UNIVERSITA’ DI PISA
DIPARTIMENTO DI FARMACIA
Corso di Laurea Specialistica in Farmacia
TESI DI LAUREA
“SCLEROSI MULTIPLA: ATTUALI TERAPIE
FARMACOLOGICHE E APPROCCI TERAPEUTICI INNOVATIVI
IN FASE CLINICA E PRECLINICA”
Relatore
Prof.ssa Simona Rapposelli
Candidato
Elisa Corsi
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Credo che solo una cosa renda
impossibile la realizzazione di
un sogno: la paura di fallire.
(Paulo Coelho)
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INDICE
Introduzione
51. La sclerosi multipla
6 1.1 Epidemiologia 7 1.2 Eziologia 8 1.3 Patogenesi 9 1.4 Diagnosi 122. Forme di sclerosi multipla
13 2.1 Sintomi clinici 14 2.2 Meccanismi coinvolti 16 2.3 Strategie di riparazione assonale e della mielina 183. Terapie farmacologiche
223.1 DMT 24
3.1.1 Interferone 25
3.1.2 Glatiramer acetato (GA) 27
3.1.3 Teriflunomide 28
3.1.4 Dimetilfumarato o DMF 29 3.1.5 Fingolimod o FTY720 30 3.2 Anticorpi monoclonali 33 3.2.1 Natalizumab 33
4 3.2.2 Alemtuzumab 34 3.2.3 Ocrelizumab (OCR) 36 3.3 Off-label 37 3.3.1 Rituximab 37 3.3.2 Cladribina 38
4. Approcci terapeutici innovativi in fase clinica e preclinica
404.1 Ponesimod 40
4.2 Imatinib 42
4.3 Studi preclinici sulla tri-iodotironina e i tiromimetici 44
Conclusioni
47Bibliografia
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INTRODUZIONE
La sclerosi multipla (SM) è una malattia infiammatoria cronica autoimmune del sistema nervoso centrale (SNC). Si presenta con vari gradi di gravità, che vanno da forme benigne, con uno o due episodi di ricadute, senza lasciare alcuna disabilità, a forme via via sempre più invalidanti, causando molti effetti devastanti sia a livello fisico che psicologico. Fu descritta per la prima volta nel 1868 dal neurologo francese Jean-Martin Charcot, che ne ha definito i sintomi clinici e fornito i primi criteri diagnostici.
Per decenni la patogenesi della SM è stata al centro di numerose ricerche, ma i meccanismi che portano all’evoluzione e alla progressione della malattia sono ancora incerti.
Si ritiene sia una malattia multifattoriale che origina da una combinazione di fattori sia ambientali che genetici.
Questi fattori scatenano una risposta immunitaria a livello dei nervi ottici, del cervelletto e del midollo spinale, portando alla formazione di infiltrati infiammatori multifocali, dette placche, dove al suo interno i linfociti T, i linfociti B, le plasmacellule e i macrofagi determinano perdita della mielina (demielinizzazione) e danno assonale.
Attualmente sono disponibili in commercio diversi farmaci che pur non curando la malattia, ritardano l’evolversi della disabilità, permettendo all’individuo una maggior longevità.
Il trattamento precoce, anche dopo il primo attacco, previene danni irreversibili, che si verificano già nelle prime fasi della malattia, alla mielina e agli assoni.
Le persone con sclerosi multipla hanno sintomi molto diversi tra loro, a seconda della localizzazione delle singole lesioni cerebrali.
La SM colpisce 2,5 milioni di giovani adulti in tutto il mondo e l’esordio in genere è tra i 15 e 50 anni di età.
Secondo l’organizzazione mondiale della sanità è tra le malattie più costose, con un costo sociale medio in Italia di 38.845€ per paziente l’anno. (1)
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CAPITOLO I
1. La sclerosi multipla
La sclerosi multipla (SM) è una malattia neurodegenerativa demielinizzante, che può causare l’interruzione dei segnali tra il cervello, il midollo spinale e i nervi ottici, portando a una vasta gamma di sintomi. Si manifesta con una reazione immunitaria diretta contro i costituenti propri dell'organismo (self), che non vengono più riconosciuti come tali. La malattia provoca un danno tissutale, dove i linfociti T e B, che normalmente svolgono un ruolo di difesa del nostro organismo contro patogeni estranei, guidano verso un processo infiammatorio con coinvolgimento secondario dei macrofagi, portando alla distruzione della mielina e delle cellule specializzate che la producono, gli oligodendrociti.
La mielina è un rivestimento lipidico a struttura lamellare, con funzione protettiva, che riveste e isola i nervi, permettendone il regolare flusso degli impulsi nervosi e amplificandone la velocità di trasmissione attraverso la “conduzione saltatoria”. Quest’ultima, è definita così perché le fibre mieliniche non rivestono gli assoni in modo uniforme, ma li ricoprono solo a tratti, formando degli strozzamenti (nodi di Ranvier). Quando la mielina viene infiammata o distrutta, la conduzione lungo le fibre nervose viene rallentata o interrotta totalmente. Nelle prime fasi della malattia il danno alla mielina è reversibile con un processo spontaneo rigenerativo o cicatrizzante, detto rimielinizzazione, dove una nuova guaina mielinica si avvolge agli assoni. Negli stadi più avanzati e gravi della patologia, tale danno mielinico diventa irreparabile.
Le aree in cui la mielina risulta danneggiata o distrutta vengono definite “placche” o “lesioni”, si presentano come aree indurite (cicatrici), che possono apparire in tempi e in aree diverse.
Il termine sclerosi multipla significa, letteralmente, “cicatrici multiple”.
Sebbene a livello cellulare, la demielinizzazione sia uno dei più importanti meccanismi riconosciuti, vi sono altri processi fisiopatologici che contribuiscono alla genesi dei sintomi della SM tra cui il danno assonale, l’infiammazione e la gliosi. Studi di imaging in
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cervelli post-mortem effettuati con risonanza magnetica (RM) hanno dimostrato che il danno assonale rappresenta l’evento principale che porta a deficit clinici. (2)
La gliosi è un processo reattivo, con formazione di cicatrici gliali, dovute alla proliferazione di astrociti in aree danneggiate del sistema nervoso centrale.
1.1 Epidemiologia
La SM è una malattia che colpisce circa 750.000 persone in Europa e 122.000 in Italia. È presente in tutto il continente europeo, Canada meridionale, Stati Uniti settentrionali, Nuova Zelanda e Australia sud-orientale; la prevalenza in queste aree è di circa 100 su 100.000. (3) La maggior prevalenza riportata è nelle Isole Orcadi, nell’arcipelago del Nord della Scozia di 300 su 100.000 mentre vi è un limite d’incidenza in Africa, Messico, Porto Rico, Giappone, Cina e Filippine. (3)
Nello scenario europeo, l’Italia è considerata una zona ad alto rischio, ogni anno si stimano 3400 nuovi casi e la regione maggiormente colpita, è la Sardegna con un tasso superiore alla media nazionale.
E‛ diagnosticata per lo più tra i 20 e i 50 anni di età, con picco di incidenza intorno ai 30 anni e con prevalenza maggiore delle donne rispetto agli uomini in rapporto 2:1. Nei soggetti di età superiore ai 50 anni è stato osservato che la malattia colpisce entrambi i sessi e in proporzioni equivalenti. Può comparire anche nei bambini e le differenze di genere sono osservabili dopo la pubertà.
La suscettibilità genetica è maggiore nei parenti di primo grado di pazienti colpiti da SM, mentre nella popolazione generale l’incidenza è di 1 su 1000 e nei gemelli monozigote il tasso è 270 su 1000. (3)
Interessanti studi, hanno rilevato, che il rischio di contrarre la malattia per i fratellastri materni è del 2,35%, rispetto all’1,31% per i fratellastri paterni, dovuto ad un effetto sostanziale della trasmissione materna (3), mentre la progenie, di due genitori con SM, ha un rischio di contrarre la malattia quattro-cinque volte maggiore rispetto a un figlio di un singolo genitore affetto. (4)
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Questa patologia incide pesantemente sulla qualità di vita e sull’autonomia del paziente, sia per la giovane età, in cui la malattia si manifesta, sia per le terapie farmacologiche e riabilitative a cui il soggetto deve andare incontro.
Rispetto alla popolazione generale e in buona salute, l'aspettativa di vita è ridotta di 7-14 anni. (3)
1.2 Eziologia
La SM non è una malattia ereditaria, ma la predisposizione a tale patologia è dovuta ad un’ampia variabilità di combinazioni di geni alterati, principalmente quelli che regolano il funzionamento del sistema immunitario (SI); tra questi in particolare l’antigene leucocitario umano (HLA, Human Leukocyte Antigen). Il sistema HLA, è il locus dei geni che codificano le proteine sulla membrana cellulare permettendo il riconoscimento delle cellule stesse come proprie, oppure estranee. Un’alterazione di questi geni porta il SI a reagire in maniera anomala, promuovendo l’attivazione dei linfociti T che attaccano la mielina.
