Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali
Dipartimento di Scienze Veterinarie
Laurea magistrale in Biosicurezza e Qualità degli Alimenti
TESI DI LAUREA
Può la certificazione Halal diventare una opportunità
di business?
La situazione della certificazione in Italia
Candidato: Relatore:
Nannelli Francesco Prof.ssa Roberta Moruzzo
Prof.ssa Roberta Nuvoloni
Correlatore:
Prof.ssa Francesca Pedonese
INDICE
INTRODUZIONE...3
1. IL MERCATO HALAL...5
2. CERTIFICAZIONE HALAL...9
2.1 Certificazione Halal in Italia...12
2.2 Iter di certificazione per un'azienda alimentare...15
3. I DRIVERS ALLA BASE DELLA CERTIFICAZIONE HALAL...18
3.1 Fattori esterni...18 3.2 Fattori interni...19 4. METODOLOGIA DI RICERCA...22 4.1 Il caso studio...22 4.2 Questionario utilizzato...23 5. RISULTATI DELL'INDAGINE...25 6. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI...36 BIBLIOGRAFIA...39 SITOGRAFIA...48 ALLEGATI...49
INTRODUZIONE
Nel contesto attuale, in cui la società è sempre più multiculturale, l'integrazione è una sfida che si sviluppa su più livelli, coinvolgendo non soltanto le istituzioni, ma anche le imprese, per le quali sviluppare un'offerta di prodotti e servizi che rispetti le esigenze di minoranze etniche e culturali significa scegliere a favore dell'integrazione, oltre che del business. Nello specifico, la comunità islamica, molto diffusa nel mondo ed in costante crescita in Italia (2,6 milioni, 4.3% della popolazione totale) (Ciocca, 2020), necessita di prodotti e servizi conformi ai precetti morali dell'Islam. Si parla, in questo caso, di prodotti Halal. Con tale termine coranico, che significa “lecito”, e con specifico riferimento all’ambito alimentare, si sancisce il corretto rapporto del credente musulmano con il cibo. Con riferimento al cibo, è dunque definibile come Halal tutto ciò che per un musulmano è lecito mangiare. I principi religiosi fondamentali in tema di alimentazione sono contenuti nel Corano e nella Sunna (l’esempio dato dalla vita del Profeta Muhammad), mentre la giurisprudenza successiva delle quattro scuole giuridiche presenti all’interno dell’Islam sunnita (hanafita, malikita, shafi’ita e hanbalita) ha provveduto a trarre da tali principi fondamentali delle ulteriori specificazioni (Co.Re.Is Italiana, 2009).
Attraverso la Certificazione Halal, le imprese produttrici possono dimostrare la conformità dei propri prodotti ai requisiti islamici fornendo, così, maggiori garanzie ai consumatori. Essa prevede l’emissione di un Documento, rilasciato da enti di certificazione accreditati del Paese esportatore, in cui è certificato che un determinato prodotto agroalimentare o farmaceutico soddisfa i requisiti della legge islamica per il consumo da parte di popolazione musulmana (Chahed el Ouazzani, 2020). Tale documento, viene rilasciato dopo aver esaminato l'intero processo di produzione, dalle materie prime alla distribuzione del prodotto finito, ed è soggetto a programmi di audit per l'intero periodo, a conferma del rispetto degli standard e dei criteri adottati (Amicarelli et al., 2014; Latif et al., 2014; Al‐
Teinaz & Al‐Mazeedi, 2020).
Il lavoro di tesi si pone quindi come obiettivo di rispondere al seguente quesito: “La certificazione Halal può rappresentare un'opportunità per le imprese produttrici?”. A tale scopo, viene ricostruita una panoramica del mercato dei prodotti Halal e viene descritto, attraverso un caso studio nazionale, il percorso che porta le imprese produttrici a
certificarsi, in particolare andando a comprendere quali sono gli elementi che possono influenzare positivamente tale scelta ed evidenziandone le principali difficoltà.
Le motivazioni che hanno spinto ad approfondire tale tema hanno duplice natura. In primis sono legate alla carenza di studi recenti in materia sul panorama nazionale; inoltre sono rafforzate dalla convinzione che questa certificazione possa rappresentare una grande opportunità di crescita per le aziende alimentari nell'imminente futuro.
La tesi è articolata in sei capitoli: nel primo viene analizzato il mercato di destinazione dei prodotti Halal. Nel secondo vengono ad approfonditi gli aspetti legati alla certificazione con un focus sulla situazione italiana. Nel terzo vengono presi in considerazione i principali drivers, interni ed esterni, ritenuti alla base della certificazione dagli autori che hanno affrontato questa tematica in precedenti studi. Nel quarto si illustra il caso studio preso in esame, specificando la modalità di raccolta dei dati ed il questionario utilizzato. Nel quinto si mettono in evidenza i risultati dello studio, illustrando quanto i risultati ottenuti siano in linea con ciò che viene indicato in letteratura. Nel sesto, infine, si procede traendo le conclusioni e valutando la replicabilità dello strumento metodologico impiegato in altri contesti.
1. IL MERCATO HALAL
In seguito alla Rivoluzione Islamica, al boom petrolifero e per mano delle pressioni operate da organizzazioni islamiste sulle masse islamiche, lo stile di vita dei credenti musulmani venne indirizzato verso un'osservanza più rigida dei dettami religiosi. Nacque, così, alla fine degli anni '70 il mercato Halal, che l'antropologa francese Bergeuad-Blackler considerò il frutto di una grande invenzione del settore economico, dato che sino ad allora il problema della liceità religiosa del cibo era molto limitato e ridotto all'esclusione della carne di suino e delle bevande alcoliche (Cascino, 2017).
Oggi, il mercato alimentare Halal è in continua e costante crescita, nonostante la crisi del 2008 (Cascino, 2017) e rappresenta un'opportunità di sviluppo, grazie alle dimensioni e alla crescita della comunità musulmana mondiale e all'aumento del suo potere d'acquisto (Reuters & Standard, 2016).
La popolazione musulmana mondiale è in costante crescita (+ 1,5% all'anno), grazie all'alto tasso di fertilità (Chahed el Ouazzani, 2020), ed ha raggiunto quota 1,7 miliardi (22% della popolazione mondiale) (Chmet, 2019), ma si prevede che raggiungerà i 2,2 miliardi (+ 29,4%) entro il 2030 (Zailani et al., 2015).
Ottime prospettive di mercato sono attribuite a Nord America ed Europa, che offrendo opportunità educative, culturali e finanziarie si rendono attraenti per i musulmani più ricchi e istruiti (Amicarelli et al., 2014). A conferma di quanto detto, Websim (Websim, 2015) attestava il consumo dei prodotti Halal in Europa a 70 miliardi di dollari nel 2015, quasi il 10% del mercato Halal globale, a fronte di una popolazione musulmana che si aggirava soltanto al 2,70% della comunità mondiale. I dati mettono in mostra, come il potere di acquisto dei musulmani europei fosse già maggiore se equiparato alla popolazione islamica globale (Cascino, 2017), motivo per cui ci è concesso ritenere che questi mercati abbiano nel complesso un alto potenziale di crescita , sebbene l'incremento della popolazione musulmana possa variare tra Paesi membri (Abdul-Talib & Abd-Razak, 2013).
