaciente la realtà dei dati aziendali, oltre che, ovviamente, esprimere ex ante   una   fondata   e   ragionata   previsione   dell’attuabilità   del   piano.   Ben   diversa,   invece, è la funzione attribuita al professionista dal secondo articolo sopracitato, in cui la relazione (oltretutto non necessariamente redatta da un soggetto previsto dall’art.  28  l.  f.  ma  genericamente  identificato  come  un  “esperto”)  ha  semplicemente   la   funzione   di   esprimersi   sull’attuabilità   dell’accordo   stesso,   e   ciò   con   particolare   riferimento   all’idoneità   dello   stesso   ad   assicurare   il   soddisfacimento dei creditori non  partecipanti  all’accordo.

Ma quanto appena detto non basta perché anche la fase di omologazione dei due istituti è diversa: rimane indubbio che il giudizio di omologazione configurato dall’art.  160  l.  f.  lascia  al  tribunale funzioni di controllo abbastanza accentuate con, tra   l’altro,   il   rispetto   di   forme   processuali   estremamente   dettagliate,   anche   se   sicuramente  espresse  in  modo  confusionario.  Nell’art.  182  bis  invece  la  presenza  del   tribunale appare ancor più esigua, dovendosi limitare, sostanzialmente, alla verifica dell’idoneità  dell’accordo  a  consentire  il  regolare  pagamento  dei  creditori  estranei,   perché, in difetto, tale fondamentale circostanza sarebbe attestata solo dalla relazione  dell’esperto.

Un ulteriore elemento   differenziante   appare   poi   essere   riscontrabile   nell’ipotesi   di   mancato raggiungimento dello scopo da parte delle due procedure. Mentre nell’ipotesi   di   concordato   preventivo   non   si   determina   alcuna   conseguenza   né   a   carico del debitore, né per i creditori che riprendono la propria piena libertà di azione,  nell’ipotesi  di  accordo  di  ristrutturazione  i  creditori,  nel  caso  in  cui  l’accordo   non venga adempiuto, dovranno chiedere la risoluzione secondo la disciplina generale prevista dal codice civile.

Si è posta poi una problematica riguardante la necessità di effettuare o meno un pagamento integrale a favore dei creditori diversi da quelli con cui è stato raggiunto l’accordo.  Se  si  esamina  l’art.  182  bis  si  riscontrerà  in  modo  palese  che  i  creditori   non aderenti hanno, come unico strumento di percezione circa la presentazione dell’accordo   di   ristrutturazione,   la   pubblicazione   dello   stesso   nel   Registro   delle   imprese. Dalla data di pubblicazione decorre il termine per la presentazione delle opposizioni entro i successivi trenta giorni (forma di pubblicità estremamente riduttiva).   Si   conclude   col   ritenere   che   vige   l’obbligo   del   pagamento   integrale   a  

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favore dei creditori non aderenti e che, in assenza di ciò, o meglio, della certezza in sede di omologazione di questa soluzione, la procedura non possa avere il suo naturale compimento.

1.9.  Le  ristrutturazioni  dei  debiti  e  la  continuazione  dell’impresa16

Suscita   qualche   perplessità   l’espandersi   di   modalità   attraverso   cui   tale   ristrutturazione  può  essere  decisa:  dall’accordo procedimentalizzato con i creditori, previsto  dal  concordato  preventivo,  all’accordo  stipulato  con  i  creditori,  introdotto   dall’art.  182  bis,  al  piano  contemplato  dall’art.  67,  comma  2,   lett.  d,  l.   f.   il   quale   sembrerebbe addirittura prescindere da un accordo con i creditori.

Il legislatore, inoltre, sembra assegnare finalità diverse a queste tecniche decisorie. Il   piano   presentato   dall’imprenditore in sede di concordato preventivo può prevedere   “la   ristrutturazione   dei   debiti   e   la   soddisfazione   dei   crediti”;;   quello   stipulato dal debitore ai  sensi  dell’art.  182  bis  attiene  solo  alla  “ristrutturazione  dei   debiti”;;  mentre  il  piano  predisposto  dal  debitore in  conformità  all’art.  67,  comma  2,   lett.  d,  l.  f.  è  “ragionevolmente”  diretto  al  “risanamento  dell’esposizione debitoria dell’impresa  e  ad  assicurare  il  riequilibrio  della  sua  situazione  finanziaria”.  

