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L’emergenza sanitaria da Covid-19 tra codici ATECO e sistemi di relazioni industriali: una questione di metodo

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(1)

Welfare e lavoro nella

emergenza epidemiologica

Contributo sulla nuova questione sociale

a cura di

Domenico Garofalo, Michele Tiraboschi,

Valeria Filì, Francesco Seghezzi

Volume V

Le sfide per le relazioni industriali

a cura di

Michele Tiraboschi, Francesco Seghezzi

ADAPT

LABOUR STUDIES

e-Book series

(2)

ADAPT LABOUR STUDIES E-BOOK SERIES

ADAPT – Scuola di alta formazione in relazioni industriali e di lavoro

DIREZIONE

Domenico Garofalo (direttore responsabile)

COMITATO SCIENTIFICO

Marina Brollo Laura Calafà Guido Canavesi

Paola M.T. Caputi Jambrenghi Daniela Caterino

Marco Esposito Valeria Filì Enrico Gragnoli Paolo Gubitta

Vito Sandro Leccese Valerio Maio Enrica Morlicchio Alberto Pizzoferrato Simonetta Renga Michele Tiraboschi Anna Trojsi Lucia Valente SEGRETERIA DI REDAZIONE

Laura Magni (coordinatore di redazione) Maddalena Magni

Pietro Manzella (revisore linguistico)

ADAPT University Press via Garibaldi, 7 – 24122 Bergamo

indirizzo internet ADAPT University Press indirizzo e-mail: aup@adapt.it

I volumi pubblicati nella presente collana sono oggetto di double blind peer review,

se-condo un procedimento standard concordato dalla Direzione della collana con il Comitato scientifico e con l’Editore, che ne conserva la relativa documentazione.

(3)

Welfare e lavoro nella

emergenza epidemiologica

Contributo sulla nuova questione sociale

a cura di

Domenico Garofalo, Michele Tiraboschi,

Valeria Filì, Francesco Seghezzi

Volume V

Le sfide per le relazioni industriali

a cura di

(4)

Welfare e lavoro nella emergenza epidemiologica

Contributo sulla nuova questione sociale

Volume I. Covid-19 e rapporto di lavoro a cura di Valeria Filì

ISBN 978-88-31940-40-5 - Pubblicato il 18 dicembre 2020

Volume II. Covid-19 e sostegno alle imprese e alle pubbliche amministrazioni a cura di Domenico Garofalo

ISBN 978-88-31940-41-2 - In corso di pubblicazione Volume III. Covid-19 e sostegno al reddito

a cura di Domenico Garofalo

ISBN 978-88-31940-42-9 - In corso di pubblicazione Volume IV. Scuola, università e formazione a distanza a cura di Michele Tiraboschi, Francesco Seghezzi

ISBN 978-88-31940-43-6 - Pubblicato il 18 dicembre 2020 Volume V. Le sfide per le relazioni industriali

a cura di Michele Tiraboschi, Francesco Seghezzi

ISBN 978-88-31940-44-3 - Pubblicato il 18 dicembre 2020

© 2020 ADAPT University Press – Pubblicazione on-line della Collana ADAPT Registrazione n. 1609, 11 novembre 2001, Tribunale di Modena

(5)

Volume V.

LE SFIDE PER LE RELAZIONI INDUSTRIALI

a cura di Michele Tiraboschi e Francesco Seghezzi

INDICE

Solidarietà e sostenibilità: il diritto del lavoro e della sicurezza sociale alla prova della pandemia da Covid-19 di Domenico Garofalo, Michele Tiraboschi, Valeria Filì e

Francesco Seghezzi ... XIV

L’emergenza sanitaria da Covid-19 tra codici ATECO e sistemi di relazioni

indu-striali: una questione di metodo di Michele Tiraboschi ... 1 La comunicazione politica e istituzionale nella gestione della emergenza da

Covid-19: una prospettiva di relazioni industriali di Francesco Nespoli ... 27 Codici ATECO e chiusura delle attività produttive non essenziali: prima analisi

degli impatti sulla struttura del mercato del lavoro di Francesco Seghezzi ... 46 Il sistema delle fonti alla prova della emergenza sanitaria: una prospettiva

giuslavo-ristica e di relazioni industriali di Emanuele Dagnino ... 62 Autonomia collettiva e ammortizzatori sociali per il Covid-19 di Giovanni

Piglialar-mi, Silvia Spattini, Francesco Lombardo, Giacomo Nascetti e Andrea Zoppo ... 71 Ruolo della contrattazione collettiva nel ricorso al welfare aziendale per

fronteggia-re le conseguenze dell’emergenza Covid-19 di Michele Dalla Sega e Silvia Spattini ... 126 Covid-19: le problematiche di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro tra

proto-colli condivisi e accordi aziendali di Giada Benincasa e Michele Tiraboschi ... 146 Misure di contrasto al Covid-19, contrattazione collettiva e tutela della privacy di

Valerio Marini ... 196

(6)

L’emergenza sanitaria da Covid-19 tra

codici ATECO e sistemi di relazioni industriali:

una questione di metodo

di Michele Tiraboschi

Abstract – L’emergenza sanitaria ha accelerato alcuni mutamenti sociali in atto nel mondo del lavo-ro portandoci definitivamente dentlavo-ro la “società del rischio” teorizzata sul volgere del secolo scorso da Ulrich Beck. La razionalità giuridica che ha costruito l’ordine economico e sociale del Novecento industriale ne è uscita definitivamente compromessa. Il contributo evidenzia, al riguardo, la tenden-za a leggere il rischio attraverso una razionalità tecnico scientifica che agevola non solo una fuga dalle responsabilità ma anche una errata contrapposizione tra la razionalità scientifico-sanitaria e quella economica. Ponendo queste considerazioni come sfondo, l’analisi vuole approfondire le mi-sure restrittive della libertà di impresa e del lavoro messe in atto per il contenimento della diffusione del virus, andando ad indagare il metodo con il quale sono stati presi tali provvedimenti, i quali hanno mostrato fin da subito di non essere in grado di recepire i molteplici spunti provenienti dal mondo delle relazioni industriali. Un esempio della difficoltà della razionalità normativa nel rispon-dere in maniera efficace alla situazione nella quale si trovavano imprese e sindacati, è costituita dalla scelta di utilizzare un metodo basato sui codici ATECO. L’individuazione dei settori considerati esenti dai provvedimenti restrittivi attraverso questa classificazione, ha di fatto scontentato sia il lato datoriale – che avrebbe preferito uno strumento meno restrittivo e adattabile – sia il lato sindacale che riteneva l’elenco dei settori esenti troppo esteso. Tale classificazione della economia non rispec-chia tuttavia quella nuova geografia del lavoro, caratterizzata più da degli ecosistemi territoriali – nei quali vi è una interconnessione tra tutti i soggetti economici – che dalla presenza di categorie mer-ceologiche. Inoltre, viene sottolineato come questa classificazione non dialoghi con l’elemento cen-trale di questi nuovi contesti produttivi: la connettività. Questa errata rappresentazione delle realtà ha, tra i suoi tanti effetti, condotto ad una inefficace lettura anche delle categorie di rischio, lascian-do scoperte moltissime categorie di lavoratori di fronte al rischio generato da questa emergenza. Il contributo ribadisce come la debolezza della classificazione basata sui codici ATECO sia stata tut-tavia compensata dall’apertura a possibili protocolli a livello aziendale che andassero a mitigare il rischio. In conclusione del contributo l’A. affronta il tema della regolazione dei rapporti di lavoro tra codici ATECO e contrattazione collettiva, nel quale risiede la finalità più importante di qualsiasi meccanismo di lettura della realtà economiproduttiva come quello rappresentato dagli stessi co-dici ATECO: la costruzione di una chiave di lettura comune alla razionalità economica e a quella giuridica. In conclusione, il contributo vuole evidenziare come la lezione che la situazione emergen-ziale può fornire è rappresentata principalmente dalla necessità di porre al centro della costruzione di un ponte tra razionalità economica e razionalità giuridica il metodo del diritto delle relazioni in-dustriali, inteso come diritto che nasce dai sistemi di contrattazione collettiva.

Abstract – The emergency caused by the Covid-19 virus has accelerated some of the social changes taking place in the world of work, bringing us definitively towards the “risk society”, theorized at the end of the last century by Ulrich Beck. The legal rationale, which built the economic and social order of the industrial 20th century, has been definitively compromised. The research/paper/ high-lights, in this regard, the tendency to interpret/analyse risk through a technical-scientific

(7)

ra-tionale/reasoning that facilitates not only a move away from responsibilities but also an incorrect contrast between scientific-health and economic rationale/reasoning.