Altra prospettiva molto interessante per il mercato alimentare è rappresentata dal turismo islamico che per il 2020 prevedeva la presenza di 150 milioni di turisti musulmani (11% del mercato turistico) in Europa, per una spesa di 200 miliardi di dollari. Il turismo islamico presenta pertanto un alto livello di spesa (World Tourism Organization, 2017;
Reuters & Standard, 2017) ma al contempo le esigenze alimentari giocano un ruolo
primario nella scelta delle loro mete (Henderson, 2016; Mak et al., 2012) tanto che Raj &
Griffin (2017) hanno riscontrato la disponibilità di cibo Halal come uno dei principali
problemi quando si tratta di provvedere a turisti musulmani in Paesi non islamici.
In questo contesto, il mercato Halal va evolvendosi; nonostante la crescita demografica della popolazione islamica in Europa, la domanda di cibo Halal all'interno UE risulta inferiore all'offerta e ciò ha comportato un cambio delle destinazioni finali dell'export italiano e dei Paesi dell'UE che hanno visto accrescere i profitti anche nel mercato extra UE (Amicarelli et al., 2014).
I Paesi musulmani potrebbero dunque essere una buona opportunità per l'Italia considerando che quasi il 38% degli alimenti esportati e rappresentato da potenziali prodotti Halal: pasta, pane, prodotti da forno e pasticceria, ortaggi, legumi e frutta freschi o preparati, latte e latticini, olio di oliva (ISMEA, 2015).
In linea con quanto sostenuto, anche Talib et al. (2016) rivelano che i maggiori produttori di cibi Halal appartengono a Paesi non musulmani e che il consumo di cibo Halal e in crescita, anche tra i non musulmani; ne e un esempio il consumo di kebab, che come riportato da (Chahed el Ouazzani, 2020), e un alimento gradito anche dai consumatori non islamici.
Andando a focalizzarsi sul mercato Halal italiano, un recente studio, condotto da De Boni
& Forleo (2019), evidenzia una forte crescita della domanda e dell'offerta di prodotti
alimentari certificati Halal, sia sul mercato nazionale che internazionale.
La crescita e influenzata da molti fattori appartenenti a quattro contesti: demografico e socio economico, istituzionale, struttura del mercato e contesto aziendale.
In ambito demografico e socio economico, risulta rilevante, ai fini dello sviluppo del mercato negli ultimi 5 anni, l'aumento del flusso migratorio. La maggior parte dei migranti musulmani, pero, sfruttano il nostro Paese come porta di accesso all'Europa e ciò determina una consistenza musulmana variabile nel tempo sul nostro territorio. Inoltre, il potere d'acquisto dei musulmani “migranti”, e ben inferiore a quello dei consumatori musulmani presenti stabilmente in Italia, come migranti di prima o seconda generazione e musulmani residenti.
In termini assoluti, la presenza islamica in Italia si attesta a 2,6 milioni (4,3% della popolazione totale) (Ciocca, 2020), risultando strutturata e stabile, con prevalenza nelle regioni del nord (figura 1); Roma e Milano, con oltre 100 mila presenze ciascuna, figurano tra le prime 10 città europee per presenza musulmana.
Elaborazione Ciocca, 2020 su dati Istat
Si stima che nel 2030, la presenza musulmana in Italia raggiungerà quasi 3,6 milioni (6,2% della popolazione totale); questo perché il nostro Paese viene preferito a molti altri in Europa per una laicità meno aggressiva (Brignone, 2019), sebbene la religione musulmana, non sia ancora stata riconosciuta ufficialmente come seconda religione del Paese dallo Stato (Ciocca, 2020).
In questo contesto, la certificazione Halal deve essere vista come un'opportunità per incrementare il volume delle vendite e del fatturato sia sul mercato nazionale che su quello estero (De Boni & Forleo, 2019). Inoltre certificare prodotti alimentari italiani, già insigniti di 311 schemi di qualità dell'UE di cui 170 DOP (Denominazione di Origine
Protetta), 138 IGP (Indicazione Geografica Protetta) e 3 STG (Specialità) Tradizionali Garantite)(Mipaaf, 2020), può rivelarsi un valore aggiunto aumentando le garanzie per i consumatori musulmani e non, che dimostrano di gradire sempre più il Made in Italy (Amicarelli et al., 2014).
Certificare significherebbe condizionare anche il turismo andando ad aumentare l'interesse delle destinazioni italiane agli occhi dei turisti musulmani, con effetti positivi in termini di benefici economici e di sviluppo locale (De Boni & Forleo, 2019).
Purtroppo, in questo mercato, non mancano le minacce rappresentate da un esiguo numero di consumatori in Italia, concorrenza del cibo Halal turco, diffusione di falsi prodotti certificati Halal, sospetto dei consumatori non musulmani nei conforti del cibo Halal, standard di certificazione Halal molto rigidi, costi elevati per l'adempimento al sistema di certificazione (soprattutto per le aziende di piccole dimensioni), difficoltà nel collaborare con le istituzioni pubbliche e una comunità musulmana che, come già visto, non risulta essere costante in Italia (De Boni & Forleo, 2019).
Malgrado alcune insidie, la costante crescita del mercato Halal ha di fatto spinto alla creazione di certificazioni che rendessero lecito un determinato prodotto, garantendone la conformità alle prescrizioni islamiche. Ne è derivato lo sviluppo di un settore specifico di certificazioni nazionali e internazionali che risulta interessante da analizzare (Cascino,
2. CERTIFICAZIONE HALAL
La certificazione Halal nata a metà degli anni '60 negli Stati Uniti d'America (USA) (Amicarelli et al., 2014), prevede l’emissione di un “Documento”, rilasciato dall'autorità musulmana del Paese esportatore, in cui è certificato che “un determinato prodotto agroalimentare o farmaceutico soddisfa i requisiti della legge islamica per il consumo da parte di Popolazione musulmana” (Chahed el Ouazzani, 2020).
Oggi i certificati Halal sono diventati uno strumento di marketing (Business to Consumer) per pubblicizzare, ai consumatori islamici, ogni tipo di prodotto e servizio approvato dalla loro religione (Bottoni, 2020) in ambito agroalimentare (la carne è l'alimento più rigorosamente regolamentato), assicurativo, finanziario, cosmetico e dell'ospitalità (Al‐
Teinaz & Al‐Mazeedi, 2020). Hanno il compito di indirizzare i consumatori musulmani
nelle scelte di acquisto (Cenci Goga, 2020), ma risultano essere molto apprezzati anche da consumatori non musulmani consapevoli che lo standard igienico dei prodotti trattati con tale metodo è molto alto, tanto da renderli meno a rischio per la trasmissione di alcune malattie alimentari di origine batterica, come ad esempio quelle causate da Escherichia
coli o Salmonella (Chmet, 2019). Secondo alcuni autori, non è facile per un consumatore
conoscere la natura e l'azione di tutti gli additivi utilizzati nei prodotti alimentari, sebbene siano indicati in etichetta e la certificazione Halal permetti di evitare questi dubbi al consumatore stesso (Di Foggia et al., 2011).
