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Caratterizzazione di un fascio di protoni tramite un tomografo a emissione di positroni dedicato

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Academic year: 2021

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(1)

Corso di Laurea Magistrale in Fisica

Caratterizzazione di un fascio di protoni tramite

un tomografo a emissione di positroni dedicato

Candidato:

Giulio Leuci

Relatori:

Prof.ssa Valeria Rosso

Dott. Niccol`

o Camarlinghi

(2)
(3)

Nuovi casi di tumori maligni vengono regolarmente diagnosticati, e solo in Italia si stima che nel 2014 vi siano stati circa 1000 nuovi casi al giorno [1]. Attualmente, le metodologie per la cura dei tumori sono la chirurgia, la che-mioterapia e la radioterapia. Sono tuttavia in sviluppo nuove tecniche quali l’immunoterapia e l’adroterapia.

L’adroterapia, in particolare, è una tecnica che sfrutta adroni, generalmente protoni e ioni carbonio, che per le loro proprietà di interazione con la mate-ria permettono un rilascio della dose maggiormente concentrata nella zona da trattare rispetto alla radioterapia convenzionale.

In particolare, l’adroterapia si è dimostrata la migliore per il trattamento del melanoma oculare, tumore maligno più frequente nell’età adulta con una incidenza di circa 350 nuovi casi l’anno in Italia, in quanto permette in molti casi di conservare la restante capacità visiva dell’occhio trattato [4]. Attualmente in Italia sono attivi il centro CATANA a Catania e il CNAO a Pavia che effettuano il trattamento delle patologie oculari. È di prossima attivazione a Praga il centro ELI-MED, basato su un acceleratore laser-driven che raggiungerà un’energia di 70 MeV [5], rendendo il centro adatto alla cura delle patologie oculari al pari dei centri già attivi.

Scopo della presente tesi è verificare la capacità di DoPET, prototipo di tomografo planare a emissione di positroni sviluppato dal Dipartimento di Fisica "E. Fermi" dell’Università di Pisa e dalla sezione di Pisa dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, di caratterizzare fasci di protoni utilizzati in protonterapia.

La tesi è suddivisa nei seguenti capitoli:

1. Introduzione: sono brevemente esposti un’introduzione all’incidenza dei tumori e alla loro cura, i concetti base di radiobiologia, del

(4)

ii

to dei tomografi PET, degli acceleratori laser driven e dell’interazione radiazione-materia di interesse in questo ambito.

2. Strumentazione e software: è brevemente esposto il sistema prototipale DoPET e i software utilizzati in questo lavoro di tesi.

3. Analisi dei dati: viene verificata la capacità di DoPET di caratterizza-re fasci di protoni in termini dell’energia massima pcaratterizza-resente nel fascio e del numero di protoni, misurati rispettivamente attraverso la larghezza di attivazione in un fantoccio di PMMA e la dose ad esso rilasciata. In questo capitolo della tesi si farà prevalentemente riferimento a immagi-ni ricostruite utilizzando esclusivamente gli eventi acquisiti nella fase di beam-off.

(5)

Indice iii

1 Introduzione 1

1.1 Tumori e tecniche terapeutiche . . . 1

1.2 I tumori oculari e i centri per il loro trattamento . . . 2

1.2.1 Il centro di Catania . . . 2

1.2.2 ELI-MED . . . 3

1.3 Gli acceleratori di particelle laser-driven . . . 4

1.3.1 Target Normal Sheath Acceleration . . . 5

1.4 L’interazione dei protoni con la materia . . . 6

1.4.1 Interazioni nucleari . . . 7

1.5 La radioterapia e l’adroterapia . . . 8

1.5.1 I danni biologici radioindotti: classificazione . . . 8

1.5.2 I danni biologici radioindotti: la rottura del DNA . . . 9

1.5.3 Confronto tra radioterapia e adroterapia . . . 11

1.6 Il monitoraggio del trattamento adroterapico . . . 13

1.6.1 Monitoraggio con un sistema PET . . . 14

1.6.2 Altre modalità di monitoraggio . . . 15

1.7 Fondamenti fisici della tomografia ad emissione di positroni . . . 16

1.7.1 Decadimento β+ . . . . 16

1.7.2 Annichilazione elettrone-positrone . . . 16

1.7.3 Interazioni dei fotoni con la materia . . . 16

1.7.4 Risoluzione spaziale della PET . . . 18

1.7.5 Classificazione degli eventi nei sistemi PET . . . 18

1.8 Algoritmo ML-EM di ricostruzione delle immagini . . . 19 iii

(6)

iv Indice 2 Strumentazione e software 21 2.1 DoPET . . . 21 2.1.1 Scintillatori . . . 21 2.1.2 Fotomoltiplicatori . . . 22 2.1.3 Elettronica di front-end . . . 23 2.2 Software utilizzati . . . 24

2.2.1 Software di ricostruzione delle immagini . . . 24

2.2.2 ImageJ . . . 24

2.2.3 Python . . . 25

2.2.4 ROOT . . . 25

2.3 Simulazioni Monte Carlo . . . 25

3 Analisi dei dati 27 3.1 Calcolo della larghezza di attivazione . . . 27

3.1.1 Procedura di fit . . . 28

3.1.2 Strategie per la determinazione delle incertezze . . . 29

3.1.3 Correlazione tra larghezza di attività ed energia . . . 32

3.2 Tabella delle acquisizioni e simulazioni . . . 32

3.3 Larghezza di attivazione: risultati . . . 32

3.3.1 Dose variabile e tempo di irraggiamento circa costante . . 34

3.3.2 Dose variabile e dose rate circa costante . . . 34

3.3.3 Dose costante e dose rate variabile . . . 34

3.3.4 Traslazione del fantoccio . . . 35

3.3.5 Utilizzo di range shifter: variazioni nell’energia massima del fascio . . . 36

3.4 Dose variabile e Tbeam−oncirca costante . . . 36

3.5 Capacità di seguire lo sviluppo temporale . . . 37

3.5.1 Fase beam-on . . . 37

3.5.2 Fase beam-off . . . 37

4 Conclusioni 51

Bibliografia 55

Elenco delle figure 59

(7)

Introduzione

In questo capitolo sono brevemente esposti un’introduzione all’incidenza dei tumori e alla loro cura, i concetti base di radiobiologia, del funzionamento dei to-mografi PET, degli acceleratori laser driven e dell’interazione radiazione-materia di interesse in questo ambito.

1.1

Tumori e tecniche terapeutiche

Nuovi casi di tumori maligni vengono diagnosticati regolarmente, e solo in Italia si stima che nel 2014 vi siano stati circa 1000 nuovi casi al giorno [1], esclusi i tumori della pelle; nel 2015 [2] la percentuale era circa uguale per gli uomini (53%) e per le donne (47%). La mortalità annua dovuta ai tumori, tuttavia, è in calo costante di circa 0.8% negli uomini e 1.3% nelle donne.

È quindi molto importante monitorare costantemente l’andamento di inci-denza e mortalità dei tumori, e a questo scopo sono preposti i registri dell’As-sociazione Italiana dei Registri TUMori (AIRTUM).

Attualmente, le metodologie per la cura dei tumori sono le seguenti [3]: • Chirurgia: prevede l’asportazione chirurgica del tumore. A volte viene

utilizzata in combinazione con altre tecniche al fine di ridurre, prima o dopo l’operazione chirurgica, il volume tumorale da esportare.

• Chemioterapia: sfrutta farmaci citotossici per inibire la replicazione cel-lulare. Questi farmaci non distinguono tra tessuto sano e tessuto

(8)

2 1.2. I tumori oculari e i centri per il loro trattamento

to, per cui sono previsti effetti collaterali soprattutto nei tessuti ad alta proliferazione cellulare.

• Radioterapia tradizionale: sfrutta fotoni per indurre danni al DNA delle cellule tumorali minimizzando al contempo i danni al tessuto sano cir-costante. Sono state sviluppate tecniche di radioterapia intraoperatoria, che permettono di concetrare la dose di radiazione sul tessuto tumorale, e di radioterapia interna, ponendo una sorgente di radiazioni direttamente nella zona da trattare o nelle sue immediate vicinanze.

• Adroterapia: particolare tecnica di radioterapia che sfrutta adroni, gene-ralmente protoni e ioni carbonio, che per le loro proprietà di interazione con la materia permettono un rilascio della dose maggiormente concentrato nella zona da trattare.

• Altre metodologie: sono state sviluppate anche altre metodologie, come la terapia ormonale, che rallenta la proliferazione dei tessuti tumorali ormono-sensibili, o l’immunoterapia, non ancora approvata in Europa, che sfrutta vaccini per addestrare il sistema immunitario a riconoscere le cellule tumorali.

1.2

I tumori oculari e i centri per il loro

tratta-mento

Il melanoma oculare è il tumore oculare maligno più frequente nell’età adulta con una incidenza di circa 350 nuovi casi l’anno in Italia, e insorge principal-mente nella coroide e metastatizza frequenteprincipal-mente nel fegato [4].