Taking these considerations as a background/Against the backdrop of these considerations, the analysis wants to deepen the method with which the restrictive measures of freedom of enterprise and work for virus containment were decided. These measures have shown from the very begin-ning that they are not able to implement the many ideas coming from the world of industrial rela-tions. An example of this difficulty in responding effectively to the situation in which companies and trade unions found themselves is the choice to use a method based on ATECO codes. The identification of sectors considered to be exempted from restrictive measures through this classifi-cation has in fact disappointed both the employers’ side - which would have preferred a less restric-tive and adaptable instrument - and the trade union side, which considered the list of exempted sec-tors to be too extensive. However, this classification of the economy does not reflect the new geog-raphy of work, characterised more by local ecosystems then by the presence of product categories. Moreover, it is underlined that this classification has little connection with the central element of these new productive contexts: connectivity.

This misrepresentation of realities has also led to an ineffective reading of risk categories, leaving many workers defenceless in the face of the risk generated by this emergency. The research con-firms that the weakness of the ATECO-based classification has been compensated by the openness to possible protocols at company level to mitigate the risk.

The paper concludes by addressing the issue of the regulation of labour relations between ATECO codes and collective bargaining. In ths respect, there is the most important aim of any mechanism for examining the economic-productive reality (such as that represented by ATECO codes them-selves): the construction of a common view key to economic and legal rationale. The lesson that the emergency can provide is mainly represented by the need to use the method of industrial relations law to coordinate economic rationale with legal rationale. It is understood as the law that arises from collective bargaining systems.

Sommario: 1. Posizione del problema. – 2. Tra razionalità giuridica e razionalità economica: le di-sposizioni normative relative alla sospensione delle attività produttive e commerciali e dei ser-vizi pubblici e privati non essenziali. – 3. Codici ATECO, nuova geografia del lavoro, determi-nazione delle categorie di rischio delle attività economiche e produttive. – 4. Segue: la regola-zione dei rapporti di lavoro tra codici ATECO e contrattaregola-zione collettiva. – 5. Per uno studio del diritto delle relazioni industriali.

1. Posizione del problema

“Niente sarà più come prima”. È questo il mantra che ha accompagnato il dibattito pubblico sugli effetti della emergenza di sanità pubblica causata dal Covid-19 (1). In

questa prospettiva si è collocata anche la riflessione scientifica e dottrinale, in Italia come nel resto del mondo, relativa alle conseguenze della pandemia sul mercato del lavoro e sulle regole che lo governano (2).

Avremo certamente modo di verificare già nei prossimi mesi se questa granitica cer-tezza, tanto netta nelle opinioni di molti quanto ancora decisamente vaga negli esiti (1) Con specifico riferimento alle tematiche lavoristiche si veda, per tutti, l’analisi proposta da M.

MASCINI, Cambierà tutto, in Il Diario del Lavoro, 25 aprile 2020.

(2) Per la giuslavoristica italiana si veda, per tutti, B.CARUSO, Tra lasciti e rovine della pandemia: più o

meno smart working?, in RIDL, 2020, n. 2, I, che parla di «cesura storica della pandemia». In ambito internazionale si veda invece G.LICHFIELD, We’re not going back to normal, in MIT Technology Review, 17 marzo 2020.

(8)

finali e soprattutto nelle ricadute pratiche (3), sia destinata a “sgonfiarsi”, una volta

definitivamente terminata la (paura per la) pandemia con un graduale ritorno alla normalità; o se, invece, non siano davvero state poste le premesse per quello che è stato già definito “the new normal” (4), una nuova normalità auspicabilmente migliore

di quella che abbiamo sinora conosciuto nelle nostre economie e nelle nostre società (5). Invero, per chi si occupa delle trasformazioni del lavoro, l’impressione generale è

che l’emergenza sanitaria non abbia fatto altro che accelerare – e anche rendere più nitide all’opinione pubblica e ai decisori politici – alcune tendenze da tempo in atto nel mercato del lavoro e comunemente ricondotte, in letteratura (6), al paradigma

della Quarta Rivoluzione industriale. Tendenze “guidate” non tanto e non solo dagli inevitabili cambiamenti tecnologici (7), secondo una classica chiave di lettura di

ma-trice marxista dei processi economici che tanto ha condizionato la riflessione giusla-voristica anche recente (8), quanto piuttosto dai mutamenti sociali (demografici e

ambientali, in primis) che hanno profondamente trasformato i mercati del lavoro – da declinarsi oggi necessariamente al plurale (9) – e che, come da tempo segnalato,

ca-ratterizzano la nuova modernità nei termini di una “società del rischio” (10). Una

so-cietà che nei fatti, se non ancora nella piena consapevolezza di intellettuali e di quella che potremmo definire nei termini di una “coscienza collettiva”, si colloca decisa-mente già oltre i contraddittori confini concettuali e terminologici del post-industrialismo (11) e rispetto alla quale fenomeni come le pandemie e altre catastrofi

naturali sono tutt’altro che eccezionali o imprevedibili (12).

(3) Fatta eccezione per quanto riguarda l’intensità di utilizzo e la diffusione del c.d. lavoro da remoto

su cui si veda, per tutti e in termini di “the new normal”, A.PENNINGTON, J.STANFORD, Working

from Home: Opportunities and Risks, Australia Institute, Centre for Future Work, 2020, p. 2.

(4) Per tutti si veda A.WINSTON, Is the COVID-19 Outbreak a Black Swan or the New Normal?, in MIT

Sloan Management Review, 16 marzo 2020, cui adde A.LEVENSON, A Long Time Until the Economic New

Normal, ivi, April 10, 2020.

(5) Ma nulla esclude uno scenario in termini peggiorativi e anzi, come sottolinea l’editoriale su

Pan-demia e lavoro che apre il fascicolo n. 2/2020 della rivista LD, «di solito chi prevede il peggio finisce con l’avere ragione». Per una visione ottimistica si veda invece R.CHAINEY, This is how COVID-19

could change the world of work for good (Adam Grant interview), in www.weforum.org, 16 aprile 2020. (6) In tema si veda la riflessione di taglio sociologico (economico e politico) avviata in Italia da F.

SEGHEZZI, La nuova grande trasformazione. Lavoro e persona nella quarta rivoluzione industriale, ADAPT

University Press, 2017, e ivi ampi riferimenti bibliografici, cui adde, per una analisi giuslavoristica, D.

GAROFALO, Lavoro, impresa e trasformazioni organizzative, relazione alle Giornate di studio Aidlass,

Frammentazione organizzativa e Lavoro: rapporti individuali e collettivi, Cassino, 18-19 maggio 2017. In te-ma si vedano anche le questioni sollevate in AA.VV., Lights and shadows of COVID-19, Technology and

Industry 4.0, 2020.

(7) Su cui insiste, nella impostazione del suo ragionamento sulle conseguenze strutturali della

pan-demia, T.TREU, Diritto e politiche del lavoro tra due crisi, in DRI, 2020, n. 2, pp. 235-266.

(8) Ancora attuale G.GIUGNI, Il “Ragionevole Capitalismo” di John R. Commons, in Il Mulino, 1952, n. 12,

spec. p. 680, quando ricorda come, «aderendo alla tesi dello storico britannico G. Unwin», John Commons avesse descritto «la rivoluzione industriale come prodotto del mutamento nei mercati, anziché, secondo la nota tesi marxista, come effetto della trasformazione tecnologica».

(9) Ne ho parlato in M.TIRABOSCHI, Persona e lavoro tra tutele e mercato. Per una nuova ontologia del lavoro

nel discorso giuslavoristico, ADAPT University Press, 2019, pp. 121-125.

(10) D’obbligo il rinvio a U.BECK, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, 2013 (ma

1986).