La dichiarazione di conformità di un prodotto alimentare agli standard Halal è rilasciata da enti di certificazione (ogni singola organizzazione o agenzia musulmana e/o islamica ne ha il diritto) (Amicarelli et al., 2014), che hanno il compito di esaminare i processi alimentari connessi, dalla produzione alla preparazione, fino al trasporto e alla distribuzione dell'alimento (Latif et al., 2014). È possibile certificare i singoli prodotti, gli impianti di
produzione che produrranno più prodotti conformi ai protocolli Halal, e i locali per la vendita al dettaglio nei quali si troveranno esclusivamente prodotti certificati (Cenci Goga, 2020). La durata della certificazione varia da uno a cinque anni dall'emissione ed è
soggetta a contratti individuali e a programmi di audit durante l'intero periodo, a conferma del rispetto degli standard e dei criteri adottati (Al‐Teinaz & Al‐Mazeedi, 2020).
la propria interpretazione e ha i propri standard (Ambali & Bakar, 2014), che variano in relazione ai diversi gradi di influenza nazionale e regionale dei gruppi musulmani (sunniti e sciiti) e/o alla scuola di pensiero musulmana (Hanafi , Hanbali, Maliki e Shafie) (figura
2) (Nurulhuda et al., 2014; Lever & Miele, 2012).
La mancanza di uniformità tra le varie scuole di pensiero musulmane, determina problemi nell'applicazione delle prescrizioni della legge islamica, con un aumento della confusione e delle incomprensioni (Amicarelli et al., 2014), generate anche dal processo di certificazione, che varia a seconda di chi esegue il servizio (Cenci Goga, 2020). A livello globale, come confermato dalla figura 3, la situazione è frammentaria e rispetta quanto appena detto con diversi enti di certificazione, la presenza/assenza di standard e di un sistema legislativo dedicato, che variano da Paese a Paese. Questa disomogeneità determina una mancanza di credibilità di molte certificazioni non riconosciute a livello internazionale o accreditate da una organizzazione Halal internazionale (Amicarelli et al.,
2014), con conseguenti problemi di esportazione dei prodotti. Inoltre, la numerosità dei
loghi Halal dei diversi Paesi determina confusione anche tra gli stessi consumatori musulmani (Fisher 2009).
Tra le principali organizzazioni Halal riconosciute a livello internazionale è importante citare MUI in Indonesia, JAKIM in Malesia, ESMA negli Emirati Arabi Uniti e GCC (Consiglio di Cooperazione del Golfo), e composto da sei Stati membri: Arabia Saudita, Kuwait, Bahrain, Qatar, Oman e Emirati Arabi Uniti (Bottoni, 2020; Al‐Teinaz & Al‐
Mazeedi, 2020). Queste organizzazioni sono ritenute competenti per l'accreditamento di
organismi di certificazione Halal in paesi non musulmani (come l'Italia), processo attraverso il quale un organismo di certificazione Halal viene riconosciuto come partner affidabile, in grado di garantire il rispetto degli standard Halal previsti da quello specifico Paese musulmano (Bottoni, 2020).
A tal proposito, al fine di semplificare l'iter di certificazione ed il commercio stesso dei prodotti Halal, è opportuno standardizzare la procedura di certificazione Halal, compito al quale si stanno dedicando l'Organization of Islamic Countries (OIC) e il Word Halal Council (WHC) (Amicarelli et al., 2014).
Figura 3: Sistemi di regolamentazione disponibili nei diversi Paesi (Amicarelli et al., 2014)
2.1 Certificazione Halal in Italia
Secondo De Boni & Forleo (2019) la certificazione Halal in Italia può essere definita un caso studio unico almeno per 3 motivi:
i livelli di produzione e consumo di alimenti Halal sono inferiori rispetto a quelli dell'UE (IDOS, 2018);
è
un Paese a maggioranza non islamica (Cascino, 2017), dominato dalla Chiesa cattolica, nonostante il processo di cambiamento degli ultimi anni abbia portato ad un inaspettato pluralismo (Pace, 2018);
l'Italia è una nazione la cui immagine e reputazione, all'interno e all'esterno, affonda le sue radici nel cibo, visto come uno dei principali patrimoni della cultura italiana (Naccarato et al., 2017).
È importante premettere che, in Italia, le organizzazioni, le associazioni e le comunità musulmane sono ancora soggette alla legislazione emanata durante il periodo fascista. In effetti, il governo italiano non ha mai avviato trattative con le suddette associazioni, nonostante le richieste da loro presentate, ma questo non si e tradotto in un rifiuto o disinteresse al dialogo e alla collaborazione. Lo stesso Bottoni (2020) afferma che la mancanza di un accordo bilaterale con un organo rappresentativo delle comunità musulmane in Italia non abbia influito sulla regolamentazione della certificazione Halal. Infatti, successivamente all'avvio del primo progetto pilota per la certificazione Halal in Italia (in collaborazione con la regione Lombardia e PROMOS, agenzia della Camera di Commercio di Milano per le attività internazionali) (Cenci Goga, 2020), in data 13 maggio 2009, la Comunità Religiosa Islamica (Co.Re.Is), ha richiesto la registrazione del marchio
Halal Italia (primo marchio Halal ufficiale in Italia), ottenuta il 23 novembre dell'anno
successivo (2010) (Bottoni, 2020).
La Co.Re.Is, che rappresenta i valori religiosi dei musulmani in armonia con l'identità culturale dell'Italia e dell'Europa, ha anche istituito un Comitato Etico per la Certificazione
Halal, composto da teologi e giuristi musulmani e da tecnici esperti, con il compito di
redigere i regolamenti per la certificazione e garantirne l'applicazione (Cenci Goga, 2020). Questa attività è stata ufficialmente riconosciuta con la firma della Convenzione Interministeriale a sostegno dell'iniziativa “Halal Italia”, il 30 giugno 2010, da parte dei
quattro Ministeri: Affari Esteri, Sviluppo Economico, Salute e Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Bottoni, 2020). Ad aggiungere ulteriore rilievo al progetto della Co.Re.Is ha contribuito una Convenzione tra Halal Italia e l'Associazione Italiana Commercio Estero (AICE), che ha ampliato maggiormente la visibilità della certificazione nei mercati esteri e ha rilanciato il ruolo istituzionale del marchio Halal (Cascino, 2017).
I prodotti Halal che troviamo sul mercato italiano possono avere duplice provenienza: essere prodotti localmente e certificati da aziende locali (prodotti nazionali) oppure essere prodotti e certificati all'estero e successivamente importati (prodotti importati) (Cenci
Goga, 2020). Attualmente, le aziende con certificazione di conformità Halal in Italia sono
700 (Chmet, 2019), a fronte di 11 enti certificatori riconosciuti (tabella 1), e 10 marchi registrati ed 1 in esame(Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, 2020). Tuttavia, sin dal 2010,
le due agenzie riconosciute dalle principali istituzioni religiose accreditate in diversi paesi
Tabella 1: Enti di Certificazione Halal in Italia (elaborazione propria su dati Cenci Goga, 2020)
musulmani sono Halal International Authority (HIA) e Halal Italia (Amicarelli et al.,
2014).
La HIA è un'organizzazione internazionale, non governativa e indipendente, riconosciuta da Stati islamici, agenzie governative, organizzazioni non religiose e associazioni di consumatori Halal in tutto il mondo. È supportata dall'International Committee of Shariah (ICS) e i suoi certificati sono riconosciuti dall'agenzia nazionale di certificazione Halal con sede in Indonesia (MUI), Malesia (JAKIM), Singapore (MUIS) e dal Muslim Judicial Council Halal Trust (MJCHT) con sede in Sud Africa (Amicarelli et al., 2014).
Halal Italia è un ente italiano di certificazione volontaria per i prodotti italiani conformi
alla legge islamica nei settori agricolo e alimentare, cosmetico, sanitario, farmaceutico, finanziario e assicurativo. Collabora con il Comitato Etico, autorità indipendente che rilascia le certificazioni, mentre il personale di Halal Italia effettua ispezioni presso le sedi delle aziende.