L’effetto   che  scaturisce  ricorrendo  una  qualsiasi   delle   fattispecie  appena  delineate   è,  tuttavia,  comune:   l’esenzione  dalla  revocatoria  degli  atti,  dei  pagamenti e delle garanzie  posti   in  essere   in   esecuzione  dell’accordo  che  prevede   la  ristrutturazione   dei debiti.

L’imprenditore   in   stato   di   crisi,   che   non   risulta   più   essere   quello   insolvente,   può   accedere oggi al concordato preventivo.

La situazione di impossibilità economica, caratterizzante lo stato di insolvenza, spingeva, prima della riforma, inevitabilmente verso una considerazione dell’impresa  quale attività che non poteva più essere proseguita  dall’imprenditore.   L’aver  anticipato  la  soglia  d’accesso ad uno stato di crisi non irreversibile pone in risalto  l’esistenza  di  un’attività  d’impresa  non  ancora  insolvente.  All’imprenditore  è   concesso   di   permanere   nella   titolarità   dell’impresa   gestendo   direttamente   la  

16 Pierpaolo Marano (2006), Le ristrutturazioni dei debiti e la continuazione dell’impresa,   Il  

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situazione   di   crisi   con   l’accordo   dei   creditori, magari variando la sua compagine societaria a beneficio di questi, viceversa dovrà accettare di essere sostituito.

Talvolta però può succedere che il risultato sperato non sia raggiunto; sorge quindi il problema di valutare ex ante la meritevolezza causale di quel piano o di quell’accordo,   in   particolar   modo   alla   presenza   di   creditori   che   non   l’hanno   accettato o che ad esso sono estranei. Al riguardo non si può prescindere dalla constatazione che il sistema introdotto con il D. L. n. 32/2005 sancisce che una parte  del  ceto  creditorio  sia  soddisfatta  con  preferenza  rispetto  all’altra,  acquisendo   tale  priorità  proprio  in  occasione  della  crisi  dell’imprenditore.

Una preferenza può essere riconosciuta a determinati creditori (la minoranza), in quanto gli altri ne sopportano il costo accettando di perseguire il loro interesse particolare, ad essere soddisfatti in percentuale più elevata rispetto a quello conseguibile  con  il  fallimento,  attraverso  la  salvaguardia  dell’impresa.  In  tal  modo   la tutela degli atti   dispositivi,   compiuti   dall’imprenditore   in   esecuzione   della   ristrutturazione,   è   giustificata   perché   funzionale   a   preservare   l’impresa:   la   ristrutturazione assicura la sopravvivenza del complesso produttivo e la sua eventuale collocazione presso un diverso  imprenditore.  L’ordinamento  può  quindi   ben favorire quelle soluzioni che agevolano questo risultato premiandole con l’esenzione   dalla   revocatoria   quando   non   raggiungono   l’obiettivo   prefissato   e   ritenuto meritevole di tutela.

Nell’ipotesi   del   piano   di   cui   all’art.   67,   comma   2,   lett.   d,   l.   f.   la   prosecuzione   dell’impresa   è   “in re   ipsa”17: in questo caso la ristrutturazione deve assicurare il riequilibrio   della   situazione   finanziaria   dell’impresa   quale   presupposto   per   soddisfare i creditori. Essa consente una predisposizione unilaterale del piano, senza la necessità di un accordo con i creditori. Tale tipologia di soluzione sembrerebbe idonea ad abilitare il debitore ad operare trattamenti differenti tra i creditori. È lecito immaginare, inoltre, che i pagamenti e le garanzie si dirigeranno a favore di quei creditori che sono in grado di influenzare le scelte compiute dal debitore.   Risulta   sorprendente,   pertanto,   come   l’esonero   dalla   revocatoria   sia   rimesso interamente alla decisione del debitore, il quale sceglie addirittura in via diretta   l’esperto   (tranne   per   le   spa   e   le   sapa)   escludendo   ogni   valutazione   dell’autorità  giudiziaria.  La  preoccupazione  è  che  il  piano  sia  subito  dal  debitore  e  