(11) Tra i primi a parlare di società post-industriale si veda A.TOURAINE, La società post-industriale, Il

(9)

Che quello della società (globale e tecnologica) del rischio sia uno schema interpreta-tivo particolarmente adeguato per ricostruire anche la razionalità giuridica che ha ac-compagnato le problematiche lavoristiche e occupazionali legate al Covid-19 lo di-mostrano almeno due elementi a nostro parere decisivi. Da un lato, una accentuata «politica dirigista di gestione dello stato di emergenza, che nel pericolo amplia le sue possibilità di intervento e le sue competenze» (13) alterando non poco – nel nostro

caso con una serie reiterata di successivi decreti del Presidente del Consiglio dei Mi-nistri e ordinanze assunte dalle istituzioni di governo regionale e locale (14) – il

si-stema delle fonti (15) e gli ordinari meccanismi di bilanciamento tra i diversi valori e

principi costituzionali tra cui il diritto-dovere al lavoro e la libertà di iniziativa eco-nomica privata (16). Questo al punto da far parlare di una sospensione della

Costitu-zione (17) anche su profili non secondari della disciplina lavoristica come i poteri di

controllo e il trattamento dati sensibili dei lavoratori (18) o la verifica dello stato di

salute dei collaboratori (19) (20). Dall’altro lato, una sempre più evidente fragilità della

razionalità tecnico-scientifica nella definizione e nella gestione del rischio (21) – nel

nostro caso il rischio epidemiologico e la relativa emergenza di sanità pubblica – che, più o meno consapevolmente, ingenera una fuga dalla responsabilità decisionale (dell’attore politico) e che, tra la ricerca ossessiva di alibi e capri espiatori, alimenta «post» sia niente altro che «la parola in codice per un disorientamento che si fa moda. Rinvia ad un “oltre” che non si sa nominare» e che tuttavia «resta legato ai contenuti che nomina e nega». Per una prospettiva giuslavoristica si veda già S.SCIARRA, Un diritto del lavoro «post-moderno»?, in AA.VV.,

Pro-spettive del diritto del lavoro per gli anni ‘80. Atti del VII Congresso nazionale di diritto del lavoro. Bari, 23-25 aprile 1982, Giuffrè, 1983, pp. 224-229.

(12) Del rischio pandemie e delle relative tensioni tra salute ed economia si parlava già, in Italia, in

MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI, La vita buona nella società

attiva. Libro Bianco sul futuro del modello sociale, 2009, e, non a caso, risalgono al (settembre) 2009 le prime Raccomandazioni generali ad interim per la riduzione del rischio espositivo in corso di pandemia influenzale nei luoghi di lavoro rese note dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali. In tema si rinvia alla documentazione raccolta in M.GIOVANNONE, M.TIRABOSCHI (a cura di), Pandemia in-fluenzale e valutazione dei rischi nei luoghi di lavoro, Boll. Spec. ADAPT, 2009, n. 11.

(13) Così U.BECK, op. cit., p. 103.

(14) Per una prima ricostruzione del frammentario e contraddittorio quadro normativo

dell’emergenza cfr. il dossier curato da C.DRIGO, A.MORELLI, L’emergenza sanitaria da Covid-19. Normativa, atti amministrativi, giurisprudenza e bibliografia, in Diritti Regionali, 2020, n. 2, pp. 4-130. (15) Si veda infra, in questo volume, E.DAGNINO, Il sistema delle fonti alla prova della emergenza sanitaria:

una prospettiva giuslavoristica e di relazioni industriali.

(16) Si veda per tutti G.SILVESTRI, Covid-19 e Costituzione, in UniCost, 4 aprile 2020.

(17) Per una discussione dei fondamenti teorici e normativi della compatibilità con la Carta

costitu-zionale delle misure di contrasto al rischio pandemico adottate in Italia si veda, per tutti, V.B ALDI-NI, Emergenza costituzionale e Costituzione dell’emergenza. Brevi riflessioni (e parziali) di teoria del diritto, in Di-rittifondamentali.it, 2020, n. 1. In tema si veda anche il richiamo contenuto nel § 6 della Relazione sull’attività della Corte costituzionale nel 2019 del Presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia. (18) Si veda E.DAGNINO, I riflessi della normativa anti-Covid-19 sulla tutela della privacy, nel volume I, sez.

I, di quest’opera.

(19) Si veda il volume I, sez. I, di quest’opera.

(20) Il problema non è solo italiano. Per incisività si veda, seppure con riferimento a un ordinamento

giuridico non facilmente comparabile al nostro in punto di sistema delle fonti del diritto, il contri-buto di K.D.EWING, Covid-19: Government by Decree, in King’s Law Journal, 2020, vol. 31, n. 1, pp.

1-24.

(10)

un pericoloso cortocircuito comunicativo tra la politica e i mass media nella “costru-zione” di una opinione pubblica che a sua volta condiziona, sull’onda della emotività e dell’ultimo sondaggio popolare disponibile, l’alluvionale processo di produzione della normativa emergenziale (22). Normativa che, non a caso, si rivela poi

contrad-dittoria e largamente irrazionale anche a prescindere da una valutazione della fattura tecnico-giuridica dei provvedimenti adottati. Ed in effetti, rispetto alle problemati-che lavoristiproblemati-che e occupazionali della emergenza sanitaria, buona parte del cortocir-cuito decisionale e normativo è stato innescato dall’aver contrapposto frontalmente due pretese di razionalità che sono state messe in concorrenza tra di loro nella co-municazione pubblica e anche in quella politico-sindacale: la razionalità medico-scientifica (a favore della chiusura delle attività produttive) e la razionalità economi-ca (a favore di una loro rapida riapertura). Come se la razionalità economieconomi-ca fosse espressione del mero e brutale interesse al profitto del singolo imprenditore e non di un ben più complesso ordine sociale di convivenza, mediato nelle scelte di interesse e nei conflitti di potere dalla razionalità giuridica e finalizzato, nella sua totalità, alla creazione di valore, benessere, lavoro e mezzi di sussistenza per l’intera collettività. Rispetto a questa linea di ragionamento non interessa ripercorrere in questa sede quello che, con buona probabilità, sarà il tema centrale per la riflessione giuslavori-stica dei prossimi decenni. Vale a dire il nodo della sostenibilità economica e sociale di rischi che impattano su attività produttive e prestazioni lavorative oltre la sfera di responsabilità e di controllo da parte del singolo imprenditore (23) rendendo al

tem-po stesso del tutto inconferente sul piano delle tutele la contraptem-posizione, da temtem-po oggetto di critiche e proposte di superamento (24), tra lavoro autonomo e lavoro

di-pendente (25).

È certamente ancora tutto da dimostrare, sul piano scientifico, un nesso di causalità che, partendo dalla osservazione delle marcate differenze riguardanti la diffusione del Covid-19 nelle diverse aree del Paese, colleghi direttamente gli effetti più deva-stanti della pandemia (in termini di contagi e numero di decessi) al grado di indu-strializzazione e al relativo tasso di inquinamento atmosferico da polveri sottili (26).

Uno studio epidemiologico nazionale promosso dall’Istituto Superiore di Sanità (22) Si veda infra, in questo volume, F.NESPOLI, La comunicazione politica e istituzionale nella gestione della

emergenza da Covid-19: una prospettiva di relazioni industriali.

(23) Il tema è affrontato in un recente studio della Banca Mondiale che analizza i principali fattori di

disruption nel mondo del lavoro e il loro impatto, in termini di rischi, sui tradizionali assetti di prote-zione economica e sociale dei rapporti ordinari di lavoro. Si veda WORLD BANK, Protecting All Risk

Sharing for a Diverse and Diversifying World of Work, 2019, e ivi spec. p. 40 per una scheda di sintesi dei rischi sul lato della domanda e della offerta e dell’intero mercato del lavoro.

(24) Sul ristretto campo di applicazione del tradizionale diritto del lavoro rispetto ai rischi causati

dalla pandemia si veda N.COUNTOURIS, V.DE STEFANO, K.EWING, M.FREEDLAND, Covid-19

crisis makes clear a new concept of ‘worker’ is overdue, in Social Europe, 9 aprile 2020.

(25) In tema, nella prospettiva di tutele universalistiche e tra gli autori più impegnati in questa

dire-zione, si veda A.PERULLI, Obblighi di sicurezza e collaborazioni autonome, intervento al seminario

Frec-cia Rossa, Covid-19: fase 2. Principi e tecniche per produrre lavorando in sicurezza, 6 e 15 maggio 2020. (26) Tra i numerosi studi che si muovono in questa direzione si veda L.BECCHETTI, G.CONZO, P.

CONZO, F.SALUSTRI, Understanding the Heterogeneity of Adverse COVID-19 Outcomes: The Role of Poor

Quality of Air and Lockdown Decisions, in www.ssrn.com, 10 aprile 2020. Nella letteratura internazionale si veda anche AA.VV., Exposure to air pollution and COVID-19 mortality in the United States: A nationwide cross-sectional study, in www.medrxiv.org, 27 aprile 2020.

