Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex
D.M. 270/2004)
in Amministrazione, Finanza e Controllo
Tesi di Laurea
“L'art. 182 bis L.F.: Gli accordi di
ristrutturazione del debito”
Relatore
Ch. Prof. Mauro Pizzigati
Laureando
Mariavirginia Bellinato
Matricola 830635
Anno Accademico
2011 / 2012
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Ai miei cari, ai miei amici.
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INDICE
Introduzione
pag. 5CAPITOLO 1
INTRODUZIONE DEL NUOVO ISTITUTO DEGLI “ACCORDI DI
RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI” IN SEGUITO ALLA RIFORMA FALLIMENTARE DEL 2005/2006
1.1. I principi ispiratori della riforma fallimentare del 2005/2006 pag. 7 1.2. L’introduzione del nuovo istituto degli “accordi di ristrutturazione dei
debiti” (ex art. 182 bis)
pag. 8
1.3. I lineamenti essenziali dell’accordo (ex art. 182 bis) pag. 11 1.4. Il calcolo della percentuale minima di adesione dei crediti e
l’inadempimento
pag. 12
1.5. “Il regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo” pag. 13
1.6. La qualificazione dell’esperto pag. 14
1.7. Il contenuto della relazione dell’esperto pag. 15
1.8. Le differenze dell’istituto con il concordato preventivo pag. 16 1.9. Le ristrutturazioni dei debiti e la continuazione dell’impresa pag. 19 1.10. I piani di risanamento e di ristrutturazione nella legge fallimentare pag. 24
CAPITOLO 2
I NUOVI “ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI” IN SEGUITO ALLE MODIFICHE INTRODOTTE DAL DECRETO CORRETTIVO N. 169 DEL 12 SETTEMBRE 2007
2.1. Analisi della nuova disciplina pag. 35
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2.3. “Accordo” al singolare o al plurale? pag. 36
2.4. La previsione di un “ombrello protettivo” sul patrimonio del debitore pag. 37
2.5. La natura contrattuale degli accordi pag. 40
2.6. Il contenuto dell’accordo pag. 41
2.7. I presupposti soggettivo e oggettivo per l’ingresso nel procedimento pag. 45 2.8. L’attuabilità dell’accordo e il “regolare pagamento dei creditori
estranei”
pag. 47
2.9. Il ricorso e l’allegato pag. 50
2.10. Gli altri documenti accompagnatori del ricorso pag. 51
2.11. La relazione del professionista pag. 52
2.12. La qualificazione del professionista autore della relazione pag. 54
2.13. La responsabilità del professionista pag. 57
2.14. La procedura pag. 58
2.15. Le possibili conseguenze per gli accordi non omologati pag. 64
2.16. L’attuazione dell’accordo pag. 65
2.17. Le modificazioni dell’accordo pag. 69
2.18. Gli accordi di stragiudiziali (piani di risanamento e accordi di ristrutturazione) per la soluzione della crisi d’impresa. Profili funzionali, strutturali e conseguenze dell’inadempimento del debitore
pag. 70
2.19. Gli accordi di ristrutturazione e la transazione fiscale pag. 78 2.20. Gli accordi di ristrutturazione e la revocatoria fallimentare pag. 82 2.21. Cenni sui possibili effetti penali degli accordi di ristrutturazione
omologati
pag. 85
2.22. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti e le condotte abusive delle banche in concorso con le società finanziate
pag. 86
2.23. L’autonomia degli accordi di ristrutturazione rispetto al concordato preventivo
pag. 93
2.24. Ulteriori specificazioni riguardo gli istituti dell’accordo e del concordato in seguito alle modifiche del d. l. n. 169/2007
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CAPITOLO 3
NOVITA’ E ANALISI CIRCA L’UTILIZZO DEL NUOVO ISTITUTO DEGLI “ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI”
3.1. Un primo sguardo alle novità introdotte dal decreto correttivo n. 169/2007 e ai suoi riflessi sulla disciplina
pag. 103
3.2. Gli accordi di ristrutturazione come negozi fallimentari di utilità sociale
pag. 108
3.3. La verifica della “bontà” di tale istituto in seguito all’intervento correttivo
pag. 111
3.4. Analisi dei difetti della disciplina pag. 114
3.5. Legge nr. 122/2010: anticipazione della cosiddetta “protezione” negli accordi di ristrutturazione
pag. 116
3.6. Legge nr. 3 del 27 gennaio 2012: Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovra indebitamento
pag. 123
Conclusioni
pag. 1275
INTRODUZIONE
“Art. 182 bis. Accordi di ristrutturazione dei debiti - L’imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione di cui all’art. 161, l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d, sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.
L’accordo è pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione. Dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore. Si applica l’art. 168 secondo comma.
Entro trenta giorni dalla pubblicazione i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione. Il tribunale, decise le opposizioni, procede all’omologazione in camera di consiglio con decreto motivato. Il decreto del tribunale è reclamabile alla corte d’appello ai sensi dell’art. 183, in quanto applicabile, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese.”
Il lavoro che segue è volto ad analizzare l’art. 182 bis della legge fallimentare (sopra riportato) il quale disciplina gli accordi di ristrutturazione dei debiti.
Quest’ultimo risulta essere un istituto di recente creazione mediante la riforma fallimentare del 2005 con la quale il legislatore ha inteso valorizzare l’autonomia privata delle parti interessate favorendo gli accordi stragiudiziali per la rimozione della crisi dell’impresa.
L’elaborato in oggetto quindi comincerà con una prima collocazione di tali accordi all’interno dei principi ispiratori della nuova riforma;; proseguirà poi con l’analisi del primo dettato normativo (ex art. 182 bis) e dei relativi problemi riscontrati nell’effettiva applicazione, ai quali si è provato a porre rimedio mediante il decreto correttivo nr. 169 introdotto nel settembre 2007. Dopo aver quindi svolto questa disamina, si è cercato di trovare spiegazione allo scarso utilizzo, che a tutt’oggi perdura, di questa modalità di risoluzione della crisi d’impresa, nonché studiare le novità introdotte in materia.
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CAPITOLO 1
INTRODUZIONE DEL NUOVO ISTITUTO DEGLI “ACCORDI DI
RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI” IN SEGUITO ALLA RIFORMA FALLIMENTARE DEL 2005/2006
1.1. I principi ispiratori della riforma fallimentare del 2005/20061
La legge fallimentare del 1942 concepiva la crisi d’impresa come una situazione da valutare, anche d’ufficio, con grande attenzione e rigore e da indirizzare, in assenza di altre soluzioni, verso il fallimento.