I certificati Halal Italia sono riconosciuti negli Emirati Arabi Uniti (EAU) e in tutti gli altri paesi del Gulf Cooperation Council (GCC) come Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Oman e Bahrain. Le autorità di Singapore hanno ufficialmente riconosciuto il processo per l'accreditamento del marchio Halal Italia. Esistono anche altre collaborazioni internazionali con Islamic Food And Nutrition Council of America (USA), Halal Certification Center (Russia), Gimdes (Turchia), Halal India (India), International Halal Integrity Alliance (Malaysia) (Amicarelli et al., 2014).
2.2 Iter di certificazione per un'azienda alimentare
Per un’azienda alimentare certificarsi Halal significa ottenere una certificazione di qualità, di filiera e di prodotto, che non comprende soltanto i sistemi di controllo della qualità, di approvvigionamento delle materie prime ed i processi di trasformazione, ma anche la logistica interna, lo stoccaggio e il trasporto fino al punto vendita, coinvolgendo persino i metodi ed i sistemi di approvvigionamento di mezzi finanziari e di responsabilità sociale (Summo, 2016).
Il certificato può essere rilasciato a qualsiasi tipo di organizzazione intesa come gruppo, azienda, impresa, ente, o parti e combinazioni di questi, associate o meno, pubbliche e private, con una propria struttura funzionale ed amministrativa. L'ente di certificazione si riserva, fornendo le motivazioni necessarie, il rifiuto di richieste di certificazione da parte di organizzazioni che siano state sottoposte a limitazioni, sospensione o squalifica da parte di una pubblica autorità (Rina, 2019).
L'iter per ottenere la certificazione Halal prevede diversi step; inizialmente le aziende sono chiamate a compilare un questionario somministrato dall'ente certificatore in cui vengono indicati i dati aziendali, le attività svolte e i prodotti che si intendono certificare. Successivamente, dopo un primo controllo di idoneità, si procede alla stipula del contratto di certificazione, alla quale seguono la formazione tecnica degli operatori aziendali e la valutazione documentale (Summo, 2016). In quest'ultima fase, l'azienda dovrà mettere a disposizione la seguente documentazione: il Manuale del Sistema di Gestione Halal, accompagnato da altri manuali di gestione o di prodotto dell'azienda, le procedure di gestione dell'azienda, il diagramma organizzativo, la planimetria dello stabilimento e di ogni altro luogo da certificare, la pianificazione degli audit interni, l'elenco delle principali leggi e/o norme applicabili e, dove necessario, l'elenco delle sedi, con descrizione delle attività svolte (Rina, 2019). Infine, l'azienda viene sottoposta all'audit di certificazione in cui deve dimostrare che il Sistema di Gestione Halal è pienamente operativo da almeno 3 mesi e che tale sistema e le relative procedure siano effettivamente implementate. L'esito positivo dell'intera procedura porta all'ottenimento della certificazione Halal per i prodotti in questione.
operativa inclusa nella certificazione, l'ambito di applicazione del certificato, la data di prima emissione, la data di emissione corrente e la data di scadenza.
La validità del certificato può variare da 3 a 5 anno, in base ai vari enti di certificazione, ed è subordinata al risultato degli audit di sorveglianza annuali e alle ri-certificazione del Sistema di Gestione Halal.
Ogni ente di certificazione presenterà il proprio disciplinare e le proprie linee guida sulla base dei quali le aziende che intendono certificarsi dovranno adeguare i propri sistemi di produzione.
Nella pratica, per ottenere la certificazione, le aziende dovranno rivedere i propri fornitori, garantire l'assenza di sostanze non conformi e la separazione delle linee produttive nel tempo e/o nello spazio, rispettare il principio di non contaminazione, assicurare la tracciabilità all'interno e all'esterno dell'azienda e la formazione degli operatori di filiera, oltre alla corretta etichettatura ed il corretto utilizzo del logo conforme alle normative che regolano i marchi privati (Summo, 2016).
Nello specifico, la revisione dei fornitori risulta necessaria in quanto tutte le materie prime in ingresso, packaging compreso, dovranno essere certificati e quindi conformi agli standard Halal, ovviando in tal modo alla presenza di sostanze non conformi nella produzione. La separazione delle linee produttive nel tempo e/o nello spazio è necessaria al fine di garantire che le sostanze Halal non vengano in contatto con sostanze Haram, diventando tali e questo viene messo in evidenza da principio di non contaminazione (Summo, 2016). Per tale motivo, gli strumenti, gli utensili, le apparecchiature e le linee produttive impiegate nella produzione di prodotti Haram non dovrebbero essere impiegati nella produzione di prodotti Halal. In caso ciò non sia possibile, è opportuno predisporre un'adeguata sanificazione, a base di prodotti non alcolici (l'etanolo è infatti considerato
Haram), prima di procedere alla produzione Halal, che è solitamente svolta come prima
produzione della giornata. Gli operatori di filiera dovranno aver seguito corsi di formazione e aggiornamenti periodici sulle procedure Halal e dovranno essere muniti di una divisa da indossare esclusivamente durante la produzione Halal. Tra questi figurano anche i trasportatori delle materie prime in entrata e dei prodotti finiti in uscita.
essere garantita l'identificazione dei prodotti, delle materie prime, degli ingredienti e dei semilavorati in azienda, così come delle aree e delle linee ad essi adibite. A tale scopo deve essere predisposta la cartellonistica di segnalazione aziendale (tramite cartelli forniti all'utente all'avvio dell'iter di certificazione), riferita a luoghi, aree, contenitori, impianti (es. aree di stoccaggio, aree di transito, parti di processo, utensili, ecc.) dedicati alla lavorazione e/o stoccaggio di ingredienti semilavorati coinvolti in produzioni certificate, ovvero dedicati ai prodotti finiti certificati, come di seguito riportato:
• cartello di colore verde, recante il logo dell'ente di certificazione assegnato alle aree di magazzino e/o parti di processo dedicate ai prodotti Halal;
• cartello di colore giallo, recante il logo dell'ente di certificazione assegnato, per le aree di magazzino e/o parti di processo dove si presenta la coesistenza tra prodotti
Halal e non, che indica agli operatori la necessità di effettuare un'accurata
sanificazione prima di ogni produzione Halal (es. ingressi/uscite area di produzione, ingressi/uscite magazzini, ecc.);
• cartello di colore rosso con la scritta “NON HALAL “ per le aree di magazzino e/o parti di processo dedicate ai prodotti non Halal (es. area magazzino materie prime e prodotti finiti non approvati dell'ente di certificazione).
3. I DRIVERS ALLA BASE DELLA CERTIFICAZIONE HALAL
Negli ultimi anni alcuni ricercatori hanno cercato di comprendere i driver alla base dell'implementazione dello standard Halal nel Food. I driver sono le motivazioni o gli incentivi che spingono le organizzazioni aziendali ad adottare determinati concetti, approcci o strategie per raggiungere l'obiettivo dell'organizzazione (Hoffman, 2001). È possibile classificare i driver per la certificazione Halal nel settore Food in fattori interni ed esterni (Forman & Hunt, 2005). I fattori interni indicano che le motivazioni o le limitazioni provengono dall'interno di un'organizzazione aziendale, mentre i fattori esterni indicano l'influenza degli elementi esterni all’organizzazione.