(11)

(ISS) e dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) in collaborazione con il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA) si farà ora carico di valutare se e in che misura i livelli di inquinamento atmosferico siano associati agli effetti sanitari dell’epidemia (27). Pare tuttavia già oggi

sufficien-temente chiaro che ad essere messo in discussione dalla pandemia è un intero mo-dello di sviluppo che, accanto al persistente tema delle diseguaglianze e della distri-buzione della ricchezza (28), rivela oggi – per dirla alla Beck (29) – «una unilateralità

economica della razionalità tecnico-scientifica» che, una volta recepita meccanica-mente dalla razionalità giuridica, porta poi a due inevitabili conseguenze: trattare, da un lato, il lavoro come un semplice fenomeno economico (30) riconoscibile e

valuta-bile unicamente per il suo valore scambio e dunque di mercato (31); considerare,

dall’altro lato, i rischi connessi ai (o indotti dai) processi produttivi come un dato di fatto socialmente tollerabile in nome del progresso come indica, non da oggi, l’asfittico dibattito scientifico e politico sui c.d. “valori soglia” nella applicazione pra-tica del principio di precauzione (32).

È stata l’emergenza di sanità pubblica causata dal Covid-19, nel rallentare e in alcuni ambiti imporre di sospendere le attività produttive e le relazioni sociali, che ci ha in-somma disvelato quello che non avevamo ancora pienamente compreso, in un pur conclamato contesto di emergenze globali (non solo finanziarie, ma anche demogra-fiche e ambientali) per larga parte imputabili ai nostri comportamenti (33); e cioè il

fatto che è da tempo che siamo entrati nella società del rischio senza tuttavia render-cene pienamente conto quantomeno a livello collettivo e in termini di messa a punto di più moderni e universalistici strumenti di protezione sociale. E sarebbe allora il grado di esposizione individuale al rischio – più che l’appartenenza a una classe so-ciale, come invece avvenuto nel Novecento industriale – il principale fattore di vul-nerabilità e diseguaglianza nella società moderna anche nell’ambito dei rapporti di lavoro e delle attività produttive ponendo così inedite sfide agli attori delle relazioni industriali e ai sistemi di welfare (34).

L’interesse della presente riflessione è decisamente più limitato rispetto alle proble-matiche sopra elencate e intende volutamente lasciare sullo sfondo gli impegnativi (27) Si veda la nota dell’Istituto Superiore di Sanità 7 maggio 2020.

(28) Diseguaglianze acuite dalla pandemia. Si veda per tutti A.ADAMS-PRASSL, T.BONEVA, M.G

O-LIN, C. RAUH, Inequality in the Impact of the Coronavirus Shock: Evidence from Real Time Surveys, in

www.researchgate.net, aprile 2020. (29) Cfr. U.BECK, op. cit., p. 79.

(30) Mi sono occupato di questo tema nel mio Persona e lavoro tra tutele e mercato. Per una nuova ontologia

del lavoro nel discorso giuslavoristico, cit.

(31) Sulla riscoperta del valore sociale e relazionale del lavoro, anche dei lavori più umili e sino a oggi

invisibili, si veda per tutti L.HERZOG, What does the corona crisis teach us about the value of work?, in New

Statesman, 1° aprile 2020.

(32) Per un approfondimento rinvio, con riferimento al tema della esposizione a campi

elettroma-gnetici in ambito lavorativo, al mio Esposizione a campi elettromaelettroma-gnetici prodotti da telefoni cellulari, malattia professionale a eziologia multifattoriale, tutele del lavoro, in DRI, 2020, n. 2, pp. 558-578.

(33) Sul rischio come «a socially constructed phenomenon» si veda anche U.BECK, Living in the world

risk society, in Economy and Society, 2006, vol. 35, n. 3, pp. 329-345, qui p. 333.

(34) Per l’impostazione del problema, sempre nella prospettiva del rischio come un fenomeno

so-cialmente costruito e percepito, rinvio al mio Prevenzione e gestione dei disastri naturali (e ambientali): si-stemi di welfare, tutele del lavoro, relazioni industriali, in DRI, 2014, n. 3, pp. 573-605.

(12)

dilemmi giuslavoristici della “società del rischio” (35) con cui dovranno presto fare i

conti i decisori politici, i giudici e la dottrina e rispetto ai quali l’emergenza sanitaria da Covid-19 è stato solo uno dei tanti possibili inneschi anche in ragione dei ritardi culturali e delle reticenze con cui sono stati sin qui affrontati i rischi ambientali nella loro connessione col tema del lavoro (36). La nostra attenzione sarà infatti rivolta a

una più circoscritta ma non meno importante questione di metodo, relativa alle di-namiche di manifestazione e costruzione della razionalità giuridica del lavoro nella nuova modernità quale che sia lo schema interpretativo di volta in volta adottato (la nuova normalità, la società del rischio, la Quarta Rivoluzione industriale o altro an-cora). Una questione che si potrebbe rivelare di portata decisiva in una prospettiva di gestione pragmatica – e, dunque, non ideologica o, comunque, dogmatica – dei dilemmi sopra richiamati per il post emergenza.

Il punto di attacco del nostro contributo è, ancora una volta, la riflessione di Ulrich Beck sulla risk society quando imputa l’attuale crisi della razionalità tecnico-scientifica non al fallimento di questo o quel ricercatore o delle singole discipline, quanto all’approccio strutturale – e cioè «metodico e istituzionale» – che le scienze hanno rispetto al rischio: «così come sono costruite, con la loro divisione del lavoro iper-specializzata, col loro modo di intendere il metodo e la teoria, con la loro eterodiret-ta astinenza dalla prassi, le scienze non sono assolueterodiret-tamente in grado di reagire adegua-tamente ai rischi della civiltà, poiché sono ampiamente corresponsabili della loro na-scita e crena-scita» (37). In questa prospettiva, piuttosto che indugiare su temi

ampia-mente noti alla riflessione giuslavoristica (come il ruolo della Stato nella regolazione della economia) (38) e su possibili evoluzioni future della nostra disciplina verso la

teoria dei beni comuni (39), un dato su tutti merita a nostro avviso attenzione. E cioè

(35) In tema, anche in termini esemplificativi, si veda B.CARUSO, op. cit., che parla di «una inusitata

concentrazione sincronica di dilemmi tragici tra valori e obiettivi politici su cui il pensiero critico dovrà misurarsi» a partire, ovviamente, da quello che vede contrapporsi salute e lavoro.

(36) Il tema è indagato da P.TOMASSETTI, Diritto del lavoro e ambiente, ADAPT University Press, 2018,

ma si veda già R.DEL PUNTA, Tutela dell’ambiente di lavoro e questione ambientale, in DRI, 1999, n. 2, pp.

151-160. Nella stessa direzione espressa nel testo si veda R.GUARINIELLO, La sicurezza sul lavoro al tempo del coronavirus, Wolters Kluwer, 2020, p. 3, dove si legge: «da alcuni anni stanno emergendo nel mondo della sicurezza sul lavoro nuovi rischi. Il coronavirus è solo l’ultimo arrivato».

(37) U.BECK, La società del rischio. Verso una seconda modernità, cit., p. 78.

(38) Si veda la prospettiva progettuale e di analisi aperta in Italia da M.MAZZUCATO, Trasformare lo

Stato e il suo ruolo per affrontare le sfide post virus, in Il Sole 24 Ore, 30 aprile 2020, secondo cui «Lo Stato non può limitarsi ad aggiustare i danni economici provocati dalla crisi finanziaria e dall’epidemia. Esso deve dare una forma nuova ai mercati, alle organizzazioni produttive e ai rapporti sociali e di lavoro che premi la creazione di valore e la resilienza sociale e ambientale». Si veda anche L.R

EI-CHLIN, La crisi un’occasione per ripensare il ruolo dello Stato, in AA.VV., Il mondo che verrà. Interpretare e

orien-tare lo sviluppo dopo la crisi sanitaria globale, Cnel, 2020, pp. 145-153. Sulla «centralità delle politiche pubbliche» e sul ruolo degli Stati nazionali, che «si è riconfermato importante, contro tutte le profe-zie di declino, e continuerà ad esserlo nel promuovere la ripresa», si veda anche, nel dibattito giusla-voristico innescato dalle conseguenze del Coronavirus, T.TREU, op. cit., dove si suggerisce, per il

livello comunitario, una riscoperta del “diritto hard”.