Data la multifattorialità della patologia, sono stati evidenziati sia fattori genetici che ambientali che possono influenzare l’insorgenza e la gravità. Tra i fattori ambientali si possono elencare i seguenti:
Latitudine: la prevalenza della SM aumenta in modo proporzionale all’aumentare della latitudine, in entrambi gli emisferi (5); tale fenomeno potrebbe essere associato ad una differente esposizione solare (UV) che condiziona la successiva produzione di vitamina D. L’esposizione solare è infatti necessaria per la sintesi della vitamina D, che garantisce l’80% del fabbisogno, mentre la rimanente percentuale deriva dall’apporto alimentare. Secondo l’istituto di medicina americana livelli sierici di vitamina D inferiori ai 50 nM/L, potrebbero provocare gravi conseguenze per la salute poiché la “soglia di sufficienza” è di 75 nM/L. (5) Periodo di nascita: in Canada, negli Stati Uniti, in Svezia e in Danimarca i tassi più alti di SM ricorrono nelle persone nate in maggio e più bassi in quelli nati a novembre.
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Fumo: non è noto in che modo aumenti il rischio, sebbene sia conosciuta la componente chimica di una singola sigaretta e i problemi sull’immunità che essa porta. Molti studi statunitensi hanno evidenziato che c’è un’incidenza superiore del 60% nelle donne fumatrici di contrarre la malattia rispetto alle donne che non hanno mai fumato. (3)
Un altro studio condotto sui pazienti con sindrome clinicamente isolata ha evidenziato un rischio di conversione in SM conclamata nei fumatori rispetto ai non fumatori. (6)
1.3 Patogenesi
Fattori ambientali, genetici e immunologici sono coinvolti nello sviluppo della SM. È probabile che questi fattori possano causare la perdita della tolleranza immunitaria (mancata responsività nei confronti di un antigene) verso la mielina e altri antigeni del SNC, con continua attivazione delle cellule T auto-reattive.
Questa perdita dell’auto-tolleranza può essere scatenata da un’infezione virale, o un rilascio di proteine del SNC nella periferia, in individui suscettibili, che attiva i linfociti T. Inoltre, il rilascio di autoantigeni a causa del danno cellulare da parte di un agente virale può portare all'attivazione di cellule T autoreattive a causa della cross-reattività tra antigeni virali e antigeni del SNC, un meccanismo noto come mimetismo molecolare. (7)
Tra gli agenti patogeni potenzialmente coinvolti ci sono il virus dell’herpes umano di tipo 6, il virus Epstein Barr (EBV) e il micoplasma pneumoniae. Anche le comuni infezioni virali come quelle del tratto respiratorio superiore e le infezioni batteriche del tratto urinario possono innescare ricadute della SM. (8)
Una volta attivati, i linfociti T migrano e possono attraversare la barriera ematoencefalica (BEE) tramite una trasmigrazione mediata dall’interazione tra l’antigene VLA-4 (Very Late Antigen 4), espresso dai linfociti T, e le molecole di adesione VCAM-1 (Vascular Cell Adhesion Molecule-1), espresse sui capillari endoteliali. Questo processo è facilitato dall’attività proteolitica delle metalloproteasi (MMPs) della matrice, le quali permettono alle cellule immunitarie di superare la membrana basale
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del parenchima. Nella SM l’iperespressione delle MMPs facilita la trasmigrazione delle cellule immunitarie attivate nel parenchima del SNC. (6) Tra tutte le MMPs, un ruolo predominante nella patogenesi della SM è assunto dalla MMP-9.
Le lesioni da SM sono caratterizzate da infiltrati infiammatori costituiti da cellule T attive, cellule B, plasmacellule e macrofagi. (7) Vi sono inoltre depositi di proteine del complemento, immunoglobuline e diverse citochine proinfiammatorie. (7)
Le cellule T CD4+ si trovano principalmente negli spazi perivascolari e nelle meningi, le cellule T CD8+ si trovano nel parenchima delle lesioni della SM. (7)
L’attivazione delle cellule T porta all’aumento dei vari sottotipi cellulari noti come linfociti T helper 1 (Th1) e T helper 17 (Th17) che sono caratterizzati da citochine effettrici uniche responsabili dell’induzione del danno di assoni, oligodendrociti e neurovascolarizzazione. (9) In particolare, le cellule Th17 sono implicate nella regolazione dell’immunità innata, e svolgono svariate funzioni tra cui un’azione protettiva verso alcune infezioni batteriche.
Le citochine prodotte dalle cellule Th1 sono citochine proinfiammatorie come l’interferone gamma. Th17 è un sottogruppo recentemente riconosciuto che produce IL-17, IL-21, IL-22 e IL-26. Sia le cellule Th1 che le cellule Th17 promuovono l’infiammazione nella SM. I recettori IL-17 sono presenti nelle placche SM acute e croniche. (8) Inoltre, studi condotti sui topi con deficit di IL-17 mostrano una riduzione della gravità clinica. (8)
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Figura 1. Fattori ambientali, genetici e immunologici coinvolti nello sviluppo della SM.
Un recente studio ha dimostrato che questi due tipi di cellule immunitarie entrano nel cervello attraverso le giunzioni strette interrotte (TJ) o caveole (piccole invaginazioni della membrana plasmatica, ricche di colesterolo e sfingolipidi e che mediano il trasporto di proteine sieriche e di nutrienti) per indurre l’infiammazione ed attaccare la mielina. All’inizio della malattia, l’indebolimento delle giunzioni strette favorisce l’ingresso delle cellule Th17 (migrazione para-cellulare) nel SNC, mentre le cellule Th1 entrano per mezzo di caveole (migrazione trans-cellulare) solo successivamente all’ingresso di Th17. (9)
Nello specifico lo studio ha evidenziato:
I cambiamenti strutturali delle TJ in vivo osservati sui vasi del midollo spinale, hanno mostrato che la trasmigrazione dei leucociti si verifica principalmente durante EAE ed è associata alla perdita di Claudina-5 (una delle principali
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proteine che formano le caveole). Solo il 5% dei segmenti di giunzione stretta endoteliale subisce un rimodellamento dinamico nel midollo spinale sano; (9)
Le caveole permettono l’ingresso delle cellule Th1 nel SNC durante la neuroinfiammazione, mentre le cellule Th17 entrano attraverso un indebolimento delle TJ. Non risultano necessarie per il rimodellamento dinamico di TJ o per la permeabilità vascolare in EAE.
1.4 Diagnosi
I sintomi della SM, comuni in molte malattie e la mancanza di un test diagnostico specifico, rallentano il processo di diagnosi.
Il medico si basa generalmente sui sintomi riferiti dal paziente, su esami neurologici, analisi strumentali (risonanza magnetica e potenziali evocati) e analisi biologiche (sangue e liquido cefalo rachidiano).
L’esame strumentale più importante è la risonanza magnetica (RM), esame che permette di evidenziare le lesioni di demielinizzazione del cervello e del midollo spinale caratteristiche nella SM.
Una precoce diagnosi di SM è molto importante perché nelle prime fasi della malattia il paziente risulta più sensibile ai trattamenti farmacologici.
La differenziazione della SM da altre malattie caratterizzate da demielinizzazione, è migliorata grazie ai progressi nella RM e allo sviluppo di più efficaci test sierologici e genetici che mostrano un grado di accuratezza migliorato, nonostante i tassi di diagnosi errata possano ancora oggi raggiungere il 10%. (10)
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CAPITOLO II
2. Forme di sclerosi multipla
Sono stati definiti i seguenti tipi di malattia:
La Sindrome Clinicamente Isolata detta, CIS (Clinically Isolated Syndrome), è considerata parte dello spettro dei fenotipi della SM e deve essere seguita per determinare il decorso successivo della malattia. (11) Si manifesta in un episodio di sintomi o segni, con durata di almeno 24 ore, in una persona a cui non sia stata diagnosticata la sclerosi multipla. Si parla di episodio mono-focale, se attraverso lo studio con RM, la sindrome si manifesta con un solo sintomo o segno, che provoca un’unica lesione o colpisce un’unica area del SNC. Si parla invece di episodio multifocale, se con esame RM, la sindrome evidenzia più sintomi, più segni in varie aree del cervello, o con più lesioni.
La CIS può rimanere un episodio isolato, senza lasciare esiti, oppure presentare un secondo episodio, con sintomi o lesioni riconducibili alla demielinizzazione; si può formulare allora la diagnosi di sclerosi multipla.
Valutare il rischio di evoluzione di un caso di CIS è molto importante, perché somministrando tempestivamente, i trattamenti di prima linea, si ritarda o previene l’eventuale peggioramento della patologia.
