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Un nuovo paradigma di protezione con gli adolescenti in difficoltà all’interno del foyer Calprino : un approccio diverso per l’accompagnamento educativo degli adolescenti

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Academic year: 2021

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gli adolescenti in difficoltà all’interno del

foyer Calprino:

Un approccio diverso per l’accompagnamento

educativo degli adolescenti

Studente/essa

Alessio Gallo

Corso di laurea Opzione

Lavoro Sociale

Educatore sociale

Progetto

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Un ringraziamento particolare va al mio responsabile pratico, Enrico Panicola, e a tutta

l’équipe del foyer Calprino, che mi ha sostenuto e accompagnato non solo nella

costruzione del mio lavoro di ricerca, ma anche nel mio percorso di crescita personale

e professionale. Un altro grande ringraziamento è destinato ai ragazzi che hanno

messo a disposizione il loro tempo e che hanno condiviso la loro storia. Ringrazio

infine, ma non per ordine di importanza, anche la mia relatrice di tesi Antonella

Colubriale, per avermi costantemente, professionalmente e serenamente

accompagnato ed assistito in questo cammino.

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Abstract

Il tema affrontato in questo lavoro di ricerca riguarda il paradigma di protezione degli adolescenti con problemi familiari. Il contesto all’interno del quale si collocano le riflessioni, che sono emerse durante la pratica professionale, è il foyer Calprino della Fondazione Amilcare. A seguito di alcuni cambiamenti messi in atto presso il foyer − che accompagna ora gli adolescenti in appartamento e non più all’interno di un foyer − si sono volute analizzare le percezioni degli adolescenti e degli educatori rispetto al nuovo paradigma di protezione. L’obiettivo del lavoro di ricerca è dunque quello di cogliere le percezioni circa la nuova modalità di accompagnamento degli educatori e degli adolescenti che hanno vissuto queste trasformazioni. La ricerca ha potuto avvalersi di strumenti di rilevazione dati come le interviste semi-strutturate che, svolte con tre educatori e con due adolescenti, hanno consentito di estrapolare dei temi per valutare i punti di forza e le criticità del nuovo paradigma di protezione. Si tratta quindi di una ricerca conoscitiva che è stata condotta con strumenti e metodi di tipo qualitativo. Per comprendere meglio alcune delle caratteristiche intrinseche della fascia d’età adolescenziale, si è ritenuto importante dedicare una parte del lavoro all’analisi della teoria inerente all’adolescenza. Inoltre, i dati ricavati dalle interviste sono stati confrontati con il pensiero di Thomas Gordon, Roland Coenen, e Zygmunt Bauman. Questi tre autori, infatti, con i loro pensieri, rappresentano i punti di riferimento su cui le diverse équipe della Fondazione Amilcare si basano per il loro agire quotidiano con gli adolescenti. Inoltre, si è svolta una contestualizzazione dei risultati in prospettiva comparativa tra la realtà del foyer e l’accompagnamento in appartamento; cogliere quali fossero gli elementi che hanno generato la necessità di riflettere criticamente sulla funzionalità del foyer è una chiave di lettura per la comprensione delle percezioni degli educatori circa l’esito di tali riflessioni, ovvero la modalità di accompagnamento in appartamento che si utilizza ora presso il foyer Calprino.

A livello professionale, questa ricerca risulta essere un ottimo supporto per avanzare delle riflessioni riguardo i punti di forza e i possibili rischi che si delineano con la modalità di accompagnamento degli adolescenti in appartamento. Negli spunti di riflessione che sono emersi, è stato importante chinarsi sul ruolo dell’educatore professionale e sulle possibili difficoltà con cui si trova confrontato. Questo lavoro offre dunque spunti riflessivi sia per la struttura stessa e per gli educatori che operano presso il foyer Calprino, sia per tutti gli educatori che si trovano confrontati con modalità di accompagnamento in appartamento. Inoltre, questo studio vuole anche essere uno stimolo, per ogni figura educativa che opera nel campo del lavoro sociale, a ridefinirsi e a ripensare in modo critico il proprio modo di operare, nella speranza di migliorare sempre più non solo il ventaglio di possibilità di presa a carico ticinese di una fascia d’età che presenta svariate sofferenze, ma anche la pratica riflessiva personale di ogni educatore.

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Indice

1 Introduzione ... 1

2 Descrizione del contesto lavorativo ... 3

2.1 La Fondazione Amilcare e i suoi recenti cambiamenti ... 3

3 Quadro teorico ... 6

3.1 L’adolescenza ... 6

3.2 Il metodo Gordon, la pedagogia non punitiva di Roland Coenen e le relazioni liquide di Bauman... 11

4 Presentazione della ricerca ... 15

4.1 Contestualizzazione ... 15

4.2 Definizione della problematica... 18

4.3 Domanda di ricerca ... 19

4.4 Metodologia ... 19

5 Analisi dei risultati ... 21

5.1 I tempi e la mole di lavoro ... 22

5.2 Gli spazi, la vicinanza educativa e l’autonomia ... 24

5.3 L’individualità nella relazione ... 27

6 Conclusioni ... 32

6.1 Quali sono le percezioni degli educatori e dei ragazzi del foyer Calprino circa il nuovo paradigma di protezione degli adolescenti con problemi familiari? ... 32

6.2 Quali i possibili rischi futuri? ... 33

6.3 Limiti della ricerca ... 34

7 Bibliografia ... 36

8 Sitografia... 38

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1 Introduzione

Questa tesi si concentra sulla presa a carico e l’accompagnamento degli adolescenti con situazioni familiari che rendono necessaria una misura di protezione e di accompagnamento educativo. Attraverso questa ricerca si intende riflettere sul concetto di protezione, e nello specifico sulle possibili modalità di presa a carico educative degli adolescenti con problemi familiari. La complessità e la specificità delle svariate sofferenze che gli adolescenti manifestano hanno portato i servizi e le strutture educative del territorio ad interrogarsi criticamente sul paradigma di protezione. Il foyer1, inteso come focolare domestico caratterizzato dalla vita comunitaria, è sempre la soluzione più funzionale per la crescita e il benessere dei ragazzi in situazioni di difficoltà? A partire da queste riflessioni, alimentate da alcuni tragici episodi del 20052, si è aperto un acceso dibattito attorno al tema della gestione dei minorenni. L’adolescenza è, per definizione, una fase della vita di transizioni e di insicurezze, caratterizzata dalla maturazione cognitiva, fisica e sociale. Nel capitolo 4.1 verrà tuttavia approfondita meglio la fase di vita inerente all’adolescenza e le rispettive caratteristiche intrinseche di tale utenza. Le difficoltà che si incontrano nell’età adolescenziale, se non accompagnate adeguatamente da una figura di riferimento responsabile (solitamente i genitori), rischiano di diventare lacune esistenziali o modalità disfunzionali di relazionarsi e di affrontare gli eventi della propria vita. I CEM (Centro Educativo Minorile) hanno la funzione di proteggere e di dare ai giovani in difficoltà la possibilità di sperimentare esperienze nuove e relazioni diverse da quelle che hanno conosciuto nel loro passato, ma ci si è resi conto, a discapito dei giovani stessi, che il centro chiuso non rappresenta sempre la miglior soluzione, o almeno non per tutti i ragazzi in difficoltà. I bisogni spesso non venivano accolti proprio perché ci si soffermava sull’ottemperanza delle regole, o sull’orario da rispettare. Le regole di vita comunitaria divennero così un ostacolo per la costruzione di una relazione funzionale e di un progetto individualizzato. E dal momento che la relazione rappresenta lo strumento fondamentale per costruire le basi di un percorso educativo insieme al ragazzo, la protezione e lo sviluppo stessi del ragazzo venivano meno.

Ci sono state dunque tutta una serie di difficoltà legate alla presa a carico degli adolescenti che sono emerse negli ultimi anni e che hanno costretto i luoghi di protezione come i CEM a

1 Confronta allegato 3: Glossario vocaboli e servizi.

2 Si fa riferimento alla morte di Leo, ragazzo venezuelano di 17 anni, trovato morto in una discarica vicino a

Bellinzona. Leo era stato collocato provvisoriamente dall’autorità civile in una pensione a Giubiasco, ed era in attesa di sapere dove avrebbe passato il suo futuro. SI scoprì a posteri che era stato un omicidio commesso da altri due minorenni per un debito non saldato per l’acquisto di cocaina. A proposito si legga Teto/D.Mar., “La pista è quella della cocaina”, La RegioneTicino, 29 aprile 2005; e (Colombo, 2006), “Quei ragazzi difficili lasciati

troppo soli”, Area, 20.01.2006.