(39) Per l’impostazione del problema nella riflessione giuslavoristica italiana si veda ancora, tra i

pri-mi, P.TOMASSETTI, op. cit. Per un rapido ma efficace cenno si veda anche A.PERULLI, Il lavoro ai tempi della pandemia, in www.rivistailmulino.it, 1° maggio 2020, che parla dello stesso lavoro da intender-si come “bene comune” e non solo come un fattore produttivo. Per una riconcettualizzazione glo-bale della idea di impresa nella prospettiva (giuridica) dei beni comuni, si veda amplius S.DEAKIN,

(13)

come la contrapposizione tra beni/valori di rango costituzionale come la “salute”, la “impresa” e il “lavoro” sia ancora una volta stata rappresentata e condotta attraverso il filtro di una razionalità economica unilaterale – tanto in termini di critica (lato im-prese) che di rovesciamento (lato sindacati e parte della politica) – che non consente di comprendere pienamente, nella ricerca delle soluzioni normative e nella sistema-tizzazione dottrinale che le accompagna, non solo la portata reale dei problemi ma anche, secondo una lezione invero da tempo nota alla nostra dottrina (40), la

ricchez-za della dimensione giuridico-istituzionale che scaturisce dalla costante interazione tra i gruppi di interesse contrapposti.

In questa direzione lo spunto di riflessione su cui vogliamo concentrare la nostra at-tenzione è dato dalle misure restrittive della libertà di impresa e di accesso al lavoro ai fini del contenimento e della prevenzione del contagio. Provvedimenti che, in termini di presupposti fattuali, si basano su una rappresentazione decisamente astratta e ancora novecentesca delle attività economiche, professionali e produttive come quella offerta dai codici ATECO (infra, § 2) e che, in termini giuridici, non be-neficiando di una visione della economia di tipo istituzionale e cioè “investigativa” – alla John Commons, per intenderci (41) – finiscono col trascurare nella gestione

poli-tica delle problematiche lavoristiche e occupazionali connesse alla emergenza sanita-ria le risposte sistemiche fornite, anche in termini di produzione normativa, dagli at-tori delle relazioni industriali. Risposte che, come cercheremo di documentare e ar-gomentare (42), hanno invece largamente anticipato, integrato, corretto e in parte

meglio precisato le astratte e spesso indecifrabili previsioni formali di matrice legale e/o amministrativa adottate durante l’emergenza o presenti nella normativa di diritto comune nella ricerca di soluzioni economiche ragionevoli e per questo socialmente sostenibili.

Se una lezione ci consegna la crisi sanitaria da Covid-19 è infatti essenzialmente, al-meno per noi giuslavoristi, una lezione di metodo. E cioè l’importanza dello studio del diritto che nasce dai sistemi di relazioni industriali – quello che, sotto la guida di Luciano Spagnuolo Vigorita (43), abbiamo imparato a chiamare «il diritto delle

rela-zioni industriali» – come base per progettare assetti giuridico-istituzionali adattabili e modelli di welfare coerenti con una geografia economia che, oggi, può essere pie-namente compresa, anche in termini di razionalità giuridica, solo ripercorrendo le dinamiche delle catene globali del valore e delle relative filiere produttive e distribu-tive ed entrando nelle logiche dei mercati transizionali del lavoro (44).

The Corporation as Commons: Rethinking Property Rights, Governance and Sustainability in the Business Enter-prise, in Queen’s Law Journal, 2012, vol. 37, n. 2, pp. 339-381.

(40) G.GIUGNI, op. cit., spec. p. 679, dove parla di parla di una concezione giuridico-istituzionale

del-la economia e del mercato nei termini di una dimensione collettiva (di gruppi e interessi contrappo-sti) nella formazione ed evoluzione del dato giuridico e normativo.

(41) Ancora G.GIUGNI, op. cit., p. 677.

(42) Si vedano infra i contributi contenuti in questo volume.

(43) In tema si veda, esattamente trenta anni fa (1991), l’editoriale di avvio della rivista Diritto delle

Relazioni Industriali a firma di Luciano Spagnuolo Vigorita.

(44) Per una prima analisi volta a verificare se sia possibile configurare efficaci forme di protezione

trasversali alle logiche dei mercati interni ed esterni del lavoro, basate sulla tutela della libertà pro-fessionale e sulla valorizzazione e riconoscimento delle capacità professionali (con specifico riferi-mento ai processi di creazione, regolazione, organizzazione e istituzionalizzazione dei mercati del

(14)

Una lezione che – nel ricordarci come il diritto del lavoro non sia una semplice tec-nica unilaterale di tutela di un contraente debole, ma un più complessivo “ordine giuridico” dei processi economici e sociali connessi al lavoro – conferma una volta di più l’importanza di una concezione unitaria delle scienze sociali soprattutto in un Paese come il nostro «al quale, e non sempre a torto, si rimprovera l’eccessivo fra-zionamento del sapere in settori specializzati» (45). Ed è questo, a ben vedere, il

prin-cipale limite della risposta legislativa alla pandemia. Nel non avere cioè saputo il Governo offrire, anche nel confronto e nel dialogo con le parti sociali, una risposta normativa unitaria ai non facili problemi lavoristici sollevati dalla emergenza sanita-ria. Limite evidenziato, tra gli altri, dai ricercatori del Politecnico di Milano che, nella valutazione di un ragionevole punto di equilibrio tra la “salute” e il “lavoro”, hanno contrapposto alla logica governativa di intervento segmentato per settori e codici ATECO quella dei modelli sistemici come strada maestra non per tornare alla fase pre-crisi, ma per rispondere ai bisogni che nascono da nuovi comportamenti e da nuove esigenze (46). Una ipotesi di lavoro convincente, quella del Politecnico, che

giunge a considerare il welfare tra i “fattori abilitanti” della ripresa produttiva (in termini di servizi sociali e asili, misure di conciliazione vita e lavoro, ecc.) e a cui tut-tavia è mancato il tassello forse più importante in termini di razionalità giuridica del lavoro, quello appunto rappresentato dalle soluzioni normative ed organizzative of-ferte dai sistemi di relazioni industriali (47). Questo naturalmente solo a condizione

che la situazione di dissesto economico e sociale creata dalla emergenza sanitaria possa costituire la giusta occasione per un salto di qualità (e non per uno scadimen-to) delle relazioni tra le parti sociali nel nostro Paese (48). I numerosi protocolli

set-toriali, territoriali e aziendali per la ripresa delle attività produttive ed economiche in lavoro e dunque alle regole che riguardano l’accesso al mercato, l’esercizio di una attività professio-nale e la regolazione della concorrenza all’interno di specifici mercati) si veda L.CASANO, Contributo

all’analisi giuridica dei mercati transizionali del lavoro, ADAPT University Press, 2020.

(45) G.GIUGNI, op. cit., p. 676.

(46) Si veda, in particolare, la proposta avanzata dal Rettore del Politecnico di Milano e sintetizzata

in F.RESTA, Un insieme di interventi per uscire dalla crisi, in Corriere della Sera, 25 aprile 2020. Riferimenti alla dinamica dei sistemi di relazioni industriali e ai protocolli intersindacali di sicurezza, seppure ca-librati sulla manifattura e la grande impresa, sono nel rapporto del Politecnico di Torino, Emergenza Covid-19: imprese aperte, lavoratori protetti, aprile 2020.

(47) Il punto è sollevato anche nella letteratura internazionale e comparata. Si veda T.DOBBINS,

Covid-19 and the Past, Present and Future of Work, in Futures of Work, 2020, n. 13.

(48) In questi termini si veda G.BIANCHI, Il coronavirus e le parti sociali, Newsletter ISRIL, 2020, n. 17,

pp. 2-3, secondo cui «il realismo della ragione porterebbe a constatare il loro comune declino, con strutture organizzative e strategie di tutela costruite nella precedente fase dell’industrializzazione e oggi in ritardo nel cogliere le molteplici trasformazioni intervenute nei processi produttivi e nel mercato del lavoro. Pesa anche la diminuita disponibilità di conoscenze dovuta, soprattutto per i Sindacati, all’esaurimento dei loro centri di ricerca e all’isolamento rispetto a un mondo culturale che, un tempo, arricchiva il dibattito interno. […] Queste parti sociali si trovano però oggi di fronte a uno “Stato di eccezione” provocato dalla pandemia che rimette in gioco gli equilibri economici e sociali sui quali si è basato fino a oggi il loro potere rappresentativo. L’ottimismo della volontà non può escludere quel salto di qualità nelle reciproche relazioni che, tante volte auspicato, non è stato mai realizzato, aprendo una nuova fase di cooperazione su obiettivi condivisi in grado di offrire vantaggi reciproci. La strumentazione non manca: la concertazione sociale, la contrattazione collet-tiva, i patti sociali territoriali, i premi di produttività e gli istituti di partecipazione a livello aziendale, i sistemi di welfare aziendali, i fondi condivisi previdenziali e sanitari».