17 “In  re  ipsa”:  in  se  stessa

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la   continuazione   dell’attività   d’impresa,   anche   se   postulata   dal   piano di ristrutturazione, si risolva in concreto quale pretesto per escludere taluni creditori dalla successiva insolvenza, o per farli partecipare in via privilegiata. Ecco come emerge,   in   modo   alquanto   palese,   la   necessità   di   assicurare   almeno   l’imparzialità dell’esperto,   che   dovrebbe   essere   scelto   sempre   dall’autorità   giudiziaria,   determinando in modo chiaro il profilo della sua responsabilità, anche penale. Nell’accordo   stipulato   ai   sensi   dell’art.   182   bis   manca   un’espressa   finalizzazione   della ristrutturazione   dei   debiti   alla   prosecuzione   dell’attività.   È   richiesta   tuttavia   l’omologazione  dell’accordo  affinché  si  produca  l’esonero  dalla  revocatoria.   La  funzione  svolta  da  tale  valutazione  dell’autorità  giudiziaria  è  però  differente  da   quella   richiesta   nell’ipotesi   di   concordato.   Per   quest’ultimo   l’omologazione   è   necessaria   perché,   all’adempimento   del   concordato,   consegue   l’esdebitazione   del   fallito anche rispetto ai creditori che non hanno votato a favore o, comunque, non hanno presentato domanda di ammissione al passivo e quindi non sono stati chiamati a votare sulla proposta.

Nell’ipotesi   degli   accordi   di   cui   all’art.   182   bis,   invece,   si   verifica   la   situazione   opposta:  l’esdebitazione  non  è  subita  dai  creditori  estranei  all’accordo,  ma  da  quelli   che hanno stipulato  l’accordo.  Sono  proprio  questi  ultimi,  infatti,  che  sopportano  il   rischio di ricevere solo una percentuale di quanto vantato; mentre i creditori estranei  devono  ottenere  il  pagamento  “regolare”  dei  loro  crediti.

L’omologazione,   tuttavia,   è   sempre   necessaria, anche in assenza di opposizioni. L’art.   182   bis   distingue,   infatti,   tra   l’efficacia   dell’accordo,   conseguente   alla   sua   iscrizione   nel   registro   delle   imprese,   e   l’esonero   dalla   revocatoria,   che   è   espressamente   subordinato   all’omologazione.   In   tale modo si vuole evitare, in particolare,   che   il   creditore   favorevole   all’accordo   possa   godere   della   tutela   conseguente   all’esonero   dalla   revocatoria,   a   discapito   di   quello   ad   esso   estraneo;;   vale a dire che possa ricevere, cioè, dei pagamenti con preferenza  rispetto  all’altro,   senza   sopportare   le   conseguenze   dell’esdebitazione   dell’imprenditore   successivamente fallito, che pure egli ha implicitamente dichiarato di subire quando ha  stipulato  l’accordo.

Per  agevolare  il  compito  dell’autorità  giudiziaria  è  pertanto auspicabile che almeno la  relazione   sull’attuabilità  dell’accordo,  richiesta  dall’art.  182  bis,  evidenzi  come   l’adempimento   delle   obbligazioni   verso   i   creditori   estranei   all’accordo   avviene   in  

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forza dei benefici che scaturiscono dalla continuazione dell’impresa,  resa  possibile   dall’accordo   per   la   ristrutturazione   dei   debiti   di   cui   si   chiede   l’omologazione;;   mentre, in termini più ampi, sorge la questione delle sanzioni che assistono tale precetto in caso di relazioni simulatorie, come di false rappresentazioni da parte del debitore.