In questo modo si intendeva tutelare sia l’economia in generale, per il tramite del controllo giudiziale e della potenziale espulsione dal mercato delle imprese in difficoltà, sia, in particolare, i soggetti che fossero già entrati, o che avrebbero potuto entrare, in contatto con l’imprenditore in stato di grave difficoltà. Si sperava quindi di minimizzare il numero di questi con una tempestiva chiusura dell’impresa, e comunque, tramite l’istituto poderoso delle revocatorie fallimentari, garantire la par condicio tra creditori più o meno “avvertiti” e la tensione della liquidazione del patrimonio del fallito indirizzata alla massimizzazione del ricavato. Coerenti con queste finalità risultavano, dunque, anche i severi limiti imposti alle ipotesi giudizialmente concordate di soluzioni della crisi in luogo del fallimento, riservate ad imprenditori “meritevoli” e a progetti di integrali o qualificate coperture delle sofferenze dei creditori.
Ma con la recente riforma del biennio 2005/2006 (e le seguenti modifiche introdotte con il decreto legislativo del 2007) lo scenario si è ribaltato: il fallimento ora rappresenta un’eventualità solo residuale nelle intenzioni del legislatore, promuovendo e facilitando soluzioni concordate della crisi, eliminando ogni criterio di meritevolezza nei confronti dell’imprenditore insolvente e riducendo le garanzie di protezione dei creditori.
Il legislatore ha preferito privilegiare quindi soluzioni più facilmente tese, dove possibile, a favorire la salvezza delle realtà imprenditoriali al posto del fallimento,
1 Fonte: Elena Frascaroli Santi (2005), Gli accordi di ristrutturazione dei debiti e gli effetti per
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prediligendo comunque ipotesi di cessione per quanto possibile unitarie e che tengano anche conto delle esigenze di salvaguardia di azienda o rami d’azienda. È possibile che le nuove disposizioni, analizzate di seguito, si rivelino convenienti anche per i creditori che avranno un maggior interesse dall’auspicato recupero aziendale e che, in ogni caso, è possibile riescano ad ottenere una soddisfazione più ampia e in tempi notevolmente ridotti rispetto alla durata delle altre procedure concorsuali previste in precedenza.
Per certo, tuttavia, le nuove disposizioni che si occupano delle procedure concordate, sembrano volutamente comprimere i diritti dei creditori all’accertamento e alla soddisfazione dei propri crediti.
Compito del giurista, nel rispetto delle indicazioni legislative, è oggi più che mai ricostruire un sistema globale che identifichi e tenga conto delle varie esigenze, individuando gli strumenti di tutela dei diritti di accertamento e di soddisfazione del credito nelle procedure concorsuali, senza tuttavia giungere ad irragionevoli limitazioni dei poteri accordati ai proponenti per la risoluzione della crisi d’impresa.
Il compito che viene quindi ora attribuito agli esperti qualificati è di grande responsabilità, prima di tutto etica, in quanto teso a garantire i diritti dei terzi e non solo del proprio committente.
1.2. L’introduzione del nuovo istituto degli “accordi di ristrutturazione dei debiti” (ex art. 182 bis)2
La riforma attuata con il d. l. del 14 marzo 2005 n. 35, convertito con la legge 14 maggio 2005 n. 80, ha introdotto, tra le altre novità, una nuova figura di procedura concorsuale, ovvero sia quella prevista dall’ex art. 182 bis l.f.3.
Con la riforma in questione, il legislatore ha finalmente tenuto conto delle numerose critiche, sollevate più volte dalla dottrina, circa la sua inerzia nel recepire le istanze
2 Fonte: Elena Frascaroli Santi (2005), Gli accordi di ristrutturazione dei debiti e gli effetti per
coobbligati e fideiussori del debitore, Diritto Fallimentare
3 Formulazione originale del 1° comma ex art. 182 bis: “Il debitore può depositare, con la
dichiarazione e la documentazione di cui all’art. 161, un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un esperto sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.”
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provenienti dal mondo economico e dagli operatori del diritto, al fine di sollecitare il riconoscimento legislativo di strumenti idonei alla rimozione della crisi, caratterizzati tra l’altro da una maggior valorizzazione dell’autonomia privata. Si è riusciti quindi a passare da un lento processo di modifica dei valori essenziali di riferimento delle procedure concorsuali, ad un contesto di un’economia globale sempre più interessata alla conservazione della vitalità dell’impresa.
Quanto appena esplicitato risulta anche dalla modifica della disciplina inerente il concordato preventivo la quale, nella nuova formulazione dell’art. 160 l. f.4, sembra
ispirata, da un lato, ad
una decisiva valorizzazione dell’autonomia privata, riferibile soprattutto alla possibilità data al debitore di determinare liberamente il contenuto del piano che costituisce il punto centrale della procedura;; dall’altro, all’esigenza per l’imprenditore di poter contare su di un istituto più agile e accessibile, essendo stata ridotta all’essenziale la sua struttura processuale ed essendo stato abolito il requisito della meritevolezza dell’imprenditore, quale condizione per la sua ammissibilità al concordato.
Si deve quindi riconoscere la grande svolta avvenuta con la riforma in oggetto che ha risposto all’esigenza di una maggiore valorizzazione dell’autonomia privata nell’ottica dell’importanza della conservazione della vitalità dell’impresa, anche nel caso in cui questa sia soggetta a situazioni di crisi più o meno grave.
4 Art. 160 l. f. – Presupposti per l’ammissione alla procedura – L’imprenditore che si trova in
stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere: a) La ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche
mediante cessione di beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito;
b) L’attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore; possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate o da costituire nel corso della procedura, le azioni delle quali siano destinate ad essere attribuite ai creditori per effetto del concordato;
c) La suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei;
d) Trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.
La proposta può prevedere che i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicata nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d. Il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione. Ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza.
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Per quanto concerne, invece, lo strumento stragiudiziale per la tutela del credito, di stampo privatistico, si evidenzia tra l’altro, che questo costituisce uno strumento nuovo, anche rispetto agli ordinamenti stranieri.
Le linee di tendenza si desumono, del resto, anche dalla delega al Governo per la riforma fallimentare che prevede il potenziamento del ruolo dei creditori con l’attribuzione al comitato dei creditori di funzioni determinanti per l’amministrazione del patrimonio del fallito e in caso di prosecuzione temporanea dell’esercizio dell’impresa.
Ai creditori, inoltre, deve essere sottoposto, per l’approvazione, anche il “programma di liquidazione” che indica le modalità e i termini per la realizzazione dell’attivo.