(15)

condizioni di sicurezza sanitaria, molti dei quali tutt’altro che banali o ripetitivi delle linee guida definite a livello intersettoriale tra Governo e parti sociali il 14 marzo 2020 (49), ci sembrano andare proprio in questa auspicabile direzione.

2. Tra razionalità giuridica e razionalità economica: le disposizioni norma-tive relanorma-tive alla sospensione delle attività produtnorma-tive e commerciali e dei servizi pubblici e privati non essenziali

A seguito dell’annuncio dello stato di emergenza, dichiarato con delibera del Consi-glio dei Ministri 31 gennaio 2020, il Governo italiano e le autorità territoriali di go-verno hanno provveduto alla adozione di una eterogena varietà di misure per conte-nere i contagi e la diffusione della epidemia. Su tutte spiccano i decreti del Presiden-te del Consiglio dei Ministri (50) e le ordinanze regionali (51). Accanto ai

provvedi-menti di carattere medico e sanitario, un peso centrale è stato indubbiamente assun-to dalle disposizioni normative relative ai divieti di spostamenassun-to delle persone e alle sospensioni delle attività produttive e dei servizi pubblici e privati, fatta eccezione per quelli ritenuti di pubblica utilità.

Una analisi a sé meriterebbe, ai fini della valutazione della efficacia delle misure di contenimento e prevenzione, il nodo degli spostamenti per motivi di lavoro, che era stato inizialmente ipotizzato in termini decisamente restrittivi – e cioè unicamente per «indifferibili esigenze lavorative» (52) – e però poi normativamente definito in

ter-mini decisamente assai più laschi facendo ricorso, nel pieno della emergenza sanita-ria, al concetto di «comprovate esigenze lavorative» (53) e, dunque, ad esigenze che

fos-sero documentabili ancorché non improcrastinabili. In questa sede rileva tuttavia concentrare la nostra attenzione, per le considerazioni svolte nel paragrafo che pre-cede, alle sole disposizioni emergenziali contenenti limitazioni, per ragioni di sanità pubblica, alle attività produttive industriali, alle attività commerciali e di vendita al dettaglio, ai servizi che riguardano l’istruzione ove non erogati a distanza o in moda-lità da remoto, ai servizi alla persona e ad ogni altra attività ritenuta non essenziale o strategica.

Da questo punto di vista pare invero privo di utilità il tentativo di ripercorrere cro-nologicamente i successivi aggiustamenti normativi che hanno portato il Governo, sotto la pressione di numerosi scioperi spontanei dei lavoratori e una accesa dialetti-ca pubblidialetti-ca tra mondo delle imprese e sindadialetti-cato dei lavoratori, alla messa a punto (49) Si veda infra, in questo volume, il contributo di G.BENINCASA, M.TIRABOSCHI, Covid-19: le

pro-blematiche di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro tra protocolli condivisi e accordi aziendali.

(50) Per una efficace rassegna si veda CAMERA DEI DEPUTATI SERVIZIO STUDI, Misure

sull’emergenza coronavirus (COVID-19) – Quadro generale, 30 aprile 2020. (51) Cfr. C.DRIGO, A.MORELLI, op. cit.

(52) In questa direzione si muoveva, infatti, la bozza di Decreto del Presidente del Consiglio dei

Mi-nistri pubblicata sui siti internet dei principali organi di stampa il 7 marzo 2020 secondo uno sche-ma comunicativo del Governo volutamente finalizzato alla diffusione di testi e indiscrezioni prische-ma della loro approvazione finale e relativa pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

(53) In questi termini l’art. 1, comma 1, lett. a, del d.P.C.M. 8 marzo 2020, Ulteriori disposizioni attuative

del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19.

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dell’elenco (progressivamente esteso in ragione dell’aggravarsi della curva dei conta-gi) delle attività economiche e produttive sospese rispetto alle prime chiusure stabili-te per limitastabili-te e specifiche attività economiche (palestre, centri sportivi, piscine, cen-tri benessere e ricreativi, impianti sciistici, bar e ristoranti dopo le 18.00 e prima delle 6.00, medie e grandi strutture di vendita ed esercizi commerciali presenti all’interno dei centri commerciali e dei mercati nelle giornate festive e prefestive, ecc.) (54). Per

evitare ricostruzioni pedanti è sufficiente richiamare, ai fini del nostro ragionamento, il meccanismo adottato dal decisore politico nel pieno della emergenza sanitaria, seppure su basi normative precarie e anche discutibili sul piano del sistema delle fonti, per indicare in termini di razionalità giuridica e, quindi, di disciplina le attività economiche ammesse.

Il riferimento normativo è al d.P.C.M. 22 marzo 2020 (55), che, in sé considerato,

se-gue uno schema abbastanza lineare e intuitivo. In esso si stabilisce che, per i dipen-denti delle pubbliche amministrazioni, il lavoro da remoto – c.d. “lavoro agile”, ma in realtà “lavoro domiciliare” (56) – è la modalità ordinaria per tutta l’emergenza (57).

Il lavoro da remoto resta preferibilmente lo schema da adottare anche nel settore privato (58), là dove ciò sia possibile sul piano organizzativo e in relazione alle

man-sioni del lavoratore, anche alla luce delle modifiche introdotte al quadro legale per renderlo più facilmente accessibile nel tempo della emergenza (59), e anche per

attivi-tà che altrimenti sarebbero sospese. Restano invece ammesse le attiviattivi-tà che erogano «servizi di pubblica utilità», nonché i «servizi essenziali» di cui alla l. n. 146/1990 ben nota ai giuslavoristi e ogni altra «attività comunque funzionale a fronteggiare l’emergenza». Restano consentite anche le attività di produzione, trasporto, com-mercializzazione e consegna di farmaci, tecnologia sanitaria e dispositivi medico-chirurgici, nonché di prodotti agricoli e alimentari. Previa comunicazione al Prefetto, sono altresì consentite le attività degli impianti a ciclo produttivo continuo dalla cui interruzione derivi un grave pregiudizio all’impianto stesso o un pericolo di inciden-ti, nonché attività di rilevanza strategica per l’economia nazionale tra cui le attività (54) Si veda ancora il d.P.C.M. 8 marzo 2020.

(55) D.P.C.M. 22 marzo 2020, Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante

misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale. A seguire, nella stessa direzione, si veda poi il d.P.C.M. 26 aprile 2020, Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di conte-nimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale.

(56) Come inizialmente indicato all’art. 1, comma 2, lett. n, del d.l. n. 6/2020 (poi abrogato dal d.l. n.

19/2020). Sul punto si veda, per tutti, A. PILEGGI, Una riflessione sul diritto del lavoro alla prova dell’emergenza epidemiologica, in A. PILEGGI (a cura di), Il diritto del lavoro dell’emergenza epidemiologica,

LPO, 2020, qui pp. 1 e 7-8.

(57) Art. 87, d.l. n. 18/2020, Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per

famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19.

(58) Questo, secondo le prime pronunce giurisprudenziali relative alla normativa emergenziale, in

termini di un vero e proprio diritto soggettivo del lavoratore allo smart working ovviamente là dove le mansioni del prestatore di lavoro risultino compatibili con questa forma di lavoro. Si veda infatti Trib. Grosseto ord. n. 502/2020 all’esito di un procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. su cui il commento a caldo di S.SANSARO, Pandemia e lavoro da remoto: se c’è compatibilità, il lavoratore ne ha diritto, in Boll. ADAPT, 2020, n. 18.