Nello stesso anno, la cosiddetta “baby gang di Chiasso”, un gruppo formato da ragazzi tra i 13 e i 17 anni che commettevano alcuni piccoli reati, comincia a frequentare il PAO, dove avevano contatti con altri ragazzi collocati. All’interno del PAO, con la loro presenza, cominciano a verificarsi minacce nei confronti degli educatori, aggressioni e atti di vandalismo all’interno del centro, tanto da rendere la situazione così insopportabile per gli educatori da spingerli a chiuderlo momentaneamente. A proposito si legga Luber, “Crisi al centro minorenni”,

Corriere del Ticino, 5 gennaio 2006.

Questi due episodi in particolare hanno acceso un forte dibattito che ha consentito di interrogarsi sulle modalità di protezione e la loro funzionalità educativa.

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rivalutare il tipo di accompagnamento da proporre e a ridefinirsi a fronte di determinate situazioni il cui foyer classico non poteva essere considerata una soluzione valida e funzionale di accompagnamento. Se sino a qualche decennio fa per quanto riguarda la presa a carico di adolescenti con difficoltà la soluzione più ovvia, e peraltro l’unica possibile oltre alle famiglie affidatarie, era il CEM, ecco che da inizio secolo – in particolare dal 2006 con il progetto pilota ADOC3 della Fondazione Amilcare – possiamo attingere a tutta una serie di riflessioni che hanno portato ad avere un’alternativa al classico collocamento in foyer. La Fondazione Amilcare, attraverso le sue due équipes ADOC (Sopraceneri e Sottoceneri), offre l’opportunità di creare dei percorsi personalizzati e specifici ai bisogni del singolo ragazzo, attraverso un approccio relazionale svincolato dalle mura del foyer stesso. La ricerca di un appartamento sul territorio, la disponibilità dell’educatore, il confronto con il vicinato, la sfida a livello di autonomia personale (lavare, pulire, cucinare, ecc.) sono tutte dimensioni che caratterizzano non solo la presa a carico degli adolescenti presso il servizio ADOC, ma da circa un anno anche quella del foyer Calprino.

Questa nuova modalità di accompagnare i giovani, oltre che molti dubbi e perplessità, ha riscontrato anche un certo grado di efficacia e di riuscita nel rapporto che si instaura fra l’educatore e il ragazzo, che sa di poter fermamente contare sulla presenza della coppia educativa di riferimento. Tuttavia, questo tipo di cambiamento è l’esito di tutta una serie di riflessioni portate avanti con professionisti, ragazzi e servizi del territorio in molteplici anni d’esperienza lavorativa con l’adolescenza, e riuscire a trasmettere il senso che sta dietro a tale cambio di approccio rischierebbe di ridurne la sua intrinseca cospicuità. A tal proposito, Enzo Mirarchi e Fabio Sbattella affermano: “Se la presentazione lineare di un cammino complesso come quello di ADOC appare difficile, ancor più lo è il compito di sintetizzare in poche pagine l’insieme delle idee che alimentano e guidano le scelte operative. Le pratiche qui discusse, infatti, sono il frutto di anni di esperienza nel settore educativo, ma anche di confronti e di letture. Sono altresì l’esito di sperimentazioni di modelli operativi e di verifiche di ipotesi teoriche, sedimentate negli anni. Queste idee e modelli non costituiscono attualmente per ADOC un sistema teorico statico e completamente organico, quanto piuttosto un “cluster”, una costellazione di idee pertinenti, tra loro connesse. Esse rappresentano il retroterra culturale della Fondazione e dell’équipe di ADOC e si sono andate via via strutturando attraverso una grande molteplicità di letture, eventi di formazione, supervisioni, dibattiti.” (Mirarchi & Sbattella, 2019, p. 57).

È in questo quadro che emerge l’interesse di svolgere una ricerca che analizzi le necessità e le percezioni dei ragazzi e degli educatori sul cambio di paradigma; in un contesto dove il numero di giovani che sfuggono al controllo della rete sociale o quello dei giovani che vivono al di fuori della famiglia senza contatti con gli adulti o con le istituzioni subiscono un incremento, i principali attori del sistema sociale cantonale, i politici e i media si interrogano sulle possibili nuove piste da percorrere per la protezione degli adolescenti.

Si intende dunque, con questo lavoro di ricerca, riflettere sulle necessità che hanno spinto a cambiare il tipo di protezione e l’accompagnamento educativo offerto ai ragazzi collocati presso il foyer Calprino, per poter comprendere quelle che sono le percezioni dei ragazzi e degli educatori riguardo a tali trasformazioni.

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2 Descrizione del contesto lavorativo

2.1 La Fondazione Amilcare e i suoi recenti cambiamenti

I primi due capoversi della Legge per le famiglie citano: “L’intervento dello Stato nella sfera privata e familiare avviene su richiesta della famiglia, su segnalazione di terzi previo consenso del titolare dell’autorità parentale, o su decisione dell’autorità tutoria o giudiziaria” e “Lo Stato assicura le necessarie misure di protezione quando la salute, lo sviluppo fisico, psichico o sociale del minorenne è minacciato”4. Al fine di perseguire tali obiettivi e garantire questo tipo di protezione nei confronti dei minori che presentano situazioni di difficoltà, lo Stato può attingere, oltre che ad altre misure e ad altri dispositivi, ai CEM. La Fondazione Amilcare, che è un’organizzazione no profit che si occupa della promozione e della tutela dei diritti fondamentali degli adolescenti, si divide in tre foyer, un centro diurno, un servizio di consulenza familiare, due équipes ADOC e il servizio AdoMani5. Il lavoro di indagine svolto in questa tesi prende in considerazione gli adolescenti seguiti dal foyer Calprino (CEM) della Fondazione Amilcare sito a Massagno. Il tipo di casistica collocata presso il foyer, e presso la Fondazione in generale, è composta da “ragazzi e ragazze dai 16 ai 20 anni che, per svariati motivi, non possono più vivere in famiglia” (Fondazione Amilcare, 2019). Per accedere alle offerte della Fondazione, solitamente è necessario l’accompagnamento di un ente collocante quale può essere l’UAP (Ufficio dell’Aiuto e della Protezione), il SMP (Servizio Medico-Psicologico) o il SEM (Servizio Educativo Minorile), ovvero la Magistratura dei Minorenni6. Tuttavia, anche un ragazzo o una famiglia in situazione di difficoltà può prendere contatto direttamente con la Fondazione. Per quanto riguarda invece la fine del collocamento, una volta raggiunti i 20 anni, l’accompagnamento educativo può essere prolungato – per i ragazzi che lo desiderano – attraverso la post-cura.

All’interno del foyer Calprino operano sei educatori professionali e un capo équipe, e in tutto vengono seguiti nove adolescenti. La missione di fondo degli educatori del foyer è “l’accoglienza e la reintegrazione nel tessuto sociale di adolescenti che, per ragioni diverse, si trovano in un momento di difficoltà, offrendo sostegno anche alle loro famiglie” (Fondazione Amilcare, 2019). Oltre alla missione di fondo che accomuna tutti i centri, i foyer e i servizi della Fondazione Amilcare, ogni ragazzo collocato presso il foyer Calprino “viene messo al centro del suo progetto ed ogni passo viene concordato con lui e la sua famiglia in quello che viene chiamato il Programma Operativo (PO)7” (Fondazione Amilcare, 2019). In questo senso con ogni ragazzo si co-costruisce un progetto differente e personalizzato a seconda delle sue esigenze e delle sue difficoltà; questa modalità di progettazione – che prevede il dialogo e la collaborazione fra tutti gli attori coinvolti per la definizione degli obiettivi da perseguire e le modalità con cui farlo – forma le basi per una relazione di fiducia con il giovane, che si sentirà accolto e accompagnato nel suo percorso di vita in completa trasparenza. All’inizio del percorso verso l’autonomia, il ragazzo viene agganciato ad una

4 Legge per le famiglie del 15 settembre 2003. Cap. 2 - Provvedimenti di protezione. Recuperato da:

https://www3.ti.ch/CAN/RLeggi/public/raccolta-leggi/legge/numero/6.4.2.1.

5 Confronta allegato 3: Glossario vocaboli e servizi. 6 Confronta allegato 3: Glossario vocaboli e servizi. 7 Confronta allegato 5: Documenti ufficiali foyer Calprino.