A tal riguardo è interessante notare come sia previsto che l’attivo si possa realizzare adottando soluzioni conservative dell’attività d’impresa, sia attraverso l’esercizio provvisorio dell’impresa o di singoli rami aziendali, sia mediante la cessione unitaria dell’azienda o di singoli rami aziendali.
Altra modifica molto importante da considerare riguarda l’abbandono di ogni riferimento allo “stato di insolvenza” che risulta ora sostituito dal concetto di “crisi d’impresa”. Anche in questo caso, quindi, si ravvisa la necessità di riconsiderare il presupposto oggettivo di tutti i procedimenti concorsuali in una prospettiva risanatoria e conservativa della vitalità dell’impresa. Tale prospettiva comporta quindi l’eliminazione di qualsiasi interesse per ogni distinzione sul piano normativo tra il concetto di stato di insolvenza e di crisi d’impresa, non essendo rilevante ai fini dell’apertura del procedimento concorsuale.
Prima dell’introduzione di tali modifiche, invece, la cessazione dell’attività d’impresa e quindi il ricorso ad uno strumento liquidatorio, come il fallimento, era considerata l’unica soluzione compatibile con lo stato d’insolvenza.
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1.3. Lineamenti essenziali dell’accordo 5
L’accordo, nella sua formulazione originale, ha come oggetto il soddisfacimento dei creditori in qualsiasi modo e quindi il suo contenuto è lasciato alla libera contrattazione delle parti.
Esso può avere ad oggetto anche il classico concordato dilatorio o remissorio, o insieme, dilatorio e remissorio: questo significa il pagamento di una certa percentuale di debiti entro un determinato periodo di tempo.
L’accordo è depositato nella cancelleria fallimentare del tribunale insieme ad una relazione redatta da un esperto la quale si traduce in un giudizio professionale sulle possibilità del debitore di adempiere all’accordo preso con i propri creditori, con particolare riferimento all’idoneità che esso assicuri il “regolare pagamento dei creditori estranei” all’accordo. Quest’ultimo può essere comprovato da un contratto risultante da un documento unico o, più frequentemente, da una proposta cui fanno seguito le accettazioni dei creditori secondo il noto schema di cui all’art. 1326 c.c.6. Poiché l’art. 182 bis l. f. richiama la dichiarazione e la documentazione di cui al precedente art. 161 l. f.7, si ritiene che il debitore debba depositare in tribunale, oltre all’accordo:
a) il ricorso con cui chiede l’omologa dell’accordo;;
5 Fonte: Giuseppe Verna (2005), Sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis legge
fallimentare, Diritto Fallimentare
6 Art. 1326 c.c. - Conclusione del contratto – Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha
fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte. L’accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare o secondo gli usi. Il proponente può ritenere efficace l’accettazione tardiva, purché ne dia immediatamente avviso all’altra parte. Qualora il proponente richieda per l’accettazione una forma determinata, l’accettazione non ha effetto se è data in forma diversa. Un’accettazione non conforme alla proposta equivale ad una nuova proposta.
7 Art. 161 l. f. – Domanda di concordato – La domanda per l’ammissione alla procedura di
concordato preventivo è proposta con ricorso, sottoscritto dal debitore, al tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale;; il trasferimento della stessa intervenuto nell’anno antecedente al deposito del ricorso non rileva ai fini dell’individuazione della competenza. Il debitore deve presentare con il ricorso: a) una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa;; b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;; c) l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore; d) il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili. Il piano e la documentazione di cui ai commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista di cui all’art. 28 che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. Per la società la domanda deve essere approvata e sottoscritta a norma dell’art. 152.
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b) l’aggiornata situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa con una relazione illustrativa;
c) lo stato analitico delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;;
d) l’elenco degli eventuali titolari di diritti reali e personali su beni di proprietà o in possesso del debitore, evidentemente diversi dai creditori;
e) un elenco dei beni e dei creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.
L’accordo, con l’attestazione dell’avvenuto deposito in tribunale, deve essere pubblicato nel registro delle imprese.
I creditori e ogni altro interessato possono proporre, con ricorso, motivata opposizione entro trenta giorni dalla pubblicazione a norma dell’art. 182 bis, comma 2.
Il tribunale decide le eventuali opposizioni e procede all’omologazione in camera di consiglio con decreto motivato che è pubblicato nel registro delle imprese.
L’accordo, il quale viene raggiunto con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti ed omologato dal tribunale, produce effetti anche nei confronti dei creditori estranei all’accordo, quando il loro titolo sia sorto anteriormente alla data di deposito del ricorso in tribunale.
1.4. Il calcolo della percentuale minima di adesione dei crediti e l’inadempimento8 La legge non specifica se la percentuale del 60% deve essere calcolata sull’ammontare complessivo dei crediti o solo sui crediti chirografari.
Premessa importante da fare in questo contesto è che i creditori privilegiati possono partecipare all’accordo o rimanerne estranei. Nel primo caso la libera contrattazione può prevedere anche per essi un sacrificio inferiore o pari a quello richiesto anche agli altri partecipanti. Nel caso invece in cui essi rimangano estranei all’accordo, hanno diritto ad essere soddisfatti prioritariamente rispetto ai creditori chirografari. La percentuale dovrebbe quindi essere riferita ai crediti che possono essere incisi dall’accordo con riferimento alla misura o ai tempi o alle modalità di pagamento.
8 Fonte: Giuseppe Verna (2005), Sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis legge
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Nel caso di crediti contestati, invece, anche nel caso in cui il debitore abbia effettuato un accantonamento nominativo nello stato patrimoniale, i relativi importi non possono essere computati ai fini del quorum minimo del 60%.
Quindi ciascun creditore contraente è libero di chiedere l’adempimento coattivo o la risoluzione del contratto;; in quest’ultimo caso riacquista i diritti per l’importo totale del proprio credito e perdono di efficacia eventuali riduzioni o dilazioni stabilite dal citato accordo.
L’accordo, una volta risolto, non produce più alcuna efficacia non solo nei confronti degli altri creditori contraenti sebbene essi non abbiano richiesto la risoluzione, ma anche nei confronti dei creditori estranei all’accordo stesso.
1.5. “Il regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo”9
Ai fini della spiegazione della locuzione “regolare pagamento” sono due le interpretazioni che si sono seguite: la prima è di tipo letterale e identifica l’espressione con “esatto pagamento” la cui conseguenza quindi è che l’esperto dovrebbe assicurare, con il proprio parere professionale, che l’accordo di ristrutturazione consenta, con la quasi certezza, il pagamento ai creditori estranei all’accordo nell’intero ammontare dovuto e alle scadenze stabilite.