(59) Si veda il contributo di M. BROLLO, Il lavoro agile alla prova dell’emergenza epidemiologica, nel volume

(17)

della industria dell’aerospazio e della difesa. Tutte le altre attività produttive indu-striali e commerciali sono invece state temporaneamente sospese fatta eccezione per un elenco di attività contenute in allegato allo stesso d.P.C.M. 22 marzo 2020, modi-ficabile con decreto del Ministro dello sviluppo economico (60), e incentrare sulla

identificazione di settori produttivi mediante il ricorso ai codici ATECO. Previa comunicazione al Prefetto, restano infine ammesse, anche se non rientranti nei co-dici ATECO espressamente menzionati, le attività economiche e produttive che ri-sultino funzionali ad assicurare la continuità delle filiere dei settori indicati nell’elenco allegato al decreto. Tra i casi più significativi, rispetto a queste ulteriori attività, risulta menzionata anche la somministrazione di lavoro ma, appunto, uni-camente con riferimento alla fornitura di manodopera per le sole attività non sospe-se.

Gli spunti di discussione e di analisi scientifica che offre questo elenco, solo appa-rentemente banale, di codici ATECO posizionati uno dietro l’altro possono essere molteplici e di diversa natura anche solo restando dentro i confini, che ci eravamo riproposti, della ricerca di una integrazione o comunque migliore connessione tra razionalità giuridica e razionalità economica nella gestione delle problematiche lavo-ristiche ed occupazionali della emergenza sanitaria. Non rientra certo nelle nostre competenze disciplinari misurare il reale impatto del provvedimento in termini di punti percentuali persi di valore economico (leggasi PIL/contrazione del fatturato) (61) e di unità di lavoro sospese/ore non lavorate (62) in funzione dell’obiettivo di

salvare vite umane sempre ammesso che sia poi possibile, su materie così delicate, sviluppare una analisi costi e benefici (63) opinabile non solo in termini etici (64), ma

(60) Si veda il d.m. 25 marzo 2020, Modifica dell’elenco dei codici di cui all’allegato 1 del decreto del Presidente

del Consiglio dei ministri 22 marzo 2020, che ha provveduto ad estendere l’elenco delle attività econo-miche e produttive consentite.

(61) Ai veda l’indagine condotta da Confindustria su un campione di 4.154 aziende: CENTRO STUDI

CONFINDUSTRIA, Seconda edizione dell’indagine sugli effetti della pandemia da covid-19 per le imprese italiane,

15 aprile 2020.

(62) Ancora CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA, op. cit.

(63) Si veda, per esempio, lo studio di C.A.FAVERO, A.ICHINO, A.RUSTICHINI, Restarting the

Eco-nomy While Saving Lives Under COVID-19, in www.ssrn.com, 22 aprile 2020, che fornisce un modello di

diffusione dei contagi calibrato su politiche prudenti di graduale ritorno al lavoro basato su una combinazione di criteri di selezione delle persone autorizzate a tornare al lavoro in base alla età e al rischio del settore in cui sono impiegate. Negli Stati Uniti si segnala invece uno modello messo a punto dai ricercatori della Penn Wharton University of Pennsylvania sulle misure lockdown degli Stati federati. Secondo questa simulazione (Coronavirus Policy Response Simulator: Health and Economic Effects of State Reopenings, 1° maggio 2020) la conferma delle misure restrittive comporterebbe circa 116.523 decessi per Covid-19 dal 1° maggio alla fine di giugno 2020 e 18,6 milioni di posti di lavoro persi, mentre una riapertura parziale delle attività economiche comporterebbe ulteriori 161.664 de-cessi da Covid-19 a fronte di 11 milioni di posti di lavoro persi. Se invece tutti gli Stati dovessero riaprire completamente le attività economiche la stima è di 349.812 morti da Covid-19 e solo 500.000 posti di lavoro persi.

(64) Da cui è derivata la sterile polemica sul “giusto prezzo” di una singola vita umana. Polemica

av-viata in Europa da un cupo editoriale dell’Economist (Covid-19 presents stark choices between life, death and the economy, 2 aprile 2020), sulla ragionevolezza di una analisi in termini puramente di costi e benefici del valore salute rispetto alle ragioni della economia e ai danni economici causati dal blocco delle attività produttive. Nel dibattito italiano si veda S.CAPRI, Riapertura? Le ragioni della salute e quelle dell’economia, in Lavoce.info, 21 aprile 2020.

(18)

anche alla luce delle prime risultanze empiriche (65) e decisamente complicata,

alme-no in Italia, da due fattori concomitanti: per un verso il fatto, ampiamente documen-tato da Inail (66) e da uno studio Inps (67), che la gran parte delle morti e dei contagi

sul lavoro sia avvenuta nell’ambito dei servizi essenziali (trattandosi di infermieri, operatori socio-assistenziali e medici) che non potevano dunque essere sospesi e nelle aree geografiche soggette, almeno sulla carta, a maggiori restrizioni (Lombar-dia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna) (68); per l’altro verso la circostanza che un

numero davvero cospicuo di aziende (tra le 120.000 e le 150.000 unità secondo dati di stampa e fonti sindacali) si è avvalsa del meccanismo della autocertificazione pre-via comunicazione ai prefetti restando così aperte – nella stragrande maggioranza dei casi in virtù del principio di silenzio-assenso, in mancanza di controlli dovuti (a detta del Ministero degli interni) alla quantità di domande pervenute – anche se non rientranti tra le eccezioni direttamente o indirettamente ammesse dal d.P.C.M. 22 marzo 2020 e successive modifiche. Non solo. Come ha documentato l’Istat non poche grandi aziende hanno deciso di affiancare alla loro attività principale nuove e specifiche produzioni legate alla emergenza Covid-19 come tali ammesse (69). Nella

stessa direzione risulta poi che alcune realtà economiche di minori dimensioni ab-biano invece totalmente riconvertito le proprie attività per dedicarsi, in ragione della scarsità di prodotti medicali necessari per la gestione della emergenza, alla produzio-ne di beni richiesti per la gestioproduzio-ne sanitaria della pandemia (70).

Parimenti riteniamo che si possa lasciare alla emotività del contesto emergenziale, e a più approfondite e impegnative valutazioni future sulle modalità giuridiche di rico-noscimento del “valore sociale” del lavoro, oltre cioè la sua mera dimensione eco-nomica o di mercato, la rilevante attenzione prestata dalla opinione pubblica – e non solo da essa (71) – ai singoli lavori e mestieri essenziali piuttosto che ai settori

genera-(65) In tema si veda, per gli Stati Uniti d’America, il contributo di Z.LIN, C.M.MEISSNER, Health vs.

Wealth? Public Health Policies and the Economy During Covid-19, NBER Working Paper, 2020, n. 27099, spec. p. 9, dove si legge (e a seguire si documenta, sulla base di analisi dell’impatto delle misure di chiusura delle attività economiche e produttive tra i singoli Stati federati): «policy has been theoreti-cally predicted to matter for the economy. A high intensity and duration of (non-pharmaceutical policy interventions) NPIs is predicted to lower cumulative mortality and peak mortality, but this comes (theoretically) at a greater cost to the economy than had NPIs not been imposed. We find no evidence of this. […] There is no evidence that stay-at-home policies led to stronger rises in job-less claims».

(66) Sul sito dell’Inail sono reperibili i dati per genere, fascia d’età, regione e professione relativi ai

contagi da SARS-CoV-2 di origine professionale denunciati all’istituto.

(67) Si veda la nota DCSR Inps, Attività essenziali, lockdown e contenimento della pandemia da COVID-19,

secondo cui, a seguito dei provvedimenti del Governo per contenere l’emergenza sanitaria, le pro-vince con una maggiore quota di rapporti di lavoro nei settori essenziali, cioè che non sono stati so-spesi, sono anche quelle che hanno registrato una crescita superiore del numero dei contagiati. (68) Integrando i dati pubblici di Inps – Open data con alcune ipotesi tratte da studi e dati a maggior

dettaglio di anni precedenti, F.PATRIARCA, Chi sono i lavoratori “necessari”, in The Huffington Post, 28

marzo 2020, ha stimato che il 52,2% dei lavoratori necessari è vive nel Nord Italia.

(69) ISTAT, Informazioni sulla classificazione dei prodotti e delle attività manifatturiere per la

prevenzio-ne/trattamento del Covid-19 (NC8, PRODCOM, CPA, NACE, ATECO), 7 maggio 2020.

(70) Ancora ISTAT, op. cit.

(71) Tra le voci più autorevoli nel dibattito internazionale sulle tematiche lavoristiche si veda T.A.