L’adroterapia si è dimostrata la migliore tecnica [4] per il trattamento del melanoma oculare in quanto permette in molti casi di conservare la restante capacità visiva dell’occhio trattato, e non è menomante rispetto alla chirurgia che prevede l’esportazione.

Attualmente in Italia è attivo il centro di CATANA a Catania specializzato nel trattamento delle patologie oculari. Entro dicembre 2017 sarà attivo a Praga ELI-MED, un acceleratore laser-driven che raggiungerà un’energia di 70 MeV [5], rendendo il centro adatto alla cura delle patologie oculari al pari di CATANA.

1.2.1

Il centro di Catania

Per quanto riguarda il tumore all’occhio, il centro italiano Centro di Adrote-rapia ed Applicazioni Nucleari Avanzate (CATANA), assieme all’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico Vittorio Emanuele di Catania. CATANA situato presso

(9)

i Laboratori Nazionali del Sud dell’INFN e sfrutta un ciclotrone supercondut-tore capace di generare fasci di protoni ad un’energia massima dichiarata di 62 MeV, per cui è idoneo per il trattamento di patologie oculari. I trattamenti che vengono eseguiti a Catania comprendono quattro sedute di 60-90 s l’una, con una dose rilasciata di circa 15 Gy [4].

Complessivamente, il trattamento si svolge nelle seguenti fasi [4]:

• Diagnosi: un’accurata visita oculistica svolta dai medici oculisti del centro verifica la posizione e l’entità del tumore.

• Fase chirurgica e biometrica: vengono posizionate all’interno dell’occhio del paziente delle clip di tantalio, visibili con una radiografia, al fine di delimitare l’estensione tumorale fornendo punti di riferimento per il posizionamento e il trattamento.

• Pianificazione del trattamento: al paziente viene immobilizzata la testa per mezzo di una maschera di materiale termoplastico che acquisisce la forma del viso del paziente e la bocca tramite un morso modellato sulle sue arcate dentali, presentati in figura 1.1. Viene successivamente esegui-ta una serie di radiografie, in cui devono risulesegui-tare visibili le clip applicate precedentemente per via chirurgica, e sulla base di queste e delle informa-zioni anatomiche sul tumore fornite dal medico oculistica si procede allo sviluppo di un piano di trattamento personalizzato.

• Verifica del posizionamento. • Esecuzione del trattamento.

• Visite cliniche periodiche successive al trattamento: il paziente comu-nica periodicamente ai medici del centro per monitorare l’efficacia del trattamento e l’eventuale insorgenza di effetti secondari indesiderati. Tra febbraio 2002 ad ottobre 2006 il centro ha trattato 114 pazienti affetti da tumori oculari [4].

1.2.2

ELI-MED

Il progetto Extreme Ligth Infrastructure (ELI) coinvolge 40 istituti di ricerca sparsi in 13 paesi europei [7], e prevede di realizzare 4 facility di accelerazione ioni tramite laser. ELI-Beamlines sarà realizzata a Praga entro dicembre 2017 e permetterà di generare fasci di protoni ultrabrevi di energia massima di 70 MeV. ELI-Beamlines MEDical and multidisciplinary applications (ELI-MED) nasce dalla collaborazione tra i Laboratori Nazionali del Sud dell’INFN di Catania e ELI di Praga, al fine di studiare l’utilizzo di questi fasci di particelle per scopi

(10)

4 1.3. Gli acceleratori di particelle laser-driven

Figura 1.1: Maschera termoplastica e bite block applicati durante un trattamento di protonterapia a CATANA [6]

.

medici. A seguito di questa collaborazione è stato firmato [8] un Memorandum of Understanding nell’aprile 2012, mentre nel 2014 è stato firmato un contratto che affida ai Laboratori Nazionali del Sud la realizzazione della linea ELI-MED, che sarà installata a Praga entro dicembre 2017.

1.3

Gli acceleratori di particelle laser-driven

Nel 2000 fu osservata [9, 10, 11] l’emissione di intensi fasci di protoni da parte di target solidi irraggiati con laser ultra-intensi. In figura 1.2 è presentato uno schema di generazione del fascio di protoni laser-driven: un fascio laser ultra-intenso è focalizzato sul front side del bersaglio, e dal rear side nasce un fascio di protoni o ioni pesanti; tutta la fisica di interazione del laser con il bersaglio e generazione del fascio di protoni è contenuta nella parte centrale dello schema, la cui natura è oggetto di numerosi studi teorici.

Le principali proprietà di un fascio di protoni generato attraverso sorgenti laser-driven sono le seguenti:

• Alta efficienza (> 10%) di conversione laser-protoni. • Elevato (fino a 1013) numero di protoni per bunch. • Collimazione del fascio entro 10 gradi.

(11)

Figura 1.2: Schema generale di un acceleratore laser-driven. Il fascio laser ultra-intenso è focalizzato su un lato del target (detto front side); dall’altro lato (detto rear side) viene generato un fascio di protoni o ioni pesati. Tutta la fisica di generazione del fascio è contenuta nella parte centrale dello schema.

• Breve durata (ps) del fascio. Gli acceleratori standard sono in grado di generare fasci della durata minima dei ns.

• Natura quasi-neutra a causa della nuvola comovente di elettroni che impe-disce l’esplosione del bunch a causa delle interazioni elettrostatiche (Cou-lomb explosion).

1.3.1

Target Normal Sheath Acceleration

La più comune e studiata via di generazione di fasci di protoni trami-te accelerazione laser è la Target Normal Sheath Acceleration (TNSA), presentata in figura 1.3. Dall’interazione del target con il laser

vengo-Figura 1.3: Accelerazione mediante Target Normal Sheath Acceleration (TNSA).

no generati elettroni veloci, che generano una corrente molto intensa nel target stesso, con una densità dell’ordine Jf 1011Acm−2. Se il target è

sufficientemente sottile (inferiori ai µm) gli elettroni raggiungono il rear side del target producendo una separazione di carica. Si produce così

(12)

6 1.4. L’interazione dei protoni con la materia

un campo elettrico che accelera i protoni presenti nel target o nelle sue impurità, la cui accelerazione è favorita dall’alto rapporto carica/massa. Gli elettroni veloci sono prodotti con uno spettro maxwelliano f (E) =

e−E/T, dove il parametro T è detto temperatura. L’intensità del laser e la temperatura degli elettroni veloci sono legate dalla relazione ηI ≈ nvT , dove η è l’efficienza di conversione laser-elettroni, n 1023cm−3 la densità di elettroni prodotti e v ≈ c la loro velocità nel caso ultrarelativistico. La separazione di carica porta ad una differenza di potenziale di ∆V ≈

T /e, per cui un protone acquisirà un’energia di Ep≈ T .

1.4

L’interazione dei protoni con la materia

I protoni, e più in generale le particelle cariche pesanti, perdono la propria energia nel passaggio nella materia per collissioni con gli elettroni. Questo fenomeno è descritto dalla legge di Bethe-Block [12],

dE dx = 4πNer 2 emec2 z2 β2 Z A  1 2ln 2mec2β2γ2Tmax I2 − β 2δ(γ) 2 − C Z 

in cui I è il potenziale medio di ionizzazione, β = vprotone/c, z la carica della particella (z = 1 nel caso dei protoni), Z/A il rapporto tra numero atomico e di massa del mezzo, δ(γ) è una correzzione che limita la crescita logaritmica, detta effetto densità, C il termine di shell correction, Tmax l’energia massima

trasferibile ad un elettrone libero in una singola collissione. Un grafico della perdita di energia in funzione dell’impulso dei protoni è presentato in figura 1.4

Figura 1.4: Andamento del potere frenante massico per protoni al variare dell’impulso in differenti materiali.

(13)

Attraversando la materia i protoni perdono energia, per cui dipendendo da questa la perdita non è costante durante l’attraversamento. In figura 1.5 è illustrato l’andamento della perdita di energia in funzione della profondità di penetrazione: i protoni perdono quasi tutta la loro energia alla fine del cammino, con un picco caratteristico chiamato picco di Bragg. Tale picco è responsabi-le dell’eresponsabi-levata localizzazione della distribuzione della dose nei trattamenti di protonterapia.

Figura 1.5: Posizione del picco di Bragg in acqua per protoni di differente energia [13].

1.4.1

Interazioni nucleari

In adroterapia rivestono particolare importanza anche le reazioni nucleari tra i protoni e il bersaglio.

L’esistenza di queste reazioni nucleari ha un impatto significativo in adrote-rapia, in quanto contribuiscono alla dose totale, modificandone la distribuzione e modificano l’RBE e quindi la distribuzione della dose efficace, e i neutroni e gli elettroni prodotti possono rilasciare la loro energia al di fuori del volume da trattare. Questi fatti devono essere tenuti di conto durante la pianificazione del trattamento.

Le particelle secondarie possono essere rivelate al fine di monitorare il trat-tamento, ad esempio rivelando i fotoni in coincidenza emessi dall’annichiliazione tra un elettrone e il positrone emesso dai radionuclidi elencati in tabella 1.1 tra-mite un tomografo PET. Infatti, sebbene il rilascio della dose e la produzione di questi isotopi sono dovuti a fenomeni fisici differenti, a parità di altre condi-zioni il numero degli isotopi prodotti dipende dal numero di protoni incidenti (e quindi dalla dose) e la loro profondità di produzione dall’energia.