3.1 Fattori esterni
Per quanto riguarda i fattori esterni, le ricerche svolte negli ultimi anni hanno sottolineato l'importanza del contesto socio-demografico: l'aumento della popolazione musulmana e il suo crescente potere d'acquisto, hanno determinato una crescente domanda del mercato globale (Zailani et al., 2015). Anche l'aumento dell'orientamento aziendale Halal in diversi settori economici (ad es. settori bancario, turistico, finanziario e assicurativo) può, secondo
De Boni & Forleo (2019) ampliare il mercato Halal globale e favorirne lo sviluppo.
Allo stesso tempo, la certificazione Halal può influenzare l'espansione della quota di mercato (Talib et al. 2016; Noordin et al., 2009; Noordin et al., 2014) e mantenere o migliorare la fiducia dei clienti (Marzuki et al., 2012; Aziz & Chok, 2013; Noordin et al.,
2009; Fischer, 2012). Infatti, come accennato precedentemente, la certificazione Halal può
garantire al consumatore il mancato utilizzo negli alimenti di molti additivi (Di Foggia et
al., 2011). Quanto detto, trova accordo con la teoria di Nawi & Nasir (2014) e Zailani et al. (2015), che sostengono come la certificazione Halal promuova fiducia e soddisfazione tra i propri consumatori; al contrario, De Boni & Forleo (2019) asseriscono che i consumatori musulmani siano profondamente influenzati dal contatto faccia a faccia con i venditori.
Infine, Bottoni (2020) sottolinea come la commerciabilità del prodotto dipenda dalla credibilità dell'ente che lo certifica.
Oltre alla domanda del mercato, la concorrenza è un importante fattore esterno, che determina l'adozione della certificazione tra le aziende alimentari. L'intensità competitiva con altre aziende, in termini di prezzo, disponibilità tecnologica e innovazione, può spingere le aziende ad adottare standard Halal (Zakaria et al., 2010). Le aziende alimentari adottano la certificazione per differenziare i loro prodotti dalla concorrenza e ottenere profitti (Zailani et al., 2015) e ciò, trova conferma nello studio di Di Foggia et al. (2011), che mostra implicitamente come le aziende credano nell'esistenza di una nicchia di mercato
Halal in cui l'utente è disposto a pagare di più per un prodotto.
Al contempo, De Boni & Forleo (2019) sostengono che la competitività e il potere contrattuale di acquirenti e venditori possano limitare le strategie Halal delle aziende alimentari.
Diversi autori (Chen et al., 2015; Escanciano & Santos-Vijande, 2014; Fernando et al.,
2014; Sampaio et al., 2009,Ngah et al., 2014; Zailani et al., 2015; Soltanian et al., 2016)
hanno stabilito che il sostegno del governo o di un organo clericale musulmano (es. Majelis Ulama Indonesia) (Sudarmiatin et al., 2020) sono motivazioni esterne significative per implementare gli standard Halal nell’alimentare. Il sostegno del governo, collegato alle politiche, ai regolamenti e agli incentivi, come sovvenzioni, finanziamenti, formazione e consultazione, è uno dei 15 fattori più rilevanti che possono essere correlati alla certificazione Halal (Talib et al., 2015). In aggiunta, come rilevato da Khan et al. (2018), la mancanza di sostegno del governo rappresenta una barriera per la certificazione. Infine, si rilevano barrire allo sviluppo della certificazione attribuibili ad un sistema di
governance Halal debolmente istituzionalizzato e spesso organizzato privatamente (Kurth & Glasbergen, 2017). Da segnalare fra tali barriere: la debole applicazione e la scarsa
conformità al logo Halal, la mancanza di infrastrutture per il prodotto, la scarsità di professionisti per la certificazione, la mancanza di organismi di certificazione accettati a livello globale e l’assenza di collaborazione tra di loro (Khan et al., 2018).
3.2 Fattori interni
Tra i driver interni, gli autori hanno riscontrato i vantaggi per il business. I risultati emersi dallo studio di Talib & Chin (2017) sono coerenti con quelli di Chen et al. (2015),
Escanciano & Santos-Vijande (2014), Kafetzopoulos & Gotzamani (2014), Macheka et al. (2013), Karaman et al. (2012) e Mensah & Julien (2011) e dimostrano come
l'implementazione della certificazione alimentare, influenzi positivamente le prestazioni operative. Allo stesso tempo, la performance operativa genera un contributo significativo alla performance finanziaria.
Un'azienda alimentare sceglierà una strategia di orientamento Halal solo se spinta da un incremento di redditività (Zailani et al., 2015); ciò è in linea con Bhushanam (2012) che propone l'esistenza delle imprese esclusivamente per il bene dell'interesse economico piuttosto che per la realizzazione di un insieme di valori sociali o etici.
Oltre ai vantaggi aziendali previsti, l'integrità Halal si è dimostrata un importante motore interno dell'implementazione della certificazione. L'integrità Halal si riferisce all'affidabilità del concetto Halal, in particolare ad accuratezza, coerenza e affidabilità del contenuto, del processo e del sistema Halal (Nayar, 2004; Solomon & Hanson, 1983).
Geijn (2005) ha sottolineato come l'integrità sia l'aspetto più importante e significativo per
riconoscere le credenziali della strategia operativa nelle aziende alimentari Halal.
Per un'azienda che decide di iniziare o implementare la certificazione, produrre alimenti conformi al concetto di integrità Halal, significa acquisire nuove competenze, gestire tutta la catena di produzione (dai fornitori di materie prime ai partner logistici), studiare il processo produttivo, riorganizzare il flusso produttivo e la logistica interna. Di Foggia et
al. (2011) mettono in evidenza come la gran parte delle aziende prese in esame, al posto di
sviluppare nuovi concept pensati appositamente per i consumatori musulmani, prova semplicemente a riprodurre i prodotti italiani senza ingredienti o eliminando i processi considerati Haram.
Sudarmiatin et al. (2020) indicano come requisito, essenziale all'integrità Halal, la
disponibilità ad una produzione standardizzata.
In questo ambito, è fondamentale sottolineare come alcune barriere allo sviluppo della certificazione Halal siano rappresentate dalla mancanza di una chiara comprensione dei problemi Halal e sull'impiego degli additivi in questi prodotti, ma anche dalla mancanza di ricerca e sviluppo nell'area della commercializzazione (Khan et al., 2018).
Analizzando diversi studi (Bonne & Verbeke, 2008; Zakaria & Abdul-Talib, 2010) è possibile trovare un altro driver interno della certificazione: la responsabilità sociale. Infatti, l'interesse per l'implementazione della certificazione non dovrebbe derivare solo da imposizioni e incentivi esterni, ma ci si aspetta che provenga da un senso interno di responsabilità di un'azienda nei confronti della società per quanto riguarda il consumo di cibo conforme ai requisiti Halal. L’interesse è quindi subordinato all'accettazione della certificazione Halal (Sudarmiatin et al., 2020). Tuttavia, questo risultato non è in linea con
Bhushanam (2012) che, come già riportato in precedenza, propone l'esistenza delle
imprese esclusivamente per il bene dell'interesse economico piuttosto che per la realizzazione di un insieme di valori sociali o etici.
Tra i fattori interni vi sono anche l'intensità imprenditoriale connessa al grado di imprenditorialità, sebbene abbia un ruolo minore nel motivare le imprese a implementare lo standard (Talib et al., 2015). L'intensità imprenditoriale si riferisce al grado di imprenditorialità o al livello di impegno negli sforzi imprenditoriali dimostrato da un'azienda (Selz, 1992; Morris & Sexton, 1996; Liao & Welsch, 2004). Sebbene Talib et
al., 2015 attribuiscano a questo fattore interno un ruolo minore, sono molti gli autori (Ali et al., 2017; Zailani et al., 2015; Zulfakar et al., 2014) che etichettano come barriera allo
sviluppo della certificazione, i problemi di intensità e integrità imprenditoriale.