La forma recidivante-remittente (RRMS, Relapsing-Remitting Multiple Sclerosis), è la forma più comune; circa l’85% delle persone ha inizialmente questo tipo di forma, è caratterizzata da un’alternanza di episodi di attacchi o ricadute (definiti anche con i termini: poussé, recidive, riacutizzazioni e peggioramenti), che insorgono nel giro di poche ore o giorni. L’intervallo di tempo tra due ricadute è variabile e imprevedibile, così come la durata dell’attacco. Possono poi seguire riacutizzazioni lievi, moderate
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o gravi a seconda della zona del cervello coinvolta. Tale forma può essere attiva, in cui possono comparire recidive e/o evidenza di nuova attività di RM o non attiva.
La forma progressiva secondaria (SPMS, Secondary Progressive Multiple Sclerosis), è considerata l’evoluzione della forma recidivante-remittente, caratterizzata da una disabilità che peggiora nel tempo, senza che siano veri e propri periodi di remissioni. L'SPMS può essere ulteriormente caratterizzata in diversi momenti temporali come attiva (con recidive e / o evidenza di nuova attività di RM) o non attiva, oppure con progressione (evidenza di peggioramento della malattia su una misura oggettiva di cambiamento nel tempo, con o senza ricadute) o senza progressione;
La forma primaria progressiva (PPMS, Primary Progressive Multiple Sclerosis), si manifesta attraverso un peggioramento costante delle funzioni neurologiche. Circa il 15% delle persone colpite da sclerosi multipla presentano questa forma. La PPSM può essere ulteriormente caratterizzata in diversi momenti temporali come attiva (con recidiva occasionale e / o evidenza di nuova attività di risonanza magnetica) o non attiva, così come con progressione (evidenza di peggioramento della malattia su una misura oggettiva di cambiamento nel tempo, con o senza ricaduta o nuova attività di RM) o senza progressione.
2.1 Sintomi clinici
La SM è una malattia che si presenta con molti segni e sintomi riconducibili ai danni neurologici che variano in base alla posizione e al tipo di insorgenza dei sintomi (recidiva o progressiva). Nessun segno o sintomo è considerato patognomico della malattia. É caratterizzata da disturbi delle vie sensitive, motorie e visive. Nella maggior parte dei soggetti la sintomatologia si presenta in forma acuta, mentre nei restanti casi i sintomi hanno un andamento lentamente progressivo, qualche sintomo ha maggior frequenza rispetto ad un altro.
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Se è coinvolto il midollo spinale si ha perdita sensoriale o debolezza motoria nel corpo, mentre il danno al tronco cerebrale influisce sulla sensazione o debolezza del volto e diplopia. (5) L’infiammazione a livello del nervo ottico, viene descritta come visione offuscata, dolore oculare e perdita visiva. (5)
Un primo episodio di disfunzione neurologica, presumibilmente dovuto alla SM recidivante-remittente, è la sindrome clinicamente isolata (CIS). Le presentazioni di CIS comuni comprendono la neurite ottica unilaterale acuta (infiammazione del nervo ottico, che se trascurata può portare a perdita totale della capacità visiva), una mielite parziale (provoca danno neuronale al midollo spinale) o una sindrome del tronco encefalico (compromissione delle funzioni di una o più strutture del tronco encefalico). (10)
La disfunzione cognitiva è comune, si presenta con ridotta attenzione e memoria a lungo termine e rallentamento dell’elaborazione delle informazioni; raramente si sono verificate forme demenziali. Vi è maggior incidenza di disturbi dell’umore.
L’insorgenza della SM primaria progressiva al contrario è caratterizzata da lesioni lentamente progressive, più spesso una paraparesi asimmetrica (riflessi esagerati, con spasmi muscolari e crampi) che si evolve in mesi o anni, o, meno comunemente, un’emiparesi progressiva o atassia cerebellare (deficit deambulatori e posturali, difficoltà a coordinare, accompagnati da tremori, è tra i sintomi più disabilitanti e tra i più difficili da trattare) o molto raramente insufficienza visiva o demenza. (10)
La Sclerosi Multipla può esordire con varie modalità cliniche e nel tempo può manifestarsi in varie forme di disabilità fisica, psichica e cognitiva, valutabili con molte scale tra cui la scala di validità espansa (EDSS, Expanded Disabilty Status Scale), istituita dal neurologo americano Kurtzke. La scala di valutazione dell’EDSS aumenta di mezzo punto da 0 (esame neurologico nella norma) a 10. Il punteggio si ottiene sommando i punteggi parziali dei diversi sistemi funzionali del SNC. Permette di valutare l’evoluzione della malattia e verificare l’efficacia dei trattamenti in atto.
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Figura 2. Sintomi Sclerosi Multipla.
2.2 Meccanismi coinvolti
La demielinizzazione è sempre stata considerata come principale segno patologico della SM, fin dalla sua prima osservazione nel 1969.
Recenti studi hanno dimostrato che il danno alla mielina non è sufficiente per produrre lo spettro dei sintomi. (2) Nell’uomo i livelli di demielinizzazione non sono strettamente legati al grado della malattia, ai deficit neurologici o alla patologia della lesione. (2) Gli studi di immagini in cervelli post-mortem utilizzando RM hanno mostrato che il danno assonale rappresenta l’evento principale che porta a deficit clinici. (2) Anche studi
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condotti sui modelli murini hanno messo in discussione che la demielinizzazione sia l’unico evento.
I topi affetti dal virus dell’encefalomielite murina di Theiler (TMEV), con profonda
demielinizzazione, in assenza del complesso MHC di classe I, hanno permesso di scoprire che non c’è deficit della funzione motoria e inoltre, che vi è la conservazione del trasporto assonale. (2)
Il riconoscimento diretto delle cellule CD8+ con il complesso MHC di classe I, permette il rilascio di perforina, proteina citolitica presente nei granuli dei linfociti T. La degranulazione di questi leucociti ne permette la sua liberazione e l’inserimento nella membrana cellulare, creandovi un poro. Questo poro viene attraversato da granzimi (proteasi seriniche rilasciate dai granuli citoplasmatici all'interno delle cellule T citotossiche e delle cellule natural killer) che avviano la cascata di segnali che porta a morte cellulare. La secrezione di perforina inoltre, sopprime la proliferazione delle cellule T CD4+, portando alla loro inattivazione. (8)
Il danno assonale, secondario alla demielinizzazione, è mediato da fattori infiammatori, in particolar modo proprio da perforina. I topi che ne sono privi hanno mostrato un numero maggiore di assoni di grande diametro e migliori capacità motorie funzionali rispetto ai topi con la componente perforina, nonostante mostrino gli stessi livelli di demielinizzazione. (2) Negli assoni demielinizzanti anche il cambiamento del numero dei canali al sodio può influenzare la conduzione degli impulsi; dopo una lesione acuta negli assoni periferici, la densità di tali canali aumenta sensibilmente. (2)
Il danno assonale ha un ruolo importante nei pazienti con SM, in quanto è il primo sintomo neurologico, è importante per le ricerche future prendere in considerazione questi meccanismi per sviluppare nuove strategie terapeutiche.
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Figura 3. Meccanismi di uccisione delle cellule infettate da parte dei linfociti T CD8+ citotossici.
2.3 Strategie di riparazione assonale e della mielina
Le attuali terapie sopprimono gli attacchi immunitari, ma non affrontano la neuropatologia di base della malattia né riparano il danno assonale.
Un’ importante obiettivo terapeutico per la SM è la promozione della rimielinizzazione, che deve avvenire all’inizio della malattia, non solo nelle fasi progressive, per questo fin da subito è importante l’identificazione e lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici. Nella SM, la rimielinizzazione è un processo che si verifica spontaneamente, ma spesso risulta incompleto o significativamente compromesso. Numerosi studi suggeriscono che la possibile causa di questa compromissione sia legata alla ridotta capacità delle cellule progenitrici degli oligodendrociti (OPC) di maturare ad oligodendrociti.
Tra i nuovi approcci studiati per indurre la rimielinizzazione quello più investigato si basa sull’impiego di cellule staminali. È stato dimostrato che il trapianto di cellule precursori neuronali (NPC) e cellule che esprimono fattori di crescita o ormoni inducono la proliferazione e la differenziazione delle cellule precursori degli oligodendrociti (OPCs) residenti e facilita la rimielinizzazione in modelli animali di demielinizzazione. (12) Anche
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il trapianto di oligodendrociti derivati da cellule staminali embrionali, sembrano essere coinvolti nel rimodellamento degli assoni demielinizzati del midollo spinale dei roditori (12). Nonostante il loro potenziale terapeutico, le cellule staminali presentato numerosi limiti come ad esempio la corretta integrazione delle cellule esogene nel tessuto ospite senza attivare una risposta immunitaria aberrante. (12) Nel caso di trapianto di cellule che esprimono fattori di crescita il rischio di insorgenza di effetti psicotropici e non specifici è tuttora molto alto e per questo, benché in studi preclinici abbiano mostrato un reale effetto benefico sul processo di rimielinizzazione, l’impiego in terapia sembra essere ancora molto lontano. (12)
Alcuni studi su anticorpi umani naturali ricombinanti, hanno portato alla scoperta di rHIgM22 (immunoglobulina umana ricombinante M22) e rHIgM12(immunoglobulina umana ricombinante M12). Queste due molecole sono in grado di legarsi agli oligodendrociti (rHIgM22) e ai neuroni (rHIgM12).
rHIgM22 è la versione ricombinante di un autoanticorpo umano promotore della rimielinizzazione delle IgM monoclonali, derivato dal siero di un paziente con macroglobulinemia di Waldenstӧm.