(14)

8 1.5. La radioterapia e l’adroterapia

Tabella 1.1: Principali radioisotopi prodotti in protonterapia, loro tempo di dimezzamento, canali di produzione e relative energie di soglia [15].

Isotopo T1/2 (s) Canale Eth(MeV)

11C 1120 12C(p,np)11C 20.61 16O(p,3p3n)11C 59.64 14N(p,2p2n)11C 3.22 10C 19.3 12C(p,p2n)10C 35 15O 122.2 16O(p,3p4n)15O 16.79 13N 597.9 16O(p,2p2n)13N 5.66 14O(p,pn)13N 11.44 8B 0.770 12C(p,2p3n)8B 61 30P 149.9 31P(p,pn)30P 19.7 38K 458.2 40Ca(p,2p2n)38K 21.2

1.5

La radioterapia e l’adroterapia

La radioterapia e l’adroterapia si basano sulla possibilità di indurre un dan-no biologico a livello del DNA delle cellule tumorali, risparmiando per quanto possibile tutti i tessuti sani circostanti alla zona da trattare.

1.5.1

I danni biologici radioindotti: classificazione

Il passaggio di radiazione ionizzante nella materia biologica provoca dei danni a livello subcellulare.

Tale danno dipende da vari fattori:

• dose assorbita: rapporto ∆E/∆M tra l’energia assorbita ∆E dalla massa ∆M e la massa stessa.

• EBR della radiazione: l’Efficacia Biologica Relativa (EBR) è calcolata come

dose di raggi X che causa un certo danno biologico

dose della radiazione che si studia che causa lo stesso danno biologico Questo parametro dipende dal Linear Energy Transfer (LET), tanto più alto quanta maggiore è la densità di ionizzazione prodotta. L’efficacia biologica della radiazione viene parametrizzata dal parametro ωR,

det-to fatdet-tore di ponderazione della radiazione, e la quantità, eventualmente sommata su tutte le radiazioni, HT = ωR· D è detta dose equivalente. Si

misura in sievert (Sv).

• Tessuto o organo esposto: i vari organi e tessuti degli organismi vi-venti subiscono danni diversi a parità di dose assorbita e caratteristiche della radiazione. La radiosensibilità di un tessuto od organo dipende da

(15)

vari fattori, tra cui la proliferalità del tessuto, il suo stato di ossigenazio-ne, eccetera. La radiosensibilità di un tessuto viene parametrizzata dal parametro ωT, detto fattore ponderale del tessuto, e la quantità,

even-tualmente sommata su tutti i tessuti, E = ωT · HT è detta dose efficace.

Si misura in sievert (Sv).

I valori di ωR e ωT possono essere aggiornati nel tempo a causa delle continue

ricerche in radiobiologia e in medicina. L’International Commission on Radiolo-gical Protection (ICRP) si occupa di mantenere aggiornati questi valori; quelli attuali sono riportati in [16].

Gli effetti biologici macroscopici possono essere suddivisi in due grandi ca-tegorie:

• Effetti deterministici: sono effetti prevedibili che dipendono dalla dose assorbita dai tessuti e dal frazionamento della dose, il cui effetto è tanto più marcato quanto maggiore è la dose assorbita. L’effetto non si manifesta sotto una determinata dose, detta dose di soglia. Sono generalmente effetti precoci, che influenzano direttamente il soggetto esposto.

• Effetti stocastici: sono effetti la cui entità non dipende dalla dose as-sorbita, né esiste una dose soglia sotto la quale non si manifesta l’effetto. La probabilità di insorgenza dell’effetto stocastico aumenta all’aumentare della dose assorbita, e l’effetto può interessare sia il soggetto esposto che la sua progenie.

1.5.2

I danni biologici radioindotti: la rottura del DNA

Il maggiore impatto a livello biologico è dato dai danni subiti dal DNA, direttamente dalla radiazione ionizzante, o da altri prodotti biologici formatisi a causa del passaggio della radiazione nella materia. I danni al DNA possono interessare una o entrambe le catene dell’elica, e da queste dipende la frazione cellulare che sopravvive all’assorbimento di una certa dose di radiazione, che è modellizzata dal modello lineare-quadratico [17]:

frazione cellulare sopravvissuta = e−αD−βD2

dove D è la dose; il parametro α parametrizza i danni non riparabili dal DNA, ovvero quelli che coinvolgono entrambe le catene dell’elica, mentre β parame-trizza i danni riparabili al DNA, ovvero quelli che coinvolgono una singola elica. Il rapporto α/β dipende dal tipo di tessuto coinvolto, ma è generalmente più alto per i tessuti tumorali. Questo fatto consente di eseguire il trattamento ra-dioterapico, che viene eseguito unicamente in caso di buona finestra terapeutica,

(16)

10 1.5. La radioterapia e l’adroterapia

ovvero se la probabilità di provocare danni al tessuto tumorale è sufficientemen-te maggiore di quella di provocarli al sufficientemen-tessuto sano. Tale finestra viene valutata rispettivamente tramite le curve Tumor Control Probability (TCP o TC) e Nor-mal Tissue Complication Probability (NTCP o NTC). Un esempio di buona e cattiva finestra terapeutica è presentato in figura 1.6.

Figura 1.6: Valutazione della finestra terapeutica sulla base della probabilità di causare un danno al tessuto sano (curva NTC) e al tessuto tumorale (curva TC). La curva a sinistra rappresenta una migliore finestra terapeutica di quella a destra poiché, a parità di dose, la probabilità di causare un danno al tessuto tumorale è molto maggiore rispetto al tessuto sano [18]

.

L’interazione tra la radiazione e la materia biologica si sviluppa in varie fasi illustrate in figura 1.7:

Figura 1.7: Stadi dell’interazione tra radiazione e materia biologica. [19]

• Stadio fisico iniziale: l’interazione ha luogo e si verifica la ionizzazione delle molecole.

(17)

• Stadio fisico-chimico: ha luogo la produzione dei radicali liberi, mole-cole altamente instabili che sono la principale causa dei danni alle macro-molecole biologiche, comprese il DNA.

• Stadio chimico e biologico: vengono danneggiate le varie macromole-cole biologiche, ma a causa della sua unicità i danni subiti dal DNA sono critici. Gli effetti biologici osservabili a livello cellulare dipendono dalla riparabilità del danno al DNA:

– i danni vengono riparati in maniera corretta e la cellula

ri-prende ad operare.

– i danni vengono riparati ma vengono commessi degli errori;

la cellula, se ancora in grado di riprodursi, può diventare tumorale.

– i danni non vengono riparati e la cellula muore.

1.5.3

Confronto tra radioterapia e adroterapia

In radioterapia si cerca di concentrare la dose fornita dalla radiazione al volume tumorale individuato dal medico radioterapista, minimizzando la dose fornita ai tessuti sani circostanti la zona da trattare. Nella radioterapia diffusa oggigiorno negli ospedali, la dose viene rilasciata inviando sul paziente fasci di fotoni o elettroni prodotti tramite acceleratori lineari, ma nel 2016 [20] erano in funzione in tutto il mondo 44 centri per protonterapia e 7 centri per carbontera-pia. Questo approccio alla terapia prende il nome di adroterapia, e attualmente le due principali linee di impiego sono la protonterapia e la carbonterapia. In Italia al 2016 [21] erano attivi 197 centri di radioterapia tradizionale, mentre attualmente [23, 20, 22] sono attualmente attivi tre centri di adroterapia:

• Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (CNAO): situato a Pavia, esegue trattamenti sia di protonterapia che di carbonterapia. Usa un sincrotrone non commerciale.

• CATANA: situato a Catania, è un centro specializzato nel trattamento di patologie oculari mediante trattamenti di protonterapia. Usa un ciclotrone non commerciale.

• Trento: sfrutta un ciclotrone IBA ProteusPLUS per effettuare trattamenti di protonterapia, anche in pazienti pediatrici.

L’uso di particelle cariche pesanti invece di fotoni ed elettroni permette di rilasciare la dose voluta con un miglior risparmio dei tessuti sani: supponendo che la zona da trattare sia situata in profondità, l’uso di particelle cariche pesanti permette di distribuire la maggior parte della dose alla zona da trattare, con

(18)

12 1.5. La radioterapia e l’adroterapia

un miglior risparmio dei tessuti sani rispetto ai fotoni e agli elettroni, i quali rilasciando la maggioranza della dose all’ingresso del piazente, come illustrato in figura 1.8. Questo è evidentente se confrontiamo un piano di trattamento realizzato per radioterapia a modulazione di intensità (IMRT) con fotoni e uno per carbonterapia, presentato in figura 1.9: in entrambi i casi la zona da trattare, segnata tramite una linea bianca, riceve la dose terapeutiche, mentre nel caso di carbonterapia il volume di tessuti sani circostanti che è stato irraggiato è molto inferiore.