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coppia educativa composta da un uomo e una donna che lo accompagnano in tutti gli aspetti della sua vita. In tal modo, se l’adolescente predilige o preferisce i consigli di un uomo per una determinata situazione, può rivolgersi direttamente a lui, mentre nel caso egli senta il bisogno di parlare con una donna, potrà riferirsi all’educatrice. All’interno della coppia di riferimento i compiti e i ruoli vengono divisi equamente, sia a livello burocratico che di accompagnamento, e l’adolescente ha dunque la possibilità di scegliere a chi riferirsi. La coppia educativa si impegna anche a mantenere un regolare contatto con il ragazzo, e si incontra settimanalmente per strutturare l’organizzazione settimanale e garantire un accompagnamento costante e funzionale al tipo di progetto co-costruito insieme al ragazzo. Inoltre, ogni martedì si svolge la riunione d’équipe, alla quale partecipano tutti i sei educatori e il capo équipe. Durante la riunione, oltre al passaggio delle informazioni, vengono affrontati i temi che si ritengono rilevanti per riflettere sulla situazione dei ragazzi collocati, e ogni educatore è libero di portare i propri dubbi e le proprie preoccupazioni sulle modalità con cui affrontare una determinata situazione con il ragazzo che segue. Questi momenti non solo permettono agli educatori di esprimere le proprie preoccupazioni – diventando così il ricettacolo delle difficoltà e delle preoccupazioni degli educatori – ma fungono anche da supervisione interna, dove gli sguardi esterni (degli educatori che non seguono direttamente il ragazzo in questione) possono rimandare ad un parere più oggettivo sulla situazione. Infatti, “le influenze dell’osservazione sono evidenti non solo all’interno del processo progettuale, […] ma anche negli atteggiamenti, comportamenti e scelte dell’educatore nei confronti del soggetto” (Maida, Molteni, & Nuzzo, 2016, p. 57). Per questo motivo, al di là dei momenti in équipe per riflettere sulla funzionalità degli interventi messi in atto, all’incirca una volta al mese viene fissato anche un incontro con il supervisore esterno. In questi incontri si sceglie di portare la situazione di un ragazzo specifico che in quel determinato momento mette particolarmente in difficoltà gli educatori. Ci si ritaglia così uno spazio privilegiato all’interno del quale riflettere – con il valore aggiunto di uno sguardo professionale esterno – sulle possibili modalità da adottare e sulle eventuali possibili soluzioni o percorsi da intraprendere.

Da gennaio a questa parte, tali momenti rappresentano anche una valvola per esprimere i propri dubbi e interrogativi sui cambiamenti che si stanno tutt’ora vivendo. La realtà del foyer Calprino ha infatti fatto emergere come per alcuni giovani un tipo di struttura tropo rigida non era più funzionale per la costruzione di un percorso educativo stabile e individualizzato con obiettivi raggiungibili. Anzi, molte volte risultava persino arduo entrare in relazione con certi ragazzi, i quali non aderivano più ad un certo tipo di vita comunitaria e lanciavano segnali di ribellione: chi scappando dal foyer o arrangiandosi da solo, e chi violandone le regole. La rigorosità delle regole ha iniziato rappresentare così una barriera della comunicazione e della relazione fra educatori e ragazzi, e l’approccio di tipo punitivo non poteva essere la soluzione: aveva portato molti giovani adolescenti ad essere espulsi dalla struttura, o ad andare a vivere altrove e sfuggire addirittura dai servizi preposti a garantire la loro protezione. Il foyer, dunque, non rappresentava più un luogo dove poter crescere serenamente, quanto piuttosto il ricettacolo di sofferenze e conflitti di diverso tipo e spesso incompatibili. “Accoglienza, calore, vicinanza, condivisione e altri principi buoni e positivi, diventano nel tempo barriere relazionali che stridevano con la storia, i traumi e le esperienze diversificate che vivevano i ragazzi che incontravamo” (Mirarchi & Sbattella, 2019, pp. 40-41).

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Ad inizio 2017 circa, si inizia così a delineare una modalità diversa per accompagnare i giovani, ipotizzando la possibilità di offrire loro un luogo di vita personale come l’appartamento. “Invece di avere una stanza in foyer, i ragazzi avrebbero avuto un appartamento all’esterno ma avrebbero usufruito di tutti gli appoggi e aiuti come quelli garantiti all’interno di una struttura residenziale classica” (Mirarchi & Sbattella, 2019, p. 69). Dando la possibilità di avere un luogo di vita proprio, personale e intimo come l’appartamento, si cerca dunque di stimolare il ragazzo ad interagire nei diversi contesti di vita, laddove è possibile e auspicabile, in modo che possa trovare il suo posto e la sua identità all’interno della società. L’appartamento, infatti, rappresenta proprio quel posto; uno di quei “luoghi attorno ai quali strutturare il significato delle proprie esperienze vitali” (Mirarchi & Sbattella, 2019, p. 64). La missione principale che il foyer persegue è infatti l’autonomia del ragazzo, e a tal proposito gli educatori del foyer si impegnano anche a costruire o a ricostruire i sei ambiti di connessione del tessuto sociale8.

Concludendo, si può affermare che con questo nuovo approccio educativo – per cui gli educatori del foyer si trovano ad agire con modalità molto simili all’équipe di ADOC – vengono perseguite tutta una serie di finalità educative e sociali come l’integrazione lavorativa (con il progetto AdoMani e la ricerca di apprendistati o stage) e sociale, la protezione di alcune fasce d’età a rischio, l’educazione sociale in contesti protetti, e la prevenzione del disagio giovanile. La Fondazione si pone dunque come obiettivo educativo quello della responsabilizzazione dell’adolescente, favorendo l’autonomia personale dei ragazzi in difficoltà. Per raggiungere tali finalità la Fondazione mette anche a disposizione un budget da adibire a dei corsi di formazione che consentono agli educatori di rimanere sempre aggiornati e di continuare a di interrogarsi sul significato del proprio agire. Qui di seguito viene citata una parte delle linee direttive della Fondazione Amilcare che riassume bene l’identità professionale che la contraddistingue:

“La Fondazione Amilcare svolge un’attività di prevenzione, di protezione e di educazione di quella fascia di minorenni che, per motivi diversi, si trovano in un momento di difficoltà nel loro sviluppo e che talvolta non possono più vivere nel loro nucleo famigliare di appartenenza. La finalità della Fondazione, definita nei suoi statuti del 2010, è di affiancare e accompagnare i ragazzi nello sviluppo della propria personalità, al riconoscimento ed alla scoperta dell’unicità del proprio essere e dei propri valori, alla capacità di vivere e convivere nella realtà sociale della nostra epoca. La Fondazione vuole offrire il proprio sostegno anche ai ragazzi che, conclusa la permanenza nei Foyers, stabiliscono con la Direzione che la propria dimissione si concluderà dopo un periodo di post-cura. Dando seguito al suo mandato, negli anni la Fondazione ha messo in opera nuove attività restando all’ascolto dei nuovi bisogni dei ragazzi

e delle loro famiglie” (Fondazione Amilcare, 2019).

È altrettanto indispensabile riportare in allegato alcuni riferimenti normativi da tenere in considerazione e a cui la Fondazione Amilcare si attiene, ovvero quelli inerenti ai diritti del fanciullo, come l’articolo 19 e l’articolo 20 della Prima Parte della Convenzione sui diritti del fanciullo (ratificata dalla Svizzera con strumento depositato il 24 febbraio 1997)9. Questi due

8 Confronta allegato 5: Documenti ufficiali foyer Calprino. 9 Confronta allegato 1: Convenzione sui diritti del fanciullo.

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articoli ritraggono una cornice di presa a carico del fanciullo sulla quale la Fondazione Amilcare delinea le sue fondamenta, e ci permettono di avere un quadro legale di quanto si cerca di fare presso la Fondazione, ovvero, detto in breve, garantire agli adolescenti il rispetto delle loro specificità, origine, età, desideri e bisogni per favorire quelli che sono i diritti fondamentali dei fanciulli. Gli educatori della Fondazione, inoltre, per raggiungere gli obiettivi educativi, fanno riferimento ad alcuni testi ritenuti alla base della pratica sociale. Tra questi troviamo la Convenzione internazionale Onu sui diritti dell’infanzia, le definizioni dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) del maltrattamento e tutte le leggi e i regolamenti di applicazione che ne conseguono, e gli standard di qualità europei del Quality4Children10, volti a prevenire i maltrattamenti nei dispositivi di protezione dei minorenni e promuovere un’accoglienza rispettosa dei diritti del fanciullo. Questi testi, insieme ai concetti teorici di Roland Coenen, Thomas Gordon e Zygmunt Bauman, rappresentano dunque validi strumenti su cui gli educatori basano il loro agire e con cui possono riflettere costantemente e portare avanti progetti educativi emancipativi ed inclusivi nella pratica quotidiana. Riguardo agli autori di riferimento, si è pensato necessario dedicare un capitolo (3.2) per approfondirli meglio.