Nel   caso   di   concordato   preventivo,   l’art.   160   l.   f.   individua   il   contenuto   che   può   avere  il  piano  proposto  dall’imprenditore  ai  suoi  creditori.  In  particolare,  la  lett.  a   della predetta norma collega espressamente la ristrutturazione dei debiti alla soddisfazione  dei  crediti  “attraverso  qualsiasi  forma”.  In  astratto,  la  continuazione   dell’impresa   potrebbe   anche   non   esserci,   se   la   ristrutturazione   consiste   in   una   rinuncia al credito, totale o parziale, ed il soddisfacimento dei creditori è realizzato mediante  lo  smembramento  dell’azienda.  E’  lecito  supporre,  tuttavia,  che  questa  sia   un’ipotesi   solo   marginale,   in   quanto   la   preferenza   sarà   per   una   cessione   dell’azienda,  che  consente  ai  creditori  di  beneficiare  di  valori  come  l’avviamento, o per la partecipazione alla società nelle forme esemplificate nella disposizione stessa.

Le nuove disposizioni sul concordato preventivo prevedono il giudizio di omologazione   in   capo   all’autorità   giudiziaria.   In   particolare   permane   il   disposto dell’art.  172  l.  f.18 che prescrive al commissario giudiziale di redigere una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto e sulla condotta del debitore. Il loro rilievo sembra emergere nel caso in cui la relazione evidenzi un comportamento censurabile   dell’imprenditore   e   il   piano   preveda   la   continuazione   dell’impresa   da   parte dello stesso, senza alcuna variazione significativa nella sua composizione societaria o gestionale.

È  interessante  approfondire  la  visione  “atomistica”  del  legislatore  di  fronte alla crisi dell’impresa:  non  c’è  alcuna  disposizione  che  prenda  in  considerazione  l’ipotesi  in   cui  l’attività  svolta,  pur  essendo  unitaria  da  un  punto  di  vista  economico,  presenti   una pluralità di centri di imputazione giuridica e ciò sembra apparire una battuta d’arresto.  Si  segnala  soltanto  la  previsione  dell’art.  160,  primo  comma,  lett.  b,  l.  f.  

18 Art. 172 l. f. – Operazioni e relazione del commissario – Il commissario giudiziale redige

l’inventario  del  patrimonio  del  debitore  e  una  relazione  particolareggiata  sulle  cause  del  dissesto,  sulla condotta del debitore, sulle proposte di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori, e la deposita in cancelleria  almeno  tre  giorni  prima  dell’adunanza  dei  creditori.

Su richiesta del commissario il giudice può nominare uno stimatore che lo assista nella valutazione dei beni.

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che  parla  di   “attribuzione  delle   attività  delle   imprese   interessate  dalla  proposta  di   concordato”.    Il  dettato  normativo  lascia  supporre  che  il  piano  possa  riguardare una pluralità   di   imprenditori,   ma   non   dice   nulla   sulla   competenza   dell’autorità   giudiziaria o sulla composizione di tali imprese, pur essendo stata introdotta nel nostro   ordinamento   una   disciplina   dell’attività   di   direzione   e   coordinamento   di   società.

Un altro profilo da analizzare si riferisce alla sorte dei finanziamenti concessi dai soci  alla  società.  Appare  evidente  l’esigenza  di  un  coordinamento  delle  disposizioni   che li riguardano con quelle inerenti alla ristrutturazione dei debiti. Sorgono infatti due problemi:

 il socio-creditore  estraneo  all’accordo  di  ristrutturazione  ha  diritto  ad  ottenere  il   regolare pagamento del credito vantato nei confronti della società per il finanziamento effettuato. Nel caso di successivo fallimento della società, intervenuto  entro  l’anno  dalla  restituzione  del  finanziamento  al  socio,  emerge  il   contrasto   tra   la   previsione   dell’art.   182   bis   e   quella   dell’art.   2467   c.c.19, che impone al socio di restituire quanto percepito;