Poiché le particelle cariche pesanti rilasciano la loro energia al picco di Bragg, ma poiché il tumore è esteso per rilasciare la dose sull’intero volume da trattare è necessario utilizzare fasci di particelle di varie energie, dalla cui convoluzione si ottiene un profilo di rilascio della dose detto Spread Out Bragg Peak (SOBP), illustrato in figura 1.10.

Figura 1.8: I fotoni e gli elettroni rilasciano gran parte della dose all’ingresso del corpo del paziente. I protoni e gli ioni carbonio, invece, rilasciano la quasi totalità della dose in corrispondenza del picco di Bragg, la cui posizione dipende dall’energia del fascio. [24]

(19)

Figura 1.9: Confronto tra un piano di trattamento IMRT a nove fasci di foto-ni (sifoto-nistra) contro un piano di trattamento carbonterapico a due fasci di iofoto-ni carbonio (destra) [25]. Pur rilasciando la stessa percentuale di dose al volume da trattare (regione compresa tra il 95% e il 120% della dose clinica stabili-ta), il trattamento con ioni carbonio permette un risparmio dei tessuti sani notevolmente superiore a quello offerto dal trattamento IMRT.

Figura 1.10: Esempio di SOBP in acqua.

1.6

Il monitoraggio del trattamento

adroterapi-co

In ogni trattamento radioterapico, sia questo effettuato con fotoni, elettroni o adroni, è di fondamentale importanza il monitoraggio del trattamento stes-so. Ogni paziente viene trattato con un piano di trattamento personalizzato, simulato al calcolatore, ed è pertanto necessario assicurarsi che quanto è stato simulato sia effettivamente ciò che accade in sede terapeutica.

(20)

14 1.6. Il monitoraggio del trattamento adroterapico

Nella radioterapia con fotoni è possibile monitorare il trattamento rivelando i fotoni trasmessi dal paziente. Questo non accade in adroterapia, in quanto il fascio di adroni si arresta completamente all’interno del paziente.

Sono state tuttavia studiate varie tecniche per il monitoraggio, tra cui l’i-maging PET, oggetto di questa tesi.

1.6.1

Monitoraggio con un sistema PET

Come illustrato in figua 1.11, il profilo di attività e di rilascio della dose sono profondamente differenti; in particolare, la profondità dell’attività è minore della profondità della dose a causa della soglia in energia delle reazioni nucleari che attivano il bersaglio, come riportato in tabella 1.1. Per risolvere queste difficoltà è necessario comparare la distribuzione di attività misurata con una simulata tramite Monte Carlo.

Figura 1.11: Attività e dose simulate con Monte Carlo; irraggiamento con protoni da 58 MeV su un bersaglio di PMMA. [26]

Inoltre, il monitoraggio può avvenire con varie modalità:

• In-room: il monitoraggio avviene con il paziente all’interno della stessa sala del trattamento.

– On-line: il monitoraggio avviene con il paziente nella stessa

(21)

ridotte le possibili incertezze dovute ad uno spostamento del pazien-te, oltre a registrate il massimo numero di eventi possibile. Non è tuttavia possibile utilizzare normali tomografi commerciali, in quan-to è necessaria almeno un’apertura per l’entrata del fascio. DoPET rientra in questa categoria di tomografi.

∗ beam-on: acquisizione con fascio acceso, durante l’irraggiamento; ∗ beam-off: acquisizione con fascio spento, dopo l’irraggiamento.

– Off-line: il monitoraggio avviene con il paziente collocato in una

po-sizione diversa rispetto a quella in cui è avvenuto il trattamento. Ol-tre a possibili errori nel posizionamento del paziente, questo metodo comporta la riduzione del numero di isotopi registrabili, allungando la durata dell’acqusizione PET. È tuttavia possibile utilizzare normali tomografi commerciali.

• Off-room: il monitoraggio avviene con il paziente in una stanza diversa rispetto a quella in cui è avvenuto il trattamento, enfatizzando gli svan-taggi già illustrati nel caso off-line. Inoltre, diventa significativo anche il wash-out.

1.6.2

Altre modalità di monitoraggio

• γ-prompt: oltre ai fotoni prodotti dall’annichilazione positrone-elettrone, durante l’irraggiamento vengono prodotti anche fotoni dalla diseccitazione dei nuclei bersaglio. Questi fotoni vengono emessi fino a qualche millimetro prima del picco di Bragg, per cui anche questa tecnica presenta la diffi-coltà che la profondità misurata non coincide con la profondità del picco di Bragg. A causa dell’elevata energia dei γ-prompt (2 − 15 MeV) non è possibile utilizzare strumentazione commerciale, per cui è attualmente attivo un filone di ricerca dedicato allo sviluppo di strumentazione dedica-ta. È tuttavia possibile sfruttare questo modoto di monitoraggio durante l’irraggiamento anche con ratei di dose bassi (2 Gy/min), in quanto assi-curano un rate di γ sufficientemente elevato. Questa modalità permette un monitoraggio istantaneo del trattamento.

• Tracciatori carichi: si ricostruiscono i percorsi dei frammenti carichi pro-dotti dall’interazione dei primari con il bersaglio e che escono dal corpo del paziente. È possibile correlare tramite simulazioni MonteCarlo il flus-so dei secondari con la posizione del picco di Bragg mediante il metodo interaction vertex imaging (IVI). Inoltre, lo spettro di velocità dei secon-dari è correlato allo scattering multiplo che subiscono all’interno del corpo

(22)

16 1.7. Fondamenti fisici della tomografia ad emissione di positroni

del paziente, per cui è possibile migliorare la ricostruzione delle posizioni iniziali.

1.7

Fondamenti fisici della tomografia ad

emis-sione di positroni

La tomografia ad emissione di positroni (PET) viene effettuata mediante la rivelazione in coincidenza di una coppia di fotoni prodotta dall’annichilazione di un positrone con un elettrone atomico del corpo del paziente. Tale posi-trone proviene dal decadimento β+ di un radionuclide formatosi, nel caso di questo lavoro di tesi, dall’interazione nucleare dei protoni del fascio con il fan-toccio. Al termine dell’esame si avrà una mappa della distribuzione di attività del radionuclide nel corpo del paziente.

1.7.1

Decadimento β

+

Il decadimento β+ è un processo nucleare consistente nella trasformazione di un protone in un neutrone con formazione di un positrone ed un neutrino elettronico, come

p → n + e++ νe.

In quanto decadimento a tre corpi, lo spettro di energia del positrone è uno spettro continuo.

1.7.2

Annichilazione elettrone-positrone

L’annichilazione in volo dell’elettrone e del positrone è molto rara e la conse-guenza più probabile della loro interazione è la formazione di uno stato legato, detto positronio. A seconda dello spin di elettrone e positrone possiamo avere più canali di decadimento del positronio, ma grazie alla differente vita media dei due stati possibili (detti parapositronio ed ortopositronio) e del fenomeno del pick up il risultato più probabile dell’annichilazione del positrone e dell’elet-trone è l’emissione di due fotoni collineari, ognuno con energia pari a 511 keV. In realtà, poiché l’annichilazione non avviene a riposo nel sistema di riferimento del laboratorio, l’angolo tra i due fotoni non è esattamente piatto ma vale circa (180 ± 0.5)◦ in acqua.

1.7.3

Interazioni dei fotoni con la materia

(23)

Figura 1.12: Andamento del coefficiente di attenuazione lineare massico dei fotoni al variare dell’energia. [28]

• effetto fotoelettrico. In tale processo il fotone interagisce con un elet-trone atomico. Sia B l’energia di legame di un eletelet-trone atomico. Se l’energia del fotone E è tale che E > B, allora il fotone può venire assor-bito dall’elettrone atomico il quale acquista un’energia cinetica T pari a

T = E −B. L’energia di legame dell’elettrone costituisce quindi una soglia

per l’effetto fotoelettrico, il cui schema di interazione è γ + A → e+ A+. La sezione d’urto fotoelettrica dipende dal numero atomico del mezzo at-traversato e dall’energia del fotone come σfotoelettrico ∝ Z4/E3 [27]. Tale fenomeno risulta dominante sugli altri due fino ad un’energia di 25 keV. • Effetto Compton. È un processo di diffusione incoerente, dove il fotone

cede parte della propria energia ad un elettrone atomico e viene defles-so, avendo energia minore. Per fotoni di energia molto maggiore di B possiamo schematizzare il processo come γ + e→ γ + e, in quanto

possiamo considerare liberi gli elettroni atomici. La sua sezione d’urto è

σCompton∝ Z/E.

• Produzione di coppie. Se l’energia del fotone E è tale che, detta mela

massa dell’elettrone, E > 2meallora il fotone può convertirsi in una coppia

elettrone-positrone interagendo con il nucleo atomico o con un elettrone. L’andamento del coefficiente di attenuazione lineare massico, scomposto nei contributi dovuti ai vari processi di interazione con la materia, è illustrato in figura 1.12

(24)

18 1.7. Fondamenti fisici della tomografia ad emissione di positroni

Un fascio di fotoni di intensità I0 che attraversa uno spessore x di materia viene attenuato all’intensità I(x) = I0e−µx, dove µ = µfotoelettrico+ µCompton+

µcoppie è detto coefficiente di attenuazione lineare e per fotoni da 511 keV in

acqua vale µ = 9.6·10−2cm−1, corrispondente ad uno spessore di dimezzamento di circa 7.2 cm.