Negli studi preclinici nel modello murino di demielinizzazione ha dimostrato di avere il potenziale per promuovere la differenziazione degli OPC in oligodendrociti e accelerare la rimielinizzazione del cervello. Studi di imaging a risonanza magnetica del midollo spinale in topi con infezione da TMEV hanno dimostrato che rHIgM22, nel SNC si localizza nelle lesioni demielinizzate e ne riduce il carico. (12) Inoltre, una singola iniezione è in grado di favorire una notevole rimielinizzazione, promuovendo la salute degli assoni. (12) Nella SM, oltre ai deficit motori, sensoriali e visivi, la malattia è caratterizzata da demielinizzazione dell’ippocampo e compromissione della memoria. I tassi di prevalenza dei deficit cognitivi nei pazienti con SM variano tra il 40% e il 75% presentandosi in tutti i tipi e le fasi della SM, anche in assenza di disabilità; influenzando molti aspetti della vita quotidiana. (13)
Un altro studio, analizzando cervelli post-mortem di pazienti con SM, ha dimostrato una grave demielinizzazione dell'ippocampo e un'associazione di demielinizzazione dell'ippocampo al declino cognitivo. (13) Tali soggetti presentavano inoltre, una ridotta densità dei siti sinaptici ed una significativa riduzione del volume dell’ippocampo. (13)
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Il trattamento con una singola dose di rHIgM22 ha dimostrato di facilitare la rimielinizzazione dell’ippocampo con miglioramento dell’apprendimento spaziale e dei deficit di memoria indotti da cuprizone. Lo studio inoltre ha messo in luce la differenza di risposta del cervello alle diverse condizioni patologiche che colpiscono la mielina; la rimielinizzazione si verifica più rapidamente nelle regioni posteriori rispetto alle regioni anteriori. (13) Importante per le ricerche future, conoscere la fisiopatologia della malattia e considerare come ogni singola area del cervello risponde ai farmaci.
Figura 4. Meccanismo d’azione di rHIgM12 e opicinumab
rHIgM12 è in grado di legarsi con elevata affinità a PSA-NCAM (NCAM, molecola di adesione cellulare neurale e acido polisialico), ai gangliosidi (GD1a e GT1b) e neuroni risultanti nell’estensione dei neuriti in vitro e nella crescita dei neuriti. (2) rHIgM12 è risultato efficace nei modelli murini di SM e sclerosi laterale amiotrofica, proteggendo dai danni assonali, migliorando quindi la funzionalità neurologica. (2)
Altra molecola in fase di studio è anti lingo-1 o opicinumab, anticorpo monoclonale umano contro LINGO-1, un inibitore della differenziazione degli oligodendrociti e della rigenerazione assonale. Opicinumab blocca l’azione di lingo-1, permettendo alle giovani cellule di maturare in oligodendrociti. Primo farmaco ad entrare in uno studio clinico nel
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quale il 41% dei pazienti ha avuto un miglioramento della segnalazione nervosa e possibile riparazione della mielina. (2)
Nello studio di fase I ha dimostrato sicurezza e tollerabilità. Nello studio di fase II non è riuscito a mostrare un miglioramento o un rallentamento della progressione della disabilità. Sono in corso ulteriori studi per valutare se alcune sottopopolazioni identificate nello studio potrebbero trarre beneficio dal trattamento con opicinumab a una dose ottimale.
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CAPITOLO III
3. Terapie farmacologiche
Per affrontare i sintomi più comuni della sclerosi multipla vengono somministrati farmaci appartenenti a diverse classi farmaceutiche. Ad ogni soggetto viene adattata una terapia farmacologica specifica per consentire una miglior qualità di vita.
Per i deficit di mobilità, oltre all’uso di possibili terapie farmacologiche, sono importanti l’attività fisica, la riabilitazione; l’agopuntura e l’osteopatia vengono impiegati per il trattamento della spasticità. (3) Spesso vengono utilizzati anche speciali dispositivi che facilitano i movimenti e creano benefici, come tutori e stampelle.
Per accettare la malattia vengono consigliate la frequenza a gruppi di sostegno e terapie psicologiche. Per i disturbi della capacità comunicativa, dovuti ad un inadeguato funzionamento dell’apparato fonetico, sono consigliate delle sedute con un logopedista. Fino agli anni ’90 le terapie per la SM erano solo sintomatiche, negli ultimi 25 anni, grazie alla ricerca, sono stati approvati diversi farmaci che diminuiscono i tassi di ricaduta della malattia e il rallentamento della progressione della disabilità; ad oggi però non esiste nessuna cura.
Possiamo suddividere le terapie in:
Terapie dell’attacco acuto: si usano in presenza di ricadute, somministrando alte dosi di steroidi, in particolare metilprednisolone, desametasone fosfato e prednisone. L’azione immunomodulante e antiinfiammatoria permette di ripristinare la BEE, ridurre il gonfiore e facilitare la ricostruzione della mielina, migliorando la conduzione dell’impulso nervoso e inoltre, l’azione immunosoppressiva inibisce l’attività del sistema immunitario. Sono farmaci con diversi effetti collaterali, e per questo, è necessario prestare attenzione alla presenza di eventuali patologie come diabete, disturbi cardiaci, ipertensione e
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patologia ulcerosa. Possono essere somministrati per via orale o per iniezioni muscolari o endovenose.
Generalmente vengono somministrati per via orale:
Figura 5. Metilprednisolone Figura 6. Desametasone Figura 7. Prednisolone Metilprednisolone (Urbason) da 4 a 48 mg al dì per 3-5 giorni Desametasone (Decadron) 30mg al dì per una settimana e poi 4-12 mg al dì per un mese
Prednisolone (Deltacortene) 5-60 mg al dì
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È consigliata l’assunzione di un gastro-protettore.
Nel caso in cui il paziente presenti una recidiva acuta e non possa essere trattato con cortisonici, generalmente viene effettuata la plasmaferesi. Quest’ultimo è un processo di rimozione temporanea di volumi prestabiliti di sangue dall’organismo. Da questo viene separata la parte corpuscolata, in modo da eliminare dal sangue gli anticorpi e molecole che alimentano l’infiammazione, e il volume prelevato viene re-infuso nel soggetto. I possibili effetti collaterali sono: infezioni e rischio di trombosi.
Terapie a lungo termine: agiscono su meccanismi alla base della malattia, con modalità diverse di azione nei vari livelli del sistema immunitario. Non curano la SM, ma prevengono le riacutizzazioni e riducono l’evolversi dell’invalidità, migliorando la condizione sociale, lavorativa e affettiva del malato. Sono definiti DMT, Disease Modifying Therapy, ovvero terapie modificanti la malattia. Sono spesso utilizzate per trattare la CIS, ritardando significativamente la comparsa di un secondo attacco.
3.1 DMT
Attualmente sono diversi i farmaci approvati per la SM, con attività antiinfiammatoria; ma molti sono ancora in fase di sviluppo.
Nella prescrizione dei trattamenti modificanti la malattia DMT, il medico specialista, deve fare un’accurata valutazione della via di somministrazione, dello stile di vita del malato, dell’efficacia e degli effetti avversi comuni e della tollerabilità. (14) Dovrà, inoltre, instaurare con il paziente un dialogo continuo per tutto il decorso della malattia e il malato comunicherà la possibile comparsa di nuovi sintomi o il possibile peggioramento. Prima della somministrazione, il paziente deve affrontare il problema della depressione, per migliorare il processo decisionale e l’aderenza al trattamento farmacologico; così da evitare la riduzione dell’efficacia e un aumento dei costi sanitari.
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Verrà seguito un follow-up annuale o secondo il REMS (strategia di valutazione e mitigazione del rischio) specifico per ogni farmaco. (14)
Per le donne che hanno intenzione di pianificare una gravidanza potrebbe essere necessario posticipare l’uso di DMT fino a dopo il parto.