3 Quadro teorico

3.1 L’adolescenza

Prima di osservare dimensioni diverse che caratterizzano l’età adolescenziale, è interessante riferirsi all’etimologia del termine “adolescenza”. Adolescenza, dal latino adolescere, che significa crescere. Il termine crescere suggerisce già di per sé un dinamismo e una trasformazione, e si può ritenere che “quindi quella dell’adolescenza è innanzitutto una condizione fisiologica dell’essere umano che designa il periodo (pubertà) in cui avvengono i cambiamenti (somatici, psichici e sociali) che consentono a un individuo di diventare adulto” (Baudino, 2008, p. 19). Nel percorso di crescita verso la costruzione della propria identità, l’adolescente si sperimenta nel mondo esterno parallelamente al processo di separazione-individuazione dalle figure genitoriali, e questo può essere fonte di malessere e difficoltà. Il contesto dei pari assume un’importanza inderogabile per l’adolescente che ritrova valori altri e figure di riferimento diverse da quelle genitoriali, favorendo così il processo di separazione-individuazione. L’estremo bisogno di identificarsi con i pari, e dall’altra parte quello di differenziarsi dalle figure genitoriali, portano a condotte a volte provocatorie o trasgressive (cultura della banda, mode, personalizzazione del proprio corpo). Il corpo, per esempio, diventa uno strumento piuttosto caratteristico sia per l’espressione delle profonde difficoltà ed esternalizzazione dei sentimenti di profondo disagio, sia per quello che riguarda l’istituire un senso di appartenenza con un gruppo. Nei prossimi tre punti si tratteranno in maniera separata e un po’ più approfondita queste dimensioni che caratterizzano la fase di vita dell’adolescenza:

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1. Processo di separazione/individuazione dalle figure genitoriali

Le figure genitoriali, nel travagliato percorso di sviluppo e di crescita dell’adolescente, ricoprono un ruolo fondamentale che può facilitare o compromettere i bisogni di individuazione, separazione ed esplorazione del mondo esterno. Il processo di separazione-individuazione – che in realtà interessa il neonato – si riferisce a quello sviluppo psicologico attraverso cui il neonato si riconosce come entità psicologica separata dalla madre. Utilizzando questo termine si intende sottolineare come in adolescenza – fase della vita dello sviluppo psicologico dell’Io – questo processo venga riprodotto in forme e modalità differenti. Il processo adolescenziale è inteso infatti come una seconda fase del processo di separazione-individuazione, dove l’adolescente deve distaccarsi dai propri oggetti internalizzati per la ricerca di sostituti esterni alle relazioni primarie. Infatti, “tali relazioni influenzano le modalità con cui i giovani negoziano i principali compiti dell’adolescenza, la misura in cui si trovano coinvolti nei problemi comportamentali generalmente associati a questo periodo e l’abilità di stabilire relazioni intime significative e durature” (Zani, 2011, p. 189). Se precedentemente i genitori gli apparivano ideali e indispensabili per la posizione centrale che assumevano nella sua vita, ora – di fronte al bisogno emergente di risolvere i conflitti interni relativi ai legami oggettuali creati nella prima infanzia – i genitori vengono considerati e vissuti come inadeguati. Lo sviluppo delle risorse dell’Io dovrebbe permettere infatti all’adolescente di riesaminare quelli che sono i residui dei traumi e dei conflitti relativi agli oggetti primari e di esternalizzarli, in modo che le antiche rappresentazioni genitoriali idealizzate vengano riconsiderate e perdano parte del loro potere coercitivo (Blos, The Second Individuation Process of Adolescence: Psychoanalytic Study of the Child, 1967). In adolescenza il ragazzo è così portato a sperimentarsi con gli altri e con sé stesso in situazioni nuove che gli permettono di sviluppare un maggiore senso di indipendenza, distaccandosi sempre più dalle relazioni oggettuali primarie. Lo psicologo John Bowlby, nei suoi studi sulla teoria dell’attaccamento, osserva come possano crearsi diversi tipi di attaccamento fra madre e bambino. Il tipo di attaccamento che il bambino manifesta nei confronti della madre sarebbe la chiave per la sicurezza del futuro adolescente, che riuscirà così a distaccarsi più facilmente per sperimentarsi all'esterno e dimostrerà più curiosità che disagio nei confronti dell’estraneo (Bowlby, 1972). “In altre parole, i bambini che sviluppano questo attaccamento hanno fiducia nella loro madre, sanno che lei li ama e che non li abbandona: sulla base di tale relazione si sentono in grado i allontanarsi da lei per fare nuove esperienze” (Graziani & Palmonari, 2014, pp. 104-105). Si può ritenere che sia necessario che i genitori accettino questa contraddizione per cui malgrado vengano vissuti in maniera negativa, rimangono sempre e comunque dei punti di riferimento. Non accettarla rischierebbe di fare cadere i genitori nell’errore di replicare con violenza o con ricatti affettivi: questo potrebbe portare nell’adolescente un senso di abbandono in grado di generare una forte sfiducia in sé stesso (Petrone & Troiano, 2001, pp. 55-78). Il ragazzo vive infatti un disimpegno dai genitori, e la contraddizione risiede nel fatto che vengono vissuti ora come una presenza piuttosto soffocante rispetto a quello che è la creazione di un’identità propria, malgrado di fatto necessitano ugualmente di essi in quanto punti di riferimento; si desiderano e si reclamano i privilegi dell’età adulta, ma si tenta anche di sfuggire alle responsabilità connesse a tale status; l’adolescente non sopporta l’interessamento dei genitori, percepiti come invadenti e intrusivi, ma poi si lamenta amaramente perché nessuno sembra prendersi cura di lui/lei” (Zani, 2011, p. 192). L’identità in questa fase di vita, infatti, non è più definita dal riconoscimento dei genitori,

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ed essi vengono disinvestiti di centralità, sia in quanto oggetti d’autorità che in quanto oggetti d’amore. Questo bisogno di riconoscersi come essere separato dalle figure genitoriali porta l’adolescente a scoprire il mondo esterno e a sostituire i precedenti oggetti d’amore con altri (coetanei o anche altri adulti). L’adolescente ha infatti bisogno di svincolarsi e de-idealizzare gli ideali infantili in modo da identificarsi ora con dei genitori sessualmente attivi (Jacobson, 1961). L’adolescente ha più potere di scelta, di pensiero, di sentimenti di azione, di libertà istintuale. È inoltre maggiormente consapevole della realtà che lo circonda e dei bisogni del suo Es e del suo Super-Io non più così arcaici.

2.

Costruzione dell’identità

Per quanto riguarda la costruzione dell’identità nella età adolescenziale, diversi autori si sono espressi a riguardo, ponendo questa fase della vita entro un quadro di crescita e di sviluppo caratterizzato da diverse complicazioni di carattere personale, relazionale e sociale. Eric Erickson, che è uno degli autori che più si è occupato dello sviluppo della persona e della sua identità, divide la crescita dell’essere umano in stadi di sviluppo definiti stadi psico-sociali. La sua attenzione viene posta sull’interazione fra individuo e ambiente, e ritiene che attraverso le tappe evolutive l’essere umano è confrontato lungo l’arco della sua vita con nuovi stimoli sia esterni che interni. L’ambiente, infatti, ci mette di fronte a nuove sfide di crescita, ma siamo noi con le nostre risorse interne che affrontiamo questi stadi di sviluppo in modo più o meno funzionale. Per questo si parla di interazione, ed è qui che assume notevole importanza la messa in relazione dell’ambiente con l’individuo. La chiave della teoria degli stadi di sviluppo sta nell’interpretare l’interazione dinamica fra quella che è la crescita, e quelli che sono gli stimoli ambientali e le risorse interne che noi disponiamo per farvi fronte. “In particolare, l’autore concettualizza il ciclo di vita come una serie di periodi critici dello sviluppo che implicano un conflitto bipolare da affrontare e risolvere prima di andare avanti” (Zani, 2011, pp. 35-36). L’obiettivo fondamentale delle persone, affrontando queste sfide evolutive, è dunque quello di formare un’identità propria, che sia in armonia con l’ambiente. L’identità, seppur sia ovviamente variabile nel tempo, presuppone l’esigenza di una coerenza dell’Io tale da permettergli un rapporto valido e creativo con l’ambiente sociale. Ogni tappa evolutiva è infatti caratterizzata da particolari modalità sociali agite, e ognuna di queste sfide si contrappone in due antinomie. Detto in altre parole, le fasi dello sviluppo della personalità si configurano in due alternative fondamentali specifiche per ogni tappa evolutiva. Il superamento di questi stadi avrebbe un importante rilevanza nel prosieguo della vita dell’individuo, che si troverebbe, nel caso non superata in modo funzionale una tappa evolutiva, ad avere difficoltà e lacune nell’affrontare la tappa successiva. Quello che interessa per questo lavoro di ricerca riguarda il quinto stadio di sviluppo, che coincide con l’età adolescenziale, ed è caratterizzato dalle due antinomie Identità e Confusione dei ruoli. Il quinto stadio va all’incirca dai 13 ai 18 anni, ed è fondamentalmente la sfida evolutiva che si riscontra nella pubertà e nell’adolescenza in tutte le sue sfaccettature. È proprio in questo stadio che l’individuo comincia a formare delle basi psichiche, fisiche e sociali solide per la costruzione della propria identità, ma nel travagliato percorso verso la costruzione dell’identità può incontrare delle contraddizioni per esempio nel processo di separazione-individuazione. Infatti, se i tentativi di costruzione dell’identità diventano un’esasperata ricerca di modelli in cui identificarsi, il rischio

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è quello di finire per identificarsi in diversi ruoli sociali in una sorta di “turismo psicologico dell’Io” che crea una confusione dei ruoli. Di fatto, “la formazione dell’identità per l’adolescente non consiste soltanto nell’incorporare un Io sicuro, evoluto come un individuo autonomo, capace di iniziare e completare compiti soddisfacenti modellati da altri significativi, ma richiede anche che il soggetto trascenda tali identificazioni per produrre un Io sensibile ai propri bisogni e talenti” (Zani, 2011, p. 71). L’individuo può così trovare in tali identificazioni il proprio spazio e il proprio ruolo nel contesto sociale in cui vive.