De Boni e Forleo (2019) evidenziano come i principali punti di debolezza riscontrati dalle
aziende, in particolare piccole e medie imprese (PMI), che decidono di orientarsi alla produzione Halal, siano rappresentati da mancanza di informazioni, conoscenza e formazione, gestione integrata della catena di fornitura, impegno del top management, risorse finanziarie e capitale umano.
4. METODOLOGIA DI RICERCA
4.1 Il caso studio
La raccolta dei dati è stata effettuata a novembre 2020 somministrando per e-mail un questionario a un campione di aziende con certificazione Halal (in tutto 101).
Il campione è stato ottenuto selezionando aziende con certificazione Halal nel settore alimentare (collegate alla produzione di alimenti di origine animale) dai siti web degli enti di certificazione Halal impegnati sul territorio nazionale. I questionari sono stati distribuiti per e-mail, successivamente ad un primo contatto in cui si chiedeva alle aziende la disponibilità nel visualizzare il questionario e compilarlo. Le aziende che non hanno dato risposta alla prima e-mail, sono state contattate telefonicamente la settimana successiva per appurare che la stessa fosse stata ricevuta regolarmente. Questa operazione è stata effettuata anche quando, in caso di consenso e successivamente all'invio del questionario, l'azienda non abbia provveduto nell'arco della settimana successiva ad inoltrarlo nuovamente compilato. La raccolta dei dati è stata interrotta quando l'informatore dichiarava di aver abbandonato la certificazione. La procedura ha raccolto con successo un totale di 37 interviste (pari a circa il 40% del campione di partenza).
Sono state contattate 101 aziende già certificate Halal per prodotti di origine animale. Di queste 54 hanno risposto al primo contatto: 47 hanno acconsentito all'invio del questionario, 6 hanno dichiarato di aver abbandonato la certificazione e 1 ha preferito non rilasciare informazioni per politica aziendale. Dei 47 questionari inviati, 37 sono tornati compilati, mentre 10 non sono pervenuti, nonostante le aziende siano state sollecitate telefonicamente.
È interessante notare come il 68% delle 37 aziende che hanno dato risposta al questionario, rientrano nel comparto lattiero-caseario, 9 del comparto carni mentre 3 si occupano di altro (uova e gelati).
4.2 Questionario utilizzato
Il questionario utilizzato nell’indagine aveva cinque sezioni (vedi allegato REM): 1) informazioni di base personali e aziendali degli intervistati, 2) driver (fattori interni ed esterni) che influenzano positivamente l'implementazione dello standard Halal, 3) principali cambiamenti ottenuti dopo l'implementazione dello standard Halal, 4) difficoltà incontrate nell'implementazione dello standard Halal, 5) livello di valutazione dell'implementazione dello standard Halal (Kumar et al., 2013).
Per quanto riguarda le sezioni 2), 3) e 4), gli elementi sono stati misurati utilizzando una scala Likert a quattro punti.
La scala Likert nasce nel 1932 ad opera dello psicometrico Rensis Linkert che si pose l'obiettivo di elaborare uno strumento semplice e nuovo per “misurare” opinioni e atteggiamenti.
È una scala di valutazione, tra le più utilizzate nelle indagini di marketing, che utilizza un
Figura 4: Comparto di produzione delle aziende intervistate (Fonte: nostra elaborazione) 68% 24% 8% COMPARTO DI PRODUZIONE COMPARTO LATTIERO-CASEARIO COMPARTO CARNI ALTRO
questionario, costituito da risposte chiuse, precompilate, fornite con opzioni numeriche e verbali, per scoprire le opinioni. Inoltre, essendo costituita da una serie di affermazioni (item) che esprimono i tipi di atteggiamento sui quali si vuole indagare, è ritenuta anche una scala multi item.
Le domande poste con questo metodo offrono ai partecipanti risposte che vanno da un estremo all'altro risultando più efficienti delle risposte binarie, che offrono solo due opzioni di risposta, nell'ottenere feedback precisi.
La scelta tra una scala con numeri pari o dispari è determinata dalla volontà o meno di dare agli intervistati un “out”, un’opzione neutrale con la quale essi possono di fatto non esprimere un’opinione. Solo le scale dispari avranno infatti un punto medio. Nello specifico, è stata utilizzata una scala pari, cercando di non fornire agli intervistati la possibilità di una risposta pigra e veloce che inficerebbe il feedback e i dati raccolti. Tra i vantaggi, attribuibili a questo metodo, figurano il diffuso utilizzo di questa scala, la codifica immediata delle risposte, la somma aritmetica e automatica dei risultati, la semplicità di applicazione e la compatibilità con le tecniche di quantificazione dei dati. Al contrario, la semplicità di utilizzo può rivelarsi uno svantaggio, rendendo il questionario noioso, con i partecipanti che finiranno per rispondere “a caso”. A tal proposito, il questionario dovrà essere “guidato”, andando ad esempio ad invertire la polarità semantica di alcuni item per aumentare la soglia di attenzione dei partecipanti. Inoltre, spesso si manifesta il problema detto acquiescent response set in cui i partecipanti, a prescindere dalla loro opinione, si esprimono “in accordo” (qualtrics.com).
5. RISULTATI DELL'INDAGINE
Dopo aver inquadrato brevemente il campione delle aziende oggetto dello studio, procederemo ad analizzare le principali motivazioni che hanno spinto le aziende a certificarsi, le modifiche che hanno dovuto attuare, le principali difficoltà riscontrate, concludendo con un focus sul livello di soddisfazione aziendale per aver intrapreso questo percorso di certificazione.
Le aziende in questione risultano prevalentemente certificate Halal da più di 5 anni, 9 sono quelle che hanno ottenuto la certificazione da 3 a 5 anni fa, mentre sono solo 4 quelle che si sono certificate da meno di 3 anni. Nel complesso 4 aziende non indicano da quanto hanno ottenuto la certificazione, ma è interessante notare come, al contrario di quanto atteso, il campione in questione non evidenzi una crescita importante delle aziende certificate negli ultimi anni.
Figura 5: Anno di ottenimento della certificazione Halal delle aziende intervistate
(Fonte: nostra elaborazione)
< 3 anni 3-5 anni > 5 anni NON INDICATO 0 5 10 15 20 25 4 9 20 4 ANNO DI OTTENIMENTO DELLA CERTIFICAZIONE HALAL
N ° A Z IE N D E
Per quanto concerne gli enti di certificazione, Halal Italia e Halal International Autority, i due principali enti di certificazione Halal riconosciuti all'estero ed operanti sul territorio nazionale, registrano nel complesso il 65% delle adesioni, con 12 aziende ciascuna. Segue World Halal Autority con 5 adesioni, mentre sono 4 le aziende che risultano certificate con enti minori e 5 non indicano il proprio ente di certificazione nell'intervista. Nel grafico risultano 38 voti anziché 37 in quanto un'azienda risulta certificata con due enti diversi.