Nella pratica clinica vengono impiegati due approcci terapeutici: una strategia di “escalation” ed una strategia di “induction”. La terapia di escalation consiste nell’utilizzo iniziale delle DMT dette di prima linea e, nel caso di risposta al trattamento insufficiente, lo spostamento a farmaci di maggior efficacia (DMT di seconda e terza linea). La terapia di “induction” viene applicata in quei pazienti che mostrano fin dall’inizio un profilo di aggressività della malattia, con l’utilizzo precoce di farmaci più attivi, ma con profilo di sicurezza minore e successiva terapia di mantenimento.
I nuovi trattamenti approvati recentemente vengono definiti con il termine di terapie di immuno-ricostituzione (IRT, Immune reconstitution therapy), sono farmaci somministrati per un breve periodo di tempo, in modo intermittente e non continuo. Gli IRT hanno la capacità di indurre una remissione della malattia per lungo tempo, in quanto esauriscono il sistema immunitario e conseguentemente lo ricostituiscono, cosa che non si verifica in un trattamento da immunosoppressori, dove si ha il blocco del sistema immunitario. Gli IRT presentano maggior aderenza e minori rischi collaterali, che sono tipicamente associati all'immunosoppressione cronica.
3.1.1 Interferone
Interferone: primo farmaco immunomodulatore approvato per il trattamento di forme recidivanti-remittenti, nel 1993.
Gruppo di glicoproteine endogene, note come citochine, prodotte sia dal sistema immunitario sia dalle cellule tissutali, in presenza di agenti esterni come virus, batteri e parassiti. Hanno proprietà immunomodulanti, antivirali e antiproliferative. Gli effetti antiinfiammatori derivano dall’inibizione della proliferazione dei linfociti T, uno spostamento della risposta delle citochine dà una risposta infiammatoria a un profilo antiinfiammatorio e una ridotta migrazione di cellule infiammatorie attraverso la barriera ematoencefalica. (15)
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In commercio son presenti diverse formulazioni:
o Interferone beta 1a prodotto dalle cellule di mammifero. È presente sul mercato come: Avonex. Somministrato alla dose di 30 mg per via intramuscolare una volta a settimana. È consigliata una dose inferiore per i pazienti che non tollerano il dosaggio elevato, solo in una seconda fase la dose verrà aumentata gradualmente per permettere una riduzione delle reazioni avverse;
o Interferone beta 1b prodotto con la “tecnica del DNA ricombinante”, ottenuto da un batterio (E. Coli) in cui è stato inserito un gene che lo rende in grado di produrre l’interferone. È presente sul mercato come: Betaferon, somministrato alla dose di 0,25 mg per via sottocutanea a giorni alterni.
La maggior parte dei pazienti (50-75%) presenta sintomi simil-influenzali, inclusi dolori muscolari, brividi, febbre, mal di testa e mal di schiena, che di solito si manifestano dopo 2-8 ore dall’iniezione e si risolvono entro 24 ore. L’uso profilattico e simultaneo di medicinali antiinfiammatori, analgesici e/o antipiretici può aiutare a migliorare questi sintomi.
Il trattamento con interferone beta può indurre la formazione di specifici anticorpi neutralizzanti (NABs), meno frequente se il farmaco viene somministrato per via intramuscolare. (15)
Negli ultimi 20 anni il trattamento con interferone è risultato efficace e sicuro per la terapia della SM, anche con una somministrazione duratura nel tempo.
o Peginterferone beta (Plegridy) è un interferone beta 1a coniugato con una molecola di polietilenglicole (PEG), per mezzo di un processo chimico, definito pegilazione. Questa molecola nasce per fornire ai pazienti una terapia sicura e con minor frequenza di somministrazione, permettendo
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quindi una miglior aderenza del farmaco, che si traduce in maggiori benefici clinici.
Studi condotti sull’interferone beta 1a, hanno scelto come sito di attacco della molecola PEG, l’estremità N-terminale dell’interferone, che non risulta coinvolto nelle interazioni con il recettore, inoltre per avere un’emivita più lunga, è stata legata una molecola lineare di metossi-PEG-O-2-metilpropionaldeide da 20 KDa, costituita da circa 450 unità di etilenglicole ripetute. (1)
È stato approvato nel 2014 per la RRSM.
Si possono verificare reazioni al sito di iniezione, sintomi simil-influenzali, piressia e cefalea.
Lo sviluppo degli anticorpi neutralizzanti (NAb) risultano con una percentuale inferiore al 1%. (1)
Gli interferoni non sono stati efficaci per il trattamento della forma primaria progressiva.
3.1.2 Glatiramer acetato (GA)
Il glatiramer acetato è un pool di peptidi sintetici, costituito da quattro amminoacidi (L-alanina, L-lisina, acido L-glutammico e L-tirosina), simile alla proteina basica della mielina. Il GA induce un’ampia gamma di effetti immunomodulatori su vari gruppi di cellule del sistema immunitario, grazie alla combinazione dei quattro amminoacidi basici che porta alla formazione di copolimeri che ne facilitano le molteplici modalità d’azione.
Sposta la risposta delle cellule T da pro-infiammatoria ad antiinfiammatoria, con la produzione di citochine IL-4, IL-5, IL-13 e TGF-β. (16) Riduce la proliferazione delle cellule CD4+ reattive e induce la proliferazione delle cellule CD8+. GA fornisce neuroprotezione, promuovendo l’oligodendrogenesi, la rigenerazione assonale e la rimielinizzazione, grazie all’induzione della secrezione di fattori neutrofici quali BDNF, NT3, NT4, IGF1 e IGF2. Inoltre, inibisce l’attivazione delle microglia, le quali risultano importanti nella neuropatologia della SM.
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È stato approvato nel 2009 per il trattamento della CIS, avendo dimostrato in uno studio clinico di ritardare la conversione in SM clinicamente definita.
Tale farmaco sembra essere l’unico ad essere stato studiato (per il trattamento delle forme recidivanti-remittenti), con monitoraggio costante dei pazienti per oltre 20 anni. Tra i trattamenti di prima linea risulta essere quello maggiormente prescritto.
Risulta ben tollerato; il 65% dei pazienti presenta reazioni al sito di iniezione come dolore, eritema, gonfiore e prurito. (15) Il 15% riferisce una reazione sistemica transitoria immediatamente dopo l’iniezione, manifestandosi con rossore al viso, oppressione toracica, accompagnata a volte da palpitazioni, ansia e dispnea. (15) Gli effetti collaterali riportati sono: linfoadenopatia permanente (tra gli effetti più gravi), dispnea e lipoatrofia.
3.1.3 Teriflunomide
Il Teriflunomide (Aubagio) è il metabolita principale della leflunomide, farmaco approvato per il trattamento dell’artrite reumatoide e dell’artrite psoriasica.
È un farmaco immunomodulatore, con proprietà antiinfiammatorie, che inibisce in modo selettivo e reversibile l’enzima mitocondriale diidroorotato deidrogenasi (DHO-DH), necessario per la sintesi de novo della pirimidina. Questo permette la riduzione della proliferazione delle cellule in divisione che necessitano della sintesi de novo della pirimidina per espandersi. L’esatto meccanismo non è ancora chiaro, ma è mediato da un ridotto numero di linfociti.
Eventi avversi comuni includono infezione delle alte vie del tratto respiratorio, infezione delle vie urinarie, parestesia, diarrea, nausea, alopecia, aumento di alanina aminotransferasi, riduzione dei leucociti del sangue e aumento della pressione sanguigna.
Teriflunomide è indicato per il trattamento di pazienti adulti affetti da RRMS. Non è stato studiato per il trattamento delle forme progressive di SM.
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Figura 8. La forma Z della teriflunomide risulta più stabile e quindi più predominante.
3.1.4 Dimetilfumarato o DMF
Il Dimetilfumarato o DMF (Tecfidera) è l’estere metilico dell’acido fumarico, sostanza potenzialmente pericolosa per l’uomo. DMF è risultata una valida terapia farmacologica per la cura della psoriasi e della sclerosi multipla. È classificabile tra gli agenti ad attività immunomodulatorie con proprietà antiinfiammatorie. (15)
Gli studi preclinici indicano che il dimetilfumarato attiva la via di trascrizione del fattore nucleare dell’Nrf2 (fattore di trascrizione nucleare 2-eritroide2-correlato), un meccanismo di difesa naturale che normalmente è innescato in condizioni di aumentato stress ossidativo e protegge le cellule dai danni che questo può causare. Inoltre, il farmaco provoca sovra-regolazione dei geni antiossidanti Nrf2-dipendenti. (15)
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Ha mostrato notevole efficacia nel trattamento della SM recidivante-remittente e in alcuni pazienti, l’esposizione può determinare una riduzione delle popolazioni di cellule T CD8+. (2)
Gli effetti collaterali includono arrossamento, nausea, diarrea, dolori addominali, proteinuria, diminuzione della conta dei globuli bianchi, anomalie della funzionalità epatica e problemi gastrointestinali.
Il dimetilfumarato non è stato studiato per il trattamento della CSI o della SM progressiva.