L’adolescente si trova così a vivere questa sfida evolutiva, e se da una parte vi è il fatto che gli strumenti di cui dispone non sono ancora del tutto adeguati, dall’altra parte la società riveste un ruolo molto importante in questo percorso: essa può facilitare lo sviluppo e l’integrazione delle diverse tappe dello sviluppo. In caso contrario, possono presentarsi aspetti ribelli, e addirittura meccanismi fortemente distruttivi e violenti. Si può dunque affermare che l’adolescente, nel suo percorso di crescita e di sviluppo personale, necessita di superare delle sfide evolutive che gli permettano di investire su oggetti diversi dai genitori, costruendo un’identità propria scissa dagli oggetti primari (con cui dovrebbe tuttavia aver creato un solido attaccamento). “In questa fase, in modo sempre più strutturato, deve nascere la capacità di differenziazione tra sé e gli altri, ricordando però quanto sia importante nella costruzione della propria identità e del proprio Sé l’aver assunto un attaccamento profondo e sicuro con i propri genitori” (Petrone & Troiano, 2001, p. 17).

Si è ritenuto importante dedicare un capitolo sulla costruzione dell’identità – e in particolare sulle sfide evolutive che ha teorizzato Erickson con cui l’adolescente è confrontato – in quanto il lavoro di ricerca prende in considerazione dei giovani le cui sfide evolutive risultano particolarmente impegnative da un punto di vista emotivo e psicologico. Gli adolescenti che sono stati intervistati sono infatti segnati da storie di vita caratterizzate da grandi difficoltà come lacune nei rapporti oggettuali che ostacolano il sereno processo di sviluppo dell’Io o come carenze nei modelli di riferimento sani e stabili. Ragazzi che sviluppano modelli di funzionamento non sempre adeguati, reduci da genitori che – volenti o nolenti – non hanno permesso loro di superare le tappe di sviluppo in modo funzionale. Per alcuni ragazzi i genitori risultano anch’essi in difficoltà, per uso di sostanze o per una vita caratterizzata dalla fuga da paesi in guerra, per altri i genitori non sono mai stati presenti. Si parla dunque di ragazzi le cui sfide evolutive per la costruzione di un’identità stabile risultano essere sfide che affrontano con una struttura molto fragile, ed è proprio per questo motivo che necessitano di un accompagnamento educativo.

3. Relazione con i pari e l’isolamento

Nell’età adolescenziale, si presentano tutta una serie di sfide con l’ambiente esterno che l’Io deve gestire e superare, e la tendenza all’isolamento può risultare una modalità di difesa quando gli stimoli della realtà esterna diventano troppi o vengono avvertiti come insopportabili. Di fatto, l’ambiente familiare è un ambiente dove l’adolescente deve confrontarsi, e se da una parte può vivere l’allontanamento come una forma di perdita o di abbandono, dall’altra parte risulta insopportabile per lui stare troppo vicino alle figure genitoriali. Come si diceva nel

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capitolo inerente al processo di separazione-individuazione, non è facile questo periodo, in cui i genitori risultano la forma autoritaria dalla quale ci si vuole distaccare, ma rimangono ugualmente uno dei pochi punti di riferimenti sicuri e stabili su cui fare affidamento. Il rapporto fra genitori e figli adolescenti può essere definito e analizzato come una sorta di lungo processo di negoziazione fra controllo e libertà, il sostegno o l’autonomia. In questo articolato processo il contesto dei pari si rivela per l’adolescente una possibilità per sperimentarsi e osservare il proprio comportamento e le proprie scelte al di fuori del controllo dei genitori. Il gruppo fu teorizzato infatti da Sherif come un entità con le seguenti due proprietà minime ed essenziali: una struttura e un organizzazione dei ruoli dei membri, differenziata per funzione e per potere o posizione sociale; una serie di norme e valori che regolano il comportamento dei membri almeno nei settori di attività in cui il gruppo è più di frequente impegnato (Sherif, 1972). L’adolescente vive dunque il bisogno di sperimentarsi in contesti in cui regole e norme non siano quelle dettate dall’autorità genitoriale, e i gruppi dei pari risultano un apprendistato al mondo degli adulti. Infatti “i pari rappresentano un riferimento normativo e comparativo importante e offrono all’adolescente molteplici opportunità per conoscere le strategie che gli altri usano per affrontare problemi simili a quelli in cui il soggetto si sente impegnato in prima persona e per osservare quali effetti sono in grado di produrre” (Palmonari, Psicologia dell'adolescenza, 2011, p. 211).

Se da una parte abbiamo osservato quanto sia importante il contesto dei pari, è doveroso mettere l’accento anche sul possibile isolamento relazionale che l’adolescente agisce quando gli stimoli esterni, l’angoscia e il senso di abbandono sono vissuti come eccessivi e insopportabili. L’isolamento dai genitori, per esempio nella propria stanza, rappresenta una chiusura, un ritiro nel proprio mondo psichico ma anche fisico, agito un po’ per l’incapacità di esprimere verbalmente ciò che prova, un po’ per il sentimento di sentirsi incompreso o abbandonato. Ma “il paradosso di un tale atteggiamento difensivo, è che il comportamento di allontanamento sembra affermare una volontà di rottura relazionale, mentre, tentando di proteggersi in questo modo, il soggetto spera segretamente di venire riconosciuto e aiutato nella sua angoscia” (Pommereau, 1998, p. 57).

La maggior parte dei ragazzi presi in considerazione in questa ricerca ha vissuto delle lacune relazionali tali per cui i loro funzionamenti di socializzazione con il contesto dei pari può risultare disfunzionale. Il contesto dei pari, che si potrebbe definire un apprendistato prima di entrare nella società, consente all’adolescente di svolgere uno sviluppo personale nella solidità e maturità della propria personalità, tanto che “le relazioni con i coetanei appartenenti allo stesso gruppo contribuiscono alla comprensione di sé e della realtà circostante, forniscono aiuto e sostegno reciproco, soprattutto nei momenti difficili, permettono di valutare sé stessi le proprie abilità e opinioni attraverso il confronto con altri percepiti come simili a sé, danno la possibilità di stabilire rapporti di vicinanza interpersonali che, in alcuni casi, possono sfociare in relazioni intime tra i componenti del gruppo” (Graziani & Palmonari, 2014, p. 117). In altre parole, il confronto con il gruppo di coetanei è necessario anche per quello che riguarda la costruzione di una propria identità. Si può pertanto concludere affermando che il contesto dei pari rappresenta uno strumento di crescita fondamentale per l’adolescente.

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3.2 Il metodo Gordon, la pedagogia non punitiva di Roland Coenen e le

relazioni liquide di Bauman

Gli educatori dei foyer e dei servizi della Fondazione Amilcare operano secondo alcuni concetti teorici e pratici quali strumenti operativi quotidiani. Tali concetti teorici verranno esplicati nei prossimi tre punti in modo da concepirne la praticità, il senso, e i potenziali miglioramenti che possono apportare nell’intervento educativo.

1. Il metodo Gordon

Thomas Gordon è stato uno dei più celebri psicologi americani del XX secolo. Ciò che ha osservato e teorizzato consiste fondamentalmente in alcuni accorgimenti relazionali e comunicativi da praticare da una parte per costruire e mantenere delle relazioni efficaci, e dall’altra per evitare ed eventualmente risolvere i conflitti senza l’uso di tecniche coercitive o autoritarie. Thomas Gordon teorizzò infatti, oltre alla tecnica del messaggio io, la tecnica dell’ascolto attivo. Questa tecnica – che può essere utilizzata da genitori, educatori, dirigenti, venditori, e chiunque altro – consiste in quattro step che permettono di comunicare all’interlocutore il proprio ascolto attivo (Gordon, Insegnanti efficaci, 1974):

• L’ascolto passivo: rappresenta una forma di comunicazione non verbale che comunica che si sta attentamente ascoltando e che fa sentire realmente accettato l’interlocutore. In questa prima fase è importante restare in silenzio; se si parla come farà l’interlocutore ad esprimere ciò che sente?

