Filosofia Politica Indiana
Contemporanea
Hegel sull’India
Hegel, nei suoi scritti sull’India, nota tre punti importanti in proposito:
(i) la relazione tra spiritualità o religione e filosofia che in India è differente
da quella cui siamo abituati in Occidente;
(ii) il fatto che soggetto politico sia costituito dalle caste e non dagli
individui come in Occidente;
(iii) la ritualità eccessiva che caratterizzerebbe il pensiero indiano in
generale.
Comunque la tesi di fondo di Hegel è che la storia si muove in direzione
della libertà, e che gli indiani sono incapaci di concepire la libertà stessa.
Le sfide della filosofia politica indiana
Tre sono i mutamenti storico-ideali che influenzano sulla filosofia politica: (1) Il consolidarsi del colonialismo –che in qualche modo corrisponde allo Eurocentrismo di Hegel- e poi la resistenza nazionalistica e il suo tramonto; (2) L’indipendenza indiana nel 1947 e l’inizio di una nuova filosofia politica all’insegna del nazionalismo, del marxismo e del post-colonialismo;
(3) Il persistere in India di due culture quella delle élites e quella delle masse e il problema che questa difficile convivenza costituisce per il pensiero politico indiano nel suo complesso.
Colonialismo e la costruzione della nazione indiana
Lo stato indiano nasce con il colonialismo e col modo in cui il colonialismo diffonde la modernità tra le élites indiane.
Senza apprendere dai colonizzatori europei che cosa fosse uno stato, con la sua organizzazione e burocrazia, non sarebbe stato possibile costruire come nazione quella comunità “immaginaria” che è stata per secoli l’India con il suo pluralismo religioso e culturale.
Quando il nazionalismo della upper class si congiungerà con il risentimento degli esclusi, il colonialismo diventerà anacronistico (Gandhi). Comunque nello stato postcoloniale la politica si spacca di nuovo tra le élite e i subalterni (Nehru).
Le caste
La divisione in caste in India dipende dalla tradizione religiosa dominante, l’induismo. Le caste sono: bramini (sacerdoti, proteggono i Veda), cavalieri o Kshatriya (devono difendere il loro popolo), i Vaisya (contadini), i Sudra (servitori). Tutte le caste
costituiscono il varna (il sistema castale). Da notare che ci sono svariati out-caste (dalit).
Interpretazioni: Dirks ritiene che la sostanza delle caste non sia religiosa ma sociale in una prospettiva in senso lato marxiana. Hegel sostiene che le caste sarebbero la
forma standard dell’ordine sociale tradizionale.
Rimedi: Ambedkar riteneva che l’ingiustizia sociale indiana non potesse essere
superata se non lasciando l’induismo, mentre Gandhi pensava che il problema fosse interno all’induismo e nel suo ambito risolvibile.
Differenza di genere
Problemi di genere in India: vedove o immolate sulla pira del defunto marito, matrimoni in età adolescente, questione della dote, le difficoltà di svolgere un ruolo pubblico, la violenza contro le donne.
La destra sostiene che il femminismo alienasse le donne dalla loro cultura
tradizionale e famiglia. La sinistra ritiene che il femminismo fosse una pericolosa diversione dal combattere capitalismo e imperialismo. Chandra Mohanty insiste sulla natura etnocentrica del femminismo occidentale.
Proposta: Roop Rekha Verma sottolinea che nella tipica metafisica induista le donne avevano sovente ruoli di primaria importanza. La sua soluzione è in termini di una teoria androgina centrata sulla “personhood”.
Gandhi Swaraj
Il concetto di swaraj deriva dal sanscrito (dove “sva” indica il soggetto e “raj” il dominio) e significa all’incirca regola, controllo, dominio del sé. Resta ambiguo il senso che oscilla tra dominio da parte del sé e dominio sul sé.
Gandhi in Hind Swaraj (1919) considera swaraj il tramite indispensabile che lega l’indipendenza nazionale alla maturità della coscienza individuale.
Proponiamo il “thin” swaraj come ideale minimalistico e non anti-modernistico che si può conciliare con il liberalismo politico. La ragione principale per l’adozione del swaraj sta nella volontà di separarsi dall’eredità coloniale e forse anche del potere immaginativo declinante dell’Occidente (Kaviraj).
Filosofia politica indiana contemporanea
La teoria politica indiana è difficilmente separabile dalla politica tout court e dalla religione.
C’è una divisione tra quanti cercano di prendere il meglio della cultura politica e filosofica occidentale (J.N. Mohanty, Rajni Kothari, marxismo bengalese) e quanti invece si schierano contro assumendo posizioni tipicamente anti-moderniste (V.P. Varma, G.P. Singh, fondamentalismo hindu).
C’è una prima fase che dura fino alla metà degli anni ottanta e si rifà a modelli teorici occidentali applicati a temi e problemi tipicamente indiani. Una seconda fase, che prende la mosse dalla recezione del libro di Said Orientalism (1978), ha una sua connotazione schiettamente post-colonialista.
Marxismo
Speciale rilievo ha per l’India la dependency theory, che vede il colonialismo come l’altra faccia del capitalismo. Per Marx comunque il modo di produzione asiatico rende difficile concepirlo come base di una società classista.
L’idea dei Subaltern studies è di prendere da Gramsci l’idea di una storiografia non limitata alle azioni delle élites, per fare emergere il rimosso degli emarginati (i subalterni). Ma attraverso la svolta decostruzionista si perde il centrale riferimento alla lotta di classe.
Elementary Aspects of Peasant Insurgency (1983) di Ranajit Guha ha come scopo
Postcolonialismo (1)
Ci sono tre testi fondamentali: (1) ‘An Anti-secularist Manifesto’ di Ashis Nandy [1985]); (2) ‘Can the Subaltern Speak?’ di Gayatri Spivak [1985]); (3) ‘Signs Taken for Wonders’ di Homi Bhabha [1985].
L’idea post-coloniale è quella di scardinare le fonti di dominio insite nel discorso e fare sì che gli emarginati, sia dal colonialismo sia dalle élites indiane, possano finalmente fare sentire la propria voce.
Gli autori coprono posizioni assai diverse tra loro. Homi Bhabha privilegia l’ibridità in chiave critica rispetto al dominio della cultura occidentale. Partha Chatterjee ricostruisce in chiave post-coloniale il concetto di società civile. Il secolarismo indiano è concepito da includere la religione nel discorso pubblico.
Postcolonialismo (2)
Dipesh Chakrabaty in Provincialising Europe propone una critica del modello teleologico di storia di Hegel e Marx. Il marxismo, data la sua spiegazione
universalistica e monocausale, non riesce a fare emergere quella eterogeneità che pure resta alla base di questo pensiero indiano post-coloniale.
Quello che emerge dalla proposta postcoloniale è un’immagine di io diviso, di
eterogeneità diffusa, in cui il rapporto di casta non si esaurisce in quello di classe, in cui razza, genere, nazione etnicità non sono termini isomorfi ma richiedono di essere accostati in maniera plurale e critica.
Valutazione critica: La nostra tesi è che questo sfondo filosofico, anti-oggettivista e nichilistico, vanifichi il tentativo di riscattare teoricamente l’ingiustizia subita dai