Alla luce di questa interpretazione, quindi, l’art. 182 bis sarebbe stato voluto dal legislatore solo per consentire ai contraenti di fuggire all’azione revocatoria e di evitare le sanzioni previste per la bancarotta preferenziale.
Tuttavia tale interpretazione si rivela subito contraddittoria in quanto non avrebbe senso la previsione normativa dell’omologa di un accordo, la cui efficacia fosse limitata alle parti contraenti, visto che nei confronti di queste ultime l’efficacia del contratto è già stabilita.
Si osserva inoltre come appare inverosimile l’avere previsto la pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese, visto che tutto lascia prevedere che il pagamento sarà effettuato alla scadenza e per l’intero.
Per giunta, l’interpretazione secondo la quale si vorrebbero i creditori estranei all’accordo liberi di agire per l’intero, li spingerebbe a tutelare con rigidità i propri crediti evitando di continuare nelle forniture e quindi di aumentare la propria
9 Fonte: Giuseppe Verna (2005), Sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis legge
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esposizione; uguale atteggiamento assumerebbero poi i terzi chiamati a fornire nuovi beni e servizi all’azienda in crisi.
In conclusione, sembra quindi preferibile la seconda interpretazione secondo la quale la locuzione “regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo” debba intendersi quale “pagamento dei creditori estranei secondo le regole dell’accordo” una volta omologato.
1.6. La qualificazione dell’esperto10
L’art. 161, al comma 3, prevede che il debitore presenti, col ricorso di ammissione al concordato preventivo, un piano di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti, accompagnato dalla relazione di un professionista di cui all’art. 28 l. f.11, ovvero sia avente i requisiti per la nomina a curatore fallimentare che attesti la veridicità dei dati aziendali. L’art. 182 bis, invece, al comma 1, prevede la relazione di “un esperto” senz’altra qualificazione.
Probabilmente il legislatore ha voluto estendere il novero dei soggetti qualificati ad assumere la funzione di “esperto” aggiungendo ai professionisti con le qualifiche atte alla nomina a curatore fallimentare altri soggetti, quali gli studi associati e le società professionali fra i suddetti professionisti, nonché le società di revisione e i professori universitari in materie economiche e giuridiche.
Tuttavia non si esclude l’ipotesi secondo la quale questa distinzione derivi semplicemente da una stesura normativa effettuata a più mani e priva di coordinazione.
Non è previsto, probabilmente per rendere la procedura meno onerosa e favorire una consulenza integrata ed efficiente, che l’imprenditore nomini, quale esperto, un
10 Fonte: Giuseppe Verna (2005), Sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis legge
fallimentare, Diritto Fallimentare
11 Art. 28 l.f. – Requisiti per la nomina a curatore – Possono essere chiamati a svolgere le funzioni
di curatore: a) avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti; b) studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse abbiano i requisiti professionali di cui alla lett. a). In tale caso, all’atto dell’accettazione dell’incarico, deve essere assegnata la persona fisica responsabile della procedura; c) coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di fallimento. Non possono essere nominati curatore il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito, i creditori di questo e chi ha concorso al dissesto dell’impresa durante i due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, nonché chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento.
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professionista diverso da quello che lo assiste nella preparazione dell’accordo, nella sua presentazione al tribunale ed eventualmente nella sua realizzazione.
Egli infatti è nominato da una parte e l’ampiezza del mandato ricevuto, ovvero la sua estensione alla redazione dell’accordo e del ricorso per omologa, non può che offrire a tale professionista ulteriori elementi di giudizio.
Circa la responsabilità dell’esperto si rimanda all’art. 2043 c.c.12.
1.7. Il contenuto della relazione dell’esperto13
L’esperto, attraverso la propria relazione, deve esprimersi sull’attuabilità del piano e, in particolare, sulla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.
Il contributo dell’esperto potrebbe qualificarsi meglio quanto ad attendibilità se egli fosse nominato congiuntamente dal debitore e dai creditori contraenti.
Con particolare riferimento alla tutela degli interessi dei creditori estranei all’accordo, il legislatore richiede una relazione “idonea ad assicurare”, la quale sembrerebbe quindi consistere in un motivato giudizio professionale di alta probabilità. Quest’ultimo, inoltre, non dovrebbe prescindere anche dalla valutazione della convenienza da parte di tutti i creditori rispetto ad altre procedure concorsuali. L’esperto non potrà limitarsi ad esaminare l’accordo stipulato dal debitore con i creditori; egli infatti dovrà spingersi ad esaminare la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica del debitore, essendo costretto ad esprimere un giudizio sia sull’attuabilità dell’accordo, sia sulla sua idoneità ad assicurare il soddisfacimento dei creditori estranei in misura e con modalità non dannose rispetto alle regole sancite dall’accordo stesso. È scontato quindi precisare che egli si esprimerà sia sull’avvenuto raggiungimento della percentuale minima dei crediti, i cui titolari hanno partecipato all’accordo, sia sull’attendibilità dei dati contabili presentati con il ricorso di omologa.
In conclusione, l’esperto dovrà quantomeno compiere una “limited - riview”, in contraddittorio con il debitore e con l’ausilio della documentazione contabile a sua
12 Art. 2043 c.c. – Risarcimento per fatto illecito – Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona
ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.
13 Fonte: Giuseppe Verna (2005), Sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis legge
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disposizione, per rilevare se si evidenziano significative discordanze tra la situazione redatta dal debitore e quella effettiva; quanto detto anche in relazione ad eventi che possono essersi manifestati medio tempore, ossia tra la data di riferimento della situazione stessa e la data di riferimento della propria relazione. Non potranno, inoltre, essere trascurati atti passabili di revocatoria in quanto essi possono incidere sulla convenienza della ristrutturazione dei debiti rispetto all’alternativa fallimentare.
I documenti che si trovano allegati al ricorso del debitore e, più in generale, quelli che l’esperto ha esaminato devono consentirgli di formulare un giudizio professionale che, pur presentando l’alea che accompagna ogni previsione di eventi futuri, possa ritenersi fondatamente attendibile e responsabilmente espresso.
1.8. Le differenze con il concordato preventivo14
Sulla questione molto si è discusso e le opinioni sono alquanto divergenti ma sembra possibile affermare che la previsione legislativa dell’art. 182 bis debba essere considerata come un fenomeno assolutamente autonomo rispetto alla diversa, e per certi versi, ben più articolata configurazione del rinnovato Concordato Preventivo.
In primo luogo va considerato che il legislatore non ha imposto alcuna condizione obiettiva per l’introduzione, da parte del debitore, della proposta dell’accordo di ristrutturazione, diversamente da quanto previsto dal rinnovato art. 160 l. f. che prevede quale condizione per l’ammissione alla procedura lo “stato di crisi” dell’imprenditore.