• Cenni di attenzione: attraverso i cenni di attenzione si comunica all’interlocutore il proprio interesse e impegno ad ascoltare e a voler capire ciò che sta dicendo, in una dimensione di curiosità che fa sentire all’interlocutore che ciò che sta dicendo ci interessa realmente. Cenni di attenzione possono essere intercalari come “certo”, “capisco”, “ti ascolto, continua”, ma possono anche essere forme non verbali come cenni della testa, inarcamento delle sopracciglia o il focalizzare lo sguardo sull’interlocutore.

• Espressioni facilitanti: le espressioni facilitanti agevolano all’interlocutore la comunicazione, e possono essere “ti andrebbe di dirmi qualcosa di più riguardo a questa difficoltà?”, o “vedo che provi una forte emozione per questa cosa!”, o “è molto interessante quello che dici, continua!”, oppure “che ne diresti di parlarne di questo?”.

• La necessità dell’ascolto attivo: L’ascolto attivo consiste nel proporre una riformulazione del messaggio che l’interlocutore ha portato. Riproporre il contenuto del messaggio condiviso dall’interlocutore con parole diverse consente all’interlocutore di cogliere l’interesse e l’intenzione di capire da parte dell’altra persona, e dall’altra parte consente anche a chi ascolta di essere sicuro di aver realmente capito cosa volesse esprimere l’interlocutore.

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La tecnica della riformulazione viene analizzata anche da Rosenberg, ricordando che il punto fondamentale della riformulazione non risiede tanto nelle parole stesse che si utilizzano, quanto piuttosto nel comprendere con precisione il significato e il senso dei sentimenti e dei bisogni che l’interlocutore ci sta esprimendo (Rosenberg, 2009).

Utilizzando la tecnica dell’ascolto attivo, è sorprendente come possano emergere difficoltà che mai si era mai immaginato potesse vivere il ragazzo che si segue, e si vive un gran sollievo quando finalmente, grazie a questa tecnica, il ragazzo comincia a sfogarsi liberamente, anche perché la relazione che si ha con il ragazzo cambia letteralmente, assumendo caratteristiche di intimità e fiducia molto più intense rispetto a prima. Il ragazzo seguito dagli educatori del foyer Calprino che adoperano questa tecnica dell’ascolto attivo, si sente sicuro di parlare con gli educatori perché ascoltato, capito e non giudicato.

Infatti, nel metodo Gordon si cerca di mettere in pratica una considerazione positiva incondizionata, che indica una globale accettazione della persona, pur nel caso i valori siano contrastanti e gli atteggiamenti diversi. Con questo tipo di considerazione l’interlocutore non avrà il timore di esprimersi poiché non la si giudicherà, ma si metterà in discussione eventualmente il comportamento.

Un’altra caratteristica comunicativa molto importante del metodo Gordon sono i messaggi in prima persona. La capacità di appropriarsi dei messaggi in prima persona nella comunicazione è importantissima. Riconoscere l’emergenza di un sentimento, un’emozione o un bisogno può facilmente portare a riferire il messaggio mettendo l’interlocutore come soggetto della frase (per esempio: “tu mi fai arrabbiare”). Utilizzando invece la prima persona (per esempio: “la tua affermazione mi offende e mi fa sentire male”), l’altra persona non si sentirà giudicata per un atteggiamento, ma scoprirà come si è sentita l’altra persona di fronte a tale comportamento. Infatti, “esprimendo sentimenti e bisogni in quest’ultimo modo, è chiaro che colui che parla si assume le responsabilità dei propri sentimenti, invece di far ricadere la colpa sugli altri” (Rosenberg, 2009, p. 40).

Secondo Gordon, inoltre, esistono delle barriere comunicative che ostacolano la comunicazione trasparente e funzionale. Tali barriere sono 12, e consistono in messaggi che fanno sentire all’altra persona o non accettata, o impaurita di fronte al potere dell’altro, o risentiti, non riconosciuti nei loro bisogni e sentimenti. Le barriere comunicative sono semplici azioni come: ordinare, minacciare, rimproverare, consigliare, giudicare, stereotipare, interpretare, consolare.

Abbiamo visto come le tecniche teorizzate da Thomas Gordon siano delle funzionali modalità comunicative e relazionali per costruire dei rapporti sani e trasparenti. Gli educatori della Fondazione Amilcare si impegnano infatti a praticare questi accorgimenti nel loro operare, utilizzando la tecnica dell’ascolto attivo, dei messaggi in prima persona e della considerazione positiva incondizionata come strumenti educativi con i ragazzi che si trovano in un momento di difficoltà. Nello specifico, si impegnano a prestare ascolto e attenzione al ragazzo, ad evitare le barriere comunicative, e a fornire un feedback per verificare di aver compreso il messaggio e lo stato d’animo del ragazzo. Tant’è vero che “l’ascolto attivo consiste esattamente in questo: esso aiuta a dissipare le inquietudini e la sofferenza che a volte assalgono gli esseri umani. Possiamo pertanto concludere che questo tipo di ascolto è la prevenzione primaria per molti,

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se non per la maggior parte, dei problemi emozionali che incombono su ogni relazione. E, oltretutto, è un rimedio gratuito” (Gordon , Relazioni efficaci, 2005, p. 41)

2. La pedagogia non punitiva secondo Roland Coenen:

Roland Coenen è stato un educatore, psicoterapeuta e ricercatore in scienze umane del XX secolo. È considerato importantissimo il suo apporto alla pedagogia per quanto riguarda l’approccio non punitivo nelle istituzioni e per le diverse ricerche che ha svolto attorno ai problemi legati alla violenza. Coenen ritiene che in un lavoro come quello educativo, dove si ha a che fare con le persone e con dei sistemi complessi di relazioni, una delle finalità da perseguire è che tali sistemi di persone siano compatibili fra loro (Coenen, 2014). È dunque necessario svolgere un lavoro che non solo tenga in considerazione il sistema famiglia, ma che lo ascolti sin dal primo momento. È infatti impossibile migliorare la situazione di difficoltà dell’adolescente se si scinde dalla situazione familiare in cui esso è inserito. L’autore teorizzò sei principali tappe per costruire il cosiddetto “sistema compatibile”, e qui di seguito ne verranno citate solo quelle ritenute più rilevanti per il tema trattato. Queste tappe garantirebbero agli educatori, agli adolescenti e alla famiglia di collaborare funzionalmente per il miglioramento della situazione di difficoltà per cui si è chiesto un intervento pedagogico-educativo11:

• Creazione di un lavoro familiare che mira a comprendere e ripristinare le relazioni.

• Approccio al sintomo di chiusura: spesso la situazione di difficoltà che vive l’adolescente e la rispettiva famiglia non è facile da esprimere, e chiedere aiuto è spesso vissuto come segno di debolezza quando il ragazzo, proprio per ’'età in cui vive, vorrebbe sentirsi autonomo. È per questo motivo che bisogna innanzitutto lavorare sull’immagine spesso distorta o la rappresentazione che le famiglie hanno degli educatori e del domandare aiuto. Coenen afferma infatti che “est donc précieux d’aborder en tout premier lieu les émotions négatives qui vivent ces parents à l’encontre des images symboliques que nous portons ; d’emblée. Les sentiments d’échec, de colère, d’humiliation, d’infériorité, sont abordées et travaillés” (Coenen, 2014). Questo approccio al sintomo di chiusura permette di creare un legame trasparente e privo di pregiudizi l’uno nei confronti dell’altro, ed è la base per un’evoluzione globale della situazione, poiché anche la famiglia viene ascoltata in quanto ugualmente in difficoltà.

• Il principio del non abbandono: l’approccio del non abbandono è una modalità di garantire all’adolescente e alla famiglia quella sicurezza relazionale in cui spesso hanno perso la fiducia. Ristabilire una relazione consapevoli del non abbandono è un modo per trasmettere alla famiglia e all’adolescente che per noi è importante riuscire ad essere di aiuto per la situazione che stanno passando, qualsiasi essa sia. Nella pedagogia non punitiva, infatti il non abbandono rappresenta una svolta relazionale, in quanto le famiglie e i ragazzi che hanno

11 Queste tappe sono quelle su cui si chinano gli educatori dell’istituzione Tamaris a Bruxelles. Queste tappe sono

le fondamenta pedagogiche sulle quali si basa l’approccio sistemico del modello socioterapeutico dell’istituzione Tamaris. Per ulteriori informazioni consultare il sito: https://tamaris-tamaya.be/.