 per  converso,  l’effetto  che  consegue  a  tutte le ipotesi di ristrutturazione dei debiti è  l’irrevocabilità  delle  garanzie  acquisite  in  esecuzione  del  piano  o  dell’accordo.   Il diritto societario, tuttavia, dispone espressamente la postergazione nel rimborso dei crediti ai soci per i finanziamenti concessi alla società nelle condizioni   di   cui   all’art.   2467,   comma   2,   c.c..   Si   potrebbe   verificare,   quindi,   l’esistenza  di  un  credito  postergato,  ma  garantito  in  capo  a  taluni  soci-creditori della  società,  che  pare  in  contrasto  con  l’esigenza  di  assicurare  agli altri creditori la soddisfazione del loro credito con preferenza rispetto ai soci.

19 Art. 2467 c.c. – Finanziamenti dei soci – Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della

società  è  postergato  rispetto  alla  soddisfazione  degli  altri  creditori  e,  se  avvenuto  nell’anno  precedente  la   dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito.

Ai fini del precedente comma si intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di  attività  esercitata  dalla  società,  risulta  un  eccessivo  squilibrio  dell’indebitamento  rispetto  al  patrimonio   netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.

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1.10. I piani di risanamento e di ristrutturazione nella legge fallimentare20

Il   nuovo   art.   67,   terzo   comma,   lett.   d,   l.   f.,   esclude   dall’azione   revocatoria   fallimentare gli atti, i pagamenti e le garanzie concessi su beni del debitore, a condizione che siano stati posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo   a   consentire   il   risanamento   dell’esposizione   debitoria   dell’impresa   e   ad   assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata  ai  sensi  dell’art.  2501-bis, quarto comma, c.c.21.

È importante chiarire come i piani redatti ai sensi della norma appena citata risultano caratterizzati non solo dalla circostanza di essere concepiti e attuati al di fuori di una qualsiasi procedura concorsuale e di non essere, quindi, destinati ad alcuna forma di controllo giudiziale o di omologazione, ma anche dal fatto di avere come   oggetto   il   risanamento   economico   e   finanziario   dell’impresa. Questo si differenzia  del  piano  redatto  ai  sensi  dell’art.  160  l.  f.,  per  accedere  alla  procedura  di   concordato  preventivo,  e  del  piano  previsto  dall’art.  182  bis  i  quali,  oltre  ad  essere   assoggettati   al   vaglio   dell’autorità   giudiziaria,   hanno   come   obiettivo diretto e primario il soddisfacimento dei creditori.

È necessario precisare, in tale contesto, dal punto di vista terminologico, che mentre il  termine   “ristrutturazione  del  debito”  viene  solitamente  utilizzato  per  individuare   tutti quegli accordi di natura contrattuale che riflettono i loro effetti sulla struttura finanziaria   dell’impresa   sub   specie   di   dilazione   (pactum de non petendo) e/o di riduzione dei debiti (pactum de minus petendo);;   all’espressione   “risanamento   dell’esposizione   debitoria”   non   può essere riconosciuto altro significato se non quello di un insieme di misure idonee a ristabilire le condizioni di equilibrio finanziario prospettico della gestione. Il secondo concetto quindi ha portata ben più ampia rispetto al primo: se la ristrutturazione agisce soltanto sul lato debitorio e può rappresentare una delle componenti, anche se non necessaria, del processo di risanamento  della  gestione,  la  seconda  tipologia  di  interventi  ricade  sull’impresa  nel   suo complesso, non essendo concepibile alcun stabile equilibrio finanziario senza

20 Fonte: Enrico Stasi (2006), I piani di risanamento e di ristrutturazione nella legge fallimentare, Il

Fallimento

21 Art.   2501   bis   comma   4:   “La   relazione   degli   esperti   di   cui   all’art.   2501   sexies,   attesta   la  

ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione ai sensi del precedente secondo comma.”

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che siano state prima rimosse le cause economiche della crisi e ripristinato un equilibrato rapporto tra costi e ricavi.