Vi è stato quindi una radicale soppressione del presupposto oggettivo preesistente, comune a tutte le procedure concorsuali previste dal d. l. del 1942, che evidentemente era lo stato di insolvenza.
Nella formulazione dell’art. 182 bis il legislatore non ha invece posto alcun presupposto oggettivo a carico del debitore per la formulazione dell’ipotesi di ristrutturazione dei debiti.
In realtà si deve ritenere che la sussistenza dello stato di crisi o di insolvenza non sia assolutamente un requisito necessario, tanto che si può ragionevolmente ipotizzare
14 Fonte: Mario Caffi (2005), Considerazioni sul nuovo art. 182 bis della legge fallimentare, Diritto
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che della stessa possano giovarsi anche imprenditori non mossi dalla predette situazioni, ma spinti da altre esigenze quali, per esempio, la volontà di dar corso a ristrutturazioni aziendali, a delocalizzazioni delle attività produttive con riduzione del personale, a nuove impostazioni di ricerca di mercati e quant’altro.
Ma ci sono anche altri elementi che fanno propendere per una configurazione autonoma della procedura. Si veda, ad esempio, il disposto letterale dell’art. 67 comma 3 lettera e l. f.15, nel quale è chiaramente sottolineata la revocabilità degli
atti, dei pagamenti e delle garanzie poste in essere in esecuzione del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata, nonché dell’accordo omologato dell’art. 182 bis;; si nota palesemente l’assoluta volontà differenziale fra le due procedure.
Un ulteriore elemento di autonomia tra le due procedure va riscontrato nella differenziazione esistente fra la relazione prevista dall’ultimo comma dell’art. 161 l. f. e quella prevista dall’art. 182 bis. Nel primo articolo (quindi nel concordato
15 Art. 67 l. f. – Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie – Sono revocati, salvo che l’altra parte
provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore: 1) gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso; 2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento;; 3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti;; 4) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti.
Sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.
Non sono soggetti all’azione revocatoria: a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso;; b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca; c) le vendite e i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’art. 2645 bis c.c., i cui effetti non siano cessati ai sensi del terzo comma della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado; d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e che abbia i requisiti previsti dall’art. 28 lett. a e b ai sensi dell’art. 2501 bis, quarto comma, c.c; e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, nonché l’accordo omologato ai sensi dell’art. 182 bis;; f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito; g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali e di concordato preventivo.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano all’istituto di emissione, alle operazioni di credito su pegno e di credito fondiario; sono salve le disposizioni delle leggi speciali.
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preventivo) la funzione di tale relazione è innanzitutto quella di confermare con una funzione fidefaciente la realtà dei dati aziendali, oltre che, ovviamente, esprimere ex ante una fondata e ragionata previsione dell’attuabilità del piano. Ben diversa, invece, è la funzione attribuita al professionista dal secondo articolo sopracitato, in cui la relazione (oltretutto non necessariamente redatta da un soggetto previsto dall’art. 28 l. f. ma genericamente identificato come un “esperto”) ha semplicemente la funzione di esprimersi sull’attuabilità dell’accordo stesso, e ciò con particolare riferimento all’idoneità dello stesso ad assicurare il soddisfacimento dei creditori non partecipanti all’accordo.
Ma quanto appena detto non basta perché anche la fase di omologazione dei due istituti è diversa: rimane indubbio che il giudizio di omologazione configurato dall’art. 160 l. f. lascia al tribunale funzioni di controllo abbastanza accentuate con, tra l’altro, il rispetto di forme processuali estremamente dettagliate, anche se sicuramente espresse in modo confusionario. Nell’art. 182 bis invece la presenza del tribunale appare ancor più esigua, dovendosi limitare, sostanzialmente, alla verifica dell’idoneità dell’accordo a consentire il regolare pagamento dei creditori estranei, perché, in difetto, tale fondamentale circostanza sarebbe attestata solo dalla relazione dell’esperto.
Un ulteriore elemento differenziante appare poi essere riscontrabile nell’ipotesi di mancato raggiungimento dello scopo da parte delle due procedure. Mentre nell’ipotesi di concordato preventivo non si determina alcuna conseguenza né a carico del debitore, né per i creditori che riprendono la propria piena libertà di azione, nell’ipotesi di accordo di ristrutturazione i creditori, nel caso in cui l’accordo non venga adempiuto, dovranno chiedere la risoluzione secondo la disciplina generale prevista dal codice civile.
Si è posta poi una problematica riguardante la necessità di effettuare o meno un pagamento integrale a favore dei creditori diversi da quelli con cui è stato raggiunto l’accordo. Se si esamina l’art. 182 bis si riscontrerà in modo palese che i creditori non aderenti hanno, come unico strumento di percezione circa la presentazione dell’accordo di ristrutturazione, la pubblicazione dello stesso nel Registro delle imprese. Dalla data di pubblicazione decorre il termine per la presentazione delle opposizioni entro i successivi trenta giorni (forma di pubblicità estremamente riduttiva). Si conclude col ritenere che vige l’obbligo del pagamento integrale a
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favore dei creditori non aderenti e che, in assenza di ciò, o meglio, della certezza in sede di omologazione di questa soluzione, la procedura non possa avere il suo naturale compimento.
1.9. Le ristrutturazioni dei debiti e la continuazione dell’impresa16
Suscita qualche perplessità l’espandersi di modalità attraverso cui tale ristrutturazione può essere decisa: dall’accordo procedimentalizzato con i creditori, previsto dal concordato preventivo, all’accordo stipulato con i creditori, introdotto dall’art. 182 bis, al piano contemplato dall’art. 67, comma 2, lett. d, l. f. il quale sembrerebbe addirittura prescindere da un accordo con i creditori.
Il legislatore, inoltre, sembra assegnare finalità diverse a queste tecniche decisorie. Il piano presentato dall’imprenditore in sede di concordato preventivo può prevedere “la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti”;; quello stipulato dal debitore ai sensi dell’art. 182 bis attiene solo alla “ristrutturazione dei debiti”;; mentre il piano predisposto dal debitore in conformità all’art. 67, comma 2, lett. d, l. f. è “ragionevolmente” diretto al “risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria”.
L’effetto che scaturisce ricorrendo una qualsiasi delle fattispecie appena delineate è, tuttavia, comune: l’esenzione dalla revocatoria degli atti, dei pagamenti e delle garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo che prevede la ristrutturazione dei debiti.
L’imprenditore in stato di crisi, che non risulta più essere quello insolvente, può accedere oggi al concordato preventivo.