1.7.4

Risoluzione spaziale della PET

La risoluzione spaziale di un tomografo PET commerciale è definita come la larghezza a metà altezza della point spread function. Analiticamente è espressa come

F W HM = kp(d/2)2+ b2+ (0.0022D)2+ r2+ p2,

i cui contributi sono:

• Fattori tecnologici: d/2 è legato alla dimensione finita dei pixel, b è l’errore di codifica, p l’errore connesso all’effetto di parallasse, k è legato alla classe di algoritmo di ricostruzione utilizzato.

• Fattori fisici: r è il range del positrone e 0.0022D, dove D è il diame-tro dell’anello di rivelazione, è l’effetto dovuto alla non collinearità della coppia di fotoni.

1.7.5

Classificazione degli eventi nei sistemi PET

In figura 1.13 è possibile osservare esempi dei vari contributi al rumore in PET:

Figura 1.13: Classificazione degli eventi in un sistema PET:T è una linea di volo corrispondente ad una coincidenza vera, S è una linea di volo acquisita per conteggi scattered, R è una linea di volo acquisita per conteggi random.

(25)

• Conteggi random: fenomeno che coinvolge coppie di fotoni collineari, in entrambe delle quali uno dei due non viene rivelato mentre l’altro viene rivelato in coincidenza con un fotone dell’altra coppia, generando una coin-cidenza random; se i fotoni di una coppia fossero entrambi correttamente rivelati si avrebbe una coincidenza tripla generalmente scartata durante la ricostruzione delle immagini. Tale fenomeno può essere controllato per via statistica mediante il metodo della finestra ritardata: per ogni evento di singola che viene registrato in un rivelatore, viene aperta una seconda finestra temporale ritardata rispetto alla prima, di modo che tutti gli even-ti che vi vengano raccoleven-ti siano scorrelaeven-ti dalla singola precedentemente acquisita, ottenendo così una stima del rate di coincidenze random. • Conteggi scattered: uno dei due fotoni di annichilazione viene deflesso

dalla linea di volo da un’interazione Compton. Tale fenomeno può essere controllato mediante la misura dell’energia dei fotoni: il fotone deflesso ha infatti un’energia inferiore ai 511 keV.

In entrambi i casi il risultato è l’acquisizione di una linea di volo non cor-rispondente ad alcun evento di annichilazione che produce rumore all’interno dell’immagine ricostruita.

1.8

Algoritmo ML-EM di ricostruzione delle

im-magini

Sia ~f ∈ RN l’immagine da ricostruire e ~p ∈ RM i dati acquisiti, con N il numero di voxel dell’immagine e con M il numero di linee di volo acquisite. Sia inoltre A ∈ RM ×N la matrice del sistema tale per cui A ~f = ~p. L’elemento (i, j)

della matrice A rappresenta la probabilità che un evento nel voxel j sia rivelato lungo la linea i.

Idealmente per ottenere l’immagine ~f sarebbe sufficiente calcolare ~f = A−1~p,

ma essendo A generalmente non quadrata e per la presenza di rumore, tale per cui A ~f = ~p + rumore, il problema non può essere risolto in questo modo.

Si procede quindi in maniera iterativa a partire da un’immagine di prova piatta f0, calcolando l’immagine al passo k + 1 a partire dall’immagine al passo

k moltiplicando quest’ultima per un fattore correttivo. Il procedimento generale

di un metodo di ricostruzione iterativo è illustrato in figura 1.14. Non esiste una regola generale per stabilire il numero di interazioni da eseguire, per cui viene scelto in modo empirico. Inoltre i metodi iterativi, a differenza dei metodi anali-tici, non necessitano di un campionamento uniforme, permettendo di ricostruire

(26)

20 1.8. Algoritmo ML-EM di ricostruzione delle immagini

immagini anche da dati acquisiti da tomografi che non comprono tutto l’angolo di 2π. Immagine fk Dati proiettati Immagine Corretta fk+1 Dati Misurati p CONFRONTO Dati corretti Proiezione A Retroproiezione AT k= k+ 1

Figura 1.14: Schema generale di un metodo di ricostruzione iterativo.

L’algoritmo usato per la ricostruzione dei dati acquisiti da DoPET e delle simulazioni è il Maximum Likelihood Expectation Maximization (ML-EM):

~

fk+1= 1 ||A||f~

k· AT ~p A ~fk

Il fattore correttivo è dato dai seguenti contributi:

• A ~fk: proiezione dell’immagine al passo k. Generalmente ~f0è un’immagi-ne conteun’immagi-nente 1 in ogni voxel.

• ~p/(A ~fk): comparazione tra i dati acquisiti e l’immagine al passo k.

• moltiplicazione per AT: retroproiezione.

(27)

Strumentazione e software

In questo capitolo è brevemente esposto il sistema prototipale DoPET e i software utilizzati in questo lavoro di tesi.

2.1

DoPET

DoPET è un prototipo di tomografo PET planare composto da due teste rivelatrici composte ciascuna di nove moduli identici, per una superficie sensibile totale di circa 15×15 cm2. È stato sviluppato all’Università di Pisa e all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). In figura 2.1 è presentato uno dei moduli componenti le teste di DoPET. La scelta di un tomografo planare è dettata dalle necessità relative all’installazione del prototipo nella sala di trattamento.

2.1.1

Scintillatori

Ogni modulo di DoPET è dotato di una matrice di 23 × 23 cristalli dello scintillatore inorganico ortosilicato di lutezio-ittrio (LYSO). Ogni cristallo mi-sura 1.9 × 1.9 × 16 mm3 con un pitch di 2 mm. La presenza del lutezio genera, a causa del suo isotopo radioattivo 176Lu (presente in percentuale di massa al 2.59%), un fondo di radiazione rivelabile da DoPET; tale fondo contribuisce al segnale misurato. Il 176Lu ha una vita media di 3.6 · 1010 anni ed emette un elettrone e tre fotoni, rispettivamente di energie 420 keV, 307 keV, 202 keV, 88 keV [29].

(28)

22 2.1. DoPET

Figura 2.1: Uno dei moduli delle teste di DoPET. [15]

In tabella 2.1 sono elencate le principali caratteristiche degli scintillatori LYSO. Proprietà Valore Peso specifico 7.4 g/cm3 Indice di rifrazione 1.82 Yield 27000 fotoni/MeV Picco di emissione 420 nm Tempo di decadimento 47 ns

Igroscopicità Non igroscopico

Tabella 2.1: Proprietà principali degli scintillatori a LYSO. [30, 31]

2.1.2

Fotomoltiplicatori

Ogni scintillatore di DoPET è accoppiato otticamente ad un fotomoltipli-catore sensibile alla posizione (PS-PMT) Hamamatsu H8500 tramite una colla ottica. L’area attiva del fotomoltiplicatore è di 49 × 49 mm2adatta a coprire le dimensioni dello scintillatore. Sono presenti 64 anodi, e la corrente generata da ogni anodo è amplificata da una serie di 12 dinodi.

(29)

Proprietà Valore

Dimensioni 52 × 52 × 28 mm3

Risposta spettrale 300-600 nm

Tipologia fotocatodo Bialkali

Dimensioni pixel 5.8 × 5.8 mm2

Area sensibile 49 × 49 mm2

λ di picco 420 nm

Numero di anodi 8 × 8

Fill factor 89%

Tabella 2.2: Proprietà principali del PS-PMT Hamamatsu H8500 ricavate dal datasheet.

2.1.3

Elettronica di front-end

L’elettronica di front-end di DoPET comprende la Symmetric Charge Divi-sion (SCD), la Pulse Shape Preamplifier (PSP) e la Constant Fraction Discri-mintaro (CFD). In particolare, l’elettronica di front-end di DoPET:

• È integrata nel corpo delle due teste.

• È composta da due schede. Una comprende la SCD, l’altra il PSP e il CFD.

Il suo funzionamento è il seguente:

• La SCD, direttamente connessa ai fotomoltiplicatori, riduce i 64 segnali degli anodi in 8 + 8 tramite una rete resistiva.

• I 16 segnali vengono inviati alla PSP, dove vengono amplificati e processati al fine di registrare unicamente i segnali XA, XB, YA, YB, e il segnale

temporale dell’ultimo dinodo.

• La CFD è adibita a misurare il tempo di arrivo di un evento il cui segnale sia superiore ad una certa soglia. Poiché il tempo di raggiungimento della soglia dipende dall’ampiezza del segnale, la CFD misura il tempo nel quale il segnale raggiunge una certa percentuale del suo valore di picco, che è indipendente dall’ampiezza del segnale stesso.