È  necessario   inoltre  sottolineare  che   il  cosiddetto   “piano  stragiudiziale  attestato”  è   un atto unilaterale  dell’imprenditore  che  non  deve  necessariamente  formare  oggetto   di un accordo con i creditori. Il piano potrebbe, infatti, prevedere il ricorso ad operazioni di finanza straordinaria quali: aumento del capitale sociale, versamenti da parte dei soci di somme a fondo perduto, vendita di assets non strategici, conferimenti di business correlati, integrabili a monte o a valle, da parte di altri imprenditori, ecc.

Iniziando dalle attività preliminari della formazione del piano, una volta accertato, anche attraverso indagini di mercato, che il business aziendale abbia o possa avere un futuro, occorre prima di tutto ricercare le cause dello scompenso svolgendo una minuziosa ed accurata analisi delle manifestazioni significative della crisi.

La dottrina aziendalistica   considera   l’analisi di bilancio22 uno strumento di fondamentale  importanza  per  una  corretta  disamina  dell’azienda,  soprattutto  quando   l’analisi   sia   impostata   per   trend   su   periodi   pluriennali   e   gli   indicatori   contabili   utilizzati siano confrontati con dei bench mark23 medi di mercato o di settore. A questo proposito, è importante ricordare  che  l’analisi  di  bilancio  richiede  un’attività preventiva di riclassificazione dei dati contabili, mediante strutture e forme che risultino il più possibile idonee allo scopo. Per esempio, operando una riclassificazione   del   Conto   Economico   “a   valore   e   costi   della   produzione”   le   variabili che risultano essere maggiormente interessanti da analizzare, sono: valore aggiunto, aumento delle variazioni di rimanenze di prodotti finiti e in lavorazione, margine operativo lordo, reddito operativo, perdite operative, componenti straordinari positivi di reddito, rigidità negli investimenti, margine di struttura ecc. La perdita di solidità patrimoniale è un grave fenomeno di generale deterioramento dell’equilibrio  aziendale  e  molto  spesso  si  identifica  con  la  manifestazione  ultima  di  

22 L’analisi di bilancio si   pone   l’obiettivo   di   comprendere   la   gestione   economica,   finanziaria   e  

patrimoniale   di   un’azienda   tramite   lo   studio   del   bilancio   di   esercizio   e   dei   dati   da   questo   ricavabili.   L’analisi  può  essere  statica,  se  basata  sullo  studio  di  indici,  e  dinamica  se  basata  sull’analisi  di  flussi.  

23 L’utilizzo   di   bench mark risulta efficace per misurare e incrementare le performance di

un’impresa  o  di  una  Pubblica  Amministrazione.  L’utilizzo  sistematico  di  metodologie e di strumenti di tale tipologia stimola ed integra i processi di apprendimento e di cambiamento e, allo stesso tempo, stimola   l’efficacia   e   l’efficienza   dei   processi   aziendali   e   il   rinnovamento   della   cultura   aziendale,   assicurando inoltre un miglioramento  continuo  grazie  al  costante  confronto  con  l’esterno.

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più profonde cause di crisi, prevalentemente economiche e gestionali, ormai degenerate.

Per quanto riguarda, infine, il versante finanziario, il principale strumento di rilevazione delle alterazioni nel sottosistema è rappresentato dal rendiconto finanziario, nel quale sono riflessi i flussi monetari in entrata e in uscita originati dai circuiti operativi della gestione, ossia:

- flussi in entrata (apporti) e in uscita (dividendi e rimborsi) generati dal circuito dei finanziamenti di capitale proprio;

- flussi in entrata (nuovi prestiti) e in uscita (rimborsi) generati dal circuito dei finanziamenti di capitale di credito;

- flussi in uscita (nuovi investimenti) e in entrata (dismissioni) generati dal circuito della produzione nel settore degli investimenti pluriennali;

- flusso generato dalla gestione corrente (produzione) come saldo netto delle entrate per ricavi e delle uscite per costi monetari.