KOCHAN, B.DYER, What we owe essential workers, in The Hill, 1° maggio 2020, dove si legge: «se li

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li di attività, su cui si è invece soffermata l’attenzione del Governo. Non mancano comunque, anche in questa direzione di analisi, contributi di un certo interesse che suggeriscono come forse il decisore politico avrebbe potuto seguire strade diverse e soluzioni tecnicamente più raffinate perché capaci di tenere in debita considerazione anche il grado di rischiosità dei singoli lavori e mestieri in correlazione al loro livello di importanza o, appunto, essenzialità per la soddisfazione delle esigenze primarie della persona e della società nel suo complesso durante l’emergenza sanitaria (72).

L’integrazione tra analisi settoriale e valutazione delle caratteristiche delle singole professioni/mansioni consente del resto di segnalare, con riferimento alla fase di progressiva riapertura delle attività economiche e alle conseguenti scelte normative da adottare per il contenimento del rischio, come le attività ultime a ripartire siano quelle caratterizzate da «una maggiore incidenza di segmenti fragili nel mercato del lavoro, come le donne (il 56% del totale dei lavoratori bloccati dal 4 maggio), lavora-tori temporanei (48%), lavoralavora-tori part time (56%), giovani (44%), stranieri (20%), lavoratori impiegati presso piccole imprese (46%)» (73).

Ciò che invece maggiormente interessa, ai fini della discussione del problema che abbiamo posto all’inizio del nostro ragionamento (supra, § 1), è una diversa questio-ne che emerge analizzando le ragioni più profonde della dura reazioquestio-ne degli attori del sistema di relazioni industriali (e cioè i rappresentanti della economia, delle im-prese e del lavoro) rispetto alla scelta (razionalità) normativa del ricorso ai codici ATECO. Poco è dato sapere, invero, sulla concertazione sotterranea avvenuta sul punto – come documentato dai tanti “messaggi in codice” veicolati sugli organi di informazione (74) – tra Governo e Confindustria, in prima battuta, e tra Governo e

Cgil, Cisl, Uil, in seconda battuta. Sta di fatto che l’elenco dei codici ATECO non ha soddisfatto le imprese, che avrebbero preferito protocolli sostanziali di sicurezza piuttosto che rigorosi divieti formali di apertura (75); e neppure i sindacati, che

han-no invece ritenuto troppo permissivo l’elenco alla fine pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 22 marzo 2020, sospettando così di essere stati tagliati fuori dal dialogo tra Gover-no e imprese. Con il risultato, ottenuto sotto la minaccia di ricorrere allo sciopero

masse di forza lavoro irregolare e clandestina che, nelle ricche economie occidentali, tengono in piedi settori essenziali come l’agricoltura e il lavoro domestico e di cura, si veda A.CORCHADO, If

They’re ‘Essential’, They Can’t Be ‘Illegal’, in The New York Times, 6 maggio 2020.

(72) In questa prospettiva si veda il tentativo di valutazione contenuto nello studio INAPP, Lavoratori

a rischio di contagio da covid-19 e misure di contenimento dell’epidemia, Inapp Policy Brief, 2020, n. 16, che, con riferimento alla composizione delle professioni all’interno dei settori interessati e alle mansioni svolte dai lavoratori, cerca di definire l’indice che misura la frequenza della esposizione a malattie e/o infezioni, l’indice di vicinanza fisica con altri lavoratori e l’indice che misura la possibilità di la-vorare da remoto. Per un diverso tentativo di classificazione della vulnerabilità dei mestieri in rela-zione alla emergenza sanitaria si veda, per il caso francese, J.FLAMAND, C.JOLLY, M. REY, Les

métiers au temps du corona, France Stratégie, La Note d’Analyse, 2020, n. 88.

(73) Si veda la nota congiunta DCSR Inps-Inapp, I settori economici essenziali nella fase 2: impatto sui

lavo-ratori e rischio di contagio, 4 maggio 2020, p. 2, che ha come base di riferimento i dati Uniemens Inps. (74) Si veda infra il contributo di F.NESPOLI, op. cit.

(75) Sulla questione riaperture e codici ATECO si veda, tra i tanti interventi, la posizione espressa

dal Vice-Presidente di Confindustria per il lavoro e le relazioni industriali, Maurizio Stirpe, a Il Sole 24 Ore del 6 maggio 2020: «bisogna prendere in considerazione non le tipologie di attività o i settori ma il rispetto delle norme di sicurezza, l’uso dei dispositivi di protezione, il distanziamento».

(20)

generale (76), di arrivare nell’arco di pochi giorni a un nuovo elenco di codici

ATE-CO (77): un elenco più restrittivo e selettivo, a detta dei sindacati, ma che, in realtà,

ha paradossalmente portato a estendere piuttosto che ridurre il numero di lavoratori (potenzialmente) richiamati al lavoro (78).

3. Codici ATECO, nuova geografia del lavoro, determinazione delle catego-rie di rischio delle attività economiche e produttive

La verità è che la scelta da parte del Governo di ricorrere ai codici ATECO, indub-biamente facile da esprimere in termini di razionalità giuridica e quindi da imple-mentare sul piano amministrativo e dei relativi controlli, si è poi subito scontrata con i dati di realtà relativi a cosa sono le imprese e il lavoro oggi.

La classificazione ATECO – in vigore dal 2008 (79) e utilizzata a vario titolo per fini

statistici, di tassazione e di referenziazione delle attività professionali e dei mestieri attraverso l’Atlante del lavoro e delle qualificazioni (80) – fornisce una

rappresenta-zione astratta e poco attendibile delle attività economiche e produttive che sono in-fatti raggruppate secondo le logiche di una “geografia del lavoro” vecchia perché ancora incentrata su una rigida distinzione tra settore primario (agricoltura e pesca), settore secondario (manifattura e costruzioni) e settore terziario (commercio e servi-zi) (81). La dura e infastidita reazione del sistema produttivo alla logica dei codici

(76) Si veda la lettera inviata il 23 marzo 2020 dai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil al Ministro

dell’economia e delle finanze e al Ministro dello sviluppo economico per richiedere un incontro ur-gente in relazione al d.P.C.M. 22 marzo 2020 dove si legge: «Cgil, Cisl e Uil chiedono con estrema urgenza un incontro alle SS. VV. in relazione al DPCM emanato il 22 marzo 2020 contenente all’allegato 1 una serie di attività industriali e commerciali per le quali si dispone la sospensione fino al 3 aprile 2020. Tale allegato prevede un elenco molto consistente di attività industriali e commer-ciali aggiuntive, per gran parte delle quali riteniamo non sussistere la caratteristica di indispensabilità o essenzialità» (corsivo mio). La parola “aggiuntive” lascia intendere che in Gazzetta Ufficiale sia stato pubblicato un elenco diverso da quello visto informalmente dai rappresentanti dei lavoratori in fase di predisposizione del decreto.

(77) D.m. 25 marzo 2020.

(78) Cfr. F. PATRIARCA, op. cit., secondo cui «nel passaggio tra le due versioni del decreto, con

l’intervento dei Sindacati e l’emersione di “alcune mancanze da correggere”, cosa abbastanza inatte-sa, la platea dei lavoratori necessari è cresciuta di oltre un milione».

(79) Il riferimento è alla c.d. classificazione ATECO 2007 e cioè alla versione italiana della

classifica-zione della attività economiche definita in ambito europeo (NACE REV.2) ed approvata con rego-lamento (CE) n. 1893/2006 che, a sua volta, deriva dalla classificazione definita a livello ONU (ISIC REV.4).

(80) Si tratta di un database, con finalità classificatorie e informative, volto a offrire una mappa dei

processi di lavoro e una descrizione delle relative aree di attività in 24 settori economico-professionali (SEP), ottenuti utilizzando i codici delle classificazioni Istat relative alle attività eco-nomiche (ATECO 2007) e alle professioni (Classificazione delle professioni 2011). Si veda R.

MAZZARELLA, F. MALLARDI, R. PORCELLI, Atlante lavoro. Un modello a supporto delle politiche

dell’occupazione e dell’apprendimento permanente, in Sinappsi, 2017, n. 2-3.

(81) In tema, per tutti, si veda P.BIANCHI, S.LABORY, Industrial Policy for the Manufacturing Revolution

Perspectives on Digital Globalisation, Edward Elgar, 2018, p. 3, dove si sottolinea che «in the past, indus-try studies and industrial economics have tended to confine indusindus-try to the manufacturing sector, following the famous division introduced by Fisher in 1935 into the three sectors. However,

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