La situazione di impossibilità economica, caratterizzante lo stato di insolvenza, spingeva, prima della riforma, inevitabilmente verso una considerazione dell’impresa quale attività che non poteva più essere proseguita dall’imprenditore. L’aver anticipato la soglia d’accesso ad uno stato di crisi non irreversibile pone in risalto l’esistenza di un’attività d’impresa non ancora insolvente. All’imprenditore è concesso di permanere nella titolarità dell’impresa gestendo direttamente la
16 Pierpaolo Marano (2006), Le ristrutturazioni dei debiti e la continuazione dell’impresa, Il
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situazione di crisi con l’accordo dei creditori, magari variando la sua compagine societaria a beneficio di questi, viceversa dovrà accettare di essere sostituito.
Talvolta però può succedere che il risultato sperato non sia raggiunto; sorge quindi il problema di valutare ex ante la meritevolezza causale di quel piano o di quell’accordo, in particolar modo alla presenza di creditori che non l’hanno accettato o che ad esso sono estranei. Al riguardo non si può prescindere dalla constatazione che il sistema introdotto con il D. L. n. 32/2005 sancisce che una parte del ceto creditorio sia soddisfatta con preferenza rispetto all’altra, acquisendo tale priorità proprio in occasione della crisi dell’imprenditore.
Una preferenza può essere riconosciuta a determinati creditori (la minoranza), in quanto gli altri ne sopportano il costo accettando di perseguire il loro interesse particolare, ad essere soddisfatti in percentuale più elevata rispetto a quello conseguibile con il fallimento, attraverso la salvaguardia dell’impresa. In tal modo la tutela degli atti dispositivi, compiuti dall’imprenditore in esecuzione della ristrutturazione, è giustificata perché funzionale a preservare l’impresa: la ristrutturazione assicura la sopravvivenza del complesso produttivo e la sua eventuale collocazione presso un diverso imprenditore. L’ordinamento può quindi ben favorire quelle soluzioni che agevolano questo risultato premiandole con l’esenzione dalla revocatoria quando non raggiungono l’obiettivo prefissato e ritenuto meritevole di tutela.
Nell’ipotesi del piano di cui all’art. 67, comma 2, lett. d, l. f. la prosecuzione dell’impresa è “in re ipsa”17: in questo caso la ristrutturazione deve assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa quale presupposto per soddisfare i creditori. Essa consente una predisposizione unilaterale del piano, senza la necessità di un accordo con i creditori. Tale tipologia di soluzione sembrerebbe idonea ad abilitare il debitore ad operare trattamenti differenti tra i creditori. È lecito immaginare, inoltre, che i pagamenti e le garanzie si dirigeranno a favore di quei creditori che sono in grado di influenzare le scelte compiute dal debitore. Risulta sorprendente, pertanto, come l’esonero dalla revocatoria sia rimesso interamente alla decisione del debitore, il quale sceglie addirittura in via diretta l’esperto (tranne per le spa e le sapa) escludendo ogni valutazione dell’autorità giudiziaria. La preoccupazione è che il piano sia subito dal debitore e
17 “In re ipsa”: in se stessa
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la continuazione dell’attività d’impresa, anche se postulata dal piano di ristrutturazione, si risolva in concreto quale pretesto per escludere taluni creditori dalla successiva insolvenza, o per farli partecipare in via privilegiata. Ecco come emerge, in modo alquanto palese, la necessità di assicurare almeno l’imparzialità dell’esperto, che dovrebbe essere scelto sempre dall’autorità giudiziaria, determinando in modo chiaro il profilo della sua responsabilità, anche penale. Nell’accordo stipulato ai sensi dell’art. 182 bis manca un’espressa finalizzazione della ristrutturazione dei debiti alla prosecuzione dell’attività. È richiesta tuttavia l’omologazione dell’accordo affinché si produca l’esonero dalla revocatoria. La funzione svolta da tale valutazione dell’autorità giudiziaria è però differente da quella richiesta nell’ipotesi di concordato. Per quest’ultimo l’omologazione è necessaria perché, all’adempimento del concordato, consegue l’esdebitazione del fallito anche rispetto ai creditori che non hanno votato a favore o, comunque, non hanno presentato domanda di ammissione al passivo e quindi non sono stati chiamati a votare sulla proposta.
Nell’ipotesi degli accordi di cui all’art. 182 bis, invece, si verifica la situazione opposta: l’esdebitazione non è subita dai creditori estranei all’accordo, ma da quelli che hanno stipulato l’accordo. Sono proprio questi ultimi, infatti, che sopportano il rischio di ricevere solo una percentuale di quanto vantato; mentre i creditori estranei devono ottenere il pagamento “regolare” dei loro crediti.
L’omologazione, tuttavia, è sempre necessaria, anche in assenza di opposizioni. L’art. 182 bis distingue, infatti, tra l’efficacia dell’accordo, conseguente alla sua iscrizione nel registro delle imprese, e l’esonero dalla revocatoria, che è espressamente subordinato all’omologazione. In tale modo si vuole evitare, in particolare, che il creditore favorevole all’accordo possa godere della tutela conseguente all’esonero dalla revocatoria, a discapito di quello ad esso estraneo;; vale a dire che possa ricevere, cioè, dei pagamenti con preferenza rispetto all’altro, senza sopportare le conseguenze dell’esdebitazione dell’imprenditore successivamente fallito, che pure egli ha implicitamente dichiarato di subire quando ha stipulato l’accordo.
Per agevolare il compito dell’autorità giudiziaria è pertanto auspicabile che almeno la relazione sull’attuabilità dell’accordo, richiesta dall’art. 182 bis, evidenzi come l’adempimento delle obbligazioni verso i creditori estranei all’accordo avviene in
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forza dei benefici che scaturiscono dalla continuazione dell’impresa, resa possibile dall’accordo per la ristrutturazione dei debiti di cui si chiede l’omologazione;; mentre, in termini più ampi, sorge la questione delle sanzioni che assistono tale precetto in caso di relazioni simulatorie, come di false rappresentazioni da parte del debitore.
Nel caso di concordato preventivo, l’art. 160 l. f. individua il contenuto che può avere il piano proposto dall’imprenditore ai suoi creditori. In particolare, la lett. a della predetta norma collega espressamente la ristrutturazione dei debiti alla soddisfazione dei crediti “attraverso qualsiasi forma”. In astratto, la continuazione dell’impresa potrebbe anche non esserci, se la ristrutturazione consiste in una rinuncia al credito, totale o parziale, ed il soddisfacimento dei creditori è realizzato mediante lo smembramento dell’azienda. E’ lecito supporre, tuttavia, che questa sia un’ipotesi solo marginale, in quanto la preferenza sarà per una cessione dell’azienda, che consente ai creditori di beneficiare di valori come l’avviamento, o per la partecipazione alla società nelle forme esemplificate nella disposizione stessa.