Si ricorda,   a   riguardo,   che   il   “disequilibrio   finanziario”   si   concretizza   in   una   disfunzione   del   ritmo   e   dell’entità   dei   flussi   finanziari   in   entrata   e   dei   flussi   finanziari in uscita generati dai circuiti operativi della gestione; il saldo negativo della gestione finanziaria costituisce un sintomo di particolare valore segnaletico del peggioramento della solvibilità aziendale.

L’analisi  si  completa  poi  con  l’impiego  di  una  serie  di  indici tra i quali:

- ROE (Return On Equity): dato dal rapporto tra il reddito netto globale risultante dal   bilancio   e   il   patrimonio   netto   risultante   dall’accostamento   di   due   stati   patrimoniali consecutivi, il quale indica il tasso di redditività del capitale proprio;

- ROI (Return On Investment): dato dal rapporto tra il reddito operativo e il capitale investito, indica il tasso di redditività del capitale investito nella gestione caratteristica, il quale segnala il margine disponibile per remunerare il capitale di credito;

- Indice di disponibilità: dato dal rapporto tra capitale circolante e debiti a breve termine,   quando   è   inferiore   all’unità   indica   un   capitale   circolante   netto   negativo;

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- Indice di liquidità primaria: dato dal rapporto tra liquidità (crediti compresi) e debiti   a   breve   termine,   quando   assume   un   valore   troppo   al   di   sotto   dell’unità costituisce un pericoloso segnale di rischio di insolvenza;

- Indice generale di copertura delle immobilizzazioni: dato dal rapporto tra il capitale permanente e immobilizzazioni nette, quando è sensibilmente inferiore all’unità  indica  un  disequilibrio  strutturale, indicativo di tensioni finanziarie per l’inadeguata  copertura  degli  investimenti  pluriennali;;

- Indice di autonomia finanziaria: dato dal rapporto tra capitale netto e passività, il valore basso di questo indica non solo scarsità di mezzi propri ma anche dipendenza   dell’azienda   da   condizionamenti   esterni   da   parte   dei   finanziatori,   nonché un rischio di perdita definitiva del controllo aziendale;

- Indice di solvibilità finale: dato dal rapporto tra attività e passività, il cui basso valore segnala forti rischi di insolvenza.

Tuttavia sono altri gli strumenti che consentono una più efficace rilevazione degli stati di crisi aziendale e più precisamente quelli utilizzati solitamente per il controllo di gestione, ossia la contabilità analitica24, il budgeting25, la programmazione operativa26 e il sistema di reporting27.

Al riguardo ci si limita ad osservare che28:

 l’analisi   dei   costi   e   i   rendimenti   sono   gli   strumenti   che   meglio   di   ogni   altro   consentono di indagare le inefficienze nei processi produttivi e nelle funzioni aziendali;

24 La contabilità analitica corrisponde alla contabilità dei ricavi e dei costi aziendali che analizza

la  destinazione  delle  risorse  dell’impresa  organizzate  per  progetto,  prodotto  e  per  centro  di responsabilità, ai fini di rilevare e confrontare dati previsionali con dati consuntivi per poter effettuare il controllo di gestione.

25 Il budget è un documento amministrativo in cui vengono stabiliti, in via preventiva, gli atti di

gestione   che   l’azienda intende effettuare in un periodo futuro, al fine di conseguire un determinato risultato. È il bilancio di previsione e rientra tra gli strumenti fondamentali di programmazione e controllo dell’azienda.

26 La pianificazione operativa traduce gli obiettivi tattici in obiettivi operativi (o gestionali) aventi

un  orizzonte  temporale  di  breve  termine,  di  solito  non  superiore  all’anno.

27 Il sistema di reporting è   l’insieme   organizzato   dei   rapporti   di   gestione   contenenti   le  

informazioni relative ai risultati conseguiti. Per essere efficace richiede che tali risultati vengano confrontanti con il budget e il consuntivo dei periodi precedenti. I possibili scopi di tale sistema possono essere: strumento informativo sulle prestazioni realizzate; strumento di stimolo alla ricerca delle cause dei risultati e meccanismo di apprendimento.

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