• L’output dell’elettronica di front-end delle due teste è inviata alle DAQ presenti sulla mother-board. Qui vengono generati i segnali che tramite la logica di Anger porteranno alla determinazione del baricentro del segnale. Complessivamente, per ogni evento vengono registrati i cinque segnali relativi al-le coordinate (X, Y ) di ogni testa. In figura 2.2 è illustrata una schematizzazione dell’elettronica.

(30)

24 2.2. Software utilizzati

Figura 2.2: Schematizzazione dell’elettronica di DoPET limitatamente a due moduli. [15]

2.2

Software utilizzati

2.2.1

Software di ricostruzione delle immagini

Una coppia di fotoni definisce una Line Of Response (LOR) descritta dai 4 numeri indicanti il modulo colpito e il cristallo in cui ogni fotone ha interagito; inoltre, ogni LOR ha associato anche un numero indicante il numero di volte in cui tale LOR è stata attivata.

La ricostruzione dell’immagine avviene mediante l’algoritmo ML-EM prece-dentemente descritto in 1.8 in cui il modello del sistema viene calcolato tramite l’algoritmo Siddon Multiray [32]. Al fine di tenere conto di effetti non calcolati nel modello è stata eseguita una normalizzazione diretta mediante l’attivazione di tutte le LOR tramite una sorgente di FDG planare di circa 160 × 160 × 3 mm3 posizionata tra le teste e parallela ad esse, in modo da garantire un’irraggia-mento uniforme delle stesse. Il numero di iterazioni eseguite nell’algoritmo può essere deciso dall’utente, ma è stato empiricamente fissato a 5, in quanto è stato osservato che un numero maggiore di iterazioni non comporta un miglioramento nell’immagine ricostruita.

Il campo di vista (Field of View, FOV) ricostruito ha una dimensione di 100 × 160 × 160 mm3 in cui ogni voxel ha una dimensione di 1 × 1 × 1 mm3.

Sono forniti anche strumenti per selezionare gli eventi acquisiti in un deter-minato intervallo temporale e per generare un file contenente le informazioni sulla frequenza degli eventi.

2.2.2

ImageJ

ImageJ è un software di elaborazione delle immagini sviluppato al National Institutes of Health (USA) rilasciato con licenza open source. Le immagini ricostruite tramite il software di ricostruzione presentato nel paragrafo vengono

(31)

interpretate da ImageJ come uno stack di 160 immagini in scala di grigi di 100 × 160 pixel ciascuna, rappresentanti il piano xy. Mediante opportune funzioni di ImageJ è possibile selezionare ed esportare una ROI (Region Of Interest), e visualizzare le viste degli altri piani dell’immagine.

2.2.3

Python

Python è un linguaggio di programmazione interpretato ad alto livello, par-ticolarmente semplice nell’uso e molto usato nella ricerca scientifica. I modu-li principamodu-li utimodu-lizzati sono numpy, matplotlib, cv2, sys e root. Quest’ultimo modulo è stato sviluppato al CERN per utilizzare ROOT come modulo Python.

2.2.4

ROOT

ROOT è un complesso software per l’analisi dati scritto in c++ e sviluppato al CERN. La versione utilizzata per questo lavoro di testi è la 6.10/02.

2.3

Simulazioni Monte Carlo

In questo lavoro di tesi sono state analizzate simulazioni Monte Carlo otte-nute mediante il codice FLUKA [33], un software di simulazioni Monte Carlo sviluppato a partire dal 1989, il cui copyright è detenuto dal CERN e dall’INFN. Le simulazioni qui analizzate sono state eseguite presso la sezione di Pi-sa dell’INFN, utilizzando una versione di FLUKA non disponibile al pubblico integrante parti di codice specifici per le applicazioni in campo medico.

Il risultato della simulazione si presenta come un file .root, che può poi essere convertito in un file .dat compatibile con il software di ricostruzione descritto in 2.2.2.

Nelle simulazioni analizzate è stata implementata solo la geometria delle teste di DoPET e non la loro struttura, per cui vengono registrate come coincidenze vere tutte le coppie di fotoni che raggiungono le teste di DoPET.

(32)
(33)

Analisi dei dati

Si vuole studiare come DoPET, descritto nel precedente capitolo, possa es-sere uno strumento utilizzabile per la caratterizzazione di nuovi fasci di protoni utilizzabili nei trattamenti di protonterapia. Nel caso di acceleratori in grado di generare tutti i protoni utili al trattamento in pochi ps misure dirette delle ca-ratteristiche del fascio risultato molto complesse, per le cui misure indirette può essere utilizzato un tomogrado PET. Le due principali grandezze di interesse nel trattamento sono la dose rilasciata al volume da trattare e la profondità a cui i protoni hanno rilasciato tale dose. Tali grandezze sono legate rispettivamente al numero di protoni e alla massima energia presenti nel fascio. In questo capitolo verrà quindi studiata la risposta di DoPET al variare di questi e altri parametri, in modo da determinare la minima variazione di energia rilevabile e studiarne il comportamento al variare della dose.

Nel seguito, se non diversamente indicato, si farà riferimento solo a dati acquisiti durante la fase di beam-off.

3.1

Calcolo della larghezza di attivazione

Una volta ottenuta l’immagine ricostruita tramite il software di ricostruzione descritto nel paragrafo 2.2.2, questa viene processata mediante uno script in Python per ottenere il profilo di attività 1D, ovvero la media dei livelli di grigio in una ROI selezionata nel piano xy al variare della coordinata z. In figura 3.1 sono presentati come esempio i vari piani dell’immagine ricostruita, ottenuti per mezzo della funzione reslice di ImageJ. L’immagine risulta deformata sui piani

(34)

28 3.1. Calcolo della larghezza di attivazione

xy e xz, lungo la direzione x, a causa della mancanza di copertura angolare dovuta alla natura di tomografo planare di DoPET.

La scelta di un profilo 1D è stata effettuata per misurare la larghezza di attivazione in z del volume attivato mediante i parametri che verranno descritti nel paragrafo 3.1.1.

Lo script in Python calcola la media dei livelli di grigio in una ROI selezionata per ogni slice dell’immagine (piano xy), selezionata tramite ImageJ e le cui coordinate sono state importante nello script, graficando poi questa media in funzione della direzione z. Il risultato di questa operazione è chiamato profilo di attività 1D.

Il tipo di segnale atteso è stato riportato in figura 1.11, dove la linea con-tinua indica la distribuzione di dose dovuta alla perdita di energia dei protoni caratterizzata dal picco di Bragg; la linea tratteggiata indica il corrispondente profilo di attività 1D, che è il segnale atteso. La differente profondità delle due curve è dovuta all’esistenza di una soglia in energia per le reazioni nucleari per la produzione dei radioisotopi β+-emittenti, come illustrato in tabella 1.1. Il profilo SOBP sperimentale, misurato tramite una camera a ionizzazione a facce piane e parallele di tipo Advance Markus è riportato in figura 3.2.

Esempi di profili 1D di un SOBP e di un fascio monoenergetico ottenuti selezionando la ROI riportata in figura 3.3 sono riportati in figura 3.4. Per costruire entrambi i profili sono stati utilizzati solo i dati acquisiti nella fase di beam-off, con un dose rate di circa 12 Gy/min e una dose totale di 15 Gy.

3.1.1

Procedura di fit

I profili così ottenuti sono stati elaborati con ROOT, il quale effettua il fit dei profili prossimale e distale mendiate la funzione

f (z) = A 2 2 √ π Z z−µσ 0 exp (−t2)dt + 1 ! + C

in cui µ indica la posizione al 50%, σ la sua larghezza, e A e C rispettivamente il massimo e minimo di f (z).

Per tutti gli irraggiamenti il profilo prossimale cresce molto rapidamente permettendo di calcolare sempre il valore del 50% del profilo di attivazione. Per i profili distali si è osservata una diversa rapidità di decrescita tra irraggiamenti con protoni monoenergetici e fasci SOBP. In questo ultimo caso si è ricorsi alla determinazione del 30% del profilo distale. Nel seguito ∆W50−50 indica che è stato calcolato il 50% sia nel profilo prossimale, sia nel profilo distale, mentre

∆W50−30 indica che è stato calcolato il 50% del profilo prossimale e il 30% in

(35)

(a) Piano xy (b) Piano xz

(c) Piano yz

Figura 3.1: Differenti viste dell’immagine ricostruita: (a) piano xy (100 × 160 mm2), (b) piano xz (100 × 160 mm2), (c) piano yz (160 × 160 mm2). La deformazione lungo l’asse x è dovuta alla non completa copertura angolare di DoPET dovuta alla sua natura di tomografo planare.

Esempi di fit con la funzione f (z), fittata su profili ottenuti ricostruendo im-magini utilizzando tutti gli eventi acquisiti nella fase di beam-off, sono riportati in figura 3.5.

3.1.2

Strategie per la determinazione delle incertezze

Per la corretta valutazione dell’incertezza sulla ∆W50−50, la ∆W50−30e l’a-rea sottesa dai profili di attività 1D sarebbero necessarie più misure nelle stesse

(36)

30 3.1. Calcolo della larghezza di attivazione

Figura 3.2: Profilo SOBP sperimentale, misurato tramite una camera a ionizzazione a facce piane e parallele di tipo Advance Markus.