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bisogno di aiuto hanno vissuto relazioni caratterizzate spesso dall’abbandono dove un conflitto significa spesso irrimediabile rottura relazionale. Garantire loro quella sicurezza relazionale e quell’impegno a lavorare insieme e ad essere trasparenti trasmette alla famiglia e all’adolescente l’impegno e arreca un gran beneficio per la relazione e per il percorso da svolgere insieme. Il non abbandono consente di dare un significato alle esperienze e agli errori che si commettono, attraverso il confronto e il dialogo che fa capo all’approccio triangolare, dunque fra famiglia, educatore e direttore. Le regole ci sono, ma si predilige la relazione e la comprensione del perché si è agito in un certo modo, piuttosto che infliggere una punizione che rischia di rappresentare solo un ulteriore abbandono per l’adolescente e la famiglia. • Impostare un lavoro individuale con l’adolescente: attraverso la comprensione della storia di

vita del ragazzo, il non giudizio e l’ascolto si mette l’adolescente al centro del progetto, in quanto protagonista della sua vita.

• Lavorare costantemente con l’équipe.

Gli educatori del foyer Calprino, come gli educatori delle altre équipe della Fondazione, pongono alla base dei loro interventi educativi concetti come quello del non abbandono, del lavoro in équipe, della creazione di un lavoro familiare e di mettere il giovane al centro, in un operare quotidiano che trova in questa teoria l’essenza del lavoro educativo con gli adolescenti con problemi familiari. Questi punti di riferimento rappresentano dei principi operativi nei quali ci si riconosce in quanto educatori che mirano al benessere dell’adolescente in difficoltà, e gli educatori si impegnano affinché l’intervento educativo sia rispettoso di questi principi e concetti.12

3. Bauman e la società liquida

Zygmunt Bauman è stato un sociologo filosofo e accademico polacco che ha dato un grandissimo contributo con le riflessioni sulla società dei consumi e delle rispettive conseguenze sulle vite delle persone che crescono in questo tipo di società. Ha teorizzato il concetto di società liquida, per descrivere le intrinseche caratteristiche della postmodernità. Secondo l’autore, ciò che attanaglierebbe la società moderna è il consumismo, la globalizzazione e lo smantellamento di tutta una serie di sicurezze che venendo meno porterebbero ad una forte esclusione sociale delle persone. Queste condizioni porterebbero le persone a vivere delle vite liquide, dove per via del consumo tutto diventa merce, dove anche le relazioni fra le persone, le emozioni e l’identità di ognuno diventano precari, riducendo così gli individui ad una condizione di costante insicurezza, L’autore afferma che ogni cosa è dettata dai consumi, dalle mode e dalle tendenze, e che se oggi ci si riconosce in un tipo di persona, domani si potrebbero cambiare le vesti in virtù di nuove scoperte più interessanti di ieri, più immediate e più appaganti. Bauman ritiene infatti che viviamo in una società effimera, dove il piacere vuole essere sempre più immediato e anche le relazioni diventano strumentali, quasi strumenti usa e getta per raggiungere il massimo appagamento personale. Secondo

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Bauman, infatti, “Quando la destinazione cambia di continuo e, se non lo fa, perde di fascino più rapidamente di quanto le gambe camminino, le auto viaggino o gli aerei volino, restare in movimento conta più della destinazione. Non trasformare in abitudine niente di quanto si fa in questo momento, non farsi vincolare dall’eredità del proprio passato, indossare l’identità attuale come se fosse una maglietta da cambiare tempestivamente quando passa di moda, disprezzare le lezioni del passato e svalutare le competenze tradizionali senza alcuna inibizione o rimpianto: tutto ciò sta divenendo il tratto fondamentale della strategia di vita e l’attributo essenziale della razionalità nella nostra attuale modernità liquida” (Bauman, 2009, pp. 84-85). Quelle di Bauman sono parole forti, che esprimono una critica ai modelli di consumo odierni, che ci privano di quella autenticità nelle relazioni e ci impediscono di mostrarci infelici; “essa è anche l’unica società che rinuncia a giustificare qualsiasi tipo di infelicità, si rifiuta di tollerarla e la presenta come un abominio per il quale si invocano la punizione dei colpevoli e il risarcimento delle vittime” (Bauman, 2009, p. 47). Secondo Bauman, la nostra società si contraddistingue per l’incapacità di accogliere le sofferenze altrui, e delineandosi come una società che non lascia punti di riferimento stabili – in quanto tutto risulta effimero e momentaneo, intercambiabile in virtù dell’illusione della prossima dose di effimero appagamento – l’unica soluzione per gli individui è l’apparire a tutti i costi di fronte agli altri. Un apparire che è legato al consumismo e che appaga il temporaneo bisogno di sentirsi parte della società, ma che in realtà non fa altro che allontanare l’individuo dal senso di solidarietà, riducendolo ad un senso di smarrimento e abbandono.

I ragazzi collocati presso il foyer, che hanno vissuto e conosciuto solo quel tipo di relazioni liquide che definisce Bauman, rischiano di vivere l’adolescenza senza punti di riferimento, costernata da domande sul senso della propria storia e della propria esistenza, sul valore delle relazioni e della fiducia. I nodi irrisolti e i conflitti che li hanno portati ad una situazione di fragilità sono ancora delle zavorre esistenziali per questi giovani, che crescono fra una serie di insicurezze e sulla convinzione dell’inaffidabilità degli adulti. Gli educatori del foyer Calprino si impegnano a ricostruire la fiducia nei confronti della figura dell’adulto, con l’obiettivo di far sentire i giovani parte di una comunità. Secondo Bauman infatti “per essere dotati di amore per sé, ci occorre essere amati. Il rifiuto dell’amore-diniego dello status di oggetto degno di essere amato genera odio di sé. L’amore di sé si costruisce coni mattoni dell’amore offertoci da altri […]. Altri devono amarci prima che noi possiamo iniziare ad amare noi stessi” (Bauman, 2006). E tra gli obiettivi degli educatori del foyer, vi è un lavoro sull’autostima dei giovani nei confronti di sé stessi, in modo che possano in futuro acquisire un po’ idi fiducia nel mondo: “la Fondazione Amilcare, con le sue differenti strutture deve, prima di tutto, affrontare la sfiducia di chi non si è sentito amato” (Mirarchi & Sbattella, 2019, p. 93).

4 Presentazione della ricerca

4.1 Contestualizzazione

In questo capitolo viene esposto il panorama ticinese degli adolescenti in situazioni di difficoltà e delle rispettive strutture di presa a carico educativa, famiglie affidatarie o le eventuali misure di protezione di cui possono usufruire. Le prestazioni e le misure di protezione destinate ai

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minorenni in situazione di disagio o di crisi, il cui sviluppo fisico e/o sociale è minacciato, sono disciplinate dalla L.Fam approvata dal Parlamento cantonale il 15 settembre 2003 ed entrata in vigore il 1. Gennaio 2006. La Legge introduce una prospettiva nuova del concetto di presa a carico; presa a carico che non solo deve offrire soluzioni proporzionali e specifiche in funzione dei bisogni dei minorenni e della gravità della situazione, ma anche rinforzare il lavoro con la famiglia ed evitare, se possibile, la separazione dei figli dal nucleo familiare. L’articolo 21 della L.Fam recita infatti: “L’affidamento in centri educativi è possibile in mancanza di valide alternative presso famiglie affidatarie o nel caso in cui siano necessarie cure e prestazioni educative specialistiche altrimenti non assicurabili tramite affidamento familiare” (Repubblica e Cantone Ticino, 2003). Per tale motivo, e il rispetto delle rispettive esigenze pedagogiche/educative delle problematiche e dei bisogni degli adolescenti, l’offerta deve essere diversificata e coordinata. I provvedimenti di protezione per gli adolescenti sono solitamente attivati su decisione dell’Autorità di protezione – Autorità regionali di protezione (ARP)13 o dell’Autorità giudiziaria (Tribunale d’appello, Preture, Magistratura dei minorenni o Tribunale dei minorenni) – in base alle disposizioni del Codice civile o del Codice penale minorile, ma possono essere attivate anche direttamente dalle famiglie o dagli adolescenti.

Considerando l’età dei ragazzi collocati nelle strutture (15-19 anni), in questo capitolo verranno estrapolati dati inerenti alla suddetta fascia d’età, in modo da comprendere meglio le specificità e le caratteristiche intrinseche alla situazione giovanile in Ticino. I dati riguardano la demografia, la disoccupazione, le strutture adibite alla protezione dei giovani, le famiglie affidatarie in Ticino e le misure di protezione messe in atto.

Il Ticino è una realtà territoriale piuttosto piccola, caratterizzata dalla presenza di diverse nazionalità. Nel grafico in allegato si può osservare come l’unico cantone di lingua italiana in Svizzera sia distribuito demograficamente secondo l’età e il sesso14. Si può notare come la piramide che si forma veda una grande presenza di persone nella fascia d’età compresa fra i 45 e i 55 anni. I giovani la cui età corrisponde con il target della ricerca (15-19 anni) rappresentano un’esile parte del totale della popolazione ticinese. Nel 2018, secondo l’Annuario statistico ticinese, i giovani ticinesi compresi tra i 15 e i 19 anni sono 17697 su un totale di 354375 persone, che corrisponde al 4,99% della popolazione ticinese (Ufficio di statistica, 2018).