Figura 9. Struttura dimetilfumarato
3.1.5 Fingolimod o FTY720
Il Fingolimod (Gylenia) è un farmaco immunoterapico, che colpisce il sistema di segnalazione regolato dagli sfingolipidi.
All'interno del corpo, fingolimod viene rapidamente fosforilato in fingolimod fosfato, la forma attiva del farmaco, che si lega a quattro dei cinque recettori noti della sfingosina-1-fosfato (S1P). (17) A seguito di tale interazione, il recettore della sfingosina-1P1 viene interiorizzato e degradato favorendo la formazione dei linfociti nei tessuti linfatici periferici e prevenendo l’invasione delle cellule T autoaggressive nel SNC senza soppressione delle risposte immunitarie sistemiche. (17)
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Nel 2010 fingolimod è diventato il primo farmaco orale per la SM recidivante-remittente. In Europa viene utilizzato come terapia di escalation (aumento graduale di intensità) dopo l’uso di interferone-β o glatiramer acetato.
Non è attualmente documentato per essere efficace contro CIS, e le forme progressive di SM.
Figura 10. Fingolimod viene fosforilato a fingolimod fosfato, si nota la somiglianza a sfingosina 1-fosfato.
Per motivi di sicurezza e linfopenia spesso pronunciata, il fingolimod deve essere usato solo in monoterapia. Non ci sono studi o dati sulla combinazione con altre terapie immunomodulanti o immunosoppressive per la SM. Un'eccezione è il trattamento delle recidive con corticosteroidi ad alte dosi o terapie di scambio plasmatico, durante il quale può essere continuato il trattamento con fingolimod.
Fingolimod ha dimostrato di esacerbare la malattia nei pazienti con neuromielite ottica, per questo motivo è importante prima di iniziare il trattamento testare gli anticorpi contro l'acquaporina-4. Fingolimod può esacerbare il decorso a breve termine della sclerosi multipla (da 10 giorni a 5 mesi) dopo la prima somministrazione. (17) Vi è un numero crescente di casi con lesioni tumefattive di nuova evoluzione dopo l'inizio del fingolimod.
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Fingolimod risulta ben tollerato ed abbastanza efficiente da sopprimere l’attività della malattia e quindi può essere assunto per anni. Tra gli eventi avversi comuni si possono verificare infezione del tratto respiratorio superiore, mal di testa, tosse, diarrea e dolore alla schiena.
In caso in cui fingolimod venga interrotto, dovrebbe essere attivata il prima possibile un’altra terapia, per evitare un aumento dell’attività della malattia, che si verificherà a circa 2-4 mesi dopo la sospensione del farmaco (sindrome di rimbalzo o di rebound). (17) Nei pazienti con SM recidivante, fingolimod ha dimostrato di ridurre il numero di cellule Th17 nel sangue periferico. (18)
Fingolimod orale non sembra inibire l'immunità umorale alle infezioni virali o batteriche sistemiche primarie. (18)
I recettori S1P sono abbondanti e sono espressi da molti tipi di cellule del SNC hanno dimostrato di influenzare la proliferazione, la morfologia e la migrazione delle cellule. Fingolimod è un farmaco lipofilo, attraversa la BBB e raggiunge concentrazioni biologicamente attive nel SNC; può avere un effetto diretto sui processi neuropatologici come neurodegenerazione, gliosi e meccanismi riparativi endogeni. (18) Fingolimod ha dimostrato di sottoregolare la produzione di citochine pro-infiammatorie, il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α), interleuchina-1B e IL-6 da microglia attivate in vitro. Migliora invece, la sintesi del fattore neutrofico derivato dal cervello (BDNF) e quello derivato dalle cellule gliali (GDNF). (17) Nelle lesioni da SM si ha iperespressione dei recettori IL-1, IL-17, S1P1 e S1P, negli astrociti. (17) Fingolimod riduce la neurodegenerazione mediata dagli astrociti. (17) Sull’EAE, gli effetti di fingolimod si perdono nei topi mutanti privi di S1P1 negli astrociti. (17)
Fingolimod non ha un targeting specifico a causa dei numerosi recettori S1P presenti in diversi tessuti, e per questo sono in fase di studio nuovi modulatori del recettore S1P più specifici e altamente selettivi per S1P1. (17) Alcune molecole in fase di studio clinico oggi sono: ceralifimod (ONO-4641), ponesimod (ACT128800) e ozanimod (RPC-1063).
Recentemente è stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) siponimod (BAF312), modulatore selettivo dei sottotipi uno e cinque del recettore della sfingosina-1-fosfato (S1P1 e S1P5). Siponimod si lega al sub-recettore S1P1 sui linfociti, impedendo loro di penetrare nel SNC. Entra anche nel SNC e si lega al sub-recettore S1P5 sugli
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oligodendrociti e astrociti. Può così modulare l’attività delle cellule dannose e ridurre la perdita di funzionalità neurologica associata alla PSSM.
In Europa l’approvazione del farmaco è attesa per fine anno.
3.2 ANTICORPI MONOCLONALI
Gli anticorpi monoclonali (mAb) sono molecole prodotte con tecniche d’ingegneria genetica. Fondendo insieme una plasmacellula e una linea cellulare di mieloma (cellule tumorali del sangue), si ottiene un ibridoma, una cellula che si divide formando un clone di cellule identiche capaci di produrre quantità illimitate dello stesso anticorpo. I mAb possiedono un’affinità specifica per un determinato tipo di antigene al quale si legano ad esso neutralizzandolo.
Esistono tre diversi tipi di anticorpi monoclonali differenziati per la loro somiglianza strutturale con la struttura dell'anticorpo umano. Gli anticorpi umanizzati sono costituiti da oltre il 90% di componenti umani con l'equilibrio della struttura murina originale. (8) Negli anticorpi chimerici la componente umana costituisce il 66% e la restante parte è di origine murina. Gli anticorpi completamente umani non hanno componenti strutturali murini.
3.2.1 Natalizumab
Natalizumab (Tysabri) è un anticorpo monoclonale ricombinante di immunoglobulina umanizzata (IgG4), si lega alla subunità alfa-4 delle integrine alfa 4β1 e alfa 4β7 espresse sulla superficie dei leucociti (eccetto i neutrofili) e inibisce l'adesione mediata alfa-4 dei leucociti ai loro contro recettori. (19) Natalizumab si lega alla molecola di adesione VLA-4, espressa sulla superficie di linfociti e monociti. Questo meccanismo d’azione previene l’interazione tra la molecola VLA-4 e il suo ligando (VCAM-1) a livello dell'endotelio vascolare, bloccando l'ingresso dei linfociti nel SNC.
Natalizumab è stato approvato dalla FDA nel 2004, ritirato temporaneamente dal commercio nel 2005 dopo che si manifestarono casi di leucoencefalopatia multifocale
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progressiva (PML, progressive multifocal leukoencephalopathy) fatale in alcuni pazienti. Riapprovato poi nel 2006 come monoterapia per il trattamento della RRMS.
Natalizumab presenta notevoli vantaggi in termini di frequenza di ricaduta, progressione della disabilità e attività di RM. (8)
Tra gli effetti collaterali più comuni abbiamo, reazioni allergiche dopo l’infusione, maggior rischio di sviluppare infezioni (soprattutto a livello delle prime vie aeree e nelle vie urinarie), alterazioni di alcuni parametri ematochimici, stanchezza, cefalea, vomito, orticarie e dolori articolari.
Non è documentata per essere efficace contro CIS, SPMS o PPMS.
Figura 11. Meccanismo d’azione natalizumab
3.2.2 Alemtuzumab
Alemtuzumab (Lemtrada) è un anticorpo monoclonale ricombinante umano diretto contro CD52, glicoproteina ampiamente espressa sulle cellule immunitarie in particolare sulle cellule T e B. Alemtuzumab si lega alla superficie cellulare inducendo citotossicità cellulare anticorpo-dipendente, citotossicità dipendente dal complemento e attivando percorsi pro-apoptotici su cellule che esprimono CD52. Alemtuzumab provoca un completo esaurimento delle cellule che mediano la citotossicità, le natural killer.
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Figura 12. Meccanismo d’azione alemtuzumab
Gli studi hanno dimostrato che l'esaurimento di queste cellule immunitarie è associato a una diminuzione delle lesioni che migliorano il contrasto nella SM, suggerendo così la stabilizzazione della barriera emato-encefalica. (8)
Alemtuzumab è stato approvato nel 2013 dall’Agenzia europea per la medicina (EMA) per la terapia di prima linea per gli adulti affetti da RRMS attiva.
I pazienti trattati con alemtuzumab possono essere soggetti di numerosi effetti collaterali, ma che risultano prevedibili e trattabili, grazie alla velocità e alla durata di azione, e che permettono quindi una bassa frequenza di somministrazione.