Figura 6: Ente di certificazione delle aziende intervistate (Fonte: nostra elaborazione)
H.I. H.I.A. W.H.A ALTRO NON INDICATO 0 2 4 6 8 10 12 14 12 12 5 4 5 ENTE DI CERTIFICAZIONE N ° A Z IE N D E C E R TI F IC A T E
I prodotti Halal trovano maggiore collocazione all'estero piuttosto che sul territorio nazionale, con prevalenza per i Paesi extra UE. Tra le destinazioni più frequenti spiccano i Paesi Arabi, Singapore e talvolta l'Asia, mentre a livello europeo le merci sono indirizzate quasi esclusivamente a Francia e Germania. Sette aziende non hanno indicato il loro mercato di vendita (anche perché avevano ottenuto da poco tempo la certificazione e non avevano ancora uno specifico mercato di riferimento) ed altre presentano più di un mercato di vendita, producendo sia per l'Italia che per l'estero (sia a livello di UE che di extra UE).
Figura 7: Mercato di vendita dei prodotti delle aziende intervistate (Fonte: nostra elaborazione) ITALIA UE EXTRA UE 0 5 10 15 20 25 14 11 23
MERCATO DI VENDITA DEI PRODOTTI CERTIFICATI HALAL
N °A Z IE N D E
Figura 8: Motivi che hanno spinto a certificarsi le aziende intervistate (Fonte: nostra elaborazione)
RICHIESTA DEL MERCATO PRESENZA DI UNA FORTE COMPETITIVITÀ INCENTIVAZIONE DA PARTE DELLO STATO RESPONSABILITÀ SOCIALE BENEFICI DI BUSINESS VALORIZZAZIONE DEGLI SFORZI AZIENDALI ACQUISIZIONE DI AFFIDABILITÀ NON SONO IN GRADO DI DIRLO NON VOGLIO ESPRIMERMI RISPOSTA NON DATA
0 5 10 15 20 25 30 35 32 3 0 2 17 5 3 0 0 0
QUALI MOTIVI HANNO PORTATO ALLA CERTIFICAZIONE HALAL
N° CONSENSI
Figura 9: Influenza di tali motivi nell'ottenimento della certificazione (Fonte: nostra elaborazione)
RICHIESTA DEL MERCATO PRESENZA DI UNA FORTE COMPETITIVITÀ
RESPONSABILITÀ SOCIALE
BENEFICI DI BUSINESS
VALORIZZAZIONE DEGLI SFORZI AZIENDALI ACQUISIZIONE DI AFFIDABILITÀ 1 2,5 4 3,78 2,67 3 3 3 2,67
Le aziende sono spinte a certificarsi quasi esclusivamente da una crescente richiesta di mercato e da prospettive di business legate all'incremento delle vendite. La richiesta di mercato viene indicata dall'86% delle aziende come motivo trainante nello scegliere questo tipo di certificazione e questo viene confermato dal punteggio medio di 3,78 attribuito dalle aziende su una scala da 1 a 4 sulla base di quanto, il fattore in questione, abbia influito sull'ottenimento della certificazione. I benefici di business sono stati indicati tra i motivi che hanno portato alla certificazione dal 46% delle aziende, con un punteggio medio di 3,00. Le altre voci, seppur con punteggi medi abbastanza elevati, sono state indicate sporadicamente tra le motivazioni che hanno spinto l'azienda a certificarsi Halal. La valorizzazione degli sforzi aziendali è stata indicata da più del 13% delle aziende, seguono la presenza di una forte competitività e l'acquisizione di affidabilità, entrambe ritenute motivo di certificazione dall’8% delle aziende; la responsabilità sociale ha ottenuto invece solo il 5% dei consensi. Nessuna delle aziende in questione ha indicato, tra i motivi determinanti l'ottenimento della certificazione, l'incentivazione da parte dello stato.
Figura 10: Principali modifiche attuate per certificarsi (Fonte: nostra elaborazione)
ADEGUAMENTO DELLE RISORSE MATERIALI ADEGUAMENTO DELLE RISORSE UMANE ORGANIZZAZIONE DI ATTIVITÀ DI FORMAZIONE CAMBIAMENTO/ADEGUAMENTO FORNITORI SUPPORTO DI CONSULENZE ESTERNE NON SONO IN GRADO DI DIRLO NON VOGLIO ESPRIMERMI RISPOSTA NON DATA
0 5 10 15 20 25 18 4 20 20 4 3 0 1
QUALI SONO STATE LE PRINCIPALI MODIFICHE ATTUATE A SEGUITO DELLA CERTIFICAZIONE
N° CONSENSI
Figura 11: Influenza delle modifiche nell'ottenimento della certificazione (Fonte: nostra elaborazione)
ADEGUAMENTO DELLE RISORSE MATERIALI
ADEGUAMENTO DELLE RISORSE UMANE
ORGANIZZAZIONE DI ATTIVITÀ DI FORMAZIONE CAMBIAMENTO/ADEGUAMENTO FORNITORI SUPPORTO DI CONSULENZE ESTERNE 1 2,5 4 3,17 3,00 2,95 3,35 3,00
Vengono indicate tra le principali modifiche apportate al fine di ottenere la certificazione
Halal: l'organizzazione delle attività di formazione, il cambiamento/adeguamento dei
fornitori e l’adeguamento delle risorse materiali. Entrambe le prime due sono state segnalate dal 54% delle aziende, mentre la terza ha ricevuto il consenso dal 49% delle aziende. Su una scala da 1 a 4, è il cambiamento/adeguamento dei materiali ad influire maggiormente sulle modifiche apportate, con un valore medio di 3,35, seguito dall'adeguamento delle risorse materiali con 3,17 e l'organizzazione delle attività di formazione con 2,95.
L'adeguamento delle risorse umane ed il supporto di consulenze esterne sono stati entrambi indicati tra le modifiche apportate dall'11% delle aziende, con un punteggio medio di 3,00 su una scala di valutazione da 1 a 4. Infine, 3 aziende (8%) non sono in grado di dire quali siano le principali modifiche attuate a seguito della certificazione e una non ha indicato alcuna risposta per la domanda in questione.
Nel complesso, il 73% delle aziende hanno ritenuto utile ottenere la certificazione Halal. Di queste, il 38% lo ha reputato semplice ed utile mentre il 35% lo ha giudicato utile ma faticoso. Le restanti aziende (24%) hanno dichiarato semplice ma poco utile ottenere la certificazione in questione ad eccezione di una che non è stata in grado di esprimersi.