Figura 3.3: L’ovale giallo racchiude la ROI scelta per le analisi, selezionata tramite ImageJ e importata in Python, con asse minore di 30 mm e asse maggiore di 87 mm. L’immagine illustrata è relativa alla stessa acquisizione dei profili riportati in figura 3.4.

condizioni di irraggiamento, mancanti nel set di dati analizzato in questo lavoro di tesi.

Per fornire una stima dell’incertezza sulle ∆W50−50 e ∆W50−30 sono quindi stati utilizzati i seguenti metodi:

• Fasci monoenergetici: si è calcolato l’incertezza di ∆W50−50 come la som-ma in quadratura delle incertezze relative a µ dell’equazione di fit esposta nel paragrafo 3.1.1 relativi ai profili distale e prossimale, fornite da ROOT. • Fasci SOBP: poiché il punto al 30% non è un parametro dell’equazione di fit non è stato possibile utilizzare lo stesso metodo utilizzato per i fasci monoenergetici. Per questa tipologia di acquisizione si è suddiviso il file

(37)

50 60 70 80 90 100 z (mm) 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Media liv. grigio (arb)

Profilo di Attivita' 1D Legenda Monoenergetico Profilo di Attivita' 1D (a) 50 60 70 80 90 100 z (mm) 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Media liv. grigio (arb)

Legenda SOBP

Profilo di Attivita' 1D

(b)

Figura 3.4: Media dei livelli di grigio in funzione della coordinata z, detto profilo di attività 1D. La dose rilasciata è 15 Gy, con un dose rate di circa 12 Gy/min; le immagini sono ricostruite utilizzando solo i dati acquisiti nella fase di beam-off. (a) Profilo di attività 1D di un fascio monoenergetico di energia 60 MeV; (b) Profilo di attività 1D di un SOBP ottenuto con il modulatore 01102.

dell’acquisizione in cinque sottofile, contenente ognuno la stessa statistica e lo stesso campionamento, assegnando il primo evento del file originario al primo sottofile, il secondo evento al secondo sottofile e così via. Ognuno di questi sottofile è poi stato ricostruito singolarmente, ottenendo il valore di ∆W50−30 e del suo errore rispettivamente come media ed errore sulla

(38)

32 3.2. Tabella delle acquisizioni e simulazioni

media dei valori calcolati per le cinque immagini.

Per fornire una stima dell’incertezza sull’area sottesa dai profili di attività 1D si è proceduto come sarà descritto nel paragrafo 3.4, ovvero si è calcolato l’errore relativo sulla media delle aree delle immagini suddivise come descritto prece-dentemente e si è supposto che l’area del profilo di attività 1D dell’immagine totale abbia lo stesso errore relativo.

3.1.3

Correlazione tra larghezza di attività ed energia

In precedenti lavori è stata correlata la ∆W50−50 all’energia dei protoni di fasci monoenergetici, sfruttando acquisizioni effettuate presso tutti e tre i centri di protonterapia italiani, non ché di simulazioni Monte Carlo, e i cui risultati so-no illustrati in figura 3.6. Questa procedura trova riscontro nello studio [35] che aveva correlato il range dei protoni con la loro energia per mezzo della relazione

R(E) = αE1.77, con E = 10 − 200 MeV. Il grafico riportato in figura 3.6 mostra la funzione di Bortfeld ∆W50−50(E) = αE1.77+ β, dove β = (−6.6 ± 1.9) mm, e

α = (0.0191 ± 0.0005) mm · M eV−1, sovrapposta ai dati sperimentali acquisiti presso i tre centri di protonterapia italiani e le simulazioni Monte Carlo. Tra-mite questa funzione è possibile determinare dalla misura di ∆W50−50 l’energia del fascio di protoni.

3.2

Tabella delle acquisizioni e simulazioni

L’elenco delle acquisizioni utilizzate in questo lavoro di tesi è descritto in tabella 3.1, tutte effettuate nel Novembre 2015. La sigla SOBP si riferisce ad un fascio di protoni con distribuzione della dose di tipo Spread Out Bragg Peak illustrato in figura 3.2. I fantocci utilizzati sono composti di polimetilmetacrilato (PMMA), un polimero il cui monomero è composto da C5O2H8. Sono stati utilizzati vari fantocci di 8 × 8 × 14 cm3, sostituiti tra una acquisizione e l’altra. La sostituzione del fantoccio è necessaria per non dover attendere l’esaurirsi dell’attività generata nel fantoccio stesso a seguito dell’irraggiamento, in modo da poter effettuare un elevato numero di misure nel tempo in cui l’acceleratore era disponibile per le stesse.

Nel seguito, è stata usata la denominazione degli assi illustrata in figura 3.7.

3.3

Larghezza di attivazione: risultati

In questo paragrafo sono stati analizzati vari set di misure al fine di ca-ratterizzare la risposta di DoPET all’energia del fascio. Supponendo di voler

(39)

Numero Energia Dose (Gy) Dose rate (Gy/min) Tbeam−on (s) Note

01 60 MeV 15 5.7 157.9

02 60 MeV 15 11.8 76.5

03 60 MeV 15 16.9 53.1

04 60 MeV 15 20.7 43.4

05 SOBP 15 9.1 98.4 Range shifter: 3 mm

06 SOBP 15 8.8 102.9 Range shifter: 4 mm

07 SOBP 15 7.2 124.6 Range shifter: 6 mm

08 SOBP 15 13.4 67 Micrometro: z=23 09 SOBP 15 13.6 66.2 Micrometro: z=22 10 SOBP 15 13.4 67.1 Micrometro: z=21 11 SOBP 15 12.6 71.1 Micrometro: z=20 12 SOBP 15 12.3 73.2 Micrometro: z=18 13 SOBP 15 12.5 72.1 Micrometro: z=16

14 SOBP 15 13 69.1 Micrometro: z=23, y=9

15 SOBP 15 12.7 70.5 Micrometro: z=22, y=9

16 SOBP 15 12.8 70.1 Micrometro: z=21, y=9

17 SOBP 15 12.5 71.8 Micrometro: z=20, y=9

18 SOBP 15 12.5 71.8 Micrometro: z=18, y=9

19 SOBP 15 12.6 71 Micrometro: z=16, y=9

20 SOBP 15 12.4 72.9 21 SOBP 12 12.8 56.4 22 SOBP 9 11.25 48 23 SOBP 6 12 30 24 SOBP 3 11 16.3 25 SOBP 2.5 3.7 40.6 26 SOBP 5.5 7.4 44.3 27 SOBP 9.2 11.9 46.2 28 SOBP 12.7 17.5 44.3

Sim1 60 MeV 109 protoni 11.8 76 Simulazione MonteCarlo

Tabella 3.1: Elenco e caratteristiche delle acquisizioni e simulazioni analizzate in questo lavoro di tesi. In tutte le misure era presente in uscita all’acceleratore un collimatore di 30 mm e la distanza tra le due teste di DoPET era fissa a 48 cm. Le acquisizioni da 01 a 04 sono durate complessivamente 10 minuti; la fase beam-off della simulazione è durata 800 secondi; tutte le altre acquisizioni sono durate complessivamente 5 minuti.

osservare una diminuzione dell’energia del fascio di 2 MeV o 1 MeV per un fa-scio di 60 MeV, a partire dalla relazione di Bortfeld presentata nel paragrafo precedente si può ricavare che il sistema deve essere in grado di osservare una variazione nella larghezza misurata rispettivamente di 1.56 mm e di 0.78 mm.

(40)

va-34 3.3. Larghezza di attivazione: risultati

rie grandezze, tenendo fissa l’energia massima del fascio (paragrafi da 3.3.1 a 3.3.4), per studiarne l’eventuale variazione al variare di queste grandezze. Suc-cessivamente, sovrapponendo successivamente al collimatore dei range shifter in PMMA si è studiata la capacità di DoPET di riprodurre gli spessori dei range shifter dalla misura della ∆W50−30 e ∆W50−50 (paragrafo 3.3.5).

3.3.1

Dose variabile e tempo di irraggiamento circa

co-stante

Lo scopo di questo paragrafo è verificare la non dipendenza della ∆W50−30 dalla dose tenendo costante il tempo di irraggiamento.

In questo paragrafo si analizzano le acquisizioni da 25 a 28 presentate in tabella 3.1, riferite ad acquisizioni SOBP con dose variabile e tempo di irraggia-mento di circa 44 s. I corrispondenti profili sono illustrati in figura 3.8, ottenuti ricostruendo i primi 120 s della fase di beam-off. La differenza tra i valori massimo e minimo calcolati di ∆W50−30 risulta essere (0.68 ± 0.13) mm.

Inoltre, la figura 3.8 (b) mette in evidenza come i profili distali abbiamo una maggiore dispersione intorno al 50% dell’altezza rispetto ai valori al 30%.

Poiché la suddivisione dell’acquisizione da 2.5 Gy genera cinque acquisizioni da 0.5 Gy di cui può essere costruito il profilo di attività 1D, si può concludere che sono sufficienti 0.5 Gy per il calcolo di ∆W50−30.