Tra gli effetti collaterali si possono presentare reazioni associate all’infusione, come mal di testa, febbre, stanchezza, nausea, tachicardia, orticaria, eruzioni cutanee e prurito. Il trattamento con Alemtuzumab è associato ad un aumentato rischio di infezione del tratto respiratorio superiore e infezioni del tratto urinario, inoltre può portare alla formazione di auto-anticorpi e aumento del rischio di condizioni autoimmune-mediate, inclusi disturbi della tiroide (41%), porpora trombocitopenia immune (distruzione delle piastrine da parte di autoanticorpi) (3,5%), o, raramente nefropatie (ad es. malattia della membrana basale anti-glomerulare) (<1%). (15)
Alemtuzumab è il primo IRT con licenza in Europa, somministrato per via endovenosa a soli due anni di distanza l'una dall'altra, ha mostrato i risultati più impressionanti in termini di soppressione dell'attività della malattia nei pazienti con SM, durando a lungo
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dopo l'interruzione del trattamento, ma è stata anche una delle poche terapie che hanno indotto miglioramento della disabilità e prevenzione dell'atrofia cerebrale. (20)
3.2.3 Ocrelizumab (OCR)
L’ocrelizumab (Ocrevus) è un anticorpo anti-CD20 che esaurisce le cellule B immature e mature circolanti. I meccanismi effettori degli anticorpi anti-CD20 sono la citotossicità dipendente dal complemento e la citotossicità cellulare anticorpale e apoptosi. (21) La molecola CD20 è una proteina transmembranale, espressa sulle cellule pre-B, sulle cellule mature e sulle cellule B della memoria, ma non su cellule staminali linfoidi e plasmacellule differenziate; così da preservare importanti funzioni del sistema immunitario.
Nel marzo 2017 ocrelizumab è stato approvato per la SM, come primo trattamento per la forma primaria progressiva e, come primo anticorpo monoclonale per la forma progressiva secondaria. (21)
Ocrelizumab è il primo farmaco ad abbassare i tassi di progressione clinica evidenziata dalla RM in pazienti con SM progressiva primaria e lo rendono l’unico farmaco che agisce contro questa forma di SM.
L'EMA ha recentemente approvato anche Ocrelizumab per il trattamento della sclerosi multipla recidivante con malattia attiva e PPMS precoce, in quanto il trattamento tempestivo riduce significativamente il rischio di progressione della disabilità nelle due forme.
Tra le reazioni avverse a ocrelizumab le più importanti sono reazioni all’infusione, infezioni delle vie superiori di grado lieve-moderato.
L’ocrelizumab potrebbero anche essere potenzialmente definito come IRT, ma l’attuale etichetta per questo è la terapia di mantenimento, che richiede un’infusione endovenosa ogni 6 mesi e quindi una somministrazione cronica. (20)
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3.3 OFF-LABEL
I farmaci “off-label” vengono impiegati per il trattamento di patologie e disturbi non previsti dalla scheda tecnica del prodotto (categoria di pazienti, usi per indicazioni, dosaggi, frequenza di somministrazione.). Gli “off-label” sono dei farmaci già registrati e approvati, ma per indicazioni terapeutiche diverse rispetto a quelle per cui vengono invece prescritti.
3.3.1 Rituximab (RTX)
Rituximab (Rituxan) è un mAb chimerico (murino/umano) il suo obiettivo è la proteina CD20 e promuove la citotossicità e l’apoptosi. Questo anticorpo monoclonale è approvato dalla FDA per il trattamento dell'artrite reumatoide e del linfoma (proliferazione incontrollata dei linfociti) a cellule B e rimane un agente sperimentale per il trattamento della SM. Il principale meccanismo d'azione di Rituximab è l'esaurimento completo delle cellule B. L'esatto meccanismo di beneficio con il trattamento con rituximab rimane incerto. Casi di PML si sono verificati anche dopo l'uso di questo agente. Uno studio retrospettivo svedese ha mostrato di ridurre l’attività di malattia in RM e ha dimostrato prove sulla sicurezza ed efficacia del trattamento. (22) Lo studio presenta però molti limiti, serviranno studi clinici futuri più approfonditi.
Tra gli effetti avversi più comuni si possono presentare reazioni allergiche da infusione accompagnati da brividi, febbre, meno frequenti stanchezza, mal di testa, vomito, sensazione di dolore, inoltre possono comparire infezioni batteriche, virali, bronchiti e reazioni cutanee.
È stato il primo anticorpo monoclonale chimerico che impoverisce le cellule B e che ha mostrato efficacia nella SM, incoraggiando i ricercatori a valutare l’efficacia degli anti-CD20, e portando alla scoperta di ocrelizumab.
Oggi lo studio degli anticorpi monoclonali è in continuo aumento, il loro studio viene principalmente usato nello studio delle malattie autoimmuni.
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Tra i nuovi anticorpi anti-CD20 in corso di studio clinico di fase III si ritrovano ofatumumab, anticorpo umano, in studio clinico in pazienti con SM recidivante e ublituximab, anticorpo ingegnerizzato con glicole, anti-CD20 umano chimerico, in corso di studio clinico in pazienti con RRMS. Entrambi gli studi sono effettuati confrontando la loro efficacia con quella di teriflunomide.
3.3.2 Cladribina
La cladribina è un analogo dei nucleosidi purinici, induce l'apoptosi dei linfociti, interrompendo la cascata di eventi immunitari alla base della SM. La cladribina provoca l'esaurimento periferico dei linfociti in maniera graduale, non è associato a una sindrome da lisi cellulare, ha un impatto maggiore sulle cellule B rispetto alle cellule T ed è responsabile di una progressiva ricostituzione della conta dei linfociti periferici per diversi mesi. (23)
La cladribina è un profarmaco, il suo metabolita attivo, la cladribina trifosfato, si accumula all'interno della cellula, causando l'interruzione del metabolismo cellulare, il danno al DNA e la successiva apoptosi. Agisce preferibilmente sui linfociti, producendo riduzioni rapide e sostenute nelle cellule CD4+ e CD8+, sebbene più transitori, sulle cellule CD19+ B. (23)
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Cladribina, con la pubblicazione della GU del 24 Gennaio 2018 n. 19 è indicato per il trattamento di pazienti adulti con SM recidivante ad elevata attività.
Ha dimostrato una solida efficacia nella prevenzione della conversione della CIS in SM clinicamente definita. (20)
Gli effetti collaterali comuni associati all’uso di cladribina sono linfopenia (diminuzione dei linfociti) e infezioni da virus herpes zoster. Possono manifestarsi eruzioni cutanee, perdita dei capelli e riduzione della conta di neutrofili.
Un passo davvero innovativo per la scienza in quanto è il primo trattamento per la SM recidivante che permette di raggiungere fino a 4 anni di controllo della malattia, a fronte di un massimo di 20 giorni di trattamento orale somministrato nell’arco dei primi 2 anni. La sua semplice assunzione permette facile aderenza alla terapia da parte del paziente, con conseguente riduzione dei rischi di progressione della disabilità e di recidive.
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CAPITOLO IV
4. APPROCCI TERAPEUTICI INNOVATIVI IN FASE CLINICA E
PRECLINICA
In questi ultimi anni molto è stato fatto per la SM, la scoperta dei nuovi approcci terapeutici ha portato ad un notevole miglioramento della vita dei malati, grazie ai minor effetti collaterali dei trattamenti.
Ho valutato alcune scoperte recenti che potrebbero trovare applicazioni cliniche rilevanti.
4.1 Ponesimod
Dopo la scoperta di fingolimod, molti studi si sono rivolti ai nuovi modulatori del recettore S1P più specifici, altamente selettivi e con minor effetti collaterali. Tra questi ho focalizzato la mia attenzione su ponesimod.
Ponesimod è un modulatore selettivo del recettore 1 della sfingosina-1-fosfato (S1P1), che inibisce funzionalmente l’attività di S1P e riduce il numero di linfociti circolanti; impedendo alle cellule immunitarie di attraversare la BBB e danneggiare la mielina. Il trattamento con ponesimod è stato in grado di prevenire l’insorgenza e la progressione di EAE nei topi, aumentando la sopravvivenza degli animali anche quando il trattamento è stato iniziato dopo l’insorgenza di EAE. (24)
Le analisi istologiche eseguite sui topi con EAE, dopo l’assunzione di ponesimod, ha mostrato una riduzione dell’infiammazione, della demielinizzazione e della perdita assonale nel cervello, nel cervelletto e nel midollo spinale.
Studi sulla distribuzione tissutale di ponesimod nei ratti, hanno indicato che ponesimod penetra nei tessuti cerebrali e nel midollo spinale (24), suggerendo possibili effetti neuroprotettivi diretti attraverso l’attivazione di S1P1 sulle cellule neuronali.
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La farmacologia clinica di ponesimod è stata ampiamente caratterizzata in numerosi studi clinici. (24) Ad oggi, i soggetti trattati con ponesimod sono stati stimati essere oltre un migliaio, compresi i pazienti con SM o psoriasi.