Le nuove disposizioni sul concordato preventivo prevedono il giudizio di omologazione in capo all’autorità giudiziaria. In particolare permane il disposto dell’art. 172 l. f.18 che prescrive al commissario giudiziale di redigere una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto e sulla condotta del debitore. Il loro rilievo sembra emergere nel caso in cui la relazione evidenzi un comportamento censurabile dell’imprenditore e il piano preveda la continuazione dell’impresa da parte dello stesso, senza alcuna variazione significativa nella sua composizione societaria o gestionale.
È interessante approfondire la visione “atomistica” del legislatore di fronte alla crisi dell’impresa: non c’è alcuna disposizione che prenda in considerazione l’ipotesi in cui l’attività svolta, pur essendo unitaria da un punto di vista economico, presenti una pluralità di centri di imputazione giuridica e ciò sembra apparire una battuta d’arresto. Si segnala soltanto la previsione dell’art. 160, primo comma, lett. b, l. f.
18 Art. 172 l. f. – Operazioni e relazione del commissario – Il commissario giudiziale redige
l’inventario del patrimonio del debitore e una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore, sulle proposte di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori, e la deposita in cancelleria almeno tre giorni prima dell’adunanza dei creditori.
Su richiesta del commissario il giudice può nominare uno stimatore che lo assista nella valutazione dei beni.
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che parla di “attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato”. Il dettato normativo lascia supporre che il piano possa riguardare una pluralità di imprenditori, ma non dice nulla sulla competenza dell’autorità giudiziaria o sulla composizione di tali imprese, pur essendo stata introdotta nel nostro ordinamento una disciplina dell’attività di direzione e coordinamento di società.
Un altro profilo da analizzare si riferisce alla sorte dei finanziamenti concessi dai soci alla società. Appare evidente l’esigenza di un coordinamento delle disposizioni che li riguardano con quelle inerenti alla ristrutturazione dei debiti. Sorgono infatti due problemi:
il socio-creditore estraneo all’accordo di ristrutturazione ha diritto ad ottenere il regolare pagamento del credito vantato nei confronti della società per il finanziamento effettuato. Nel caso di successivo fallimento della società, intervenuto entro l’anno dalla restituzione del finanziamento al socio, emerge il contrasto tra la previsione dell’art. 182 bis e quella dell’art. 2467 c.c.19, che impone al socio di restituire quanto percepito;
per converso, l’effetto che consegue a tutte le ipotesi di ristrutturazione dei debiti è l’irrevocabilità delle garanzie acquisite in esecuzione del piano o dell’accordo. Il diritto societario, tuttavia, dispone espressamente la postergazione nel rimborso dei crediti ai soci per i finanziamenti concessi alla società nelle condizioni di cui all’art. 2467, comma 2, c.c.. Si potrebbe verificare, quindi, l’esistenza di un credito postergato, ma garantito in capo a taluni soci-creditori della società, che pare in contrasto con l’esigenza di assicurare agli altri creditori la soddisfazione del loro credito con preferenza rispetto ai soci.
19 Art. 2467 c.c. – Finanziamenti dei soci – Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della
società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito.
Ai fini del precedente comma si intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.
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1.10. I piani di risanamento e di ristrutturazione nella legge fallimentare20
Il nuovo art. 67, terzo comma, lett. d, l. f., esclude dall’azione revocatoria fallimentare gli atti, i pagamenti e le garanzie concessi su beni del debitore, a condizione che siano stati posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata ai sensi dell’art. 2501-bis, quarto comma, c.c.21.
È importante chiarire come i piani redatti ai sensi della norma appena citata risultano caratterizzati non solo dalla circostanza di essere concepiti e attuati al di fuori di una qualsiasi procedura concorsuale e di non essere, quindi, destinati ad alcuna forma di controllo giudiziale o di omologazione, ma anche dal fatto di avere come oggetto il risanamento economico e finanziario dell’impresa. Questo si differenzia del piano redatto ai sensi dell’art. 160 l. f., per accedere alla procedura di concordato preventivo, e del piano previsto dall’art. 182 bis i quali, oltre ad essere assoggettati al vaglio dell’autorità giudiziaria, hanno come obiettivo diretto e primario il soddisfacimento dei creditori.
È necessario precisare, in tale contesto, dal punto di vista terminologico, che mentre il termine “ristrutturazione del debito” viene solitamente utilizzato per individuare tutti quegli accordi di natura contrattuale che riflettono i loro effetti sulla struttura finanziaria dell’impresa sub specie di dilazione (pactum de non petendo) e/o di riduzione dei debiti (pactum de minus petendo);; all’espressione “risanamento dell’esposizione debitoria” non può essere riconosciuto altro significato se non quello di un insieme di misure idonee a ristabilire le condizioni di equilibrio finanziario prospettico della gestione. Il secondo concetto quindi ha portata ben più ampia rispetto al primo: se la ristrutturazione agisce soltanto sul lato debitorio e può rappresentare una delle componenti, anche se non necessaria, del processo di risanamento della gestione, la seconda tipologia di interventi ricade sull’impresa nel suo complesso, non essendo concepibile alcun stabile equilibrio finanziario senza
20 Fonte: Enrico Stasi (2006), I piani di risanamento e di ristrutturazione nella legge fallimentare, Il
Fallimento
21 Art. 2501 bis comma 4: “La relazione degli esperti di cui all’art. 2501 sexies, attesta la
ragionevolezza delle indicazioni contenute nel progetto di fusione ai sensi del precedente secondo comma.”
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che siano state prima rimosse le cause economiche della crisi e ripristinato un equilibrato rapporto tra costi e ricavi.
È necessario inoltre sottolineare che il cosiddetto “piano stragiudiziale attestato” è un atto unilaterale dell’imprenditore che non deve necessariamente formare oggetto di un accordo con i creditori. Il piano potrebbe, infatti, prevedere il ricorso ad operazioni di finanza straordinaria quali: aumento del capitale sociale, versamenti da parte dei soci di somme a fondo perduto, vendita di assets non strategici, conferimenti di business correlati, integrabili a monte o a valle, da parte di altri imprenditori, ecc.
Iniziando dalle attività preliminari della formazione del piano, una volta accertato, anche attraverso indagini di mercato, che il business aziendale abbia o possa avere un futuro, occorre prima di tutto ricercare le cause dello scompenso svolgendo una minuziosa ed accurata analisi delle manifestazioni significative della crisi.