Per quanto riguarda invece la disoccupazione, il totale dei giovani fino ai 25 anni iscritti alla disoccupazione ai sensi del SECO a maggio 2019 sono 534. All’interno del panorama nazionale, il Ticino, con una percentuale pari al 4,7 di disoccupati sul totale dei cantoni svizzeri, si posiziona come il sesto cantone con la disoccupazione più alta, dopo Zurigo, Berna, Argovia, Vallese e Lucerna (Seco: Segreteria di Stato dell'Economia, 2019).

Osservando invece la realtà delle prese a carico sul territorio ticinese, la protezione dei giovani si delinea attraverso svariate strutture, residenziali e non, che offrono agli adolescenti dei luoghi protetti all’interno dei quali hanno la possibilità di essere accompagnati verso la propria autonomia. In allegato si trova una tabella raffigurante le strutture operanti in Ticino per

13 Confronta allegato 3: Glossario vocaboli e servizi. 14 Confronta allegato 4: Dati statistici dei giovani in Ticino.

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l’accoglienza e la presa a carico di adolescenti12. In questa tabella si può notare come in Ticino vi siano tre grandi strutture (Fondazione Von Mentlen15, Istituto Vanoni e Casa Primavera) che possono accogliere dai 50 ai 60 giovani. Tali strutture sono Istituti di tipo residenziale che hanno come obiettivi quelli della protezione, di garantire il benessere e la crescita globale della persona e del recupero delle possibilità di ritornare a vivere in famiglia quando possibile. Oltre ai tre grossi Istituti presenti sul territorio, a Mendrisio c’è la Fondazione Torriani che con i suoi due gruppi distinti da nove minorenni dell’Istituto Torriani mira a sostenere ed accompagnare i minorenni accolti nel loro percorso di crescita a livello cognitivo, relazionale-affettivo e nella assunzione di responsabilità circa la propria vita. La Fondazione Torriani gestisce contemporaneamente anche il centro di pronta accoglienza PAO, col fine di offrire un breve periodo di protezione ai minorenni in situazione d’urgenza. Il periodo di permanenza al PAO è di tre mesi, durante i quali si cerca di affrontare la situazione d’emergenza per poi reindirizzare il minore presso un altro CEM o verso il rientro in famiglia, se possibile. Sita sempre a Mendrisio, la Casa di Pictor, è centro educativo minorile dell’Associazione Comunità familiare che accoglie 12 ragazzi dai 6 ai 18 anni. Infine, sul territorio ticinese sorgono diversi servizi della Fondazione Amilcare, tra cui 3 foyer residenziali (Vignola, Verbanella e Calprino16), un centro diurno, e un servizio di consulenza familiare non menzionato nella tabella. Ogni foyer della Fondazione Amilcare ospita nove ragazzi/ragazze che vanno dai 14 ai 20 anni. Inoltre, la Fondazione Amilcare mette a disposizione due équipe ADOC (Sopraceneri e Sottoceneri). Le due équipes ADOC seguono nove ragazzi ciascuna, garantendo un ammontare di ore settimanali da dedicare ad ognuno dei nove ragazzi. Bisogna tuttavia specificare che per legge, un ragazzo collocato in istituto o in foyer può restarvici sino al massimo ai 20 anni. Nell’effettivo, il numero di giovani collocati in un Centro Educativo per Minorenni con contratto di prestazione, e quindi riconosciuti dal Canton Ticino, fra i 15 e i 20 anni al 31.12.2018 sono: 101 in internato (di cui 20 in ADOC), 12 in diurno e 62 in post-cura. Interessante osservare anche il totale dei giovani collocati dal 1.1.2018 al 31.12.2018, che sono: 217 in internato (di cui 31 in ADOC), 22 in diurno e 95 in post cura (dati elaborati dall’ufficio UFAG 2019)17. Tuttavia, come specificato nell’articolo 21 della L.Fam, (Repubblica e Cantone Ticino, 2003), il collocamento in centri educativi è possibile solo in mancanza di valide alternative presso famiglie affidatarie, o nell’eventualità che ci siano bisogni educativi specifici. Il numero di famiglie affidatarie attive in Ticino al 31.12.2018 segnalato dall'Associazione Ticinese Famiglie Affidatarie è di 155 famiglie (dati elaborati dall’ufficio UFAG 2019)18.

Un altro dato piuttosto rilevante per la comprensione della situazione ticinese dei giovani è il numero di minori sottoposti a misure di protezione al 31.12.201719. Nella tabella in allegato vengono illustrati tutti i tipi di misura messi in atto secondo gli articoli dal 306 al 327 del Codice civile svizzero, dalle curatele alle privazioni dell’autorità parentale. Si può osservare come in

15 Per maggiori approfondimenti sulle strutture confrontare allegato 3: Glossario vocaboli e servizi.

16 Anche se il foyer Calprino a livello organizzativo è ancora classificato come una struttura residenziale, vi sono

stati cambiamenti di accompagnamento dei giovani che ne hanno modificato l’assetto stesso. Tali trasformazioni sono approfondite nel punto 2.1: La Fondazione Amilcare e i recenti cambiamenti.

17 Dati ottenuti per comunicazione via mail. Per maggiori informazioni sul servizio confronta Allegato 3: Glossario

vocaboli e servizi.

18 Dati ottenuti per comunicazione via mail.

(22)

Ticino, al 31.12.2017, 1926 sul totale di 57545 minori siano tutelati da differenti misure di protezione.

4.2 Definizione della problematica

Come già accennato nell’introduzione e nella definizione del contesto lavorativo, una grande sfida che è emersa nei luoghi adibiti alla protezione degli adolescenti è quella che riguarda il loro accompagnamento educativo-sociale. Per alcuni giovani l’istituto classico non risponde ai bisogni emancipativi personali, o ai bisogni individuali di benessere sociale e spirituale, ma può rappresentare una privazione della propria capacità di auto-determinazione, e le rispettive regole che lo contraddistinguono sono spesso percepite come un ostacolo per la costruzione di una relazione di fiducia, e dunque precludere un percorso di crescita personale. I bisogni di molti giovani si sono modellati20, e l’istituzionalizzazione non può rispondere efficacemente a tutti i tipi di sofferenze portate dai giovani. Il foyer classico, proprio per l’idea di imporre una vita comunitaria con la quale è stato concepito, con la sua intricata rete di obblighi comunitari, non può assolvere ai bisogni di tutti i tipi di sofferenze che accoglie al suo interno, e attiva una sorta di illogico archetipo per cui ogni tipo di sofferenza o di difficoltà possa essere affrontata con un determinato tipo di accompagnamento uguale per tutti. Molti comportamenti e modalità messe in atto dagli adolescenti all’interno dei foyer hanno spinto a riflettere proprio sulla funzionalità del paradigma classico di protezione, e hanno fatto emergere quanto per alcuni giovani tale misura di tutela fosse inefficace o inadatta per il loro tipo di sofferenza da una parte, e per il tipo di ambiente che ricreava il foyer classico dall’altra. Il foyer classico, con la vita comunitaria, rischia infatti di riprodurre tutta una serie di dinamiche disfunzionali che i giovani hanno già sofferto nella loro intricata storia di vita, e rischia così di nutrire forti diffidenze da parte di molti giovani la cui fiducia nell’adulto e nelle istituzioni è già compromessa. È da ricordare che tali giovani presentano delle difficoltà a livello relazionale e nella capacità di gestire le frustrazioni, e credere di sapere di cosa necessitano questi giovani spesso è solo una presunzione che il foyer classico rivendica. Invero, quando Raffaele Mattei, direttore della Fondazione Amilcare fino a febbraio 2019, piuttosto che offrire delle soluzioni preconfezionate chiese ad alcuni giovani di cosa avevano bisogno, essi chiesero “di rispondere ai loro bisogni primari, cioè da mangiare e da dormire se possibile in un appartamento.” (Mattei, 2016, p. 5) È dunque ritenuto doveroso analizzare, o quantomeno provare a capire, da una parte quali sono le necessità che hanno spinto a riflettere sulla funzionalità del foyer classico, sulle modalità di accompagnamento messe in atto e sul paradigma di protezione in senso lato, e dall’altra quali sono le percezioni che gli educatori e i giovani hanno della pista che si è delineata con il servizio ADOC e che anche il foyer Calprino ha messo in atto. Le sfere tematiche che verranno toccate verteranno sulle necessità del cambiamento, sul nuovo

20 Si pensa per esempio all’assunzione di sostanze e all’emergere di nuove droghe intese come “pratiche legate

a una nuova semantica del corpo alla quale è riconducibile, mediante differenziazione, qualsiasi sviluppo di specifici ambiti funzionali” (Bility & Caroli, 2019).

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