3.3.2

Dose variabile e dose rate circa costante

Lo scopo di questo paragrafo è dimostrare la non dipendenza della ∆W50−30 dalla dose tenendo costante il dose rate.

In questo paragrafo si analizzano le acquisizioni da 20 a 24 presentate in tabella 3.1, relative ad acquisizioni SOBP con dose rate di circa 12 Gy/min. I corrispondenti profili sono illustrati in figura 3.9, ottenuti ricostruendo i primi 180 s della fase di beam-off.

La differenza tra i valori massimo e minimo calcolati di ∆W50−30 risulta essere (0.60 ± 0.14) mm.

3.3.3

Dose costante e dose rate variabile

Lo scopo di questo paragrafo è dimostrare la non dipendenza della ∆W50−50 dal dose rate tenendo costante la dose.

In questo paragrafo si analizzano le acquisizioni da 01 a 04 presentate in tabella 3.1, relative ad acquisizioni con fasci monoenergetici con dose rilasciata al fantoccio di 15 Gy. I corrispondenti profili sono illustrati in figura 3.10, ottenuti ricostruendo i primi 400 s della fase di beam-off. La differenza tra i

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valori massimo e minimo calcolati di ∆W50−50risulta essere (0.14 ± 0.08) mm. Le diverse aree sottese dal profilo a più basso dose rate (5.7 Gy/min) e più alto dose rate (20.7 Gy/min) sono dovute al diverso tempo di irraggiamento: per 5.7 Gy/min è più del doppio degli altri della stessa serie, e questo implica un maggior decadimento durante la fase di beam-on. Sempre per questa ragio-ne la tendenza si inverte ragio-nella fase di beam-on, come illustrato in figura 3.11. Inoltre, si può osservare come durante la fase di beam-on il segnale sia molto più rumoroso, a causa degli eventi prompt assenti nella fase di beam-off.

Si è poi confrontata una di queste acquisizioni con la relativa simulazione, anch’essa ricostruita utilizzando i primi 400 s della fase di beam-off. In figura 3.12 sono presentati i profili relativi all’acquisizione 02 e la relativa simulazione (Sim1) sovrapposti. Le due larghezze di attivazione coincidono.

3.3.4

Traslazione del fantoccio

Lo scopo di questo paragrafo è verificare che il calcolo della larghezza di attivazione non dipende dalla posizione relativa tra teste di DoPET e fantoccio. In questo paragrafo si analizzano le acquisizioni da 8 a 13 e da 14 a 19, presentate in tabella 3.1, riferite ad acquisizioni con dose rate di circa 12 Gy/min e dose di 15 Gy, differenti posizioni relative tra fantoccio e teste di DoPET. I profili sono illustrati in figura 3.13 e 3.14. Si è ricostruita l’intera fase di beam-off, durata circa 230 s.

Per verificare la non dipendenza di ∆W50−30dalla posizione del fantoccio si è operato come segue:

• In figura 3.15 sono presentati i profili di attività 1D corrispondenti alle stesse posizioni (traslazione di 0 mm) dei due gruppi di acquisizioni il-lustrate nelle figure 3.13 e 3.14, rispettivamente con fantoccio centrato rispetto all’asse y e traslato rispetto al centro dell’asse y di 9 mm. Pur presentando una forma diversa, le larghezze dei due profili coincido. • Si è variata solo la coordinata z, in un range di 7 mm, con i passi illustrati

in figura 3.13. La differenza tra la larghezza minore e quella maggiore tra le larghezze dei profili di queste acquisizioni vale (0.44 ± 0.09) mm. • Si è variata solo la coordinata z, in un range di 7 mm, con i passi illustrati

in figura 3.14, tenendo però il fantoccio spostato di 9 mm lungo l’asse y. La differenza tra la larghezza minore e quella maggiore calcolata tra le larghezze dei profili di queste acquisizioni vale (0.62 ± 0.18) mm.

Si è poi verificata la capacità del sistema di discriminare spostamenti millimetrici del fantoccio. In figura 3.16 e 3.17 sono presentati in ascissa la traslazione

(42)

36 3.4. Dose variabile e Tbeam−oncirca costante

attesa del fantoccio calcolata con il riferimento del micrometro, in ordinata la traslazione calcolata come differenza tra il punto al 50% del profilo prossimale tra l’acquisizione con fantoccio traslato e fantoccio centrato. In entrambi i set di misure la differenza massima tra valore atteso e valore calcolato è di circa 0.25 mm.

3.3.5

Utilizzo di range shifter: variazioni nell’energia

mas-sima del fascio

Scopo del seguente paragrafo è dimostrare la capacità di DoPET di osservare fasci di protoni di differenti energie massime.

Si sono analizzate le acquisizioni da 5 a 7 presentate in tabella 3.1, riferite ad acquisizioni con dose rate da 7.2 a 11 Gy/min e dose 15 Gy dove sono stati posizionati successivamente al collimatore diversi range shifter, al fine di variare l’energia massima presente nel fascio che raggiunge il fantoccio. I range shifter sono dichiarati corrispondenti a spessori di PMMA di 2.4, 3.2 e 4.8 mm. I corrispondenti profili sono riportati in figura 3.18, ottenuti ricostruendo i primi 180 s della fase di beam-off.

Alla ∆W50−30 e alla ∆W50−50 misurate senza range shifter sono state sot-tratte quelle misurate con i range shifter, in modo da calcolare a quale spessore di PMMA sia equivalente il range shifter utilizzato e confrontarlo con il valo-re dichiarato. I valori misurati e dichiarati sono riportati in figura 3.19: Le

∆W50−30 riproducono i valori teorici con un’accuratezza maggiore rispetto alle

∆W50−50, in quanto quest’ultima li sottostima sistematicamente rispetto ai

va-lori dichiarati. Resta quindi confermata la bontà della scelta di usare ∆W50−30 come misura della larghezza di attivazione nel caso di acquisizioni SOBP.

3.4

Dose variabile e T

beam−on

circa costante

Scopo del seguente paragrafo è dimostrare la capacità di DoPET di osservare differenti dosi rilasciate al fantoccio.

In questo paragrafo si analizzano le acquisizioni da 25 a 28 presentate in tabella 3.1, riferite ad acquisizioni SOBP con dose variabile e tempo di irraggia-mento di circa 44 s. I corrispondenti profili sono illustrati in figura 3.8, ottenuti ricostruendo i primi 120 s della fase di beam-off.

Si è verificata la linearità dell’area sottesa dai profili con la dose rilasciata al fantoccio, dove per area sottesa dai profili si intende l’area compresa tra 55 mm e 90 mm, dovuta ad un irraggiamento con differente numero di protoni. Si sono ricostruite le immagini utilizzando i primi 60, 90 e 120 secondi della fase

(43)

di beam-off. In tutti e tre i casi si è osservato un andamento lineare dell’area sottesa dal profilo 1D con la dose.

I dati, presentati in figura 3.20 e riferiti alla ricostruzione eseguita con i primi 120 s della fase di beam-off, sono stati fittati con la funzione Area = a · D[Gy], dove D indica la dose espressa in gray e Area l’area sottesa dalla curva. Per fornire una stima dell’incertezza sull’area sottesa dai profili di attività 1D si è calcolato l’errore relativo sulla media delle aree delle immagini suddivise come descritto nel paragrafo 3.1.1 e si è supposto che l’area del profilo di attività 1D dell’immagine totale abbia lo stesso errore relativo. Il risultato del fit è

a = 0.74 ± 0.02, il cui coefficiente di determinazione vale 0.9998.

3.5

Capacità di seguire lo sviluppo temporale

Infine si è verificata la capacità di DoPET di seguire lo sviluppo temporale dell’irraggiamento.

3.5.1

Fase beam-on

Si analizzano le acquisizioni da 20 a 24 presentate in tabella 3.1, relative ad acquisizioni SOBP con dose rate di circa 12 Gy/min, al variare del tempo di irraggiamento. I corrispondenti profili temporali sono illustrati in figura 3.21.

In questa figura si può osservare come lo sviluppo temporale degli even-ti acquisieven-ti durante la fase di beam-on sia circa sovrapponibile, conferman-do la capacità di DoPET di fornire una stima indiretta del flusso di protoni nell’acceleratore.

3.5.2

Fase beam-off

Si analizzano le acquisizioni 02 e Sim1 presentate in tabella 3.1, relative rispettivamente ad una acquisizione e una simulazione di fasci monoenergetici di energia 60 MeV e tempo di irraggiamento di 76.5 s. I corrispondenti profili temporali sono illustrati in figura 3.22, dove il profilo relativo alla simulazione è stato riscalato di un fattore 0.27 in modo da confrontarlo con quello sperimentale nella fase di beam-off.

In questa figura si può osservare come lo sviluppo temporale degli even-ti acquisieven-ti durante la fase di beam-off sia circa sovrapponibile, confermando la capacità del codice Monte Carlo FLUKA di predire l’andamento temporale dell’attività durante la fase di beam-off.

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