Figura 12: Giudizio sull'ottenimento della certificazione (Fonte: nostra elaborazione)
38%
35%
24% 3%
OTTENERE LA CERTIFICAZIONE È STATO
SEMPLICE ED UTILE FATICOSO MA UTILE SEMPLICE MA POCO UTILE
FATICOSO E INUTILE NON SONO IN GRADO DI DIRLO
Figura 12: Difficoltà incontrate dalle aziende intervistate nel certificarsi (Fonte: nostra elaborazione)
NESSUNA DIFFICOLTÀ TEMPI LUNGHI DI ADEGUAMENTO COSTI ELEVATI DI IMPLEMENTAZIONE COSTI ELEVATI PER LA CERTIFICAZIONE DIFFICOLTÀ DI IMPLEMENTAZIONE DEI REQUISITI OSTILITÀ INTERNE DA PARTE DEL PERSONALE NON SONO IN GRADO DI DIRLO NON VOGLIO ESPRIMERMI
0 2 4 6 8 10 12 14 16 5 8 5 15 4 2 7 2
QUALI DIFFICOLTÀ HA INCONTRATO NELL’OTTENIMENTO DELLA CERTIFICAZIONE HALAL
N° CONSENSI
Figura 13: Influenza delle difficoltà riscontrate nell'ottenimento della certificazione
(Fonte: nostra elaborazione)
TEMPI LUNGHI DI ADEGUAMENTO
COSTI ELEVATI DI IMPLEMENTAZIONE
COSTI ELEVATI PER LA CERTIFICAZIONE DIFFICOLTÀ DI IMPLEMENTAZIONE DEI REQUISITI OSTILITÀ INTERNE DA PARTE DEL PERSONALE 1 2,5 4 3,38 2,40 2,87 2,75 2,50
QUANTO HANNO INFLUITO TALI DIFFICOLTÀ (ESPRIMERE UN PUNTEGGIO DA 1 A 4)
Poco più del 13% delle aziende dichiarano di non aver riscontrato difficoltà nell'ottenimento della certificazione; il 19% non sono in grado di esprimersi in merito a questa domanda, mentre il 5% preferisce non farlo. Il restante 63% dichiara di aver incontrato difficoltà nell'ottenimento della certificazione, difficoltà riscontrate principalmente negli elevati costi per la certificazione (40% delle aziende) e nei lunghi tempi di adeguamento (22%); seguono, in ordine di consensi, gli elevati costi di implementazione (13%), la difficoltà nell'implementazione dei requisiti (11%) e le ostilità interne da parte del personale (5%). In merito al livello d'influenza di tali difficoltà, la lunghezza dei tempi di adeguamento fa registrare il punteggio medio più elevato 3,38 su 4, seguito dagli elevati costi di certificazione con 2,87, dalla difficoltà ad implementare i requisiti con 2,75, dalle ostilità interne da parte del personale con 2,50 e dagli elevati costi di implementazione con 2,40 punti medi.
In conclusione, ad oggi, il giudizio complessivo sulla certificazione Halal è di piena soddisfazione per il 30% delle aziende; il 19% sostengono di essere moderatamente soddisfatte, il 27% sono soddisfatte solo sufficientemente ed il 13% si dichiarano deluse, mentre l'11% ritengono di non essere in grado di esprimersi su questa domanda.
Figura 14: Giudizio complessivo delle aziende intervistate sulla certificazione Halal
(Fonte: nostra elaborazione) 30%
19% 27%
14% 11%
IL GIUDIZIO COMPLESSIVO SULLA CERTIFICAZIONE HALAL È OGGI
DI PIENA SODDISFAZIONE DI MODERATA SODDISFAZIONE DI SUFFICIENTE SODDISFAZIONE DI DELUSIONE
NON SONO IN GRADO DI DIRLO
6. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
La popolazione musulmana mondiale è in costante crescita (Chahed el Ouazzani, 2020) e con questa anche il mercato alimentare Halal (Cascino, 2017), che presenta ottime prospettive future in Europa (Amicarelli et al., 2014) anche grazie al turismo islamico, previsto in crescita nei prossimi anni (World Tourism Organization, 2017). Si stima infatti che nel 2030, la presenza musulmana in Italia raggiungerà quasi 3,6 milioni (6,2% della popolazione totale). Nonostante il costante sviluppo, attualmente l'offerta dei prodotti
Halal all'interno dell'UE è maggiore della domanda e ciò comporta un cambio delle
destinazioni finali dell'export italiano ed europeo e una crescita dei profitti nel mercato extra UE (Amicarelli et al., 2014).
In tale contesto, nel quale le aziende vedono la certificazione Halal come un'opportunità per incrementare il volume delle vendite e del fatturato (De Boni & Forleo, 2019), si inserisce il caso studio oggetto del presente lavoro di tesi.
A conferma di un mercato indirizzato prevalentemente sull'export (Amicarelli et al., 2014), le aziende intervistate risultano essere certificate prevalentemente con Halal Italia e Halal International Autority, i due enti maggiormente riconosciuti all'estero.
In accordo con Bhushanam (2012), le aziende si certificano, quasi esclusivamente, per ottenere vantaggi economici e non per motivi etici e culturali; inoltre, lo studio non mette in evidenza alcuna azienda che si sia certificata in seguito a sostegni governativi e questo in accordo con Khan et al. (2018) può rappresentare una barriera allo sviluppo della certificazione sul territorio nazionale.
L'adeguamento della filiera di produzione richiede, essenzialmente, materie prime certificate, per cui sono necessari fornitori conformi agli standard Halal e l'attuazione di accorgimenti nelle fasi di produzione al fine di evitare la contaminazione con sostanze non
Halal che comprometterebbero l'integrità del prodotto. Per questo si rende necessario
separare nello spazio e/o nel tempo la produzione di prodotti Halal da quelli non Halal, oltre ad un'adeguata formazione degli operatori di filiera.
L'iter di certificazione non viene valutato come difficile dalle aziende intervistate sebbene in molte ritengano eccessivi i costi annessi alla certificazione e troppo lunghi i tempi burocratici necessari all'ottenimento della stessa.
A dispetto di una popolazione musulmana in forte crescita e di un mercato in sviluppo, l'abbandono della certificazione da parte di 6 aziende (11,1 % delle aziende intervistate), risulta essere un dato significativo. Di queste, chi ha motivato tale scelta, ha dichiarato che i benefici attesi dalla certificazione sono stati sotto le attese, ma c'è anche chi ha abbandonato in seguito alla pandemia Covid, non ritenendo utile il rinnovo della stessa, in questo difficile periodo storico.
Da sottolineare che il caso studio realizzato presenta alcune limitazioni.
Per prima cosa confronta i risultati delle aziende alimentari che si trovano in una fase diversa di certificazione (alcune hanno appena iniziato a ottenere la certificazione e non hanno ancora iniziato a vendere prodotti), rendendo per vari aspetti difficile il confronto. Inoltre, questo studio ha utilizzato un campione di indagine limitato alle aziende Halal italiane reperite in rete sulle pagine web dei principali enti di certificazione. Infatti alcuni di certificazione non rendono questi dati accessibili e non si dimostrano disponibili nel condividerli. In alcuni casi, queste aziende hanno dichiarato di non avere tempo, dato il periodo storico che stiamo vivendo a causa della pandemia e per la prossimità alle feste natalizie, per rispondere al questionario; in altri casi la persona che ha risposto al questionario ha dichiarato di non avere competenze specifiche sul processo di certificazione Halal all'interno dell'azienda e quindi non ha potuto rispondere a tutte le domande del questionario, in particolare a quelle relative alle principali modifiche attuate a seguito della certificazione e alle difficoltà incontrate nell'ottenimento della stessa.
Pur di fronte a tali limitazioni, questo studio contribuisce ad incrementare la conoscenza sui fattori che motivano le aziende alimentari ad andare verso la certificazione Halal, in particolare quelle nazionali, per le quali non esistono lavoro analoghi. Le informazioni raccolte possono essere utili ai responsabili politici e alle altre imprese alimentari per capire come muoversi nel mondo della certificazione. Riconoscere i drivers esterni legati alla certificazione aiuterà i responsabili politici ad adattare le loro strategie e politiche per motivare l'implementazione della certificazione Halal tra le aziende alimentari. Inoltre, la
comprensione dei drivers interni potrà aiutare i manager delle imprese ad implementare con successo la certificazione Halal nelle loro aziende, ottenendo un vantaggio competitivo sui rivali nazionali e internazionali. Allo stesso tempo, il quadro concettuale del presente studio e lo strumento metodologico utilizzato potrebbe rappresentare una base per studi futuri sulla gestione delle certificazioni Halal.
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