Ponesimod ha completato uno studio di fase III, dove la somministrazione orale ha dimostrato di portare a una riduzione dose-dipendente della conta dei linfociti nel sangue negli animali e nell'uomo. Lo studio di fase III, multinazionale, randomizzato, in doppio cieco, ha permesso di confrontare l'efficacia, la sicurezza e la tollerabilità di ponesimod 20 mg rispetto a teriflunomide 14 mg negli adulti con SM recidivante. Lo studio ha raggiunto il suo endpoint primario e la maggior parte di quelli secondari. Tra gli endopoint secondari, ponesimod è riuscito a stabilizzare la fatica rispetto a teriflunomide che è risultata peggiorare nel tempo con quest’ultimo. Il profilo di sicurezza osservato è stato coerente con gli studi precedenti e già noto per altri modulatori del recettore S1P.
Figura 14. Struttura ponesimod
A fine anno è prevista la richiesta di autorizzazione all’immissione in commercio di ponesimod, come trattamento nella SM recidivante.
Una caratteristica distintiva di ponesimod rispetto a fingolimod è la sua emivita più breve e la corrispondente rapida reversibilità degli effetti sul sistema immunitario. (24) Come
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fingolimod, ponesimod provoca un iniziale rallentamento temporaneo della frequenza cardiaca. (24) Negli studi clinici questo problema è stato minimizzato con l’utilizzo di basse dosi di ponesimod e poi un aumento graduale della dose nel corso di diversi giorni. Gli effetti collaterali più comuni riportati nello studio di fase II sono stati ansia, vertigini, affanno, aumento degli enzimi epatici, influenza, insonnia e edema periferico (gonfiore della parte inferiore delle gambe).
Attualmente è in studio di fase III di valutazione, con il quale viene confrontato il modulatore S1P in una dose di 20 mg nelle misurazioni di efficacia, sicurezza e tollerabilità rispetto al placebo in pazienti con SM che sono attualmente in trattamento con dimetilfumarato due volte al giorno. In questo studio verrà valutata l’utilità clinica della terapia in associazione con ponesimod, per offrire al paziente maggior controllo della malattia. Lo studio si concluderà nel 2024.
4.2 Imatinib
Imatinib mesilato è un inibitore selettivo della tirosina chinasi proteica con proprietà immunomodulanti. Tale farmaco sopprime le vie multiple di trasduzione del segnale nelle cellule immunitarie. Imatinib è stato sviluppato per inibire l’attività della chinasi BCR-ABL nella leucemia mieloide cronica (LMC).
I potenziali effetti terapeutici e le sue proprietà immunomodulatorie lo rendono un possibile farmaco per il trattamento della SM.
Poiché sono note le proprietà di imatinib di ridurre l’edema cerebrale e l’emorragia dopo l’ictus, inibendo la via PDGF-CC (Platelet derived growth factor, fattore di crescita derivato dalle piastrine) e di migliorare l’integrità della BBB, imatinib è stato sottoposto ad ulteriori studi per valutare la possibilità di utilizzare tale farmaco durante il processo di neuroinfiammazione. (25) Da questo studio, condotto su topi dove è stata indotta l’EAE, è emerso che imatinib riduce l’infiltrazione di cellule immunitarie e mitiga l’attivazione della microglia. Inoltre, migliora l’integrità della BBB durante l’EAE.
Imatinib ha attività antiproliferativa ed effetti immunomodulatori su vari tipi di cellule. Nelle malattie autoimmuni come l’artrite indotta da collagene (CIA), la SM ed EAE, imatinib abroga molteplici vie di trasduzione del segnale implicate nella patogenesi, tra
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cui la segnalazione TCR e p38 MAPK, la segnalazione dei mastociti c-Kit (CD 117), l’attivazione c-Fms dei macrofagi e la produzione di citochine. (26)
Figura 15. Struttura Imatinib
Uno studio condotto da un gruppo iraniano ha dimostrato che imatinib è capace di ridurre la gravità e ritardare l’insorgenza di EAE, a seguito della somministrazione orale di 60 mg/kg di imatinib al giorno. È inoltre capace di ridurre il numero di cellule e focolai infiammatori nel SNC dei topi con EAE. In effetti, l’analisi istopatologica eseguita sui cervelli, cervelletti e cordoni spinali dei topi EAE, hanno dimostrato che i topi trattati con imatinib, mostrano una significativa riduzione dei focolai infiammatori, di vasculite, e ridotta demielinizzazione rispetto ai topi di controllo. (26) I dati in vitro indicano che imatinib potrebbe inibire la produzione di TNF-α e IL-1β.
I risultati di vari studi dimostrano che imatinib potrebbe attenuare in modo efficace i sintomi clinici dell’EAE nei topi e modulare la proliferazione e l’attivazione di microglia e astrociti coinvolti nella neuroinfiammazione, inibendo selettivamente uno spettro di vie di trasduzione del segnale centrale nella patogenesi dell'EAE. (26)
Il recettore tirosin-chinasi risulta un buon bersaglio terapeutico, in quanto mitiga i disturbi mediati dalle citochine durante l’infiammazione.
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Imatinib presenta effetti collaterali tossici relativamente limitati, rispetto ai farmaci utilizzati nella SM.
Imatinib è attualmente in fase clinica II, per indagare se il suo trattamento ha esito migliore rispetto alle cure standard con metilprednisolone dopo recidive associate alla SM. Il completamento dello studio è previsto per il 2021.
4.3 Studi preclinici sulla tri-iodotironina (T3) e i
tiromimetici
Un’ importante obiettivo terapeutico per la SM è la promozione della rimielinizzazione, che deve avvenire all’inizio della malattia, non solo nelle fasi progressive. La rimielinizzazione è un processo che si verifica spontaneamente, ma spesso risulta incompleto o significativamente compromesso. Numerosi studi suggeriscono che la possibile causa di questa compromissione sia legata alla ridotta capacità delle cellule progenitrici degli oligodendrociti (OPC) di maturare ad oligodendrociti.
L’infiammazione sembra essere fondamentale per l’attivazione di OPC e progenitori. (27) La rimielinizzazione è osservata nell’ aree di infiammazione attive della SM mentre è compromessa nei topi privi di citochine proinfiammatorie o in topi in cui è stata effettuata una deplezione dei macrofagi. (27) Risulta ancora sconosciuto il motivo per cui la rimielinizzazione fallisca progressivamente nella SM.
Un approccio terapeutico valido è quello di migliorare l’autoriparazione della mielina, sboccando gli OPC e indurli a diventare OL mielinizzanti maturi. Gli ormoni tiroidei hanno suscitato interesse in quanto fattori di promozione del processo di differenziamento degli OPC in oligodendrociti maturi.
Gli ormoni tiroidei (TH) sono fondamentali per lo sviluppo del cervello, sia nelle fasi della crescita sia nel periodo post-natale.
La mielinizzazione è un processo dipendente da TH. Studi su animali geneticamente modificati, compresa l’analisi della mielinizzazione negli animali ipotiroidei e ipertiroidei, hanno fornito prove abbondanti che il TH gioca una parte importante nella regolazione della discendenza e maturazione degli OL in vivo. (27)
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Uno studio del 2010 ha dimostrato che la somministrazione di TH migliora il decorso clinico EAE e il processo di rimielinizzazione nei ratti, favorendo la rimielinizzazione e la neuroprotezione senza provocare ipertiroidismo. (27) Questo effetto si verifica quando il TH viene somministrato nella fase acuta della malattia, quando OPC e progenitori proliferano attivamente. (27)
Gli effetti sembrano attribuibili all’attività agonista sui recettori tiroidei di tipo beta. (TRβ). L’uso dell’ormone non è stato considerato come potenziale terapia, poiché l'esposizione cronica a TH sistemica elevata, o ipertiroidismo, influisce negativamente sul cuore, sulle ossa e sui muscoli scheletrici, limitando così il suo potenziale come terapia di rimielinizzazione. (28)
Questo problema è stato superato con agonisti del TH, o tiromimetici, classe di molecole che imita T3, legandosi e attivando il suo recettore TH (TR).
Il sobetirome è un TR beta agonista, in fase clinica privo degli effetti avversi associati all'ipertiroidismo (28), ha la capacità di attraversare la BBB e di distribuirsi al SNC. Per migliorare la biodisponibilità del composto nel SNC, è stato recentemente sintetizzato il profarmaco Sob-AM2, un derivato della metil-ammide del sobetirome. Sob-AM2 aumenta in modo significativo la biodisponibilità del sobetirome a livello del SNC, riducendo l'esposizione degli organi periferici. Raggiunto il SNC, il Sob-AM2 sembra essere convertito selettivamente in sobetirome dall'acido grasso ammide idrolasi (FAAH), che è altamente espressa nel SNC.