La dottrina aziendalistica considera l’analisi di bilancio22 uno strumento di fondamentale importanza per una corretta disamina dell’azienda, soprattutto quando l’analisi sia impostata per trend su periodi pluriennali e gli indicatori contabili utilizzati siano confrontati con dei bench mark23 medi di mercato o di settore. A questo proposito, è importante ricordare che l’analisi di bilancio richiede un’attività preventiva di riclassificazione dei dati contabili, mediante strutture e forme che risultino il più possibile idonee allo scopo. Per esempio, operando una riclassificazione del Conto Economico “a valore e costi della produzione” le variabili che risultano essere maggiormente interessanti da analizzare, sono: valore aggiunto, aumento delle variazioni di rimanenze di prodotti finiti e in lavorazione, margine operativo lordo, reddito operativo, perdite operative, componenti straordinari positivi di reddito, rigidità negli investimenti, margine di struttura ecc. La perdita di solidità patrimoniale è un grave fenomeno di generale deterioramento dell’equilibrio aziendale e molto spesso si identifica con la manifestazione ultima di
22 L’analisi di bilancio si pone l’obiettivo di comprendere la gestione economica, finanziaria e
patrimoniale di un’azienda tramite lo studio del bilancio di esercizio e dei dati da questo ricavabili. L’analisi può essere statica, se basata sullo studio di indici, e dinamica se basata sull’analisi di flussi.
23 L’utilizzo di bench mark risulta efficace per misurare e incrementare le performance di
un’impresa o di una Pubblica Amministrazione. L’utilizzo sistematico di metodologie e di strumenti di tale tipologia stimola ed integra i processi di apprendimento e di cambiamento e, allo stesso tempo, stimola l’efficacia e l’efficienza dei processi aziendali e il rinnovamento della cultura aziendale, assicurando inoltre un miglioramento continuo grazie al costante confronto con l’esterno.
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più profonde cause di crisi, prevalentemente economiche e gestionali, ormai degenerate.
Per quanto riguarda, infine, il versante finanziario, il principale strumento di rilevazione delle alterazioni nel sottosistema è rappresentato dal rendiconto finanziario, nel quale sono riflessi i flussi monetari in entrata e in uscita originati dai circuiti operativi della gestione, ossia:
- flussi in entrata (apporti) e in uscita (dividendi e rimborsi) generati dal circuito dei finanziamenti di capitale proprio;
- flussi in entrata (nuovi prestiti) e in uscita (rimborsi) generati dal circuito dei finanziamenti di capitale di credito;
- flussi in uscita (nuovi investimenti) e in entrata (dismissioni) generati dal circuito della produzione nel settore degli investimenti pluriennali;
- flusso generato dalla gestione corrente (produzione) come saldo netto delle entrate per ricavi e delle uscite per costi monetari.
Si ricorda, a riguardo, che il “disequilibrio finanziario” si concretizza in una disfunzione del ritmo e dell’entità dei flussi finanziari in entrata e dei flussi finanziari in uscita generati dai circuiti operativi della gestione; il saldo negativo della gestione finanziaria costituisce un sintomo di particolare valore segnaletico del peggioramento della solvibilità aziendale.
L’analisi si completa poi con l’impiego di una serie di indici tra i quali:
- ROE (Return On Equity): dato dal rapporto tra il reddito netto globale risultante dal bilancio e il patrimonio netto risultante dall’accostamento di due stati patrimoniali consecutivi, il quale indica il tasso di redditività del capitale proprio;
- ROI (Return On Investment): dato dal rapporto tra il reddito operativo e il capitale investito, indica il tasso di redditività del capitale investito nella gestione caratteristica, il quale segnala il margine disponibile per remunerare il capitale di credito;
- Indice di disponibilità: dato dal rapporto tra capitale circolante e debiti a breve termine, quando è inferiore all’unità indica un capitale circolante netto negativo;
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- Indice di liquidità primaria: dato dal rapporto tra liquidità (crediti compresi) e debiti a breve termine, quando assume un valore troppo al di sotto dell’unità costituisce un pericoloso segnale di rischio di insolvenza;
- Indice generale di copertura delle immobilizzazioni: dato dal rapporto tra il capitale permanente e immobilizzazioni nette, quando è sensibilmente inferiore all’unità indica un disequilibrio strutturale, indicativo di tensioni finanziarie per l’inadeguata copertura degli investimenti pluriennali;;
- Indice di autonomia finanziaria: dato dal rapporto tra capitale netto e passività, il valore basso di questo indica non solo scarsità di mezzi propri ma anche dipendenza dell’azienda da condizionamenti esterni da parte dei finanziatori, nonché un rischio di perdita definitiva del controllo aziendale;
- Indice di solvibilità finale: dato dal rapporto tra attività e passività, il cui basso valore segnala forti rischi di insolvenza.
Tuttavia sono altri gli strumenti che consentono una più efficace rilevazione degli stati di crisi aziendale e più precisamente quelli utilizzati solitamente per il controllo di gestione, ossia la contabilità analitica24, il budgeting25, la programmazione operativa26 e il sistema di reporting27.
Al riguardo ci si limita ad osservare che28:
l’analisi dei costi e i rendimenti sono gli strumenti che meglio di ogni altro consentono di indagare le inefficienze nei processi produttivi e nelle funzioni aziendali;
24 La contabilità analitica corrisponde alla contabilità dei ricavi e dei costi aziendali che analizza
la destinazione delle risorse dell’impresa organizzate per progetto, prodotto e per centro di responsabilità, ai fini di rilevare e confrontare dati previsionali con dati consuntivi per poter effettuare il controllo di gestione.
25 Il budget è un documento amministrativo in cui vengono stabiliti, in via preventiva, gli atti di
gestione che l’azienda intende effettuare in un periodo futuro, al fine di conseguire un determinato risultato. È il bilancio di previsione e rientra tra gli strumenti fondamentali di programmazione e controllo dell’azienda.
26 La pianificazione operativa traduce gli obiettivi tattici in obiettivi operativi (o gestionali) aventi
un orizzonte temporale di breve termine, di solito non superiore all’anno.
27 Il sistema di reporting è l’insieme organizzato dei rapporti di gestione contenenti le
informazioni relative ai risultati conseguiti. Per essere efficace richiede che tali risultati vengano confrontanti con il budget e il consuntivo dei periodi precedenti. I possibili scopi di tale sistema possono essere: strumento informativo sulle prestazioni realizzate; strumento di stimolo alla ricerca delle cause dei risultati e meccanismo di apprendimento.